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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 170731 volte)
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« Risposta #270 inserito:: Agosto 08, 2017, 06:16:57 pm »

L’INCHIESTA

«Gara Consip, l’appalto era truccato»
Tre aziende si sono spartite 2,7 miliardi
L’appalto per la gestione dei servizi nella pubblica amministrazione potrebbe essere truccato: questa la clamorosa conclusione contenuta nella relazione dell’Anac, l’autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone

Di Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini

L’appalto Consip da 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi nella pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato. C’è il fondato sospetto di un «accordo di cartello» fra tre imprese concorrenti per spartirsi i lotti principali escludendo così le altre aziende. Quattro mesi dopo l’avvio dell’istruttoria, è questa la clamorosa conclusione contenuta nella relazione dell’Anac, l’autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone.
Il dossier
Il dossier è stato trasmesso alla Procura di Roma, titolare dell’inchiesta sull’aggiudicazione di quei lavori che ha fatto finire in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo per corruzione, mentre Tiziano Renzi e il suo amico Carlo Russo sono indagati per traffico di influenze illecite; nell’ambito della stessa indagine sono coinvolti anche il ministro Luca Lotti, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e il generale Emanuele Saltalamacchia, inquisiti per la fuga di notizie che mise sull’avviso i vertici Consip degli accertamenti della magistratura. Ma adesso si apre un altro filone nel quale si dovrà verificare l’operato dei vertici della «centrale acquisti», per stabilire che ruolo abbiano avuto rispetto alla divisione tra le aziende delle commesse per la manutenzione e la ristrutturazione di centinaia di edifici pubblici.
La richiesta degli atti
L’indagine di Cantone viene avviata nel marzo scorso con una richiesta di trasmissione di atti alla Consip proprio per valutare l’esistenza di eventuali irregolarità nella procedura. Si scopre così che nell’elenco di chi ha presentato offerte ci sono le stesse aziende sanzionate dall’Antitrust per aver siglato un patto illecito nella gestione dei servizi di facility management per gli istituti di istruzione. È il famoso appalto «belle scuole» assegnato nel 2015 che per questo si è stati poi costretti ad annullare. La delibera dell’Antitrust era infatti perentoria: «Il consorzio Cns, Manutencoop, Kuadra spa e Roma Multiservizi spa hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara con Consip, attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla legge». Le sanzioni inflitte andavano dai 56 milioni di euro per l’assegnazione dei lotti maggiori a quasi 6 milioni di euro per quelli più piccoli. Su questo la Procura di Roma ha terminato qualche settimana fa gli accertamenti, ipotizzando il reato di turbativa d’asta, e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio degli amministratori delle ditte coinvolte.
L’azienda esclusa
Nel corso delle verifiche sull’appalto Fm4, Anac analizza la posizione delle aziende finite sotto accusa, ma anche quella di Manital, esclusa dalla gara dopo aver vinto quattro lotti per una contestazione di tipo fiscale, e che per questo aveva presentato ricorso al Tar. Secondo Anac la decisione di Consip di non consentire la partecipazione «presenta ripetute omissioni in materia di verifica», e l’avvio della procedura che determinò l’esclusione viene definito «irrituale». Inoltre, si sottolinea come il successivo ricorso al Consiglio di Stato da parte di Consip, che annullò la riammissione di Manital decisa dal Tar, avvenne dopo la scoperta che l’offerta di Manital era risultata vincente con un risparmio per le casse dello Stato di 25 milioni. Tra le «anomalie» contestate ai vertici Consip ci sono anche quelle relative alle offerte tecniche ed economiche per la «mancata allegazione ai verbali della Commissione delle valutazioni effettuate nelle sedute riservate e in quelle pubbliche» ma anche «la scelta di assegnare a tutti i concorrenti il medesimo punteggio vanificando l’incidenza di tali elementi sulla valutazione complessiva e quindi riducendo il peso dell’offerta».
La divisione dei lavori
Elementi sufficienti per decidere di analizzare le offerte presentate da ogni azienda già sanzionata per precedenti accordi di «cartello». Si è così scoperto che «l’Ati Cns ha presentato offerta per sette lotti di gara mentre Manutencoop ha presentato offerta per cinque lotti di gara senza mai sovrapporre le proprie offerte». Ed ecco le conclusioni di Anac: «La probabilità del verificarsi di tale evento risulta essere evidentemente assolutamente marginale. Tale probabilità scende ulteriormente allorché si osservi la distribuzione geografica delle istanze dei due concorrenti nella quale si rileva una disposizione a scacchiera, con l’Ati Cns e Manutencoop che si sono spartite tutte le Regioni escludendo Campania, Calabria e Sicilia.
Il patto illecito
Quanto basta per convincere Anac sull’esistenza di «possibili intese fra Cns, Manutencoop e Kuadra, che fa parte dell’Ati Cns». E infatti nella relazione trasmessa ai magistrati di Roma è scritto: «Appare ragionevole pensare che per la gara Fm4 siano state adottate intese restrittive della concorrenza. A rafforzare tale ipotesi contribuisce il ritiro delle proprie offerte per tutti i sette lotti da parte dell’Ati Cns alla vigilia dell’apertura delle offerte economiche». Gli «investigatori» dell’Anac sottolineano anche altre criticità a riscontro del possibile accordo illecito, con una vera e propria spartizione preventiva degli appalti: «Per Manital non risultano mai sovrapposte le quattro offerte con le sette di Cns e solo per un lotto è in competizione con Manutencoop; la Romeo Gestione non si sovrappone mai con Manutencoop e solo per un lotto è in competizione con Cns».
L’avviso alle imprese
La relazione è stata notificata alle aziende coinvolte che adesso potranno presentare le proprie controdeduzioni per evitare le sanzioni dell’Anticorruzione. I magistrati dovranno invece stabilire se — proprio come accaduto per l’appalto delle «belle scuole» — per l’accordo tra le imprese ci siano anche contestazioni penali per i responsabili delle imprese coinvolte.

5 agosto 2017 | 23:48
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_agosto_05/consip-cartello-tre-aziende-bfb2133c-7a1c-11e7-9488-fb4c3ebc9cd4.shtml
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« Risposta #271 inserito:: Settembre 20, 2017, 10:27:05 pm »

Emanuela Orlandi: «Il Vaticano spese 500 milioni per lei fino al 1997»: è giallo sul dossier

Verifiche sull'autenticità di un carteggio che circola nella Santa Sede

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Un nuovo, inquietante mistero segna la ricerca della verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. E avvalora l’ipotesi che i «corvi» siano tornati in Vaticano. Perché un dossier che circola negli uffici della Santa Sede chiama in causa le gerarchie ecclesiastiche sulla fine della giovane sparita a 15 anni nel 1983 e sembra voler accreditare la possibilità che sia morta nel 1997. Elenca le spese che sarebbero state sostenute Oltretevere proprio per gestire la vicenda. L’esame del carteggio non fornisce alcun riscontro che si tratti di un documento originale perché non contiene timbri ufficiali, ma appare verosimile che venga utilizzato nell’ambito dei ricatti incrociati che hanno segnato la vicenda Vatileaks ed evidentemente non sono ancora terminati. Per questo la famiglia Orlandi torna a chiedere alla Segreteria di Stato di «sgomberare il campo da ogni dubbio» e attraverso le avvocatesse Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò insiste «per avere accesso a tutti i documenti e comunque poter incontrare il segretario di Stato Pietro Parolin: il caso non è e non può essere chiuso».
L’appello di Karol Wojtyla all’Angelus del 3 luglio 1983
Si torna alla notte tra il 29 e il 30 marzo 2014 quando viene scassinata la cassaforte che si trova nella Prefettura vaticana e contiene l’archivio della commissione Cosea, della quale facevano parte monsignor Balda e Francesca Chaouqui, entrambi finiti sotto processo con l’accusa di aver divulgato documenti segreti relativi alle finanze vaticane. Nel libro Via Crucis di Gianluigi Nuzzi, che svela una parte di quelle carte segrete, vengono pubblicate le fotografie della misteriosa irruzione.
Durante le indagini su Vatileaks il promotore di giustizia della Santa Sede interroga il capo ufficio monsignor Alfredo Abondi che a verbale dichiara: «Nella sezione riservata della Prefettura venivano conservati i documenti sulla sicurezza e sulle situazioni rilevanti relative all’Amministrazione. Nei giorni successivi al furto nel dicastero ci fu recapitato un plico con i documenti sottratti». Non entra nel dettaglio ma specifica che «si tratta di materiale che riguarda pratiche risalenti a 10 o anche 20 anni fa». Poco dopo comincia a circolare l’indiscrezione che tra quei dossier ce ne sia anche uno sulla scomparsa della ragazza.
 

Sei mesi fa Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, rilancia questa possibilità, entra nel dettaglio parlando di «cinque fogli, mostrati anche a Papa Francesco che proverebbero che non sarebbe morta subito, perché datati fino al 1997». È il plico che viene adesso fatto circolare. Si intitola «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi».
È datato 28 marzo 1998, firmato dal cardinale Lorenzo Antonetti, all’epoca presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica, e indirizzato al sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato il cardinale Giovanni Battista Re e al sottosegretario Jean Louis Tauran. Elenca spese per circa 500 milioni di lire sostenute tra gennaio 1983 e luglio 1997. Si chiude con il pagamento di 21 milioni di lire per «attività generale e trasferimento presso città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali».
Le «voci» e i relativi pagamenti accreditano la possibilità che la giovane sia stata ospitata in alcuni conventi e appartamenti in Italia e all’estero, ricoverata in almeno due strutture sanitarie in Gran Bretagna, trasferita più volte. Specifica che una parte dei soldi è stata versata a «fonti investigative», e cita il pagamento per l’attività relativa a un episodio di «depistaggio».

Il documento — dattiloscritto con un carattere risalente a vent’anni fa — contiene nomi e luoghi realmente esistenti, parla dell’attività investigativa svolta anche dall’allora responsabile della gendarmeria, si riferisce ad «allegati» su «quantità di denaro autorizzate e prelevate per spese non fatturate». Il fatto che la prima data sia gennaio 1983, cioè sei mesi prima della sparizione, sembra voler avvalorare la possibilità che Emanuela fosse sotto il controllo di autorità vaticane già da quel periodo. Potrebbe trattarsi di un documento che contiene circostanze vere, fatto circolare proprio da chi continua ad esercitare il proprio potere di ricatto contro le gerarchie ecclesiastiche, visto che mai è stato fugato il sospetto sul loro ruolo in questa vicenda. Oppure un depistaggio. «In ogni caso — chiariscono le due avvocatesse — la famiglia ha diritto a ottenere chiarimenti e per questo torniamo ad appellarci direttamente a papa Francesco affinché voglia ascoltare la loro supplica. Lui stesso ha detto che “la verità non si negozia”».

17 settembre 2017 | 23:47
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_settembre_18/spese-vaticano-fino-1997e-giallo-dossier-emanuela-f2bb45ae-9bd8-11e7-99a4-e70f8a929b5c.shtml
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« Risposta #272 inserito:: Agosto 10, 2018, 01:36:00 pm »

Quirinale, dallo «snodo» di Milano l’account falso per l’attacco web a Mattarella

I 400 profili falsi
L’azione di una società esperta che ha utilizzato un sistema di comunicazione anonimo.

Oggi il dossier di Pansa al Copasir: il direttore del Dis ricostruirà il tweet storm contro il capo dello Stato che si era rifiutato di nominare Paolo Savona ministro dell’Economia

  Di Fiorenza Sarzanini

Alcuni profili twitter utilizzati nel maggio scorso per l’attacco contro il Quirinale risultano ancora attivi. L’analisi del traffico e dei contenuti effettuata in queste ore dagli specialisti della polizia Postale e dell’intelligence dimostra che questi account continuano a «monitorare» quanto accade nel dibattito politico e spesso utilizzano lo stesso hashtag #mattarelladimettiti, come strumento di pressione. Sono i falsi profili sui quali indaga la Procura di Roma per scoprire chi abbia pianificato e attuato l’operazione politica contro il capo dello Stato dopo il suo rifiuto a nominare ministro dell’Economia Paolo Savona. procura ipotizza i reati di offese al Capo dello Stato e sostituzione di persona. Oggi ne parlerà al Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, il direttore del Dis Alessandro Pansa. La sua audizione era stata programmata da tempo per un aggiornamento sui temi più caldi — immigrazione, terrorismo internazionale, controllo dei siti strategici, eventuali interferenze sull’economia — ma tre giorni fa si è deciso di ampliare l’ordine del giorno.

La pressione politica
Al Parlamento il capo dell’intelligence consegnerà un dossier che ricostruisce quanto accaduto la notte tra il 27 e il 28 maggio (qui, la ricostruzione dell’attacco e i 400 profili falsi contro Mattarella). Evidenziando come quel bombardamento di tweet non abbia nulla a che fare con il Russiagate, cioè con i troll di Mosca che sarebbero stati utilizzati per influenzare la campagna negli Stati Uniti che ha portato all’elezione di Donald Trump. Del resto la prima traccia utile trovata dagli specialisti avvalora la possibilità che a generare l’operazione sia stato un account creato sullo «snodo dati» di Milano.

L’obiettivo dell’assalto era fin troppo evidente: rilanciare le dichiarazioni pronunciate in quelle ore da Luigi Di Maio che aveva accusato Mattarella di «alto tradimento» per aver causato — escludendo la designazione di Savona — la rinuncia di Giuseppe Conte a formare il governo di M5S e Lega. E così dimostrare come l’opinione pubblica fosse tutta schierata con il capo politico dei grillini, forse nella speranza di convincere il presidente a fare marcia indietro. Un tentativo andato a vuoto, che però non cancella la «pressione» politica esercitata sulla più alta carica istituzionale e dunque consente ai magistrati del pool antiterrorismo di Roma coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale di procedere nell’ipotesi che dietro il tweet storm ci fosse un disegno eversivo.

Il Tor
I primi risultati dell’analisi tecnica hanno già consentito di raccogliere alcuni elementi utili. Il primo profilo sarebbe stato creato con un’iscrizione avvenuta in Italia — quella dello «snodo dati» che si trova a Milano — ma in maniera schermata in modo da far figurare che provenisse dall’estero. Per gli altri account, almeno 150 nei primi minuti, sarebbero stati utilizzati server stranieri: in Estonia o in Israele. Ad agire, è questa la convinzione degli investigatori, sarebbe stata un’unica mano. Si tratta quasi certamente di una società specializzata in questo tipo di attività, al momento i tecnici escludono che tutto ciò sia stato fatto da privati. L’ipotesi più probabile è che abbiano utilizzato il Tor. Si tratta di un sistema di comunicazione anonima per internet che consente di navigare in maniera criptata e dunque di non rendere individuabili i soggetti che lo usano.

Il fatto che si tratti di mani esperte sarebbe dimostrato anche dalla scoperta che hanno usato un indirizzo Ip dinamico, cioè che cambia a intervalli di tempo prestabiliti e soprattutto consente di far «rimbalzare» la connessione su server diversi. In questo modo dà vita ai cosiddetti Bot, programmi autonomi che fanno credere di comunicare con un’altra persona umana. Questi finti profili, sottolinea uno degli investigatori, «hanno pochissimi seguaci, twittano soltanto su uno o due argomenti, in alcuni casi vengono chiusi per poi ricomparire nei momenti ritenuti utili da chi lancia le campagne di assalto contro gli obiettivi istituzionali».

5 agosto 2018 | 22:24
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Da – corriere.it
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« Risposta #273 inserito:: Marzo 04, 2019, 04:50:29 pm »

I pm all’Unicef: denunciate i parenti di Renzi o non potrete avere i soldi

Secondo l’accusa parte dei fondi finì alla società amministra dalla madre dell’ex segretario PD

  Di Fiorenza Sarzanini

La richiesta di rogatoria è partita tre giorni fa. Si tratta di un vero e proprio avviso alle organizzazioni umanitarie che avevano donato alla società di Alessandro Conticini denaro da destinare ai bimbi africani. L’uomo è accusato di appropriazione indebita con il fratello Luca, mentre il terzo fratello Andrea, cognato di Matteo Renzi perché marito di sua sorella Matilde, deve rispondere del reimpiego illecito di capitali. Il messaggio dei magistrati di Firenze alle organizzazioni internazionali è chiaro: «In Italia la legge è cambiata, se non presenterete una denuncia non potremo proseguire l’inchiesta per appropriazione indebita. E dunque non avrete alcuna possibilità di reclamare i soldi elargiti».

Sono 10 milioni di dollari versati tra il 2008 e il 2013 per sostenere progetti in favore dell’infanzia in difficoltà. Di questi, 6 milioni e 600mila dollari sarebbero però finiti sui conti personali degli imprenditori, e in parte anche nelle casse della «Eventi6», società amministrata dalla mamma di Renzi, Tiziana Bovoli. L’ex premier dichiara con una nota di voler «procedere in sede civile e penale contro chiunque accosti il suo nome a una vicenda giudiziaria che riguarderebbe un fratello del marito di una sorella di Renzi». Due giorni fa era stato proprio lui ad annunciare con un video su Facebook la fine dell’attuale governo perché «ci sarà da divertirsi con le inchieste sui fondi della Lega a Genova e sull’attacco via Twitter al presidente Mattarella». Adesso Renzi dice che «i processi si fanno in aula, non sui media. Al termine del processo si fanno le sentenze. E le sentenze si rispettano. Anche quelle sui risarcimenti».

La rogatoria alle autorità statunitensi ha come destinatari «l’Unicef, fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia; la Fondazione Pulitzer» e sei associazioni australiane e statunitensi che avevano elargito alla “Play Therapy Africa Limited” e ad altre due organizzazioni no profit di Alessandro Conticini, che è stato per anni direttore Unicef di Addis Abeba e poi è rientrato in Italia. Tutte queste organizzazioni internazionali sono informate dell’inchiesta avviata a Firenze dai magistrati coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo e nei mesi scorsi hanno messo a disposizione i propri bilanci proprio per consentire agli investigatori di ricostruire il percorso dei soldi. Gli amministratori non sono però informati che per procedere dovranno presentare formale denuncia — dopo la riforma varata lo scorso aprile dall’allora ministro Andrea Orlando — e per questo si è deciso di trasmettere formale avviso. Altrimenti si dovrà procedere solo per riciclaggio e reimpiego illecito di fondi.

I pubblici ministeri hanno già rintracciato le somme e accusano Andrea Conticini di aver «agito come procuratore speciale del fratello» Alessandro: «Impiegava parte del denaro provento del delitto in attività economiche, procedendo all’acquisto di partecipazioni societarie e all’esecuzione di finanziamenti in conto soci» prelevando 267mila e 800 euro dai conti e dividendoli così: alla «Eventi6» di Rignano — finita in un’altra indagine per false fatturazioni dove sono indagati la madre e il padre di Renzi — 133.900 euro nel 2011; alla Quality Press Italia, 129.900 euro; alla Dot Media di Firenze, 4.000 euro. I fratelli Alessandro e Luca avrebbero invece reimpiegato il resto tra l’altro con un «investimento immobiliare in Portogallo» da quasi 2 milioni di euro.

9 agosto 2018 (modifica il 9 agosto 2018 | 22:24)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - https://www.corriere.it/politica/18_agosto_10/i-pm-all-unicef-denunciate-parenti-renzi-o-non-potrete-avere-soldi-c0ea9d3e-9c10-11e8-928f-aca0fa0687aa.shtml
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