LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => AUTRICI e OPINIONISTE. => Discussione aperta da: Admin - Novembre 10, 2007, 10:09:57 am



Titolo: Fiorenza SARZANINI.
Inserito da: Admin - Novembre 10, 2007, 10:09:57 am
«A caccia di emozioni forti»

Le amiche raccontano le notti di Amanda e Raffaele

«Stavano fuori fino all'alba, poi a casa in compagnia Meredith era diversa, non faceva mai entrare nessuno»


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

PERUGIA — Era alla ricerca di «emozioni forti » Raffaele Sollecito. Lo aveva scritto sul suo blog il 13 ottobre scorso. Lo ha ripetuto due giorni fa davanti al giudice. E quella voglia di rompere la noia adesso si trasforma in un elemento di accusa, un sostegno al movente dell'omicidio di Meredith Kercher. Amanda e Raffaele, questo dice l'accusa, «avevano la volontà di provare una sensazione nuova ». Forse non bastavano più gli incontri sessuali occasionali, gli spinelli, le ubriacature, le serate trascorse tra una discoteca e un pub fino all'alba. L'unica certezza di questa inchiesta al momento appare la vita sregolata di questi studenti che emerge dai verbali riempiti in questi giorni da chi frequentava la casa dove è avvenuto il delitto, da chi usciva con Amanda, con Meredith.

Dalle parole di quelle giovani straniere che, seppur per poche ore, accettavano la compagnia dei ragazzi incontrati occasionalmente durante il loro peregrinare notturno. Racconta il 2 novembre Amy Frost: «Conosco Meredith da circa due mesi, perché abbiamo frequentato un corso di italiano all'Università per stranieri. Dopo quel periodo abbiamo cominciato a frequentarci e quattro o cinque volte la settimana ci incontravamo per uscire e andare in qualche locale. Spesso andavamo al "Merlin". So che Meredith qualche volta andava in un locale chiamato "Le Chic" dove lavora la sua amica Amanda». E che cosa facessero durante queste uscite lo aggiunge poco dopo ricordando cosa avvenne il 31 ottobre, alla festa di Halloween «quando siamo andate al "Merlin" per ballare e bere. Verso le 2, dopo la chiusura, io, Robyn, Sophie e Meredith accompagnate dal proprietario Pisco Alessio e altri lavoranti siamo andate al Domus dove abbiamo ballato e bevuto sino alle quattro e mezza, cinque. Poi io, Meredith e Robyn siamo tornate a casa a piedi mentre Sophie e due sue amiche, una olandese e un'ucraina, sono rimaste nel locale. Sophie mi ha detto che sono tornate alle sei e mezza accompagnate da un ragazzo di nazionalità turca che aveva conosciuto tempo fa via Internet. Il turco si è intrattenuto presso l'abitazione di Sophie per circa mezz'ora, solo il tempo di mangiare qualcosa».

Ci si incontra, si balla e ci si sballa, si torna a casa con chi capita. Le amiche dicono che Meredith non faceva entrare nessuno in camera tranne il suo fidanzato Giacomo. «Circa tre settimane fa — ricorda Natalie Hayward — mi ha confidato di averlo baciato per la prima volta. So che in seguito hanno anche dormito insieme una sera che lei aveva bevuto molto». È accaduto più volte, come ha confermato Giacomo entrando anche nei dettagli dei rapporti intimi che aveva avuto con la giovane. Ma poi lei aveva detto a Natalie che era attratta anche «da un ragazzo più bello di Giacomo che abitava sempre lì con loro, ma di cui non so il nome ». Amanda invece è diversa, come fa notare una delle due giovani italiane che abitavano nell'appartamento. E come lei stessa ha ammesso, elencando davanti ai poliziotti i nomi dei ragazzi che aveva fatto salire a casa. Tra loro anche Hicham Khir, marocchino di 28 anni che, a leggere i racconti, aveva una certa dimestichezza con le straniere del gruppo. Tanto che dopo il delitto, il suo alibi è stato controllato nei dettagli. «Ho conosciuto Meredith a settembre al "Merlin" — racconta —. Feci conoscenza prima con la sua amica Sophie con la quale tentai un approccio ballando in pista. Ci siamo scambiati i numeri di cellulare e poi, la sera stessa, ci siamo rivisti al "Domus"».

 Si perdono di vista per un paio di settimane, si incontrano una sera quando lui la riaccompagna perché «era talmente ubriaca» da non poter andare da sola. Si vedono di nuovo nelle settimane successive e poi alla festa di Halloween «quando in pista ci siamo baciati». Lui tenta l'approccio anche con Meredith, intanto frequenta Amanda. Lo ha ricordato lei stessa durante l'interrogatorio del 3 novembre: «Verso la metà di ottobre, mentre mi trovavo a "Le Chic", dove lavoro, ho incontrato Hicham. Verso le 2.30, quando ho finito il turno, mi offriva un passaggio a casa con il motorino e io ho accettato. Quando siamo arrivati lui mi ha detto che gli dovevo un drink quale ringraziamento. Ero titubante, ma siccome lui ha insistito ho accettato specificando che potevo ritardare solo mezz'ora. Ho pensato che mi volesse portare in un altro bar, ma poi quando siamo arrivati sotto casa sua, dietro sua insistenza sono salita. Mi sono quindi diretta verso una camera dove c'erano altri ragazzi italiani che guardavano la Tv, ma lui mi diceva che dovevo seguirlo in camera. Chiudeva la porta dicendo che voleva parlarmi per conoscermi meglio, mentre io chiedevo di andare via. Abbiamo continuato a discutere di questo circa un'ora, quando alla fine ha desistito e mi ha riaccompagnata a casa». Ma poi un'amica di entrambi la smentisce: «Ho saputo che sono stati a letto».

Fiorenza Saranini
10 novembre 2007

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI.
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2008, 12:16:45 pm
Rapporti che gli avrebbero consentito di gestire un piano per 20 mila alloggi

E Romeo disse: «Le cose si fanno a Roma»

Affari e appalti nella capitale, così l'imprenditore parlava al telefono con l'assessore napoletano Di Mezza
 
 
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI NAPOLI — «A Roma si fanno le cose, a Napoli fate fatica ». Quando parlava con i suoi amici assessori partenopei Alfredo Romeo si lamentava spesso dei ritardi e degli «errori tattici» commessi nella compilazione di bandi e delibere. E con Ferdinando Di Mezza, il responsabile al Patrimonio finito agli arresti, vantava rapporti che gli avrebbero consentito di gestire un piano per la costruzione di ventimila alloggi. Gli stessi — questo è il sospetto dell'accusa — che l'avrebbero agevolato nell'aggiudicazione dell'appalto per la manutenzione delle strade. Gli atti giudiziari sui contatti dell'imprenditore con i politici capitolini saranno trasmessi ai pubblici ministeri romani la prossima settimana. Nel fascicolo saranno inserite decine di intercettazioni telefoniche, comprese quelle che riguardano il ruolo del giudice del Consiglio di Stato Troiano, sospettato di averlo aiutato a ribaltare la sentenza del Tar del Lazio che aveva annullato la delibera per mettere a posto le strade.

IL MEDIATORE - Mediatore della vicenda — almeno a leggere le intercettazioni allegate all'ordinanza del giudice — era Renzo Lusetti, parlamentare del Pd nei confronti del quale i pubblici ministeri hanno sollecitato l'arresto. I suoi avvocati Massimo Krog e Alessandra Cacchiarelli smentiscono: «È notorio che al telefono, per troncare, si dicono tante cose che poi non si fanno, specie se chi parla è un politico e dall'altra parte c'è un interlocutore così invasivo, come nel caso». Nel marzo 2007, con l'amico Di Mezza, Romeo parlava proprio della Capitale. Romeo: «Le cose nostre tutto bene?». Di Mezza: «Ehmm pare di sì, ora facciamo il bilancio... no, però pare che stanno andando... vabbé poi ci vediamo domani». Romeo: «A me fa piacere sapere qualche tuo commento, sentiamoci perché io sto a Roma tutto il giorno, ma sto pure sabato e domenica e la settimana prossima eh!». Di Mezza: «Ah, quindi ti trattieni a Roma». Romeo: «E sì perché qui dobbiamo fare... a Roma si fanno le cose, a Napoli fate fatica!... Ma adesso fate un piano di acquisizione, un piano di costruzione di ventimila alloggi ». Di Mezza: «A Roma?». Romeo: «Eh... facciamo ventimila alloggi di edilizia residenziale pubblica quel modellino che abbiamo parlato io e te?». Di Mezza: «Lo so». Romeo: «È attuativo... e quindi sto lavorando a questa cosa perché il sindaco ci tiene in modo particolare...». Di Mezza: «Uhmm, uhmm ho capito!».

INTERROGATORI - Gli assessori interrogati ieri dal Gip hanno negato di aver mai agevolato Romeo, sostenendo che i loro rapporti erano «esclusivamente istituzionali, anche se dovevamo subire la sua invadenza per il particolare ruolo che svolgeva per conto del Comune». Enrico Cardillo, responsabile del Bilancio, avrebbe anche affermato di non aver presentato le dimissioni perché spaventato dal possibile coinvolgimento nell'inchiesta: «Volevo dedicarmi all'attività universitaria ». Felice Laudadio, il delegato al Patrimonio indicato dai pubblici ministeri proprio come l'elemento di contatto con gli assessori romani, avrebbe invece dichiarato di essere «un politico inesperto e questo ha fatto sì che Romeo potesse spendere il mio nome».

Fiorenza Sarzanini
20 dicembre 2008

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI.
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2009, 06:13:54 pm
Originari di Ghana e Sierra Leone, riaccompagnati nei loro Paesi entro 2 settimane

Libia, nel centro dei «respinti»

«Ma proveremo a ritornare»

Tripoli: i clandestini? Possiamo portarveli a San Pietro

Dal nostro inviato Fiorenza Sarzanini


TRIPOLI — La luce filtra dalle sbarre del­le finestre, loro stanno accasciati sulle stuo­ie, sono scalzi, hanno lo sguardo smarrito. Appena la porticina si apre balzano in piedi, cercano di uscire nel cortile. Vogliono spie­gare, raccontare, chiedere aiuto. C’è chi co­nosce qualche parola di inglese, chi si arran­gia con il francese. Hanno la pelle molto scu­ra, la maggior parte sembra provenire dai Paesi dell’Africa subsahariana. I poliziotti li ammassano contro il muro, intimano loro di stare seduti. «Potete parlare, se qualcuno di voi ha qualcosa da chiedere può farlo», gridano. Un ragazzo che dice di avere 16 an­ni quasi implora: «Mi chiamo Emmanuel, vengo dalla Sierra Leone, i miei genitori so­no a Londra. Ero partito per raggiungerli. I soldi per il viaggio me li ha dati mia nonna. Adesso non ho più niente, ma voglio anda­re da loro. Vi prego ci sarà un modo per riu­scire a tornare dì là».

Nel centro di accoglienza di Twescha, 35 chilometri a sud di Tripoli, ci sono gli immigrati che la Libia ha accettato di riprendersi 
Centro di accoglienza di Twescha, 35 chi­lometri a sud di Tripoli. Eccoli gli immigrati che la Libia ha accettato di riprendersi. Mer­coledì scorso erano sui barconi intercettati nelle acque maltesi. Nella notte sono stati trasferiti sulle motovedette italiane che han­no effettuato l’operazione di respingimen­to, provocando un caso internazionale, e so­no tornati in porto. Li hanno divisi per na­zionalità e ora li tengono in questi stanzoni in attesa di riportarli a casa. Non c’è alcuna speranza che possano rimanere, entro due settimane saranno organizzati i voli per il rientro. E tutto ricomincerà daccapo. Per­ché, come chiarisce Suleyman, ghanese di 24 anni «noi non possiamo restare in Afri­ca. Vogliamo andare in Europa, raggiungere la Grecia. E prima o poi ci riusciremo. Met­tiamo i soldi da parte, lavoriamo per pagare i trasferimenti. Un pezzo di strada per volta fino alla costa. Poi ci imbarcano». C’è chi sogna la Germania, chi sostiene di avere parenti in Italia. Samwi ha 19 anni, gli ultimi quattro mesi li ha trascorsi in un casa di Al Zwara — la cittadina all’estremo sud del Paese dove i mercanti di uomini ammas­sano la loro «merce» — ad aspettare l’ok de­gli scafisti. Pensava di esserci riuscito e inve­ce la sua traversata non è durata neanche 100 miglia e si dispera. Traore, 20 anni, tira fuori un documento per dimostrare che lui è già entrato nel programma di protezione per i rifugiati, dice che lo ricevuto ad Abi­djan, in Costa d’Avorio. Ma se gli chiedi co­me mai era su una di quelle barche non sa rispondere, non è in grado di spiegare per­ché non ha sfruttato questa occasione per provare ad avere una nuova vita. I centri di accoglienza qui sono gestiti dalla polizia, gli agenti di guardia che chiariscono di aver già avviato le verifiche sul tesserino sosten­gono che potrebbe essere falso.

Dopo le accuse di violazione dei diritti umani arrivate nelle ultime ore, le autorità libiche hanno deciso di consentire una visi­ta nelle strutture, vogliono mostrare al mon­do come vengono trattate queste persone. Quando si apre il padiglione dove sono i ni­geriani e i ghanesi, la scena vista all’inizio si ripete. Sono quasi tutti ragazzi. Si tirano su, ti circondano «perché devi mandare un messaggio, dire che stiamo bene ma che vo­gliamo essere liberi». Negano di aver ricevu­to maltrattamenti, non hanno segni visibili di percosse. Ricordano di essere rimasti per ore e ore su quei barconi che rischiavano di andare alla deriva. «Abbiamo avuto tanta pa­ura, era buio, potevamo morire», ripetono come in una litania. Fram ha la faccia da ra­gazzino, racconta di avere 17 anni, di essere giunto dal Gambia. E sostiene di non sapere dove si trova. «Libia? Non capisco. Io vole­vo andare a Malta». Le donne che erano sui barconi sono state trasferite nel centro di Zawia, 40 chi­lometri a nord della capitale. Lì finiscono anche i bambini, ma la polizia locale assi­cura che a bordo l’altra sera non ce n’era nemmeno uno. Le femmine erano 37 e una ventina erano con il marito. «Li abbia­mo messi insieme, ma anche loro dovran­no lasciare il Paese», chiariscono i respon­sabili delle strutture.

I centri di accoglienza sono cinti da un muro alto, circondati dal filo spinato. I por­toni sono di ferro, la sorveglianza è affidate alle guardie armate. Non ci sono limiti di permanenza, ma si cerca di non farli restare più di 15 giorni. «Perché — chiarisce il di­rettore di Twescha — siamo sempre in emergenza, anche in questi giorni ci sono 400 persone in più». Al ministero dell’Inter­no dicono che in Libia ci sono «almeno un milione e mezzo di stranieri che vuole rag­giungere l’Europa. Noi spendiamo ogni an­no due miliardi e mezzo di dollari per gesti­re il fenomeno dell’immigrazione clandesti­na e non siamo più in grado di sostenere il fenomeno». Abdal Muammed, un alto funzionario della sicurezza che ha trattato con l’Italia l’accordo per effettuare i pattugliamenti congiunti, sa bene quante critiche si siano scatenate dopo le operazioni effettuate in acque internazionali. Ma non appare dispo­sto a subire gli attacchi: «Non credo possibi­le che qualcuno pensi di aver risolto il pro­blema dell’immigrazione clandestina man­dando sei motovedette a controllare il ma­re. Noi siamo pronti a collaborare con il go­verno di Roma e lo stiamo dimostrando. Ma è l’Europa che deve farsi carico di que­sta situazione, avviare quei progetti negli Stati d’origine che promette da anni. E so­prattutto, l’Unione deve rispettare gli impe­gni presi nei mesi scorsi: quando abbiamo condotto la mediazione per liberare le infer­miere bulgare, sono stati siglati accordi per l’avvio della sorveglianza radar delle nostre frontiere meridionali. Non ne abbiamo sa­puto più nulla».

Alla durissima presa di posizione del Va­ticano, il rappresentante del governo libi­co risponde con altrettanta fermezza: «Quando abbiamo allentato i controlli sia­mo stati accusati di mandare la gente a mo­rire. Ora che abbiamo deciso di potenziarli ci accusano di violare i diritti umani. Noi siamo aperti a tutti i tipi di cooperazione, se volete possiamo portare a piazza San Pie­tro tutti gli stranieri che le vostre navi han­no portato qui. Bisogna capire che la Libia da sola non ce la fa, queste persone scappa­no dalla fame, non dalla guerra. La coscien­za dell’Europa deve svegliarsi perché noi proveremo a fermare chi affronta il mare per avere una vita migliore, però saremo costretti a fermarci se continueremo ad es­sere il luogo di transito di tutta l’Africa. E saremo costretti a sospendere i controlli delle frontiere verso l’esterno qualora ci rendessimo conto che il peso migratorio sta diventando troppo pesante».


10 maggio 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli immigrati ingannati si tuffano in mare dopo appena ...
Inserito da: Admin - Maggio 11, 2009, 09:30:10 am
Il reportage -

Gli immigrati ingannati si tuffano in mare dopo appena 100 miglia

Il nuovo trucco degli scafisti: la base Eni spacciata per l’Italia

DAL NOSTRO INVIATO


TRIPOLI — La nave della Ma­rina Militare italiana entra nel porto di Tripoli poco prima delle 10 e viene fatta ancorare in un’area riservata. A bordo ha il suo carico di persone re­cuperate in mezzo al mare nel­la notte e respinte per ordine del governo di Roma. Sono ghanesi, bengalesi, tunisini, marocchini, ma la maggior parte è nigeriana. Ci sono 40 donne, due sono incinte, oltre a due bambini piccolissimi. Hanno tutti sfidato la sorte e sono stati beffati.

Quando scendono dalla sca­letta appaiono smarriti, qual­cuno si sente male. Molti sono disidratati, sfiniti dalle ore tra­scorse in balia delle onde in at­tesa che fossero effettuati i tra­sbordi per riportarli indietro. Insieme ai poliziotti locali ci sono gli ufficiali di collega­mento italiani. Le autorità libi­che hanno consentito anche al rappresentante dell’Iom, l’Or­ganizzazione internazionale per i migranti, di assistere allo sbarco e di verificare le loro condizioni. I pullmini aspetta­no di trasferirli a Twescha e ne­gli altri centri di accoglienza dove sono già stati portati i 227 stranieri recuperati la not­te di mercoledì. Il viaggio è fi­nito, infranta è la speranza di raggiungere l’Europa. Li bloc­cano nelle acque internaziona­li, ma pure nel deserto. Da quando è scattato l’accordo con l’Italia, le squadre di agen­ti e dei servizi segreti effettua­no pattugliamenti nella zona di Bengasi e sulla strada che da Sirte porta verso la costa per fermare chi entra illegal­mente nel Paese. Raccontano di averne presi almeno 2.000 in tre settimane. Spiegano che anche gli scafisti adesso si stanno riorganizzando.

Il generale Hammad Issa è il capo delle unità investigative della polizia libica. Sul tavolo del suo ufficio ha impilato gli ultimi rapporti che raccontano le operazioni di rastrellamento per individuare i trafficanti e le loro «basi». Ha evidenziato le informazioni che possono aiutare a prevenire le loro pros­sime mosse. Ed è lui a traccia­re «la rotta alternativa» che le organizzazioni criminali stan­no tentando di aprire per aggi­rare i controlli. Partenza da Al Zwara o dalle altre località più a ridosso dell’Egitto, con desti­nazione Creta. Se questo accor­do per i pattugliamenti con­giunti continuerà a essere at­tuato, «i criminali dovranno puntare verso Est, potrebbero arrivare fino in Turchia».

Ci sono migliaia di stranieri che sono stati ammassati ad Al Zwara e nelle altre spiagge vici­ne, in attesa di partire. Hanno attraversato il deserto quando la temperatura non era ancora alta e adesso che si superano i 30 gradi, aspettano il proprio turno. Gli scafisti cercano di ca­ricarne il più possibile sui bar­coni, ma moltissimi sono stati ingannati. Chi paga per salpare e raggiungere l’Europa sa che il patto lo obbliga a percorrere a nuoto l’ultimo tratto di mare. Ed è questo che consente l’in­ganno: c’è chi viene scaricato dopo aver percorso appena cento miglia, in prossimità del­la piattaforma dell’Eni che in mare libico estrae il petrolio e dalla quale partono spesso i ri­morchiatori per dare soccorso alle barche in difficoltà. Quan­do le luci sono appena visibili chi è al timone grida «Italia, ar­rivati » e ordina di tuffarsi. Ne muoiono moltissimi, travolti dalle onde, stremati dalla fati­ca. Tanti altri affondano insie­me ai mezzi di fortuna dove i trafficanti li hanno stipati. Ieri mattina al porto di Tripoli il rappresentante dell’Iom ha os­servato quelle decine di perso­ne mentre, con lo sguardo per­so, tentavano di capire quale fosse la loro sorte. «Nessuno ha chiesto asilo — puntualizza Lawrence Hart, che dell’Iom è il responsabile per la Libia — ma noi entreremo nei centri per verificare che i nuclei fami­liari non siano stati divisi e per assicurarci che vengano tratta­ti bene». Non è a lui che si de­ve rivolgere chi vuole avviare la pratica per chiedere protezio­ne «ma noi abbiamo l’impe­gno di coordinare la parte uma­nitaria », chiarisce per scaccia­re il sospetto che la sua orga­nizzazione — che qui oltre al­l’Ue rappresenta Italia, Gran Bretagna e Usa — possa copri­re eventuali violazioni dei dirit­ti umani. Dopo l’arrivo il suo delegato ha potuto scambiare qualche parola con gli stranie­ri. «La maggior parte ha rac­contato di essere partita da Al Zwara — dice Hurt — altri non hanno voluto rivelare nul­la. Sono spaventati, c’è chi pen­sa già di riprovarci». In serata arriva la segnalazione che in acque internazionali c’è un al­tro mezzo. Forse è una barca, più probabilmente un gommo­ne. A bordo ci sarebbero una quarantina di stranieri. Mi­granti senza ormai speranza di approdare nella terra promes­sa, l’Italia.

Fiorenza Sarzanini
11 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: SARZANINI. Topolanek nudo nel giardino della Villa e nei viali bionde e brune..
Inserito da: Admin - Maggio 31, 2009, 11:00:26 am
E Zappadu spiegò: «Tra le immagini qualcuno ha riconosciuto Noemi»

Topolanek nudo nel giardino della Villa e nei viali bionde e brune mozzafiato

Berlusconi ha potuto visionare settanta scatti, in uno lui è nel patio accanto a una giovane con un «miniabito» nero
 

ROMA - Berlusconi ha potuto visionare settanta foto scattate durante le feste organizzate a Villa Certosa. Ed è stato dopo averle esaminate che ha deciso di provare a bloccarne la pubblicazione rivolgendosi al Garante della Privacy con un ricorso d’urgenza. Erano soltanto un campione delle 700 immagini del reporter Antonello Zappadu, ma tanto è bastato per intuire i possibili effetti di un'eventuale loro divulgazione. Anche perché, come ammette lo stesso avvocato del premier Niccolò Ghedini, «almeno una ritrae l'ex primo ministro della repubblica ceca Mirek Topolanek nudo in giardino durante la vacanza trascorsa in Sardegna a casa del presidente nel maggio 2008. C'erano anche i suoi bambini, ma non si può mai sapere che cosa esce sui giornali».

L'ex premier ceco non è l'unico ad essere stato ripreso senza veli. Nelle foto circolate finora ci sono pure ragazze in topless o in atteggiamenti discinti ed è difficile prevedere che cosa potrebbe accadere se finissero su qualche quotidiano o rotocalco. Di qui la scelta di muoversi sul doppio binario — Authority e procura di Roma — con un obiettivo preciso: impedire che qualcuno possa utilizzare gli scatti. Il provvedimento di sequestro trasforma infatti il materiale in «corpo di reato» e dunque chi lo usa può essere denunciato per ricettazione. Una misura che si applica in Italia, ma non all'estero dove sarebbero già state avviate trattative per la vendita del servizio. Immagini divenute preziose perché riguardano anche la festa di Capodanno e le vacanze natalizie offerte dal premier a numerose ragazze e in particolare a Noemi Letizia.

In realtà nell'archivio del fotografo di Olbia — diventato famoso due anni fa per aver «beccato» Berlusconi sempre a Villa Certosa in compagnia di cinque ragazze tra le quali spiccava Angela Sozio, la «rossa» del Grande Fratello — sono documentate moltissime occasioni mondane organizzate dal premier. Prova ne sia che il primo contatto per cedere foto al settimanale Panorama risale al dicembre scorso, quando il caso politico non era ancora esploso e soprattutto non si era a conoscenza della frequentazione di Berlusconi con la ragazza di Portici. Quali sono dunque le immagini che Zappadu offriva al settimanale di proprietà della famiglia del premier? Il direttore Maurizio Belpietro sostiene che riguardavano proprio la visita di Topolanek. «Io non le ho viste — chiarisce — anche perché non ero interessato, ma so che erano proprio quelle. Il giornalista Giacomo Amadori fu contattato da questo fotografo che conosce da tempo e mi ha informato, ma non se n'è fatto nulla. Non ho mai pagato questo tipo di servizi e in ogni caso non c'era niente che valesse la pena. Comunque, non avevo certo a disposizione un milione e mezzo di euro». In realtà dalla visita della delegazione ceca erano trascorsi sette mesi, altre scene erano state immortalate. Soprattutto durante l'estate. In una foto ripresa da lontano, ma che lascia intravedere perfettamente le figure, Berlusconi è nel patio di una delle residenza abitualmente riservate agli ospiti. Accanto ha una splendida ragazza bionda. Poco dietro si stagliano le figure di altre due bellezze mozzafiato. Una indossa un miniabito nero, l'amica ha anche lei un vestito nero. Sullo sfondo si intravede un uomo, ma non è possibile riconoscere il volto. Il premier guarda lontano e sorride.

 E poi ci sono le immagini delle ragazze immortalate sotto la doccia. Una sequenza ne mostra due, bellissime, entrambe in topless che si rinfrescano sotto il getto dell'acqua. I corpi sono così vicini che sembra quasi si sovrappongano. È possibile che tra le decine di ospiti di Villa Certosa ci fosse qualcuno particolarmente interessante e proprio questo abbia spinto il fotografo ad offrire il servizio a Panorama. Certo è che, dopo il rifiuto incassato a dicembre, Zappadu ha avuto un nuovo contatto con Amadori. E questa volta ha potuto offrire un piatto davvero gustoso. Lui stesso ha raccontato che tra le bellezze ospiti per le vacanze di Natale ha potuto riprendere «una giovane che la dottoressa Mosca ha riconosciuto come Noemi e altre che a me sembravano minorenni». Tra le settanta foto offerte come test per l'eventuale acquisto, una ritrae una giovane bionda che passeggia nel parco mentre parla al telefonino e a poco distanza si nota un uomo che indossa un giaccone di tipo mimetico. Lei ha un cappotto rosso, i jeans e gli stivali. Sembra trattarsi di un periodo invernale. «La mail con la bozza di contratto — spiega Ghedini — è arrivata il 26 maggio. Allegate c'erano le 70 immagini, divise in due gruppi: quelle di Capodanno e quelle di maggio. Lo stesso Zappadu ha detto che in questa situazione anche quelle di Topolanek erano tornate attuali. Non mi sembra ci fossero immagini di Noemi e in ogni caso i volti erano oscurati. Il prezzo indicato è un milione e mezzo di euro». I collaboratori del fotografo negano che fosse la reale richiesta. «E in ogni caso — ribadiscono — questa volta sono stati loro a cercare Antonello. Amadori ha chiamato e ha chiesto di visionare il materiale. Si sono ricordati di quanto era accaduto a dicembre e hanno voluto sapere che cosa avevamo. Ora hanno chiesto il sequestro, ma noi non abbiamo foto scattate all'interno di Villa Certosa e dunque in giro potrebbero esserci scatti fatti da altri».

Fiorenza Sarzanini

31 maggio 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli «scatti» delle feste in Sardegna
Inserito da: Admin - Giugno 02, 2009, 04:33:17 pm
Tra gli ospiti nelle foto Mariano Apicella, una ballerina di flamenco e Topolanek

Gli «scatti» delle feste in Sardegna

Le sequenze delle giovani arrivate anche con aerei di Stato e scortate dai bodyguard del premier


ROMA - La bella ragazza bruna fa capolino sulla scalet­ta, si guarda intorno, poi scende e si dirige verso il cor­teo presidenziale. Non c’era soltanto il fedele Mariano Api­cella a bordo dell’aereo di Sta­to atterrato a Olbia il 24 mag­gio del 2008 per portare in Sardegna Silvio Berlusconi e i suoi ospiti «privati». Dal por­tellone posto accanto alla scritta «Repubblica Italiana» esce anche un altro signore che raggiunge il cantante na­poletano e lo aiuta a caricare i bagagli sull’auto. Dopo sbuca lei, indicata come una balleri­na di flamenco chiamata ad allietare le serate di festa. Il premier è ritratto mentre la­scia il velivolo dell’Aeronauti­ca militare e quando si ferma a salutare il comitato di acco­glienza sulla pista.

In macchinetta con i body guard
Eccola la sequenza fotogra­fica al centro delle indagini avviate dalla magistratura di Roma sui voli di Stato. Il re­porter sardo Antonello Zappa­du, 51 anni, l’ha consegnata insieme alle altre centinaia di foto scattate fuori e dentro Villa Certosa durante l’ultimo anno. Immagini che mostra­no le feste e le vacanze sem­pre caratterizzate dalla pre­senza di meravigliose ragaz­ze. In piscina in pieno agosto, nel parco durante il mese di ottobre e poi ancora a dicem­bre quando anche Noemi Leti­zia fu invitata con l’amica Ro­berta a trascorrere il Capodan­no nella splendida dimora. Passeggiano nei viali le si­gnorine, ma spesso è lo stes­so Berlusconi a portarle in gi­ro per far ammirare loro gli angoli più suggestivi della sua residenza. In molte foto si vede il presidente guidare le macchinette elettriche con almeno tre o quattro ragazze. E quando lui non c’è, sono gli agenti della scorta a incaricar­si di trasportare le belle ospiti a bordo delle minicar. Talvol­ta addirittura con la mimeti­ca addosso. Compiti non strettamente istituzionali che potrebbero convincere la ma­gistratura a verificare se sia­no consoni a funzionari dello Stato. La scorta del premier è infatti affidata a specialisti che provengono dall’Arma dei carabinieri, dalla polizia e dalla Guardia di Finanza, ma durante il precedente gover­no guidato da Berlusconi so­no tutti passati alle dipenden­ze del Cesis e adesso dal Dis, la struttura di coordinamen­to dei servizi segreti.

La trattativa fino al blocco
Il sequestro disposto dalla magistratura impedisce la pubblicazione degli scatti in­terni alla Villa. Proprio quello che l’avvocato Niccolò Ghedi­ni voleva ottenere quando ha consigliato a Berlusconi di presentare un ricorso d’ur­genza al Garante della Pri­vacy e un esposto alla Procu­ra di Roma. Il provvedimento disposto dal pubblico mini­stero trasforma infatti il mate­riale in «corpo di reato» e dunque per chi lo utilizza può scattare l’accusa di ricet­tazione. Una misura che però sarà difficile, se non impossi­bile, far applicare all’estero. Già agli inizi del dicembre scorso Zappadu aveva offerto a giornalista di Panorama, Giacomo Amadori una serie di servizi sul premier, ma poi non se n’era fatto nulla. Ne parlano di nuovo a metà mag­gio, mentre il fotografo ha già messo in piedi trattative con quotidiani e periodici stranieri. Il 26 maggio il croni­sta lo invita a spedirgli un campione da far visionare al suo direttore. Il pomeriggio gli scatti vengono consegnati a Berlusconi che dopo averli visionati insieme al legale, de­cide di bloccarli.

Nell’idromassaggio accanto alle statue
La sequenza del maggio 2008 che mostra l’allora pri­mo ministro ceco Mirek To­polanek nudo a bordo pisci­na con una donna bionda che potrebbe essere la sua nuova fidanzata e un’altra ospite, rischia di creare imba­razzo sulla scena internazio­nale, anche perché nelle im­magini non compaiono affat­to i bambini dei quali aveva parlato Ghedini. Sconvenien­ti devono essere apparse an­che le foto delle molte ragaz­ze in bikini o in topless che prendono il sole accanto a statue di bronzo raffiguranti donne nude. Oppure quelle che ne ritraggono altre men­tre si scambiano effusioni sotto la doccia. Quando sono accanto al presidente del Con­siglio — che indossa sempre pantaloni e maglione blu — sono tutte vestite. Una caute­la che invece non sembrano avere se in giro ci sono le guardie del corpo. Tutt’altro abbigliamento sfoggiano a ottobre, quando vengono immortalate fuori e dentro le dependance per gli ospiti. C’è chi sta in pigiama, chi in tuta, chi in baby doll. Gli scatti sono quelli che mag­giormente hanno adirato il premier perché riprendono le giovani mentre sono nella stanza, sia pur attaccate alla vetrata che affaccia sul giardi­no o sulla soglia. E poi ci so­no le fotografie delle vacanze natalizie, la settimana che an­che Noemi Letizia trascorse a Villa Certosa insieme all’ami­ca Roberta. Le immagini sono prese da una ampia distanza, il teleo­biettivo segue gli spostamen­ti di una bellissima bionda che indossa i jeans in un paio di stivali neri dai tacchi alti e un cappottino rosso. Qualcu­no ha creduto di riconoscere proprio Noemi, ma appare difficile riuscire a individuare la ragazzina di Portici in mez­zo alle altre bellezze fotografa­te in villa. Ci sono diverse bionde, tutte alte e slanciate. Ma anche qualche affascinan­te bruna, una con i riccioli e il basco che spicca tra le altre. Nel dischetto che Zappadu ha consegnato ai carabinieri quando ha saputo di essere stato denunciato per violazio­ne della privacy e truffa le da­te registrate automaticamen­te dalle macchine sono quelle del 29 e del 30 dicembre, ma potrebbero contenere pure immagini che si riferiscono ad altre giornate trascorse in Sardegna dalle giovani.

La trasferta del Bagaglino
L’interesse di Zappadu per il presidente del Consiglio sembra avere radici antiche e infatti fu sempre lui a ripren­derlo mentre era a Villa Cero­sa con cinque ragazze tra le quali spiccava Angela Sozio, la 'rossa' del Grande Fratel­lo. Ma ha scattato foto a raffi­ca anche quando era capo del­l’opposizione e per i voli uti­lizzava i suoi aerei privati. C’è una lunghissima sequen­za che riprende l’arrivo degli attori del Bagaglino a Olbia a bordo del suo velivolo. Dalla scaletta scendono le balleri­ne e gli imitatori, si nota an­che il regista Pier Francesco Pingitore. Ad attenderli ci so­no pulmini blu o grigio me­tallizzato che poi li accompa­gneranno nella residenza di Porto Rotondo. In un’altra occasione Silvio Berlusconi è ripreso di notte mentre arriva e si ferma a par­lare con alcuni carabinieri. Poi li saluta e si avvia verso la scaletta del velivolo che pos­siede. A segnare la pista ci so­no le luci lungo il percorso. Anche l’interno dell’aereo è il­luminato. Una dopo l’altra sal­gono a bordo alcune ragazze fotografate poco prima men­tre scendevano da una delle auto del corteo. Momenti pubblici e priva­ti. C’è Berlusconi che mostra a tre signori e due donne una delle dependance e poi nel tour della residenza a bor­do delle minicar. C’è ancora lui che, attorniato da cinque ragazze, passeggia tra i ce­spugli e sembra invitare le sue ospiti a visitare il resto del giardino. E poi mentre sembra sul punto di la­sciare la Sar­degna con un gruppo di ospiti che lo attende all’ae­roporto per partire insieme al termine di un incontro ufficiale.

Il cordone di sicurezza
Le immagini sequestrate a Zappadu mostrano quanto ac­cade all’interno di Villa Certo­sa, ma mettono in evidenza anche le falle all’interno del si­stema di sicurezza che do­vrebbe proteggere il presiden­te del Consiglio da ogni tipo di intrusione. E invece con i suoi teleobbiettivi, il reporter è riuscito a fotografare nume­rosi punti della immensa te­nuta riuscendo a cogliere i particolari e soprattutto ad in­quadrare perfettamente volti e figure di chi si trovava oltre il muro di cinta. Fa effetto vedere le guar­die in tuta mimetica e poten­ti fucili al collo, ripresi men­tre sono in cima ai muri che circondano la splendida vil­la, lì dove fanno i turni di ve­detta. O addirittura immorta­lati mentre girano con poten­ti motociclette da enduro nei viali interni. Un’altra foto fis­sa l’arrivo dele auto dei cara­binieri che varcano il cancel­lo e poi procedono sulla stra­da principale. E poi ci sono quelle dove si vedono i body guard che vanno avanti e in­dietro, sempre armati, oppu­re fanno la spola tra il patio delle case per gli ospiti e gli esterni. Si nota la grande di­scoteca, c’è l’anfiteatro, ci so­no le rocce che servono a di­videre le varie zone del par­co. Ed è lì che alcune giovani bellezze hanno scelto di ada­giarsi a prendere il sole, mai immaginando che qualcuno fosse in grado di appostarsi per ore e ore fino a ricostrui­re le loro giornate.



Fiorenza Sarzanini
02 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli 007 davanti al Copasir
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2009, 05:31:55 pm
Il caso: Il generale Piccirillo offre le dimissioni, Letta le respinge

«Villa Certosa come un bunker»

Gli 007 davanti al Copasir


I rappresentanti del Pdl nel Copasir indagano sulla protezione dei servizi segreti al premier
ROMA — La residenza di Silvio Berlusconi in Sardegna «è protetta secondo il massimo livello di sicu­rezza possibile rispetto alla sua lo­calizzazione ». Dopo le polemiche seguite alla pubblicazione delle fo­tografie che documentano le feste e le vacanze organizzate a Villa Cer­tosa, i vertici dei servizi segreti ri­spondono al governo e al Copasir — il comitato di controllo sull’atti­vità degli 007 — e negano l’esisten­za di falle nel dispositivo. Vicenda spinosa che lunedì scorso aveva convinto il generale Giorgio Picci­rillo, direttore dell’Aisi, ad offrire le proprie dimissioni al sottosegre­tario Gianni Letta. Offerta respin­ta, ma la polemica appare tutt’altro che chiusa, anche perché proprio oggi l’organismo parlamentare av­vierà l’istruttoria sui voli di Stato con a bordo gli ospiti del premier, documentati proprio dalle immagi­ni scattate all’aeroporto di Olbia dal reporter Antonello Zappadu.

Erano stati i componenti del Pdl all’interno del Copasir, la scorsa settimana, a chiedere l’avvio di un’indagine per verificare «quale protezione hanno dato e danno al presidente del Consiglio le struttu­re dello Stato a ciò preposte, in pri­mo luogo uno dei servizi segreti?». L’iniziativa di Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello e Giuseppe Esposito era stata interpretata, so­prattutto all’interno della coalizio­ne, come una presa di distanza dal­lo stesso Letta, che degli 007 è il re­ferente politico. Lunedì sera è stato proprio lui a convocare a palazzo Chigi il diretto­re del Dis Gianni De Gennaro e quello dell’Aisi, Piccirillo appunto. E quest’ultimo non ha avuto esita­zioni: «Se è la mia testa che voglio­no, sono pronto». Il sottosegreta­rio non l’ha neanche lasciato fini­re: «Avete entrambi la mia comple­ta fiducia», ha risposto. E tanto è bastato per procedere all’analisi della relazione che è stata poi con­segnata al Copasir e sarà discussa oggi.

Nel documento, con allegate le cartine che illustrano la planime­tria della villa di Berlusconi a Porto Rotondo, si specifica che la residen­za del premier «confina con abita­zioni private, un albergo e una club house, preesistenti rispetto al­l’acquisto » e che queste circostan­ze «non consentono una copertura totale rispetto ad eventuali interfe­renze che avvengono all’esterno». Una situazione che, si sottolinea, è comunque molto più sicura rispet­to «all’esposizione dell’Autorità in luoghi pubblici o durante eventi al­l’aperto ». Fino all’agosto del 2008 la protezione del presidente del Consiglio era affidata al Dis, ma è stata poi trasferita sotto la respon­sabilità di una divisione dell’Aisi che gestisce il servizio di scorta. Si tratta di circa 120 uomini prove­nienti dall’Arma dei carabinieri e dalla polizia, passati però alle di­pendenze del Servizio. Un decreto firmato il 29 aprile scorso, ma di fatto già applicato sin da dicem­bre, affida invece al Viminale e dun­que alle forze dell’ordine, la respon­sabilità della vigilanza all’esterno dei luoghi che ospitano il premier: da Villa Certosa a palazzo Grazioli, fino ad Arcore e alle altre residenze a sua disposizione.

Oggi al Copasir sarà ascoltato il direttore del’Aise, l’ammiraglio Bruno Branciforte, che dovrà forni­re la movimentazione dei voli Cai — quelli appunto che fanno capo ai servizi segreti — e il loro utilizzo da parte della presidenza del Consi­glio e di altre Istituzioni.

Fiorenza Sarzanini
11 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I misteri, i sospetti e le intercettazioni dell'inchiesta...
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2009, 12:40:24 pm
IL NUOVO FILONE

I misteri, i sospetti e le intercettazioni dell'inchiesta di Bari

Un imprenditore pugliese al telefono parla di feste con le ragazze dal premier


Appalti nel settore della sanità concessi in cambio di mazzette. Sarebbe questa l’inchiesta che agita e rafforza l’idea del «complotto» nell’entourage del presidente del Consiglio. Nel corso dell’indagine sarebbero state infatti intercettate conversazioni che riguardano alcune feste organizzate a palazzo Grazioli e a Villa Certosa. E i personaggi coinvolti avrebbero fatto cenno al versamento di soldi alle ragazze invitate a partecipare a queste occasioni mondane. Gli accertamenti su questo fronte sono appena all’inizio, ma le voci corrono velocemente.

Dunque non si esclude che possa essere proprio questa la «scossa al gover­no» della quale ha parlato domenica scorsa Massimo D’Alema per invitare l’op­posizione «a tenersi pron­ta». Del resto due giorni fa era stato lo stesso ministro per i Rapporti con le Regio­ni, Raffaele Fitto, pugliese doc, a chiedere con una di­chiarazione pubblica a qua­li informazioni avesse avu­to accesso D’Alema, paven­tando così il sospetto che si riferisse proprio ad un’in­dagine condotta a Bari. Gli accertamenti sono stati avviati qualche mese fa e riguardano l’attività di un’azienda, la Tecnohospi­tal che si occupa - come è ben evidenziato anche nel suo sito internet - di «tec­nologie ospedaliere». A gui­darla sono due fratelli, Giampaolo e Claudio Taran­tini, che qui in città sono molto conosciuti. Impren­ditori che nel giro di pochi anni hanno fatto crescere la propria azienda fino ad ottenere numerose com­messe.

Ed è proprio su que­sto che gli ufficiali della Guardia di Finanza hanno cominciato a svolgere veri­fiche. L’obiettivo è quello di stabilire se la ditta sia sta­ta favorita negli appalti, da qui l’ipotesi investigativa di corruzione. Giampaolo è noto anche a Porto Rotondo, dove tra­scorre le estati in una splen­dida dimora che si trova non troppo distante da Vil­la Certosa. Con Silvio Berlu­sconi avrebbe avuto rap­porti nel corso degli anni. E sarebbe proprio lui ad avere parlato, durante alcu­ni colloqui telefonici, delle feste alle quali era stato in­vitato dal premier. In particolare sarebbero stati captati diversi contat­ti con ragazze che veniva­no invitate a recarsi nelle residenze di Berlusconi per partecipare a questi eventi.

A suscitare l’interesse dei magistrati è stato il riferi­mento al versamento di sol­di alle donne che accettava­no di partecipare. Bisogna infatti verificare se si tratti di una millanteria o se inve­ce possano esserci stati epi­sodi di induzione alla pro­stituzione. Gli accertamen­ti su questo aspetto dell’in­chiesta sono appena all’ini­zio. Si parla di alcune ragaz­ze che sarebbero state con­vocate in Procura come per­sone informate sui fatti, ma nulla si sa sull’esito di questi interrogatori. Si tratta comunque di una inchiesta destinata a far rumore e infatti dopo la sortita di Massimo D’Ale­ma si sono rincorse voci e indiscrezioni sulla possibi­lità che l’indagine potesse avere sviluppi immediati. Un’inchiesta che però ali­menta i sospetti denunciati dal Cavaliere in questi gior­ni di tentativi giudiziari di indebolirlo.



Fiorenza Sarzanini
17 giugno 2009

  da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il pm ha interrogato altre tre ragazze
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2009, 10:09:45 am
Il nuovo filone

Il pm ha interrogato altre tre ragazze

La D’Addario ha consegnato i nastri e il video degli incontri con il premier
 

Ci sono almeno tre ragazze che hanno confermato di aver preso soldi per partecipare alle feste a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa. Due sono state interrogate dal pubblico ministero a Bari, l’altra a Roma. Hanno raccontato i dettagli, tanto che una di loro ha chiesto e ottenuto il permesso di poter andare all’estero «per un po’» sostenendo di «temere per la mia sicurezza». Anche Patrizia D’Addario è stata ascoltata per oltre cinque ore dal magistrato Pino Scelsi.
La candidata alle elezioni comunali con la lista «La Pu­glia prima di tutto», che ha rivelato le due serate che avrebbe trascorso con il pre­mier nella residenza capitoli­na, ha poi depositato le regi­strazioni audio dei suoi in­contri e un video dove lei stessa si sarebbe ripresa con un telefonino. «L’ho fatto— ha fatto mettere a verbale— perché così nessuno potrà smentire che sono stata lì».

Tarantini e le squillo
A gestire le ragazze sareb­be stato Giampaolo Taranti­ni, l’imprenditore pugliese di 35 anni titolare insieme al fratello Claudio, 40 anni, di un’azienda — la Tecnohospi­tal — che si occupa di tecno­logie ospedaliere. Per questo è stato iscritto nel registro degli indagati per induzione alla prostituzione e la scorsa settimana è stato interroga­to alla presenza di un avvoca­to. Sono gli stessi vertici del­la Procura di Bari a confer­mare che «è in corso un’in­dagine su questo reato in luoghi esclusivi di Roma e della Sardegna», nata da al­cune conversazioni telefoni­che durante le quali lo stes­so Tarantini avrebbe trattato con le ragazze le trasferte e i compensi.
Non sapeva l’imprendito­re di essere finito sotto in­chiesta per associazione a de­linquere finalizzata alla cor­ruzione. Secondo l’ipotesi della Guardia di Finanza la sua azienda avrebbe versato laute mazzette per ottenere appalti nel settore sanitario. Un filone di questi accerta­menti ha coinvolto tre mesi fa anche l’allora assessore re­gionale alla Sanità Alberto Tedesco, che per questo si è dimesso dall’incarico. Parla­va al telefono con le ragazze Tarantini, ma anche con le persone dell’entourage del premier. E quando ha af­frontato l’argomento soldi, sono scattate le verifiche.

Il patto con Patrizia
È proprio Tarantini il me­diatore che avrebbe portato Patrizia D’Addario alle due feste con Berlusconi. Le era stato presentato da un ami­co comune che si chiama Max e le disse di chiamarsi Giampi. Di fronte al pubbli­co ministero la donna ha confermato che «per la pri­ma serata l’accordo prevede­va un versamento di 2.000 euro, ma ne ho presi soltan­to 1.000 perché non avevo accettato di rimanere. La se­conda volta — era la notte dell’elezione di Barack Oba­ma — sono rimasta e dun­que ho lasciato palazzo Gra­zioli la mattina successiva. Quando sono arrivata in al­bergo la mia amica che ave­va partecipato con me alla se­rata mi ha chiesto se avevo ricevuto la busta, ma io le ho risposto che non avevo rice­vuto nulla. Il mio obiettivo era ricevere un aiuto per por­tare avanti un progetto im­mobiliare e Berlusconi mi aveva assicurato che lo avrebbe fatto. Giampaolo mi disse che se lui aveva fatto una promessa, l’avrebbe ri­spettata ». Il racconto della D’Adda­rio sulle modalità degli in­contri coincide con quello verbalizzato dalle altre tre ra­gazze. Tutte avrebbero speci­ficato di essere state «contat­tate da Giampaolo che ci chiedeva se eravamo dispo­nibili a partire. Talvolta acca­deva poche ore prima e in quel caso i biglietti aerei era­no prepagati». Le verifiche della procura riguardano adesso gli spostamenti suc­cessivi. Le testimoni avreb­bero infatti riferito che le modalità concordate preve­devano che, una volta giun­te a Roma, loro arrivassero in taxi fino all’albergo indica­to e da lì dovevano attende­re l’autista di Giampaolo che le prelevava e le portava a pa­lazzo Grazioli. «Poco prima dell’arrivo — ha sottolinea­to Patrizia —, ci facevano ti­rare su i finestrini che erano sempre oscurati. Quando ar­rivavamo negli hotel ci veni­va detto come dovevamo ve­stirci: abiti eleganti e poco trucco».

Registrazioni e video
La candidata alle comuna­li ha depositato nella segrete­ria del pubblico ministero cinque o sei cassette audio e un video che la ritrae davan­ti a uno specchio e poi mo­stra una camera da letto. In un fotogramma c’è una cor­nice con una foto di Veroni­ca Lario. Il magistrato dovrà adesso verificare l’attendibi­lità di questo materiale con una perizia che accerti se la voce incisa sul nastro è dav­vero quella del premier e se gli ambienti sono effettiva­mente interni a Palazzo Gra­zioli.
La decisione di convocare le ragazze in Procura è stata presa dopo aver ascoltato le intercettazioni telefoniche di Tarantini. Dopo aver ver­balizzato la loro versione, so­no stati programmati nuovi interrogatori per le prossi­me settimane. Nella lista del pubblico ministero ci sareb­bero diversi nomi: altre gio­vani che sarebbero state con­tattate dall’imprenditore e persone che potrebbero aver avuto un ruolo in questa vi­cenda. L’elenco comprende i collaboratori dello stesso Ta­rantini, ma anche i politici che avrebbero deciso di met­tere la D’Addario in lista per le comunali. Lei ha specifica­to che non le fu mai propo­sto di andare a Villa Certosa, in Sardegna, «però Giampao­lo mi disse che c’era la possi­bilità di andare in vacanza al­l’estero, mi pare alle Bermu­da ». Altre si sarebbero inve­ce accordate per partecipare a feste nella residenza presi­denziale di Porto Rotondo.


Fiorenza Sarzanini
18 giugno 2009

  da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI.Interrogata la seconda ragazza «Anch’io pagata per andare...
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2009, 07:08:41 pm
Bari, interrogata la seconda ragazza «Anch’io pagata per andare alle feste»

L’amica di Patrizia: non mi sono fermata a Palazzo Grazioli, lei sì

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


BARI — Il racconto di Patri­zia D’Addario trova una nuova conferma. Arriva dall’altra ra­gazza che Gianpaolo Tarantini avrebbe ingaggiato per trascor­rere le due serate nella residen­za romana di Silvio Berlusconi. La prima si sarebbe svolta a me­tà ottobre. La seconda il 4 no­vembre, giorno dell’elezione di Barack Obama. Durante l’inter­rogatorio che si è svolto in una caserma della Guardia di Finan­za, la giovane ha ammesso i viaggi a Roma, i trasferimenti, le soste negli alberghi. E pure lei ha detto di essere stata paga­ta.

Il racconto di Barbara M.
Barbara M. (omettiamo il co­gnome perché si tratta di una testimone e il suo verbale è sta­to segretato per ordine del pub­blico ministero), ha 23 anni. Gli investigatori l’hanno prele­vata ieri mattina alle 8 nella sua abitazione. Tre ore di do­mande per ricostruire i dettagli dei due incontri avuti con il premier. Le sue dichiarazioni coincidono con quelle della donna che era stata candidata alle elezioni comunali con la li­sta «La Puglia prima di tutto» schierata con il Pdl, e invece ha deciso di rivelare i suoi incon­tri con il presidente del Consi­glio. Nuova verifiche dovranno adesso essere compiute per ot­tenere i riscontri. I primi accertamenti avreb­bero consentito di verificare che Patrizia D’Addario è effetti­vamente salita sui voli che ave­va indicato ed ha alloggiato in­sieme all’amica negli alberghi di Roma che erano stati indica­ti loro proprio da Tarantini. La stanza non sarebbe stata regi­strata a loro nome, ma entram­be hanno consegnato i docu­menti alla reception. In partico­lare, il 4 novembre, furono ac­colte all’hotel Valadier e da lì sa­rebbero state poi portate a Pa­lazzo Grazioli. È questa la circo­stanza più difficile da ricostrui­re perché riguarda la dimora privata del presidente del Con­siglio. Durante l’interrogatorio Bar­bara ha chiarito di essere anda­ta via al termine della serata e di aver lasciato Patrizia nella re­sidenza del premier. Ha indica­to le modalità, ha ricordato i particolari dei due eventi, an­che il nome dell’autista e il tipo di automobile utilizzata. Su que­sti particolari si stanno concen­trando adesso gli accertamenti dei finanzieri, per escludere che le due possano essersi mes­se d’accordo. Barbara dice di es­sere spaventata, quasi grida quando afferma che «questa storia mi demolisce perché ho solo 23 anni, non posso permet­termi di portare addosso un’eti­chetta così». Non vuole rilevare l’entità del compenso, però afferma: «Certo che ho preso soldi. Io non faccio per piacere di anda­re alle feste di non so chi. Io per piacere vado alle feste dei miei amici, di mia cugina, di mio fra­tello. Da una vita faccio questo lavoro di ragazza-immagine. Ho fatto Miss Italia, Miss Mon­do, Uomini e Donne, faccio im­magine e animazione per lavo­ro. Se tu mi chiami sapendo chi sono, se mi inviti ovvio che mi paghi, perché io sto prestando un lavoro di immagine».

«Botte dal mio ex»
Subito dopo si scaglia contro Patrizia: «L’altra sera sono tor­nata a casa e ho preso botte dal mio ex fidanzato. L’ho trovato sotto casa con un giornale che parlava di Patrizia e lui sa che lei è una mia amica. A me infat­ti non mi interessa quello che tu fai per vivere, puoi essere professore o escort, per me è uguale. Io guardo la parte uma­na. Noi eravamo proprio ami­che, lei mi raccontava della sua vita, io della mia. E invece ades­so torno a casa e prendo botte, mi ha quasi rotto la mandibola. Lui lo fa per gelosia, non è un estraneo. Mi ha detto: 'Allora quando sei andata a Roma hai fatto le stesse cose pure tu'. E invece no. Però vaglielo a spie­gare che io non sono Patrizia ma Barbara e lavoro come ra­gazza immagine. Lui ha dato tutto per scontato. Ormai lui non ci crede che io non sono ri­masta a dormire. E invece è pro­prio così, io sono andata via e lei è rimasta. Però noi siamo di­verse. Lei ha 42 anni ed era al­l’ultima spiaggia, per me la sto­ria è diversa». Nega di aver no­minato un legale: «Non ne ho bisogno. Quando è arrivata la Finanza ho chiamato l’avvoca­to, ma ora non mi serve».

I rapporti con Tarantini
Durante l’interrogatorio Bar­bara ha parlato anche dei suoi rapporti con Tarantini. Alle ra­gazze gli inquirenti sono infatti arrivati indagando sulla sua at­tività imprenditoriale. Fino al 2008 l’uomo ha gestito con il fratello Claudio una società ba­rese — la Tecno Hospital — specializzata nelle tecnologie ospedaliere. L’ipotesi dell’accu­sa è che abbia versato tangenti per ottenere gli appalti. In cam­bio delle commesse avrebbe da­to soldi, ma — ed è questa la circostanza emersa dall’ascolto delle sue conversazioni telefo­niche — avrebbe offerto anche le prestazioni di squillo di lus­so. Ragazze giovani e belle che si sarebbero vendute per 500 euro a notte. Patrizia ha detto che la pri­ma proposta per andare a Palaz­zo Grazioli prevedeva «un com­penso di 2.000 euro, ma Gianpaolo me ne diede soltan­to 1.000 perché non avevo ac­cettato di rimanere». La secon­da volta «non presi soldi per­ché Berlusconi mi aveva pro­messo che mi avrebbe aiutato a sbloccare la mia pratica edili­zia ». Al magistrato la donna ha consegnato anche alcune regi­strazioni degli incontri e un vi­deo che sostiene di aver girato all’interno del palazzo.

Fiorenza Sarzanini
20 giugno 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. ... l’ipotesi di interrogare le guardie del corpo
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2009, 10:35:32 pm
L'INCHIESTA DI BARI

Intercettate le telefonate con il premier

Le conversazioni di Tarantini.

Nuovi nastri di Patrizia, l’ipotesi di interrogare le guardie del corpo


BARI—Silvio Berlusconi ha parlato più volte al telefono con Gianpaolo Tarantini. La voce del premier è stata intercettata mentre si intrattiene con l’imprenditore accusato di aver portato alle sue feste ragazze a pagamento e per questo indagato per il reato di induzione alla prostituzione. Diversi colloqui che hanno, come confermano alla procura di Bari, «un tenore scherzoso, conviviale». E servono per accordarsi sulle serate, cene e vacanze da trascorrere insieme. Di ben altro tenore sono invece le audiocassette che Patrizia D’Addario ha consegnato ieri alla Guardia di Finanza. Sei nastri incisi dall’ottobre scorso ad oggi che contribuiscono a ricostruire i suoi rapporti con Tarantini e con lo stesso premier. E aggiungono nuovi dettagli al racconto delle due serate trascorse a palazzo Grazioli e della notte passata in compagnia del premier, mentre negli Stati Uniti veniva eletto Barack Obama. Ma non solo: Patrizia ha indicato il nome di una sua amica che ha assistito alla consegna del curriculum a Tarantini, «quando mi disse che mi avrebbero candidato alle elezioni europee».

La donna andava agli appuntamenti con il registratore sempre in borsa. Lo accendeva anche prima di effettuare telefonate ritenute importanti. Come quella del 7 giugno scorso con Barbara Montereale, l’amica che era con lei la seconda volta «e faceva coppia con me per alcuni lavori, per esempio quando siamo andate per un mese a Dubai e siamo state anche con uno sceicco». Quel giorno Patrizia è impaurita perché ha subito un furto e ritiene che si tratti di un avvertimento «perché — ha ribadito ieri — avevo detto a Tarantini che avevo le prove degli incontri con Berlusconi».

Chiama la ragazza e si sfoga.
Poi le parla di quanto accaduto il 4 novembre 2008, le chiede se ricorda «come mi accarezzava, mentre eravamo sul divanetto.
E come accarezzava te e guardava me». Lei conferma: «Lì c’era lo schifo, faceva tutto davanti alle guardie».


Il riferimento agli uomini della sicurezza è esplicito e adesso appare scontata una convocazione davanti ai magistrati proprio per riscontrare questo racconto. Anche perché le tre ospiti — c’era anche una terza donna, Lucia Rossini — hanno scattato diverse fotografie all’interno del bagno e la stessa Patrizia ha immortalato anche la camera da letto. Due settimane fa, quando fu convocata dal magistrato che aveva intercettato le sue conversazioni con Tarantini e voleva chiarimenti sulla natura del loro rapporto, la D’Addario aveva già consegnato la registrazione che documenta alcuni momenti della nottata trascorsa a palazzo Grazioli.
In quell’occasione la donna ammise di essere stata ingaggiata a metà ottobre in cambio di 2.000 euro «ma ne presi soltanto 1.000 perché non era rimasta». E di essere poi stata ricontattata dopo due settimane.

Nelle cassette depositate ieri si sente Gianpaolo che la richiama il 27 gennaio scorso «perché lui ti vuole». Lei chiede: «Ma devo andare a Roma?» e poi rifiuta. Le registrazioni documentano i contatti dell’imprenditore con Patrizia e il suo tentativo, poco dopo la prima trasferta romana nella residenza presidenziale, per farle avere un incontro a pagamento con suo fratello Claudio. La donna si mostra disponibile, ma quando l’uomo la chiama e cerca di fissare l’appuntamento lei risponde di «no». Alcune telefonate registrate da Patrizia erano già conosciute dai magistrati che avevano sotto controllo il telefono dei fratelli Tarantini nell’ambito dell’inchiesta su mazzette che avrebbero pagato per ottenere appalti nel settore delle forniture ospedaliere.

Conversazioni che rivelano quanto ampia e trasversale fosse la rete di Gianpaolo. Assidui vengono definiti i contatti con il vicepresidente della Regione Sandro Frisullo, del Partito Democratico, che avrebbe discusso con l’imprenditore di donne e affari.

Attraverso i loro colloqui gli investigatori della Guardia di Finanza avrebbero ricostruito almeno due appuntamenti in un ristorante del centro e la visita in un appartamento dove si sarebbero svolte feste con ragazze pagate proprio da Tarantini. Nella girandola di contatti sarebbero emersi legami diretti anche tra il politico e Terry De Nicolò, la quarantenne barese trapiantata a Milano che avrebbe a sua volta provveduto a portare ragazze alle feste di Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini
23 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: «Gianpaolo disse: tutti invitati A villa Certosa senza controlli»
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2009, 10:47:14 pm
IL RACCONTO

«Gianpaolo disse: tutti invitati A villa Certosa senza controlli»

Parla Mannarini, l'ex collaboratore del re delle protesi


BARI—«A Villa Certosa siamo entrati senza essere sottoposti ad alcun controllo. Abbiamo superato tre varchi dove c’erano addirittura dei blindati, ma nessuno ci ha perquisito né ha controllato nelle borse delle signore». Alessandro Mannarini, 35 anni, è indagato nell’inchiesta della procura di Bari per detenzione di sostanze stupefacenti. Ex amico e collaboratore di Gianpaolo Tarantini, ha trascorso l’estate del 2008 nella splendida dimora che l’imprenditore barese aveva affittato a Porto Cervo. Ma sulle ragazze portate a casa del premier giura di non sapere nulla. «Perché—spiega—il 6 settembre i nostri rapporti si sono interrotti ». La vita spericolata del «re delle protesi » ha però avuto modo di conoscerla bene: «Sono amico d’infanzia della moglie e con lui mi frequentavo da quando si sono sposati». E adesso ricorda quella festa «poco prima di ferragosto alla quale Gianpaolo fu invitato e decise di portarci». Ma soprattutto conferma quanto i magistrati avevano già evidenziato: gli accessi incontrollati nelle dimore del presidente del Consiglio. «Ho fatto un video e scattato foto con il telefonino », ricorda, confermando così l’eventualità che molte altre persone— soprattutto tra le ragazze invitate per feste e vacanze—possano avere materiale analogo.

I magistrati lo hanno convocato dopo aver ascoltato le telefonate intercettate sul suo telefonino durante quei due mesi trascorsi in Sardegna. Numerose conversazioni durante le quali si fa riferimento alla droga. «Chiarirò tutto — assicura Mannarini—perché quel telefono era a disposizione della casa e dunque è possibile che non fossi io a parlare ». Lo ha detto anche al magistrato, aprendo così la strada ad altri accertamenti che riguardavano il proprietario della villa, Tarantini appunto, e gli altri suoi ospiti. Gli indizi sull’utilizzo della cocaina sono più d’uno. Lo stesso imprenditore in una conversazione promette ad una ragazza una notte di sesso e droga. Mannarini si chiama fuori: «Sono fatti suoi, ognuno risponde di sé, ma io di coca in quella casa non ne ho mai vista, altrimenti avrei buttato tutti fuori ». In realtà le verifiche riguardano i numerosi eventi organizzati nella villa. Feste con centinaia di ospiti alle quali avrebbe partecipato anche un ragazzo di nome Nick, sospettato di essere un pusher della Bari che conta. Come il «white party» che lo stesso Mannarini si premurò di organizzare. «Accuse infondate— giura lui—millanterie. L’obbligo per gli ospiti era soltanto quello di essere vestiti di bianco».

Nessuna imposizione c’era invece per accedere a Villa Certosa: «Un giorno, verso le 18, Gianpaolo ci disse che eravamo tutti invitati da Berlusconi. In casa eravamo una decina,ma poi lui, generoso come al solito, fece aggiungere anche altri». Mannarini non sa se il premier avesse chiamato direttamente «però ricordo che comunicò a qualcuno i nomi degli ospiti che si erano accodati ». Dice di non essersi affatto stupito «perché noi lì frequentavamo anche persone più importanti». Ma «escluderei che il tramite fra i due possa essere stata Sabina Began, io la conosco e non credo sia andata così». «Alla cena—ricorda—eravamo una sessantina di persone, tutte sedute intorno allo stesso tavolo. Io sono capitato proprio di fronte a Berlusconi. Vicino a me c’era una ragazza e subito dopo Gianpaolo». Aveva portato ragazze? «Lo escluderei, perché quella sera c’era sua moglie». E all’ingresso non siete passati neanche sotto i metal detector? «No. Abbiamo lasciato le auto tra il primo e il secondo portone e siccome bisognava fare circa sei chilometri per arrivare su, ci hanno portato con le macchinette elettriche come quelle del golf». Durante il suo interrogatorio Mannarini, assistito dall’avvocato Marco Vignola, ha fornito i dettagli di quella festa e ha aggiunto che «qualche giorno dopo Gianpaolo fu invitato di nuovo a pranzo perché c’era Abramovich». Poi conferma come le domande mirassero a «conoscere i rapporti tra Tarantini e Berlusconi, ma anche quelli con altri politici, volevano sapere con chi facesse affari ». E lei? «Ho detto che il nostro rapporto si era interrotto, ma avevo saputo che continuava a vedere il premier. Me lo raccontò un amico e io risposi "buon per lui"». Soltanto questo? «Il magistrato mi ha chiesto di Sandro Frisullo. Io ho risposto che lo conosco personalmente perché è di Lecce e li ho visti qualche volta passeggiare insieme. Ma che cosa si siano detti io proprio non lo so».

F. Sar.
23 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Corruzione per il nipote di Matarrese
Inserito da: Admin - Luglio 08, 2009, 12:51:02 pm
Le carte

«Regali e festini in cambio di appalti»

I pm spiegano il «sistema Tarantini»

«Gianpi» e la cocaina agli amici.

Corruzione per il nipote di Matarrese


BARI — Ai primari e ai direttori delle Asl che dovevano acquistare i prodotti della sua azienda avrebbe versato mazzette, ma anche costosi regali. Pagava lui i viaggi a Cuba, le vacanze a Riccione e a New York, auto di grossa cilindrata, buoni benzina, cene per decine di ospiti. Si occupava di fare pressioni sui politici per favorirli nelle nomine e negli incarichi. E quando organizzava le feste per gli amici più intimi nella sua villa di Giovinazzo, la cocaina non sarebbe mai mancata. Eccolo il «sistema Tarantini» svelato dalla procura di Bari.Il pubblico ministero Roberto Rossi chiude il primo filone di indagine sulla Tecnohospital e accusa Gianpaolo Tarantini, 35 anni, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione insieme a suo fratello Claudio e a Salvatore Greco, il politico del Pdl soprannominato Tato, nipote di Antonio Matarrese e coordinatore della campagna elettorale di Raffaele Fitto con la lista «La Puglia prima di tutto».

La rete che porta a Patrizia - L'imprenditore accusato di induzione alla prostituzione per aver portato ragazze a pagamento nelle residenze di Silvio Berlusconi deve rispondere anche di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Le carte processuali che riguardano la sua attività dal 2001 al 2006, svelano la rete dei suoi contatti per procurarsi la polvere bianca, gli ordinativi di dosi fatti al telefono, la lista degli ospiti. Tra i nomi citati c'è quello di Massimo Verdoscia. È Max, l'uomo che presentò a Tarantini Patrizia D'Addario, la donna di 42 anni che ha raccontato di aver preso mille euro per partecipare a una serata organizzata a palazzo Grazioli a metà ottobre scorso e di essere tornata quindici giorni dopo per trascorrere la notte con il presidente del Consiglio. Di quell'incontro intimo, avvenuto mentre era in corso l'elezione di Barack Obama, ha conservato le registrazioni che ha poi consegnato alla magistratura. E per dimostrare di esserci stata si è anche ripresa con il telefonino in bagno e nella camera da letto. Anche il nome di Tato Greco è legato a quello di Patrizia: fu proprio lui a candidarla nella lista di Fitto per il comune di Bari. Inizialmente ha negato addirittura di conoscerla, ma è stato smentito da un sms di auguri che le inviò lo scorso Natale, ben prima che la vicenda venisse scoperta dai pubblici ministeri.

Affari e mazzette: il socio occulto - Negli atti depositati ieri Greco viene definito «socio occulto della Global System Hospital», società che fa capo ai fratelli Tarantini. Scrive il pubblico ministero nel capo di imputazione:«I tre sono associati, operando congiuntamente e allo stesso fine anche se con relativa autonomia ma con un comune collegamento reso evidente dal medesimo modus operandi sul territorio regionale, quali promotori fra loro e con altre persone al fine di realizzare rilevanti illeciti profitti mediante la commissione di un numero indefinito di reati contro la pubblica amministrazione, in particolare mediante condotte illecite a danno del servizio sanitario nazionale, il turbamento della libertà degli incanti, la falsificazione di provvedimenti amministrativi ovvero a mezzo di atti corruttivi diretti a pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio». Un sistema che — questa è la tesi della Procura — Tarantini avrebbe continuato a utilizzare anche dall'estate del 2008, quando divenne assiduo frequentatore di Silvio Berlusconi. Secondo l'ipotesi accusatoria l'imprenditore ingaggiava ragazze da portare nelle residenze del premier per ottenere vantaggi economici e per questo gli viene contestato il reato di induzione e favoreggiamento della prostituzione. Oltre a Patrizia, altre donne hanno già confermato ai pubblici ministeri di aver preso soldi per andare a Palazzo Grazioli e Villa Certosa, ma in alcune telefonate intercettate si parlerebbe anche di serate nella residenza di Arcore.

L'incarico per la Nazionale - Con i medici e i dirigenti delle Asl Tarantini sapeva essere convincente quando si trattava di piazzare protesi e altri articoli sanitari. E infatti loro giustificavano gli ordinativi effettuati con procedura d'urgenza grazie a una formula standard: «Si tratta di prodotti unici, insostituibili ed infungibili». Sono venti i professori che adesso dovranno difendersi dall'accusa di averlo fatto in cambio di mazzette. La maggior parte ha ottenuto soldi e regali, qualcuno ha preferito invece una raccomandazione. È il caso di Vincenzo Petruzzi, che nel 2003 era direttore sanitario della ex Ausl Bari5. L'uomo è accusato di aver «compiuti atti contrari ai suoi doveri accettando la promessa rivoltagli da Salvatore Greco circa il suo personale interessamento presso i vertici della Lega Calcio, sotteso a farlo tornare a ricoprire un ruolo di caratura internazionale, mondiale, presso la sede di Coverciano, visto che il Petruzzi ha fatto parte dello staff medico della Nazionale di Calcio».

Telefonate e cocaina - Sono state le conversazioni intercettate a rivelare i contatti di Tarantini con una rete fidata di spacciatori, ora finiti con lui nell'inchiesta. Sono una ventina le feste che avrebbe organizzato tra il 2002 e il 2003 dopo acquistate la cocaina e in due casi avrebbe provveduto a farla recapitare a casa ai suoi amici. «Bartolomeo Rossini — è scritto nel capo di imputazione — deteneva e spacciava cocaina a Gianpaolo Tarantini il quale, oltre a consumarla in proprio, la cedeva gratuitamente ad altri in occasione di incontri conviviali che organizzava nella sua villa di Giovinazzo o presso la Masseria Torre Coccaro, ai quali partecipava tra gli altri la sua compagna Angela De Venuto e, almeno in due occasioni, Verdoscia con sua moglie».

Fiorenza Sarzanini
08 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'inchiesta di Bari: c'è l’ipotesi di una mossa a sorpresa..
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2009, 11:10:02 pm
Presto potrebbe essere chiusa l'indagine su Tarantini, indagato anche per droga

I pm pensano a stralciare il «filone escort»

L'inchiesta di Bari: c'è l’ipotesi di una mossa a sorpresa per tutelare il lavoro della Procura


DAL NOSTRO INVIATO

BARI — Una mossa a sorpresa per tutelare l’inchiesta. Si concen­tra su questo l’attività dei magistra­ti di Bari che indagano sulle feste organizzate a palazzo Grazioli e Vil­la Certosa. Perché dopo la pubblica­zione sul sito del settimanale L’Espresso di alcune registrazioni degli incontri tra il premier Silvio Berlusconi e Patrizia D’Addario, al­tri documenti potrebbero essere re­si pubblici. E dunque non è esclu­so che siano gli stessi pubblici mi­nisteri a decidere di chiudere l’in­dagine sull’attività di Gianpaolo Ta­rantini, l’imprenditore di 35 anni accusato di induzione e favoreggia­mento della prostituzione per aver portato ragazze a pagamento nelle residenze presidenziali. In questo modo tutto il fascicolo processuale sarebbe messo a disposizione degli indagati.

Le verifiche affidate dal sostitu­to procuratore Giuseppe Scelsi alla Guardia di Finanza un anno fa, so­no di fatto terminate. Le intercetta­zioni telefoniche tra Tarantini e Berlusconi avevano fornito la pri­ma traccia sull’ingaggio di donne per cene e serate. Il resto lo hanno fatto la testimonianza della stessa D’Addario e delle altre ragazze che hanno confermato di essere state contattate dall’imprenditore e di aver ricevuto soldi. Al magistrato, Patrizia ha anche consegnato le registrazioni degli in­contri e un video — girato con il suo telefonino — che mostra la ca­mera da letto e il bagno di palazzo Grazioli. Le cassette sono una deci­na. Le prime quattro erano state de­positate al termine dell’interrogato­rio che si è svolto l’8 giugno, quan­do la donna fu convocata dalla pro­cura perché compariva nelle con­versazioni con Tarantini. Le altre sono state date agli investigatori il 21 giugno. In entrambi i casi sono state inserite in una busta sigillata e poi firmata da tutte le persone presenti: vale a dire il magistrato, i finanzieri che hanno assistito all’in­terrogatorio e la testimone. «Quelle buste sono tuttora sigil­late », fa sapere adesso il magistra­to. La scelta di non trascrivere il contenuto era stata fatta proprio per evitare fughe di notizie, ma an­che perché non era stato ritenuto necessario utilizzarle come prova ulteriore.

Sul racconto della donna non c’è infatti mai stato alcun dub­bio, anche perché ogni dettaglio è stato controllato e ha trovato con­ferma. Prenotazioni di aerei, alber­ghi, spostamenti in macchina: i tas­selli hanno trovato coincidenza. E l’ulteriore riscontro è arrivato dalle altre testimoni, in particolare Bar­bara Montereale, che era a palazzo Grazioli la sera del 4 novembre 2008 quando Patrizia si fermò per trascorrere la notte con il premier. Ma anche da Terry De Niccolò, gio­vane barese che appena due mesi prima era stata portata da Taranti­ni a Roma e aveva già fatto identi­co percorso.

 L’ipotesi di uno stralcio si fa adesso più concreta, anche perché da settimane si rincorrono indi­screzioni su sviluppi imminenti e in particolare sul filone che vede in­dagato Tarantini per detenzione di droga ai fini di spaccio, insieme ad alcuni amici: per animare le feste nella villa che l’estate scorsa aveva affittato a Porto Cervo, l’imprendi­tore avrebbe ceduto cocaina ai suoi ospiti. Alcune voci dicono che i magistrati avrebbero deciso di sol­lecitarne l’arresto, altre assicurano che gli accertamenti sono termina­ti. Ed è proprio per mettere fine a tutto questo che la Procura potreb­be decidere di chiudere l’indagine.

Fiorenza Sarzanini
21 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nuovi dettagli sulle ragazze a Palazzo Grazioli
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2009, 11:01:26 am
L’indagine/

Nuovi dettagli sulle ragazze a Palazzo Grazioli

L'inchiesta di Bari su Tarantini

I pm accelerano su escort e droga

«Nastri sigillati, la Procura non c’entra»
 

BARI—La Procura di Bari si blinda e divide l’indagine sull’attività di Gianpaolo Tarantini in tre fascicoli. Gli accertamenti sulle prostitute portate nelle residenze di Silvio Berlusconi e quello sulla cocaina che sarebbe stata ceduta dall’imprenditore pugliese ai propri ospiti sono entrati nella fase conclusiva e per evitare possibili inquinamenti i magistrati hanno deciso di stralciarli dal filone iniziale della corruzione. In questo modo sarà possibile chiudere entro qualche settimana i due procedimenti e mettere tutti gli atti processuali a disposizione degli indagati. Anche perché gli ultimi elementi raccolti consentono di ricostruire nei dettagli i rapporti che legavano lo stesso Gianpaolo Tarantini al presidente del Consiglio. E di scoprire che nel settembre scorso, forse per accreditarsi con il premier, il giovane pugliese riempì due macchine di ragazze che furono poi trasferite a Palazzo Grazioli.

I nastri sigillati - È pesante l’aria che si respira al Palazzo di Giustizia. Dopo la pubblicazione sul sito Internet del settimanale L’Espresso delle registrazioni effettuate da Patrizia D’Addario, si è fatta più forte la convinzione che chi ha veicolato i nastri avesse tra gli obiettivi quello di screditare i pubblici ministeri. E così è toccato al procuratore Emilio Marzano — che lascerà l’incarico a fine mese — chiarire che nulla può essere uscito dai suoi uffici. Il comunicato usa un linguaggio tecnico, ma il contenuto appare fin troppo esplicito: «Occorre precisare che Patrizia D’Addario, a seguito delle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria, ritenne di consegnare agli uffici inquirenti materiale informatico, ritualmente acquisito e adeguatamente custodito in pacchi sigillati collocati in una cassaforte blindata di questo ufficio». Ed ecco il passaggio chiave: «La pubblicazione di conversazioni asseritamente registrate non è pertanto riferibile in modo alcuno agli Uffici di Procura, che non hanno ancora proceduto all’apertura dei plichi sigillati all’ascolto e alla riproduzione del contenuto del suddetto materiale». Le registrazioni a cui si riferisce Marzano sono state consegnate l’8 giugno. Ci sono altre sei cassette, che Patrizia ha depositato il 21 giugno e che non sono state ancora rese note. Una, in particolare, riguarda una telefonata che Tarantini le fece il 27 gennaio scorso — dunque tre mesi dopo la notte trascorsa con il premier—per chiederle di tornare a Palazzo Grazioli «perché lui ti vuole». Ma la donna, come si sente nella conversazione, rifiutò l’invito.

«Eravamo almeno dieci» - Fino ad ora il pubblicoministero Giuseppe Scelsi non ha ritenuto di dover sbobinare i nastri portati da Patrizia perché agli atti processuali sono già allegate le intercettazioni telefoniche che dimostrano quale fosse la natura dei rapporti tra Tarantini e il premier. E il ruolo delle ragazze che l’imprenditore metteva a disposizione. La prima conferma sul reclutamento delle prostitute sarebbe arrivata da una signora, interrogata a Roma qualche giorno prima della D’Addario. Il racconto di Patrizia è riscontrato dalle verifiche su biglietti aerei e prenotazioni di alberghi, ma anche dalle parole di Barbara Montereale e Lucia Rossini che erano con lei la notte dell’elezione di Barack Obama e la lasciarono nella camera da letto del premier.
Il resto l’avrebbe fatto Terry De Niccolò, che Gianpaolo Tarantini portò nella residenza romana a metà settembre 2008, dunque poche settimane dopo aver conosciuto Silvio Berlusconi a Villa Certosa.

Le due macchine - Era una delle prime volte, forse addirittura la prima, ed evidentemente l’imprenditore ci teneva a dimostrare che lui poteva essere un buon fornitore. Terry è una testimone, ma così come hanno fatto tutte le altre donne comparse nell’inchiesta, è assistita da un legale e ha scelto l’avvocato Sabino Strambelli. Davanti al pubblico ministero la ragazza ha ricordato che, proprio come accadde a Patrizia, «fui avvertita soltanto poche ore prima che dovevo partecipare a una festa a Roma, ma accettai di partire dopo essermi accordata con Gianpaolo». Anche lei fu sistemata in un albergo di via Margutta, ma prima si recò all’hotel De Russie «per avere disposizioni sulla serata ». Anche a lei Tarantini chiese di indossare un vestito nero e un trucco leggero. Anche a lei furono dati i soldi, 1.000 euro. Ma poi c’è un dettaglio che bene spiega quale fosse il biglietto da visita che l’imprenditore aveva deciso di esibire. «Vennero a prendermi in macchina—ha messo a verbale Terry —. Davanti c’erano Gianpaolo e l’autista Dino. Dietro c’eravamo io e altre ragazze. Mi accorsi poco dopo che non eravamo sole, perché ci seguiva una seconda macchina piena di donne. Alla fine credo fossimo dieci. Varcammo i cancelli di Palazzo Grazioli e ci fecero aspettare qualche minuto nell’atrio prima di salire tutte insieme con lui. Nel salone trovammo Silvio Berlusconi ad aspettarci».

Fiorenza Sarzanini
22 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I giudici indagano sui mezzi militari e sui mutati impegni..
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2009, 05:01:44 pm
Retroscena

I giudici indagano sui mezzi militari e sui mutati impegni in campo

Inchieste partite dopo le ultime vittime


ROMA — Nelle informative arriva­te al comando dei carabinieri del Ros di Roma viene definito il «punto de­bole degli armamenti». E sono gli stessi generali della Difesa a confer­mare come la «ralla» non sia suffi­ciente a proteggere il militare addet­to alla mitragliatrice sui blindati Lin­ce. Perché chi si trova sulla torretta rimane completamente «scoperto» mentre il mezzo è in movimento, dunque esposto all’attacco del nemi­co.

È proprio su questo aspetto della missione in Afghanistan che si sta concentrando l’attività dei magistrati - procura penale e militare - dopo la morte del caporalmaggiore Alessan­dro di Lisio e il ferimento degli altri soldati che in questi ultimi giorni so­no finiti sotto attacco.

Dopo la modifica delle regole di in­gaggio, con il contingente sempre più spesso coinvolto in vere e pro­prie battaglie, si deve stabilire se gli equipaggiamenti siano adeguati al­l’impegno richiesto. Anche perché in vista delle elezioni del prossimo 20 agosto, i servizi di intelligence oc­cidentali sono concordi nel ritenere che il livello di rischio si alzerà ulte­riormente e le pattuglie che escono in ricognizione saranno obiettivo pri­vilegiato dei talebani e delle formazio­ni terroristiche che mirano a ottene­re il controllo delle aree. Come hanno dimostrato gli ultimi episodi, i reparti italiani partecipano attivamente al conflitto e quindi è in­dispensabile garantire loro un dispo­sitivo di sicurezza che tenga conto della modifica della missione. Il peri­colo più alto è quello per il «rallista», proprio come ha dimostrato la morte di Di Lisio - rimasto schiacciato dopo il ribaltamento del mezzo blindato ­e dunque si stanno studiando le pos­sibili modifiche per creare una sorta di calotta protettiva. Ma non viene esclusa l’eventualità di utilizzare an­che un altro tipo di carro armato.

Lo Stato maggiore pensa al «Frec­cia » che esternamente è quasi identi­co al Lince, però ha una blindatura più potente e soprattutto possiede un apparato tecnologicamente avan­zato che lo tiene in contatto costante con gli aerei o con i droni, in modo che i militari possano avere la situa­zione sempre sotto controllo attraver­so i monitor. Il pregio sarebbe quello di garantire maggiore capacità di ma­novra durante eventuali conflitti e più alta protezione di fronte ad atten­tati con le micidiali bombe utilizzate dai combattenti afgani.

I magistrati hanno acquisito l’elen­co dei mezzi e delle armi a disposizio­ne del contingente e nei prossimi giorni riceveranno le informative su­gli ultimi episodi che in Afghanistan hanno coinvolto i soldati italiani. Obiettivo dell’indagine rimane infat­ti quello di accertare se, sia pur in una situazione di guerra come quella che vede coinvolto il contingente, sia­no stati omessi comportamenti o di­sposizioni che avrebbero potuto evi­tare vittime e feriti. E di verificare in base a quali criteri siano stati modifi­cati i cosiddetti «caveat» - vale a dire i limiti alle regole di ingaggio che ogni Paese pone ai propri soldati ­che adesso consentono la partecipa­zione alle azioni di guerra. Missioni di difesa, ma anche di attacco, come confermano i vertici del Comando.

Era stato proprio un comunicato ufficiale dei vertici del contingente italiano a specificare che il caporal­maggiore Di Lisio e i suoi colleghi era­no stati impegnati «a eliminare ulte­riori sacche di resistenza presenti nel­l’area di Bala Morghab, 200 chilome­tri a nord di Herat», considerata «sno­do strategico fondamentale». E due giorni fa il comandante Rosario Ca­stellano ha spiegato che «è lecito im­maginarsi una escalation di tensione anche in vista delle elezioni», di fatto avvalorando la previsione che pro­prio ad agosto ci sarà un «picco di at­ti ostili».

Una situazione di pericolo che ani­ma il dibattito politico e convince i magistrati sulla necessità - come del resto era avvenuto in passato anche durante la missione in Iraq e dopo gli attacchi subiti in Afghanistan - di sta­bilire se si tratti di attività che rientra­no nel mandato affidato ai militari e che rispettano le regole stabilite al momento di finanziare la missione.


Fiorenza Sarzanini

27 luglio 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tarantini «in azione» anche dopo l’avviso dei pm
Inserito da: Admin - Agosto 01, 2009, 04:22:25 pm
L'INCHIESTA DI BARI

Tarantini «in azione» anche dopo l’avviso dei pm

E spuntano le intercettazioni dell’ex assessore: piano sanitario corretto d’accordo con un’azienda


L’attività di Gianpaolo Tarantini nel settore della sanità barese non si è mai fermata. Anche dopo essersi trasferito a Roma per mettersi di fatto a disposizione del premier Silvio Berlusconi, l’imprenditore pugliese avrebbe continuato a gestire la sua Tecno Hospital, società specializzata nella fornitura di protesi, che negli ultimi anni navigava in acque tutt’altro che tranquille. Mentre reclutava prostitute e ragazze immagine da portare alle feste di palazzo Grazioli e Villa Certosa, facendo la spola tra Bari, Roma, Cortina, Milano e le località di vacanza più esclusive, Tarantini avrebbe trovato il modo e il tempo di curare i propri affari. E questo nonostante abbia più volte assicurato di non aver più alcun ruolo nelle aziende di famiglia.

Nel nuovo avviso di garanzia per corruzione che gli è stato notificato due giorni fa, il pubblico ministero Giuseppe Scelsi gli contesta proprio di aver agito «dal luglio 2008, sino all’attualità », dunque anche dopo aver saputo di essere sotto inchiesta per altri episodi di corruzione, per favoreggiamento della prostituzione e per detenzione di cocaina ai fini di spaccio. E poi il magistrato aggiunge: «In concorso con il fratello Claudio, Tarantini è indagato per essersi accordato con Pasqualino Ciappetta, il quale, in cambio della concessione di beni, regalie o premi, e imponendo l’acquisto dei prodotti forniti dalle ditte di fatto gestite dai fratelli Tarantini (Tecno Hospital di Tattoli, Tgs Service, System Medical, G,S,H,, Global System Hospital), favoriva l’incremento degli affari commerciali riferiti alle citate società». Ciappetta è il primario di neurochirurgia al policlinico di Bari e professore ordinario all’Università.

I metodi utilizzati da Tarantini, erano evidentemente abitudine diffusa in Puglia, almeno a leggere gli atti dell’altra inchiesta che ha portato i carabinieri nelle sedi dei partiti del centrosinistra per acquisire documenti e così verificare se, in cambio di voti e finanziamenti, alcuni assessori abbiano concesso appalti e commesse. Nell’informativa che gli investigatori dell’Arma hanno consegnato il 30 aprile, viene evidenziata l’attività di Alberto Tedesco, responsabile regionale della Sanità per il Partito democratico fino al 6 febbraio scorso quando il governatore Nichi Vendola lo costrinse alle dimissioni proprio per il suo coinvolgimento nell’indagine. E ora approdato al Senato dopo la nomina al parlamento europeo di Paolo De Castro.

Le intercettazioni ambientali e telefoniche disposte nel 2008 rivelano, secondo i carabinieri, «le pressioni che il vertice politico- sanitario esercita sulle Asl per favorire gli imprenditori amici». Una «ristretta élite» di industriali pronti a mettersi a disposizione. Come Diego Rana, titolare tra l’altro di un’azienda specializzata nello smaltimento dei rifiuti sanitari che si dimostra molto legato a Tedesco. Il 30 giugno 2008, durante un incontro «fa rilevare all’assessore alcuni passaggi da inserire all’interno del piano sanitario in maniera da agevolare, in particolare, il trattamento assistenziale convenzionato di strutture sanitarie gestite da privati. La circostanza - si sottolinea nell’informativa - assume particolare importanza in quanto è lo stesso assessore che su sollecitazione dell’imprenditore, richiede a quest’ultimo di apporre le modifiche». E infatti nelle registrazioni si sente Tedesco affermare: «Non c’è bisogno che mi prepari un appuntino. Basta chemi dici gli errori dove stanno».

Quattro mesi fa, durante un interrogatorio come testimone, è stato invece Alessandro Calasso, direttore sanitario della Asl Bari, a raccontare che «Tedesco esercitava pressioni per far rimuovere i direttori dell’area gestione Patrimonio e dell’area Tecnica ritenuti responsabili di frapporre ostacoli all’assegnazione di alcuni lavori alla Ati della famiglia Matarrese e alla Draeger Medical spa».

Fiorenza Sarzanini

01 agosto 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. IL CASO BOFFO -
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2009, 03:57:34 pm
 IL CASO BOFFO - Il mistero sul documento anonimo spedito ai prelati

Il pm e le telefonate del direttore

Il pm indagò sui tabulati e si convinse che le chiamate erano state fatte dal giornalista


La lettera anonima contro Dino Boffo spedita tre mesi fa ai vescovi italiani riferiva fatti e circostanze che non sono contenuti nel fascicolo del tribunale di Terni.
Le carte ricostruiscono la vicenda che ha portato alla condanna per molestie del direttore di Avvenire.

Ma le stesse carte non entrano mai nei det­tagli della vita privata di Dino Boffo. Tanto che non chiariscono nemmeno per quale mo­tivo, con telefonate effettuate per quasi cin­que mesi, avrebbe ingiuriato una ragazza che poi presentò denuncia ai carabinieri. Docu­mentano però la certezza, da parte di chi inda­gava, che fosse proprio lui l’autore di quelle chiamate e non — come adesso sostiene lo stesso Boffo — un suo collaboratore. L’esame dei contatti avvenuti subito prima e subito do­po le chiamate piene di insulti ricevute dalla donna avrebbe consentito di verificare che gli interlocutori avevano parlato personalmente con Boffo; dunque — hanno concluso gli in­quirenti — in quei frangenti era lui ad utilizza­re il cellulare. La storia risale all’agosto del 2001. Le telefo­nate ingiuriose vanno avanti fino al gennaio 2002.

Nel suo esposto la ragazza precisa gli orari, racconta il contenuto, sottolinea come l’anonimo interlocutore faccia riferimento an­che ai rapporti sessuali che la donna ha con il fidanzato. Viene acquisito il suo tabulato, si ri­cava il numero del chiamante. Si scopre così che il cellulare è intestato alla società che edi­ta il quotidiano della Cei. Le ulteriori verifiche consentono di scoprire che l’apparecchio è stato concesso in uso al direttore. Boffo viene convocato al palazzo di Giusti­zia della città umbra per fornire chiarimenti. Non può negare che il telefono sia effettiva­mente suo, ma spiega di lasciarlo spesso incu­stodito. «E dunque — evidenzia — quelle tele­fonate può averle fatte chiunque». Una tesi che però non convince appieno i pubblici mi­nisteri. Anche perché lui stesso ammette di co­noscere la ragazza. «Ci siamo incontrati in oc­casione di un evento pubblico organizzato dal­la Curia», afferma. E poi chiarisce che il trami­te sarebbe stato il vescovo di Terni, monsi­gnor Paglia. Si decide così di interrogare le persone che il giornalista ha contattato a ridosso delle chia­mate fatte alla ragazza. Si tratta di quattro o cinque testimoni. Tra loro c’è il titolare di una libreria e soprattutto uno dei segretari della Cei che con Boffo ha contatti assidui. Nessuno ricorda di aver mai parlato su quell’utenza con qualcuno che non fosse il direttore di Av­venire.

Quindi i magistrati si convincono che possa essere lui l’autore delle molestie. L’iscrizione nel registro degli indagati, co­me risulta dagli atti processuali, avviene il 14 ottobre 2003. Sei mesi dopo, esattamente l’8 aprile 2004, il pubblico ministero chiede «l’emissione di un decreto di condanna». C’è un solo reato contestato, quello di molestie, per il quale si procede d’ufficio. L'accusa di in­giurie è infatti caduta perché la ragazza ha de­ciso di ritirare la querela. Nel fascicolo non vengono specificati i motivi di questa scelta. I giudici ne prendono atto, Boffo non si oppo­ne al decreto e paga l’ammenda di 516 euro che certifica la sua condanna.

Qui finisce la storia ricostruita dalle carte processuali. Ma proprio da qui comincia il mi­stero sul documento anonimo spedito ai ve­scovi e poi raccontato venerdì scorso da Il Giornale che l’aveva invece presentato come un atto giudiziario. La circostanza che si tratti di un appunto ufficiale, sia pur «riservato», sembra smentita dall’esame dello scritto che contiene numerosi errori di ortografia e di bat­titura. E anche circostanze false. Non è vero che «Boffo è stato querelato da una signora di Terni»: la denuncia era contro ignoti. Non è vero che «a seguito di intercetta­zioni telefoniche disposte dall’Autorità giudi­ziaria si è constatato il reato»: per le molestie non è possibile disporre il controllo delle con­versazioni. Viene poi specificato che «Boffo ha tacitato la parte offesa con un notevole ri­sarcimento finanziario», ma è una circostanza che non risulta agli atti. Quanto alle inclinazio­ni sessuali dell’indagato, nel fascicolo non se ne fa mai cenno.

Fiorenza Sarzanini
02 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: L’estate di Tarantini: «Droga e affari nella mia villa»
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2009, 11:00:33 am
L'INCHIESTA DI BARI - LE CARTE

L’estate di Tarantini: «Droga e affari nella mia villa»

I verbali: in Sardegna con cocaina nella cassaforte

 
BARI — Le feste in Sardegna, la cocaina per gli ospiti, i rapporti con Sabina Began e con Eva Cavalli, le liti al Billionaire. Ma anche i contatti con Finmeccanica per cercare di chiudere alcu­ni affari legati al settore sanitario. C’è pure que­sto nei verbali di Gianpaolo Tarantini, l’impren­ditore pugliese che ha ammesso di aver recluta­to una trentina di donne da portare nelle resi­denze del premier Silvio Berlusconi. Ragazze italiane e straniere, «alcune disponibili ad ave­re rapporti sessuali», che venivano retribuite con 1.000 euro. Il 28 luglio scorso l’uomo — in­dagato per corruzione, favoreggiamento della prostituzione e cessione di stupefacenti — vie­ne convocato nella caserma della Guardia di Fi­nanza di Bari. Il pubblico ministero e gli investi­gatori gli contestano quanto emerge dalle tele­fonate intercettate nell’estate del 2008, quella che fu poi segnata dall’incontro tra Tarantini e il premier avvenuto durante una cena a Villa Certosa. Un ruolo chiave lo gioca Massimo Ver­doscia, l’uomo che presentò Patrizia D’Addario a Tarantini, arrestato agli inizi dello scorso ago­sto pure lui perché avrebbe ceduto droga ad amici e conoscenti.

La coca in cassaforte
Il verbale comincia proprio dalla scelta della casa a Porto Cervo: «Nel giugno insieme a mia moglie ed a Massimo Verdoscia e famiglia deci­demmo di prendere in affitto una villa in Sarde­gna per un importo di circa 70.000,00 euro, che pagammo io, per un importo maggiore, e Mas­simo Verdoscia. Prima di andare in Sardegna, io, Massimo Verdoscia e Alessandro Mannarini (anche lui iscritto nel registro degli indagati per cessione di droga, ndr ) decidemmo di ac­quistare un quantitativo di circa 50-70 grammi di cocaina ed un quantitativo più ridotto di 'MD' (una droga sintetica simile all’ecstasy, ndr ). Lo stupefacente fu acquistato alla fine di giugno in circostanze diverse da me, da Ver­doscia e da Mannarini, ognuno con proprie di­sponibilità finanziarie. Lo stupefacente fu tra­sportato in Sardegna in unica soluzione da Ales­sandro Mannarini, a bordo dell’autovettura con la quale si mosse da casa mia in quanto dor­miva in una dependance della stessa, ma una volta giunta in Sardegna fu suddivisa tra me, Verdoscia e Mannarini. Io tenni per me la parte più rilevante conservandola nella cassaforte della mia camera da letto. Acquistai la mia par­te di stupefacente da due o tre persone, se non ricordo male tale Nico e tale Onofrio, mentre ricordo che Verdoscia l’acquistò da tale Stefa­no. Ho acquistato stupefacenti anche in passa­to ma da altre persone. Ricordo di averla acqui­stata, sempre insieme a Verdoscia e Mannarini, in occasione di un viaggio a Montecarlo per as­sistere ad un gran premio automobilistico nella primavera del 2008. Ricordo che in occasione di una festa al club Gorgeous di Bari per il fe­steggiamento dei 30 anni di mia moglie ho ce­duto gratuitamente cocaina ad alcuni invitati. Anche in occasione di una festa fatta a casa mia, nella primavera 2008, ricordo di aver offer­to gratuitamente sostanze stupefacenti».

Le dosi alla Began
I contatti di Tarantini con Sabina Began, so­prannominata «l’Ape regina» per essere una delle «favorite» del premier, emergono dalle conversazioni registrate dai finanzieri. Lui ne­ga però di essere il suo pusher. E dichiara: «Non ricordo di aver portato sostanze stupefa­centi in occasione del concerto della star Ma­donna tenutosi a Roma allo stadio Olimpico nel settembre 2008, dove mi accompagnai con persone, tra le quali la signora Benetton, che non hanno nulla a che fare con la droga. Sia Massimo Verdoscia che Alessandro Mannarini erano a conoscenza che la droga fosse custodi­ta nella cassaforte. Ebbi anche una discussione con Mannarini in quanto riscontrai una man­canza di sostanza stupefacente che avevo lascia­to in cassaforte. Non ricordo a chi ho ceduto lo stupefacente in Sardegna, ogni tanto ne porta­vo con me piccole quantità. Personalmente non credo di aver ceduto dello stupefacente a Sabina Beganovic, mentre sono sicuro che le sia stato ceduto sia da Verdoscia che da Manna­rini. Le cessioni da me operate nel tempo non sono state finalizzate a coltivare relazioni pro­fessionali ma operate al fine di tenere alto il si­stema delle mia relazioni personali innanzitut­to nella città di Bari. Posso escludere che dalla cessione gratuita delle sostanze stupefacenti si­ano da me derivati vantaggi sia patrimoniali che professionali. Voglio precisare che durante il mio soggiorno in Sardegna nell’estate 2008 ho ceduto più volte sostanze stupefacenti a Francesca Lana. Non ricordo di aver ceduto del­lo stupefacente a tale Victoria. Non ricordo di aver ceduto o offerto sostanze stupefacenti a Maria Teresa De Nicolò».

Il malore di Eva
Dalle intercettazioni emerge che la moglie dello stilista Cavalli si sarebbe sentita male pro­prio durante una delle feste organizzate in Sar­degna. Così Tarantini cerca di dimostrare la propria estraneità alla vicenda: «Non corrispon­de al vero il fatto che io abbia versato lo stupefa­cente 'MD' nel bicchiere di Eva Duringer a sua insaputa. Ammetto di averne parlato con tale Pietrino ma escludo dal tenore della conversa­zione possa evincersi una qualsiasi mia even­tuale ammissione. Posso aggiungere che scher­zosamente la stessa Eva Cavalli mi chiese, qual­che tempo dopo, se io le avessi versato qualche sostanza stupefacente nel suo bicchiere. Ma io le risposi che non mi sarei mai permesso di fa­re un gesto simile». Movimentate da liti e ubria­cature sembrano essere anche le serate che la compagnia legata a Tarantini trascorre nei loca­li della Costa Smeralda. «Escludo che nella not­te tra l’8 e il 9 agosto 2008 la discussione avuta con Tommaso Buti nei bagni del Billionaire sia riconducibile alla sua opposizione al ché io en­trassi nel bagno con Nena Rustic e tale Paola al fine di far uso di stupefacente. La ragione della discussione che ebbi con Tommaso Buti era ri­conducibile al fatto che stava maltrattando la Nena ed io sono intervenuto per difenderla».

La riunione con Finmeccanica
Il giorno precedente, esattamente il 27 luglio scorso, Tarantini viene interrogato su una riu­nione avvenuta presso l’Hotel de Russie a Ro­ma a fine gennaio 2009. E racconta: «Conosco Enrico Intini da circa un anno in quanto mi è stato presentato dall’avvocato Salvatore Castel­laneta e dal signor Roberto De Santis, in occa­sione della realizzazione di un progetto per la tracciabilità del sangue mostratomi da un mio amico tale Pino e per il quale cercavo finanzia­tori. Con Intini avevo un contratto di collabora­zione che venne formalizzato in seguito ed in forza del quale, essendo venuto a conoscenza delle difficoltà incontrate dallo stesso Intini in relazione ad una procedura di gara per le puli­zie dell’Asl di Bari, presi l’iniziativa di organiz­zare un incontro a Roma con l’avvocato Lea Co­sentino (direttore generale della stessa Asl, ndr ). Io ero venuto a conoscenza che Enrico In­tini non avrebbe mai vinto da solo quella gara e lo stesso Intini ebbe a lamentarsene con me. Io a quel punto gli dissi che la Cosentino non gli avrebbe mai fatto vincere una gara da solo e che avrebbe comunque avuto grosse possibili­tà se fossero stati fatti tre lotti. Questo io dissi anche perché ne avevo parlato con Lea Cosenti­no. Fu per queste ragioni che organizzai l’incon­tro di Roma del 21 gennaio 2009. Io sapevo che a quell’incontro avrebbero partecipato, oltre al­la Cosentino, anche Rino Metrangolo, dirigente di Finmeccanica e Cosimo Catalano, titolare del­la società della Supernova, entrambi interessati alla stessa gara. In particolare era a conoscenza della circostanza che quella gara seguiva altra di uguale contenuto ma annullata perché il ban­do era errato. Avevo in particolare appreso che il precedente bando era stato annullato o era in fase di annullamento in quanto l’importo indi­cato a base di gara era calcolato su un numero di ausiliari ormai eccedente a causa dell’interna­lizzazione di ausiliari operato nel frattempo».

La gara in tre lotti
«L’occasione fu propizia — continua Taranti­ni — per sostituire al principio del lotto unico l’idea di tre lotti, come io personalmente sugge­rii a Lea Cosentino e a Antonio Colella, dirigen­te dell’area patrimonio dell’Asl di Bari. In tal modo avremmo potuto assicurare a Catalano, ad Intini ed a Metrangolo di gareggiare vincen­do ciascuno un lotto. La gara in tre lotti, a quanto mi consta, non si è mai tenuta e nulla è avvenuto dopo quell’incontro a Roma. Lea Co­sentino era interessata all’ipotesi dei tre lotti in quanto in tal modo, come lei mi disse, avreb­be smesso di subire le scelte altrui ed avrebbe potuto al contrario concorrere a definire l’indi­viduazione dei vincitori della gara. Io stesso in­vitai all’incontro Metrangolo, in quanto diri­gente di Finmeccanica interessato a partecipa­re alla gara, mentre fu Lea Cosentino a far inter­venire alla riunione Cosimo Catalano, anch’es­so direttamente interessato. Nel caso in cui questo progetto di lottizzazione della gara fos­se andato in porto, io avrei percepito circa il quattro per cento dell’importo aggiudicato da Intini e circa il quattro per cento da Catalano. Non avevo ancora parlato di compensi con Me­trangolo. Quando Enrico Intini giunse alla riu­nione al De Russie, prospettò l’eventualità di un ricorso come mera provocazione in quanto Intini era già d’accordo con me sulla suddivi­sione in tre lotti della gara ma intervenne par­lando di un suo ricorso perché si vide in diffi­coltà trovando in quella riunione persone che non si aspettava di trovare». Angela Balenzano Fiorenza Sarzanini

Angela Balenzano
Fiorenza Sarzanini

10 settembre 2009
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da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Quel weekend a Ponza tra cena e barca a vela»
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2009, 12:14:29 pm
A CENA E IN BARCA

«Quel weekend a Ponza tra cena e barca a vela»

Un imprenditore racconta un week end a Ponza. L'ex premier: incrociato, mai conosciuto

di Fiorenza Sarzanini


Una cena in un ristorante di Ponza e poi una traversata da Ventotene a Gaeta durante la quale si sono trovati sulla stessa barca. È questo l’incontro che ha spinto Gianpaolo Tarantini a lanciare avvertimenti a Massimo D’Alema che aveva detto di non averlo «mai conosciuto». «Farebbe bene a ricordarsi chi sono», era stata l’intimazione. Ma la tesi dell’ex ministro degli Esteri non cambia, «perché ci siamo incrociati, siamo stati presentati, ma certo questo non vuol dire che ci conosciamo». È una vicenda che ha contorni confusi, perché confusi e talvolta contraddittori sono i ricordi degli stessi protagonisti. Anche su quando è avvenuta. A sentire D’Alema bisogna tornare all’estate del 2007. Ma forse è il 2006, come invece sostiene Francesco Maldarizzi, l’imprenditore barese diventato il trait d’union fra i due.

Perché era lui il proprietario della barca che effettuò il trasferimento dall’isola alla terraferma. E perché la sera precedente era uno degli invitati al ristorante «Il Tramon­to » «per l’evento organizzato dalle autorità locali in onore di quello che allora era un mi­­nistro, stava alla Farnesina», come dice ades­so che gli viene chiesto di rammentare i det­tagli. Lo stesso anno, 2006, viene conferma­to da Ivan Altieri, il proprietario del locale che di quella serata sembra avere ricordi niti­di: «Come potrei dimenticarla, visto che ad un altro tavolo sedeva l’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno? Loro nemmeno si salutarono, ma io pensai che se fosse arriva­to Bruno Vespa avremmo potuto fare Porta a Porta » .

Il ristoratore sottolinea di non aver ricono­sciuto altri personaggi famosi. Si sa che allo stesso tavolo di D’Alema sedevano numerosi velisti, compreso Paolo Poletti, all’epoca ca­po di Stato Maggiore della Guardia di Finan­za e attuale vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto interno. Anche Roberto De Santis, l’imprenditore amico di D’Alema che cono­sceva bene Tarantini, aveva scelto l’isola co­me meta per il fi­ne settimana da trascorrere in bar­ca. E anche lui sa­rebbe stato uno dei partecipanti alla serata. Sono buoni co­noscenti D’Alema e Maldarizzi, che in Puglia possie­de numerose con­cessionarie di au­to e dal 2008 ha aperto attività an­che in Toscana. «Ci telefonammo — racconta — e ci accordammo per vederci alla cena. In barca con me c’erano Gianpaolo Taran­tini e sua moglie, mentre D’Alema era su Ikarus con sua moglie». Co­me mai invitò Ta­rantini? «Siamo amici e poiché io avevo preso la barca in affitto lui venne a Ponza con l’inten­zione di acquistarla. Era mio ospite e dunque venne con me anche al ristorante». Il «Tramonto» è un locale in montagna, fa­moso per il panorama mozzafiato che guar­da a Palmarola. «C’erano almeno venti perso­ne — spiega Maldarizzi — forse addirittura trenta. Noi eravamo da un lato del tavolo, D’Alema a quello opposto. C’erano il sinda­co, il vicesindaco, altre personalità. Io non riuscii a scambiare con D’Alema neanche una parola e dunque mi sento di escludere che possa avere parlato con Tarantini».

An­che su questo c’è contraddizione, Altieri for­nisce una versione diversa: «Erano una venti­na, ma escludo che ci fossero sindaco e vice­sindaco. Non era sicuramente una cena uffi­ciale. Io fui chiamato da un mio amico che fa l’assicuratore per la prenotazione del tavolo e quando arrivarono capii che erano tutti ap­passionati di vela. Era una grande tavolata al termine di una giornata trascorsa in mare». Il giorno dopo c’è il nuovo incontro. «D’Alema doveva lasciare Ikarus al cugino che stava a Ventotene — ricorda Maldarizzi — e così mi chiese un passaggio fino a Gaeta dove io avrei dovuto restituire la mia barca. Gli proposi di stare insieme per fare il bagno o per il pranzo, ma lui rifiutò. Del resto chi conosce D’Alema sa bene che lui è un velista vero, vive il mare e preferisce non avere trop­pe persone intorno». L’appuntamento viene così fissato per la fine della giornata. «Salì a bordo con la famiglia e con gli uomini della scorta», afferma l’imprenditore. A questo punto il ricordo di Maldarizzi si fa vago, a tratti confuso: «In barca c’erano almeno dodi­ci persone, sinceramente non ricordo se D’Alema e Tarantini possano essersi scambia­ti qualche parola. Ma se così è stato, di certo si è trattato di un con­tatto del tutto casuale. Massimo è fatto così, non dà mai troppa con­fidenza alle persone. La traversata sarà dura­ta una quarantina di minuti, non ci sarebbe stato neanche il tempo di approfondire la con­versazione. E poi c’era­no tutti gli addetti alla sicurezza. Quando sia­mo arrivati in porto ab­biamo avuto il tempo per un saluto e poi so­no partiti».

L’obiettivo di Taranti­ni appare ormai eviden­te: accreditarsi come buon conoscente dei politici di destra e sini­stra per dimostrare che anche nel suo rapporto con il presidente del Consiglio, per conto del quale ha ammesso di aver reclutato trenta ragazze «alcune anche a pagamento per incon­tri sessuali», non c’era nulla di illecito. E mette­re sullo stesso piano si­tuazioni che appaiono molto differenti. Il ten­tativo di patteggiare la pena e chiudere con il minimo danno l’inchie­sta avviata dai magistra­ti di Bari non è riuscito perché la Procura si è opposta alla sua istan­za. L’imprenditore accu­sato di corruzione, favo­reggiamento della pro­stituzione, cessione di stupefacenti avrebbe così deciso di alzare la posta. Tanto che a qualche amico avrebbe già confidato: «Se mi arrestano sono pronto a tra­scinarmi dietro svariate persone».


13 settembre 2009
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Così il giovane barese ha creato il suo «sistema».
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2009, 05:43:10 pm
Il personaggio

Bari, la rete di amici trasversali del «mondo Tarantini»

Così il giovane barese ha creato il suo «sistema».

Verso un nuovo interrogatorio


Donne bellissime, amici dalla vita spericolata. Ma soprattutto manager e imprenditori, personaggi che come lui inseguivano affari e successo. E che avrebbe utilizzato per cercare di arrivare ai politici. È una rete trasversale quella tessuta in questi ultimi anni da Gianpaolo Tarantini, il titolare della società Tecnohospital che la fama l’ha raggiunta quando si è scoperto che procacciava ragazze a pagamento per le feste di Silvio Berlusconi.

Sono le carte processuali a dimostrare come il giovane barese fosse riuscito ad avere accesso al potere di destra e di sinistra, con una disinvol­tura che adesso spaventa chi ha avuto a che fare con lui. Perché Tarantini ha fatto in­tendere ai magistrati di voler collaborare pur di chiudere in fretta la vicenda giudizia­ria e così tentare di togliere il premier dall’imbarazzo di ve­dere le sue intercettazioni te­lefoniche rese pubbliche. I quattro verbali riempiti alla fi­ne di luglio non hanno però convinto i pubblici ministeri e dunque è presumibile che nei prossimi giorni possa es­serci un nuovo interrogato­rio, questa volta concentrato sugli incarichi e i favori che sarebbe riuscito a ottenere proprio grazie ai suoi rappor­ti con i potenti.

Aveva capito Tarantini che la strada per il successo pas­sa per gli amici giusti. E forse per questo frequentava Fran­cesco Maldarizzi, che in Pu­glia è conosciuto per la sua catena di concessionarie d’au­to. Ricco certamente, ma an­che ben introdotto. Basti pen­sare che in un fine settimana trascorso a Ponza riuscì a far­lo sedere a tavola con l’allora ministro degli Esteri Massi­mo D’Alema, con il capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza Paolo Poletti, con il capo di gabinetto della Far­nesina Giuseppe Fortunato, poi volato a Mosca per occu­pare un posto di comando in Finmeccanica. Non male per uno che all’epoca aveva poco più di trent’anni e un’azien­da specializzata nelle protesi ortopediche.

Certo, nella sua città «Gianpy», come lo chiamano gli intimi, aveva frequentazio­ni di rilievo. Con Tato Greco, rampollo della famiglia Ma­tarrese poi diventato uno dei più accaniti sostenitori di Raf­faele Fitto, condividevano se­rate, vacanze e aspirazioni. Lo stesso Fitto era sicuramen­te tra le persone che ha sem­pre potuto considerare più vi­cine. Lui, come Sabina Began che non fa l’imprenditrice ma era la «preferita» del pre­mier e dunque rappresentava un gancio prezioso per chi so­gnava il salto di qualità, il tra­sferimento a Roma, gli affari internazionali.

Forse per questo si era lega­to a Roberto De Santis, l’im­prenditore amico di D’Alema che lo accompagnò da Guido Bertolaso dopo che Berlusco­ni gli aveva procurato un ap­puntamento. Oppure a Enri­co Intini, che con De Santis è in stretti rapporti tanto da aver gestito con lui svariati af­fari. Per presentare un buon biglietto da visita, Tarantini organizzò nel gennaio scorso una riunione in un albergo della capitale per pianificare la strategia che avrebbe con­sentito loro di vincere un ap­palto per le pulizie della Asl di Bari. Ospite d’onore era Lea Cosentino, che di quella Asl è il direttore generale. Lei accettò l’invito, evidentemen­te incurante dell’inopportuni­tà di discutere in maniera in­formale le gare che riguarda­vano il suo ufficio.

Adesso anche Cosentino è sotto inchiesta, proprio per la gestione allegra della Asl. Era stato il governatore Nichi Vendola a nominarla. E a giu­gno, quando il suo coinvolgi­mento nelle indagini è stato formalizzato, ne ha disposto la rimozione. La manager ha poi ammesso pubblicamente di essere buona amica di Ta­rantini, di aver partecipato al­le sue feste, di averlo incon­trato anche in Sardegna du­rante l’estate del 2008, famo­sa perché è stato allora che il sogno di Tarantini di conosce­re Berlusconi è divenuto real­tà. Altri, rimasti nell’ombra, potrebbero adesso essere co­stretti a uscire allo scoperto. Trascinati in questa vicenda dallo stesso Tarantini che, per convincere i magistrati ad accettare il patteggiamen­to e chiudere così il conto, po­trebbe decidere di rivelare tut­ti i componenti della rete che aveva tessuto.

Fiorenza Sarzanini
14 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’ex capo di An e le carte: nulla da temere
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2009, 10:50:29 pm
Il presidente della Camera si sfoga con i suoi

L’ex capo di An e le carte: nulla da temere

L'inchiesta del '99 che coinvolge l'allora collaboratore Proietti Cosimi: il mio nome non può esserci

   
Gianfranco Fini aveva intuito tre mesi fa che prima o poi Il Giornale avrebbe potuto occuparsi di lui. Perché una parte del «fascicolo a luci rosse» di cui ha parlato adesso Vittorio Feltri era già stato pubblicato nel giugno scorso. In quel momento direttore era Mario Giordano e si decise di replicare così alle rivelazioni di Patrizia D’Addario sul premier Silvio Berlusconi. «Le escort di D'Alema», titolava in prima pagina, ma poi non si faceva alcun cenno all'ex ministro degli Esteri. Si dava invece conto di un'inchiesta che nel 1999 aveva con­sentito di scoprire festini organizza­ti da alcuni suoi amici e collaborato­ri con ragazze reclutate da Rita Far­nitano, intraprendente signora che in cambio sperava di ottenere appal­ti e incarichi per la sua società di consulenza. Nei loro verbali — pub­blicati dal quotidiano — era chiara­mente spiegato che a introdurre nel mondo della politica e dell'impren­ditoria l'avvenente maitresse era sta­to Francesco Cosimi Proietti, che di Fini era all'epoca il segretario, ma soprattutto uno dei «fedelissimi».

Nelle ultime ore lo sgomento del presidente della Camera per quello che ha definito «un attacco intimi­datorio di inaudita violenza» si è trasformato in rabbia feroce. E allo­ra ha scelto di reagire «in maniera durissima» con una denuncia pena­le contro Feltri «perché io non ho mai avuto frequentazioni di questo tipo o incontri che possano imba­razzarmi e dunque non ho paura che questo fascicolo sia acquisito e reso pubblico». Lo ha detto ai suoi collaboratori, lo ha ripetuto al suo avvocato Giulia Bongiorno, invitan­dola a scegliere la strada più effica­ce da percorrere: «Scatenati perché io ho la coscienza pulita e questa storia voglio portarla fino in fondo. Non ci può essere il mio nome in quelle carte processuali. Se qualcu­no lo tirerà fuori, avrà veicolato una polpetta avvelenata».

L'indagine avviata dalla squadra mobile di Roma e gestita dalla Procu­ra della capitale si è chiusa nel 2000 con un patteggiamento a un anno di pena di Rita Farnitano che si è vista derubricare l’iniziale accusa di corru­zione in sfruttamento della prostitu­zione. Agli atti sono rimasti i raccon­ti dei protagonisti, ma soprattutto l'informativa della polizia che dava conto delle confidenze di una «fon­te» secondo la quale la stessa Farnita­no avrebbe «assoldato una certa Ma­rina per un incontro sessuale retribu­ito con 800 mila lire, all’interno di un ufficio della Camera dei Deputati con un personaggio molto importan­te». La relazione investigativa pub­blicata dava conto anche dell’esito dell’appuntamento: «Al termine del rapporto sessuale l'uomo riferiva al­la ragazza che era rimasto molto sod­disfatto e che, tramite il suo segreta­rio, se lei era disponibile si sarebbe­ro nuovamente incontrati».

Il filone Woodcock Nel 2006 la stessa persona finisce sotto accusa nello scandalo che interessò anche Vittorio Emanuele. A fare il nome di Proietti Cosimi come lo sponsor della signora sono stati gli altri uomini che partecipava­no alle feste e poi si appartavano con le ragazze. Prima Vincenzo Mori­chini, amministratore del consorzio di agenzie Ina-Assitalia di Roma, no­to per essere uno dei proprietari di Ikarus, la barca che condivide con D'Alema che a verbale dettò: «Me la presentò il mio amico Proietti». Poi Roberto De Santis, imprenditore lec­cese, anche lui in legami stretti con l'esponente del Pd: «Ho conosciuto la signora a una cena dove ero stato invitato da Morichini. Oltre a noi erano presenti tale Checchino e tre amiche di Rita». «Checchino»: è sta­to questo nome — pubblicato tre mesi fa — a mettere Fini in guardia. Perché è vero che i rapporti li aveva interrotti nel 2006, quando il segre­tario nel frattempo diventato parla­mentare è finito nell’inchiesta avvia­ta dal pubblico ministero di Poten­za, Henry John Woodcock, sugli affa­ri del principe Vittorio Emanuele di Savoia. Ma dopo l'articolo di Feltri i collaboratori del presidente della Ca­mera hanno cercato di scoprire se dieci anni fa — durante queste sue allegre frequentazioni — Proietti po­tesse aver speso il nome di Fini sia con la maitresse, sia con gli altri im­prenditori che partecipavano agli in­contri. Oppure se questo nome pos­sa averlo fatto la stessa Farnitano, o ancora se sia citato in una delle intercettazioni telefoniche captate all’epoca.

«Se ciò è successo — ha tuonato ieri il presidente — io sono vittima, perché ero totalmente all’oscuro dei legami che Proietti aveva con questa donna, di quello che facevano. Vedia­molo questo fascicolo. Sono anni che vengo sottoposto ad attacchi, se qualcosa di imbarazzante esisteva l'avrebbero già tirato fuori. In ogni caso è il metodo scelto da Feltri che voglio combattere e per questo vo­glio discuterne in tribunale. È inac­cettabile che si tenti di estorcere una posizione o addirittura il consenso politico minacciando di tirare fuori dossier imbarazzanti. Io non ho nul­la di cui imbarazzarmi e dunque pre­sento una querela perché sia chiaro che le allusioni e il linguaggio intimi­datorio non mi spaventano».

Si aspetta Fini che qualche docu­mento sarà pubblicato, ma è pronto a rispondere, «perché quanto è acca­duto nel 2006 ha segnato l’anno del­la svolta nella mia vita privata, mi ha fatto capire chi avessi intorno». La scelta di interrompere i rapporti con Proietti arrivò quando si scoprì che aveva fatto favori al principe Sa­voia, ma anche per la gestione delle società che condivideva con la mo­glie di Fini, Daniela. E quell’indagi­ne portò alla luce anche l’attività di Salvatore Sottile, il portavoce accu­sato di aver avuto incontri sessuali con attrici e soubrette negli uffici di Palazzo Chigi e della Farnesina. Un colpo fortissimo per l’immagine del «capo», che decise così di fare piaz­za pulita tra i suoi collaboratori e da allora ha poi mostrato di aver preso una nuova rotta politica. «Le mie po­sizioni danno fastidio — ha chiesto ieri a chi gli è stato accanto per tutto il giorno –? Non saranno i ricatti di Feltri a farmi cambiare idea».

Fiorenza Sarzanini
16 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli effetti dei cocktail di alcol e droga su cinque donne
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2009, 10:33:43 am
Le carte: Gli effetti dei cocktail di alcol e droga su cinque donne

Quella maxi-partita di cocaina e i malori delle ragazze in Sardegna

Per gli investigatori nella villa affittata nel 2008 c’erano grosse quantità di stupefacenti


DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

BARI — Alla fine si torna sempre a quella vacanza in Sar­degna nell’estate del 2008. Si ricomincia a indagare su quel­la girandola di feste, incontri, nuove conoscenze che per Gianpaolo Tarantini — im­prenditore pugliese all’epoca già inserito nei giri che conta­no — significò realizzare il so­gno di una vita: diventare ami­co del premier Silvio Berlusco­ni. E si scopre che alcune circo­stanze raccontate sarebbero false, mentre altre sono state invece tenute nascoste. Per­ché nella villa presa in affitto a Porto Rotondo c’era un gran via vai di belle donne e ben cinque di loro si sarebbero sen­tite male dopo essere state stordite con un cocktail di al­col e droga. Ma soprattutto perché nella cassaforte dove Tarantini ha ammesso di aver custodito la cocaina ci sarebbe­ro stati ben più dei 70 grammi di cui ha parlato. «Visto il teno­re di vita della compagnia — ha sottolineato un investigato­re — quel quantitativo poteva bastare appena per un gior­no » .

MEZZO MILIONE - E’ costato oltre 500.000 euro il sog­giorno in Co­sta Smeralda pagato da Ta­rantini e orga­nizzato da Alessandro Mannarini, in quel periodo uno dei suoi collabora­tori più fidati. I conti sono sta­ti fatti proprio da quest’ultimo davanti ai magistrati che lo hanno interrogato qualche giorno fa. Anche lui è indaga­to per cessione di droga, il suo avvocato Marco Vignola esclu­de che stia collaborando. «Si difende — spiega — e chiari­sce gli aspetti che lo riguarda­no, vicende che inevitabilmen­te coinvolgono anche Taranti­ni » .

LA VILLA - Circa 70.000 euro costava la villa di Capriccioli, 2.000 euro all’ora l’uso di un aereo priva­to per gli spostamenti dalla Pu­glia alla Sardegna. Furono ac­quistate quattro auto di grossa cilindrata, si decise di affittare gommoni e moto d’acqua. Fu comprata una cucina e gli arre­di per rendere la dimora lus­suosa e confortevole. Si decise di ingaggiare quattro domesti­ci filippini. Furono bloccate per tutta l’estate stanze all’ho­tel Cala di Volpe e al Capriccio­li per essere certi di poter offri­re ospitalità agli amici. E so­prattutto si convenne di avere sempre a disposizione cocaina ed ecstasy. Nel suo interrogato­rio alla fine di luglio Tarantini ha negato di aver sciolto stupe­facente nel bicchiere di Eva Ca­valli che poi ebbe un malore. La circostanza è stata smentita anche dalla diretta interessata, ma emergerebbe dalle intercet­tazioni telefoniche.

CINQUE CASI DI ABUSO - In realtà sono cinque le don­ne che avrebbero avuto seri problemi per l’abuso di droga. E due di loro hanno presenta­to un esposto a Tempio Pausa­nia. Le denunce sono state ac­quisite dalla procura di Bari che in questi giorni ha chiesto spiegazioni proprio a Mannari­ni. In una conversazione capta­ta il 2 luglio 2008, la moglie di Massimiliano Verdoscia (anco­ra agli arresti domiciliari per la cessione degli stupefacenti) parla con la moglie di Taranti­ni. E le intima: «Devi dire a tuo marito di smetterla con quella cosa nei bicchieri... Tu lo sai che Babu (domestico al­le sue dipendenze) stamattina ha fatto il commento, dice che una ragazza è svenuta nel giar­dino e Babu l’ha presa e ha det­to: 'signora, ma che ha messo qualcosa nel bicchiere di Man­narini?'. Ti rendi conto? Devi dire a Gianpaolo che la deve fi­nire, che quella è una storia pe­ricolosa... » . Mannarini ha negato di es­sere il fornitore della droga: «Mi occupai del trasferimento dei bagagli in almeno quattro viaggi Bari-Olbia effettuati in auto, ma non fui io a prepara­re le valigie e non so che cosa contenessero. E’ possibile che ci fossero stupefacenti». Taran­tini afferma invece che fu pro­prio l’amico a fare da «corrie­re » e poi aggiunge: «L’aveva­mo comprata a Bari e ce la divi­demmo dopo essere arrivati». Ma — è questa l’accusa della Procura — «mente sul quanti­tativo e anche sui fornitori».

I TIMORI PER LA VITA - Il sospetto dei pubblici ministe­ri è che l’imprenditore sia riu­scito a ottenere una grossa «partita» grazie a conoscenze di malavitosi baresi e dunque anche a queste sue frequenta­zioni si riferisse quando ha ma­nifestato «timori per la mia vi­ta e per la mia famiglia». Il provvedimento eseguito ieri riguarda la droga ma è pos­sibile che già dopo l’udienza di convalida arrivino nuove contestazioni. Sibillino sul punto è apparso il procuratore Antonio Laudati: «Il fermo è stato compiuto in relazione a una prospettazione di spaccio, ma le indagini che seguiranno immediatamente dopo il fer­mo riguarderanno tutte le po­sizioni processuali di Taranti­ni ».

Fiorenza Sarzanini
19 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tarantini, spunta un sms di minacce
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2009, 11:02:42 am
INCHIESTA DI BARI

Tarantini, spunta un sms di minacce

Messaggio anonimo a una delle ragazze interrogate per le feste: stai attenta


BARI - C’è un sms che pro­va, secondo la Procura di Bari, le intimidazioni e le pressioni subi­te da almeno una delle ragazze interrogate sulle feste organizza­te nelle residenze del premier Silvio Berlusconi. È arrivato la scorsa settimana sul suo telefo­nino, prima del suo ingresso nel­la caserma della Guardia di Fi­nanza. Ed ha una conclusione eloquente: «Stai attenta». È sta­to inviato da un numero fisso di Roma – 0667…. – e adesso si sta cercando di risalire al mittente, visto che si tratta della derivazio­ne di un centralino.

L’episodio è raccontato nel­l’informativa che gli investigato­ri hanno consegnato ai pubblici ministeri la scorsa settimana per ricostruire gli indizi relativi al pericolo di fuga e di inquina­mento delle prove contestati a Gianpaolo Tarantini. Nella rela­zione si specifica che l’utenza «non è riconducibile all’indaga­to », ma quel messaggio viene in­serito in un quadro più generale di tentativi di condizionare le in­dagini al quale, sostiene l’accu­sa, lo stesso Tarantini non è estraneo. Anche perché chi lo ha scritto, evidenziano gli inve­stigatori, «era informato che la testimone doveva essere interro­gata ».

L’imprenditore nega con deci­sione di aver mai tentato di depi­stare le indagini e anche ieri, nel corso dell’udienza di convalida del fermo, ha ribadito di aver «collaborato sempre in maniera leale con l’autorità giudiziaria». In realtà alle donne ascoltate nei giorni scorsi è stato chiesto più volte se avessero subito avverti­menti o minacce prima di ri­spondere alle domande sui rap­porti con Tarantini, ma soprat­tutto su quanto avveniva duran­te le feste e le cene organizzate nelle residenze presidenziali. In­timidazioni che sembrano emer­gere, talvolta in forma velata, in alcune conversazioni intercetta­te.

Tarantini, dicono i pubblici ministeri, voleva intimidire gli altri indagati e i testimoni per al­leggerire la propria posizione. La sua intenzione, nella convin­zione dell’accusa, è quella di «ri­durre al minimo il danno per sé», ma anche per gli altri perso­naggi coinvolti nella vicenda, an­che se non indagati. Le contesta­zioni su questo punto riguarda­no contatti con giornalisti ai quali avrebbe promesso intervi­ste con l’intenzione di lanciare invece messaggi precisi ad alcu­ni suoi interlocutori sul compor­tamento da tenere in futuro. E con personaggi inseriti in altri ambienti, che avrebbero potuto esercitare condizionamenti ri­guardo allo svolgimento dell’in­chiesta. Proprio in questo conte­sto elencano le dichiarazioni pubbliche rilasciate la scorsa set­timana. «Ho risposto ad alcune domande — si è difeso l’impren­ditore —, ma non avevo alcuna intenzione di essere intimidato­rio, tanto che ho presentato un esposto proprio perché ritengo che la pubblicazione dei verbali mettesse in pericolo me e la mia famiglia».

Il gip gli ha creduto ed è que­sto, adesso, a preoccupare la Pro­cura riguardo alla tenuta dell’in­chiesta. La scelta del presidente del tribunale di affidare la deci­sione sulla convalida del fermo allo stesso giudice che un mese fa aveva già firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei con­fronti di Massimo Verdoscia (in­dagato insieme a Tarantini per cessione di droga) aveva rassicu­rato i pubblici ministeri, convin­ti che la conoscenza degli atti processuali da parte del gip avrebbe consentito loro di otte­nere ragione. Così non è stato e questo verdetto pesa adesso sul­le scelte future. Perché dovrà es­sere compiuta una rilettura dei tre fascicoli (stupefacenti, prosti­tuzione, corruzione nella sani­tà) e bisognerà disporre nuove verifiche prima di decidere le mosse da compiere in futuro.

Gli approfondimenti si con­centreranno pure sulla disponi­bilità patrimoniale dell’indaga­to in Italia e all’estero, sviluppan­do alcune tracce che secondo gli inquirenti già provano la sua vo­lontà di «sottrarsi allo svolgi­mento del processo». Nel prov­vedimento di fermo venivano ci­tati il viaggio in Tunisia effettua­to agli inizi di giugno e quello in Austria ad agosto, paventando la possibilità che proprio in Tu­nisia «l’indagato potrebbe crea­re una base». Ieri Tarantini ha di­chiarato che tutti i suoi sposta­menti «sono sempre stati comu­nicato alla polizia giudiziaria, al­la quale ho anche consegnato le fatture di alberghi e ristoranti proprio per dimostrare la mia permanenza in quei luoghi».

Il gip ha ritenuto che fosse in buona fede e dunque l’obiettivo dei pubblici ministeri è ora di­mostrare che la «rete» tessuta in questi anni è pronta a protegger­lo nel modo più efficace possibi­le, anche per evitare conseguen­ze sugli altri personaggi con i quali aveva rapporti.

Fiorenza Sarzanini
22 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I due messaggi di «allerta» da Roma che potevano salvare ...
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2009, 06:31:15 pm
Li aveva inviati la protezione civile

I due messaggi di «allerta» da Roma che potevano salvare Messina

Destinatari: la Regione e poi la Prefettura e i Comuni. Ma nessuno ha evacuato le zone a rischio

   
ROMA - C’è una catena di errori, omissioni e ritardi dietro la tragedia di Messina. Ci sono le responsabilità di chi sarebbe do­vuto intervenire per far fronte a due avvisi di emergenza che in­vece sembrano non essere stati tenuti nella giusta considerazio­ne e, da parte di alcuni enti, addi­rittura ignorati. Perché in caso di allerta massima deve essere avviata una procedura standard, invece qualcosa non ha funziona­to. E dunque non sarà difficile per chi indaga stabilire l’identità di chi doveva far scattare il pia­no, visto che i ruoli sono indivi­duati in una direttiva firma­ta nel febbraio del 2004 dal presidente del Consiglio che al­l’epoca era Silvio Ber­lusconi. E non basterà, come ha fatto ieri lo stesso premier, afferma­re che «la precipitazione è stata più intensa del previsto», perché le dispo­sizioni individuano gli strumenti da adottare an­che a fronte di eventi ecce­zionali come questo. È il 30 settembre quando il Dipartimento della protezio­ne civile dirama da Roma un «avviso di condizioni meteoro­logiche avverse».

Non è il solito allarme meteorologico, ma un bollettino che impone agli esper­ti di prendere contromisure parti­colari. E infatti l’ufficio stampa decide di evidenziarlo con un co­municato che viene diramato po­co dopo. «Dal primo pomeriggio di domani giovedì 1˚ ottobre 2009 e per le successive 24/36 ore — è scritto nel documento in­viato ai responsabili della prote­zione civile regionale e ai prefetti della Sicilia, del Lazio e della To­scana — si prevedono precipita­zioni sparse a prevalente caratte­re di rovescio o temporale anche di forte intensità, su Lazio e sulla Sicilia. I fenomeni saranno ac­compagnati da forti raffiche di vento e attività elettrica». La direttiva approvata cinque anni fa parla chiaro e stabilisce che sia il Centro Funzionale a va­lutare gli scenari di rischio. In Si­cilia questa struttura non è ope­rativa e dunque i suoi compiti so­no affidati alla Regione. «Tocca a loro — chiarisce l’ingegner Pao­la Pagliara, responsa­bile del servizio idro­geologico del Dipar­timento della Prote­zione Civile — dira­mare gli avvisi da in­viare alle prefetture e agli enti locali, in questo caso i Comuni».

Un obbli­go reso ancor più pressante il giorno successivo, poche ore pri­ma del disastro. Poco prima delle 15 del 1˚ ot­tobre viene diramato un nuovo notam che evidenzia le «condi­zioni avverse» e torna a inserire la Sicilia nelle zone dove sono previsti «temporali anche di for­te intensità», ma soprattutto a sottolineare l’arrivo di «venti for­ti con raffiche di burrasca, dai quadranti occidentali». In situa­zioni del genere la catena di in­tervento parte dal presidente del Consiglio Regionale e arriva fino ai sindaci perché sono le struttu­re presenti sul territorio a dover conoscere quali siano le aree maggiormente esposte al perico­lo di fronte a eventi meteorologi­ci di particolare intensità. Non a caso un intero capitolo della di­rettiva è dedicato al rischio fra­ne. Il documento riconosce «la difficoltosa prevedibilità di que­sto tipo di fenomeno» e per que­sto «impone di dedicare la massi­ma attenzione sia alle fasi che precedono e accompagnano l’evento, tra le quali è da inten­dersi la previsione delle situazio­ni locali oltre a quelle generali, sia a quelle che è necessario pro­trarre anche dopo la fine del­l’evento stesso. Gli scenari di ri­schio e la loro evoluzione nel tempo reale dovranno quindi, e per quanto possibile, essere for­mulati anche sulla base di speci­fiche e dettagliate osservazioni effettuate sul campo, le quali po­tranno essere opportunamente affidate e organizzate anche nel­l’ambito dei piani comunali d’emergenza». Linguaggio buro­cratico che però evidenzia quan­to doveva essere fatto: esamina­re la situazione nei paesi che si trovano sotto la montagna e, di fronte al salire dell’intensità del temporale, valutare pure l’ipote­si di evacuare quelle abitazioni costruite dove più alto era il ri­schio di smottamento del terre­no. Nulla di tutto questo, alme­no a quanto risulta sino ad ora, è stato fatto. E quindi bisognerà stabilire chi — tra Regione, pro­tezione civile locale, prefettura e Comuni — abbia lasciato cadere l’allarme decidendo che non era il caso di intervenire nonostante la doppia segnalazione di ri­schio.

Fiorenza Sarzanini
05 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nel video un incontro privato del governatore del Lazio
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2009, 09:46:59 am
Lui: «non mi hanno estorto soldi»

Nel video un incontro privato del governatore del Lazio

L'indagine nata per caso: da intercettazioni si scopre che qualcuno cerca di vendere a una so­cietà il filmato


ROMA - Sono stati arre­stati per un’estorsione da 80.000 euro al presidente del­la Regione Lazio, Piero Mar­razzo. Soldi che sarebbero sta­ti versati in quattro tranche per evitare la diffusione di un video che ritraeva l’esponen­te del Partito democratico in momenti intimi. Sono quat­tro i carabinieri finiti in carce­re. Sottufficiali in servizio presso la Compagnia Trionfa­le di Roma accusati di estor­sione, ma anche di altri reati, compreso lo spaccio di so­stanze stupefacenti. A cattu­rarli sono stati giovedì mattina i loro colleghi del Ros, il rag­gruppamento operativo spe­ciale, che appena poche ore prima avevano interrogato lo stesso Marrazzo. Il governato­re non aveva infatti presenta­to alcuna denuncia, dunque dopo aver ascoltato la sua ver­sione si è deciso di far scatta­re l’operazione.

L’indagine nasce casual­mente, nell’ambito di accerta­menti che riguardavano una vicenda completamente di­versa. Circa sei mesi fa, ascol­tando alcune conversazioni intercettate, gli investigatori scoprono che qualcuno sta cercando di vendere a una so­cietà di produzioni televisive di Milano un filmato che ri­trae Marrazzo insieme ad un’altra persona in atteggia­menti privati. Si decide così di attivare nuovi controlli e si scopre che chi ha in mano la videocassetta è riuscito ad ar­rivare anche al governatore per ricattarlo. I colloqui capta­ti sui telefoni degli indagati consentono di stabilire che il video è stato girato nel corso di un’irruzione effettuata nel­l’abitazione di questa perso­na che Marrazzo avrebbe già incontrato in precedenza e con la quale si stava intratte­nendo. Le richieste di denaro co­minciano dopo poco, con la minaccia esplicita di diffonde­re le immagini compromet­tenti. Ed è proprio a questo punto che, secondo l’accusa, sarebbe stata presa la decisio­ne di pagare, ma non è chiaro se i versamenti siano avvenu­ti direttamente o attraverso intermediari. Così come non si sa se sin dall’inizio fossero state pretese diverse tranche o se invece gli estorsori abbia­no deciso di approfittare del­la situazione pretendendo sempre più soldi. Resta il fat­to che in sei mesi sarebbero riusciti a ottenere 80.000 eu­ro ed è probabile che avrebbe­ro continuato la loro attività illecita se il Ros non fosse in­tervenuto per fermarli.

Durante l’interrogatorio av­venuto mercoledì Marrazzo avrebbe spiegato di non ave­re avuto alcuna percezione che i ricattatori erano carabi­nieri. Del resto sembra che gli stessi investigatori del Ros abbiano capito di avere a che fare con colleghi soltanto quando le verifiche erano or­mai in fase avanzata. Durante i tentativi di vendere il filma­to i quattro non hanno mai fatto cenno al proprio ruolo all’interno dell’Arma, cercan­do anzi di mascherarsi utiliz­zando telefoni privati e na­scondendo in ogni modo la propria identità. Già tre anni fa - indagan­do su un’attività di spionag­gio messa in piedi dai collabo­ratori dell’allora presidente della Regione Francesco Sto­race che volevano screditare gli avversari nella corsa per il governatore - un investiga­tore privato confessò che era stato messo in piedi un com­plotto «per distruggere Mar­razzo non solo sul terreno po­litico, ma anche su quello pri­vato» e chiarì che il proposito era stato abbandonato soltan­to perché «non ci siamo fida­ti delle persone che avevamo ingaggiato».

Possibile che anche i quat­tro carabinieri facciano parte di un complotto? Le verifiche svolte finora avrebbero esclu­so l’esistenza di mandanti, ma soltanto quando comince­ranno gli interrogatori degli arrestati si potrà comprende­re meglio in quale ambito si siano mossi. Il governatore avrebbe infatti frequentato di­verse volte quell’abitazione dove è stato poi filmato e dunque non si può escludere che i carabinieri lo abbiano sa­puto attraverso una «soffia­ta». Del resto i sottufficiali so­no entrati nell’appartamento vestiti «in borghese», utiliz­zando uno stratagemma, e co­sì sarebbero riusciti a sor­prendere il presidente Mar­razzo. Secondo i primi accer­tamenti i militari del Trionfa­le avevano messo in piedi una vera e propria associazio­ne per delinquere che, oltre all’estorsione di Marrazzo, avrebbe compiuto altri gravis­simi reati come la detenzione e lo spaccio di stupefacenti. Non è chiaro da dove prove­nisse la droga, ma non è escluso che siano riusciti a procurarsela proprio nell’am­bito della loro attività illecita legata a questa storia.

Fiorenza Sarzanini

23 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I ricattatori gli avrebbero chiesto anche un trasferimento.
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2009, 04:18:11 pm
IL CASO LAZIO

Marrazzo, si cerca altro video

I ricattatori gli avrebbero chiesto anche un trasferimento.

Forse altre vittime. Le immagini sequestrate a «Chi»

   
ROMA - «Mi sono venuti sotto al­tre volte». È questa frase, pronuncia­ta da Piero Marrazzo al termine del­l’interrogatorio del 21 ottobre scor­so, a svelare quanto forti fossero le pressioni esercitate dai carabinieri che lo ricattavano. Dopo l’irruzione nella casa di via Gradoli avvenuta agli inizi di luglio, li incontrò altre volte. Volevano soldi, ma chiedeva­no anche favori. In particolare pre­tendevano un suo intervento affin­ché uno di loro ottenesse il trasferi­mento dalla caserma di via Trionfale. In mano avevano i suoi tre assegni per un totale di 20.000 euro e il video che lo ritraeva insieme ad un transes­suale. Ma forse avevano anche altro. Le indagini si concentrano sulla pos­sibilità che esista un secondo filmato dove il governatore della Regione La­zio è ripreso in un’occasione diversa e con lui ci sono due transessuali.

Altri ricatti
Adesso le indagini dovranno veri­ficare perché, mentre trattavano con il governatore, i carabinieri poi arre­stati abbiano tentato in ogni modo di vendere le immagini a giornali e televisioni. Se il loro obiettivo era quello di tenerlo sotto scacco, dove­vano essere consapevoli che la pub­blicazione — anche parziale — avreb­be fatto svanire la possibilità di otte­nere da lui nuovi vantaggi. E dunque non si può escludere che si fossero messi al servizio di qualcuno e stesse­ro eseguendo nuove disposizioni, an­che con la speranza di ricavare mag­giori guadagni. Max Scarfone — il fo­tografo noto per aver ritratto il porta­voce del governo Prodi Silvio Sirca­na mentre si avvicina con l’auto ad un transessuale — li conosceva be­ne, tanto da aiutarli a prendere con­tatti con «testate giornalistiche ed agenzie » . Durante l’interrogatorio ha eviden­ziato «i loro innumerevoli contatti negli ambienti criminali della città», ma soprattutto «le rilevanti risorse patrimoniali che hanno a disposizio­ne ». Gli stipendi dei sottufficiali del­l’Arma si aggirano sui 1.500 euro al mese. Da dove arrivavano gli altri sol­di? L’ipotesi esplorata dagli inquiren­ti è che altri ricatti possano essere stati portati avanti, altri clienti mi­nacciati. Almeno due militari arresta­ti hanno ammesso di avere buoni confidenti nell’ambiente dei transes­suali di quella zona. Persone dispo­ste a fornire la «soffiata» giusta pur di poter continuare a svolgere le pro­prie attività illecite come lo sfrutta­mento e lo spaccio di droga. Dunque a segnalare la partecipazione di per­sonaggi pubblici a incontri e festini. Ed è proprio questa certezza investi­gativa ad avvalorare l’ipotesi che ci si­ano vittime di altri ricatti. Del resto l’eventualità di finire nei guai non sembrava spaventarli: il carabiniere scelto Carlo Tagliente era già finito sotto stretta osservazione dei suoi su­periori per alcune violazioni discipli­nari, sospettato pure di essere un consumatore di stupefacenti.

«Sembrava in trance»
Intorno a Marrazzo erano riusciti a stringere una tenaglia. Lo tenevano sotto pressione e intanto trattavano la vendita del filmato. Mostravano un video di un minuto e mezzo, cer­tamente parte di un film molto più lungo. Una sorta di «promo» per cat­turare l’interesse dei possibili acqui­renti prima di consegnare tutto il «gi­rato » che potrebbe durare addirittu­ra quindici o venti minuti. Questo al­meno sospettano gli investigatori del Ros dopo aver ascoltato le inter­cettazioni telefoniche e ambientali dei loro colleghi che forniscono det­tagli ai propri interlocutori. La scor­sa settimana ne hanno sequestrato una copia nella redazione di «Chi», il settimanale della Mondadori diretto da Alfonso Signorini, e questo vuol dire che la trattativa era già in una fa­se avanzata. Agli inizi di settembre «Oggi» aveva invece visionato le im­magini, ma non le aveva ritenute in­teressanti.

Era stato pro­prio Scarfone a contatta­re l’inviato Giangavino Sulas. «Mi diedero ap­puntamento in piazza Mazzini — conferma il giornalista — e lì, oltre al fotografo, trovai un certo Antonio che mi disse subito di essere un carabiniere. Dopo un lun­go giro in macchina mi portarono in un appartamento nella zona nord do­ve c’era un altro uomo che negò inve­ce di appartenere all’Arma. Mi fecero vedere il filmato che era di pessima qualità e con l’audio abbassato. Era stato certamente girato con un telefo­nino. Indugiava sui particolari, si chiudeva con un’inquadratura della targa dell’auto di servizio del presi­dente, una Lancia K. Ma la cosa che mi colpì fu proprio Marrazzo che si appoggiava allo stipite di una porta e sembrava quasi in trance. Era robac­cia e d’accordo con il mio direttore comunicammo di non essere interes­sati » . Il presidente della Regione, ed ex conduttore di «Mi manda Raitre», ha raccontato durante il suo interrogato­rio di essere stato minacciato dai due carabinieri che fecero irruzione nel­l’appartamento «perché volevano i soldi». Ha ammesso di aver staccato i tre assegni per paura dell’arresto, vi­sto che nella stanza c’erano strisce di cocaina. Ha anche aggiunto che «la droga era sparita dopo che loro usci­rono dalla casa», così facendo presu­mere che se la siano portata via. Ma potrebbe aver omesso alcuni dettagli di quell’episodio e di quanto è avve­nuto nei giorni successivi sulle ri­chieste ricevute.

Fiorenza Sarzanini
25 ottobre 2009


Titolo: SARZANINI. Marrazzo avvertito da Berlusconi: a Milano hanno un video...
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2009, 09:43:15 am
Il retroscena dell'inchiesta

Marrazzo avvertito da Berlusconi: a Milano hanno un video contro di te

Venne offerto alla Mondadori.

Il governatore cercò di acquistarlo da un’agenzia


ROMA — Tre giorni prima dell’arresto dei carabinieri del­la Compagnia Trionfale, Silvio Berlusconi ha avvisato Piero Marrazzo che alla Mondadori era stato offerto il video che lo ritraeva in compagnia di un transessuale. E il governatore del Lazio ha contattato l’agen­zia fotografica Photo Masi per cercare di recuperare quel fil­mato. È l’ultimo, clamoroso, retro­scena che emerge dall’indagi­ne sul ricatto al presidente della Regione. Rivela infatti come lo stesso Marrazzo — proprio come era avvenuto a luglio quando fu sorpreso nel­l’appartamento romano di via Gradoli — abbia deciso di non presentare alcuna denun­cia, cercando invece di chiude­re personalmente la partita. Comincia tutto la scorsa setti­mana quando l’agenzia Photo Masi di Milano contatta il set­timanale Chi e offre il video.


LA CHIAMATA DA ARCORE - Racconta il direttore Alfonso Signorini: «Me l’ha offerto la ti­tolare Carmen Masi e io l’ho preso in visione. Mi disse che il prezzo era di 200.000 euro trat­tabili. Ho spiegato subito che non mi interessava, però — co­me spesso avviene per vicende così delicate — ho detto che ne avrei parlato con i vertici del­l’azienda. Ho subito informato la presidente Marina Berlusco­ni e l’amministratore delegato Maurizio Costa, con i quali ab­biamo concordato di rifiutare la proposta».
È a questo punto che, presumibilmente, la stes­sa Marina Berlusconi avvisa il padre di quanto sta accadendo. Lunedì scorso il presidente del Consiglio visiona le imma­gini. Poi chiama Marrazzo. Lo confermano ambienti vicini al capo del governo e lo stesso Marrazzo — quando ormai la vicenda è diventata pubblica — lo racconta ad alcuni amici, anche se non specifica a tutti chi sia l’interlocutore che lo ha messo in guardia. Durante la telefonata Berlu­sconi lo informa che il video è nella mani della Mondadori, gli assicura che la sua azienda non è interessata all’acquisto e gli fornisce i contatti della Pho­to Masi in modo da cercare un accordo direttamente con loro.
L’obiettivo del capo del gover­no appare chiaro: smarcare il suo gruppo editoriale da even­tuali accuse di aver gestito il fil­mato a fini politici, ma anche mostrare all’opposizione la sua volontà di non sfruttare uno scandalo sessuale. Una mossa che arriva al termine di trattati­ve con altri quotidiani a lui vici­ni che avevano comunque rite­nuto il filmato «non pubblicabi­le », come ha sottolineato il di­rettore di Libero , Maurizio Bel­pietro, quando ha raccontato di averlo visionato.


L'INTERMEDIARIO - In ogni caso il governatore capisce che si è aperta una via d’uscita, probabilmente è con­vinto di potersi così sottrarre al ricatto dei carabinieri.
Telefo­na alla titolare della società e prende un appuntamento per il mercoledì successivo. L’ac­cordo prevede che sia un suo intermediario ad andare a Mila­no.
È il «metodo Corona», con la vittima che tenta di far spari­re dal mercato materiale com­promettente. Carmen Masi avverte Max Scarfone, il fotografo che ha avuto il video dai militari del Trionfale e ha incaricato lei di occuparsi della vendita. Gli pre­nota via Internet un biglietto ferroviario per farlo andare nel capoluogo lombardo e assiste­re all’incontro. Gli investigatori del Ros capi­scono che devono intervenire perché la trattativa è nella fase finale, dunque il filmato ri­schia di essere distrutto con l’eliminazione della prova del­l’estorsione. Alle 23 di martedì scorso bloccano Scarfone alla stazione e lo portano in caser­ma per l’interrogatorio. Il foto­grafo conferma quanto già emerge dalle intercettazioni te­lefoniche. All’alba viene perqui­sita la Photo Masi e sequestrata una copia del video. Alle 18 la stessa squadra del Ros entra nella redazione di Chi per prendere la seconda co­pia. L’appuntamento con il governatore viene immediata­mente annullato.


LO STUPORE DEI PM - Il giorno dopo Marrazzo è convocato in Procura. «Crede­vo che i magistrati dovessero parlarmi di qualche indagine le­gata agli appalti», racconterà poi ai collaboratori. E i pubbli­ci ministeri gli comunicano di aver scoperto il ricatto dei cara­binieri, lo interrogano come parte lesa. Lui racconta l’irruzione, spie­ga di aver consegnato gli asse­gni, ammette anche che nella casa del transessuale c’era coca­ina. Ma nulla dice di quanto lui ha tentato di fare per cercare di bloccare la pubblicazione del video. Di fronte ai magistrati si mostra anzi stupito che ci sia per le conseguenze. A questo punto c’è una sorta di «patto tra gentiluomini» come lo definiscono negli ambienti giudiziari. Si decide che, quan­do la notizia sarà pubblica con l’arresto dei 4 carabinieri, lui dovrà dire che si tratta di una «vicenda privata» e nessun al­tro fornirà dettagli. E invece, di fronte al clamore, Marrazzo rea­gisce in maniera diversa. Parla di una «bufala», addirittura ipotizza che quel filmato sia «un falso» lasciando così inten­dere che all’interno dell’Arma sia stato ordito un complotto ai suoi danni. Una linea di dife­sa incomprensibile, visto che lui stesso ha appena ammesso tutto davanti ai magistrati, che alla fine lo costringe alla resa. E adesso i magistrati stanno veri­ficando se quanto è stato sco­perto finora — uso dell’auto di servizio, droga nell’apparta­mento del trans — possa far cambiare la sua posizione giu­diziaria.

Fiorenza Sarzanini

26 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Così il governatore trattò per avere il video
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2009, 06:59:45 pm
 Il retroscena

Così il governatore trattò per avere il video

Avrebbe cercato di comprare le immagini: «Vi manderò il mio legale. So che avete qualcosa che mi riguarda»


ROMA — «Manderò un legale per firmare il contratto». Così, lunedì scorso, Piero Marrazzo aveva chiuso la telefonata con la titolare del­l’agenzia Photomasi che aveva in esclusiva il suo filmato insieme ad un transessuale. L’appun­tamento era stato fissato per le 20 di mercoledì nello studio dell’avvocato milanese Marco Eller Vainicher da una persona che il giorno dopo ave­va telefonato a nome di Marrazzo per conferma­re. A bloccare tutto è stato il blitz dei carabinieri del Ros che hanno deciso di intervenire per evi­tare la distruzione della prova del reato commes­so dai loro colleghi, accusati di aver ricattato lo stesso Marrazzo.

Quello stesso mercoledì il pre­sidente della Regione Lazio è stato convocato dai pm romani. Ha raccontato di essere stato av­visato da Silvio Berlusconi dell’esistenza del fil­mato, ma nulla ha detto dei suoi tentativi di far­lo sparire dalla circolazione, omettendo anche il nome della persona che ha confermato per suo conto l’appuntamento. Che cosa voleva nascon­dere? Aveva sollecitato altre garanzie alla socie­tà? In un’intervista che sarà pubblicata dal setti­manale Oggi Carmen Masi racconta i contatti con il governatore specificando che la sua telefo­nata «mi fu preannunciata da un giornalista del­la Mondadori». Si sa che il contratto doveva pre­vedere la vendita in esclusiva per ottenere la cer­tezza che da quel momento nessuno avrebbe mai più avuto nella disponibilità il video. Ma questo non spiega comunque l’atteggiamento del governatore e la sua scelta di non denuncia­re quanto stava accadendo. Come poteva essere sicuro che qualcuno non ne possedesse altre co­pie? E soprattutto, dopo essere stato ricattato dai carabinieri, chi avrebbe potuto garantirgli che non ci fossero in giro fotografie o altro mate­riale compromettente? Del resto sapeva bene che i militari del Trionfale avevano in mano tre assegni da lui firmati — uno da 10.000 euro e due da 5.000 — che aveva staccato quando fu sorpreso in casa con la transessuale. E questo avrebbe dovuto fornirgli la consapevolezza che non poteva bastare l’acquisto del filmato per avere la certezza di essere al riparo da ulteriori conseguenze.

Anche perché, nonostante abbia raccontato di aver dato incarico al suo segreta­rio di denunciare lo smarrimento dei titoli, si sa che nessun esposto è stato poi presentato. Troppi dettagli di questa storia rimangono oscuri. E il principale riguarda proprio i soldi che Marrazzo è stato disposto a versare purché questa vicenda non venisse resa nota. Si sa che per il video era stato fissato un prezzo di vendita di 200.000 euro. L’agenzia aveva comunicato ad Antonio Tamburrino — uno dei carabinieri poi arrestati, accusato soltanto di ricettazione — che si trattava di una cifra troppo elevata. «Il mio cliente — chiarisce il difensore Mario Grif­fo — si era fatto portavoce della richiesta dei suoi colleghi, ma è in grado di dimostrare di non avere alcuna consapevolezza che si trattas­se di materiale di provenienza illecita», motivo che giustificherebbe una richiesta tanto esosa. «Al telefono con Marrazzo non si parlò di ci­fre », racconta Carmen Masi a Oggi non confer­mando così che il prezzo pattuito potesse essere di circa 90.000 euro. Si sa che il governatore con­tattò la donna da un telefono cellulare, si qualifi­cò e aggiunse: «So che lei ha qualcosa che mi riguarda». Poi comunicò la sua intenzione di af­fidarsi a un legale per cercare di chiudere al più presto la partita, nonostante fosse ancora aperta quella con i carabinieri che lo ricattavano. Quanti soldi aveva consegnato loro? Ai magi­strati Marrazzo non ha mai parlato di soldi versa­ti in contanti. Ma gli investigatori sospettano che i 5.000 euro fossero una delle tranche pattui­te per comprare il silenzio dei carabinieri anche se lui dice che loro glieli hanno rubati.

Fiorenza Sarzanini

27 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’ipotesi di video su altri clienti
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2009, 10:39:01 am
L’inchiesta - Da oggi cominciano gli interrogatori. Le contraddizioni tra l’ex presidente della Regione e Natalie

Marrazzo, nuove accuse ai ricattatori

I carabinieri arrestati avrebbero rapinato numerosi trans.

L’ipotesi di video su altri clienti


ROMA — I carabinieri che ri­cattavano Piero Marrazzo avrebbero compiuto altre rapi­ne. A confermare il sospetto de­gli investigatori del Ros è stato Natalie, 37 anni, il transessuale filmato in compagnia del go­vernatore. Durante i suoi due interrogatori della scorsa setti­mana ha riferito nomi e circo­stanze. Questa parte della sua deposizione è stata coperta da omissis, probabilmente per na­scondere il nome dei clienti presenti durante le irruzioni. Dieci giorni dopo la scoperta dell’esistenza del video utilizza­to per tenere sotto pressione il presidente della Regione La­zio, si rafforza l’ipotesi che al­tri incontri possano essere sta­ti «ripresi». E dunque che an­che ad altre persone possano essere stati chiesti soldi in cam­bio del silenzio.

Ci sono diversi brani del ver­bale che i pubblici ministeri hanno «omissato». L’attendibi­lità di Natalie — all’anagrafe Jo­sé Alexandre Vidal Silva — è confermata dalla scelta dei ma­gistrati di concedere un per­messo di soggiorno a fini di giustizia. E questo fa ritenere che abbia fornito elementi pre­ziosi per verificare quanto am­pio fosse il «giro» dei militari in servizio presso la Compa­gnia Trionfale, tuttora rinchiu­si in una sezione speciale del carcere di Rebibbia. «Sono mol­to noti nell’ambiente dei trans — ha affermato il transessuale — perché soliti entrare nelle ca­se e rubare tutti i soldi e gli og­getti di valore. A una mia ami­ca transessuale di nome Raquel che abita in Due Ponti 150, da quanto da lei riferito­mi, hanno rapinato 1.600 euro in contanti, un computer e tan­ti profumi di marca».

Natalie tornerà al palazzo di giustizia nei prossimi giorni, ma prima — domani pomerig­gio — il pubblico ministero ascolterà Nicola Testini, Lucia­no Simeone e Carlo Tagliente, accusati di estorsione e altri re­ati. Nessuna richiesta è stata presentata per Antonio Tam­burrino, accusato soltanto del­la ricettazione del filmato, e questo — sottolinea il suo lega­le Mario Griffo — «conferma come le posizione processuali siano molto diverse». In vista dell’udienza del Tribunale del Riesame fissata per mercoledì, il magistrato ha deciso di ascol­tare nuovamente Marrazzo, for­se addirittura già oggi.

Sono ancora troppe le con­traddizioni e le omissioni che emergono da una lettura com­parata dei verbali riempiti dai protagonisti di questa vicen­da. E quelle più evidenti ri­guardano proprio la ricostru­zione fornita dal governatore e quella di Natalie, anche su dettagli apparentemente bana­li, quasi accreditando la possi­bilità che in realtà siano stati due gli incontri filmati.

Nel primo interrogatorio il transessuale sostiene che l’irru­zione dei carabinieri avviene a giugno, Marrazzo parla degli inizi di luglio. Secondo Natalie era pomeriggio, il governatore dice invece «le prime ore della mattina » .

L’ex presidente della Regio­ne dovrà poi precisare quanti soldi abbia davvero versato ai carabinieri (finora ha detto che furono portati via 2.000 euro suoi e 3.000 di Natalie) e, so­prattutto, se quella mazzetta di banconote che si vede nel filmi­no fosse il prezzo del ricatto. «Erano almeno 15.000 euro», ha raccontato agli investigatori del Ros Max Scarfone, il foto­grafo che fece da intermediario per vendere il filmato. «Erano certamente tanti, molto più di 5.000. Una «pila» alta: sotto quelli da cinquecento euro e poi quelli da cento, fino ad arrivare a quelli da cinquanta e da dieci», ha aggiunto Giangavino Sulas, il giornalista di Oggi che ha potuto vedere il vi­deo. Ma soprattutto dovrà dire se è vero che dopo l’irruzione chiese a Natalie di rag­giungerlo a casa — co­me ha raccontato il transessuale — e, in ca­so affermativo, per quale ragione.

Ancora tutti da chia­rire anche i rapporti tra i carabinieri arresta­ti e Gianguarino Cafas­so, lo spacciatore mor­to qualche settimana fa, che per primo aveva tentato di vendere il video. I militari so­stengono che fu proprio lui a filmare Marrazzo, ma i magi­strati ritengono questa versio­ne «non credibile», anche se proseguono gli accertamenti per capire quale sia stato il suo ruolo effettivo.

Fiorenza Sarzanini

02 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il mistero della droga e il ruolo di Cafasso
Inserito da: Admin - Novembre 04, 2009, 11:28:29 am
Il pusher morto disse al suo legale: io c’ero. Ma l’ex presidente della Regione NEGA

Il mistero della droga e il ruolo di Cafasso

Le versioni discordanti del giornalista sulla cocaina nell’appartamento di via Gradoli

   
ROMA — Al suo difensore lo aveva confidato subito: «So­no stato presente». E adesso attorno a quelle parole pro­nunciate da Gianguarino Ca­fasso — il pusher morto il 12 settembre che per primo ave­va cercato di vendere il video di Piero Marrazzo in compa­gnia del transessuale — ruota uno dei misteri principali del­la vicenda che ha costretto al­le dimissioni il governatore del Lazio. Perché per arrivare alla verità bisogna scoprire chi c’era davvero in quell’ap­partamento quando fecero ir­ruzione due carabinieri della Compagnia Trionfale.

La versione fornita durante l’interrogatorio di due giorni fa dall’ex presidente della Re­gione non ha affatto convinto i pubblici ministeri. Lo convo­cheranno ancora, ma intanto stanno valutando le sue di­chiarazioni, certi che siano an­cora troppi i punti che non ha chiarito. Uno su tutti: quanti soldi sono stati versati e a chi. Dunque, è dalle sue affer­mazioni che bisogna ripartire per individuare tutti i tasselli di questa storia. E così verifi­care come mai prima Cafasso e poi i carabinieri abbiano de­ciso di mettere il filmato in vendita, trasformando un po­tenziale ricatto alla vittima in una trappola politica che lo ha stritolato. Marrazzo nega che il 3 lu­glio scorso Cafasso fosse nel­l’appartamento. I primi a smentirlo sono stati i carabi­nieri arrestati, fornendo una spiegazione che appare plausi­bile: «C’era poiché lui è il clas­sico 'pappone' dei transessua­li ed era lì per prendere la sua parte di soldi». E l’avvocato Cinquegrana, legale del pu­sher, ha aggiunto: «Cafasso mi disse che il video era stato girato dai carabinieri e che lui era presente».

Nei suoi inter­rogatori l’avvocato ha mostra­to di aver preso parte attiva ai tentativi di trovare un acqui­rente per il filmato, tanto che alla fine ha dovuto ammette­re: «Mi chiese di aiutarlo e mi chiese in particolare se cono­scevo qualche giornale di cen­trodestra e io mi ricordai che un mio collega qualche tem­po prima aveva conosciuto una giornalista di Libero . Era­vamo d’accordo con il Cafas­so che qualora fosse andata a buon fine la trattativa della vendita, mi avrebbe versato un onorario ben definito». Erano in molti, evidente­mente, a dover guadagnare qualcosa da questa storia e forse è proprio questo il moti­vo che li spinge adesso a mentire.

Ma che cosa nascon­de Marrazzo, perché — lui che ha invece già perso mol­tissimo — continua a mo­strarsi reticente? «I soldi ser­vivano anche per la cocai­na », ha affermato nell’inter­rogatorio di lunedì, ammet­tendo così di farne uso, ma continuando a negare che il 3 luglio ne avesse a disposi­zione. Eppure nel filmato le strisce già pronte sono ben visibili, la stessa Natalie ha ricono­sciuto come suo il piatto dove sono sistemate accanto a una cannuccia per l’aspirazione e a una banconota arrotolata. Se — come sostie­ne l’ex presidente della Regio­ne — Cafasso non c’era, chi aveva portato la coca? Il 20 ottobre, quando fu convocato dal procuratore di Roma, prima dell’arresto dei quattro carabinieri Marrazzo affermò: «Mi accorsi a un cer­to punto che c’era polvere bianca, ma io non ne ho fatto uso. Preciso di aver notato la polvere bianca solo durante la permanenza dei due uomi­ni. Infatti posso avanzare l’ipotesi che siano stati loro a mettere la polvere bianca sul tavolino». È una versione che non ha ribadito nell’ulti­mo interrogatorio, consape­vole che avrebbe rischiato un’accusa di calunnia nei confronti dei militari. L’ex governatore avrebbe fatto marcia indietro anche ri­guardo ai tre assegni (uno da diecimila euro e due da 5.000 euro ciascuno) che inizial­mente aveva detto di aver con­segnato ai due «perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità». Del resto lui stesso ha dichia­rato lunedì di non essersi «mai sentito ricattato». E poi ha aggiunto: «È stata una rapi­na ». Eppure il suo segretario aveva presentato una denun­cia di smarrimento di quei ti­toli, proprio come lui gli ave­va chiesto. Ed è su questo ulte­riore mistero che si concentra­no adesso le verifiche, per sta­bilire se gli assegni possano essere finiti in mano a qual­che altro protagonista di que­sta vicenda.

Fiorenza Sarzanini

04 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: «Il video con due trans? Presi cocaina, non ricordo»
Inserito da: Admin - Novembre 05, 2009, 10:21:04 am
I verbali dell’ex presidente

«Il video con due trans? Presi cocaina, non ricordo»

Il sospetto: nel telefonino del pusher immagini di altri clienti


ROMA — Filmato in un apparta­mento mentre si intrattiene con due transessuali. È questo l’ultimo incu­bo di Piero Marrazzo. Perché lunedì scorso, quando è stato ascoltato per la seconda volta, l’ex presidente del­la Regione Lazio ha ammesso di aver avuto rapporti a pagamento con altri viados, oltre a quelli con Natalie. E così ha confermato quanto già emer­geva dagli accertamenti compiuti in­terrogando proprio i brasiliani che abitano tra via Gradoli e via Due Pon­ti.

Stordito dalla cocaina
Afferma Marrazzo: «Ho avuto in­contri di questo tipo con un certo Brenda, nome che ho letto sui giorna­li in questi giorni e che mi sembra di ricordare. Nell’occasione di un incon­tro con Brenda ricordo che è passato anche un altro trans di cui non ram­mento il nome. Mi sembra che ho avuto solo due incontri con Brenda». E poi aggiunge: «Non sono a cono­scenza di video o foto scattate da Brenda in queste occasioni, ma il mio stato confusionale negli stessi dovuto all’assunzione di cocaina non mi mette in condizioni di saper­lo». In realtà era stato proprio Brenda a raccontare di un festino al quale partecipò l’allora governatore. «Con noi c’era anche Michelle — ha verba­lizzato — ma adesso sta a Parigi. Io avevo quel video, ma quando è co­minciata questa storia l’ho distrutto perché ho avuto paura. Lo tenevo nel mio computer e mi è capitato di farlo vedere. Anche Michelle ne ave­va una copia». In giro — oltre al fil­mato originale dell’irruzione che du­ra circa 13 minuti — ci sono dunque nuove immagini dell’ex presidente della Regione Lazio. Non solo. Dopo aver ascoltato numerosi transessuali della zona, gli investigatori del Ros si sono convinti che altri clienti possa­no essere stati ripresi mentre si in­trattenevano negli appartamenti con i viados. E questa pista investigativa porta ancora una volta a Gianguari­no Cafasso, il pusher morto il 12 set­tembre scorso che per primo ha cer­cato di vendere il video di Marrazzo con Natalie durante l’irruzione dei due carabinieri del Trionfale.


Il telefonino buttato
Rino, così era conosciuto, era noto nell’ambiente dei transessuali pro­prio perché li riforniva di cocaina. E il sospetto degli inquirenti è che in alcune occasioni entrasse negli ap­partamenti mentre erano in compa­gnia del cliente. Con uno di loro, Jen­nifer, conviveva da tempo e due gior­ni fa, quando hanno scoperto che era sotto processo perché clandestino e dunque in via di espulsione, i pubbli­ci ministeri hanno deciso di interro­garlo subito. «Ci amavamo — ha rac­contato Jennifer — ero con lui anche quando è morto». Ma la parte più in­teressante del suo verbale riguarda il telefonino di Cafasso che lo stesso Jennifer ha raccontato di aver «butta­to, perché continuavano ad arrivare chiamate». Una versione ritenuta non credibile dagli investigatori. Il sospetto è che il cellulare conten­ga video che ritraggono altri perso­naggi e sia tuttora nelle mani di qual­cuno. Materiale scottante che si sta cercando di rintracciare per evitare che possa essere messo in circolazio­ne, proprio come era avvenuto con il filmato su Marrazzo. L’ex governato­re ha negato di essere stato ricattato «da Brenda o da Natalie per foto o vi­deo che mi ritraevano, né mi hanno mai chiesto soldi». La sua versione coincide con quella di Brenda che ha parlato di quel video girato nei mesi scorsi lasciando intendere che tutti i presenti erano d’accordo.

Le trattative di Cafasso
L’ipotesi dei pubblici ministeri che altri video possano essere in circola­zione, è stata rafforzata proprio dal­l’atteggiamento di Jennifer. Il transes­suale ha infatti ricostruito gli ultimi giorni di convivenza con «Rino» e in particolare la scelta di andare a vive­re in un camera d’albergo, accreditan­do la sensazione che i due fossero in fuga. Del resto già il 15 luglio, duran­te l’incontro con le giornaliste di Libe­ro alle quali aveva cercato di vendere il video, il pusher aveva fatto capire di conoscere molti segreti e avere a disposizione molto materiale. I tre carabinieri della Trionfale ar­restati con l’accusa di aver ricattato Marrazzo, avevano con Cafasso rap­porti frequenti. «Era un confidente», hanno ammesso i militari davanti al giudice. «Ci chiese aiuto per vendere il video e lo scaricò sul mio telefoni­no attraverso il bluetooth», ha spie­gato uno di loro, così confermando come lo custodisse sul suo cellulare. Gli investigatori sono ormai convin­ti che l’irruzione compiuta nell’ap­partamento di Natalie non fosse la prima e per questo verificano se altri video siano già stati messi in vendi­ta, semmai con altri mediatori.


Fiorenza Sarzanini

05 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'indagine a Bari punta a Vendola
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2009, 10:06:24 am
L'INCHIESTA IN PUGLIA

Appalti e nomine

L'indagine a Bari punta a Vendola

Sanità, nell'inchiesta anche un pentito

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


BARI — Nel fascicolo sono trascritte centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, i verbali che riportano le ammissioni di persone già finite sotto inchiesta. E soprattutto ci sono le rivelazioni di un uomo che ha lavorato dietro le quinte, ma della sanità pugliese conosce molti segreti. E adesso avrebbe deciso di raccontare quello che sa, concentrandosi sulle «mazzette» che numerosi politici di destra e sinistra avrebbero preso per pilotare appalti, nomine, accreditamenti e convenzioni. Sulle sue dichiarazioni sono in corso verifiche e accertamenti, ma il testimone viene ritenuto prezioso per le indagini perché consente di rafforzare un quadro comunque già delineato dagli accertamenti svolti negli ultimi mesi. E dunque di confermare come all'interno della Regione ci sia stata una vera e propria spartizione per la gestione degli affari e per la nomina di primari e dirigenti delle Asl. Per la prima volta anche il nome del governatore Nichi Vendola compare in una delle informative consegnate due giorni fa dai carabinieri al procuratore Antonio Laudati e alla sua sostituta Desirè Digeronimo, che rischia di vedersi ritirare la delega all'indagine.

Perché il deposito di quel rapporto, che doveva rimanere riservato, è stato invece anticipato dal quotidiano Libero, innescando una polemica politica sugli «avvisi» recapitati a mezzo stampa mentre è in corso la discussione sul nome del candidato alle prossime elezioni regionali. Il capo dell'ufficio se ne assume la responsabilità, ma quando afferma che dovrà «trarre delle conseguenze sotto il profilo organizzativo e processuale», si capisce che pensa di gestire il fascicolo personalmente. E di valutare se davvero, come denunciano gli investigatori dell'arma, il presidente abbia tentato una concussione accordandosi con assessori e politici locali per la scelta di medici e manager da mettere alla guida di reparti e aziende sanitarie. Sono 11 le persone «segnalate» nel dossier. Oltre a Vendola, nell'elenco compaiono il suo capo di gabinetto, Francesco Manna; l'ex assessore alla Sanità Roberto Tedesco, indagato e costretto alle dimissioni nella scorsa primavera, ma beneficiato di un posto da senatore del Partito democratico; l'attuale assessore ai trasporti, Mario Loizzo, anche lui del Pd; il responsabile dell'Area personale Mario Calcagni; l'ex direttore della Asl di Bari, Lea Cosentino; l'ex direttore della Asl di Lecce, Guido Scoditti; il presidente del Consiglio comunale di Triggiano, Adolfo Schiraldi; l'imprenditore di Altamura Francesco Petronella.

I carabinieri sollecitano la contestazione del reato perché contestano a tutti di aver «imposto nel maggio 2008 ai direttori generali delle Asl e di differenti presidi ospedalieri pugliesi, le nomine dei direttori amministrativi e sanitari, nonché di primari di strutture operative complesse al fine di rafforzare la presenza della propria coalizione politica nelle istituzioni locali». Il procuratore lo ripete più volte: «Vendola non è indagato, a suo carico non c'è alcun procedimento penale, anche perché l'avvio spetta al pm e questo non è avvenuto». Più volte il magistrato ha affermato che le indagini riguardanti la politica sarebbero state chiuse in fretta «per evitare che interferiscano in alcun modo sulle scelte democratiche». Lo ribadisce adesso, anche se sottolinea come la valutazione sul coinvolgimento di Vendola nell'inchiesta «sarà fatta in futuro». Agli specialisti del Ros è stata delegata un'indagine patrimoniale che si concentra sugli appalti della Regione, altre verifiche sono state affidate ai carabinieri di Bari e alla Guardia di finanza. E poi ci sono le nuove rivelazioni del testimone da valutare. Soltanto quando il quadro sarà completo, si deciderà a chi recapitare gli avvisi di fine indagine.

Fiorenza Sarzanini

12 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Giustizia, Alfano studia modifiche alla legge sui processi..
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2009, 12:10:32 pm
IL RETROSCENA

Giustizia, Alfano studia modifiche alla legge sui processi brevi

Il ministro convoca i tecnici per gli «aggiustamenti»: il nodo centrale è la lista dei reati


ROMA - Pubblicamente lo difende con vigore e attacca l’Associazione nazio­nale magistrati «perché vorrei che avesse la giusta dose di rispetto nei confronti del legislatore». Ma Angelino Alfano sa bene che arrivare all’approvazione definitiva del disegno di legge sul «processo breve» non sarà facile. Il percorso parlamentare è già segnato da numerosi ostacoli. Palet­ti messi dall’opposizione, ma soprattutto dalla fronda interna allo stesso Popolo della Libertà che alla fine potrebbe decide­re di votare contro il provvedimento stu­diato per salvare il presidente del Consi­glio dai suoi processi. E così il ministro della Giustizia ha già messo al lavoro i tec­nici del dicastero per stu­diare « aggiustamenti » da proporre a chi ha in­tenzione di bocciare la norma. La riunione è convoca­ta per lunedì. Primo pun­to all’ordine del giorno: la lista dei reati che do­vranno essere giudicati in un tempo massimo di sei anni, altrimenti scatte­rà la prescrizione. Perché Alfano assicura che «al ministero stiamo già la­vorando, così come an­che l’opposizione e la se­natrice Finocchiaro ci ha chiesto, per fare una valu­tazione di impatto del provvedimento e capire materialmente l’effetto che avrà nella realtà giudiziaria del no­stro Paese», ma in realtà in via Arenula chiariscono come tutto questo potrà avve­nire soltanto quando si conoscerà con cer­tezza l’elenco delle violazioni.

Il nodo principale riguarda l’esclusione del reato di immigrazione clandestina, de­cisa per accontentare la Lega e convincer­la così a farsi promotrice del disegno di legge, come poi è avvenuto con la scelta del senatore Federico Bricolo di essere tra i firmatari insieme a Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Ma la presidente della commissione Giustizia della Came­ra Giulia Bongiorno ha già manifestato il suo «stupore», che potrebbe poi tradursi in pregiudiziale quando il testo arriverà a Montecitorio. E allora si pensa di cercare una mediazione con il Carroccio per arri­vare all’eliminazione di questa violazione dalla lista dei reati di grave allarme socia­le. «Del resto — spiega uno dei collabora­tori del Guardasigilli — si tratta di una contravvenzione, dunque non può essere equiparata alle contestazioni relative al crimine organizzato e al terrorismo». Gli esperti del ministero hanno eviden­ziato in questi giorni l’altissimo rischio di una nuova bocciatura da parte della Con­sulta, nel momento in cui la nuova legge dovesse entrare in vigore. Ma anche dal punto di vista politico, la norma transito­ria che serve a Silvio Berlusconi per chiu­dere i suoi processi e che avrà l’effetto di far cadere in prescrizione migliaia di di­battimenti già avviati con prevedibile danno per le parti lese, non piace a nume­rosi esponenti della maggioranza, prima che a quelli dell’opposizione. Alfano mette le mani avanti quando di­chiara che «non ci fermeremo soltanto perché facendo una cosa per il bene degli italiani, ne avrà un impatto anche il presi­dente Berlusconi». Ma poi capisce quale effetto potranno avere queste sue parole sul dibattito già infuocato di questi gior­ni, e aggiunge: «Nel corso di questa Finan­ziaria puntiamo ad avere risorse aggiunti­ve per la giustizia, per far sì che i sei anni di durata del processo non siano un tem­po 'chimera', ma un tempo ordinario, che diventi una regola ordinaria del siste­ma processuale italiano».

Uno stanziamento straordinario è la condizione posta dal presidente della Ca­mera Gianfranco Fini nel corso del faccia a faccia di tre giorni fa con il presidente del Consiglio. Così quello dei soldi è il se­condo capitolo che i tecnici dovranno af­frontare la prossima settimana, consape­voli che l’interesse di tutti — Anm in te­sta — è proprio quello di velocizzare i processi. «Perché — come sottolineano i detrattori e ammettono anche in via Arenu­la — senza i finanziamenti adeguati il siste­ma giustizia non potrà mai funzionare e l’unico effetto che avrà questo provvedi­mento sarà quello di lasciare impuniti mi­gliaia di imputati, anche per reati gravi». Afferma Alfano: «Come governo valu­tiamo positivamente lo spirito del dise­gno di legge perché puntiamo ad accelera­re i processi per tutti i cittadini. Se si fa il conto e si sommano i due anni della dura­ta di un’indagine più i sei che si prevede per la celebrazione di un processo nelle sue varie fasi arriviamo a otto anni. Mi sembra un tempo congruo perché un cit­tadino possa sapere se è innocente o col­pevole davanti ad un tribunale e ci sem­bra un tempo congruo perché tutta la so­cietà possa sapere se un cittadino è inno­cente o colpevole». Il ministro sa che que­sto suo ragionamento è condiviso da tut­ti i partiti e che la contestazione riguarda la scelta di procedere con tanta fretta sol­tanto adesso che il «Lodo Alfano» è stato bocciato. E all’Anm che in questi giorni lo ha sottolineato evidenziando gli effetti «devastanti» che si avranno, risponde du­ro: «Non vogliamo porre in dubbio l’auto­nomia della magistratura o porre i pm sot­to l’esecutivo, ma i giudici sono soggetti solo alla legge e la legge la fa il Parlamen­to eletto dal popolo sovrano in nome del quale il giudice emette la sentenza».

Fiorenza Sarzanini

14 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il video e i clienti: i segreti di Brenda
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2009, 09:59:57 pm
Scenari: uno o piu' assassini o un avvertimento

Il video e i clienti: i segreti di Brenda

L’ipotesi che fosse il viado a informare i carabinieri arrestati.

La telefonata a Marrazzo


ROMA — Il corpo nudo disteso sul pavimento, la stanza invasa dal fumo. L’hanno trovato così Brenda, in quel monolocale seminterrato che usava come appartamento in via dei due Ponti 180, zona nord di Roma. E l’inchiesta sul ricatto all’ex Governatore Piero Marrazzo ha su­bito preso una direzione diversa e certamente inaspettata. Perché di quell’indagine il transessuale Bren­da era diventato protagonista, cu­stode di un video con le immagini di un festino al quale aveva parteci­pato con lo stesso presidente della Regione e Michelly, un altro viado con cui aveva convissuto per qual­che mese. Ma soprattutto deposita­rio dei segreti di chi da anni si muo­ve sulla scena di quel mondo del sesso a pagamento, dove la mag­gior parte dei clienti chiede di tro­vare anche cocaina in un groviglio di interessi gestiti dalla criminalità.

IL TESTIMONE E LE FESTE - Nei giorni scorsi gli investigatori hanno rintracciato alcuni clienti che potrebbero aver subito rapine mentre erano in compagnia dei via­dos. Vittime dei due carabinieri fini­ti in carcere — Carlo Tagliente e Lu­ciano Simeone — che il 3 luglio scorso sorpresero Marrazzo in com­pagnia di Natalie, lo filmarono e poi cercarono di vendere il video. È il racconto di uno di loro — uomo ricco e famoso — a far comprende­re quali spettri si agitino dietro que­sta vicenda. Perché dopo aver am­messo di essere spesso «stordito, quando mi apparto in bagno duran­te le feste», non è stato neanche in grado di affermare con certezza se uno di questi incontri fosse avvenu­to con una donna o con un transes­suale. Né, tantomeno, se qualcuno lo abbia potuto fotografare o filma­re. E invece sono stati gli stessi via­dos a raccontare che in alcuni casi hanno ripreso con il telefonino i clienti, alimentando un gioco che talvolta può arrivare a estreme con­seguenze. Proprio come accaduto a Marrazzo, stritolato in una catena di intimidazioni che alla fine lo ha costretto alla resa. Quanti altri vi­deo aveva girato Brenda? Quali se­greti custodiva? E di chi?

LA TELEFONATA IN REGIONE - I rapporti tra il transessuale e i carabinieri arrestati sono ancora poco chiari. Perché hanno negato di conoscersi, ma poi si è scoperto che poco dopo la telefonata fatta il 7 luglio scorso da Tagliente alla segreteria di Marrazzo, anche Brenda chiamò. Che cosa voleva? Era d’ac­cordo con i militari e sperava di ot­tenere qualche vantaggio facendo «pressione» sul Governatore? Ma soprattutto, era il trans una delle persone che fornivano le «soffia­te » sui clienti? Rispondere a questi interrogativi può consentire agli in­vestigatori di trovare una traccia concreta, in attesa che l’autopsia e gli altri rilievi affidati alla polizia Scientifica forniscano un quadro più chiaro di quanto può essere av­venuto all’interno del monolocale. Perché se la pista dell’omicidio è davvero quella che maggiormente prevale sulle altre, allora bisogna capire come si sia mosso Brenda negli ultimi giorni, quali messaggi possa aver lanciato e dunque quali inconfessabili paure abbia alimen­tato. Ma anche quale fosse il suo rapporto con Gianguarino Cafasso — lo spacciatore trovato morto nel­la stanza di un motel a metà set­tembre — che di molti trans era il «pappone» e il fornitore di droga. Perché è stato lui a «guidare» i ca­rabinieri nella stanza di Marrazzo e poi ha cercato di vendere il video. Ma l’informazione giusta sulle fre­quentazioni del Governatore e sui suoi spostamenti potrebbe essere arrivata proprio da Brenda.

DOPPIO SCENARIO - L’investigatore della squadra mobile di Roma che all’alba è entra­to nell’appartamento di via dei due Ponti parla di una «scena del crimi­ne piena di incongruenze» e pro­prio per questo non può escludere che quelle stranezze — le valigie dietro la porta, una bruciata; il computer nell’acqua; il corpo sul pavimento — in realtà «siano in or­dine e rappresentino un messag­gio ». Perché certamente la morte di Brenda — anche se si volesse credere al suicidio o all’incidente che degenera in tragedia — serve a lanciare un messaggio preciso. Un monito per tutti coloro che in que­sto ambiente si sono mossi con di­sinvoltura, troppo spesso alla ricer­ca di soldi facili da guadagnare con la cocaina o con i ricatti. E allora i magistrati si concentrano su due ipotesi. La prima accredita l’ingresso di uno o più assassini che soffocano Brenda e poi danno fuoco all’appar­tamento. La seconda si concentra invece sull’avvertimento: qualcu­no entra e dà fuoco al trolley. Vuo­le spaventare, ma la situazione sfugge di mano perché, quando il fumo invade la stanza, Brenda è tal­mente ubriaco da non riuscire ne­anche a ritrovare la porta per fuggi­re e si accascia sul pavimento or­mai senza vita.

Fiorenza Sarzanini

21 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I pm: Brenda non aveva un pc
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2009, 10:35:10 am
I carabinieri avevano già perquisito il monolocale in ottobre senza trovarlo

Il giallo del computer in casa

I pm: Brenda non aveva un pc

Le piste: delitto «mascherato» o incidente per spaventarlo

   
ROMA — Il monolocale di Brenda fu perquisito all’inizio dell’indagine sul ricatto a Piero Marrazzo, ma non fu trovato alcun computer. Anzi, lo stesso transessuale — dopo aver rive­lato ai magistrati l’esistenza di un se­condo video che ritraeva il governato­re durante un festino — disse di non possederlo. Una versione ritenuta cre­dibile dai pubblici ministeri: «Conse­gnò i cellulari per effettuare l’analisi della 'memoria' e mostrò massima collaborazione. Non ci risulta avesse anche un pc». Di chi è dunque quel «portatile» trovato sotto l’acqua giove­dì notte, quando è stato scoperto il ca­davere? È questo l’ultimo mistero per chi in­daga sulla morte di Brenda, protagoni­sta della vicenda che ha travolto il pre­sidente della Regione Lazio. Il detta­glio che getta nuove ombre sulla sua fine. Si rafforza così l’ipotesi che si trat­ti di un avvertimento o addirittura di un «omicidio mascherato», come sug­geriscono in Procura. Perché è vero che soltanto l’analisi di tutti i dati for­niti dagli esperti — soprattutto quelli della Polizia scientifica che stanno esa­minando i reperti trovati nell’apparta­mento — potrà stabilire le cause effet­tive della morte. Ma è altrettanto vero che troppe restano le stranezze già rile­vate sulla «scena del crimine». E allora si può pensare che qualcuno volesse spaventare Brenda, convincendolo co­sì a non rivelare i suoi segreti. Oppure che volesse farlo tacere per sempre.

Le «stranezze» sulla scena del crimine
Il ragionamento che in queste ore prevale porta a ipotizzare che, se inci­dente è stato, qualcuno lo ha provoca­to. Dunque, si torna nell’appartamen­to per «leggere» ogni elemento. E quel­li che, con il trascorrere delle ore, assu­mono una valenza sempre più forte so­no proprio il computer e i telefonini. Perché sono le apparecchiature che servono a confezionare e a conservare i video, quindi potrebbero essere state utilizzate per altri ricatti. Il Nokia tro­vato accanto al corpo ha una memoria pressoché vuota, mentre si sa che Brenda aveva almeno altri due telefo­ni e non si sa che fine abbiano fatto. E poi c’è il rubinetto che fa scorrere l’ac­qua sul computer. Perché?

La perquisizione di un mese fa
Qualche giorno dopo l’arresto dei carabinieri accusati di aver ricattato il governatore e di aver cercato di vende­re il video che lo ritraeva assieme a Na­talie, i carabinieri del Ros entrano nel monolocale di via Due Ponti 180. È il 26 ottobre. Lo stesso Natalie e altri transessuali che abitano in quel palaz­zo e in via Gradoli hanno parlato di un secondo filmato «girato da un certo Brenda mentre era con Marrazzo e Mi­chelly ». Gli investigatori vogliono sco­prire se nella casa ci siano effettiva­mente cassette o comunque materiale che contiene immagini. Esaminano i telefonini, ma non trovano nulla. Cer­cano ancora, però nel monolocale non c’è traccia di computer. Il 30 ottobre Brenda viene interroga­to nella caserma dell’Arma. Nega di aver mai conosciuto il presidente del­la Regione, giura di non aver avuto al­cun ruolo nella vicenda. Ma due gior­ni dopo, di fronte al procuratore ag­giunto Giancarlo Capaldo, cambia ver­sione e ammette tutto. Racconta del fe­stino al quale ha partecipato a casa di Marrazzo, riconosce di aver girato il video, aggiunge an­che di aver scattato numero­se foto che lo ritraggono con il governatore. E dice: «Questi sono i miei telefonini ma non c’è più niente, perché quando questa storia è cominciata ho avuto paura e ho cancellato tut­to. Voglio precisare che non pos­siedo un computer, anche per­ché non lo so usare».

La ricerca nei tabulati
L’analisi dei file potrebbe fornire ele­menti per capire a chi appartenga il pc trovato sotto l’acqua, non escludendo che Brenda abbia mentito. Ma servirà pure a scoprire eventuali tracce di fo­to, filmati o comunque elementi su al­tre persone. Dopo l’arresto dei quattro carabinieri numerosi transessuali han­no infatti confermato come fosse piut­tosto frequente l’abitudine dei clienti di riprendersi assieme ai viados , so­prattutto quando gli incontri avveniva­no all’interno degli appartamenti. Ma­teriale che potrebbe essere servito per tenere sotto pressione diverse perso­ne. Per questo gli inquirenti non esclu­dono che il computer lasciato a casa di Brenda — anche se non dovesse conte­nere alcun file interessante — rappre­senti un avvertimento a chi ha pensa­to di poter far soldi muovendosi con disinvoltura in questo mondo che me­scola la prostituzione al traffico di dro­ga, cocaina in particolare. Tracce concrete potrebbero arriva­re dai tecnici informatici e dall’esame dei tabulati telefonici. Perché agli in­vestigatori Brenda aveva fornito le utenze dei cellulari — adesso scom­parsi — per poter essere rintracciato e su questo adesso si lavora. L’analisi dei contatti degli ultimi mesi potrà fornire dettagli utili alla ricerca della verità sulla sua fine, con l’elenco di tutte le persone che hanno avuto rap­porti con lui. E dunque servirà ad ac­certare anche il suo legame con Gian­guarino Cafasso, il «pappone» e pu­sher di molti transessuali che per pri­mo — d’accordo con i carabinieri poi arrestati — aveva cercato di vendere il video di Marrazzo. L’hanno trovato morto il 12 settembre nella stanza di un motel alla periferia di Roma. E an­che la sua fine è misteriosa. Perché è vero che era tossicodipendente e ma­­lato, ma aveva 37 anni e i magistrati attendono l’esito degli esami tossico­logici per capire se è stato davvero un infarto a stroncarlo.

Fiorenza Sarzanini

23 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Una falla nell’ultimo cerchio della scorta.
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2009, 05:45:19 pm
LE MISURE

Il doppio errore nel sistema di protezione

Una falla nell’ultimo cerchio della scorta.

La Questura aveva avvertito: possibili incidenti


ROMA — Una ventina di uomini schierati in doppio anello per fare scudo mentre è in mezzo alla folla. La falla nel dispositivo di si­curezza di Silvio Berlusconi si è aperta nel cer­chio più stretto, quello che ha il compito di proteggerlo dalle eventuali aggressioni diret­te o dal lancio di oggetti.

Il dispositivo deve essere a maglie strettissi­me perché nel contatto con la folla il rischio altissimo è quello di un ordigno oppure un colpo d’arma da fuoco. Ma in piazza del Duo­mo qualcosa non ha funzionato e dopo il feri­mento provocato da Massimo Tartaglia c’è sta­to quello che i tecnici ritengono sia stato il se­condo errore. L’auto con il presidente del Con­siglio è infatti rimasta ferma, Berlusconi è ad­dirittura sceso e ha mostrato il volto insangui­nato. In caso di pericolo la personalità dovreb­be invece essere portata immediatamente via per scongiurare rischi maggiori.

Un centinaio di agenti, tecnologie supersofi­sticate, collegamento costante tra tutti gli ad­detti al servizio di scorta e con le centrali ope­rative di polizia e carabinieri: a proteggere Ber­lusconi ci sono uomini che lui stesso ha scel­to, alcuni lo seguono da quando era alla Finin­vest. Fino al 2007 erano inquadrati all’interno del Cesis, l’organo di coordinamento dei servi­zi segreti, ma con piena autonomia. E anche ora che dipendono dall’Aisi, l’ intelligence in­terna, sono di fatto svincolati da qualsiasi ti­po di gerarchia. Lo scambio informativo con il vertice - direttore è il generale Giorgio Picci­rillo - è costante, così come l’analisi di ogni possibile minaccia, ma alla fine le decisioni vengono prese dal responsabile della scorta in accordo con i suoi collaboratori più stretti. Due giorni fa dalla questura di Milano ave­vano comunicato la possibilità che in piazza ci fossero intemperanze. Nulla di organizzato, tanto che i primi controlli escludono la pre­senza di giovani dei centri sociali o di altri gruppi antagonisti. L’eventualità di contesta­zioni anche forti era stata però messa nel con­to.

Del resto già un paio di mesi fa - pur sottoli­neando l’assenza di un allarme specifico - pro­prio gli analisti dell’Aisi misero in guardia il capo del governo dalla possibilità che «isolati mitomani mettano a segno gesti violenti». In particolare veniva sottolineata la necessità di «evitare contatti ravvicinati con il pubblico so­prattutto in occasione di circostanze occasio­nali e non pianificabili che per la loro natura non consentono la puntuale e preventiva pre­disposizione riguardante i servizi di tutela». Dopo aver visitato Berlusconi in ospedale, il ministro dell’Interno Roberto Maroni si è spostato in prefettura e ha convocato per que­sta mattina una riunione che possa servire a fare il punto della situazione, ma anche a riba­dire la massima fiducia nei responsabili del­l’ordine pubblico nel capoluogo lombardo. «Si tratta di un fatto gravissimo. Il presidente è provato, ma sereno. Certo la botta è stata se­ria », ha commentato il titolare del Viminale. Subito dopo ha annullato tutti gli altri impe­gni previsti per oggi e non esclude la convoca­zione di un comitato nazionale «per valutare misure adeguate a proteggere la campagna elettorale per le amministrative, che sta per cominciare».

Esclusa la pista del terrorismo, i responsabi­li della polizia di prevenzione rimangono co­munque al lavoro per monitorare la situazio­ne. E per controllare la rete Internet, con atten­zione particolare ai social network dove già si inneggia a Massimo Tartaglia. A ottobre la procura di Roma avviò un’inchiesta per istiga­zione a delinquere sulla creazione del gruppo «Uccidiamo Berlusconi» nato su Facebook e dispose l’acquisizione dell’elenco di chi aveva aderito. Ora sono state sollecitate nuove verifi­che alla polizia postale. I parlamentari del Popolo della Libertà chie­dono che il Copasir, l’organismo parlamenta­re di controllo dei servizi segreti, «accerti il livello di protezione del presidente del Consi­glio che è questione di sicurezza nazionale». Una verifica immediata sarà compiuta anche dal sottosegretario alla presidenza Gianni Let­ta, titolare della delega ai servizi segreti che già ieri sera ha preso contatto con i vertici del­l’intelligence.

Fiorenza Sarzanini

14 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La procura di Roma: «Nessuna indagine avviata».
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2009, 11:09:30 pm
La procura di Roma: «Nessuna indagine avviata».

Si riesamina il dispositivo di sicurezza Papa spintonato, indaga la gendarmeria

Trattamento sanitario obbligatorio per la 25enne italo-svizzera che ha fatto cadere il Pontefice

Sarà la gendarmeria vaticana ad occuparsi delle indagini sulla donna che giovedì sera ha spintonato il Pontefice e lo fatto cadere mentre si accingeva a raggiungere l’altare per celebrare la messa di Natale. Al momento – come conferma il procuratore di Roma Giovanni Ferrara – «non è stato chiesto alla magistratura italiana di esercitare la giurisdizione e dunque nessuna indagine può essere avviata». Susanna Maiolo, 25 anni, ha la doppia cittadinanza, svizzera e italiana. Secondo le indiscrezioni, già giovedì sera sarebbe stata avviata per lei la procedura per l’avvio del trattamento sanitario obbligatorio, con la convocazione di uno medico specialista che possa occuparsi delle sue condizioni di salute.

Messa di Natale, il Papa spinto a terra Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra    Messa di Natale, il Papa spinto a terra

IL PRECEDENTE - Sarebbe stata proprio lei, lo scorso anno, a tentare un’azione analoga, ma in quel caso fu bloccata dagli agenti. Al momento nessun organo investigativo italiano è stato coinvolto negli accertamenti. La Basilica rientra nel territorio vaticano, dunque di uno Stato straniero, e per un intervento delle autorità italiane è necessaria una richiesta formale.

In passato è già accaduto che la gendarmeria decidesse di procedere autonomamente senza richiedere assistenza. Accadde anche nel 1999 quando furono trovati morti il vicecaporale Cedric Tournay, il comandante delle Guardie Svizzere Alois Estermann e la moglie di quest’ultimo Gladys Meza. Secondo la versione ufficiale Tornay avrebbe «ucciso gli altri due in preda a un raptus motivato dal rifiuto di una promozione e poi si è tolto la vita», ma la motivazione con la quale il giudice unico della Santa Sede Gianluigi Marrone archiviò il "giallo del Vaticano", non ha mai convinto del tutto i familiari di Tornay. La stessa procedura viene seguita adesso.

DISPOSITIVO DI SICUREZZA - La gendarmeria sta cercando di ricostruire gli spostamenti della donna, che non era armata, per capire se sia arrivata da sola nella Basilica. E, proprio come accaduto dieci giorni fa dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo, si sta riesaminando il dispositivo di sicurezza. Bisogna infatti accertare come sia stato possibile per la donna scavalcare la transenna, ma soprattutto riuscire a far cadere il Papa. Le guardie erano disposte lungo il percorso, ma – come si vede dalle immagini – nessuna di loro era ai lati di Benedetto XVI mentre con gli altri cardinali camminava verso l’altare benedicendo la folla. Ed è proprio di questo «varco» che la donna ha approfittato.

Fiorenza Sarzanini

25 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La Cosentino agli arresti: non mi arrendo.
Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2010, 04:22:23 pm
I confidenti di Lea la «rampante»: mai avrebbe pensato che potesse accadere questo

«Lady Asl», amici potenti e truffe per coronare un sogno: far politica

La Cosentino agli arresti: non mi arrendo.

La pd Concia: una tosta, che delusione

DAL NOSTRO INVIATO


BARI — Il nomignolo di «Lady Asl» forse le sta un po' stretto. Perché Lea Cosentino è sempre stata una manager abituata al successo, pur dovendosi districare tra denunce e indagini su truffe e mazzette. Una carriera in ascesa che da rampante avvocato di Ruvo, in provincia di Lecce, l'ha portata a governare l'azienda sanitaria di Bari con centinaia di dipendenti da gestire, decine di nomine da fare e milioni di euro da investire. Ed è stato proprio questo, alla fine, a farla cadere. Due giorni fa, quando i carabinieri le hanno notificato un ordine di arresto, sia pur ai domiciliari, quasi non riusciva a crederci. L'incarico era stata costretta ad abbandonarlo a giugno, dopo un avviso di garanzia. Il governatore Nichi Vendola, l'uomo che l'aveva voluta, le chiese di farsi subito da parte. Lei fu costretta alle dimissioni, ma ora sperava di tornare in sella. «Mai — dicono gli amici — avrebbe immaginato che potesse accadere questo». Eppure l'aria che si respira al palazzo di Giustizia di Bari è piuttosto tesa, lei — che di alcuni magistrati è buona conoscente — avrebbe dovuto annusarla. Ha 42 anni Lea Cosentino e la persona che le è più intimamente vicina in questo momento è il suo avvocato Francesca Conte.

Proprio a lei «Lady Asl» affida il suo sfogo: «Sono amareggiata per quello che mi hanno fatto, ma non mi arrendo». Non si arrese neanche quando era direttore generale del consorzio Sisri di Lecce e fu accusata di una truffa alla Regione per 8 milioni di euro. Incidente di percorso che non le impedì di tentare la carriera politica legandosi a Gero Grassi — potente deputato della Margherita, poi transitato nel Pd —, il suo sponsor più acceso. Fu lui a presentarla a Vendola, agevolando nel 2006 la sua nomina a direttore generale della Asl Bari 3. E quando le Aziende furono accorpate, non ebbe ostacoli a diventare prima commissario straordinario e poi direttore generale. Nelle amicizie ha sempre mostrato di preferire i potenti. E così per un periodo frequentò assiduamente il vicepresidente della Regione Sandro Frisullo, l'imprenditore Roberto De Santis, il responsabile dei Trasporti della giunta guidata da Vendola, Mario Loizzo. La politica era il suo sogno, aveva l'ambizione di diventare assessore. E quando loro cominciarono a prendere le distanze, Cosentino cercò nuovi sponsor attraverso Gianpaolo Tarantini, anche lui rampante e determinato ad avere successo. È stato «Gianpi» ad ammettere «una relazione sentimentale», forse per giustificare quelle nomine di funzionari della Asl che la manager firmò pur di agevolare le sue aziende. Poi ha raccontato di volerla portare da Silvio Berlusconi, che intanto aveva frequentato forte della sua capacità di riempire i palazzi presidenziali di disponibili ragazze. Cosentino prima disse no, poi «si è mostrata disponibile». Troppo tardi: poche settimane dopo le inchieste sulla sanità barese ha travolto entrambi. Paola Concia — deputata pugliese del Pd — ebbe a che fare con Cosentino durante la battaglia per far riaprire il centro di inseminazione artificiale. «Mi sembrava una tosta e invece ci sono rimasta davvero male. Io sono garantista, ma certo quelle conversazioni intercettate non sono una bella cosa. Eppure io la manager pubblica l'ho fatta, lo so come si fa a restare onesti». Cosentino nominava manager graditi ai suoi amici e quando ebbe il dubbio che i magistrati le avessero piazzato una microspia in ufficio, ordinò un'accurata bonifica. Voleva sfuggire ai controlli. Quegli stessi accertamenti che poi sono serviti a braccarla.

Fiorenza Sarzanini

17 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Concussione», Vendola indagato
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2010, 05:08:42 pm
L'inchiesta sulla sanità

Nel mirino le nomine di funzionari e primari

«Concussione», Vendola indagato

Il governatore: si vuole inquinare la lotta politica.

Io dovrei essere premiato

BARI — L'inchiesta sulla sanità pugliese appare ormai un ciclone inarrestabile. Dopo funzionari, assessori, manager di primo livello come Lea Cosentino, la direttrice della Asl di Bari finita agli arresti domiciliari, nel registro degli indagati viene iscritto anche il governatore Nichi Vendola. Reato ipotizzato: concussione.

L'episodio appare banale, riguarda la mancata nomina di un luminare dell'epidemiologia. Ma sembra inserirsi in un filone più ampio sul sistema di designazione dei primari e dei direttori sanitari in una logica spartitoria che i pubblici ministeri hanno messo sotto osservazione già da diverso tempo. E che adesso deflagra in piena campagna elettorale e a cinque giorni dalle primarie del centrosinistra. Questo filone di indagine nasce da una serie di conversazioni intercettate nella primavera 2008 tra lo stesso Vendola e l'allora assessore alla Sanità Alberto Tedesco. I due discutono della posizione di Giancarlo Logroscino, medico barese che insegna alla Harvard School di Boston. Si tratta di un professionista stimato, che può vantare numerosi titoli accademici, ma nonostante questo non è riuscito ad ottenere la nomina di primario al "Miulli". Il governatore rimprovera l'assessore in quota al Pd di essere intervenuto per bloccarlo, quest'ultimo dice di aver ricevuto numerose pressioni sia da politici, sia dall'ambiente sanitario. Alla fine il presidente della Regione si mostra convinto che si sia mossa la massoneria. Ne parla esplicitamente, senza però rivelare da chi lo abbia saputo. È stato proprio questo scambio di opinioni a convincere i pubblici ministeri che fosse necessario verificare in che modo avvengano le designazioni e che ruolo abbia in questa partita lo stesso Vendola. Lui ostenta sicurezza: «Sarei indagato? Sono mesi che danzano per aria queste "notiziole", che provano ad assediare la mia vita. Sono notizie usate continuamente allo scopo di inquinare la lotta politica. Se poi parliamo del caso del professor Giancarlo Logroscino, non riesco neppure a capire il motivo per cui sarei stato iscritto nel registro degli indagati e per quali reati. Diciamo che dovrei essere premiato per aver capovolto l'andazzo italiano: premiare e selezionare coloro che operano nella sanità pubblica non con criteri meritocratici, ma con il sistema della fedeltà politica».

L'episodio si inserisce in un'inchiesta più ampia documentata in una informativa consegnata dai carabinieri alla fine dello scorso novembre per denunciare il governatore insieme ad altre dieci persone per aver «imposto nel maggio 2008 ai direttori generali delle Asl e di differenti presidi ospedalieri pugliesi, le nomine dei direttori amministrativi e sanitari, nonché di primari di strutture operative complesse al fine di rafforzare la presenza della propria coalizione politica nelle istituzioni locali». Oltre a Vendola, nell'elenco compaiono il suo capo di gabinetto, Francesco Manna; l'ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco, indagato e costretto alle dimissioni nella scorsa primavera, ma beneficiato di un posto da senatore del Partito democratico; l'attuale assessore ai trasporti, Mario Loizzo, anche lui del Pd; il responsabile dell'Area personale Mario Calcagni; Lea Cosentino; l'ex direttore della Asl di Lecce, Guido Scoditti; il presidente del Consiglio comunale di Triggiano, Adolfo Schiraldi; l'imprenditore di Altamura Francesco Petronella. È stato l'ascolto delle intercettazioni telefoniche e ambientali e l'analisi delle delibere a convincere gli investigatori dell'Arma che le scelte avvenissero privilegiando la sponsorizzazione politica piuttosto che i requisiti tecnici dei candidati. Un sistema confermato dall'imprenditore Gianpaolo Tarantini che ha ammesso di essere riuscito a far designare dalla sua amica Lea Cosentino i funzionari che lo avrebbero poi agevolato nella concessione di appalti per le forniture di materiale sanitario. Ieri sera l'assessore regionale alla Salute Tommaso Fiore non ha escluso di poter lasciare l'incarico: «Devo capire se sono stato un anno lì dentro a governare un sistema criminale oppure no. Ci sono tre possibili alternative: o questa teoria è falsa; o questa teoria è vera e quindi io non ho il diritto, come capocriminale, di parlare; oppure io sono un imbecille, non essendomi accorto di tutto questo e quindi ugualmente non ho il diritto di parlare».

Angela Balenzano
Fiorenza Sarzanini
19 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le Inchieste sul G8 I passi necessari
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2010, 04:56:23 pm
Le Inchieste sul G8

I passi necessari

Nella Protezione civile c’è una maggioranza silenziosa di volontari e di onesti dipendenti altrettanto silenziosi. Lontani dalle chiassose e rigeneranti feste del Salaria Sport Village, dallo scambio tra favori e appalti, dalla vita scintillante di quei funzionari che poi gestiscono anche la cassa. Il sistema emerso dalle carte dell’inchiesta di Firenze mostra la disinvoltura nei rapporti tra chi affida gli appalti e chi ottiene i lavori, illumina le relazioni tra chi controlla e chi dovrebbe essere controllato. Ma soprattutto evidenzia i rischi connessi alla decisione di procedere a trattativa privata in materie così complesse come l’organizzazione di Grandi Eventi quali possono essere il G8 oppure i Mondiali di Nuoto.

È l’iter dell’emergenza che può favorire pericolose commistioni tra l’istituzione che distribuisce i soldi e i privati che li incassano. Se è indispensabile affidarsi a procedure d’urgenza quando c’è un terremoto o un’inondazione, risulta difficilmente comprensibile— pur sapendo quanti ostacoli e vincoli in Italia rendono difficoltosa ogni iniziativa — che esse debbano essere seguite per occasioni programmate da anni e dunque avendo a disposizione il tempo necessario per bandire le gare d’appalto. Una scelta di questo tipo alimenta il sospetto che l’opacità serva a sottrarsi ai controlli e alle verifiche che la magistratura deve fare per stabilire se il denaro pubblico sia stato speso correttamente. Secondo il presidente Silvio Berlusconi, i pubblici ministeri dovrebbero vergognarsi. È una presa di posizione che non sorprende, vista la sua avversione per le toghe, ma che in questo caso appare quanto meno fuori luogo. Perché, se ruberie ci sono state, la vittima principale è proprio il suo governo che quei fondi ha erogato. E, se qualche sciacallo ha cercato di approfittare della tragedia del sisma abruzzese, dovrebbe essere lui il primo a pretendere chiarezza dopo l’impegno che ha sempre voluto mostrare nei confronti dei terremotati.

Trasformare in una rissa anche l’accertamento della verità su una vicenda così drammatica non serve a nessuno. Tantomeno a Guido Bertolaso, che della Protezione civile è il potente capo e sa bene che alla fine potrebbe davvero dover mollare tutto. È stato lui a parlare di una trappola, pur senza essere in grado di indicare chi voglia incastrarlo. La tesi, sempre più spesso utilizzata da chi viene coinvolto in un’indagine, è suggestiva ma al momento priva di riscontro. La familiarità che Bertolaso mostra nelle telefonate con il giovane imprenditore beneficiato di numerosi appalti—e ancor più se sono stati assegnati d’urgenza, quindi fuori da ogni controllo—rende doverosa la verifica sulla natura del loro legame.

Nell’attesa di questo chiarimento, sarebbe opportuno sospendere l’approvazione del provvedimento che trasforma la Protezione civile in una società per azioni. Se non altro per proteggere quella maggioranza silenziosa della struttura anche dal più vago sospetto di voler accrescere il proprio potere.

Fiorenza Sarzanini

13 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le telefonate, Anemone: con Bertolaso guadagnati ...
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2010, 11:00:58 pm
Le telefonate, Anemone: con Bertolaso guadagnati cinquecento punti

La sera con Monica al centro benessere: «Poi l’accompagno io»

Le intercettazioni sul caso della brasiliana ingaggiata per l’incontro con il capo della Protezione civile


ROMA — Una serata speciale organizzata al centro benessere del Salaria Sport Village per Guido Bertolaso. E ad attenderlo c’è Monica, ragazza brasiliana ingaggiata per l’occasione. L’incontro finora negato dal capo della Protezione civile è ricostruito attraverso le intercettazioni telefoniche del 14 dicembre 2008. Le nuove carte dell’inchiesta fiorentina documentano l’intrattenimento che l’imprenditore Guido Anemone, 39 anni — beneficiato con svariati appalti inseriti nei Grandi eventi, tra i quali alcuni lotti del G8 a La Maddalena —, aveva organizzato grazie all’aiuto di Simone Rossetti che del centro relax è il gestore. È la «prestazione sessuale» che il giudice fiorentino contesta a Bertolaso, indagato per corruzione assieme alle quattro persone arrestate: lo stesso Anemone e i funzionari Angelo Balducci, Fabio De Santis, Mauro Della Giovanpaola. Nei giorni successivi Anemone contatta più volte il capo della Protezione civile. Parla anche con Balducci e al centro dei loro colloqui ci sono per la maggior parte i rapporti di affari.

Regina porta «la bionda»

Il pomeriggio del 14 dicembre Guido Bertolaso chiama il gestore del centro benessere Simone Rossetti e gli chiede un appuntamento per la serata. Rossetti avverte l’imprenditore Diego Anemone. Poi, alle 18.22, «una donna di nome Regina dal forte accento brasiliano, successivamente identificata in Regina Profeta, chiede a Rossetti di avvicinarsi al Centro benessere perché gli deve far conoscere una ragazza bionda». Dalle successive conversazioni intercettate si avrà modo di rilevare che questa ragazza bionda, brasiliana e di nome Monica, è stata prescelta per intrattenere, di lì a poco, il dottor Bertolaso. Al circolo fervono i preparativi. Alle 19.09 Rossetti chiama Stefano, il factotum: «Senti hanno lasciato acceso il benessere... c’hai fatto caso ? Perfetto, verifica che sono andati via tutti quelli del centro estetico. Senti mi verifichi un attimo se c’abbiamo un bikini tipo brasiliano un po’ stretto... per questa? Lì al magazzino ».

Bertolaso e la scorta

Alle 19.56 chiama Bertolaso e, annota il giudice, «fa capire che ha la scorta».

Bertolaso: «Sono Guido...».

Rossetti: «Sì, Guido... allora guarda tutto a posto... tu quando vuoi vieni qui da me, è tutto quanto chiuso e dopo ci sono io... tu parcheggia con la macchina tranquillamente in fondo dove sta la scalinata che ti porta direttamente nel Centro benessere oppure parcheggia al solito posto come vuoi te».

Bertolaso: «Eh no io sono al solito posto perché non sono da solo... ovviamente ».

Poco dopo Rossetti fornisce a Regina le ultime istruzioni prima che arrivi il dottor Bertolaso. Poi le riferisce che provvederà lui a riaccompagnare e a pagare la ragazza: «Sì, sì dopo l’accompagno io così dopo gli do i soldini e dopo, dopo noi ci mettiamo d’accordo dai... ci vediamo un attimo». Poi parla con Erica, un’altra dipendente «raccomandando la massima riservatezza», le riferisce che Bertolaso sta per arrivare e le chiede le istruzioni per come attivare la sauna e l’impianto musicale.

Alle 21.19 squilla il telefono.

Rossetti: «Sì Guido, sono Simone... sei arrivato?».

Bertolaso: «Sì»

Rossetti: «Okay arrivo subito».

Neanche un’ora dopo avvisa Anemone: «L’ho messo a suo agio, l’appuntamento sta andando bene». Poi Anemone richiama per essere aggiornato e quando scopre che ancora non è uscito esclama: «È come se avessimo guadagnato 500 punti». Alle 23.04 Bertolaso chiama Rossetti e chiede come fa a uscire. Lui gli spiega il funzionamento della porta. Due minuti dopo «contatta Regina e la rassicura che è tutto finito e quindi provvederà a fare sì che la ragazza (Monica) chiami casa: "A posto e... tutto bene... mo’ la faccio chiamare a casa". Regina è preoccupata perché la ragazza ha lasciato il suo telefono a casa dicendo che andava al centro benessere a fare dei massaggi ».

«Togli lo champagne»

Alle ore 23.14 Rossetti chiama Stefano che è ancora al circolo: «Allora bisogna andare a sistemare il centro benessere, che ci sta lo spumante in giro e tutto quanto e questa è già pronta che deve andare via... intanto leva quello lì... e giusto la bottiglia, il doppio calice. Butta tutto. Fra quanto lo posso mandare giù quello della sicurezza?». Poi richiama Anemone: «È andato via. È rimasto più che contento, contentissimo».

Alle 23.49 è Stefano a contattarlo.

Stefano: «Oh... un’altra cosa. Io ho cercato tracce di preservativi... ma non l’ho visti...».

Rossetti: «Ma sai dove ha fatto il massaggio?... L’ha fatto alla prima sala a destra dello Scen Tao... capito?... Come esci dal centro estetico... prima sala a destra... ».

Stefano: «Okay, oramai io sono fuori ».

Rossetti: «Va beh... non fa niente dai, ho dato tutto alla sicurezza».

Stefano: «Quindi al limite se ci vuoi fare te un sopralluogo... però io ho cercato, niente. Ma lei che ti ha detto?... E dove li ha messi?».

Rossetti: «Eh... che ne so!».

Poco dopo Rossetti torna invece al centro benessere «e descrive in diretta a Stefano le operazioni di pulizia che sta effettuando. Quest’ultimo è incuriosito e gli chiede se la ragazza gli ha riferito qualcosa. Rossetti dice che preferisce raccontargli tutto di persona e gli dà appuntamento davanti alla chiesa a Settebagni ».

Fiorenza Sarzanini

15 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I legami tra Balducci, Anemone e il funzionario per i film
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2010, 03:00:17 pm
L’inchiesta

Nelle carte il manager del cinema

I legami tra Balducci, Anemone e il funzionario per i film

La telefonata: «Abbiamo parlato con il governatore»


ROMA — L’obiettivo principale erano gli appalti pubblici, ma i componenti della «combriccola » avevano buone entrature anche in altri enti. E una corsia preferenziale Angelo Balducci e Diego Anemone —il funzionario delegato alla gestione Grandi Eventi e l’imprenditore romano finiti in carcere per corruzione — erano riusciti a imboccarla nel settore cinema del ministero dei Beni culturali. Referente era Gaetano Blandini con il quale entrambi mostrano di avere un rapporto stretto. Un legame che, nell’informativa consegnata ai magistrati di Firenze, i carabinieri mettono in relazione alla «società Erretifilm della quale Rosanna Thau e Vanessa Pascucci detengono insieme il 75 per cento». Nuovi personaggi emergono dalle carte depositate dai giudici. Anche l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo che—assicura un imprenditore—«c’abbiamo parlato e, di concerto con il Comune, sta facendo arrivare la concessione». Il suo interlocutore è Riccardo Fusi, il patron dell’azienda toscana Btp.

Il coacervo di favori
Il nome di Blandini viene fuori la prima volta nel settembre 2008. I carabinieri intercettano una conversazione tra Francesco Pintus, funzionario ai Grandi Eventi, e Angelo Balducci.
Pintus: «Direttore, chiedo scusa, quel ragazzo che ha risposto prima è quello nuovo che ci dà una mano ... dicevo ...».
Balducci: «Chi è?».
Pintus: «È quello amico di Bland, quello che ci ha mandato Blandini, quello che gli stiamo sistemando adesso». Gli investigatori annotano: «Parrebbe che in questo coacervo di scambio di favori, questo Andrea sia stato assunto presso il Dipartimento di via della Ferratella, su indicazione di Gaetano Blandini, direttore "Cinema" del ministero dei Beni culturali. E dispongono nuove verifiche. In realtà già nei mesi precedenti erano stati annotati contatti tra Blandini e Balducci quando il settimanale l’Espresso aveva pubblicato un articolo per denunciare come il ministero avesse finanziato un film dove lavorava il figlio dello stesso Balducci. Ma è con il trascorrere dei mesi che il legame viene focalizzato. E a fine settembre, ascoltando le conversazioni di Anemone, i carabinieri verificano che anche lui è in rapporti stretti con il funzionario. È un suo collaboratore, Roberto Molinelli, ad informare l’imprenditore di aver preso accordi al telefono con l’imprenditore. Anemone si agita: «Eh, ma come l’hai sentito? che c’hai parlato per telefono? hai fatto male perché non si parla per telefono!». In realtà al centro dei colloqui c’è la cessione di una macchina.

La pratica chiusa
Blandini appare disponibile a soddisfare le richieste di Anemone. Il 7 luglio del 2009 l’imprenditore viene sollecitato dal suo amico Patrizio La Bella «per avere notizie in merito ad un promesso impiego». Quella stessa sera «Blandini chiede ad Anemone quando è disponibile per un incontro. E il giorno dopo rassicura La Bella: «Senti ho visto quel signore che mi conferma metà settembre... domani mattina lo rivedo alle 8... quindi ti chiamo a seguire che mi dà tutti i dettagli... diciamo così, poi ti chiamo ». La promessa viene effettivamente mantenuta il primo ottobre.
Blandini: «Senti oggi abbiamo approvato il subentro di quelli lì quindi digli però adesso... sono stati bravi... si sono spicciati perché io... ieri hanno sistemato tutto... digli che adesso …siccome hanno poco tempo... devono essere altrettanto bravi a spicciarsi con la banca».
Anemone: «Lo chiamo subito, grazie... a prestissimo... grazie». Subito dopo avverte La Bella: «Lì tutto a posto oggi! Sì, sì al 100 per cento. Ho ricevuto adesso una telefonata, adesso vi dovete sbrigare Patrì. Pure la banca, non so, sbrigatevi... poi ’sti giorni ci vediamo». L’amico recepisce: «Okay, sì sì dobbiamo preparare tutti i documenti per novembre».

«Abbiamo parlato con Marrazzo»
La girandola di rapporti per avere i lavori spazia in tutta Italia. Il 18 giugno 2008 «l’imprenditore Alessandro Biaggetti aggiorna Riccardo Fusi, patron di Btp, sulla progressione dei comuni affari in cui è interessato anche il professor Di Miceli (in passato coinvolto in inchieste di mafia ndr), facendo riferimento a un’operazione immobiliare asseritamente in avanzata fase di sviluppo».
Biagetti: «Allora... ieri sono stato con il professore... abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti perché si comincia a definire la data della posa della prima pietra... lui ha dato come indicazioni ottobre, novembre... stanno definendo finalmente... perché questa è la parte più rompiscatole di tutte... lo stile... cioè ... antico... moderno... contemporaneo ... con i vetri... senza i vetri ... c... e mazzi... che non è chiaramente il progetto esecutivo... ma è il discorso dello stile... ed in più... la cosa ancora più importante è che abbiamo parlato direttamente con Marrazzo... con il Presidente della Regione... e di concerto con il Comune... sta facendo finalmente arrivare una c... di...concessione. Arrivata la concessione... tu vieni a Roma... si fa la suddivisione dei lotti... e finisce la partita...
Fusi: «Ma lui come mai non ci da ... se ci danno la concessione vuol dire che ci sono dei progetti... ».
Biagetti: «No... tu chiamala come ti pare... comunque la parte finale... io ti ripeto non me ne intendo... perché ti basti soltanto che per parlare di posa della prima pietra solo in Vaticano devi passare per sei uffici quindi ovviamente è tutto estremamente a rilento».

L’appuntamento
Fusi cerca spesso contatti per la sua azienda e attraverso Denis Verdini riesce a parlare con il banchiere Fabrizio Palenzona. La telefonata tra i due avviene il 19 giugno 2008 per fissare un appuntamento. Il 2 luglio Verdini racconta a Fusi di averlo visto «e mi ha detto che per le due cose ha già provveduto, per gli alberghi e revisione, insomma. Ti volevo dare questo riscontro... io devo fare delle cose, ma insomma ci siamo».

Fiorenza Sarzanini

18 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nomi, legami, telefonate: radiografia dell’inchiesta.
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2010, 11:14:49 am
Protezione civile - I protagonisti

Le accuse e la difesa: i primi dieci giorni dello scandalo appalti

Nomi, legami, telefonate: radiografia dell’inchiesta.

Oltre 20 mila pagine di atti giudiziari


Tre alti funzionari e un imprenditore in carcere per corruzione, ventisette persone indagate per lo stesso reato, una schiera di alti funzionari, politici intercettati indirettamente, dipendenti pubblici che al telefono mostrano dimestichezza con questo scambio tra appalti e favori che ha travolto la Protezione Civile. C’è tutto questo nelle oltre 20 mila pagine di atti giudiziari - dove le presunte violazioni penali si intrecciano con episodi di malcostume - che la procura di Perugia (che ha ereditato per competenza gli atti) sta adesso esaminando in attesa di decidere le prossime mosse. Un’attività parallela a quella dei magistrati fiorentini che attendono la decisione del giudice sulla richiesta di altre ordinanze presentata già da qualche settimana. A dieci giorni dagli arresti, si delineano le posizioni di accusa e difesa, e ci si prepara all’evoluzione di un’indagine che potrebbe avere a breve nuovi sviluppi.

GLI ARRESTATI
Angelo Balducci
Funzionario delegato alla gestione Grandi Eventi e poi presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici è accusato di aver concesso appalti a imprenditori amici - con un’attenzione particolare per il gruppo che fa capo a Diego Anemone - in cambio di numerosi benefit. In particolare: telefoni cellulari, viaggi in idrovolante e aerei privati, automobili, lavori di manutenzione delle sue case, arredi, assunzione del figlio e della nuora, pagamento dello stipendio ai domestici. I magistrati gli contestano anche di essere in società con Anemone visto che le mogli di entrambi detengono il 75 per cento della società Erretifilm che si occupa di produzioni cinematografiche. Al giudice ha detto che si è equivocato sulle parole pronunciate al telefono anche perché si trattava di conversazioni tra amici. Poi ha consegnato i contratti con le aziende che prevedono la concessione ai «controllori » di auto e cellulari.

Fabio De Santis
Funzionario delegato alla gestione Grandi Eventi e poi provveditore ai lavori Pubblici in Toscana avrebbe anche lui aiutato alcuni imprenditori - in particolare il gruppo Anemone - a ottenere gli appalti del G8 a La Maddalena, quelli per i Mondiali di nuoto a Roma e alcuni per le celebrazioni del 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia. In cambio: cellulari, autovetture, arredi e alcune prestazioni sessuali in alberghi di Roma e Venezia messi a disposizione da Diego Anemone. Non ha risposto alle domande del giudice. Il suo avvocato Remo Pannain ha dichiarato che «potrà chiarire tutto perché i benefit erano previsti dal contratto e il resto riguarda soltanto la sfera privata».

Mauro Della Giovampaola
Funzionario delegato al controllo del G8 a La Maddalena avrebbe favorito l’imprenditore Anemone ricevendo in cambio l’uso di un immobile, arredi e prestazioni sessuali. Davanti al giudice si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Diego Anemone
A 39 anni è riuscito a far aggiudicare al suo gruppo una serie di appalti da milioni di euro: lo stadio del tennis e il nuovo museo di Tor Vergata, l’aeroporto di Perugia, tre lotti a La Maddalena. E gli contestano di averli ottenuti dopo aver elargito «favori e altre utilità» ai funzionari pubblici, compreso il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Anche lui non ha deciso finora di non rispondere al giudice.

GLI INDAGATI
Guido Bertolaso
Il capo della Protezione Civile è accusato di corruzione: avrebbe accettato da Anemone «soldi contanti e prestazioni sessuali». Bertolaso ha negato in maniera categorica qualsiasi illecito, ma non è stato ancora interrogato. Nell’ordinanza del giudice sono riportate intercettazioni telefoniche dell’imprenditore arrestato che - in vista di un appuntamento con Bertolaso - chiede a un amico se può procurargli denaro contante. «Gli investigatori ritengono che abbia una certa fondatezza ritenere che detti incontri siano stati finalizzati alla consegna delle somme», scrive il giudice che evidentemente non vuole assumersi la paternità di questo sospetto. E in effetti al momento negli atti non si rintraccia riscontro alla dazione. Lo stesso magistrato ritiene invece «comprovata» la prestazione sessuale di una brasiliana di nome Monica all’interno del centro benessere del Salaria Sport Village (circolo sportivo di Anemone inserito nel circuito dei mondiali di nuoto) avvenuta il 14 dicembre e la ritiene una «contropartita».

Denis Verdini
Il coordinatore del Pdl è sospettato di aver favorito illecitamente la nomina di De Santis a provveditore della Toscana. Agli atti sono allegate numerose sue conversazioni, in particolare con Riccardo Fusi, patron dell’azienda toscana Btp, che gli chiede aiuto per ottenere gli appalti. Verdini dice più volte di essere a disposizione e utilizza per alcuni suoi spostamenti anche un elicottero messo a disposizione dall’imprenditore. Dopo aver appreso del suo coinvolgimento nell’inchiesta il parlamentare si è presentato ai pubblici ministeri. E ha dichiarato: «Fusi è un mio amico e gli ho presentato il mondo, ma certamente non per soldi. C’è un sistema, però non è illegale».

Riccardo Fusi
Sono decine le telefonate intercettate nelle quali l’imprenditore - con l’amministratore delegato Vincenzo Di Nardo - si attiva per ottenere i lavori. E riesce a essere inserito nel sistema. La ditta riesce ad aggiudicarsi la ricostruzione di una scuola a L’Aquila dopo il terremoto.

Antonio Di Nardo
Dipendente del ministero delle Infrastrutture, è uno degli uomini che mostra di poter gestire gli affari anche grazie ad alcune società nelle quali, secondo l’accusa, risulta essere gestore occulto. Ha rapporti diretti con i funzionari responsabili dei Grandi Eventi e segnala le ditte per gli appalti. I magistrati stanno anche valutando «i suoi rapporti con la criminalità organizzata campana e in particolare con soggetti vicini al clan camorristico dei Casalesi». Negli allegati ci sono sue conversazioni con Denis Verdini e con l’attuale presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro.

Francesco De Vito
È l’imprenditore che la notte del terremoto «ridevo nel letto». Lui ha negato di aver mai pronunciato quella frase, attribuendola al cognato. Mostra grande attivismo per procurarsi appalti e riesce a ottenere alcuni lavori per i mondiali di nuoto. I magistrati stanno verificando se abbia ottenuto altre commesse, lui ha negato di aver mai goduto di favoritismi.

Mario Sancetta
Presidente della Sezione di controllo della Corte dei Conti della Campania è in continuo contatto con imprenditori e funzionari del ministero delle Infrastrutture e dopo il terremoto de L’Aquila sollecita i suoi amici imprenditori ad attivarsi insieme a lui per farsi aggiudicare gli appalti. Dalle telefonate si capisce che a settembre 2008 ha chiesto l’intervento di Di Nardo, attraverso il coordinatore del Pdl Denis Verdini, per farsi nominare capo di gabinetto dal presidente del Senato Renato Schifani.

I POLITICI
Altero Matteoli
Denis Verdini assicura a Riccardo Fusi di averlo contattato per risolvere una questione legata all’appalto della Scuola dei marescialli ed è stata intercettata anche una telefonata diretta tra il ministro delle Infrastrutture e lo stesso imprenditore che gli chiede aiuto, ma Matteoli lo informa che sta andando in ferie. Pubblicamente il ministro ha dichiarato «con serenità, e con una punta d’orgoglio, che i miei comportamenti e la mia azione alla guida del Dicastero sono stati e saranno sempre e solo improntati al rispetto delle leggi, delle regole e della massima trasparenza».

Guido Viceconte e Mario Pepe
Entrambi «sono interessati nel far aggiudicare lavori pubblici all’imprenditore Guido Ballari», ma nell’ordinanza viene anche sottolineato come «fino al dicembre 2003 Ballari e Pepe comparivano (il primo amministratore unico e il secondo socio) nella Eurogruppo servizi». In una telefonata Pepe parla pure di «far scorrere una graduatoria» con riferimento alla nomina di De Santis. Viceconte dice di aver fatto «solo un favore a un amico, basta questo per finire alla gogna?». Pepe afferma invece di aver soltanto comunicato al funzionario dei Grandi Eventi «che era stato fottuto. E per il resto posso dire che Ballari è mio amico dai tempi dell’università».

I COMPRIMARI
Giuseppe Tesauro
Il giudice della Corte Costituzionale viene intercettato più volte mentre parla con Antonio Di Nardo e lo aiuta a risolvere un contenzioso con il ministero delle Infrastrutture legato alla sua doppia veste di dipendente pubblico e imprenditore. I due si vedono più volte. Tesauro è socio, insieme a Di Nardo e al giudice della Consulta Sancetta, di una società chiamata «Il Paese del Sole Immobiliare, srl». Ma si difende: «È stato mio cliente quarant’anni fa e si è rifatto vivo da poco. La società? Era un piccolo investimento in Sardegna, l’avevo dimenticato».

Giancarlo Leone
Dirigente della Rai, nelle telefonate intercettate mostra di essere buon amico di Angelo Balducci e di Diego Anemone. Con quest’ultimo parla spesso anche della ristrutturazione del suo appartamento del quale l’imprenditore si sta occupando. E si interessa di far inserire in una fiction della televisione di Stato il figlio attore di Balducci. Lui stesso assicura di aver provveduto anche a risolvere un problema che rischiava di farlo estromettere dalla produzione.

Gaetano Blandini
Direttore cinema del ministero dei Bene Culturali ha rapporti con Balducci e Anemone. L’indagine mira a verificare se li abbia agevolati la società delle loro mogli nell’erogazione dei fondi per le produzioni di film. Sarebbe riuscito a far assumere una persona di sua fiducia al dipartimento Grandi Eventi.

Gli architetti e la sinistra
Nelle conversazioni intercettate alcuni professionisti si lamentano perché «il sistema Veltroni» ha condizionato il sindaco di Firenze Domenici nella gestione degli appalti. Altri sostengono che «Balducci è uomo di Rutelli». Entrambi gli uomini politici del centrosinistra hanno smentito di essersi mai occupati di questo tipo di lavori.

Fiorenza Sarzanini

20 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Una talpa nei Servizi segreti
Inserito da: Admin - Marzo 03, 2010, 11:36:29 am
L’inchiesta - Le carte

«Cartello» degli appalti

Una talpa nei Servizi segreti

I pm: una società intestata a Verdini è riconducibile al costruttore Fusi


PERUGIA—La «cricca» che gestiva gli appalti per i Grandi Eventi poteva contare su appoggi all’interno della Guardia di Finanza e dei servizi segreti. E così veniva informata sugli sviluppi delle indagini in corso. A rivelare questi rapporti sono i nuovi atti giudiziari depositati dai magistrati di Perugia. Le migliaia di pagine - con intercettazioni, pedinamenti e accertamenti effettuati dai carabinieri del Ros - confermano l’esistenza di una rete ampia sulla quale potevano contare in particolare i due alti funzionari Angelo Balducci e Fabio De Santis e l’imprenditore Diego Anemone. Rivelano quanto accaduto all’interno della procura di Roma dopo il coinvolgimento dell’aggiunto Achille Toro. Ma soprattutto individuano una società intestata al coordinatore del Pdl Denis Verdini che gli investigatori ritengono riconducibile a Riccardo Fusi, l’imprenditore che il politico avrebbe agevolato nell’assegnazione di alcuni lavori. Si tratta della Parved che ha «la sede viene posta in Firenze via Alfieri 5 (ove hanno sede numerose imprese del gruppo Fusi) e che viene poi «trasformata in Parfu, di cui diventa socio portatore di azioni lo stesso Fusi ».
Nelle ultime ore la Banca d’Italia ha avviato un’ispezione del Credito cooperativo di cui Verdini è presidente.

GLI INCONTRI CON IL GENERALE - È la metà di febbraio 2009, tra i componenti della «combriccola» c’è agitazione per i controlli effettuati nei cantieri. Anemone attiva il suo commercialista Stefano Gazzani per saperne di più e il 24 febbraio lui gli fa recapitare un appunto. L’imprenditore è allarmato: «L’ho letto, mi debbo preoccupare quindi... un pochino ». Il professionista è a disposizione: «Mo’ bisogna interessarsi... capire... potrebbe essere anche una cazzata, cioè una cosa come dire preliminare che poi finisce lì, però la cosa strana è che, come hai letto, riguarda un’altra cosa. Boh! A te non ti risulta che ci stato nessun problema?» Anemone dice di non sapere nulla. Ma dalla settimana successiva contatta il generale delle Fiamme Gialle Francesco Pittorru, dal 2002 in servizio al Sisde. I rapporti con lui sono stretti, tanto che «dal febbraio 2010 - evidenziano gli investigatori - sua figlia Claudia è stata assunta presso il Salaria sport village», il circolo sportivo di Anemone frequentato anche da Guido Bertolaso e diventato una delle strutture dei Mondiali di nuoto. A fare da intermediario per gli appuntamenti è uno dei collaboratori dell’imprenditore, Roberto Molinelli. A maggio, quando i giornali danno conto proprio dell’inchiesta sui mondiali, vengono registrati diversi contatti e appuntamenti. Al telefono non pronunciano mai il suo nome, lo chiamano semplicemente «il generale» oppure «la torre». E subito dopo gli incontri, si scambiano le informazioni che hanno ottenuto. Il 20 luglio Molinelli rassicura: «Diego ti cercavo perché mi ha chiamato "la torre" emi dice "mi raccomando digli che è tutto a posto e di comunicarlo anche alla persona altra con i capelli bianchi» che, dicono gli investigatori, è Balducci.

L'INCONTRO CON NICOLO' POLLARI - Il 21 maggio, Roberto Di Mario, il segretario di Angelo Balducci lo informa che il generale Niccolò Pollari, ex direttore del Sismi, vuole incontrarlo: «Quel ragazzo che era venuto con il generale della Guardia di Finanza, non mi ricordo come si chiama, Valletta no Ballotta forse? qualcosa del genere, che lavora con Pollari, è venuto. Lui diceva "se il presidente è libero chiamo il generale che voleva vedere pure lui"». Balducci si rende disponibile: «Digli che se per lui va bene, domani mattina, magari se non vuol venire in ufficio, che ne so, ci possiamo vedere al Grand Hotel». Il segretario lo contatta nuovamente dopo poco: «Eccomi, allora ti aspetta al Grand Hotel stasera... viene anche questo suo attendente». Dieci minuti prima dell’appuntamento Balducci chiama Anemone.
Balducci: Niente... io c’avevo una riunione con uno dei professionisti adesso per quegli arbitrati che sono rimasti indietro. Però nel frattempo mi sono dovuto riallontanare perché mi ha chiesto... voleva prendere un caffè con me il... diciamo quello che una volta era il capo di "Merulana" per intenderci... quello il più famoso che è molto amico anche di Piero.
Anemone: ah ho capito
Balducci: e che faccio non ci vado? Loro li ho lasciati lì che stanno guardando le carte...E allora fa una cosa magari se tu alle 7 e mezzo ... ci possiamo vedere dove vendono quei vasi, quelle cose o meglio ancora al coso lì, a quello del teatro dell’opera. Ci prendiamo un caffè cinque minuti e poi io rivado lì da loro».

TORO E IL PROCURATORE - Il 10 febbraio scorso, quando scattano arresti e perquisizioni, il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro - accusato dai colleghi fiorentini di aver passato alla "cricca" notizie sull’inchiesta e ora anche di corruzione - contatta il capo del suo ufficio Giovanni Ferrara e in alcuni momenti alludono a passaggi dell’indagine.

Ferrara:...Achille ... tu che fai passi di qui o no?
Toro:... me ne sono tornato a casa Gianni ...sono andati a perquisire pure ... dove stava Stafano (si sbaglia) all’ufficio che mo ... non ho capito ad Infrastrutture ...presso ... a Porta Pia.
Ferrara:...ah! ... perché lui c’ha una cosa là ?
Toro:...lì ..te l'ho accennato .. ha avuto recentemente ... ... quella cosa che ti avevo accennato Ferrara:...ah! ho capito
Toro:...quindi... non lo so che cosa stanno costruendo ... che cacchio hanno fatto ... comunque domani mattina alle 10 mi vedo con l’avvocato... oggi pomeriggio con l'altro avvocato ... e vediamo di capire... alle 9 e mezzo sto in ufficio perché devo vedere l'avvocato ...
Ferrara:...domani vieni perché vediamo che cosa accade domani sui giornali
Toro:...e già lo sto leggendo ora ... già ... il riferimento al magistrato romano su Repubblica Ferrara:...ah sì ... che dicono ? .. no ci sta niente
Toro:... nell'inchiesta sono finite altre 20 persone parlano dell’arresto di Bertolaso
Ferrara:... no mica l'hanno arrestato Bertolaso!!
Toro:... no no .. scusa .. di Balducci ... De Santis e Della Giovampaola ...dunque sono finiti in manette anche De Santis Mauro Della Giovampaola e Diego Anemone ...poi tutto è avvenuto nell’ambito di un'indagine del ROS .. nell'inchiesta sono finite altre 20 persone indagate tra le quali anche un magistrato romano ... e quindi già hanno avuto la notizia ...
Ferrara:... ma certo ... mo sta sull' Ordinanza
Toro:...e Repubblica quindi ... ovviamente .. gli altri non ce l'hanno ancora ma Repubblica già ce l'ha ... quindi ho un attimo il problema di riprendermi io insomma ... hai capito?
Ferrara:... e domani con calma vediamo di ..
Toro:...e domani ... alle 10 viene di corsa ...coso ... Rampioni perché voglio dirgli quello che so insomma ... quello che non so perché qui ... non lo so come lo connettono ... poi insomma io non è che so tutto quello che ovviamente che è avvenuto però non mi pare che noi abbiamo fatto cose che ... va be’ comunque staremo a patire
Ferrara:... va be’ sono cose di prima di dicembre .. quindi non c’era proprio ... allora c’era solo la pendenza ...
Toro:... e no ... dalla comunicazione ... ci sono dei rapporti del Ros ... pure di recente ...di gennaio e del 2 febbraio ...hai capito?
Ferrara:... ah questo non lo so .. non abbiamo le carte .. hai capito?
Toro:... no no ... infatti voglio la copia di quello che hanno notificato a mio figlio per capire che cacchio stanno facendo ... mi preoccupa ’sto fatto che sono andati a perquisirlo pure nell’ufficio nuovo ... figurati un pochettino ... l’immagine per lui... io sono vecchio... che me frega insomma ... ma lui ... in tutti e due gli uffici sia all’Acea che là... va be’... e niente Gianni .. non me la sento oggi Ferrara:...oggi no ....oggi no ... domani
Toro:...parlo con l'avvocato poi appunto scambiamo due parole un attimo, ho bisogno Ferrara:...d’accordo a domani ...ciao

Tre giorni dopo Toro parla con una parente e afferma: «Io qui mi ero già stancato da qualche mese ... ma c’avevo la prospettiva da qui a un anno e mezzo che se ne andava Gianni (Ferrara, ndr) quasi sicuramente diventavo procuratore ...». Invece decide di dimettersi.

I FESTINI - In un capitolo dell’informativa i carabinieri evidenziano come «l’ingegner Balducci, per organizzare incontri occasionali di tipo sessuale, si avvale dell’intermediazioni di due soggetti che si ritiene possano far parte di una rete organizzata, operante soprattutto nella capitale, di sfruttatori o comunque favoreggiatori della prostituzione maschile». Su questo è stata avviata un’indagine parallela che si concentra sull’attività di Thomas Ehiem, un giovane nigeriano che nelle telefonate afferma di far parte del coro di San Pietro «e all’anagrafe di Roma è indicato come "religioso"». È lui ad offrire le prestazioni dei ragazzi, soprattutto stranieri, in cambio di soldi e piccoli favori. L’altro intermediario indicato nella relazione investigativa è invece Lorenzo Renzi, anche lui residente nella capitale.

LE TELEFONATE CON MINZOLINI - Sia Balducci, sia Anemone mostrano di essere in confidenza con il giornalista Augusto Minzolini. E quando questi diventa direttore del Tg1 lo chiamano per congratularsi, ma non solo. Alle fine di settembre scorso, dopo una serie di telefonate, i tre si incontrano. E, annotano gli investigatori «la ragione di questo incontro si trae dalla conversazione del 2 ottobre tra Patrizia Cafiero e Anemone; la donna lo informa che intanto sta andando all’appuntamento (con Giancarlo Leone) e per l’indomani pomeriggio ha organizzato un incontro al TG1 fra il giornalista Vincenzo Mollica e Lorenzo Balducci per la promozione del film «Io, don Giovanni», nel cui cast compare appunto il figlio dell’ingegner Balducci.

Tre giorni dopo Minzolini chiama Balducci.
Minzolini: allora ... ti è piaciuto?
Balducci:... grazie ... bellissimo.
Minzolini:... è stato proprio bello il servizio ... devo dire che lui è bravo ma anche Mollica è per queste cose.
Balducci:... guarda.. il servizio è venuto benissimo proprio, anche le scene poi si prestavano bene. Minzolini:...come no, infatti erano proprio bellissimi quei...
Balducci: io non ho parole.
Minzolini:...macchè! ... lascia perdere ... volevo soltanto sapere se ti è piaciuto... lui è contento? Balducci:... molto guarda ...
Minzolini:... memo male ... lì è una specie di investitura sai no? ... in quel mondo lì ...(ride)
Balducci: io ti, ovviamente ti avrei chiamato stasera perché non ti volevo
Minzolini: ma che scherzi? ... non ti preoccupare ... volevo sapere così .. son contento
Balducci:...ci vediamo presto?
Minzolini:...quando ti pare.

Fiorenza Sarzanini

03 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Alle società della «cricca» il lasciapassare degli 007
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2010, 11:09:59 am
L'inchiesta - le carte

Alle società della «cricca» il lasciapassare degli 007

Balducci ad Anemone: Bertolaso dice che sei il nostro capo


PERUGIA— «Tu sei il nostro capo». Così Angelo Balducci si rivolgeva all’imprenditore Diego Anemone. E gli assicurava di parlare anche a nome di Guido Bertolaso. Gli atti giudiziari della procura di Perugia svelano ulteriori retroscena sull’aggiudicazione degli appalti per i Grandi Eventi. Aggiungono dettagli sui comportamenti del capo della Protezione Civile. E fanno emergere nuovi contatti dei componenti della cricca come quello tra lo stesso Balducci e il consulente aziendale Luigi Bisignani, con il professor Valori e con l’ex segretario di Francesco Rutelli, Vincenzo Spadafora, che assume suo figlio all’Unicef. Ma l’indagine dovrà adesso verificare anche un’altra circostanza: il rilascio del "Nos" al gruppo Anemone. Si è infatti scoperto che il Gruppo ha ottenuto il «nulla osta di sicurezza» dai servizi segreti. Un riconoscimento che viene concesso soltanto a ditte che hanno particolari requisiti e possono così svolgere lavori per alcune istituzioni come appunto le sedi che ospitano gli apparanti di intelligence, quelle del Viminale, le caserme, le carceri e altre strutture «riservate». Saranno dunque i magistrati di Perugia a dover verificare se la procedura seguita sia stata regolare e se l’impresa avesse i titoli necessari.

Il prezzo invitato

Il 12 novembre scorso il responsabile del centro benessere del Salaria Sport Village Simone Rossetti contatta Stefano Morandi, un suo collaboratore, «e gli prospetta "l’importantissima" necessità di organizzare un ciclo di riabilitazione per la figlia di Bertolaso». Il tono è sbrigativo: «Allora praticamente ha chiamato la Protezione Civile... ha chiamato la segretaria del ministro Bertolaso ... ha richiesto siccome la figlia di Bertolaso c’ha un problema al... s’è tolta un chiodo praticamente... c'ha bisogno da domani mattina di una persona che le faccia sia la riabilitazione in acqua... quindi lei viene con la mascherina un po’ di pinne ’ste cose qui... vuole che gli mandi una mail allora fai... punto gallo... chiocciola protezione civile punto it... mi raccomando pure i prezzi dentro... mettiamogli un programma che ne so 10 sedute cose così». I due si sentono ancora poco dopo. Annotano gli investigatori: «Rossetti chiede a Morandi di indicare nel programma da inviare per posta elettronica alla segretaria Marina il prezzo inventato di 80 euro a seduta: "L’importo inventatelo insomma fai... fagli 80 euro a seduta».

Tessera di platino per il cognato

Le intercettazioni svelano come il circolo di Anemone sia una meta fissa per tutta la famiglia Bertolaso. E i dipendenti appaiono ben lieti di accontentare ogni richiesta. Il 17 ottobre, Rosalba, dipendente del Salaria Sport Village, parla con Rossetti di Francesco Piermarini, il cognato del capo della protezione civile, che ha ottenuto anche alcuni incarichi nell’ambito degli eventi. Rosalba: ... eh Simone ... ti disturbo? allora una cortesia questa mattina è venuto il signor Piermarini Francesco ... lui era ... che è platino (Categoria di abbonamento, ndr?)
... Rossetti: ... sì, a posto, a posto ... Rosalba: ... lo posso rinnovare ? Rossetti: ... assolutamente va bene ... sì, sì va be’ sai ... senti una cosa quella lì ... prolungamela così poi non c’abbiamo problemi... prolungamela un paio d’anni va bene?... Rosalba: ah! va benissimo, sì perché ha portato un’ospite io ho fatto entrare... Rossetti: ... non ci sono problemi hai fatto benissimo... A confermare gli ottimi rapporti tra Bertolaso e Anemone è, secondo gli investigatori, una telefonata del 31 dicembre scorso tra l’imprenditore e Balducci. Balducci:... poi mi ha chiamato Guido e m’ha detto... sai... dice... ho avuto un bellissimo colloquio con il nostro capo... che saresti te Anemone:... (ride) Balducci: e m’ha detto senti allora ci vediamo il... magari se sei a Roma?... dico... no ... guarda ... io il primo ho detto ... be’ può darsi perché poi il primo sera e il 2 mattina... faccio 3-4 giorni alla Residance

I lavori alla Triumph

Il 12 dicembre scorso Balducci commenta la pubblicazione di un articolo sul settimanale L’Espresso «dove il riferimento alla società Triumph "è perfettamente preciso", aggiungendo che più volte ha segnalato a Guido (Bertolaso) che era "un’esagerazione affidare sempre a tale impresa le fornitura di servizi"». Annotano i carabinieri del Ros: «Si tratta della impresa Gruppo Triumph srl con sede a Roma via Lucilio 60, costituita il 23 luglio 1991 che presenta in atto un capitale sociale di euro 35.000, ripartito fra i soci: (euro 34.000) Maria Criscuolo, (euro 1.000) Francesca Accettola. La società ha come attività l'organizzazione sia nella preparazione che nello svolgimento di conferenze, congressi, tavole rotonde, riunioni, seminari ed incontri tecnici e scientifici». E poi aggiungono: «Proprio a Maria Criscuolo, il pomeriggio del giorno successivo (24 dicembre), Balducci invia un sms pr gli auguri natalizi. "Maria tanti auguri e spero a presto. Angelo Balducci". Dopo pochi minuti Maria Criscuolo, con un altro sms, risponde. "Anche io spero di vederti presto un abbraccio Maria». Balducci è critico nei confronti di Bertolaso anche in occasione del suo viaggio ad Haiti dopo il terremoto. Ne parla con Mauro della Giovampaola e afferma: «Domani lui ritorna da Haiti ... perché è andato lì per far ’sta boutade, perché insomma, mi pare andare lì un giorno e mezzo non credo che...».

I nuovi contatti

Tra gennaio e febbraio scorsi vengono rilevati contatti mai emersi in precedenza. Il 20 gennaio Balducci chiede al centralino di palazzo Chigi, dove ha sede il suo ufficio «di essere messo in contatto con il dottor Luigi Bisignani». Dopo alcuni tentativi gli viene risposto che non è rintracciabile e lui annuncia che riproverà nel pomeriggio. Scrivono i carabinieri: «È la prima volta che nel corso della presente indagine emerge il nome di Luigi Bisignani e il tentativo di contatto è concomitante alla pubblicazione sul quotidiano La Repubblica, dell’articolo dal titolo "Bertolaso spa" in cui fra gli altri, si fa cenno sia a Bisignani sia a Balducci». Non ci sono altre telefonate tra i due, mentre il 3 febbraio Balducci viene chiamato dal professor Valori che afferma: «È venuta a trovarmi Donatella e così passando è venuto il discorso su di te ... "assolutamente bisogna tutelarlo!" eh adesso a Roma è arrivato un numero uno, un grande amico preferisco parlartene a voce non da questi mezzi che ci ascoltano tutti. Ci sentiamo domattina e così ci raggiungiamo perché è importante che tu sappia... Donatella... mi raccomando perché questa ... tu sai... sono molto legato a tutti e due».

Il posto all’Unicef

Erano noti i rapporti tra Balducci e Spadafora, l’ex segretario di Rutelli poi diventato presidente dell’Unicef. E adesso si scopre che il figlio dell’alto funzionario è stato assunto come dipendente part-time presso l’organizzazione che tutela i diritti per l’infanzia «con contratto firmato nell’ottobre 2009, pochi giorni dopo un incontro tra i due». «Filippo Balducci - che svolge anche un altro lavoro come assistente del direttore artistico dell'auditorium di Roma - telefona al commercialista Stefano Gazzani, preoccupato per gli effetti fiscali dell’accumulo del doppio stipendio ma riceve assicurazioni. Gli dice il professionista: «Puoi firmare tranquillo. Quando ti farò la dichiarazione dei redditi ti dirò "Filippo c’è da pagare una integrazione perché chiaramente la somma dei due redditi fa saltare ad uno scaglione superiore, per cui ci sarà una aliquota marginale un po’ più alta e ci sta da pagare la differenza ogni anno, ma quello poi ogni volta che faccio la denuncia dei redditi te lo dico io. Per cui puoi firmare tranquillo, auguri!». Gazzani, che gestisce non soltanto il patrimonio della famiglia Balducci, ma anche quello del Gruppo Anemone, è indagato nell’inchiesta.

Fiorenza Sarzanini

04 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
DA corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il pm punta a interdire anche il capo del governo
Inserito da: Admin - Marzo 13, 2010, 11:06:32 am
Le mosse Martedì è prevista la testimonianza di Santoro

Il pm punta a interdire anche il capo del governo

Scontro con il procuratore sulle misure

       
ROMA — Sono tesi i rapporti tra il capo della Procura di Trani e il pubblico ministero che indaga sulle pressioni che sarebbero state esercitate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi su Agcom per fermare alcuni programmi televisivi, in particolare Annozero. Lo scontro è esploso negli ultimi giorni e riguarda i provvedimenti da prendere nei confronti degli indagati.

Il sostituto Michele Ruggiero vuole infatti sollecitare l'emissione della misura cautelare dell'interdizione dai pubblici uffici per gli indagati. L'istanza nei confronti del componente dell'Agenzia per le comunicazioni Giancarlo Innocenzi sarebbe già stata inviata al giudice non escludendo di poter procedere ad un'analoga richiesta anche nei confronti del capo del governo. Il problema riguarda a questo punto la controfirma del procuratore Carlo Maria Capristo che avrebbe manifestato in maniera esplicita la propria contrarietà. Se vorrà utilizzare le telefonate di Berlusconi, Ruggiero dovrà sollecitare l'autorizzazione della Camera. Si tratta infatti di conversazioni intercettate in maniera indiretta (cioè sull'apparecchio di persone indagate, che per tale motivo era stato messo sotto controllo) e dunque soltanto il via libera del Parlamento consente di trasformarle in un elemento d'accusa. È l'intenzione del pubblico ministero, ma pure per intraprendere questa strada è necessario il «visto» del procuratore. E al momento non sarebbe stato raggiunto alcun accordo. La mediazione potrebbe passare proprio per l'esame della posizione di Innocenzi da parte del giudice delle indagini preliminari, anche se le perplessità non appaiono del tutto fugate.

I dubbi del capo dell'ufficio riguarderebbero tra l'altro la «discovery» delle carte processuali che deriverebbe dall'emissione della misura interdittiva. Per sollecitare un provvedimento è infatti necessario affidare al giudice tutti gli atti necessari a sostenerne la fondatezza. Diventerebbero così pubbliche le telefonate del funzionario indagato intercettate nelle ultime settimane, comprese quelle con il premier. Non a caso le indiscrezioni filtrate ieri accreditano la tesi che eventuali ordinanze dovevano essere sollecitate dopo le elezioni del 28 marzo, per non influire sulla campagna elettorale. La fuga di notizie sull'esistenza del fascicolo avrebbe impresso quindi una svolta inattesa, convincendo il pubblico ministero sulla necessità di procedere con urgenza per non pregiudicare l'esito di eventuali nuovi accertamenti. Il calendario già fissato per il proseguimento dell'inchiesta prevedeva la convocazione di numerosi testimoni. Tra loro, lo stesso conduttore di Annozero Michele Santoro che dovrebbe essere interrogato martedì prossimo anche per ricostruire che cosa è accaduto prima della messa in onda di alcune puntate del suo programma che poi sono state oggetto di contestazione. In alcuni casi si è rischiata la cancellazione — come avvenne quando l'ufficio legale diede parere negativo all'intervista a Patrizia D'Addario — anche se poi questo provvedimento estremo è stato sempre scongiurato. Il pubblico ministero vuole comunque verificare il «dietro le quinte» e sapere direttamente da Santoro quale atteggiamento sia stato tenuto in queste occasioni dai vertici della Rai.

Fiorenza Sarzanini

13 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Agli atti 18 telefonate del premier
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2010, 09:26:25 am
Politica e tv

Agli atti 18 telefonate del premier

Così è scattata l'inchiesta di Trani

La procura: nessun documento riservato agli ispettori.

I legali di Innocenzi: l'indagine sia spostata a Roma


ROMA - Il 17 dicembre scorso, davanti ai pubblici ministeri di Trani, Giancarlo Innocenzi ha negato di aver mai subito pressioni. Il componente dell’Agcom ora accusato di concussione fu convocato come testimone nell’ambito dell’indagine su tassi usurai che sarebbero stati applicati a carte di credito dell’American Express. Verso la fine dell’interrogatorio gli fu chiesto in maniera esplicita se avesse mai ricevuto richieste per bloccare la messa in onda di trasmissioni o se fosse a conoscenza di qualcuno che lo aveva fatto. Lui lo escluse.

Non sapeva che i magistrati avevano già ascoltato le sue conversazioni durante le quali Silvio Berlusconi lo sollecitava a intervenire affinché l’Autorità di cui fa parte bloccasse AnnoZero di Michele Santoro e altri programmi di approfondimento e lui si metteva a disposizione. Dopo qualche giorno finì indagato. Questa circostanza sarà utilizzata dal suo avvocato Marcello Melandri per sollecitare la trasmissione del fascicolo a Roma per competenza. L’istanza sarà presentata stamani dal difensore che spiega: «Soltanto adesso scopriamo, grazie a una fuga di notizie, che quando è stato convocato il mio cliente era di fatto già sotto inchiesta. Mentre all’epoca non riuscivamo a spiegarci quelle domande, adesso sappiamo che derivavano dall’ascolto di conversazioni intercettate. Dunque, doveva essere interrogato con l’assistenza di un legale. In ogni caso non si capisce a che titolo procedano questi magistrati. Qualora esistesse davvero un reato - e su questo ho seri dubbi - non spetterebbe a loro indagare, ma ai pm della capitale».

Allegate agli atti ci sarebbero tredici conversazioni di Innocenzi con il presidente del Consiglio, e cinque dello stesso premier con il direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Ed è il procuratore di Trani Carlo Maria Capristo a specificare: «Tutto quello che non ha attinenza con l’indagine è già stato eliminato». Ciò vuol dire che le telefonate di Berlusconi sono ancora nel fascicolo, anche se per poterle utilizzare nei suoi confronti bisognerà chiedere l’autorizzazione alla Camera. In ogni caso si tratta di documentazione che gli ispettori ministeriali non potranno esaminare. Il capo dell’ufficio su questo è categorico: «È la legge a impedire che possano visionare atti coperti dal segreto, dunque noi non daremo alcun documento. Faccio il magistrato da trent’anni, sono sempre stato in prima linea e questa è la prima ispezione che subisco, ma conosco le regole». Il Guardasigilli Angelino Alfano ha parlato di «abuso di intercettazioni a strascico», vale a dire conversazioni captate nel corso della prima indagine e poi utilizzate nel nuovo fascicolo. Dichiara Capristo: «Sinceramente non so proprio che cosa volesse dire. Se ci sono dialoghi che necessitano approfondimenti perché fanno intravedere ipotesi di reato, noi siamo obbligati ad effettuare le verifiche. Ed è quello che stavamo facendo, quando c’è stata la fuga di notizie».

L’alto magistrato dice di essere «turbato e amareggiato per quanto accaduto, perché si è trattato di un vero e proprio siluro all’inchiesta. Basti pensare che l’informativa della Guardia di Finanza è stata consegnata il 5 marzo scorso e in questa settimana stavamo decidendo come procedere». In realtà il pubblico ministero Michele Ruggiero era intenzionato a chiedere un provvedimento di interdizione dai pubblici uffici per gli indagati ed è stato proprio il procuratore a frenare. Da giorni nega però qualsiasi tipo di tensione, assicura che «qui siamo abituati a lavorare in squadra, confrontandoci e trovando insieme una soluzione ad ogni problema». Poi sottolinea la sua «determinazione a scoprire chi ha soffiato la notizia sull’esistenza dell’indagine» pubblicata da Il Fatto Quotidiano. Perché, dice, «siamo noi le prime vittime di quanto è accaduto e io posso assicurare che da questo ufficio nulla è trapelato». In realtà appena due giorni fa una non meglio specificata «fonte giudiziaria» ha smentito l’iscrizione nel registro degli indagati di Minzolini. Su questo Capristo è lapidario: «Non so di chi si tratti né chi possa aver parlato a nome della Procura. Io certamente non ho emesso alcun comunicato».

Fiorenza Sarzanini

15 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Maroni e la guerra delle cifre: dal Viminale dati certi
Inserito da: Admin - Marzo 22, 2010, 03:13:23 pm
Dietro le quinte - Il conteggio tra 120 e 140 mila presenze arriva alle 20

Maroni e la guerra delle cifre: dal Viminale dati certi

Il ministro dell'Interno ai suoi: diciamo la verità, come al solito. Qui ci sono persone serie

Dietro le quinte - Il conteggio tra 120 e 140 mila presenze arriva alle 20

Maroni e la guerra delle cifre: dal Viminale dati certi


ROMA—L’amarezza si trasforma in rabbia quando il ministro dell’Interno capisce che a far montare la polemica contro la Questura di Roma sono soltanto gli attacchi che arrivano dagli esponenti del Pdl. E ieri pomeriggio — mentre Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto mostrano di non aver alcuna intenzione di chiudere il caso — Roberto Maroni sbotta: «Si sta alimentando uno scontro che non esiste. Questo è un autogol clamoroso, soprattutto in materia di comunicazione. Al Viminale ci sono persone serie, i dati forniti sono sempre reali».

Per ricostruire quanto è accaduto, bisogna dunque tornare a sabato pomeriggio e a quell’annuncio di Denis Verdini — «siamo un milione» — che aveva lasciato tutti stupefatti. Il dato ufficiale sui partecipanti viene generalmente fornito al termine delle manifestazioni. Sono gli addetti al gabinetto della Questura ad esaminare i filmati ripresi dagli elicotteri, il numero dei pullman arrivati in città, quello dei treni speciali organizzati per l’evento e ad incrociare queste risultanze con l’ampiezza degli spazi che si calcola tenendo conto della superficie del palco, dei gazebo montati ai lati della piazza, delle transenne posizionate per orientare i flussi di chi sfila. Ed è proprio questa la procedura seguita anche due giorni fa. Sono circa le 20 quando arriva il conteggio finale che oscilla tra le 120.000 e le 140.000 persone. Il numero viene comunicato ai vertici della polizia.

Del resto al raduno di San Giovanni c’era il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi circondato dai componenti del governo, prima di smentire la cifra fornita di fronte alle telecamere dal coordinatore del Pdl si preferisce consultarsi direttamente con il Viminale. Pochi minuti dopo viene informato il ministro dell’Interno. La differenza tra questo dato e quello di Verdini appare evidente, ma Maroni decide di non far effettuare alcuna correzione. «Procediamo come al solito—dice ai collaboratori più stretti — e diciamo la verità». Due sabati fa, quando il centrosinistra aveva organizzato a piazza del Popolo la protesta contro il decreto del governo per l’ammissione delle liste alla Regionali e aveva affermato di aver portato in piazza almeno 200 mila persone, la Questura aveva smentito questo numero parlando di 25 mila partecipanti. E in quell’occasione non c’era stata alcuna polemica, tanto meno accuse ai responsabili dell’ordine pubblico.

Nessuno immagina dunque una reazione violenta come quella di Gasparri, che arriva a parlare di «crisi etilica» del questore Giuseppe Caruso. Anche perché nel luglio 2008 la sua nomina aveva avuto il gradimento esplicito degli esponenti di Alleanza nazionale e dunque l’attacco arriva del tutto inaspettato. Ma soprattutto nessuno può prevedere che anche altri esponenti del Pdl scelgano di cavalcare la polemica e che lo stesso Gasparri decida di tornare sull’argomento per rincarare la dose. E allora sono i sindacati a schierarsi, con il segretario dell’Associazione funzionari di polizia Enzo Letizia che sottolinea come «il calcolo dei partecipanti è problema di quinta elementare, tenuto conto che il numero massimo per metro quadro è di 4 persone, che i funzionari hanno visto le riprese effettuate dagli elicotteri per l’intera durata della manifestazione e che è nota la superficie della piazza e delle vie adiacenti».

Interviene anche Nicola Tanzi del Sap per sottolineare come «ognuno deve fare il proprio mestiere, la Questura fa bene il proprio lavoro e il dato sui manifestanti di piazza San Giovanni rappresenta la realtà dei fatti. Anzi sicuramente erano qualcosa in meno e non in più di 150 mila». Duro il commento di Claudio Giardullo del Silp Cgil, secondo il quale «il rispetto delle regole è condizione fondamentale per la democrazia e questo vale soprattutto per chi ha l’onore di governare il Paese, che non può invocare questo principio solo per gli altri e non per se stesso. Anche in questa occasione è stato utilizzato il metodo usato da anni nella Capitale, dimostrando ancora una volta che le forze di polizia sono al servizio della legge e del cittadino e non di un qualunque schieramento politico. A loro esprimiamo la nostra solidarietà e il nostro sostegno».

Fiorenza Sarzanini

22 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
DA corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Carabiniere del caso Marrazzo accusato di aver ucciso...
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2010, 09:58:06 am
OMICIDIO CAFASSO

Carabiniere del caso Marrazzo accusato di aver ucciso il pusher

Avrebbe fornito la dose di droga. La svolta dopo il racconto del trans Jennifer


La dose letale di droga che uccise il pusher del «caso Marrazzo» sarebbe stata fornita da un carabiniere. È clamorosa la svolta nelle indagini sulla banda di militari accusati di aver ricattato l’ex governatore del Lazio per i suoi incontri con i transessuali. La Procura di Roma contesta l’accusa di omicidio volontario al maresciallo della Compagnia Trionfale Nicola Testini, già indagato di complicità con i due colleghi che agli inizi di giugno 2009 fecero irruzione nell’appartamento di via Gradoli dove il politico era in compagnia del viado Natalie. Gianguerino Cafasso sarebbe stato eliminato — è il sospetto degli inquirenti — perché era diventato un testimone scomodo e pericoloso. Lo ha raccontato la sua fidanzata Jennifer, il transessuale di 29 anni Adriano Da Motta, rivelando anche il nome dell’uomo che gli avrebbe consegnato la cocaina mischiata a eroina, uno «speedball» mortale.

La confessione sul video
Non è l’unica novità. Una settimana fa, interrogato in carcere, l’altro carabiniere Luciano Simeone ha ammesso di essere stato lui a girare il video per incastrare l’allora presidente della Regione Piero Marrazzo. Un filmato di 12 minuti che lo ritraeva scarmigliato e in mutande, sul tavolino soldi e strisce di cocaina, che cercarono poi di vendere e che — quando i carabinieri furono arrestati e divenne pubblica la vicenda — lo costrinse alle dimissioni. Dopo la cattura (in cella c’è anche Carlo Tagliente) i carabinieri accusarono proprio Cafasso di essere entrato con loro nell’appartamento e aver ripreso la scena con il telefonino. «Ma era una bugia» confessa adesso Simeone che si sarebbe mostrato disponibile a collaborare con gli inquirenti pur di tornare in libertà o quantomeno ai domiciliari. Un atteggiamento che sarà comunque verificato oggi, quando i pubblici ministeri lo interrogheranno nuovamente. Si torna dunque al 12 settembre scorso, quando Cafasso viene trovato cadavere in una stanza dell’hotel Romulus, sulla via Salaria a Roma. Stroncato mentre dormiva accanto a Jennifer. Inizialmente si pensa a un infarto, dovuto alle cattive condizioni di salute dell’uomo e alla sua vita sregolata. Il caso viene archiviato. Ma due mesi dopo, quando invece si scopre che il pusher ha avuto un ruolo da protagonista nel ricatto a Marrazzo, il magistrato ordina nuovi accertamenti. Le analisi effettuate sul cadavere riesumato convincono gli esperti che a ucciderlo sia stato lo stupefacente «tagliato» male. E così viene convocato di nuovo Jennifer. «Quella sera — racconta — andammo da Testini a prendere la droga. Era già successo altre volte, lui era uno dei fornitori di Rino». I carabinieri del Ros che si occupano delle indagini lo incalzano, non credono a questa versione. Ma il viado fornisce dettagli che appaiono convincenti, si decide di effettuare nuovi riscontri. L’analisi dei tabulati telefonici mostra effettivamente i contatti tra Cafasso e Testini, una verifica sulle celle telefoniche agganciate in quelle ore dai loro cellulari sembra confermare gli spostamenti, così come li ha raccontati Jennifer. E poi ci sono le descrizioni dei luoghi dove si incontravano. «Per prendere la droga — afferma il transessuale — ci vedevamo nella zona di Saxa Rubra». Quanto basta — dice la Procura— per iscrivere il nome di Testini nel registro degli indagati per omicidio.

Il cambio nella trattativa
Ai primi di luglio era stato proprio Cafasso a contattare due giornaliste del quotidiano Libero per tentare di vendere il video. Entrambe hanno raccontato che la cifra richiesta era di circa 500.000 euro e che «Cafasso diceva che lo volevano ammazzare perché lui conosceva tutti i segreti dei transessuali». Il video era stato girato da Simeone. Se era nella mani del pusher vuol dire che erano stati proprio i carabinieri ad affidargli l’incarico di trattarlo. Ma agli inizi di agosto qualcosa di nuovo evidentemente accade. Dopo aver fatto alcuni tentativi, i tre militari chiedono ad un altro collega, Antonio Tamburrino, di aiutarli a trovare qualcuno che possa piazzare il filmato sul mercato. Attraverso il fotografo Max Scarfone si arriva così all’agenzia di Milano Photomasi che contatta Alfonso Signorini per tentare di vendere le immagini alla Mondadori. Che cosa è accaduto con Cafasso? Perché è uscito di scena? Il sospetto dei magistrati è che il pusher sia stato messo da parte quando si è capito che il guadagno non sarebbe stato poi così elevato. Del resto la cifra iniziale da lui richiesta, era stata notevolmente ridimensionata tanto che a fine settembre la Photomasi parlò a Scarfone di un possibile accordo su 60.000 euro. È dunque possibile che abbia reclamato comunque la sua parte o che abbia minacciato Testini di rivelare che cosa era accaduto. Le indagini hanno svelato come il legame tra i carabinieri e lo stesso Cafasso fosse piuttosto frequente e soprattutto come il pusher fosse a conoscenza di quale attività reale si nascondeva dietro le continue visite che i militari della Trionfale facevano negli appartamenti abitati dai viados.

Le rapine ai clienti
È quanto Simeone avrebbe adesso deciso di confessare: ricatti e rapine ad altri clienti dei transessuali sorpresi nelle case che si trovano tra via dei due Ponti e via Gradoli. Finora sono circolati diversi nomi, anche famosi, di persone che frequentavano la zona ma nessun riscontro è arrivato dalle indagini. La scelta di Simeone di rendersi disponibile potrebbe fornire nuovi elementi alle indagini. Anche perché rimane aperta l’indagine sulla morte di Brenda, l’altro transessuale che aveva rapporti con Marrazzo, trovato cadavere la mattina del 20 novembre scorso. Anche in questo caso la Procura procede per omicidio, ma al momento non sembrano esserci prove concrete sul fatto che il viado sia stato assassinato. L’autopsia ha accertato che la morte è stata causata dal fumo che aveva riempito il monolocale dove si era addormentato, stordito dall’alcol. Sul corpo nessun segno di violenza, ma secondo gli inquirenti non si può escludere che qualcuno sia entrato nell’appartamento e dopo aver accertato che Brenda non era più cosciente e dunque in grado di fuggire, abbia dato fuoco a un trolley sistemato all’ingresso. Un’ipotesi che ha comunque bisogno di ulteriori verifiche. Simeone finora ha detto di non sapere nulla di entrambi i decessi, ma è possibile che già oggi decida di fornire elementi su quanto accadde nel corso della trattativa avviata per vendere il filmato e sulle pressioni esercitate nei confronti dello stesso Marrazzo. Il carabiniere dovrà anche spiegare per quale motivo, dopo aver cercato di spillargli soldi, lui e i suoi colleghi decisero di vendere il video trasformando la vicenda in un vero e proprio ricatto politico. Ad avvisare Marrazzo che la Mondadori ne aveva una copia fu infatti il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini

25 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Maroni: Bossi candidato sindaco a Milano. (ingordo).
Inserito da: Admin - Aprile 06, 2010, 11:27:06 am
E sulla Giustizia: «Eliminare l'obbligatorietà dell'azione penale»

«Semipresidenzialismo alla francese e subito il taglio dei parlamentari»

Maroni: Bossi candidato sindaco a Milano. E facciamo un pensierino anche a Napoli...


ROMA— Le riforme: «Tocca alla Lega fare quella Costituzionale». I magistrati: «Aboliamo l’obbligatorietà dell’azione penale». Il sindaco di Milano: «Stiamo facendo un pensierino anche su Napoli». Il ministro Roberto Maroni elenca le priorità del Carroccio e anticipa quello che la Lega chiederà questa sera durante l’incontro a Villa San Martino con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Presentate il conto dopo la vittoria elettorale?
«Noi non chiediamo né posti né nuovi assetti di governo».

Neanche il ministero dell’Agricoltura?
«Decide Berlusconi, se vuole assegnarlo a noi faremo bene, ma su questo non abbiamo istanze».

E allora che cosa volete?
«Che sia affidato a Umberto Bossi e Roberto Calderoli il compito di formulare una proposta di grande riforma della Costituzione disegnando il nuovo assetto costituzionale e federale. Credo che la Lega lo meriti, che sia il riconoscimento del nostro straordinario successo. Siamo pronti e soprattutto abbiamo la capacità per farlo».

E crede che gli altri saranno d’accordo?
«Ci saranno le resistenze di chi ci continua a dipingere come gente rozza e senza cultura».

A chi si riferisce?
«A numerosi commentatori, ai cosiddetti poteri forti che vogliono lo status quo».

E dentro il Pdl?
«Tutti sanno che chi può davvero cambiare le regole siamo noi visto che non abbiamo cambiali da pagare, siamo gente concreta che non si fa comprare. Anche Berlusconi sa che se vuole davvero fare la grande riforma non può che affidarsi alla Lega, noi siamo leali.
La nostra vittoria rafforza il governo. Se vuole passare alla storia non può che stare con noi».

La priorità?
«Senato federale e nuova riforma del titolo quinto che va cambiato perché il sistema di competenze concorrenti tra Stato e Regioni ha creato un guazzabuglio con conflitti continui davanti alla Corte Costituzionale. Poche materie esclusive allo Stato, tutto il resto alle Regioni».

E la riduzione dei parlamentari?
«Si deve fare subito. Vorrei ricordare che noi l’avevamo approvata e soltanto un atteggiamento miope dell’opposizione ha cancellato tutto con il referendum».

Il modello di presidenzialismo?
«Alla francese. Se sono chiare competenze del governo e delle Regioni, assegna il giusto potere a chi viene eletto direttamente dal popolo e deve poterlo esercitare».

Siete disposti a fare la riforma costituzionale senza l’opposizione?
«La nostra sfida è di farla approvare dai due terzi del Parlamento e riusciremo a vincerla. Noi apriremo il confronto con le opposizioni, con la società civile, con la magistratura. L’ho già detto in passato: il Pd è per noi un interlocutore indispensabile. Noi abbiamo tre anni davanti, non siamo come la sinistra che ha dovuto agire prima che cadesse il governo avendo l’ansia di tenere unita la coalizione. Abbiamo già riformato le pensioni e il Welfare, ora Bossi e Calderoli sono le persone giuste per fare il resto».

Pensa davvero che la componente di Alleanza nazionale darà il via libera?
«Il presidente Gianfranco Fini e i suoi possono dare un contributo sul presidenzialismo. Ma ci vuole qualcuno che coordini e la regia deve essere della Lega. Del resto noi siamo il vero motore e dunque il soggetto giusto». E sulla giustizia? «La riforma la studia il Guardasigilli Angelino Alfano, ma io sono convinto che si debba arrivare a una vera separazione delle carriere e— questo è un mio pallino da quindici anni — all’eliminazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, in modo da rendere davvero responsabili delle proprie scelte i magistrati».

Con il pubblico ministero dipendente dall’esecutivo?
«Assolutamente no. Io propongo di salvaguardare l’autonomia della magistratura assegnando ai procuratori il compito di stabilire la gerarchia dei reati da perseguire. Del resto, nella realtà dei fatti questo principio è già stato abolito. A Torino il procuratore Marcello Maddalena ha indicato in una circolare a quali reati bisogna dare priorità».

Lo ha fatto dopo l’approvazione della legge che dimezzava i tempi di prescrizione e l’indulto.
«Ha dimostrato comunque che si può derogare a un principio che spesso ha rappresentato un’aberrazione rispetto alle intenzioni del legislatore perché ha portato a una totale assenza di responsabilità da parte dei magistrati che sbagliano o che non fanno le cose come devono essere fatte. Noi dobbiamo eliminare la foglia di fico che alcuni magistrati usano per fare operazioni politiche».

E dunque quale sarebbe la sua proposta?
«Con la creazione dei due Csm, la pubblica accusa stabilisce la lista delle priorità. Ma se poi agisce con ritardo, se fa intercettazioni inutili o se errori e negligenze consentono ai mafiosi di uscire dal carcere, ne paga le conseguenze».

Sulle intercettazioni non ci sarà questo problema visto che appena sarà approvata la nuova legge saranno limitate al massimo.
«Questa è una falsità della campagna elettorale che, come tutte le altre è stata spazzata via dall’unico giudice che è il popolo a cui non è ammesso ricorso».

Lei davvero crede che le nuove norme non influiranno sulla possibilità di indagare?
«Io sono sicuro che per i reati che davvero provocano allarme sociale non cambierà proprio nulla. In ogni caso noi dobbiamo riformare la giustizia malata perché non riesce a dare ai cittadini risposte in tempi rapidi. L’ultimo esempio riguarda Reggio Calabria. A gennaio, dopo la bomba esplosa di fronte alla Procura generale, io e Alfano siamo andati a Reggio Calabria e il Guardasigilli si è detto pronto a mandare immediatamente sei magistrati di rinforzo. Il parere del Csm è arrivato soltanto in questi giorni».

Il candidato sindaco di Milano sarà del Carroccio?
«Bossi si è già prenotato».

Il ministro Ignazio la Russa ha detto: «C’è un patto, spetta a noi senza condizioni».
«Schermaglie. Si vota a maggio del 2011 e fino ad allora ce n’è di tempo. Si voterà anche a Napoli».

E pensate di candidare un leghista?
«Perché no, non è detto che non ci facciamo un pensierino. Almeno cominceremo a far funzionare qualcosa»

Fiorenza Sarzanini

06 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Evasione beffa del «re della droga»
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2010, 03:20:40 pm
Criminalità - Roberto Pannunzi era il mediatore tra la 'ndrangheta e i narcos colombiani

Evasione beffa del «re della droga»

Ottiene gli arresti domiciliari e fugge da una clinica romana


ROMA — Era detenuto in regime di carcere duro, ma era riuscito a ottenere gli arresti domiciliari per motivi di salute.
E tre settimane fa è fuggito dalla clinica di Roma dove era stato trasferito per effettuare alcuni accertamenti sanitari. È di nuovo latitante Roberto Pannunzi, 64 anni, definito il «re del narcotraffico» per la sua capacità di gestire l'acquisto di eroina e cocaina per conto della 'ndrangheta. Un mediatore di alto livello, utilizzato anche da Cosa Nostra quando si doveva trattare con il cartello dei colombiani di Medellin l'acquisizione di grosse partite di stupefacenti.

Sei anni dopo essere stato catturato a Madrid dai poliziotti dello Sco, il servizio centrale operativo, è ufficialmente «irreperibile» e adesso bisognerà stabilire per quale motivo si sia deciso di attenuare le misure di detenzione nonostante fosse già stato condannato per reati gravissimi come l'associazione mafiosa e il traffico internazionale di droga. E dunque si dovrà verificare la regolarità delle procedure seguite. La decisione di applicare nei suoi confronti il 41 bis viene presa il 22 febbraio 2006. Nel curriculum criminale di Pannunzi ci sono i legami con la famiglia del boss calabrese Giuseppe Morabito, detto u tiradrittu, e con le famiglie di Bagheria.
Sono i carabinieri del Ros a ricostruire per conto dei magistrati di Perugia i viaggi che ha organizzato dal Sudamerica per trasferire la cocaina in Europa a bordo di piccoli aerei da turismo. È stato condannato in due differenti processi a venti e a sedici anni, i giudici ritengono quindi necessario limitare al massimo i suoi possibili contatti con l'esterno. Del resto anche il figlio Alessandro — che con lui era stato catturato in Spagna nell'aprile del 2004 — ha dimostrato di essere perfettamente inserito negli ambienti della malavita organizzata. Il 6 luglio scorso il boss ottiene però gli arresti domiciliari e va in una clinica a Nemi, alle porte della capitale. «Cardiopatia ischemica postinfartuale» è la diagnosi che convince i giudici del tribunale di sorveglianza di Bologna — con il parere favorevole dei collegi che lo avevano ritenuto colpevole — a concedergli di lasciare la prigione.

Una decisione poi confermata dal tribunale di sorveglianza di Roma. Verdetti che vengono adesso definiti «anomali» dagli esperti di ordinamento penitenziario. Generalmente a chi si trova in regime di carcere duro si applica infatti l'articolo 11, che prevede il ricovero nei reparti specializzati del carcere e consente il trasferimento in strutture esterne soltanto «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti». Nel dicembre scorso Pannunzi entra in un'altra casa di cura della capitale, Villa Sandra. La detenzione domiciliare non consente il piantonamento e così vengono disposti controlli saltuari delle forze dell'ordine. Il 15 marzo, durante la perlustrazione, si scopre che è scappato. La notizia viene tenuta riservata, si cerca di capire se possa aver trovato rifugio nelle vicinanze. In realtà a quasi un mese di distanza le sue tracce sembrano perse. E l'ipotesi più probabile è che sia fuggito all'estero, lì dove ha sempre goduto di appoggi e protezioni. L'ascesa criminale di Pannunzi comincia trent'anni fa quando si allea con Gaetano Badalamenti. La polizia ritiene che sia stato lui a suggellare il patto tra la cosca Alberti e i narcotrafficanti marsigliesi convincendo il chimico Renè Bousquet a trasferirsi a Palermo e impiantare la prima raffineria di eroina. Un favore ai boss prima di trasferirsi in Colombia e lì avviare la gestione del mercato in collegamento con l'Italia. Il suo primo arresto, nel 1994, avviene proprio a Medellin. In quell'occasione cerca di corrompere i poliziotti offrendo loro un milione di dollari per convincerli a lasciarlo andar via. Lo trasferiscono in Italia, ma poi viene scarcerato per decorrenza termini. Riesce a sottrarsi a un nuovo ordine di cattura fino al 2004, quando torna dietro le sbarre. Ora è di nuovo in fuga.

Fiorenza Sarzanini

08 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'Ong di Gino Strada ebbe un ruolo chiave nella liberazione
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2010, 06:27:05 pm
RETROSCENA

La procura di Roma cerca una traccia nel caso del rilascio di Mastrogiacomo

L'Ong di Gino Strada ebbe un ruolo chiave nella liberazione


ROMA — Italiani sequestrati in Afghanistan e liberati grazie alla mediazione di Emergency. Potrebbe celarsi nel retroscena delle trattative condotte durante i rapimenti del fotoreporter Gabriele Torsello e del giornalista Daniele Mastrogiacomo la chiave per ottenere il rilascio di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, gli operatori sanitari arrestati sabato scorso. In entrambi i casi l’organizzazione umanitaria fu protagonista grazie al negoziato affidato a Rahmatullah Hanefi, il responsabile dell’ospedale di Lashkar Gah che trovò l’accordo con i talebani e versò la contropartita per conto del governo italiano. Una scelta osteggiata dalle autorità di Kabul perché tagliava fuori i servizi segreti e dunque anche gli 007 locali. E soprattutto perché obbligò al rilascio di almeno cinque detenuti per gravi reati, così come richiesto dalla banda che aveva in ostaggio l’inviato del quotidiano la Repubblica. Hanefi ha pagato con tre mesi di carcere l’accusa di essere complice dei terroristi, salvo essere poi completamente scagionato.

Ora la storia sembra ripetersi con i tre volontari. Nella vicenda che li coinvolge potrebbero aver giocato un ruolo anche i vertici militari del contingente britannico che hanno il controllo dell’area di Helmand, proprio quella dove opera Emergency. Tra i diplomatici c’è chi evidenzia come nel settembre scorso il Times di Londra (lo stesso giornale che due giorni fa ha rilanciato la notizia falsa che i tre volontari avevano confessato di aver partecipato a un complotto per assassinare il governatore della provincia di Helmand) aveva accusato i servizi segreti italiani di aver pagato milioni di dollari ai talebani per evitare attacchi a Sarobi e nella zona di Herat, che si trova sotto il controllo dei nostri vertici militari. Le indiscrezioni che filtrano adesso attraverso i canali dell’intelligence parlano di alcune persone che sarebbero state curate all’interno dell’ospedale nonostante fossero sospettate di aver compiuto atti terroristici. Addirittura che si sarebbero ferite dopo attacchi contro le truppe Isaf. E che sarebbe stato proprio questo ad aver convinto gli inglesi della necessità di appoggiare, sia pure restando formalmente «osservatori», l’azione della polizia locale iniziata con la perquisizione nel magazzino dell’ospedale dove sono state trovate pistole, giubbotti esplosivi e bombe a mano, e terminata con la cattura dei tre. In realtà Gino Strada ha sempre rivendicato la scelta di assistere chiunque ne abbia bisogno. Ma è stato proprio questo atteggiamento ad alimentare le ostilità nei confronti della sua organizzazione e a far aumentare le pressioni affinché lasci il Paese. Un’insofferenza che si manifestò in maniera evidente durante la detenzione di Hanefi, quando Strada accusò anche l’Italia di non fare nulla per «salvare un uomo al quale aveva affidato invece due milioni di dollari per liberare Torsello».

E adesso è proprio da lì che si riparte. Da quei due sequestri— uno avvenuto nell’ottobre 2006, l’altro nel marzo 2007 — che hanno visto Emergency in prima linea. Nel fascicolo avviato dalla procura di Roma ci sono gli articoli di stampa pubblicati in questi giorni e una prima relazione dei carabinieri del Ros che ripercorre le tappe cruciali delle due vicende con un’evidenza particolare al tragico epilogo del sequestro Mastrogiacomo. L’esecuzione di Adjmal Nashkbandi, l’interprete di 23 anni rilasciato insieme al giornalista e subito ripreso dai talebani, ha certamente segnato quella storia. Il giovane era il nipote di un alto funzionario della polizia locale e l’ordine di ucciderlo arrivato dal mullah Dadullah ha rappresentato una sfida per il governo guidato da Hamid Karzai. L’apertura di un’indagine consente l’acquisizione di eventuali atti raccolti alla Farnesina e soprattutto una sorta di collaborazione fra le autorità giudiziarie dei due Paesi. Del resto bisogna tenere conto che sono stati proprio gli uomini del Sismi— il servizio segreto militare ora diventato Aise — a collaborare con le autorità locali per la formazione del personale di polizia e di coloro che devono coadiuvare i magistrati. E dunque è anche su questi accordi di cooperazione che si cercherà di fare leva adesso per ottenere il rilascio dei tre operatori.

Fiorenza Sarzanini

13 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’ex ostaggio: «In quella struttura c’è qualcosa che non va»
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2010, 11:10:57 pm
L’ex ostaggio: «In quella struttura c’è qualcosa che non va»

Il chirurgo trattò per liberare Torsello

Si fa strada l’ipotesi della ritorsione

Il caso dei tre operatori sanitari arrestati in Afghanistan

   
ROMA — Una ritorsione contro Emergency che potrebbe avere radici lontane. È l’ipotesi che prevale tra chi sta trattando per ottenere il rilascio dei tre operatori sanitari ancora detenuti in Afghanistan. Marco Garatti, il chirurgo arrestato insieme a Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani era infatti uno dei mediatori del sequestro di Gabriele Torsello. Con il trascorrere delle ore si delinea dunque in maniera sempre più evidente il legame tra questa vicenda e quella dei due italiani tenuti in ostaggio in Afghanistan: oltre a Torsello che fu preso nell’ottobre 2006, Daniele Mastrogiacomo inviato del quotidiano La Repubblica rimasto prigioniero quindici giorni nel marzo 2007. Il ruolo di Garatti è ben delineato in una relazione allegata al fascicolo aperto due giorni fa dalla procura di Roma. Sono i tabulati delle telefonate acquisiti nel corso delle indagini effettuate all’epoca dai carabinieri del Ros a rivelare che era proprio lui a ricevere le telefonate dal mediatore Rahmatullah Hanefi — all’epoca responsabile dell’ospedale di Lashkar Gah—e girare poi le informazioni a Gino Strada e al sito internet dell’organizzazione Peacereporter. E forse è proprio per aver rivestito questo ruolo che le autorità di Kabul hanno deciso adesso di disporre il suo arresto. Fu Strada, due anni fa, a svelare che per ottenere la liberazione di Torsello furono pagati due milioni di dollari messi a disposizione dal governo italiano.

Ed ora è lo stesso reporter a lanciare velenosi sospetti: «Se veramente avessero voluto eliminare Emergency avrebbero bombardato l’ospedale, magari per sbaglio, come è successo in tanti altri casi. Il punto è che c’è qualcosa che non va a Lashkar Gah. C’è qualcosa che non va nel personale, afgano o pakistano, che lavora in Emergency. E lo ha detto anche lo stesso Strada, le armi può averle messe qualcuno che lavora lì. È necessario che si facciano delle indagini per capire chi è questa persona che ha messo le armi nell’ospedale, chi manovra lì dentro. Magari è la stessa persona che era lì quando c’era Hanefi. E su Hanefi le indagini sono state bloccate. Questo è stato un grave errore perché potevano emergere allora particolari interessanti che forse oggi potrebbero risultare utili». Dichiarazioni pesanti e inopportune, soprattutto in un momento delicato del negoziato per far rilasciare i tre operatori sanitari. Le pressioni esercitate dalla diplomazia sul ministero dell’Interno afgano si sono fatte più intense visto che finora nei loro confronti non è stata formalizzata alcuna accusa riguardo alla partecipazione al complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, come invece era stato detto inizialmente.

Appare comunque difficile che i tempi possano essere brevi. Il fatto che siano stranieri potrebbe agevolare la procedura, ma i contatti di queste ore sembrano dimostrare che le autorità di Kabul possano non essere l’unico interlocutore con cui trattare. E così l’opera di mediazione si sta allargando agli inglesi, visto che l’area dove si trova l’ospedale è sotto il controllo del comando militare britannico e sono stati proprio quei soldati ad affiancare nell’operazione la polizia locale, fornendo di fatto il via libera alla cattura dei tre italiani.

Fiorenza Sarzanini

14 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le condizioni per il rilascio: non riaprire l’ospedale
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 09:36:22 am
Il retroscena

Le condizioni per il rilascio: non riaprire l’ospedale

Liberi i tre operatori di Emergency. La contropartita per la soluzione del caso


L’appoggio politico al presidente Hamid Karzai e i nuovi progetti di sviluppo che l’Italia si è impegnata a sostenere certamente hanno pesato sulla trattativa. Però la vera svolta per sbloccare l’impasse e ottenere la scarcerazione dei tre detenuti sembra essere arrivata con il trasferimento a Kabul di tutti gli operatori umanitari che lavoravano nell’ospedale di Lashkar Gah, determinandone così la chiusura. È questa la condizione che il governo italiano ha dovuto accettare per soddisfare gli afghani, ma anche il vertice militare britannico che di quella zona a Sud del Paese detiene il comando. E tanto basta a confermare definitivamente come la perquisizione ordinata una settimana fa nella struttura fosse soltanto un pretesto che serviva a tenere sotto pressione l’organizzazione di Gino Strada finita nel mirino per il suo ruolo pubblico e per aver mediato negli anni scorsi con i talebani ottenendo la liberazione di Gabriele Torsello e Daniele Mastrogiacomo, sequestrati mentre erano in quell’area.

Gli uomini dell’intelligence e della diplomazia si sono mossi in parallelo nel negoziato con gli 007 locali, riuscendo a dimostrare come Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo Dell’Aira fossero del tutto estranei a qualsiasi progetto di complotto o di attività terroristica, come invece era stato veicolato inizialmente pur senza alcuna contestazione ufficiale. La realtà è che tutte le notizie false di questi giorni — comprese quelle su un coinvolgimento di Garatti nel sequestro Mastrogiacomo e addirittura l’esistenza di telefonate registrate — servivano soltanto ad alzare il prezzo. Alla fine il conto è stato saldato assicurando che l’eventuale riapertura dell’ospedale avverrà soltanto con il consenso unanime delle autorità di Kabul. E forse anche con il via libera dei britannici. Una sorta di ricatto che Emergency è stata costretta ad accettare, almeno per adesso, pur di riportare a casa i tre operatori. Troppo alto era il rischio di tenerli un mese nelle prigioni afghane fino alle eventuali contestazioni definitive. Troppo forte il pericolo di ritorsioni, tenendo conto che dell’atteggiamento di ostilità nei loro confronti dopo la gestione della trattativa per Mastrogiacomo.

A Emergency i servizi segreti locali contestano soprattutto di non essere riusciti a ottenere anche la liberazione dell’interprete Adjmal Nashkbandi, il nipote di un alto funzionario della polizia, che fu giustiziato venti giorni dopo. Ora invece ci sarebbe l’impegno dell’Italia a versare un indennizzo alla sua famiglia. Adesso il fascicolo passa alla magistratura italiana e dunque ai carabinieri del Ros che dovranno verificare quanto accaduto, collaborando con gli inquirenti di Kabul anche a smascherare eventuali complotti a danno degli italiani. Per questo — dopo l’interrogatorio dei tre che sarà effettuato martedì al loro arrivo in Italia — una squadra di specialisti guidata dal colonnello Massimiliano Macilenti potrebbe trasferirsi in Afghanistan. E verificare come e perché siano finiti in quel magazzino dell’ospedale pistole, bombe a mano e giubbotti esplosivi.

Fiorenza Sarzanini

19 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Soldi in nero con 80 assegni per l’immobile di Scajola
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2010, 11:59:00 pm
I pm: fondi del costruttore Anemone nell’interesse del ministro

«Soldi in nero con 80 assegni per l’immobile di Scajola»

Tracce dei conti esteri intestati ai funzionari pubblici, ricostruito il percorso del denaro


ROMA - I pubblici ministeri di Perugia rilanciano e svelano le nuove carte. Il ricorso contro l’ordinanza del giudice che ha respinto la richiesta di arresto del commercialista Stefano Gazzani, dell’architetto Angelo Zampolini e del commissario dei Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi — indagati per aver partecipato alle attività di corruzione e riciclaggio nella gestione degli appalti per i Grandi eventi — elenca i riscontri alle accuse. Individua la traccia dei conti esteri intestati ai funzionari pubblici. Ricostruisce il percorso dei soldi utilizzati dal costruttore Diego Anemone per acquistare, tra il 2004 e il 2006, gli appartamenti poi intestati all’attuale ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e al generale della Guardia di finanza Francesco Pittorru, al quale l’imprenditore chiedeva di tenerlo aggiornato sullo sviluppo delle inchieste avviate sul suo conto.

E così contesta la decisione secondo cui non è competente la Procura di Perugia: «Tutti i reati di cui si discute appaiono di competenza di questa autorità giudiziaria per la loro connessione con il reato associativo del quale è concorrente esterno anche il magistrato Achille Toro», il cui coinvolgimento aveva determinato il trasferimento in Umbria dell’inchiesta avviata due anni fa a Firenze. In particolare i magistrati ritengono che i tre siano inseriti in quella «cricca » di cui fanno parte l’ex provveditore alle Opere pubbliche Angelo Balducci, il suo successore Fabio De Santis, il funzionario delegato alla gestione del G8 a La Maddalena Mauro Della Giovampaola e lo stesso Anemone, che sarebbe riuscito ad accaparrarsi la fetta più grossa dei lavori. E per questo chiedono ai giudici del Riesame, che decideranno l’11 maggio, di riconoscere la loro titolarità a proseguire le indagini e disporre la cattura degli indagati.

Le ammissioni dell’architetto
Zampolini, interrogato la scorsa settimana, ha confermato il passaggio dei soldi transitati sul suo conto che era già stato ricostruito nei dettagli dalla Guardia di finanza, specificando di aver ricevuto da Anemone il denaro. Ma ha detto di non conoscere per quale motivo fossero stati acquistati immobili poi intestati al politico di Forza Italia e all’ufficiale delle Fiamme gialle in servizio presso l’Aisi, il servizio segreto civile. Del trasferimento delle somme all’estero destinate ad Angelo Balducci e Rinaldi si sarebbe invece occupato Gazzani. I pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi accusano i due funzionari di aver «autorizzato i lavori di implementazione del Salaria Sport Village di proprietà dello stesso Anemone e di Filippo Balducci (figlio del funzionario, ndr) abusando dei poteri connessi alla loro carica, in violazione della legge che gli stessi poteri prevedeva e a favore della società che ne traeva un indebito risparmio quantificato in 9 milioni di euro. Atto in relazione al quale ricevevano dalla parte privata la corresponsione di denaro per una somma allo stato non determinata che veniva girata in conti esteri intestati ai pubblici ufficiali». In particolare Rinaldi avrebbe ricevuto soldi su un conto aperto a San Marino, ma il suo avvocato Titta Madia spiega di aver «già depositato una memoria che dimostra come quei soldi, depositati da sua madre, non fossero affatto destinati a lui».

Le case regalate
La prima operazione per l’acquisto di un immobile risale al 6 luglio 2004. I magistrati l’hanno ricostruita nei dettagli. Quel giorno «Zampolini versa 900 mila euro in contanti su un conto dell’agenzia 582 della Deutsche Bank di Roma». Subito dopo «ottiene l’emissione di 80 assegni circolari all’ordine di Barbara e Beatrice Papa per valuta corrispondente, per l’acquisto nell’interesse di Claudio Scajola di un immobile intestato al suddetto». Accusano i pubblici ministeri: «In questo modo trasferiva denaro e compiva operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza da delitti contro la pubblica amministrazione». Secondo le verifiche compiute dalla Guardia di finanza la casa sarebbe costata circa un milione e mezzo di euro e la somma gestita dall’architetto sarebbe stata versata «in nero». L’indagine mira adesso a verificare per quale motivo Anemone abbia deciso di comprare un appartamento di prestigio per Scajola, all’epoca ministro dell’Attuazione del programma, dopo essere stato ministro dell’Interno fino al 2 luglio 2002 quando si era dimesso dopo la pubblicazione di sue frasi offensive nei confronti di Marco Biagi, il giuslavorista assassinato a Bologna dalle Brigate rosse.

Ma Guardia di Finanza e Carabinieri del Ros devono verificare se il passaggio dei soldi possa essere legato proprio agli appalti che lo stesso Anemone aveva ottenuto dal Viminale. Il ministro Scajola si dice «disgustato per la violazione del segreto istruttorio». Lo stesso meccanismo per il trasferimento del denaro Zampolini lo aveva già utilizzato il 2 aprile 2004. In quel caso l’architetto aveva «versato 285 mila euro in contanti presso la stesso istituto di credito e ottenuto l’emissione di 29 assegni circolari all’ordine di Monica Urbani per valuta corrispondente, per l’acquisto nell’interesse di Francesco Pittorru da destinare a Claudia Pittorru, figlia del suddetto». Anche due anni dopo, esattamente l’8 giugno 2006, Zampolini si occupa di un acquisto per conto del generale. Infatti «versa 520 mila euro sul conto corrente e ottiene assegni circolari all’ordine di Rosa e Daniela Arcangeletti, Rosa Anna e Nello Ruspicioni per l’acquisto di un immobile intestato allo stesso Pittorru e alla moglie Anna Maria Zisi».

Il finanziamento dei film
Nel registro degli indagati di Perugia è finito anche Lorenzo Balducci, il figlio attore del provveditore alle Opere pubbliche, per alcuni affari gestiti con Gazzani. Reato contestato: riciclaggio. In particolare il commercialista è accusato di aver «fatto versare denaro in contanti pari a un milione e duecentomila euro dal cognato Achille Silvagni intestato alla società "Stefano Gazzani Communications srl" di cui Silvagni è amministratore unico e facendo poi emettere assegni per un totale di un milione e centomila euro intestati alla Blu International. Compiva operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza da delitti contro la pubblica amministrazione poiché destinatario finale della somma appare essere stato Lorenzo Balducci che la Blu International aveva contrattualizzato per il film Uccidimi, opera mai realizzata». Proprio al giovane, l’architetto Zampolini avrebbe provveduto a intestare un appartamento acquistato nel 2004. Si legge nel capo di imputazione: «Versava sul proprio conto corrente della Deutsche Bank agenzia 582 denaro contante per 435 mila euro che nei giorni successivi permetteva l’emissione di assegni all’ordine di Manfredi Geraldini per valuta corrispondente, per l’acquisto nell’interesse di Angelo Balducci di un immobile intestato a Lorenzo Balducci».

Le false fatture
Tra i destinatari di soldi gestiti dal commercialista ci sono altri pubblici ufficiali, tra cui Della Giovampaola. I magistrati contestano al professionista «di aver emesso nel corso dell’anno 2009, in concorso con Michele D’Amelio legale rappresentante della società "Mi.Da", fatture relative a operazioni inesistenti in favore di Della Giovampaola, Caterina Pofi, Valerio Sant’Andrea per un importo complessivo di 1 milione e 120 mila euro». Le fatture avevano come oggetto collaborazione professionale prestata con riferimento ai lavori realizzati nell’ambito delle opere realizzate per il G8 a La Maddalena, emesse al solo fine di documentare costi inesistenti per abbattere il reddito imponibile degli utilizzatori. Di fatto tutti hanno agito su consiglio e istigazione di Gazzani in qualità di commercialista, che procacciava la società nel cui nome emettere le fatture false e che provvedeva alla gestione del fittizio pagamento degli importi fatturati, che in realtà venivano restituiti ai soggetti utilizzatori, decurtati dall’Iva ». Di questi soldi le fatture per Della Giovampaola sono tre, ognuna per un imponibile di 250 mila euro e dunque per un totale di 750 mila euro.

Fiorenza Sarzanini

29 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Da Scajola chiarimenti necessari
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2010, 06:29:33 pm
Il commento

Da Scajola chiarimenti necessari

Dopo sospetti e nuove accuse

Spesso politici e funzionari coinvolti in indagini gridano al complotto senza indicare i burattinai di trame oscure


Una settimana fa, quando si è parlato per la prima volta della somma di 900.000 euro che l'imprenditore Diego Anemone gli avrebbe messo a disposizione nel 2004 per comprare un appartamento a Roma, il ministro Claudio Scajola ha affermato che la notizia «è destituita di ogni fondamento». Ora che l’architetto Angelo Zampolini, accusato di aver fatto da mediatore nell’operazione immobiliare, ha confermato di fronte ai pubblici ministeri di Perugia il passaggio del denaro svelandone i dettagli, lo stesso ministro parla di «attacco senza precedenti a me e alla mia famiglia».

Poi avverte: «Non mi lascerò intimidire». Capita spesso che i politici e i funzionari dello Stato coinvolti in indagini giudiziarie gridino al complotto senza però indicare chi sarebbero i burattinai che tessono oscure trame. «Non sono indagato», sottolinea Scajola. È vero, almeno per quanto risulta sino ad ora. Le carte processuali rivelano che la Guardia di Finanza era stata delegata ad esplorare i conti correnti di alcuni professionisti sospettati di aver gestito, e in qualche caso riciclato, i soldi di Anemone. Nell'ambito di questo accertamento è saltato fuori il documento di acquisto di quella casa. E si è deciso di saperne di più acquisendo gli atti notarili e interrogando le persone che avevano preso parte alla compravendita. Comprese le due sorelle, benestanti signore romane, che avevano venduto l'immobile. Sono state proprio loro a ricordare di aver ricevuto direttamente dal ministro ottanta assegni circolari per un totale di 900 mila euro che servivano a perfezionare l'accordo. E in questo modo hanno confermato come il ministro fosse consapevole di utilizzare una cifra messa a disposizione dal costruttore. Scajola afferma di aver «troppo rispetto per la magistratura per entrare nel merito della vicenda».

In realtà una spiegazione sembrerebbe a questo punto opportuna, viste le nubi che rischiano di addensarsi sul passato incarico di ministro dell'Interno e sull’attuale carica di responsabile del governo per lo Sviluppo Economico. Soprattutto tenendo conto che nel corso degli anni Anemone ha gestito per conto del Viminale, e non solo, svariati lavori. Pur con le dovute cautele di fronte a un'indagine ancora in corso, gli elementi che stanno emergendo richiederebbero un chiarimento su quanto è davvero accaduto. Anche perché il solo sospetto di aver ricevuto soldi da un imprenditore che ha ottenuto appalti milionari, spesso a trattativa privata, è un’ombra che un uomo pubblico dovrebbe rimuovere al più presto.

Fiorenza Sarzanini

30 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da lastampa.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Diede lui gli 80 assegni». Trovati 240 conti dell’architetto
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2010, 11:06:20 pm
L'inchiesta

Scajola, le nuove accuse

L'appartamento e 4 testimoni contro

«Diede lui gli 80 assegni». Trovati 240 conti dell’architetto

   
ROMA — Quattro testimoni smentiscono la versione fornita dal ministro Claudio Scajola sull’appartamento acquistato a Roma, zona Colosseo, nel 2004. «Fu lui — dicono — a consegnare gli ottanta assegni circolari per un totale di 900.000 euro». Soldi che sarebbero stati messi a sua disposizione dal costruttore Diego Anemone. Si allarga l’indagine della magistratura di Perugia. E si concentra su 240 conti correnti gestiti dall’architetto Angelo Zampolini, al quale il costruttore si era affidato per alcune operazioni riservate. «Trasferimenti di denaro - dice l’accusa - effettuati nell’ambito di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al riciclaggio ». Un percorso che li avrebbe già fatti approdare in alcune finanziarie di San Marino e in altri istituti all’estero. Gli investigatori della Guardia di Finanza hanno acquisito l’elenco degli appalti pubblici affidati al Gruppo Anemone, ma anche quello dei lavori effettuati privatamente per personaggi inseriti nelle amministrazioni dello Stato. Vogliono verificare se siano stati pagati da chi ne ha beneficiato o se invece siano la contropartita per favori ricevuti. Capitolo a parte riguarda alcune commesse che il giovane imprenditore — tuttora in carcere insieme ai funzionari delegati ai Grandi Eventi Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola— avrebbe ottenuto dalla Santa Sede. Proprio come avvenuto con la cassaforte del sacerdote missionario don Evaldo, il sospetto è che in alcuni casi fosse riuscito a crearsi provviste di soldi contanti da distribuire in caso di urgenza.

Il doppio sopralluogo Il 6 luglio 2004 l’appuntamento tra Scajola e le due sorelle Papa proprietarie dell’appartamento per la stipula del rogito, venne fissato al ministero delle Attività produttive. «Avevo prelevato i circolari presso la Deutsche Bank e li portai al ministro», racconta ora Zampolini. Il resto lo aggiungono le venditrici: «Fu proprio Scajola a prendere i titoli e a consegnarceli. Ma nell’atto non figura questo passaggio perché ci eravamo accordati per denunciare soltanto 600.000 euro». La conferma arriva dal notaio Napoleone, interrogato qualche giorno dopo. Ma i controlli rivelano pure l’esistenza di un altro passaggio di soldi in contanti, ammesso dalle due donne: «Al momento di stipulare il preliminare, Scajola ci consegnò 200.000 euro, che noi ci dividemmo in parti uguali». Denaro di cui al momento i finanzieri ignorano la provenienza e del quale si chiederà conto proprio al ministro. A conti fatti, c’è dunque la dimostrazione che la casa costò un milione e 700 mila euro e non 600.000 come Scajola aveva invece pubblicamente dichiarato la scorsa settimana. È stato proprio Zampolini a rivelare di fronte ai pubblici ministeri i dettagli della trattativa. «Diego Anemone — ha messo a verbale —mi incaricò di trovare un appartamento per Scajola. Di questa vicenda era informato anche Angelo Balducci. Inizialmente visionammo un altro immobile nella zona del Gianicolo, ma il ministro mi spiegò che non gli piaceva e così gli proposi quello al Colosseo che poi effettivamente venne acquistato. La procedura fu quella seguita solitamente: versai sul mio conto corrente i soldi messi a disposizione da Anemone e poi provvidi a prelevarli sotto forma di assegni circolari».

Le provviste segrete I 240 conti che l’architetto utilizzava per «mascherare» le operazioni, potrebbero adesso rivelare se ci siano altri politici e uomini pubblici beneficiati da Anemone. Messo di fronte alle evidenze che emergono dai tabulati acquisiti presso le banche, Zampolini ha accettato di collaborare con gli inquirenti e questo potrebbe anche convincere i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi a sollecitare davanti al Riesame una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, come invece era stato inizialmente richiesto. Il giudice ha respinto l’istanza — che riguardava pure il commercialista Stefano Gazzani e il commissario dei Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi—ritenendo che questa parte dell’inchiesta debba essere trasmessa a Roma per competenza e il 13 maggio si pronuncerà il collegio del tribunale. Al momento è stato scoperto l’acquisto di quattro appartamenti: oltre a quello di Scajola, due sono stati intestati al generale delle Fiamme gialle in servizio all’Aisi Francesco Pittorru, e uno a Lorenzo Balducci, il figlio del Provveditore che di professione fa l’attore. Il sospetto è che quelle centinaia di depositi intestati all’architetto siano stati in realtà utilizzati da Anemone per altri acquisiti immobiliari o comunque per versare tangenti in cambio degli appalti ottenuti. L’imprenditore ha ottenuto negli anni passati il Nos, il certificato di "nulla osta di segretezza" che gli ha consentito di aggiudicarsi lavori cosiddetti "sensibili", vale a dire la ristrutturazione o la costruzione di edifici per il ministero dell’Interno, per quello della Giustizia comprese alcune carceri, e per i servizi segreti. Ora si stanno riesaminando le procedure di affidamento dei lavori pubblici. Ma si sta anche analizzando l’elenco degli incarichi "privati" portati a termine dal gruppo per stabilire se possano rappresentare una contropartita.

Gli immobili del Vaticano Con alcuni prelati, così come confermato nelle scorse settimane anche da Don Evaldo - economo della Congregazione del preziosissimo sangue - Anemone aveva certamente buoni rapporti. Conoscenze ereditate da suo padre e probabilmente agevolate anche da Balducci — fino all’arresto gentiluomo di Sua Santità—che gli hanno consentito di ottenere l’incarico di ristrutturare interi stabili e anche di costruire alcuni palazzi. I magistrati vogliono accertare se — proprio come accaduto con don Evaldo — anche in altri casi Anemone abbia preferito non farsi pagare subito riuscendo così a crearsi una provvista di soldi contanti da utilizzare per eventuali emergenze. Con il sacerdote sono state registrate numerose conversazioni telefoniche e durante uno di questi colloqui, che precedeva di poco un appuntamento con il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, l’imprenditore disse che aveva bisogno urgente di 20.000 euro.

Fiorenza Sarzanini

30 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'appartamento di Scajola e le falle nella tesi del ministro
Inserito da: Admin - Maggio 03, 2010, 02:55:32 pm
Idee
L'appartamento di Scajola e le falle nella tesi del ministro

«Le sue risposte continuano a sembrare deboli, soprattutto alla luce di quanto raccontato dai testimoni»

   
«Ho pagato la casa con un mutuo di 610 mila euro. Chi dice altre cose mente». Così il ministro Claudio Scajola rimane arroccato sulla propria posizione. Sono trascorsi ormai dieci giorni da quando si è saputo che nel 2004 avrebbe ricevuto 900 mila euro in assegni circolari dall’imprenditore Diego Anemone per comprare un appartamento di 180 metri quadrati vista Colosseo. Ma nessuna spiegazione anche solo apparentemente credibile è stata fornita. Nessun nuovo elemento è stato offerto, rispetto alla versione iniziale. Anzi. Le sue risposte continuano a sembrare deboli, soprattutto alla luce di quanto raccontato dai testimoni e delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza.

«Al momento del rogito il ministro ci diede gli 80 assegni», hanno dichiarato di fronte agli investigatori le proprietarie dell’immobile. E il riscontro è arrivato dall’analisi dei loro conti correnti, dove quei titoli risultano subito depositati. «Presi gli assegni, e li consegnai al ministro nel suo ufficio dove sapevo che si sarebbe stipulato l’atto», ha raccontato ai pubblici ministeri l’architetto Zampolini, che proprio Anemone avrebbe incaricato di gestire l’operazione. E il riscontro è arrivato dall’ex autista di Angelo Balducci che oltre un mese fa, dunque ben prima della divulgazione della notizia, aveva svelato di avergli consegnato i contanti. Accusare le due signore di mentire sembra un azzardo, visto che quanto hanno messo a verbale le espone anche al rischio di concorrere nel reato di evasione fiscale non essendo stati mai dichiarati all’erario quei 900 mila euro. Ma soprattutto Scajola non spiega per quale motivo i testimoni direbbero il falso. Nutrono risentimento nei suoi confronti? Esistono retroscena di questa vicenda che potrebbero averli spinti a incastrarlo? Nulla risulta. Ma se così fosse, dovrebbe immediatamente denunciarlo. «Andrò dai magistrati quando i miei impegni me lo consentiranno», ripete il ministro.

La sua versione ha preferito consegnarla ai giornali, pur sottolineando di essere «contrario ai processi mediatici» che, invece, ha contribuito ad alimentare con una difesa altrettanto «mediatica». E ha scandito: «Non mi dimetto». Prima di pensare all’eventuale abbandono dell’incarico, basterebbe rendere pubblici i documenti che, a suo dire, servono a scagionarlo. E così fugare ogni sospetto sui suoi rapporti con Anemone, imprenditore che s’è già dimostrato privilegiato nell’aggiudicazione degli appalti pubblici.

Fiorenza Sarzanini

03 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_03/appartamento-scajola-sarzanini_6e658120-5685-11df-ae23-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Ecco le prove di quegli 80 assegni»
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2010, 10:19:38 pm
LE CARTE

Le sorelle che hanno venduto la casa

«Ecco le prove di quegli 80 assegni»

Accertamenti su 30 conti intestati alla segretaria di Anemone. I pm: schermo per altre operazioni


ROMA — Nuovi documenti bancari smentiscono la versione del ministro Claudio Scajola. Li hanno consegnati alla Guardia di Finanza le sorelle Beatrice e Barbara Papa, proprietarie dell'appartamento con vista sul Colosseo venduto il 6 luglio 2004. Estratti conto e altri attestati finanziari per dimostrare che non sono loro ad aver mentito sul prezzo, nè sulle modalità di consegna del denaro. Le testimonianze si incrociano con quelle dell'architetto Angelo Zampolini, l'uomo di fiducia del costruttore Diego Anemone che dopo aver rivelato di aver consegnato personalmente a Scajola gli 80 assegni circolari per un totale di 900.000 euro ha aggiunto: «Ero presente alla stipula e ho assistito alla consegna dei titoli alle venditrici». Adesso bisogna scoprire come mai il notaio decise di non registrare il rogito a Roma, ma di portarlo all'Anagrafe tributaria di Civitavecchia. Gli investigatori si concentrano sulle verifichenegli istituti di credito e su nuovi conti che Anemone, imprenditore beneficiato da appalti pubblici milionari compresi quelli dei Grandi Eventi, avrebbe intestato a una sua collaboratrice. Sono trenta depositi, 23 tuttora aperti, che — dice l'accusa — sarebbero serviti ad Anemone per veicolare tangenti a politici e funzionari in grado di assicurargli un ruolo privilegiato nella spartizione dei lavori.

Le ricevute dei versamenti

Il 25 aprile scorso, Beatrice Papa viene convocata al comando delle Fiamme Gialle. Conferma di aver venduto una casa di 180 metri quadri con vista sul Colosseo al ministro Claudio Scajola e consegna una copia dell'atto. La cifra indicata è di 610.000 euro, ma la signora subito ammette che non si tratta del costo reale. E si riserva di fornire i documenti per dimostrarlo. Non sa che una «Segnalazione di operazione sospetta» inviata dalla Banca d'Italia ha già rilevato una strana movimentazione su uno dei depositi intestati a Zampolini presso l'agenzia 582 della Deutsche Bank. Il 6 luglio l'architetto ha infatti richiesto l'emissione di 80 assegni circolari «di cui 40 intestati a Beatrice Papa e 40 a Barbara Papa per rispettivi 450.000 euro cadauna», ma — come sottolineano i pubblici ministeri — «da visure effettuate presso le banche dati finanziarie, non è emerso alcun rapporto giuridico tra lui e le beneficiarie dei titoli». Tocca dunque alla signora Papa raccontare che cosa si celi dietro quell'operazione e lei non si sottrae. Anzi, una settimana dopo, è il 30 marzo, porta la documentazione bancaria che serve da controprova sia per il versamento dei titoli, sia per quello di 100.000 euro in contanti avvenuto tempo prima. «Mia sorella — sottolinea — ne ha avuti altri 100.000. Si tratta dell'acconto che il ministro ci ha consegnato». Una versione che Scajola ha negato con decisione affermando che «non ci fu alcun preliminare».

L'atto a Civitavecchia

A confermarla ci pensa invece Barbara Papa, la sorella. E pure lei fornisce i documenti bancari che la riguardano, aggiungendo poi un particolare prezioso per effettuare i riscontri: «Al momento del rogito erano presenti varie persone, compreso un funzionario della Deutsche Bank». I dettagli li racconta Zampolini: «Sono rimasto per tutto il tempo all'interno di quella stanza del ministero in via della Mercede e con me c'era effettivamente il funzionario Luca Trentini. Diedi gli assegni al ministro che a sua volta li consegnò alle venditrici, come era stato pattuito». A stipulare l'atto fu il notaio Gianluca Napoleone che decise di non registrarlo nella capitale. La prova è in un'annotazione inviata dalle Fiamme Gialle ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi: «Da visure effettuate all'Anagrafe tributaria, il contratto di compravendita è stato registrato in data 13 luglio 2004 presso l'ufficio delle Entrate di Civitavecchia per un valore dichiarato di 610 mila euro». Una scelta che il ministro probabilmente chiarirà la prossima settimana, quando sarà interrogato dai pubblici ministeri come persona informata sui fatti. L'11 maggio sarà invece il tribunale del Riesame a dover stabilire se la competenza su questo filone di indagine sia di Perugia, come ritengono i magistrati dell'accusa. O se invece il fascicolo debba essere trasferito a Roma, come ha ritenuto il giudice delle indagini preliminari che si è dichiarato incompetente e per questo ha respinto la richiesta di arresto presentata nei confronti dello stesso Zampolini, dell'ex commissario per i Mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e per il commercialista di fiducia di Anemone Stefano Gazzani. Il ruolo di quest'ultimo viene considerato strategico nella ricostruzione delle movimentazioni di denaro dell'imprenditore, soprattutto alla luce di quanto è stato scoperto nelle ultime settimane dalla Guardia di Finanza.

I conti della segretaria

Nell'informativa trasmessa il primo aprile scorso si dà conto degli accertamenti bancari avviati nei confronti di tutti i familiari di Anemone e di coloro che si ritiene possano essere diventati i suoi «prestanome». Persone di massima fiducia alle quali il costruttore avrebbe intestato alcuni conti sui quali far transitare il denaro delle operazioni che non dovevano lasciare tracce, proprio come quelle per l'acquisto di appartamenti che sarebbero state affidate a Zampolini. In questo quadro si inserisce la segnalazione nei confronti di Alida Lucci che — come dimostrano le intercettazioni telefoniche — di Anemone era una delle collaboratrici più fedeli. «La donna — evidenziano gli investigatori della Finanza — risulta aver intestati 30 conti correnti bancari, di cui 23 attualmente accesi. Tale dato non appare coerente con i redditi dalla stessa dichiarati al fisco e con la sua posizione di dipendente della "Impresa Anemone Costruzioni srl". Risulta infatti che nel 2006 ha dichiarato 33.150 euro di imponibile, nel 2007 è salita a 56.353 euro e nel 2008 è arrivata a 58.825 euro». Un po' poco per aprire decine di depositi bancari. Proprio come Zampolini, che certamente guadagna più della Lucci ma ha già ammesso — di fronte alle precise contestazioni dei pubblici ministeri — che le decine di conti a lui intestati erano in realtà alimentati da Anemone. Finora si è scoperto che li ha utilizzati per acquistare quattro appartamenti (oltre a quello di Scajola gliene vengono contestati due per il generale Francesco Pittorru e uno per il figlio di Angelo Balducci). Il sospetto è che molte altre compravendite di immobili saranno scoperte quando tutte le banche avranno fornito la documentazione richiesta.

Fiorenza Sarzanini

04 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Alcune compravendite di case passavano da «Propaganda fide»
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2010, 10:55:31 am
L’inchiesta -

Alcune compravendite di case passavano da «Propaganda fide»

Il superteste racconta: portavo il costruttore dal cerimoniere del Papa

Gli incontri di Anemone con monsignor Camaldo.

E Don Evaldo rivela: altri sacerdoti sapevano dei soldi


Appartamenti trasformati in dimore di lusso grazie alle ristrutturazioni compiute dalle imprese di Diego Anemone. A beneficiarne erano «politici e prelati», così come ha raccontato Laid Ben Hidri Fathi, l’autista di Angelo Balducci, che del costruttore era diventato collaboratore. Di fronte ai magistrati di Perugia l’uomo ha cominciato a fornire dettagli e identità.

E ha svelato: «Ero io ad accompagnare Diego agli incontri con queste persone. Ricordo in particolare che era in rapporti con monsignor Francesco Camaldo». Si tratta del cerimoniere del Papa, per quindici anni segretario particolare del vicario di Roma cardinal Ugo Poletti. I legami con il Vaticano sono uno dei filoni principali dell’indagine sugli appalti dei Grandi eventi, soprattutto dopo la scoperta che una delle «casseforti» dell’imprenditore era gestita da don Evaldo Biasini, 83 anni.Ma anche perché alcune compravendite di case passavano proprio da enti religiosi come «Propaganda Fide», di cui Balducci era consigliere. Dimore che sarebbero state acquistate seguendo la procedura già scoperta nel caso del ministro Claudio Scajola. L’attenzione della Guardia di finanza si concentra su 15 operazioni sospette: trasferimenti di denaro dai conti di Anemone a quelli dei suoi prestanome— in particolare il geometra Zampolini e la segretaria Alida Lucci—e poi trasformati in assegni circolari da versare al momento del rogito.

Gli incontri
Il testimone—che aveva ricevuto il compito di gestire una serie di conti correnti di Anemone e per questo aveva ottenuto anche la delega ai prelevamenti per contanti—non fornisce dettagli sui contenuti dei colloqui. Ma è preciso nel riferire in quali occasioni portò Anemone da monsignor Camaldo. Sinora l’inchiesta aveva fatto emergere una buona conoscenza tra il prelato e Balducci. Tanto che quando il provveditore è stato arrestato, monsignor Camaldo ha commentato: «Sono molto addolorato, è una persona di assoluta limpidezza morale, conosciuta e stimata in Vaticano da tanti anni, sono certo che dimostrerà la sua completa estraneità alle accuse». Adesso si intravede una rete più ampia. Anche perché nel 2008 lo stesso prelato finì nell’inchiesta avviata dal pm Henry John Woodcock su Vittorio Emanuele di Savoia, sospettato di complicità con alcuni faccendieri inseriti nella massoneria. Per quale motivo incontrava Anemone? Tra gli interessi comuni c’erano soltanto acquisiti e ristrutturazioni di appartamenti, come racconta Hidri Fathi? È presumibile che monsignor Camaldo venga ascoltato dai magistrati di Perugia quando saranno terminati gli accertamenti sulle 15 operazioni sospette emerse nell’indagine.

Rogiti e assegni
Nell’elenco delle persone da interrogare c’è anche il notaio Gianluca Napoleone che ha stipulato tutti i rogiti delle operazioni immobiliari gestite dall’architetto Angelo Zampolini. E sono proprio quelle «anomale » movimentazioni di denaro scoperte sui suoi conti presso la Deutsche Bank e su quelli della Lucci a celare — secondo i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi— l’acquisto di case che Anemone avrebbe poi intestato ai politici, ai funzionari statali e a quei religiosi che lo avrebbero agevolato nella concessione degli appalti pubblici, ma anche nei lavori di ristrutturazione di interi stabili. Per questo, oltre alle verifiche effettuate presso istituti di credito e banche dati finanziarie, l’interesse degli investigatori si concentra sulle mappe catastali per rintracciare eventuali cambi di destinazione d’uso e verificare i proprietari degli appartamenti che spesso risultano intestati a società.

I sacerdoti
In questo vorticoso giro di case si inseriscono gli affari gestiti da Balducci e Anemone attraverso «Propaganda Fide» e soprattutto la Congregazione del preziosissimo sangue di cui era economo don Evaldo Biasini, che nella sua cassaforte conservava contanti messi a disposizione del costruttore in caso di emergenza. Il sacerdote, missionario in Africa, ha poi raccontato di aver messo a disposizione del costruttore i conti dell’Ente, di fatto utilizzati per depositare assegni e prelevare contanti.
Leggendo il verbale della perquisizione nella sede dell’Istituto dai Ros, si scopre che oltre a don Evaldo altri preti erano a conoscenza delle strane movimentazioni effettuate per favorire il costruttore. Afferma il sacerdote: «Sui depositi della Congregazione, intestati a me perché rivesto la carica di economo, sono autorizzati ad operare don Giuseppe Montenegro quale rappresentante legale e don Nicola Giampaolo, direttore di Primavera missionaria che ha sede ad Albano Laziale» cioè dove si trova anche la Congregazione.

Fiorenza Sarzanini
07 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/politica/10_maggio_07/sarzanini_a91d1730-5994-11df-8cbf-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2010, 10:01:59 am
L'inchiesta sulla "Cricca"

Una casa pagata da Anemone per l'uomo delle Infrastrutture

Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza

   
PERUGIA — Oltre mezzo milione di euro per comprare un appartamento a Ercole Incalza, potente funzionario del dicastero delle Infrastrutture. È questa la nuova operazione immobiliare gestita nel 2004 dall’architetto Angelo Zampolini per conto di Diego Anemone. Dopo le case acquistate per il ministro Claudio Scajola e per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, l’indagine condotta dai magistrati di Perugia rivela che anche l’attuale capo della «Struttura tecnica di missione», uno dei collaboratori più stretti del ministro Altero Matteoli, ha goduto dei favori del costruttore ora indagato per corruzione. E l’ha fatto sei anni fa, quando era consulente di Pietro Lunardi, che all’epoca occupava la stessa poltrona.

L’affare per il genero
L’operazione sospetta segnalata dalla Banca d’Italia porta la data del 7 luglio 2004. Per il professionista deve essere stato un periodo di lavoro intenso, visto che neanche 24 ore prima ha chiuso la compravendita per Scajola. Quel giorno, così come risulta dai documenti contabili, Zampolini versa sul proprio conto presso l’agenzia Deutsche Bank 520.000 euro in contanti messi a disposizione da Anemone e preleva subito dopo 52 assegni circolari da 10.000 euro l’uno intestati a Maurizio De Carolis. L’uomo viene rintracciato qualche settimana fa e racconta di aver venduto un appartamento al centro di Roma ad un certo Alberto Donati, per 390.000 euro. Il rogito è stato stipulato di fronte al solito notaio, quel Gianluca Napoleone che si è occupato anche delle altre compravendite chiuse con la stessa procedura. E pure in questo caso la cifra appare davvero troppo bassa per una dimora lussuosa che si trova al centro di Roma — in via Emanuele Gianturco 5 — ed è composta da cinque camere e servizi. E infatti il prezzo finale, tenendo conto della cifra versata «in nero» da Zampolini, supera i 900.000 euro. Manca però il tassello successivo e cioè verificare come mai Anemone abbia deciso di mettere a disposizione il denaro. La risposta la fornisce lo stesso Donati: «Ho fatto l’affare grazie a mio suocero Ercole Incalza. Fu lui a dirmi di mettermi in contatto con Zampolini che mi avrebbe aiutato per l’acquisto dell’appartamento». Per chi indaga quello di Incalza è un nome noto visto che nel febbraio 1998, quando era amministratore delegato della Tav, fu arrestato proprio dai magistrati di Perugia. L’inchiesta era quella sugli appalti delle Ferrovie che portò in carcere anche l’allora presidente Lorenzo Necci e il finanziere Francesco Pacini Battaglia. L’identità del beneficiario viene comunicata ai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, titolari dell’indagine, che adesso dovranno decidere la data di convocazione per l’interrogatorio. Incalza dovrà infatti chiarire come mai Anemone decise di elargire in suo favore una somma tanto ingente mentre lui era consigliere del ministro delle Infrastrutture Lunardi. Spiegare che rapporti aveva il costruttore con il dicastero, quali appalti ottenne in quel periodo. Il resto lo sta facendo Zampolini che — come hanno confermato i magistrati perugini davanti al tribunale del Riesame — «sta ricostruendo i flussi finanziari che arrivavano dall’imprenditore». Una collaborazione preziosa per l’indagine perché consente di ricostruire il percorso dei soldi, e dunque il nome di chi ne ha beneficiato, che gli ha evitato la richiesta di arresto.

Le bugie del generale
Lo aveva già fatto nei casi che riguardano Scajola e Pittorru. La scorsa settimana il generale è stato interrogato dai pm. Ha ammesso di aver ricevuto da Anemone, sempre tramite Zampolini, 800.000 euro per l’acquisto di due case. «Ma era un prestito — ha cercato di giustificarsi —sono pronto a fornirvi le prove. I documenti sono conservati in Sardegna e ve li consegnerò entro una settimana». Una versione ritenuta non credibile dagli inquirenti che hanno comunque concesso all’alto ufficiale indagato per corruzione la possibilità di mantenere il suo impegno. Ma dopo sette giorni Pittorru ha fatto sapere che quelle carte gli erano state rubate e dunque non sarebbe stato in grado di dimostrare quanto aveva sostenuto. Anche al commercialista Stefano Gazzani e al commissario per i mondiali di nuoto Claudio Rinaldi viene contestato di aver fornito versioni false rispetto ai propri rapporti con Anemone. E per questo Sottani e Tavernesi hanno ribadito la necessità che entrambi vengano arrestati. «La competenza è della Procura di Perugia, qui deve rimanere l’inchiesta», hanno dichiarato di fronte al tribunale che deve pronunciarsi sulla decisione del gip secondo il quale il fascicolo dovrebbe essere trasmesso a Roma e sulla richiesta degli avvocati difensori Bruno Assummma e Titta Madia che sostengono la completa estraneità dei propri assistiti alle attività illecite della «cricca».

Fiorenza Sarzanini

12 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_12/una-casa-pagata-da-anemone-per-l-uomo-delle-nfrastrutture-fiorenza-sarzanini_c50c416c-5d88-11df-8e28-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il balzo di Anemone: da otto a 65 milioni in quattro anni
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2010, 12:23:34 pm
L’inchiesta - Le carte

Il balzo di Anemone: da otto a 65 milioni in soli quattro anni

Le verifiche fiscali svelano la rete per i lavori Le operazioni sospette sui conti della Igit


PERUGIA — Operazioni sospette sui conti della Igit, l’azienda che faceva affari con il Gruppo Anemone. La segnalazione della Banca d’Italia è stata trasmessa alla Guardia di Finanza. E adesso si indaga per scoprire i beneficiari dei passaggi di denaro disposti da Bruno Ciolfi, l’imprenditore che in società con Diego Anemone si è aggiudicato appalti milionari come il Parco della Musica di Firenze, l’aeroporto di Perugia, il carcere di Sassari. Il sospetto è che dietro quei transiti «anomali» si celino compravendite immobiliari. Acquisti di appartamenti o ristrutturazioni per soddisfare le richieste di politici e potenti funzionari statali e rimanere privilegiati nell’affidamento dei lavori pubblici. Un business che ha subìto un balzo improvviso a partire dal 2006. Basti pensare che —come risulta dalla documentazione finanziaria acquisita dagli investigatori— in soli quattro anni il fatturato della «Anemone Costruzioni» è passato da otto milioni di euro a quasi 70 milioni.

Gli atti acquisiti negli uffici del costruttore, compresa la lista con le «commesse» effettuate tra il 2003 e il 2008, dimostrano come Anemone abbia sempre annoverato tra i suoi clienti personaggi di primo piano delle istituzioni e del Vaticano, che gli aveva commissionato persino il rifacimento di alcune chiese. Basti pensare che nel 2004 fu proprio lui ad occuparsi dell’adattamento di un intero palazzo in piazza Zama come sede del Sisde, il servizio segreto civile. Da allora il suo legame con il Provveditore Angelo Balducci diventa sempre più stretto e gli consente il salto di qualità. Proprio su questa crescita vertiginosa del fatturato si stanno concentrando gli accertamenti disposti dai pubblici ministeri di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Secondo la documentazione contabile che i finanzieri stanno analizzando, nel 2006 la ditta ha un volume d’affari pari a 8 milioni 324 mila euro. Nella contabilità sono iscritti gli incarichi per il carcere di Sassari e la manutenzione del palazzo del Sisde di piazza Zama, che certamente portano «entrate» di alti importi. L’anno successivo il fatturato sale così a 14 milioni e 800 mila euro.

Le fatture emesse dimostrano come l’azienda beneficia di numerosi incarichi provenienti dal Provveditorato, compresi i lavori al ministero delle Scienze, le dotazioni tecniche e di sicurezza della sede della Guardia di Finanza a Fiumicino, alcune ristrutturazioni per conto del Viminale. Il 2008 rappresenta certamente l’anno della svolta. «Anemone Costruzioni » muove 34 milioni e 466 euro. I contatti tra l’imprenditore e Balducci sono frenetici come dimostrano le intercettazioni telefoniche effettuate dai carabinieri del Ros. Il 21 settembre del 2007 un decreto del governo ha dichiarato la presidenza italiana del G8 «Grande Evento », dunque bisogna tenersi pronti per i lavori che arriveranno in vista dei vertici internazionali previsti per l’estate dell’anno successivo. E poi ci sono gli altri appalti concessi con procedura d’urgenza: ci si deve preparare per i Mondiali di Nuoto e per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, cercare di ottenere la maggior parte delle «commesse». Si infittisce dunque la rete delle relazioni istituzionali.

In passato sono numerose le persone che avrebbero beneficiato della generosità di Anemone. Finora si è scoperto che appartamenti sono stati regalati allo stesso Balducci, al ministro Claudio Scajola, al generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, ma gli investigatori sono convinti che la lista sia destinata ad allungarsi viste le modalità seguite per le operazioni bancarie finite sotto osservazione. E hanno già individuato quelle ristrutturazioni effettuate nelle case dei funzionari chiamati a gestire i «Grandi Eventi » e dei loro familiari. Favori che vengono evidentemente ricambiati visto che nel 2009 il fatturato arriva a ben 65 milioni e 319 mila euro. L’ascesa di Anemone appare inarrestabile. Stringe alleanze con altre imprese, prima fra tutte la Igit. Incrementa i versamenti su centinaia di conti segreti intestati a prestanome. Decide di utilizzare casseforti come quella di don Evaldo Biasini, convinto che serviranno a far perdere le tracce delle movimentazioni. E invece arriva l’ordine di arresto dei giudici di Firenze. Anemone e la sua «cricca» finiscono in galera.

Fiorenza Sarzanini

15 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_15/il_balzo_di_anemone_da_otto_a_sessantacinque_milioni_in_soli_quattro_anni_sarzanini_3a502132-5ff0-11df-b9ba-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le notizie fanno bene, a tutti
Inserito da: Admin - Maggio 22, 2010, 10:46:08 pm
Le notizie fanno bene, a tutti


Tra cinque giorni comincerà il processo alle maestre di Rignano Flaminio accusate di reati legati alla pedofilia. Se la legge sulle intercettazioni fosse già in vigore, soltanto adesso potremmo conoscere per quale motivo tre insegnanti, il marito di una di loro e una bidella vanno alla sbarra con il terribile sospetto di aver abusato di piccoli alunni.

Soltanto tre anni dopo il loro arresto potremmo raccontare la storia di questa indagine. Mettere a fronte le tesi dell’accusa e quelle della difesa dopo aver esaminato gli atti. Eppure tra questi documenti non c’è neanche uno straccio di intercettazione telefonica o ambientale, perché mai ne sono state disposte. Il processo di Rignano è soltanto uno dei centinaia di casi dei quali non si sarebbe saputo nulla — a parte la notizia degli arresti — se il provvedimento che porta il nome del ministro della Giustizia Angelino Alfano fosse stato approvato.

E dimostra come il divieto di pubblicare le intercettazioni sia in realtà un falso problema. Perché è vero che con queste norme si vieta ai giornalisti di informare, ma soprattutto si impedisce ai cittadini di essere informati. E si lede il diritto fondamentale degli indagati di difendersi anche davanti all’opinione pubblica. S’è detto più volte che la pubblicazione dei testi di telefonate, talvolta tra persone che nulla avevano a che fare con le inchieste, è stata eccessiva. La privacy è un bene che va certamente tutelato e dunque è sul bilanciamento di queste due esigenze che bisognerebbe lavorare per trovare un’intesa.

Per esempio limitando la possibilità di allegare alle ordinanze soltanto le trascrizioni che riguardano gli indagati e sono ritenute indispensabili per motivare un arresto o una misura di interdizione. E creando un registro segreto delle altre conversazioni, sempre tenendo conto che proprio la difesa potrebbe decidere di utilizzarle per dimostrare l’infondatezza delle accuse. Nelle ultime settimane si è discusso molto delle inchieste sulla corruzione e si è insistito su tutto quello che l’opinione pubblica avrebbe ignorato se ci fosse già la legge. Ma, come dimostra Rignano, non si tratta soltanto di questo. Perché con il via libera alle nuove norme non si parlerebbe più dei politici e dei funzionari, però non si potrebbero neanche raccontare le indagini per gli omicidi, per le violenze sessuali, per le rapine. E si vivrebbe tutti lontani dalla realtà, di fatto fuori dal mondo.

C’è un aspetto che in queste ore viene sottovalutato e riguarda il possibile utilizzo illecito degli atti processuali. Il divieto di pubblicazione non impedisce infatti la circolazione dei documenti e dunque l’eventualità che diventino merce preziosa per chi potrebbe usarli come strumento di ricatto. Molto altro si potrebbe argomentare su questo disegno di legge, ma forse basta questo per riflettere sull’opportunità di tornare a confrontarsi, rallentando una corsa che appare in questo momento senza freni. E rischia di causare disastri.

Fiorenza Sarzanini

22 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_maggio_22/le_notizie_fanno_bene_a_tutti_fiorenza_sarzanini_4bd51e06-6560-11df-89b0-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Finmeccanica sotto inchiesta
Inserito da: Admin - Maggio 28, 2010, 05:14:04 pm
Il colosso pubblico

Le indagini sui «fondi neri»

Finmeccanica sotto inchiesta

Verifiche sulle attività del presidente Guarguaglini e della moglie a capo di una società partecipata


ROMA — Provviste di soldi occultate all’estero e utilizzate per ottenere commesse e appalti. Fondi «neri» che Finmeccanica avrebbe accantonato grazie all’attività di società collegate alla holding. L’inchiesta avviata dalla Procura di Roma sul colosso pubblico, di fatto considerato una delle casseforti di Stato, si concentra sulle disponibilità finanziarie. E afferra il filo che porterebbe a numerosi conti correnti aperti nelle filiali di banche che si trovano in paradisi fiscali come Singapore e Hong Kong, ma anche in alcuni Paesi europei. Il sospetto dei magistrati è che dietro l’intreccio di aziende usate per siglare contratti miliardari sia stato celato il versamento di tangenti. Soldi finiti nelle tasche di politici e funzionari, anche stranieri, per agevolare la chiusura degli accordi.

L’attività di Selex
Al centro delle verifiche ci sono le disposizioni impartite dal presidente Pierfrancesco Guarguaglini, ma c’è anche l’attività della "Selex", amministrata da sua moglie, l’ingegnere Marina Grossi e «controllata » proprio da Finmeccanica. I carabinieri del Ros, cui sono state delegate le indagini, sono entrati due giorni fa nella sede principale dell’azienda, che si trova in via Tiburtina a Roma, e hanno sequestrato numerosi documenti che riguardano appalti e forniture. Altri atti sono stati acquisiti presso gli uffici della «Elsag datamat», la consociata che ha ottenuto l’appalto per la gestione dei sistemi informatici durante il G8 che si è svolto a L’Aquila la scorsa estate.

Gli aerei americani
Gli accertamenti cominciano un paio di mesi fa. Indagando sull’organizzazione criminale che fa capo a Gennaro Mokbel, gli investigatori captano alcune conversazioni che riguardano Finmeccanica. E lo sentono mentre afferma: «Io ieri sera sono stato a cena con uno dei capoccioni di Finmeccanica, uno dei tre che comandano Finmeccanica. Lui però vive negli Usa, a Washington, è quello che ha firmato l’accordo da sei miliardi sugli aerei; Finmeccanica fa gli aerei degli Stati Uniti». In un’altra conversazione racconta di essere stato a cena con «il numero tre della terza industria militare del mondo e con due persone della Cia» e aggiunge: «Aveva una scorta de quelle che non se possono immaginare, armati. M’hanno offerto un cazzo de marchingegno. Non a me, ma tramite sempre l’avvocato Nicola (il senatore Di Girolamo, ndr), di aprire una loro agenzia per tutto il centro Asia, per la vendita di prodotti di sicurezza e prodotti militari; elicotteri Agusta e via dicendo. C’abbiamo una riunione lunedì». Nei giorni successivi, Mokbel partecipa a un incontro dove c’è tra gli altri Lorenzo Cola, ritenuto vicino proprio a Guarguaglini. Si discute dell’acquisizione della «Digint» e si lamenta perché «abbiamo tirato fuori i soldi, ma non abbiamo visto uno straccio di contratto, non abbiamo visto il futuro ». Si tratta di un investimento da 8 milioni di euro che — almeno nelle mire del gruppo — avrebbe dovuto portare appalti e commesse. Non a casoMarco Toseroni, arrestato con l’accusa di essere uno dei collaboratori più fidati di Mokbel, dice: «Con Marco (Iannilli) ci sentiamo ogni due giorni. Gli sto già procacciando lavoro per Finmeccanica... il nostro avvocato di Singapore ci ha dato delle date fra il cinque, il sei... il sette a Singapore. Oggi mi ha chiamato, quello è estremamente operativo, ha già parlato con un ex capo comandante dell’Aeronautica militare di Singapore che è stato l’attaché».

Radar e computer
Vengono disposti nuovi controlli e ci si concentra sulla Selex. Il sospetto è che l’azienda abbia pagato numerose forniture pur non avendo mai ottenuto le apparecchiature che risultano elencate nei contratti. Queste false fatturazioni, per una cifra comunque superiore a quelle di mercato, avrebbero consentito di creare provviste di denaro poi trasferite all’estero. Non solo. L’accantonamento dei fondi sarebbe avvenuto attraverso l’acquisizione di società che in realtà erano «scatole vuote» ma servivano a giustificare la movimentazione dei soldi. I risultati delle rogatorie già effettuate dai magistrati, che si sono recati personalmente a Singapore e Hong Kong proprio per prendere visione degli atti, sono stati incrociati con la documentazione contabile acquisita durante la prima fase d’indagine. E così si è deciso di far scattare le perquisizioni. Del resto oltre alla Procura di Roma, fascicoli che riguardano Finmeccanica sono stati aperti a Milano e a Napoli. In particolare si sta cercando di ricostruire l’attività della «Elsag datamat» che, dopo aver partecipato all’appalto per la videosorveglianza della cittadella della polizia nel capoluogo partenopeo, ha poi ottenuto in esclusiva quello per i sistemi informatici del G8. I magistrati napoletani procedono per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta. L’ipotesi dei colleghi romani riguarda invece episodi di corruzione e di evasione fiscale. Una tesi che Finmeccanica smentisce ufficialmente quando «nega che siano mai stati costituiti fondi neri in Italia o all’estero».

Fiorenza Sarzanini

28 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_28/fondi_neri_finmeccanica_sotto_inchiesta_fiorenza_sarzanini_4afa89aa-6a1d-11df-bd58-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La casa di Bertolaso, Zampolini accusa
Inserito da: Admin - Giugno 02, 2010, 04:36:05 pm
L’inchiesta - I verbali

La casa di Bertolaso, Zampolini accusa

«Pagava Anemone. Alloggi a Di Pietro. Lavori a chi era indicato da Prodi, Veltroni, Rutelli»


ROMA —«L’affitto della casa di via Giulia di Guido Bertolaso l’ho versato io per conto di Diego Anemone. Era un piccola casa, Diego mi dava i soldi in contanti che io portavo al proprietario. Aveva anche provveduto a ristrutturarla». È il 18 maggio. Di fronte ai magistrati di Perugia parla l’architetto Angelo Zampolini. Conferma i sospetti degli inquirenti. E smentisce la versione fornita dal capo della Protezione civile che aveva negato fosse stato il costruttore a mettergli a disposizione quell’appartamento. Poi gli viene chiesto se sappia che tipo di rapporti c’erano tra l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro e Angelo Balducci. Zampolini glissa. Ma quattro giorni dopo chiede di essere nuovamente interrogato. E rivela: «Io so che Balducci fece avere al ministro due case in affitto a Roma attraverso la congregazione Propaganda Fide. La prima era in via della Vite ed è stata per un periodo una delle sedi dell’Italia dei Valori. L’altra era in via delle Quattro Fontane, credo fosse per la figlia. Anche in questo caso Anemone si occupò della ristrutturazione». Replica Di Pietro: «Escludo di aver preso quegli appartamenti, chiederò agli inquirenti di saperne di più». L’architetto Zampolini, che si era occupato dell’acquisto delle case per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il manager delle Infrastrutture Ercole Incalza — pagate in parte con i soldi di Anemone — conferma dunque la sua volontà di collaborare con i pubblici ministeri che indagano sugli appalti per i «Grandi Eventi». I carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza stanno adesso verificando ogni dettaglio, compresi quelli che riguardano la scelta degli architetti per i lavori del G8 a La Maddalena e per le celebrazioni dell’Unità d’Italia. «Io fui estromesso, mentre lavoravano quelli indicati da Prodi, Veltroni e Rutelli», ha raccontato Zampolini.

L’affitto per Bertolaso e il ritardo dei pagamenti
Il riferimento a un appartamento di Bertolaso del quale si ignorava l’esistenza, viene rintracciato nella «lista Anemone». Accanto al cognome ci sono due indirizzi: quello di via Bellotti Bon, dove risiede con la famiglia, e quello in via Giulia. Poche ore dopo la pubblicazione dell’elenco, il Dipartimento della Protezione civile dirama un comunicato per affermare che «né lui né i suoi familiari possiedono alcun immobile in quella zona del centro della città. Per un breve periodo Bertolaso ha potuto utilizzare un appartamento in Via Giulia, posto nelle sue disponibilità da un amico — che non era il costruttore Anemone — e non ha mai notato nella sua permanenza attività di ristrutturazione, né di altre opere edili, che comunque non sarebbero state di sua competenza o responsabilità». A smentire questa versione ci pensa Zampolini. «L’amico — dichiara a verbale il 18 maggio — è proprio Anemone. Fu lui a incaricarmi di pagare l’affitto, 1.500 euro sempre in contanti. Ricordo che una volta c’era un ritardo di circa sei mesi e versai i soldi tutti insieme. Anemone si occupò anche della ristrutturazione dell’appartamento». Di tutto questo Bertolaso non aveva fatto alcun cenno durante l’interrogatorio del 12 aprile scorso, quando era stato convocato con il difensore perché indagato di corruzione. E aveva omesso di parlare anche dell’incarico ottenuto da sua moglie Gloria Piermarini per la ristrutturazione dei giardini del Salaria Sport Village, il circolo che Anemone aveva in società con il figlio di Angelo Balducci. Contratti sui quali sono stati disposti nuovi accertamenti.

Le case per il leader dell’Italia dei Valori
Quando l’interrogatorio sta per terminare i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavernesi chiedono a Zampolini se sia a conoscenza del tipo di rapporto che c’era fra Balducci e Di Pietro, quando quest’ultimo guidava le Infrastrutture. Il leader dell’Italia dei Valori è già stato ascoltato a Firenze come testimone, ha affermato di aver cacciato l’alto funzionario. Di fronte agli investigatori e al suo legale Grazia Volo, l’architetto tace. Ma il 22 maggio chiede di essere nuovamente sentito. E rivela: «Non è vero che Di Pietro ha cacciato Balducci, fu lui ad andare via perché era pressato dalle richieste del ministro che voleva essere introdotto in Vaticano. Io so che proprio Balducci gli fece avere in affitto due case di proprietà della congregazione Propaganda Fide. La prima si trova in via della Vite, nello stesso palazzo dove abita la giornalista Cesara Buonamici. Anemone si occupò della ristrutturazione e poi l’appartamento fu utilizzato come sede dell’Italia dei Valori. Non so se ha mai pagato l’affitto, comunque si trattava di una cifra molto bassa». Zampolini va avanti: «Mi risulta che Di Pietro chiese anche un’altra abitazione, era per la figlia. Si trova in via Quattro Fontane e ricordo che Anemone, oppure uno dei suoi collaboratori, mi disse che stavano facendo dei lavori di ristrutturazione per il ministro». L’architetto chiarisce che fu proprio lui a firmare alcune Dia, le «dichiarazioni di inizio lavori», poi depositate presso il Comune di Roma «anche se non ero sempre io ad occuparmene davvero».

L’Auditorium di Isernia per avere il via libera
Secondo l’architetto, Di Pietro quando era al governo «osteggiava gli appalti che erano stati programmati per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Erano lavori fortemente voluti da Romano Prodi e da Francesco Rutelli, mentre lui era contrario. Si convinse soltanto quando nel programma dei lavori fu inserito l’Auditorium di Isernia, per il quale erano stanziati oltre 20 milioni di euro. Appena fu approvato il progetto lui concesse il via libera anche a tutte le altre opere». Il 18 maggio, quando è stato interrogato dai pubblici ministeri di Firenze e Perugia, Di Pietro ha affermato di essere «un teste dell’accusa» e poi ha chiarito di non aver «mai ritenuto affidabili né Balducci, né Pietro Rinaldi», poi diventato commissario per i Mondiali di Nuoto e tuttora indagato per corruzione proprio perché accusato di aver accettato soldi e favori da Anemone. Una versione che Zampolini ha negato.

I progetti per La Maddalena
Durante il suo interrogatorio di dieci giorni fa, Zampolini si è soffermato sulle dinamiche del «sistema» messo in piedi per la gestione dei lavori e ha affermato che «durante il governo Prodi i miei progetti in vista del G8 a La Maddalena e delle opere per le celebrazioni dell’Unità d’Italia furono scartati perché venivano privilegiati altri». In particolare ha fatto due nomi. «Quelli che lavoravano erano Stefano Boeri, che era amico di Prodi e Rutelli. E l’architetto Napoletano che era amico di Walter Veltroni». Si tratta probabilmente del professionista che si è occupato anche della ristrutturazione del loft con vista sul Circo Massimo che è stato la prima sede del Partito democratico. Il nome di Boeri compare nelle carte processuali. Annotano i carabinieri del Ros: «Nella tarda serata del 31 luglio 2008 l’architetto Marco Casamonti riferisce al collega Stefano Boeri, cui è stata affidata la progettazione generale delle opere del G8 alla Maddalena, che la Giafi Costruzioni (Carducci Valerio), aggiudicataria di una di queste opere (un albergo) gli ha chiesto di predisporre la progettazione di una spa avendo verificato che il progetto predisposto dal tecnico incaricato, architetto Giovanni Facchini, è assolutamente carente... "Ti telefonavo per questo... mi ha chiamato una delle ditte che ha vinto le gare al G8... alla Maddalena... che sono quelli che han fatto con noi... sai... il concorso dell’Auditorium di Firenze. E devo venire alla Maddalena... ci hanno dato l’incarico di fargli una specie di spa per l’albergo... ma questo albergo pare che l’abbia progettato un certo Facchini... un nome così... e dice che è una cosa orrenda... ma tu l’hai visto questo progetto dell’albergo? Ma è veramente così brutto?". Boeri, dopo aver confermato che l’impresa Giafi Costruzioni è in difficoltà per l’esecuzione dei lavori a causa delle riscontrate carenze progettuali, comunica a Casamonti che provvederà ad organizzargli un incontro con l’ingegner Angelo Balducci che coordina l’intera attività edificatoria».

Fiorenza Sarzanini

02 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_02/sarzanini-bertolaso_71cba552-6e0d-11df-b855-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’attuale vertice della curia di Napoli nel 2004 gestiva...
Inserito da: Admin - Giugno 03, 2010, 04:39:34 pm
L’inchiesta -

L’attuale vertice della curia di Napoli nel 2004 gestiva gli immobili di Propaganda Fide.

Il pm: il ministro avrebbe pagato un quarto del prezzo Il vescovo e il palazzo «svenduto» a Lunardi

Parla Zampolini: Sepe convinto da Balducci. «Un altro monsignore diede le case a Di Pietro»


ROMA — C’è un monsignore che gestiva le case in affitto per conto della congregazione Propaganda Fide ed era in contatto con Angelo Balducci e Diego Anemone. A parlare di lui davanti ai magistrati di Perugia è stato l’architetto Angelo Zampolini, al quale i due avevano affidato il compito di curare le operazioni immobiliari. «Si occupava delle assegnazioni, mentre i contratti di vendita erano firmati dal cardinale Crescenzio Sepe. Nel 2004 fu proprio lui a cedere all’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi il palazzo di via dei Prefetti», ha raccontato. Uno stabile che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato acquistato a un quarto del suo valore effettivo. Un «favore» che l’alto prelato—attualmente arcivescovo di Napoli — avrebbe fatto anche su pressione dello stesso Balducci, da lui stesso inserito nel comitato dei saggi dell’istituto religioso. Lunardi ha sempre smentito di aver ottenuto sconti o trattamenti privilegiati, ma su quell’acquisto si continua a indagare visto che fu proprio Zampolini a curare la trattativa.

I prelati e gli affitti
L’inchiesta sulla gestione degli appalti per «Grandi Eventi» continua dunque a puntare verso il Vaticano. Perché è proprio da Propaganda Fide che politici e potenti funzionari statali avrebbero ottenuto appartamenti a prezzi stracciati. Dimore che Diego Anemone provvedeva poi a ristrutturare, come risulta anche dalla lista dei clienti trovata dalla Guardia di Finanza nel computer di una delle sue aziende.
In quell’elenco ci sono pure gli stabili di via della Vite e di via Quattro Fontane, lì dove, racconta l’architetto, «Antonio Di Pietro prese due appartamenti». Nel primo c’era la sede del giornale dell’Italia dei Valori e ora si sta accertando se, come emerge dai primi accertamenti, il canone versato fosse inferiore a quello dichiarato nei documenti ufficiali. Nell’altro vive il tesoriere del partito Silvana Mura. In calce al suo contratto c’è la firma di monsignor Francesco Di Muzio, capo dell’ufficio amministrativo della Congregazione. Potrebbe essere proprio lui il prelato cui ha fatto riferimento Zampolini, ma gli inquirenti vogliono verificare anche il ruolo avuto in questo tipo di trattative da monsignor Massimo Cenci, nominato proprio da Sepe sottosegretario e dunque delegato alla gestione del patrimonio da affidare in locazione.

La manutenzione delle case
Sono numerosi i contratti che Guardia di Finanza e carabinieri del Ros stanno esaminando per ricostruire la mappa dei favori concessi da Anemone e Balducci attraverso gli amici della Santa Sede. Del resto Zampolini racconta che «anche Di Pietro chiedeva al Provveditore di essere introdotto in Vaticano e so che lui andò via dal ministero proprio perché diceva di essere pressato su questo». Il leader dell’Idv è stato già interrogato come testimone nei giorni scorsi ed è possibile che venga ascoltato nuovamente quando saranno terminate le verifiche su quanto è emerso sino ad ora. Oltre alle dichiarazioni rilasciate da Zampolini, nelle sedi delle imprese di Anemone sono stati infatti acquisiti tutti i contratti ottenuti per la manutenzione degli stabili e uno degli incarichi più remunerativi era certamente quello assegnato al giovane imprenditore da Propaganda Fide. Le buone entrature di Balducci presso la Santa Sede sono note e dimostrate anche dal fatto che fosse stato nominato Gentiluomo di Sua Santità. A raccontare che anche Anemone era ben introdotto negli stessi ambienti è stato invece il suo ex autista, il tunisino Laid Ben Hidri Fathi, quando ha rivelato che «lui si occupava delle ristrutturazioni delle case di politici e prelati ed ero io ad accompagnarlo da monsignor Francesco Camaldo». L’incrocio delle testimonianze rilasciate da Fathi e da Zampolini ha consentito ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi di ricostruire le operazioni immobiliari che entrambi hanno gestito. A Fathi era stato infatti affidato il compito di prelevare i contanti sui conti correnti di Anemone che venivano poi consegnati a Zampolini e trasformati in assegni circolari. Titoli utilizzati per acquistare appartamenti per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il genero del manager delle Infrastrutture Ercole Incalza.

I nuovi conti
L’esame dei depositi bancari affidati dall’imprenditore ad alcuni prestanome — tra gli altri il suo commercialista Stefano Gazzani e la segretaria Alida Lucci — avrebbe già portato la Guardia di Finanza sulle tracce di altri «favori» concessi a chi poteva agevolare Anemone nell’assegnazione degli appalti. Le verifiche effettuate avrebbero infatti consentito di accertare il percorso dei soldi e la destinazione finale, in alcuni casi estera. In attesa di fissare l’interrogatorio dell’ex ministro Claudio Scajola, i magistrati si stanno concentrando sulla ricostruzione degli altri contratti per legare ogni «favore» concesso da Anemone alla contropartita poi ricevuta.

Fiorenza Sarzanini

03 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_03/Il-vescovo-e-il-palazzo-svenduto-a-Lunardi-fiorenza-sarzanini_9172ec7c-6ecf-11df-bfef-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Sequestrati dal suo commercialista migliaia di documenti
Inserito da: Admin - Giugno 05, 2010, 05:17:39 pm
L’indagine

Sequestrati dal suo commercialista migliaia di documenti

Gli affari e i nomi dei potenti

Trovato il grande archivio

I pm ora trattano per convincere Anemone a parlare


ROMA — Appalti pubblici, ristrutturazioni, incarichi ai consulenti: è stata trovata nell’archivio del commercialista Stefano Gazzani la nuova lista tuttora all’esame dei pubblici ministeri di Perugia. Sono 34 i faldoni sequestrati nello studio del professionista che curava gli affari di Diego Anemone, ma anche quelli del Provveditore Angelo Balducci e del funzionario Mauro Della Giovampaola. Migliaia di documenti acquisiti dai carabinieri del Ros che servono a ricostruire l’attività dell’imprenditore accusato di corruzione, l’elenco dei suoi clienti, i rapporti economici con i privati, ma soprattutto con gli enti pubblici. E uno dei «contenitori» ritenuto di maggior interesse investigativo è il numero 33, contrassegnato dalla dicitura «appunti Gazzani». Proprio per cercare di ottenere nuove conferme a quanto già emerso dalle intercettazioni telefoniche e dall’esame dei documenti contabili, i magistrati hanno proposto allo stesso Anemone una sorta di patto che preveda una linea morbida in cambio della sua collaborazione. E non escludono, nonostante le smentite ufficiale dei legali, di riuscire ad aprire una breccia.

Le due cassette
È il verbale di sequestro allegato al fascicolo processuale messo a disposizione degli indagati, a rivelare quanto è stato portato via dai militari dell’Arma: oltre al computer personale di Gazzani, quelli dei suoi collaboratori, almeno quattro chiavette Usb e le chiavi di due cassette di sicurezza che si trovano in una banca di San Marino. Poi c’è l’intero archivio con i faldoni divisi per nominativo e contenenti tutti i documenti relativi alle aziende, compresa la contabilità. E ancora: l’elenco dei clienti e quello dei consulenti utilizzati per effettuare i lavori, soprattutto quelli pubblici. Tra le carte, è stato rintracciato pure il resoconto di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza negli anni scorsi. «Tutto è stato fatto secondo le regole - afferma l’avvocato Bruno Assumma - e lo dimostreremo proprio analizzando questa documentazione ».

Gli inquirenti sono convinti che numerosi lavori, soprattutto quelli effettuati negli appartamenti di privati, servissero ad Anemone a rafforzare la rete che gli consentiva poi di aggiudicarsi gli appalti pubblici. Il resto lo avrebbero fatto le «mazzette » versate. Nel «porto franco » di San Marino Gazzani è stato certamente svariate volte. Lì aveva accompagnato anche la madre di Claudio Rinaldi, il commissario dei Mondiali di Nuoto accusato di corruzione perché sospettato di aver preso soldi in cambio di alcune autorizzazioni concesse ad Anemone. E dunque il contenuto delle due cassette potrebbe rivelare nuovi dettagli su eventuali tangenti versate a funzionari e politici.

La trattativa
Proprio per avere chiarimenti su quanto emerso sino ad ora, i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi avevano convocato Anemone per un interrogatorio. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere », ha spiegato lui, ma qualcosa potrebbe cambiare nel suo atteggiamento. Sono stati gli stessi magistrati a prospettargli l’ipotesi di una collaborazione nel tentativo di aprire uno spiraglio. Sul tavolo della trattativa la Procura di Perugia può mettere il ritiro dell’istanza sul commissariamento delle aziende. L’udienza è fissata per mercoledì prossimo 9 giugno, dunque i tempi sono stretti. Però basterebbe una minima apertura dell’indagato per orientare le scelte dell’accusa. Una sorta di accordo che potrebbe comprendere anche il via libera al patteggiamento.

Ufficialmente i difensori smentiscono. «Posso escludere - dichiara l’avvocato Claudio Cimato - che il mio cliente abbia intenzione di parlare. Del resto non abbiamo ancora visto le carte processuali e fino alla discovery completa non ci sarà alcun cambio di linea». Parole che ricalcano quelle pronunciate un mese fa, nonostante Anemone avesse appena accettato di rispondere alle domande di un finanziere che si era presentato nel carcere di Rieti un’ora prima del suo ritorno in libertà. In quell’occasione l’imprenditore smentì la versione fornita dal generale dei servizi segreti Francesco Pittorru sulle due case regalate. «I soldi erano un prestito», aveva messo a verbale l’alto ufficiale. Anemone spiegò che aveva detto il falso.

Fiorenza Sarzanini

05 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_giugno_05/sarzanini-trovato-archivio-nomi-potenti_cd74869e-706a-11df-aae4-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Trovato il prestanome di Balducci
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2010, 11:15:56 pm
L'inchiesta G8

Gli appalti e i conti bancari segreti

Trovato il prestanome di Balducci

È un collaboratore del commercialista che custodiva l’archivio di più indagati


Conti correnti bancari «riconducibili alla famiglia Balducci, ma intestati a Fernando Mannoni». Il verbale di sequestro del materiale trovato nello studio del commercialista Stefano Gazzani rivela l’esistenza di un prestanome che custodiva i soldi del Provveditore ai Lavori Pubblici. E ne svela l’identità, individuandolo come uno dei collaboratori del professionista che curava anche gli affari di Diego Anemone.

Esiste dunque una provvista di denaro che Balducci aveva intenzione di far sfuggire ai controlli. Dopo la scoperta di un conto in Lussemburgo con circa 3 milioni di euro, i carabinieri del Ros afferrano la traccia di un nuovo tesoretto. L’esame dei documenti già acquisiti presso gli istituti di credito dovrà adesso accertarne la provenienza, anche se le prime verifiche hanno già fornito dettagli di interesse investigativo su passaggi che portano direttamente al costruttore privilegiato nell’assegnazione degli appalti per i «Grandi Eventi».

La perquisizione risale a circa tre mesi fa. Quando i militari dell’Arma entrano nello studio del commercialista chiedono di poter visionare tutte le carte relative a Balducci, Anemone e Mauro Della Giovampaola, il funzionario delegato alla gestione del G8 a La Maddalena arrestato per corruzione e tornato in libertà per scadenza dei termini. Trovano gli estratti relativi e centinaia di conti e si soffermano su quelli intestati agli indagati. Analizzando le movimentazioni si accorgono però di un’anomalia che riguarda le disponibilità di Balducci e dei suoi figli. C’è un nome che ricorre, pur non avendo alcun legame evidente con loro. È, appunto, quello di Mannoni. Chiedono chiarimenti e scoprono che in realtà l’uomo è uno dei collaboratori di Gazzani. Il suo computer, insieme a chiavette Usb e altro materiale informatico, è stato appena sequestrato.

La circostanza appare subito sospetta: che motivo ha, la famiglia Balducci, di intestare i propri conti a un prestanome se la provenienza dei soldi è lecita? Ma soprattutto, come mai è stato scelto un collaboratore del commercialista che il Provveditore ha in comune con Anemone? L’ipotesi degli investigatori, che avrebbe già trovato primi riscontri, è che quei depositi siano serviti a far transitare il denaro che il costruttore versava dopo aver ottenuto gli appalti. E dunque che il prezzo di quelle assegnazioni non fossero soltanto gli appartamenti, i viaggi con l’idrovolante, le vacanze e persino i domestici assunti e messi a disposizione di Balducci e di sua moglie. A fare la differenza sarebbero stati i contanti per Balducci che Gazzani avrebbe provveduto ad occultare grazie alla disponibilità di una persona che lavorava al suo fianco.

Il commercialista, a sua volta titolare di decine di depositi, è stato segnalato dalla Banca d’Italia per alcune operazioni sospette riconducibili alla «cricca». Iniziative finanziarie che potrebbero nascondere l’acquisto di beni o il passaggio di denaro da utilizzare come tangente. Del resto lui stesso ha avuto un ruolo attivo negli interventi di ristrutturazione nelle case di politici e funzionari dello Stato: è socio con Anemone della società «Tecnowood srl» che ha effettuato numerosi lavori, compresi quelli nel villino del capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. E dunque è a conoscenza di tutti i rapporti personali gestiti dall’imprenditore, delle frequentazioni che gli hanno consentito di ottenere poi una posizione privilegiata quando si trattava di aggiudicarsi appalti e commesse.

Le intercettazioni telefoniche hanno rivelato che proprio Gazzani si recava ad incontrare il generale della Guardia di Finanza, poi passato ai servizi segreti, Francesco Pittorru che prometteva rivelazioni sulle indagini in corso e per questa sua disponibilità ha ottenuto due appartamenti e l’assunzione della figlia presso il Salaria Sport Village.

Insieme all’architetto Angelo Zampolini, il commercialista è certamente uno degli uomini più fidati di Anemone. Dal suo studio i carabinieri del Ros hanno portato via anche 34 faldoni che documentano la contabilità delle aziende, l’elenco dei fornitori, quello dei consulenti. Migliaia di fogli che disegnano la rete dei contatti. E per questo fanno paura a molti.

Fiorenza Sarzanini

07 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_07/sarzanini-appalti-conti-bancari-prestanome-balducci_089f5c80-71f6-11df-9357-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI: a Palazzo Chigi fu trovato l’accordo sulle commesse
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2010, 02:28:21 pm
Il G8 e gli appalti - L’inchiesta

«Patto politico per i lavori in Abruzzo Una riunione con Letta e Verdini»

Barattelli e i legami con Fusi: a Palazzo Chigi fu trovato l’accordo sulle commesse

Il G8 e gli appalti - L’inchiesta


ROMA — «Sapevamo che la Btp aveva appoggi politici e per questo abbiamo chiesto di lavorare con loro in vista dell’assegnazione dei lavori per la ricostruzione del dopo-terremoto. Ci siamo rivolti alla Carispaq, la Cassa di Risparmio dell’Aquila, ed effettivamente poi siamo stati ricevuti a Palazzo Chigi da Gianni Letta insieme all’onorevole Denis Verdini. Tre giorni dopo quella riunione è stato costituito il Consorzio Federico II». C’è un testimone prezioso che può dare una svolta all’indagine sugli appalti assegnati in Abruzzo. È Ettore Barattelli, presidente del sodalizio di imprese che poi riuscì ad aggiudicarsi l’appalto per la scuola Carducci e quello per i puntellamenti nel centro storico. Dunque, uno dei costruttori che partecipò personalmente alle trattative per la spartizione delle commesse. La scorsa settimana aveva manifestato la volontà di essere interrogato dai magistrati che indagano sulle procedure di assegnazione delle commesse. E cinque giorni fa, l’11 giugno, accompagnato dal suo legale, si è presentato davanti al procuratore Alfredo Rossini. «Le grosse entrature» Trova dunque conferma quanto era già emerso nelle conversazioni intercettate dai magistrati di Firenze che indagavano sui «Grandi Eventi». Si delinea l’accordo preso a livello politico per modulare i tempi e così scegliere le aziende da impiegare. Ed è proprio su questo che si concentrano adesso le verifiche dei pubblici ministeri.

Bisogna infatti stabilire la regolarità di quel patto che ha fornito il via libera alla costituzione del Consorzio mettendolo in una posizione privilegiata rispetto ad altre società che avrebbero potuto partecipare alle gare per l’assegnazione dei lavori. In primo piano rimane quella Btp di Riccardo Fusi finito sotto inchiesta in Toscana proprio perché sarebbe stato agevolato dal suo amico Verdini nella trattativa per la costruzione della Scuola dei marescialli. E che avrebbe sfruttato la stessa strada per lavorare a L’Aquila. Racconta Barattelli: «Noi imprenditori abruzzesi —parlo di me, ma anche della "Vittorini Emidio Costruzioni" e della "Marinelli ed Equizi" — ci siamo rivolti ai dirigenti della Carispaq perché volevamo lavorare con Btp. Sapevamo che aveva grosse entrature con il governo e dunque ci muovemmo. Ci fu un incontro presso la sede della banca alla quale partecipai io, il presidente della Btp Fusi e il procuratore della stessa azienda Liborio Fracassi. Trovammo un accordo e il 12 maggio fummo convocati a Palazzo Chigi». Quanto accaduto nelle settimane precedenti era stato ricostruito nelle informative dei carabinieri del Ros attraverso l’ascolto delle telefonate. Il 14 aprile 2009 Verdini avverte Fusi che una terza persona non specificata «mi voleva vedere per il consorzio per intervenire sul terremoto ». A questo punto l’imprenditore prende contatto con le banche per i finanziamenti. E un mese dopo, l’11 maggio, comunica a Fracassi che «ci sono concrete probabilità di successo». La sera gli invia anche un sms per confermargli un incontro per il giorno successivo: «Appuntamento a Palazzo Chigi alle ore 17.30». L’incontro da Letta Tre minuti dopo, nuovo sms per assicurare che «l’indomani all’incontro potrà partecipare il direttore della Cassa di Risparmio dell’Aquila (Rinaldo Tordera)».

Il giorno dopo, Fusi avvisa un’amica di essere «qui a Palazzo Chigi... Sono da Letta qui in sala d’attesa». È Barattelli a raccontare i dettagli. «Oltre a me e Fusi, c’erano il direttore della Carispaq Rinaldo Tordera e il vicedirettore Angelo Fracassi. Poi Letta e Verdini. Analizzammo tutti gli aspetti della vicenda e fu raggiunto l’accordo». Nelle stesse ore, come hanno accertato gli investigatori, l’amministratore della Btp Vincenzo Di Nardo incontra gli altri imprenditori e alla fine manda un sms a Fusi: «Finito ora riunione con abruzzesi e loro commercialista. Definiti e scritti tutti i testi x costituzione società che avverrà venerdì all’Aquila presso banca». Alle ore 19.19 di quello stesso giorno Fusi viene contattato dal suo collaboratore Bartolomei per sapere com’è andata la riunione e i carabinieri danno conto della telefonata: «Fusi lo informa dell’esito più che positivo degli incontri odierni, lasciando intendere che l’intervento dell’onorevole Verdini è stato determinante ». Adesso è Barattelli a confermare la procedura seguita: «Tre giorni dopo, presso la sede della Carispaq abbiamo costituito il Consorzio Federico II e poi abbiamo preso i lavori.

A noi è stata assegnata la ricostruzione della scuola Carducci e il puntellamento degli stabili pericolanti. In tutto 4milioni di euro». In realtà, secondo i calcoli fatti dai carabinieri, i lavori hanno portato nelle casse delle aziende 7 milione e 300.000 euro. Ed è soltanto l’inizio. Se si esclude l’appalto per la fornitura dei prefabbricati, altri lavori dovranno essere assegnati nelle prossime settimane e le aziende che fanno parte del Consorzio rimangono in prima fila nella spartizione. Per questo nei prossimi giorni potrebbero essere interrogati gli altri imprenditori che hanno partecipato al Filippo II, ma anche quelli che invece sono stati esclusi dalla spartizione degli appalti. Anche perché nelle carte trasmesse dai magistrati di Firenze ai colleghi dell’Aquila ci sono gli altri contatti che preludono alla ricerca di nuovi appoggi per ottenere i lavori. Come quell’sms che Fracassi invia a Fusi «la mattina del 6 giugno 2009 per informarlo che a breve saranno avviati i lavori per la ristrutturazione del Palazzo Brancomio a L’Aquila».

Fiorenza Sarzanini

16 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_giugno_16/patto_politico_abruzzo_27e9f266-7909-11df-ad02-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il cardinale Sepe e il restauro fantasma
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2010, 04:11:34 pm
L'INCHIESTA

Il cardinale Sepe e il restauro fantasma

Le carte dell'inchiesta: 2,5 milioni ricevuti per lavori mai completati.

L'architetto Zampolini diresse il cantiere

   
ROMA - Nell’autunno del 2003 la facciata del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna viene completamente avvolta da un ponteggio esterno. «Manutenzione provvisoria e restauro» si legge sulla targa che segnala lo stato dell’opera. Il progettista è l’architetto Angelo Zampolini, che sette anni dopo diventerà noto per essere l’uomo di fiducia di Diego Anemone, il custode di molti dei suoi segreti. L’impresa a cui sono affidati i lavori è la ditta Carpineto, che in una recente informativa del Ros viene definita «vicina» ad Angelo Balducci, ex Provveditore alle Opere Pubbliche.

«Incongruo»
È solo l’inizio di quegli interventi che nel 2005 beneficeranno di un finanziamento statale da 2,5 milioni di euro, sul quale anche alcuni organi di controllo avevano sollevato molte perplessità. Il primo allarme, infatti, arrivò dalla Corte dei conti, sollecitata da una denuncia del sindacalista della Uil Gianfranco Cerasoli. L'iscrizione nel registro degli indagati del cardinale Crescenzio Sepe, presidente di Propaganda Fide del 2000 al 2006, e dell’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, è stata decisa dalla Procura di Perugia dopo l’acquisizione di una relazione della Corte dei conti nella quale si definisce «incongruo» e «non motivato» lo stanziamento della cifra, destinata a un palazzo extraterritoriale, essendo di proprietà del Vaticano. La stranezza di quella vicenda, e il fatto che i lavori non ebbero mai fine, hanno convinto i pubblici ministeri di essere in presenza di una contropartita concessa da Lunardi - firmatario del decreto insieme all’ex ministro della Cultura Rocco Buttiglione - in cambio dell’acquisto a prezzi decisamente vantaggiosi di una palazzina di Propaganda Fide in via dei Prefetti, a Roma. L’andamento di quel restauro ha sempre avuto una sorte accidentata. Il primo ponteggio venne smontato nel febbraio 2004. I lavori ripresero nell’estate del 2005, sempre con lo stesso progetto, dopo che all’interno degli «interventi in materia di spettacolo ed attività culturali» previsti per il varo di Arcus, la spa governativa che si occupa di edilizia culturale, venne deciso uno stanziamento di 2,5 milioni di euro per il restauro del palazzo. Cambiò la ditta appaltante, con l'ingresso della Italiana Costruzioni.

La Corte dei conti
Il totale delle spese previste per un secondo blocco di 26 lavori deliberato da Arcus era di 24,70 milioni di euro. La voce più alta nel capitolo riguardante gli ultimi 13 interventi previsti era proprio quella relativa alla palazzina del Vaticano. Al secondo posto, i lavori per la Metropolitana di Napoli, nelle stazioni Duomo e Municipio (1.5 milioni). In una relazione sul funzionamento generale di Arcus, la Corte dei conti critica pesantemente l’assenza di un regolamento attuativo, previsto in origine ma mai redatto. In questo modo, scrivono i giudici, le scelte non vengono mai fatte da Arcus, ma direttamente dai vertici dei ministeri, senza la necessità di alcuna spiegazione. «Il soggetto societario in mano pubblica è stato trasformato in un organismo che in concreto ha assolto prevalentemente una funzione di agenzia ministeriale per il sostegno finanziario di interventi, decisi in via autonoma dai ministri e non infrequentemente ed a volte anzi dichiaratamente, indicati come integrativi di quelli ordinari, non consentiti dalle ridotte disponibilità correnti del bilancio». La mancata esplicitazione della logica delle decisioni operate «dai ministeri e non da Arcus», scrive nel 2007 la Corte dei Conti, «avrebbe portato a decisioni apparentemente non ispirate a principi di imparzialità e trasparenza».

Il sospetto
L’episodio della palazzina di piazza di Spagna viene considerato importante perché fa emergere il contesto di presunte reciproche utilità tra il ministro e il religioso. Ma all’esame degli investigatori c’è la gestione complessiva del nutrito comparto immobiliare di Propaganda Fide ai tempi in cui la congregazione era presieduta dal cardinal Sepe. Tra il 2001 e il 2005 molti appartamenti e palazzi di Propaganda Fide vennero ristrutturati proprio da Diego Anemone. Nei giorni scorsi i carabinieri del Ros di Firenze hanno acquisito dal ministero delle Infrastrutture altri appalti e stanziamenti decisi da Lunardi, per verificare se tra quelle carte non vi sia qualche altra utilità fatta giungere tramite Balducci e il ministero a Propaganda Fide. Inoltre sarebbero in corso accertamenti sull’assunzione di un nipote del cardinal Sepe presso l’Anas, azienda pubblica dipendente dalle Infrastrutture. Candidamente, Lunardi ha raccontato che a gestire gli immobili della congregazione era Balducci insieme a Pasquale De Lise, ex presidente del Tar laziale, recentemente nominato presidente del Consiglio di Stato, e al genero di quest’ultimo, l’avvocato Patrizio Leozappa. Gli investigatori avevano già segnalato in una informativa gli «stretti contatti» tra Balducci e De Lise, senza ulteriori precisazioni. In una conversazione del 4 settembre 2009 l’alto magistrato chiama Balducci e gli accenna al fatto che, su input di Leozappa, si è anche «occupato» - le virgolette sono dei carabinieri del Ros - di un provvedimento di rigetto del Tar del Lazio che avrebbe favorito il Salaria Sport village, la struttura riconducibile a Diego Anemone dove Guido Bertolaso avrebbe usufruito di alcune prestazioni sessuali. È un provvedimento per il quale Leozappa incassa i complimenti telefonici di Anemone, per poi replicare: «Io il mio lo faccio». Neppure il nome di Leozappa è inedito. Appare nell’inchiesta fiorentina sulla presunta cricca, perché lavora spesso con l’avvocato d’affari Guido Cerruti, scelto da Balducci per aiutare l’imprenditore Riccardo Fusi in un suo contenzioso con lo Stato e arrestato lo scorso marzo.

Il magistrato
L’ultimo nome noto ricorrente in questa nuova fase dell’inchiesta perugina è quello di Mario Sancetta. Il regolamento di Arcus del quale la Corte dei conti lamenta la mancanza era stato affidato in origine proprio a lui, magistrato di quell’organismo, attuale presidente di sezione, indagato a Perugia per corruzione. Gli investigatori si stanno rileggendo alcune intercettazioni riportate in una informativa del Ros dello scorso settembre. Il 25 giugno 2009, Sancetta è al telefono con Rocco Lamino, socio del Consorzio Stabile Novus, di cui faceva parte anche Francesco Piscicelli, l’imprenditore che rideva la notte del terremoto dell’Aquila. Sancetta si lamenta dell’atteggiamento inconcludente che hanno nei suoi confronti Lunardi e «il cardinale», identificato poi come monsignor Sepe, perché «non sufficientemente solleciti al soddisfacimento di richieste di commesse» che il magistrato gli avrebbe fatto pervenire. «Non è che sia molto conclusivo, sto’ cardinale - dice -. Io spero allora di incontrarlo, così gli do sto’ depliant… perché l’altra volta gli diedi tutto quel fascicolo che non serve a niente, insomma… come pure ora devo vedere la prossima settimana a coso… Lunardi… anche lui, perché lui mi ha obbligato… ma la gente si piglia le cose degli altri e non gli fa niente… quella è una cosa indegna». Il canovaccio si ripete in altre telefonate, nelle quali Sancetta accenna alla possibilità di sfruttare il suo rapporto con Lunardi per far avere a Lamino qualche commessa da parte di Impregilo («Ma non so se dargli fiducia…») oppure nell’ambito dei lavori post terremoto, magari facendo leva sul fatto che l’ex ministro ha ancora un procedimento pendente presso la Corte dei conti. «Con Lunardi - dice - c’abbiamo una questione ancora in sospeso».

Marco Imarisio
Fiorenza Sarzanini

21 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_21/sepe-restauro-fantasma-imarisio-sarzanini_346d1810-7cf6-11df-b32f-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Una libertà che è di tutti
Inserito da: Admin - Luglio 08, 2010, 10:58:46 am
IL DIRITTO A ESSERE INFORMATI

Una libertà che è di tutti

Una giornata di silenzio che in realtà serve a parlare. Una giornata senza radio, televisioni, giornali e siti Internet per far sì che siano i cittadini a rivendicare il proprio diritto a essere informati.


Una giornata di silenzio che in realtà serve a parlare. Una giornata senza radio, televisioni, giornali e siti Internet per far sì che siano i cittadini a rivendicare il proprio diritto a essere informati. Perché la protesta indetta dalla Federazione nazionale della stampa non è la difesa corporativa dei giornalisti, ma il grido di allarme di chi si preoccupa per gli effetti che avrà la nuova legge sulle intercettazioni: limiti forti alla possibilità di diffondere notizie; di fare informazione.

Decine di parlamentari, non soltanto dell’opposizione, si sono espressi sui rischi delle nuove norme. Ma è stato soprattutto il presidente della Repubblica, fatto non usuale, ad evidenziare più volte le «criticità» del provvedimento che riscrive le regole per imagistrati ancor prima di quelle per la stampa. Sullo sfondo rimane lo scontro politico che di fatto sta trasformando questa legge in un trofeo per uno degli schieramenti - ormai trasversali - che riuscirà a farla approvare oppure a farla finire su un binario morto.

Si parla di intercettazioni, ma quello che riguarda le conversazioni telefoniche e ambientali è soltanto uno dei tanti divieti di pubblicazione. Nessun colloquio registrato potrà mai più essere reso noto fino alla celebrazione del processo, così come gli atti di indagine anche non più segreti, perché ormai conosciuti dalle parti. «Bisogna salvaguardare la privacy dei cittadini », ripetono i sostenitori della legge. Principio sacrosanto, è vero, ma che va salvaguardato senza intaccare il diritto-dovere dell’informazione.

La scelta di imporre ai giornalisti di poter soltanto riassumere le carte processuali in realtà aumenta il pericolo che il contenuto di ogni documento possa essere riportato in termini lacunosi o strumentali. E priva persino gli indagati o gli arrestati della possibilità di utilizzare, per far valere le proprie ragioni, quanto affermato dal giudice o dalla pubblica accusa. Almeno fino al dibattimento. In quella sede la privacy evidentemente non si deve più tutelare, visto che anche le intercettazioni potranno comunque diventare pubbliche.

La corsa all’approvazione della legge, con la possibilità che si proroghino addirittura le sedute della Camera fino a metà agosto come se ci si trovasse di fronte ad un’emergenza, non sembra giustificata. A questo punto dovrebbe essere la stessa maggioranza, di fronte a una mobilitazione forte e a un dibattito politico tanto acceso, a comprendere che il momento di fermarsi è ormai arrivato. Nessuno deve avere paura delle regole, tantomeno i giornalisti. Ma questo non può trasformarsi in una limitazione o addirittura in una censura preventiva. Esistono già leggi che puniscono gli abusi, anche per quanto attiene agli aspetti deontologici. Nulla vieta che si possano cambiare in alcune parti per renderle ancora più efficaci. Tenendo però sempre presente che conoscere quanto sta accadendo è un diritto primario dei cittadini. Il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca possono convivere, come avviene in tante altre democrazie. Perché da noi no?

Fiorenza Sarzanini



Domani venerdì 9 luglio i giornali non usciranno per lo sciopero indetto dalla Federazione nazionale della stampa contro il disegno di legge sulle intercettazioni. Il Corriere tornerà in edicola sabato. Il sito Corriere.it oggi giovedì sarà regolarmente aggiornato, domani venerdì aderirà alla giornata del silenzio, pubblicando uno speciale sul provvedimento all'esame del Parlamento.

08 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_luglio_08/sarzanini-liberta-di-tutti_68fa2414-8a4e-11df-966e-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Anche il Sismi nell’operazione Finmeccanica
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2010, 10:35:34 pm
I verbali

Anche il Sismi nell’operazione Finmeccanica

Un teste: al primo incontro il capocentro di Milano


Anche il Sismi era informato della acquisizione da parte di Finmeccanica della società «Digint», poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. A rivelarlo è stato uno dei soci di «Ernst & Young», ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire «fondi neri» all’estero. ROMA — Il Sismi, il servizio segreto militare, era informato dell’acquisizione da parte di Finmeccanica della società «Digint», poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. Un alto funzionario dell’intelligence avrebbe addirittura partecipato a una delle riunioni preparatorie e poi sarebbe diventato responsabile del settore sicurezza di Alenia in America. A rivelarlo è stato uno dei soci di «Ernst & Young», che gestì l’operazione finanziaria, adesso ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire «fondi neri» all’estero. Dopo l’arresto di Lorenzo Cola, il consulente di Finmeccanica accusato di riciclaggio proprio perché avrebbe trasferito sui propri conti correnti i proventi pari a 8 milioni e 300 mila euro, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e i pubblici ministeri delegati alle indagini hanno interrogato numerosi manager dell’azienda specializzata nei sistemi di difesa—compreso il presidente Pierfrancersco Guarguaglini — e anche quelli che ebbero un ruolo esterno. I loro verbali mostrano le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti, ma soprattutto rivelano l’esistenza di altre operazioni riconducibili a Cola per il trasferimento di denaro su depositi stranieri.

L’incontro a Milano con il capo degli 007
Il 9 luglio scorso viene convocato al palazzo di giustizia della capitale Giuseppe Mongiello, responsabile del settore fiscale dello «Studio Legale Tributario » partnership di «Ernst & Young». Cola è stato bloccato da poche ore mentre si accingeva a partire per gli Stati Uniti. Il testimone non si sottrae alle domande dei magistrati. «I miei rapporti con Finmeccanica per quanto riguarda la Holding sono con il presidente Guarguaglini, con il responsabile delle comunicazioni Borgogni e con il responsabile del settore fiscale Correale. Ho conosciuto Lorenzo Cola in quanto mi è stato presentato circa a metà del 2006, circa sei o sette mesi prima che avesse inizio l’operazione «Digint», da Guarguaglini o da persona di Finmeccanica vicina a Guarguaglini, come consulente esterno di Finmeccanica. Posso dire però con tranquillità che successivamente ho incontrato Cola in Finmeccanica e ho avuto la conferma dei rapporti molto stretti tra i due: posso qualificare Cola, se non come il braccio destro di Guarguaglini, sicuramente come suo uomo di fiducia. Dopo qualche mese Cola mi disse che Finmeccanica era intenzionata a rilevare una tecnologia di avanguardia di cui era in possesso la società Ikon, ma con modalità riservate. Ricordo anche che la prima volta Cola mi parlò di questa cosa a casa sua a Milano alla presenza di un militare, tale Maurizio Pozzi, che si presentò come capocentro Sismi di Milano e che ora so essere capo sicurezza Alenia in nord America (società che fa parte del Gruppo Finmeccanica, ndr). Pur non avendo modo di dubitare che Cola parlasse a nome di Finmeccanica per i suoi rapporti con la dirigenza, ne parlai con Luca Manuelli che era l’amministratore di «Finmeccanica Group Services» e anche perché era uso dello studio avere documentazione che attestasse gli incarichi ricevuti e ci fu uno scambio di note scritte. I miei interlocutori per questa operazione erano Cola, Manuelli e Borgogni, però ho assistito a telefonate fatte da Manuelli a Guarguaglini per ragguagliarlo direttamente su questa operazione». Dopo poco Mongiello aggiunge: «Avevo saputo da Cola che la tecnologia Ikon, che doveva essere trasferita a Finmeccanica tramite "Digint", gli era stata segnalata proprio da Pozzi, il capocentro Sismi. Per questo ragione io ho sempre ritenuto che Cola fosse vicino o comunque collegato ai Servizi. Questa circostanza, unita al fatto che essere molto vicino ai vertici di Finmeccanica mi induceva a non fare molte domande sulle indicazioni che mi forniva di volta in volta per effettuare le operazioni che mi venivano richieste. Voglio precisare, a conferma dei rapporti di cui godeva Cola all’interno di Finmeccanica, che lo stesso dava del "tu" a tutti i massimi vertici del Gruppo, cioè a Guarguaglini, Manuelli, Zappa, Borgogni, Giordo, alla moglie di Guarguaglini che è amministratore della "Selex Sistemi Integrati", e ad altri».

Riunioni e affari con gli uomini di Mokbel
È ancora Mongiello a confermare come l’operazione sia stata gestita sin dall’inizio con i personaggi—in particolare il senatore Nicola Di Girolamo e la «mente finanziaria » Marco Toseroni — poi arrestati con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione criminale che farebbe capo a Mokbel. Circostanza che Guarguaglini e gli altri vertici della holding hanno sempre negato. L’indagine condotta dai carabinieri del Ros ha consentito di verificare che attraverso la lussemburghese «Financial Lincoln » è stata costituita la società «Digint» che ha acquisito appunto il ramo d’azienda dalla Ikon che riguardava il tracciamento dei dati. Così il fiscalista ne ricostruisce i passaggi salienti: «Al momento della proposizione dell’operazione, Cola mi disse che le quote della società che venne individuata in una società lussemburghese — ottimo strumento per garantire la riservatezza della titolarità delle quote — dovevano essere divise in modo che il 51 per cento venisse riservato a lui o società che avrebbe indicato per conto di Finmeccanica e il restante 49 per cento diviso in parti uguali tra Albini e Mugnato (soci della Ikon ndr). Il 51 per cento riservato a cola fu in via provvisoria intestato a mia moglie in attesa di indicazione di Cola e preciso che lo sollecitai più volte a fornirmi indicazioni sull’intestazione definitiva. Posso dire che tutta l’operazione finalizzata al rilievo della "Financial Lincoln" e alla costituzione di "Digint" con tecnologia "Ikon" è stata effettuata su richiesta e per conto di Finmeccanica. Tutte le cariche interne a "Digint", amministratori e collegio sindacale, sono avvenute sempre su indicazione di Finmeccanica, in particolare di Manuelli su indicazione del vertice, ritengo Guarguaglini e Borgogni che si occupa delle cariche del Gruppo. Effettivamente ricordo che Cola ci presentò all’interno dello studio di via Romagnosi l’avvocato Di Girolamo e Toseroni come soggetti interessati, io ritenevo per suo conto, all’intestazione del 51 per cento delle quote che all’epoca erano, provvisoriamente, ancora in capo a mia moglie. Non ricordo se ci sono stati altri incontri con Di Girolamo e Toseroni. Sicuramente è venuto spesso Marco Iannilli (anche lui arrestato per concorso in riciclaggio con l’organizzazione di Mokbel, ndr) che seguiva l’operazione per Cola».

Il Fondo «schermo» voluto dal presidente
Secondo il testimone i vertici erano informati passo dopo passo dell’operazione. E per dimostrarlo cita un’altra circostanza: «Cola ci disse che Guarguaglini non gradiva che risultasse che Finmeccanica partecipasse in minoranza a una società controllata da una piccola società con minimo capitale sociale e peraltro di diritto lussemburghese, per cui Cola stesso ci disse che occorreva "schermare" questa titolarità riferendo la titolarità delle quote della "Financial Lincoln" al Fondo Allianz. Di questo si occupò Corrado Prandi, ex dipendente di "Ernst & Young" che io stesso ho presentato a Cola. Economicamente ho sempre ritenuto che si trattasse di un’operazione "neutra" nel senso che avveniva tutta all’interno di Finmeccanica, senza quindi pagamenti per le intestazioni di quote. Sono rimasto pertanto sbalordito quando ho letto su internet che Cola avrebbe ricevuto in pagamento per questa società "Digint" la somma di 8 milioni e 300 mila euro ». Proprio per conoscere il grado di conoscenza dell’operazione da parte dei vertici di Finmeccanica il 12 luglio scorso viene convocato come testimone il presidente Guarguaglini. Nel suo verbale ci sono diverse parti «omissate», ma nella sostanza ribadisce la regolarità dell’operazione «che mi fu proposta nella primavera del 2007 dallo studio "Ernst & Young" e per esso da Cola e Mongiello che mi parlarono di un software molto avanzato adatto alla difesa dei sistemi informatici di Finmeccanica che avrebbe potuto avere successo sia all’interno del Gruppo che in un momento successivo, attraverso la sua commercializzazione ». Guarguaglini sembra voler prendere le distanze da Cola e infatti afferma: «L’ho conosciuto tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, ma l’ho frequentato poco». In realtà a smentire questa circostanza, oltre a Mongiello, è il direttore generale di Finmeccanica Giorgio Zappa, che viene interrogato il giorno successivo e subito nega di essersi occupato dell’affare "Digint". «Ho conosciuto Cola dopo circa un anno e mezzo dal mio arrivo nel 2004 a Finmeccanica dalla Alenia di cui ero amministratore delegato. Cola, che frequentava il 7˚ piano di piazza Montegrappa, si era presentato nel mio ufficio ma io già sapevo che era ben conosciuto dal presidente Guarguaglini con cui peraltro successivamente l’ho visto più volte. Cola mi disse di provenire da Ms, ora diventata "Selex Sistemi Integrati", settore radar, e quindi già in precedenza dal mondo Finmeccanica. Ricordo che quando lo conobbi lui mi disse che conosceva Guarguaglini e la mogli Grossi da circa sette, otto anni. Con Cola ho avuto frequentazioni che si sono concretizzate in sette, otto incontri formali e quattro, cinque pranzi o cene ad alcune delle quali ha partecipato anche l’attuale presidente della Fondazione Ansaldo di genova, Luigi Giraldi. Cola vantava frequentazioni e conoscenze di rilievo in America, anche al Congresso, tanto che io ricordo di averlo segnalato al presidente di Alenia Nordamerica qualche mese prima del giugno 2007, epoca di aggiudicazione della gara in America per l’aereo C27J per la quale potevano essergli utili le conoscenze in America di Cola». Il 9 luglio, poco dopo l’arresto di Cola, viene interrogato Corrado Prandi, l’uomo che ne avrebbe gestito almeno in parte le disponibilità finanziarie. Anche nel suo verbale ci sono svariati «omissisi».

Operazioni all’estero ordinate da Cola
«La prima volta che ho fatto ingresso in Finmeccanica - racconta - è stato nel 2006, 2007 emi ha portato Mongiello. Non avevomai saputo che Cola fosse interessato a "Digint" e quando è venuta fuori la notizia sulla stampa, Cola mi disse che era stata creata da lui per fare una cortesia ai suoi due amici Mugnato e Albini. Nel 2008 ho conosciuto Iannilli e ho saputo che era il commercialista di Cola. Io avevo due conti utilizzati per Cola: il primo si chiamava Pinefold, aperto e chiuso perché confluito in Yorkel nel 2008, e Yorkel stesso. Cola mi ha chiesto il numero di conto Yorkel per far fare dei trasferimenti a Iannilli in suo favore. Iannilli ha trasferito sul conto di Cola complessivamente due o tre milioni di euro circa: ciò è avvenuto sul conto Yorkel nel 2008». Prandi inizialmente esclude «di aver ricevuto per conto di Cola trasferimenti di denaro dalla Smi di San Marino da parte di Iannilli nel 2007 e lo escludo quasi certamente anche per il 2008. Ho invece ricevuto nel 2009 somme di denaro, complessivamente inferiori a un milione di euro da Marco Iannilli dal conto Smi per conto di Cola». Ma di fronte alle contestazioni dei magistrati ammette di «aver conosciuto Iannilli nel 2007» e a questo punto rivela anche «l’esistenza di un conto in Svizzera che Cola aveva presso il Credito Agricole di Lugano». Quattro giorni dopo torna in Procura e «sciogliendo la riserva rispetto ad alcune dichiarazioni precedenti» aggiunge dettagli ritenuti molto importanti dagli inquirenti per la ricostruzione di altre operazioni finanziarie all’estero. Racconta Prandi: «Presso la Duddley, Cola riceve la somma di 780 mila dollari nel periodo agosto-ottobre 2007. Dallo stesso conto di Lugano, nei mesi successivi, vengono trasferite somme per l’importo complessivo di quattro milioni di dollari presso il conto Pamgard di Londra, da dove poi confluiscono presso lo studio legale Pavia di New York. Il motivo di trasferimento di questa somma è il seguente: in quel momento Cola aveva pensato di acquistare un immobile in un condominio cooperativa di New York che però non andò a buon fine per cui le somme pervenute allo studio Pavia per metà sono ritornate in Svizzera presso il conto Riolite e in parte sono confluite in un Trust poi utilizzato per l’acquisto di un appartamento a New York nella (5˚. Sul conto Riolite sono pervenute al Cola altre somme. In particolare è pervenuta a Cola dal 19 luglio al 14 agosto 2007 la somma di quattro milioni e 400 mila euro e poi nel settembre 2007 la somma di 200 mila euro. La provenienza delle somme sono da "Gartime" e "Emerald" società riferibili a Iannilli».

Fiorenza Sarzanini

17 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_17/Anche-il-Sismi-nell-operazione-Finmeccanica_456171e6-916b-11df-8c13-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Appoggi politici alla società segreta»
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2010, 09:36:14 am
Confermato l’impianto accusatorio del pm Capaldo: pericolo di reiterazione del reato

«Appoggi politici alla società segreta»

Il Riesame e l’allarme sulla rete occulta: quei rapporti tra Verdini e Carboni


ROMA — L'associazione creata da Flavio Carboni con Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino è «un'organizzazione occulta che basa la sua forza su una fittissima rete di conoscenze e amicizie con soggetti ricoprenti cariche istituzionali di alto e altissimo rilievo, pronti a intervenire in aiuto del sodalizio in cambio di favori». Il tribunale del Riesame di Roma convalida così l’impianto accusatorio delineato dalle indagini condotte dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e avverte: «Emerge dagli atti un concreto e molto allarmante pericolo di reiterazione del reato; appare assolutamente necessario impedire che la prosecuzione dell’attività delittuosa condizioni ulteriormente gli equilibri istituzionali e l’affidabilità sociale di istituzioni pubbliche, anche di livello costituzionale, fra cui importanti uffici giudiziari ».

Soldi da «canali oscuri»
Per questo la scorsa settimana il collegio ha confermato la custodia cautelare in carcere degli indagati e ha inserito nella motivazione del provvedimento considerazioni pesanti anche sulla condotta dei parlamentari coinvolti nell’inchiesta. Nel documento è scritto: «L’associazione segreta risulta essere nota solo a pochissimi soggetti che le garantivano appoggio politico come l’onorevole Denis Verdini, ovvero che ad essa si rivolgevano per chiederne l’intervento o per aiutarla a portare a termine le azioni programmate in nome di interessi comuni come nel caso dell’onorevole Marcello Dell’Utri ». E ancora: «Per la realizzazione dei propri fini, l’associazione criminale risulta disporre di mezzi finanziari che Carboni reperisce da canali oscuri e che in parte destina ad operazioni atte a favorire Verdini». Il riferimento è al Credito Cooperativo Toscano e ai versamenti effettuati presso l’istituto di credito del quale il coordinatore del Pdl è stato presidente fino a ieri, con un’attenzione particolare all’investimento da quattro milioni di euro degli imprenditori di Forlì che secondo l’accusa doveva servire all’ingresso dell’affare riguardante gli impianti eolici in Sardegna e ai due milioni e 600 mila euro "negoziati" sempre da lui nel 2004. Ma non solo. I giudici analizzano una dopo l’altra le «interferenze» della presunta società segreta ed evidenziano come «il gruppo ha operato in un complesso intreccio di interessi condivisi, minacce, benefici procurati o promessi, il quale generava un potere di fatto che consentiva ai membri del gruppo di proporsi — perfino a personalità di alto livello—quali efficaci elementi di pressione e di intervento presso i più diversi organi dello Stato». Non a caso i giudici escludono che gli indagati «abbiano svolto attività di lobby», essendo invece «un gruppo di potere occulto e autonomo rispetto a quanti costituiscono l’ambiente nel quale esso si muove e con il quale pure instaura dinamiche complesse».

I sei giudici costituzionali
Un intero capitolo è dedicato alle pressioni sulla Consulta per la decisione sul Lodo Alfano. «Non si comprende— si sottolinea nell’ordinanza— come Lombardi potesse pensare di acquisire meriti agli occhi del capo del suo partito, che è anche presidente del Consiglio, svolgendo un’azione manifestamente illecita come il richiedere a giudici della Corte Costituzionale di esprimere a lui anticipatamente la decisione che avrebbero adottato il 6 ottobre 2009. Resta il fatto che tale ingerenza ci fu e venne esercitata su almeno sei giudici costituzionali che anticiparono a un soggetto come Lombardi la loro decisione, che tale operazione fu seguita con lamassima attenzione da Carboni e che l’intera operazione venne programmata nel corso della riunione del 23 settembre 2009 svoltasi presso l’abitazione romana di Verdini ». Gli indagati e alcuni partecipanti hanno sostenuto che quell’incontro serviva in realtà a proporre la candidatura a governatore della Campania al magistrato Arcibaldo Miller, attuale capo degli ispettori del ministero della Giustizia, presente insieme al collega Antonio Martone. Ma i giudici scrivono: «Si tratta di affermazioni palesemente false in quanto l’unico candidato sostenuto dall’associazione criminale era l’onorevole Nicola Cosentino e proprio della sua candidatura si discusse in quella riunione ».

Pressioni e depistaggi
Secondo i giudici del Riesame «lascia esterrefatti che un personaggio come Lombardi si sia potuto rivolgere con le sue volgari modalità al presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli e addirittura il primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone si premura di comunicare personalmente a Lombardi la data dell’udienza (relativa al ricordo di Cosentino; ndr) e riceve olio e promesse per il suo futuro. Con le stesse modalità Lombardi si rivolge a sottosegretari in carica nel presente governo come Giacomo Caliendo e Nicola Cosentino per ottenere aiuti nella realizzazione dei progetti del sodalizio ». In questo quadro i giudici inseriscono anche il dossieraggio contro il presidente della Campania Stefano Caldoro. «Ernesto Sica (l’assessore; ndr) — affermano — risulta essere la persona che ha fatto predisporre i dossier, mentre Cosentino segue la vicenda giorno per giorno, venendo informato da martino di ogni passo compiuto e concordando con questi cosa riferire a Verdini». I giudici evidenziano anche la volontà di depistaggio sottolineando come «gli associati disponevano di numerosissime utenze cellulari, spesso intestate a soggetti stranieri, al fine di poter comunicare riservatamente evitando il pericolo di essere intercettati». Una cautela che comunque non è bastata visto che sono state proprio le intercettazioni telefoniche e le successive verifiche a consentire di ricostruire «la metodica attività di interferenza del sodalizio e il suo fine di personale arricchimento e rafforzamento del proprio potere».

Fiorenza Sarzanini

27 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_27/sarzanini-verdini-carboni_83f9b672-9943-11df-882f-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli incontri su Lodo Alfano. Fu Marcello a organizzare tutto
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2010, 10:58:13 am
«Fogli anonimi contro Caldoro Ma ci giurò che erano falsità»

«Gli incontri su Lodo Alfano e soldi. Fu Marcello a organizzare tutto»

Il coordinatore del Pdl Verdini ai pm: «Non ho mai fatto pressioni su nessuno»


ROMA - «Non conoscevo né Lombardi, né Martino. Fu Marcello Dell’Utri a portarli a pranzo a casa mia. Con lui siamo amici da una vita, è una persona carismatica. Se lui viene con qualcuno che cosa dovrei fare? Non posso certo chiedere i documenti alle persone che lo accompagnano». Così, di fronte al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli, l’onorevole Denis Verdini— indagato per partecipazione all’associazione segreta e corruzione — ricostruisce i suoi incontri con le persone che avrebbero creato un’associazione segreta per pilotare nomine e affari e cerca di scrollare da sé ogni responsabilità. È il 26 luglio, due giorni fa. La verbalizzazione— come evidenzia il suo avvocato Franco Coppi — viene effettuata a mano «e soltanto per questo motivo l’interrogatorio dura circa 9 ore».

Via libera a Farris
Il coordinatore del Pdl risponde a tutte le domande e assicura di essere estraneo a illeciti e organizzazioni occulte. Lo fa con i suoi modi esuberanti, lasciandosi andare anche a espressioni colorite e a qualche battuta. E la sua linea di difesa non sembra convincere affatto imagistrati, soprattutto quando affronta il capitolo che riguarda i soldi che sarebbero arrivati da Flavio Carboni. Non a caso il professor Coppi anticipa «la consegna di una memoria che potrà chiarire quei passaggi apparentemente incongrui». È soprattutto su un punto che Verdini si mostra categorico: «Nonostante le manovre messe in atto contro Stefano Caldoro, io e Berlusconi abbiamo deciso di credere alla sua buona fede e lo abbiamo confermato candidato a governatore della Campania». Il verbale è lungo circa dieci pagine, i punti salienti sono sostanzialmente quattro: soldi, pressioni sui giudici, dossier Caldoro e affare eolico. Su questo ultimo punto Verdini dichiara di «non essere mai stato interessato perché non ci capivo niente». Ma sulla nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpas ammette: «Carboni mi disse che aveva fatto una promessa e io gli dissi che andava bene. Per me non c’era nulla di illecito nel favorirlo».

I versamenti sospetti sul Credito
I pubblici ministeri gli contestano di aver preso 2 milioni e 600 mila euro dai conti insieme al coordinatore del Pdl in Toscana Massimo Parisi dalla «Ste, Società Toscana Edizioni» senza una causale credibile. Denaro che sarebbe stato versato dalla convivente di Flavio Carboni e ciò alimenta il sospetto che possa trattarsi del pagamento mascherato di una tangente. Verdini ribatte: «Nel 2004 il Giornale della Toscana aveva problemi e si fecero avanti un paio di imprenditori per rilevare alcune quote. Entrambi non erano però nelle condizioni di poter risolvere la questione. All’epoca riuscimmo comunque a salvare la situazione. Ultimamente ci sono stati altri problemi e nel maggio del 2009 uno di loro mi presentò Flavio Carboni. Mi disse che avendo quasi 80 anni voleva creare una voce per la Sardegna, voleva usare il mio giornale e creare un inserto. Parlava anche di aprire una radio e una televisione. Di lui sapevo che era stato coinvolto nella vicenda di Calvi, ma che era stato assolto. In ogni caso in quel momento era utile perché portava soldi, quindi cominciai a riflettere sulla possibilità di una sua proposta. Mentre stavo decidendo, Dell’Utri organizzò un pranzo all’Hotel Eden e quando arrivai trovai anche Carboni. Marcello mi disse che dovevo accettare e alla fine cedetti il 30 per cento delle quote. Fu versata la prima rata da 800 mila euro ma poi cominciò l’indagine della procura di Firenze e io decisi di bloccare tutto». I magistrati gli chiedono che cosa ci ha guadagnato Carboni da questa operazione, ma Verdini esita, dice che l’affare è rimasto in sospeso perché ci sono state difficoltà. Per quanto riguarda l’operazione con Parisi sostiene invece che «si tratta di una "partita di giro" che chiarirò con una memoria».

La riunione a casa sul Lodo Alfano
Dichiara Verdini: «Nel settembre scorso c’era un attacco mediatico contro Nicola Cosentino ma Silvio Berlusconi era convinto a fare fronte. Quando però arrivò la richiesta d’arresto si cominciò a pensare a un’alternativa e mi fecero il nome di Arcibaldo Miller. Fu dell’Utri a organizzare un pranzo che doveva svolgersi a casa mia. Gli chiesi quanti saremmo stati e mi rispose quattro, cinque persone. In realtà alla fine quel 23 settembre eravamo almeno sette, otto. Dell’Utri portò Carboni e si presentò con Lombardi e Martino che io non avevo mai visto prima. C’erano anche Miller, Giacomo Caliendo e il giudice Antonio Martone. Miller diceva di essere lusingato, ma non mi sembrava convinto e infatti quando lo presi da parte per capire che cosa pensava mi resi conto che era perplesso e questo lo rendeva un candidato non affidabile. In quell’occasione si parlò effettivamente del Lodo Alfano, ma come avveniva in tutta Italia, visto che mancavano dieci giorni alla decisione. Facevamo pronostici, cercavamo di capire come avrebbe votato ogni giudice e ricordo che Martone disse che non conta come sono stati eletti i giudici della Consulta perché alla fine votano in maniera autonoma. Io non ho mai effettuato pressioni su nessuno. Martino e Lombardi li avrò visti altre due o tre volte, ma certo non avevo bisogno che loro mi dicessero che cosa fare. Sono persone che valgono poco».

Il dossier Caldoro e l’incontro a Roma
Un lungo capitolo del verbale è dedicato alle pressioni per eliminare Caldoro dalla partita delle elezioni in Campania facendo credere che avesse frequentazioni con transessuali. Verdini ricostruisce così quanto accade in quei giorni: «Quando sfuma la candidatura di Cosentino per la richiesta di arresto arrivata in parlamento e si capisce che anche Miller non può andare bene, Berlusconi decide di puntare su Caldoro. Mi arriva in forma anonima un foglio che lo riguarda dove sono annotati alcuni alberghi, un elenco di nomi maschili e le date in cui li avrebbe incontrati. Chiedo informazioni a Cosentino e lui mi dice che si tratta di roba vecchia. Dopo un po’ però torna alla carica Ernesto Sica e mi consegna un foglio simile al precedente, con qualche dettaglio in più. A questo punto informo Berlusconi e siamo d’accordo di parlarne direttamente con Caldoro per capire che cosa stia accadendo. Lo chiamo e poi lo incontro a Roma in Parlamento. Lui giura su sua moglie e sui suoi figli che sono tutte falsità, mi assicura che non ci può essere niente di simile contro di lui. Io lo riferisco a Berlusconi e decidiamo di credergli e dargli fiducia confermando la sua candidatura». In realtà fuori verbale Verdini aggiunge anche un dettaglio per dare forza a quanto ha appena raccontato: «Caldoro mi disse che semmai il suo problema potevano essere le donne e io gli risposi "Non lo dire a Berlusconi, altrimenti ti fa ministro"».

Fiorenza Sarzanini

28 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_28/sarzanini_88f32a74-9a05-11df-8339-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Vanno espulsi dall'Italia i comunitari non in regola»
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2010, 12:28:40 pm
Immigrazione - Il Viminale teme che i rom mandati via da Parigi arrivino in Italia

«Vanno espulsi dall'Italia i comunitari non in regola»

Maroni rilancia la linea francese: l'Europa agisca unita


PARIGI - Evita accuratamente di pronunciare la parola rom e lo stesso fa il suo collega francese Eric Besson. Ma il ministro dell'Interno Roberto Maroni, volato in Francia per un seminario sul tema dell'immigrazione, sa bene che è proprio questo il tema in discussione. E non si sottrae, anzi rilancia la linea già attuata da Parigi: «Bisogna espellere i cittadini comunitari che non rispettano la direttiva europea sul soggiorno nei Paesi membri».

Posizione forte che certamente non mancherà di provocare nuove polemiche proprio perché è ai nomadi che i titolari dell'Interno - all'incontro partecipano anche i colleghi di Germania, Grecia, Gran Bretagna, Belgio e Canada, tutti in cima alla lista delle richieste d'asilo - pensano quando annunciano di voler formalizzare la richiesta nella riunione a Bruxelles la prossima settimana. E perché questa mattina il titolare del Viminale affronterà la questione con il sindaco di Roma Gianni Alemanno che ha già reso note le sue proposte: «Obbligare i Paesi di origine a fornire i precedenti penali creando una sorta di casellario europeo e introdurre il divieto di reingresso per i cittadini che hanno già subito un'espulsione».

Il documento cui si riferisce Maroni è la disposizione europea numero 38 del 2004 «che stabilisce la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione e regola in 3 mesi la permanenza di un cittadino comunitario all'interno di un altro stato membro». Ed ecco il problema posto dal ministro: «Chi non rispetta queste regole di fatto rimane impunito perché gli Stati non hanno gli strumenti per disporre l'allontanamento. Per questo ho già chiesto alla commissaria europea di prevedere sanzioni che servano a far rispettare le regole». In realtà la sanzione è solo una e Maroni la esplicita subito dopo: «Espulsione e rimpatrio». Vale a dire applicare il procedimento che già è previsto per gli extracomunitari.

Non a caso il titolare dell'Interno cita l'esempio della Libia «perché grazie all'accordo che abbiamo fatto con quel Paese siamo riusciti di fatto ad azzerare gli sbarchi» e quando un giornalista straniero gli chiede se intenda minacciare la Romania perché sono i suoi cittadini a non rispettare la direttiva risponde: «Noi non minacciamo nessuno, noi firmiamo trattati. Per questo ci appelliamo all'Unione europea affinché si arrivi ad una legislazione comune fra tutti gli Stati membri».

Maroni ha difeso energicamente le iniziative di Francia e Italia sostenendo di aver «incoraggiato l'esodo volontario di alcuni cittadini comunitari verso i loro Paesi dando loro una somma di denaro per consentire il rientro».

Non sfugge la scelta di procedere su una linea unitaria, anche per prevenire quelle che appaiono conseguenze inevitabili quando la linea dura viene messa in atto soltanto da alcuni Stati: migrazione verso il Paese confinante o comunque quello che ha una legislazione favorevole. Il timore neanche troppo velato è che i rom mandati via da Parigi possano decidere di trasferirsi in Italia. Besson assicura che «non c'è stata alcuna espulsione collettiva, ma è stato sempre rispettato il diritto francese e quello comunitario», però conferma la linea della fermezza. Tanto basta a far dilagare le proteste e le prese di posizione di chi ricorda che in passato l'allora commissario dell a Ue Jacques Barrot abbia già respinto analoghe richieste di sanzioni. L'asse italo-francese - con l'appoggio sicuro di Germania e Grecia - non sembra disposto ad arretrare.

Fiorenza Sarzanini

07 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_settembre_07/vanno-espulsi-dall-italia-sarzanini_5016aec0-ba4d-11df-a688-00144f02aabe.shtml
 


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Consulenze e sprechi, i conti di Balducci
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2010, 05:10:43 pm
LE INCHIESTE GRANDI EVENTI

Consulenze e sprechi, i conti di Balducci

Giancarlo Bravi, il nuovo coordinatore dei Grandi Eventi, revoca tutti gli incarichi


ROMA - All'avvocato Sergio Lupinacci, legale del provveditore Angelo Balducci, era stata assegnata una consulenza da 100 mila euro l'anno. Cifra molto più consistente era stata concessa a un altro legale, quell'Edgardo Azzopardi che avrebbe fatto da tramite tra i componenti della «cricca» e l'ex procuratore aggiunto Achille Toro, ora accusato di aver «soffiato» notizie sull'indagine in corso: 200 mila euro per due contratti. Anche il figlio del magistrato era stato inserito nella lista e ricompensato con 50 mila euro ogni dodici mesi. Eccoli i professionisti beneficiati dai funzionari che gestivano i «Grandi Eventi». Ecco l'elenco di chi - spesso senza aver ricevuto alcun incarico specifico - è riuscito ad assicurarsi un lauto stipendio. Variano le cifre, ma nessuno scende sotto ai 1.000 euro al mese. E non è finita. Perché nell'elenco degli sprechi ci sono anche numerose «voci» per la realizzazione delle opere per le celebrazioni dei 150 anni dall'Unità d'Italia e i 9 milioni di euro di spese fuori bilancio per i Mondiali di Nuoto. A fare i conti - scoprendo un esborso di almeno un milione di euro l'anno tra retribuzioni personali e oneri per lo Stato - è stato Giancarlo Bravi, il nuovo responsabile della struttura che ha revocato tutti i contratti ai professionisti e adesso sta riesaminando i progetti già approvati. Lavoro arduo, che comincia però a dare risultati concreti anche in vista dei chiarimenti che potranno essere richiesti dalla Corte dei Conti. Da tempo i magistrati contabili hanno avviato accertamenti sugli affari conclusi grazie alla procedura d'urgenza e in particolare sulle procedure seguite alla «Ferratella», il Dipartimento affidato a Balducci che dipende dalla presidenza del Consiglio. E adesso dovranno verificare in base a quali criteri siano stati scelti.

Quattro studi legali ma senza incarichi
Nonostante la schiera di legali a disposizione, si era evidentemente deciso di non poter fare a meno di validi professionisti esterni. Il problema è che nei loro contratti, oltre a una generica assegnazione di incarichi, non è specificata alcuna mansione specifica. Ed è stata proprio questa circostanza a convincere Bravi sull'opportunità di revocare gli incarichi. Qualche mese fa, quando il suo nome finì negli atti processuali per alcune conversazioni intercettate, l'avvocato Lupinacci, calabrese, 44 anni, mise le mani avanti: «È vero, il 5 gennaio scorso sono stato nominato esperto del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Ma lui lo conosco da appena due o tre mesi, lo stimo, c'è una buona confidenza tra noi, che c'è di male? Io, però, non sono mai stato raccomandato da nessuno, non ho padrini, sono solo un avvocato che, modestia a parte, in tanti anni ha acquisito grande esperienza in tema di opere pubbliche e gestione trasparente degli appalti. Però attenzione: incarico gratuito, anche se prestigioso e al servizio di una grande istituzione dello Stato». Non era proprio così. In realtà Lupinacci aveva ottenuto un compenso da 100 mila euro. Un incarico da 50 mila euro per sei mesi, automaticamente rinnovabile, era stato affidato invece all'avvocatessa Alessia Menocci, nata a Cecina ma residente nella capitale. Quando le è stata comunicata la revoca ha deciso di rivolgersi a un giudice, ma ha avuto torto. E anche il suo rapporto professionale è stato interrotto. Via dalla Ferratella Stefano Toro e via l'avvocato Federico Vecchio che aveva pattuito un compenso di 40 mila euro. «Era inevitabile - chiarisce Bravi - proprio perché non c'era un motivo reale che giustificasse la concessione di questi soldi a professionisti esterni».

Niente progetti per architetti e ingegneri
Lavorare dove si progettano opere pubbliche poteva essere una buona occasione. Ma nessuno ha mai provveduto ad assegnare loro alcun incarico. E così pure questi contratti sono stati tagliati. Del resto la «causale» era del tutto generica: «supporto al Rup», il Responsabile unico del procedimento, senza nessun altra spiegazione. Revoca per Attilio De Fazi che aveva pattuito una consulenza di 40 mila euro e annullamento del contratto per Francesco Buzzomanno che avrebbe dovuto avere 50 mila euro l'anno ma non ha mai preso neanche un centesimo. L'architetto Luciano Paperini dovrà rinunciare a 35 mila euro, mentre Damiano De Propris esperto nella bonifica delle aree ne perde 20 mila. Poco più di Francesco Fiorentino che doveva averne 15 mila. Ben più remunerativo - 30 mila euro - il contratto dell'ingegner Agostino Elefante, anche lui da poco revocato. I giudici contabili - che hanno già avviato la procedura di addebito ritenendo che sia il G8 organizzato a L'Aquila, sia la Louis Vitton Cup a La Maddalena abbiano provocato un danno erariale - dovranno adesso analizzare la procedura per l'affidamento delle consulenze e stabilire se l'esborso fosse giustificato. I provvedimenti di revoca firmati da Bravi saranno acquisiti anche dai pubblici ministeri che indagano sulla concessione di incarichi e appalti proprio per verificare se nella scelta dei consulenti Balducci e gli altri funzionari che collaboravano con lui abbiamo abusato del proprio ruolo.

Per i Mondiali di Nuoto debito da 9 milioni
Tagliare gli incarichi esterni non è bastato a far quadrare i «bilanci». Per questo si è deciso di ricontrollare tutte le spese dei Grandi Eventi. Si è così scoperto che per l'organizzazione dei Mondiali di Nuoto è rimasto un «buco» di 9 milioni di euro mentre la previsione di spesa per le celebrazioni dell'Unità d'Italia «sfora» di circa 90 milioni di euro. «Nel primo caso - spiega Bravi - potremo onorare i debiti soltanto se saranno messi a disposizione i fondi, perché l'evento è finito l'anno scorso e su quanto è stato fatto non si può tornare indietro. Ben diverso è il discorso che riguarda le opere per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Grazie all'impegno dei commissari di Venezia e Firenze stiamo cercando di ridurre i costi e altri tagli li faremo in altre città. Il mio obiettivo è una riduzione drastica dei costi per poter ridurre l'aggravio a soli 40 milioni di euro, almeno per quanto riguarda lo stanziamento dello Stato». Per comprendere che cosa sia accaduto durante la precedente gestione basti pensare che l'area scelta per il nuovo palazzo del cinema di Venezia - esborso previsto 100 milioni di euro - deve essere completamente bonificata. Un problema che nessuno aveva sollevato quando si è trattato di dare il via libera. E adesso l'aggravio di spesa rischia di superare i 20 milioni di euro. Prezzi lievitati anche a Firenze: da un preventivo iniziale di 40 milioni si è già arrivati a oltre 100. Ma Bravi è categorico: «L'impegno è preso, si dovrà riuscire a terminare i lavori con i soldi che abbiamo».

Fiorenza Sarzanini

11 settembre 2010
http://www.corriere.it/cronache/10_settembre_11/consulenza-sprechi-balducci_32ab592a-bd6e-11df-bf84-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il «sudamericano» e quelle ombre sugli 007
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2010, 04:51:04 pm
La vicenda

L'altro cronista abitò in Centroamerica e fu consigliere della moglie di Dini

Il «sudamericano» e quelle ombre sugli 007

L'imprenditore accompagnò Berlusconi in Brasile e organizzò una serata con ballerine


Non era mai accaduto che il vertice dei servizi segreti fosse costretto a diramare due comunicati di smentita in meno di una settimana. E invece le note con le quali il Dis, il Dipartimento informazioni per la sicurezza guidato dal prefetto Gianni De Gennaro, ha «ribadito l'assoluta infondatezza delle notizie su presunte iniziative svolte in Italia all'estero in merito all'immobile di Montecarlo», consentono di percepire quale sia il clima che si respira negli apparati.

Una fibrillazione che nelle ultime ore ha raggiunto livelli altissimi dopo le rivelazioni che arrivano dai parlamentari più vicini a Gianfranco Fini per dimostrare che la lettera pubblicata due giorni fa è un clamoroso falso. Si tratta del documento con cui il ministro della Giustizia di Saint Lucia spiegava al suo premier che dietro le società off shore proprietarie della casa del Principato ci sarebbe in realtà Giancarlo Tulliani, cognato del presidente della Camera. La guerra che si sta consumando tra il capo del governo Silvio Berlusconi e lo stesso Fini rischia di indebolire l'attività dell'intelligence. La espone anche a livello internazionale minandone la credibilità, nel momento in cui le strutture vengono tirate in ballo come protagoniste di questa vicenda. Sia da chi sospetta che abbiano partecipato alla fabbricazione di dossier, sia da chi gli attribuisce indagini per accreditare l'attendibilità delle proprie ricostruzioni. Sono stati gli stessi organi di informazione vicini al premier a rilanciare le voci che agenti segreti e ufficiali della Guardia di Finanza fossero ai Caraibi per investigare sulla vicenda. Mentre Carmelo Briguglio, componente finiano del Comitato di controllo sugli 007 da giorni parla di «servizi deviati» in azione. E di uomini contigui ad alcuni settori dell'intelligence ha parlato in televisione anche Italo Bocchino, che di Fini è uno dei fedelissimi. Poi ha fatto i nomi di chi avrebbe contribuito «a fabbricare la "patacca"».

E così ha coinvolto in maniera diretta lo stesso Berlusconi attribuendo un ruolo in questa vicenda a Valter Lavitola. Perché si tratta di un imprenditore che il premier - sfidando la contrarietà del ministro dell'Economia Giulio Tremonti e di quello degli Esteri Franco Frattini - ha recentemente nominato delegato in Brasile e a Panama, ma soprattutto ha coinvolto in numerose iniziative. E perché, come dichiara lo stesso Bocchino, «il primo a veicolare la notizia che i servizi erano partiti per i Caraibi è stato il 15 settembre Vittorugo Mangiavillani de "Il Velino", agenzia di stampa fino a poco tempo fa diretta dal portavoce del pdl Daniele Capezzone e a rilanciarla, due giorni dopo è stato un articolo pubblicato da Il Giornale». Un'unica strategia che, dunque, si sarebbe mossa sul doppio binario: creare falsi documenti e veicolare notizie inventate. E sarebbe stata affidata a uomini che in Centroamerica si muovono agevolmente. Lavitola era sull'aereo che alla fine dello scorso giugno portò a San Paolo del Brasile una delegazione guidata da Berlusconi. E proprio lui avrebbe allestito la festa con sei ballerine per allietare la serata del premier il 28 giugno. «Professioniste di lapdance portate in una suite di lusso dell'Hotel Tivoli São Paulo Mofarrej», raccontò il quotidiano «O Estado de São Paulo» pubblicando anche una foto del premier accanto a una splendida miss. Versione smentita da palazzo Chigi che in una nota parlò di uno «spettacolo di folclore tipico di alcuni artisti brasiliani», non negando comunque che ad organizzarlo fosse stato un imprenditore. Editore del quotidiano "L'Avanti", nel 2004 Lavitola fu inserito da Fabrizio Cicchitto nelle liste per le Europee ma non riuscì a farsi eleggere. Decise allora di seguire il percorso politico del suo amico Sergio De Gregorio, il parlamentare eletto con la lista di Di Pietro e poi passato nelle file berlusconiane.

Anche Mangiavillani conosce bene il Centroamerica per esserci vissuto alla fine degli anni 80 quando era il consigliere per l'informazione della signora Donatella Zingone, già sposata con Lamberto Dini. Poi tornò in Italia e fu nominato portavoce del Siulp, il sindacato più rappresentativo della polizia. Con alcuni agenti non ha mai interrotto i rapporti, all'epoca della scoperta dell'archivio di via Nazionale del Sismi fu accreditata una sua amicizia con Pio Pompa che di quell'ufficio era il custode. Sono loro, secondo l'entourage di Fini, ad essersi mossi dietro le quinte di questo affare. Al momento nessuna prova è stata esibita, ma è bastato l'accostamento con «i Servizi» a spingere il presidente del comitato parlamentare di controllo Massimo D'Alema a decidere di intervenire per richiamare lo stesso Dis alla vigilanza. E così cercare di mettere al riparo le strutture di intelligence da sospetti e accuse che avvelenano ulteriormente uno scontro istituzionale che non ha precedenti.

Fiorenza Sarzanini

24 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_settembre_24/sudamericano-ombre-007-sarzanini_a26d1f3c-c79b-11df-9bef-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Devi dire che il proprietario non sono io»
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2010, 11:22:29 am
Il confronto con Giancarlo Tulliani, che attacca: siete pazzi a dubitare di me

«Devi dire che il proprietario non sono io» Ma Fini frena il cognato: mancano le carte

Prima un vertice tra la Bongiorno e gli avvocati del fratello di Elisabetta Tulliani.

Poi il presidente della Camera si è riunito con i suoi per mettere a punto il testo

   
ROMA - Alle 20 di venerdì sera quando l'avvocato Giulia Bongiorno varca il portone di casa di Gianfranco Fini, non immagina che non basterà un'intera notte per mettere a punto il videomessaggio del presidente della Camera. E invece quel testo diventa oggetto di una discussione approfondita, a tratti aspra e addirittura drammatica. Perché alla riunione partecipa anche Giancarlo Tulliani con i suoi avvocati Carlo Guglielmo e Adriano Izzo e alla fine è proprio lui a lanciare la sfida: «Devi dire che hai la certezza che io non sono il proprietario di quella casa, perché questa è la verità». La risposta di Fini è lapidaria: «Non posso farlo fino a che non avrò a disposizione tutte le carte per dimostrarlo. Per questo dirò che non lo so». Il cognato insiste, come del resto ha già fatto in passato: «Se avete dubbi su di me siete pazzi, e allora d'ora in poi lasciatemi stare. Io non posso darvi i documenti perché non li ho, visto che non ho nulla a che fare con quelle società. Ma vi ho detto la verità e non potete continuare a mettermi in mezzo: l'appartamento di Montecarlo non è mio».

Bongiorno tenta di mediare, sa che il momento è delicato, non si può sbagliare. Ma soprattutto bisogna usare parole convincenti perché sia chiaro quello che Fini ha in testa. Lui lo ha detto chiaramente: «Voglio far capire che io e Berlusconi siamo diversi. Lui, se ha un problema, chiama Ghedini e fa cambiare la legge. Io, se ho un problema, chiamo te e mi spiego pubblicamente e poi, se necessario, con la magistratura». Elisabetta Tulliani non perde una parola, è sempre presente. Da una parte c'è suo fratello, dall'altra il suo amato compagno, il padre delle sue due bambine. Partecipa, suggerisce, cerca di intervenire quando salgono i toni del confronto fino a sfiorare la lite. Poi, quando si entra nella parte più tecnica sono gli avvocati a confrontarsi. Izzo vorrebbe parole nette sull'estraneità di Tulliani, Bongiorno tiene duro. Qualche giorno fa, quando Il Giornale ha pubblicato un documento con due firme uguali per proprietario e affittuario affermando che si trattava del contratto di locazione, Tulliani non si era fatto trovare. La procura di Roma aveva poi smentito, spiegando che si trattava semplicemente di un certificato dell'ufficio del registro. E a quel punto, di fronte alla richiesta di Fini di avere spiegazioni, il cognato era sbottato: «Lo sapevo, certo che ho quel contratto. Però voi credete ai giornali anziché a me, quindi fate come volete ma io non sono tenuto a darvi nulla».

Fini adesso vuole ricostruire nuovamente le fasi della vicenda, così decide di mostrare anche la perizia sul valore dell'immobile di rue Princesse Charlotte già acquisita dalla procura di Roma per ribadire che il prezzo di vendita è stato «congruo». All'alba il testo è scritto, almeno per quanto riguarda la parte tecnica. Ora bisogna affrontare quella politica. Insieme alla Bongiorno si trasferisce nel suo ufficio a Montecitorio con i parlamentari che gli sono più fedeli: Italo Bocchino, Flavia Perina, Benedetto Della Vedova. Ci sono ancora troppe domande su quanto è accaduto negli ultimi giorni. Ci si interroga sull'atteggiamento di Valter Lavitola, accusato da Bocchino di aver fabbricato un documento falso, che prima della conferenza stampa del ministro di Santa Lucia aveva dichiarato «domani chiarirò tutto» e poi si è limitato a dire di «aver fatto il giornalista». Alle 12.30 sono ancora tutti insieme quando agenzie di stampa e siti Internet rilanciano le dichiarazioni dell'avvocato Renato Ellero che rivendica a un suo cliente la proprietà delle società off shore.

Bocchino è categorico: «È una trappola, vogliono che commentiamo per poi dire che siamo andati dietro a una bufala». Fini impone la linea, parte una raffica di messaggi sms per tutti gli appartenenti al Fli: «Nessuno deve rilasciare dichiarazioni». Si sparge la voce che Ellero sia buon amico di Niccolò Ghedini e di Pietro Longo, i legali del premier. L'interessato non smentisce, anzi: «Certo che lo sono, ma Longo non lo vedo da un anno e mezzo». In ogni caso si prende tempo e la messa in onda del videomessaggio prevista inizialmente per le 13 slitta al pomeriggio. Alle 13.30 l'onorevole Giorgio Conte, che vive a Vicenza ed è un finiano di ferro, incontra Ellero. Gli chiede il nome di questo cliente o quantomeno la prova che la storia abbia un fondamento. Non ottiene nulla e lo riferisce al presidente. In quel momento Fini è già rientrato a casa per parlare con la compagna e avvisarla che la sua decisione è confermata: «Non sposerò la tesi di tuo fratello. Dirò che mi dimetto se scoprirò che la casa è sua». Due ore dopo è nella redazione di «FareFuturo», di fronte alla telecamera. Bongiorno è lì davanti, segue il testo, controlla che tutto proceda come stabilito. Dieci minuti e il videomessaggio è registrato. Fini non arretra, ma sa che la partita è ancora tutta da giocare.

Fiorenza Sarzanini

26 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_settembre_26/devi-dire-che-il-proprietario-non-sono-io-ma-il-leader-frena-il-cognato-mancano-le-carte-sarzanini_7d9dd4f0-c93d-11df-9f01-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Fini, la Bongiorno impone la linea
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2010, 09:44:41 am
Giancarlo Tulliani chiama Elisabetta e poi decide: parlano i miei legali

Fini, la Bongiorno impone la linea

Tulliani e la telefonata alla sorella

L'avvocato del presidente della Camera: meglio dire solo quello che si sa con certezza


ROMA - Una telefonata con la sorella Elisabetta dopo la lettura dei giornali, poi la scelta di diramare una nota ufficiale. Accade anche questo nell'incredibile storia della casa di Montecarlo che ormai da due mesi tiene in fibrillazione governo e maggioranza. Esterna attraverso i suoi legali Giancarlo Tulliani. Dopo aver ricevuto offerte da milioni di euro per rilasciare un'intervista attraverso telefonate, lettere, pedinamenti, il cognato più famoso d'Italia mette le mani avanti: «Qualora venissero pubblicati dei virgolettati, non sono a me attribuibili». In realtà le uniche dichiarazioni filtrate fino a questo momento sono quelle ribadite due notti fa al presidente della Camera che gli chiedeva nuovamente la verità sulla proprietà dell'appartamento di boulevard Princesse Charlotte: «Non sono il propietario».

Nega Tulliani, ma sono troppe le circostanze che rifiuta di spiegare. «Devi dirmi che rapporti hai con tutte queste persone che operano a Santa Lucia. Io devo fare un discorso pubblico e dunque voglio la verità sui contatti che ancora tieni aperti», gli ha intimato Gianfranco Fini durante la riunione con gli avvocati convocata per preparare il videomessaggio poi trasmesso sabato pomeriggio. In queste settimane Tulliani ha fatto riferimento anche a James Walfenzao, personaggio chiave della vicenda che aveva già curato la costituzione di «offshore» per altri personaggi vicini ad Alleanza nazionale. L'11 luglio del 2008, giorno del rogito per la vendita della dimora di Montecarlo, era proprio lui a rappresentare la società Printemps. Sempre lui, tre mesi dopo, ne trasferì la proprietà alla Timara e l'affittò al giovane. «Non sono in affari con lui», ha risposto lapidario Tulliani.

Secondo le informazioni raccolte in queste ore dagli avvocati che stanno seguendo ogni fase dell'affare, soltanto le autorità di Santa Lucia oppure il legittimo proprietario potranno rivelare chi c'è davvero dietro le due società. La titolarità delle «offshore» si può dimostrare infatti esibendo i documenti originali del passaggio delle azioni che sono nella disponibilità di chi le ha trattate. E in ogni caso bisogna verificare la corrispondenza delle date perché si tratta di «titoli al portatore» che possono essere ceduti anche attraverso trattative private.

Giulia Bongiorno, che da quest'estate segue Fini come un'ombra e con lui pianifica ogni mossa, lo ha spiegato chiaramente durante l'incontro di venerdì notte. Tulliani e i suoi legali insistevano affinché il presidente dicesse con chiarezza che l'appartamento non era suo. Lei si è opposta: «Dobbiamo dichiarare soltanto quello che sappiamo. E la verità è che sull'effettiva proprietà delle due società potremo non avere mai certezze». Anche la compagna Elisabetta avrebbe forse preferito un atteggiamento più netto. Ma poi si è lasciata convincere, ha compreso che non si possono fare altri passi falsi fornendo versioni non verificate, soprattutto per non rischiare di fomentare nuove e più pesanti tensioni familiari. Del resto Fini era stato categorico sin dall'inizio: «Voglio fare chiarezza, perché voglio marcare la differenza tra me e Berlusconi».

Sfumata la possibilità di riuscire ad avere qualche elemento utile dall'avvocato Renato Ellero - che ha sostenuto di avere tra i clienti il vero proprietario della Timara, un italiano che vive in Svizzera - i fedelissimi stanno comunque cercando di raccogliere altri elementi. Secondo Giuseppe Consolo, parlamentare di Fli, «la stessa lettera del ministro della Giustizia locale dimostra che le due società Timara e Printemps non sono società registrate a Santa Lucia, dove hanno la Corporate Agent come società registrata che agisce per loro, quindi non è possibile materialmente indagare da parte di quelle autorità. Inoltre il ministro Francis è un avvocato che allo stesso indirizzo della società Timara e Printemps ha il suo studio legale. Studio legale che vive con le società offshore». Si verificherà anche questo, pur sapendo che questi dettagli non sono comunque sufficienti a chiudere la storia.

Fiorenza Sarzanini

27 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_settembre_27/sarzanini-telefonata-tulliani-parlano-solo-legali_2e36584c-c9fb-11df-9db5-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Diamoci tre settimane per capire O il governo va o si ...
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2010, 12:10:58 pm
L'intervista

«Diamoci tre settimane per capire O il governo va o si stacca la spina»

Maroni: un incubo per gli italiani finire come l'esecutivo Prodi, non ci sto


ROMA - «Ci diamo tre settimane di tempo per vedere se questa maggioranza ha davvero la forza di sostenere l'azione del governo.
Se così non è, meglio staccare la spina subito».

Non arretra il ministro dell'Interno Roberto Maroni e con lui tutta la Lega. Anzi, rilancia il programma di governo e detta condizioni chiare sulla tenuta dell'esecutivo.

Dunque si vota a marzo?
«Noi avremmo preferito farlo subito e l'abbiamo detto a Berlusconi. Andiamo alle urne a novembre, vinciamo e da dicembre siamo molto più forti, pronti a fare le riforme».

E invece?
«Il presidente del Consiglio ha voluto testare la maggioranza e noi abbiamo deciso di sostenerlo lealmente, ma è difficile che così possa durare».

Non si fida dell'appoggio dei finiani?
«Non è una questione di fiducia. Il vero problema è che se si dovrà trattare su ogni cosa, mediare, stare attenti agli equilibri, rischiamo di fare la fine del governo Prodi che era sospeso su ogni votazione. Un incubo per noi e per gli italiani, che non è accettabile».

Perché concedete tre settimane?
«Entro quel termine devono essere nominati i nuovi presidenti delle commissioni parlamentari e quello sarà il primo vero banco di prova.
In quella sede potremo misurare la lealtà del gruppo di "Futuro e Libertà". E capiremo pure, se si formerà davvero un nuovo partito, in che modo hanno intenzione di restare all'interno della maggioranza».

Intanto i ministri di Fli sono rimasti nel governo.
«Ho grande stima di tutti i colleghi di governo e non vorrei mai che prevalesse il metodo doroteo dello "sto dentro però sono pronto a uscire, denuncio però rimango". Se fosse così sarebbe più serio comportarsi come fece Fausto Bertinotti che, contrario alla linea del governo, lo fece cadere».

Con l'apertura della crisi il presidente della Repubblica potrebbe anche esplorare l'ipotesi di un governo tecnico per la riforma elettorale.
«È un'ipotesi che non esiste visto che al Senato abbiamo la maggioranza anche senza Fli».

Se ne potrebbe creare una cosiddetta di larghe intese.
«Per favore, parliamo di cose serie. Sorrido all'idea di vedere insieme Bocchino, Bersani, Casini e Di Pietro. Però faccio loro i miei auguri, pur sapendo che durerebbero mezza giornata».

Nel centrosinistra dicono la stessa cosa di voi, dopo che Fini ha accusato il presidente del Consiglio di aver compiuto attività di dossieraggio e ha parlato di infamie contro la sua famiglia.
«Proprio per questo motivo noi non eravamo favorevoli a tenere insieme la maggioranza. La nostra azione ha bisogno di un mandato forte. Finora abbiamo avuto successo perché abbiamo mostrato decisione e caparbietà. Così rischiamo di mostrarci deboli anche nel contrasto alla criminalità e non possiamo consentircelo».

Non ritiene altrettanto grave accusare i magistrati di essere un'associazione per delinquere come ha fatto il presidente Berlusconi?
«Io credo che come governo dovremmo evitare di continuare a stuzzicare la magistratura annunciando riforme che poi non si fanno e invece procedere. Continuare a parlarne genera solo tensioni. Comunque si tratta di cose che Berlusconi ha già detto riferendosi a quella parte della magistratura che usa la toga per fare lotta politica. Per me conta solo quanto ha sostenuto in Parlamento».

Però tutto questo contribuisce ad alimentare il «clima d'odio» che viene poi denunciato quando ci sono episodi come quelli che hanno coinvolto il direttore di «Libero» Maurizio Belpietro.
«Sul caso specifico non mi pronuncio fino alla fine dell'indagine. Certamente ci sono stati una serie di episodi - penso agli attacchi contro Pietro Ichino e Raffaele Bonanni durante la festa del Pd - e le notizie che abbiamo di possibili infiltrazioni della rete no global nelle prossime manifestazioni sindacali, che provocano grande inquietudine».

Davvero teme altri episodi?
«Il rischio esiste con l'arrivo dell'autunno e i problemi economici che coinvolgono moltissime aziende. Per questo nei prossimi giorni incontrerò i leader sindacali e i rappresentanti delle istituzioni delle Regioni che maggiormente subiscono gli effetti di questa crisi».

C'è anche la polemica, fortissima, con il Vaticano dopo la bestemmia pronunciata da Berlusconi.
«Su questo non commento».

In questo clima di contrapposizione i finiani hanno accusato «i servizi segreti deviati» di aver alimentato la campagna contro il presidente della Camera.
«Da ministro dell'Interno, conoscendo bene i vertici e in particolare il prefetto Gianni De Gennaro, posso garantire sull'operato dell'intelligence. Ma voglio anche essere più chiaro: chi si permette di parlare a sproposito dei nostri Servizi dovrebbe rendersi conto del danno che fa a loro e al Paese. Queste strutture sono affidabili sulla scena internazionale quanto più operano nella riservatezza. Metterle alla berlina significa esporci soprattutto sul fronte dell'antiterrorismo».

Dagli Stati Uniti arrivano allerta precisi su possibili attacchi in Europa. Quanto rischia l'Italia?
«Siamo attrezzati, ma come dimostra quanto accaduto l'anno scorso a Milano quando uno straniero si fece esplodere di fronte alla caserma, il quadro è complicato. Anche per questo dobbiamo lasciare stare i Servizi e la loro attività, tenerli lontani dalle beghe immobiliari».

Sabato scorso, dopo aver visto il videomessaggio del presidente della Camera, avrebbe scommesso sul voto di fiducia di Fli?
«Proprio in quel momento ho capito che avrebbero sostenuto il governo. Mi ha provocato una profonda tristezza vedere Gianfranco Fini costretto ad ammettere che sulla casa di Montecarlo non conosce la verità che aveva promesso di rivelare».

Lei parla di debolezza, però i numeri alla Camera dimostrano che senza il Fli voi non avete la maggioranza.
«Non a caso La Lega voleva votare subito. Le urne forniranno un dato certo su chi ha il consenso».

Berlusconi vuole prima l'intesa sulla giustizia. Anche voi ritenete così urgente approvare uno scudo per il presidente del Consiglio?
«Pensiamo che debba avere la garanzia di poter governare, almeno fino a che lo vogliono gli italiani. Per questo dico: facciamo un "reset" sulle polemiche e decidiamo in tempi rapidi qual è la nostra proposta di riforma della giustizia. Alla Camera i finiani hanno votato la fiducia. Se in tre settimane gettiamo le basi bene, altrimenti la legislatura è finita».

La scorsa settimana lei e il sindaco Moratti vi siete divisi su come affrontare l'emergenza campi nomadi.
«Non vorrei che si enfatizzasse ancora una normale discussione. Io credo soltanto che non si debba dare neanche l'impressione che i milanesi vengano discriminati a favore degli stranieri e per questo ho chiesto al prefetto di trovare una soluzione che possa soddisfare l'esigenza di tutti».

Sarà lei il candidato sindaco di Milano per il centrodestra?
«Ne sarei lusingato, ma visti gli avversari messi in campo dalla sinistra credo che chiunque possa batterli».

Fiorenza Sarzanini

03 ottobre 2010
http://www.corriere.it/politica/10_ottobre_03/sarzanini-maroni-intervista_f32006c2-ceb4-11df-92c2-00144f02aabe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Berlusconi e il caso Ruby: io persona di cuore
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2010, 12:32:16 am
I funzionari della Questura saranno interrogati.

I riscontri sulle feste ad Arcore Berlusconi chiamò la polizia e la minorenne fu lasciata libera

Il ruolo della ex igienista dentale Minetti. E spunta un nuovo «reclutatore»

Berlusconi e il caso Ruby: io persona di cuore


ROMA - La nota della Questura di Milano diramata ieri sera per assicurare di non aver concesso a Ruby «alcun privilegio o trattamento di favore dopo la telefonata della presidenza del Consiglio», evidenzia in maniera chiara la fibrillazione di queste ore. Perché quella notte del 27 maggio scorso, mentre la giovane marocchina veniva fotosegnalata in seguito a un'accusa di furto, fu un uomo della scorta del presidente del Consiglio a contattare il gabinetto del questore per chiederne il rilascio e l'affidamento a una persona che era già arrivata negli uffici di polizia. E poi passò l'apparecchio allo stesso Silvio Berlusconi che parlò per qualche minuto con l'alto funzionario. Il capo del governo decise dunque di esporsi personalmente, probabilmente consapevole che in anticamera c'era già Nicole Minetti, l'igienista dentale che gli era stata presentata un anno prima dal direttore di Publitalia 80 Luigi Ciardiello.

Poco dopo la ragazza fu effettivamente lasciata libera. E adesso che i suoi racconti sull'amicizia con il premier e sulla frequentazione della villa di Arcore sono alla base di un'inchiesta sullo sfruttamento della prostituzione, quella telefonata diventa uno snodo cruciale per le indagini. Ma anche per il clima politico tornato incandescente visto che la giovane parla di «festini» ai quali erano invitati parlamentari ed esponenti del governo e il tema centrale del dibattito torna ad essere la ricattabilità del presidente del Consiglio, la sua vita privata che si trasforma in un'arma da utilizzare per il suo ruolo pubblico. E da brandire sulla scena internazionale, visto che al funzionario fu detto che Ruby era la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak.

Nella relazione trasmessa dal gabinetto della Questura al ministro dell'Interno Roberto Maroni viene sottolineato che la ragazza «fu rilasciata al termine della procedura, d'intesa con il pubblico ministero di turno presso il tribunale dei minori» e si assicura che «dal punto di vista formale non c'è stata alcuna irregolarità». Così come si evidenzia che di fronte alla scelta di trasferirla in una comunità oppure affidarla a una persona che aveva manifestato l'intenzione di ospitarla, «si preferì optare per questa seconda ipotesi». Ma adesso si dovranno ricostruire le varie fasi dei controlli effettuati, compresa quella che portò all'entrata in scena della Minetti. E per farlo saranno interrogati proprio i poliziotti che quella sera gestirono la vicenda.

Sinora il racconto di Ruby ha trovato conferma nei riscontri effettuati attraverso l'analisi dei tabulati telefonici, ma anche con l'acquisizione delle relazioni di servizio degli uomini di scorta alle personalità. In particolare quella sera del 14 febbraio 2009, quando la giovane racconta di aver varcato per la prima volta il cancello di Arcore a bordo dell'auto di Emilio Fede. La macchina sarebbe stata fatta passare da un cancello secondario, esattamente come risulta negli atti, e preceduta da un'altra a fare da «battistrada» prima dell'arrivo. Un «sistema» collaudato e utilizzato anche in altre occasioni proprio per cercare di mimetizzare alcune ospiti.
Sono questi dettagli a far comprendere quanto avvelenato sia il clima. Perché gli accertamenti disposti dai magistrati coinvolgono inevitabilmente gli uomini chiamati a proteggere le autorità, che dovranno probabilmente essere convocati in procura a ricostruire nei dettagli una vicenda che già tiene moltissime persone con il fiato sospeso. Ci sono numerose foto che circolano su quella festa e su altre occasioni mondane quando la villa di Arcore si affollava di giovani donne e dopo la cena poche prescelte venivano invitate a rimanere e trasferirsi nella camera da letto, proprio come già risultava dai racconti di chi partecipava alle serate organizzate a palazzo Grazioli.
All'epoca a soddisfare le richieste di Berlusconi c'era Gianpaolo Tarantini, rampante imprenditore barese poi finito agli arresti per aver versato tangenti ai politici che lo agevolavano negli affari e spacciato droga proprio alle giovani che pagava per avere incontri con il premier e con altri personaggi disposti ad aiutarlo. Nell'ultimo periodo, altri l'avrebbero sostituito nel reclutamento di ragazze da portare nelle sue residenze. Lele Mora, Emilio Fede, ma non solo.

Nicole Minetti è stata presentata a Berlusconi da Luigi Ciardiello, il direttore di Publitalia 80 che la reclutò come hostess del suo stand prima di farla approdare tra le ballerine della trasmissione di Italia1 Colorado Cafè. Lei gli è rimasta amica anche dopo l'elezione alla Regione nel listino di Roberto Formigoni. Non è l'unica. Perché di Ciardiello, che ha 48 anni, si racconta sia sempre circondato da donne bellissime e spesso ospitato dal presidente. Rapporto forte, come quello che Berlusconi ha con il ministro Paolo Romani, l'ex manager di Telelombardia ora diventato responsabile dello Sviluppo Economico, indicato tra i frequentatori assidui delle serate.
Una girandola di incontri che adesso si trasformano in un nuovo scandalo e tornano a coinvolgere gli apparati di sicurezza, proprio come avvenne quando l'obiettivo di Antonello Zappadu rivelò quanto avveniva nei saloni e nei giardini di Villa Certosa in Sardegna e il racconto di Patrizia D'Addario rivelò le notti bollenti di palazzo Grazioli.

E forse non è un caso che la scorsa estate, quando le indiscrezioni già raccontavano di altri possibili scandali in arrivo, uno degli uomini della scorta del presidente, certamente tra i più fidati, abbia chiesto di essere trasferito ad altro incarico. Del resto già all'epoca, durante le riunioni riservate con i vertici dell'intelligence, era stata raccomandata la selezione degli ospiti proprio nel timore che ragazze in cerca di fortuna potessero decidere di ricattare il presidente con racconti e fotografie compromettenti. Una cautela che evidentemente non si è ritenuto di dover utilizzare e adesso il timore forte di numerosi ministri è lo «scacco al re».


Fiorenza Sarzanini

29 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_ottobre_29/berlusconi-polizia-minorenne-feste-arcore_67212d14-e31c-11df-b688-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il ministro: svelerò le sue falsità
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2010, 06:24:42 pm
Lo scontro con Saviano

Il ministro: svelerò le sue falsità

E tratta con altri tre conduttori

«La proposta di Ruffini? Irricevibile. Serve un faccia a faccia»

   
ROMA - I contatti con i componenti in quota Pdl del Consiglio di amministrazione della Rai, soprattutto quelli con Giovanna Bianchi Clerici che è in quota leghista, vanno avanti per tutta la giornata. Perché Roberto Maroni è già in trattativa con tre conduttori televisivi che si sono dichiarati pronti ad ospitarlo per replicare al monologo di Roberto Saviano.

Ma il ministro dell'Interno è consapevole che nessuno potrà mai eguagliare l'audience di Vieni via con me. E dunque è lì che vuole andare «anche perché voglio proprio vedere se Saviano accetterà il contradditorio, oppure, come credo, alla fine cercherà in ogni modo di sottrarsi». Una convinzione che ribadisce in serata dopo la proposta del direttore di Rai3, Ruffini, di inviare un video o uno scritto: «Ridicola e per questo irricevibile». La campagna elettorale è di fatto iniziata, Maroni sa quali conseguenze può avere in termini di consenso da parte dei cittadini l'accostamento tra la Lega e la 'ndrangheta. Soprattutto nel Nord Italia. L'estate scorsa, quando l'indagine condotta dai magistrati di Milano e Reggio Calabria sulle infiltrazioni dei clan nelle istituzioni locali e nell'imprenditoria del Nord portò a decine di arresti, fu categorico: «Gli amministratori pubblici, se si accerterà che sapevano di trovarsi in un circuito mafioso, vanno puniti con grande severità». Poi scoppiò il caso del consigliere regionale del Carroccio Angelo Coccia fotografato mentre era insieme al boss Pino Neri e all'interno del partito si andò allo scontro, alla ricerca di chi lo aveva sponsorizzato e fatto eleggere. Una ferita che brucia ancora. «Ma certamente - attacca Maroni - non si può utilizzare questa vicenda per lanciare accuse tanto infamanti, soprattutto se si tiene conto che Coccia non è stato neanche indagato». La scelta di reagire in maniera così forte e esplicita la prende di prima mattina, quando arriva la conferma del successo strepitoso della trasmissione di Fabio Fazio con oltre 9 milioni di telespettatori. Il ministro sferra il primo attacco e quando l'agenzia Ansa rende nota la sua reazione forte e l'istanza di replica già comunicata al Cda alla Rai, sono in molti a farsi avanti.

Piovono richieste di intervista all'ufficio stampa. Bruno Vespa si mette a disposizione, pronto ad organizzare subito una puntata di Porta a Porta interamente dedicata alla vicenda. Anche Lucia Annunziata si dice «naturalmente disponibile a dedicare In mezz'ora al ministro Maroni e magari si potesse avere da noi il contraddittorio con Saviano». Sulla scia di quanto era già accaduto con Gianfranco Fini che aveva scelto il telegiornale de La7 per parlare della vicenda dell'appartamento di Montecarlo, offre la platea in continua ascesa di audience del suo Tg su La7 pure Enrico Mentana. Maroni prende tempo. Attende le decisioni che prenderà oggi il consiglio di amministrazione e si dice certo che la terza rete dovrà essere obbligata a farlo intervenire lunedì prossimo a Vieni via con me. «Perché - dice ai suoi - qui non c'è il problema di smentire o querelare. Io voglio spiegare che Saviano ha detto falsità e voglio farlo davanti a lui, voglio che mi risponda direttamente, che dimostri di sapere ribattere al fatto che ha preso un clamoroso abbaglio». Si capisce che a far montare ulteriormente la sua ira è stato il rifiuto ad invitarlo del capostruttura Loris Mazzetti. Tanto che all'interno della Lega c'è già chi reagisce quasi sfidando il Cda e ricordando che «veniamo accusati di aver occupato la televisione di Stato e invece sono questi i risultati». Due anni fa, quando Saviano aveva paventato la possibilità di lasciare l'Italia, Maroni aveva ricordato che «la lotta alla camorra la fanno forze dell'ordine, magistrati e imprenditori in prima linea; lui è un simbolo, non il simbolo». Parole che avevano suscitato polemiche aspre, tanto da convincere il titolare del Viminale sulla necessità di correggere il tiro spiegando di «essere stato frainteso perché volevo dire che non spetta a lui farsi carico della battaglia contro i clan». Questa volta nessuno dei due pare intenzionato a fare marcia indietro. E in vista delle elezioni, il dibattito si arricchisce su questa nuova disputa.

Fiorenza Sarzanini

17 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_novembre_17/sarzanini-ministro-svelo-falsita_cc6a7d10-f212-11df-a59d-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. A che punto sono le grandi inchieste
Inserito da: Admin - Novembre 18, 2010, 05:16:03 pm
A che punto sono le grandi inchieste

Dalla Puglia al riciclaggio

Che fine hanno fatto le indagini su appalti e politica

   
ROMA - Oltre 500 milioni di euro per decine di lavori assegnati con la procedura di urgenza prevista per i Grandi Eventi. L'inchiesta di Perugia entra nella fase finale con l'esame delle posizioni degli indagati. E intreccia nuovi accertamenti disposti a Firenze sugli appalti concessi in Toscana. Hanno tempi e scadenze diverse le istruttorie avviate nell'ultimo anno che riguardano i rapporti tra pubblico e privato coinvolgendo spesso politici di livello nazionale. Ma in molti casi l'impianto ha già retto al primo vaglio dei giudici, consentendo ai pubblici ministeri di proseguire le verifiche. Proprio come accaduto per l'indagine sulla «combriccola» messa insieme dal faccendiere Flavio Carboni e dal suo amico Pasquale Lombardi, capaci secondo l'accusa - riconfermata ieri dal tribunale del Riesame di Roma - di orientare nomine e decisioni. Oppure come sta accadendo per i controlli sulle «commesse» gestite da Finmeccanica con la decisione di alcuni protagonisti di collaborare con i magistrati o quantomeno fornire indicazioni utili alla ricostruzione dei legami tra aziende diverse, unite dall'obiettivo comune di spartirsi gli affari.

Il gruppo di Mokbel
Il processo è cominciato il 2 novembre. Alla sbarra ci sono Gennaro Mokbel un passato neofascista e un presente come anello di congiunzione tra il potere criminale della 'ndrangheta e quello imprenditoriale della telefonia, accusato di aver riciclato soldi sporchi anche grazie al traffico di diamanti. Con lui, il fondatore di Fastweb Silvio Scaglia, l'ex consigliere di amministrazione Mario Rossetti e gli ex dirigenti Giuseppe Crudele e Bruno Zito. E, per Telecom Italia Sparkle, l'ex amministratore delegato Stefano Mazzitelli, gli ex manager Massimo Comito e Antonio Catanzariti. Niente dibattimento per l'ex senatore pdl Nicola Di Girolamo, che dopo aver confessato il proprio ruolo nell'organizzazione ha scelto di patteggiare una pena a cinque anni di carcere con l'impegno a restituire quattro milioni e 700 mila euro. Soldi che erano stati depositati in conti correnti sequestrati in Svizzera, a Hong Kong e a Singapore.

Gli affari di Finmeccanica
Proprio in questi Paesi, paradisi fiscali spesso inaccessibili per chi insegue le tracce di fondi «neri», i magistrati hanno trovato le provviste finanziarie di Lorenzo Cola, superconsulente di Finmeccanica finito in carcere perché sospettato di aver riciclato denaro consentendo proprio al gruppo Mokbel di acquisire la società Digint. Da qualche settimana Cola - ritenuto di fatto l'uomo più vicino al presidente Pierfrancesco Guarguaglini - ha accettato di rispondere agli interrogatori. E ha consegnato un memoriale che sta facendo tremare i vertici dell'azienda. Le sue affermazioni si incrociano con quelle del commercialista Marco Iannilli, che ha accettato di svelare ai magistrati i retroscena di numerosi affari fornendo dettagli utili a ricostruire i legami tra i personaggi e alcune operazioni sulla cessione di rami d'azienda e la concessione di commesse. Indaga la procura di Roma e indaga soprattutto quella di Napoli che si concentra sugli appalti per la costruzione della cittadella della polizia - in realtà mai realizzata - dove ebbe certamente un ruolo di dominio la Elsag Datamax. Si tratta di un'azienda controllata dalla Selex, inserita in Finmeccanica e guidata da Marina Grossi, potente manager e moglie di Guarguaglini. Le verifiche effettuate nelle ultime settimane avrebbero consentito di ottenere elementi per dimostrare non soltanto la turbativa d'asta, ma anche l'occultamento di una parte dei fondi stanziati e ora l'indagine si concentra sulla valutazione delle posizioni degli indagati. Nell'elenco figurano il vicecapo della polizia Nicola Izzo, il prefetto de L'Aquila Giovanna Maria Iurato, il viceprefetto Castrese de Rosa e alcuni imprenditori interessati all'affare.

L'Agcom di Innocenzi
È ancora all'esame del tribunale dei ministri di Roma l'inchiesta sui rapporti tra Silvio Berlusconi e Giancarlo Innocenzi, componente dell'Autorità di controllo sulle comunicazioni. Le telefonate intercettate su disposizione del giudice di Trani hanno svelato le «pressioni» esercitate dal premier affinché il Garante si adoperasse per far chiudere trasmissioni a lui sgradite come Annozero di Michele Santoro e Parla con me di Serena Dandini. Richieste continue che hanno portato i magistrati a iscriverlo sul registro degli indagati per concussione e minacce. Alla fine di marzo il fascicolo è stato trasferito per competenza nella Capitale, ma da allora non è accaduto nulla e nei corridoi di piazzale Clodio si dà per scontato che finisca in archivio. Anche perché appare difficile che il vertice dell'ufficio decida di chiedere al Parlamento l'utilizzo delle telefonate dello stesso presidente del Consiglio.

I Grandi Eventi
Si chiude il filone di indagine sugli affari conclusi dal costruttore Diego Anemone grazie al suo rapporto privilegiato con il provveditore Angelo Balducci e gli altri funzionari pubblici delegati all'assegnazione dei lavori come Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola e appare scontata la richiesta di rinvio a giudizio. Dopo la decisione della Camera che ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, accusato di corruzione, i pubblici ministeri dovranno decidere se rinnovare l'istanza trasmettendo la documentazione che riguarda i coindagati come aveva chiesto il Parlamento, oppure procedere soltanto nei confronti dell'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, che deve rispondere dello stesso reato nella sua veste di responsabile di Propaganda Fide. E una decisione dovrà essere presa anche riguardo alla posizione dell'ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, pure lui sospettato degli stessi reati proprio per i rapporti con Anemone, dell'ex commissario per i mondiali di Nuoto Claudio Rinaldi; dell'architetto Angelo Zampolini, del commercialista Stefano Gazzani. Resta invece all'attenzione dei magistrati fiorentini la posizione di Denis Verdini, il coordinatore del Pdl finito sotto indagine per la gestione del suo Credito cooperativo fiorentino e i rapporti con il patron della società Btp Riccardo Fusi.

La ricostruzione dopo il terremoto
Legame antico, quello fra il politico e l'imprenditore, che si ritrova nelle carte processuali finite alla procura de L'Aquila. Perché l'impresa di Fusi fa parte del consorzio Federico II e i magistrati stanno verificando quanto abbiano pesato gli «appoggi» politici nella concessione di alcuni lavori al sodalizio di aziende che prima di unirsi parteciparono a una riunione nell'ufficio a Palazzo Chigi del sottosegretario Gianni Letta. Verdini e Fusi hanno ricevuto un avviso a comparire per abuso d'ufficio in cui viene contestato il concorso nel reato anche al presidente del consorzio Ettore Barattelli.

La sanità pugliese
È stata invece frazionata in svariati fascicoli l'inchiesta sulla sanità pugliese che aveva come fulcro l'attività di distribuzione di tangenti e favori sessuali di Gianpaolo Tarantini, rampante manager diventato famoso per aver portato ragazze a pagamento nelle residenze di Silvio Berlusconi. La scelta dei magistrati è stata quella di avviare un'indagine su ogni appalto pur nella consapevolezza che la strategia di Tarantini era quella di accaparrarsi il fiume di soldi pubblici erogato da Asl e ospedali con la complicità di direttori sanitari, medici e politici disposti a favorire le sue aziende in cambio di regali, donne e cocaina. E dunque bisognerà decidere tra l'altro il destino giudiziario dell'ex vicepresidente della Regione Sandro Frisullo e degli amministratori locali che lo avrebbero favorito.

Fiorenza Sarzanini

18 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_novembre_18/a-che-punto-sono-le-grandi-inchieste-fiorenza-sarzanini_030159c8-f2dd-11df-8691-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI Inchiesta Finmeccanica, in corso perquisizioni anche all'Enav
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2010, 05:24:33 pm
LE INDAGINI

Inchiesta Finmeccanica, in corso perquisizioni anche all'Enav

Le indagini riguardano gli appalti tra Selex Sistemi Integrati e l'Enav, oltre al controllo dei bilanci


ROMA - Dall'alba finanzieri e carabinieri del Ros sono entrati in aziende legate al gruppo Finmeccanica e nella sede dell'Enav di via Salaria a Roma per acquisire documentazione così come disposto dalla Procura della Capitale. Le indagini riguardano gli appalti, in particolare quelli tra Selex Sistemi Integrati e l'Enav, oltre al controllo dei bilanci di numerose aziende del gruppo specializzato in sistemi di difesa. L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e condotta dai sostituti Rodolfo Sabelli e Paolo Ielo.

Le perquisizioni riguardano, tra gli altri, l'ingenger Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica PierFrancesco Guarguaglini e amministratore di Selex.

Fiorenza Sarzanini

26 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/10_novembre_26/inchiesta_finmeccanica_perquisizioni_Enav_5181da84-f939-11df-a6ac-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'INCHIESTA FINMECCANICA
Inserito da: Admin - Novembre 27, 2010, 04:39:44 pm
L'INCHIESTA FINMECCANICA

L'accusa: «Dieci milioni di fondi neri per versare mazzette a politici e manager»

Il consulente Cola e gli appalti: «Me dovevano paga' e pure gli altri»



ROMA - «Se le ditte volevano lavorare me dovevano paga'. E pure gli altri». È in questa frase pronunciata davanti ai magistrati da Lorenzo Cola, consulente di Finmeccanica, l'essenza del sistema messo in piedi per la spartizione degli appalti. E per l'accantonamento di fondi occulti che sarebbero serviti a versare tangenti a manager e politici. I provvedimenti eseguiti all'alba di ieri dalla Guardia di finanza e dai carabinieri del Ros svelano come siano state proprio le sue dichiarazioni e quelle del commercialista Marco Iannilli a rivelare il percorso dei soldi, le fatture per operazioni inesistenti, le commesse «gonfiate». Il meccanismo - così come è stato ricostruito nelle indagini - prevedeva che gli appalti di Enav venissero affidati alla Selex Sistemi Integrati, azienda controllata da Finmeccanica e amministrata dall'ingegner Marina Grossi, moglie del presidente della holding di Pier Francesco Guarguaglini. A sua volta Selex li girava a Techno Sky, che invece è controllata da Enav. Un doppio passaggio che, dice l'accusa, serviva appunto a far lievitare i costi e così avere una riserva finanziaria extrabilancio. Ma anche a spartirsi i subappalti che venivano affidati a imprese indicate dagli stessi alti funzionari. «Segnalazioni» che venivano poi lautamente ricompensate.

La contabilità della manager
Marina Grossi è accusata di «corruzione in relazione agli affidamenti dei lavori Enav poi conferiti alla Print System e alla Arc Trade», la società riconducibile a Iannilli, che «ha acquistato un sistema lidar doppler inserito nel programma italiano per il monitoraggio del Wind Shear gestito da Enav, per installarlo nell'aeroporto di Palermo». Ma all'amministratore di Selex vengono contestate anche violazioni fiscali. In particolare, così come scritto nel capo di imputazione «in accordo con Lorenzo Cola, con il condirettore generale Letizia Colucci e con il direttore responsabile Manlio Fiore, emetteva fatture relative a operazioni in tutto o in parte inesistenti per un valore non inferiore ai dieci milioni di euro nel 2009, al fine di consentire a Enav l'evasione delle imposte dirette e indirette; avvalendosi di fatture relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, indicava nelle dichiarazioni dei redditi presentate per conto di Selex in relazione agli anni 2008 e 2009, elementi passivi fittizi».
Agli investigatori è stato chiesto di sequestrare la documentazione relativa agli appalti proprio per verificare «l'assenza di gare nelle prassi di assegnazione dei lavori e delle opere, in violazione della legge del 2006». È stato Cola a parlarne, raccontando come durante alcuni consigli di amministrazione dell'Enav alcuni componenti abbiano chiesto di verbalizzare la propria opposizione. Una circostanza «confermata dalla presentazione spontanea di Guido Pugliesi», l'amministratore di Enav anche lui indagato per corruzione e violazioni fiscali.

I flussi finanziari verso l'estero
Oltre a Pugliesi, tra gli inquisiti c'è il presidente dell'Ente di assistenza al volo Luigi Martini che risponde soltanto di concorso nelle violazioni fiscali. Entrambi, «nelle dichiarazioni del 2009 indicavano elementi passivi fittizi, al fine di consentire l'evasione di imposte dirette e indirette di Enav». Proprio per questo motivo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli hanno chiesto l'acquisizione «della documentazione extracontabile eventualmente rinvenibile presso gli uffici amministrativi idonea a evidenziare rapporti tra il personale Enav e personale delle società Print System e Arc Trade, ma anche le agende, le rubriche, i documenti informativi o cartacei per verificare l'esistenza e la natura di questi rapporti». Un accertamento che sarà effettuato esaminando pure «la registrazione degli ingressi a partire dal 1 settembre 2010 in Selex e in Enav». Controlli che serviranno da riscontro a quanto Cola ha raccontato circa le sue visite e quelle di altri manager negli uffici delle due aziende.
Il consulente ha parlato ampiamente del trasferimento di capitali e non a caso nel provvedimento di sequestro si dispone di acquisire «la documentazione che attesti l'esistenza di relazioni bancarie in Italia e all'estero su cui è possibile, in relazione agli indagati di corruzione, siano pervenuti flussi finanziari come corrispettivo degli atti contrari ai doveri d'ufficio». Linguaggio burocratico che in realtà si riferisce alle «mazzette» che i manager avrebbero ricevuto in cambio della concessione degli appalti.

I contanti per Borgogni
Proprio in questo quadro vengono inserite le quattro società «riferibili alle attività di Lorenzo Borgogni», il capo delle relazioni esterne di Finmeccanica, che si sono aggiudicate lavori. Si tratta della Renco Spa, la Simav - sistemi di manutenzione avanzati Spa, la Aicom, la Chorus Services e Architecture. Secondo i magistrati Borgogni avrebbe ottenuto circa 300 mila euro in contanti e altre utilità proprio per averle agevolate nell'aggiudicazione delle commesse. Ad assegnarle era la Selex e adesso dovranno essere analizzati i documenti relativi ad ogni gara proprio per quantificare l'accantonamento dei fondi extrabilancio.

Nel corso dei loro interrogatori prima Iannilli e poi Cola hanno affermato come il sistema per l'erogazione di soldi ai consulenti non prevedesse una percentuale fissa su ogni appalto, ma una sorta di pagamento periodico che poteva avvenire ogni sei mesi o addirittura un anno. Una somma complessiva versata a titolo di ricompensa per aver indicato alle capofila le società alle quali affidare i subappalti. Una traccia di questi affari illeciti potrebbe essere contenuta in alcuni atti interni. Non a caso i pubblici ministeri hanno acquisito la documentazione relativa a «inchieste interne e audit in ordine alla regolarità dell'assegnazione dei lavori, nonché copia dell'organigramma e delle relative modifiche dei dirigenti di Enav e Selex negli ultimi cinque anni, per la ricostruzione dei singoli procedimenti». Nello scorso luglio i vertici dell'Ente di assistenza al volo, al termine di un audit, decisero di sostituire il consiglio di amministrazione e il management di Techno Sky contestando «irregolarità gestionali e procedurali». L'analisi di queste carte potrebbe dunque fornire ulteriori elementi per comprendere i ruoli avuti dai manager ed eventuali altri illeciti commessi da chi è stato poi costretto a lasciare le aziende.

Fiorenza Sarzanini

27 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/10_novembre_27/dieci-milioni-di-fondi-neri-per-versare-mazzette-a-politici-e-manager-fiorenza-sarzanini_37fcf8e4-f9f9-11df-9c9e-00144f02aabc.shtml?fr=box_primopiano


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Finmeccanica, sospetti di depistaggio
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2010, 06:12:00 pm
L'Inchiesta

Finmeccanica, sospetti di depistaggio

Secondo i pm gli indagati avrebbero tentato di sfruttare un intervento della Finanza.

Il tentativo di boicottaggio


ROMA - Nelle scorse settimane alcuni indagati avrebbero cercato di fermare l'inchiesta su Finmeccanica. Il tentativo, smascherato da intercettazioni telefoniche, è adesso al centro di un'indagine avviata dalla Procura di Perugia. E ha per protagonisti gli stessi alti funzionari che i magistrati romani accusano di aver creato una contabilità occulta attraverso fatture false e appalti gonfiati per pagare tangenti a manager e politici. Spiccano i nomi del presidente dell'Enav Luigi Martini e del capo delle relazioni esterne della holding Lorenzo Borgogni, che i magistrati romani accusano di essere uno dei terminali del sistema di corruzione. Ieri è stato interrogato per oltre due ore e nei prossimi giorni dovrebbe essere convocato lo stesso Martini. Ma prima era già stato ascoltato come parte lesa il procuratore aggiunto della capitale Giancarlo Capaldo, il titolare del fascicolo.

«Arriva la botta»
Il caso nasce la scorsa estate. Gli accertamenti sull'affare Digint e sull'esistenza di «fondi neri» sono in una fase cruciale con Capaldo e i carabinieri del Ros che hanno rintracciato svariati conti esteri e molti milioni di euro riconducibili a consulenti e funzionari che hanno effettuato l'operazione di compravendita della società e stanno effettuando rogatorie in Medio Oriente e in altri paradisi fiscali. I vertici di Finmeccanica sono evidentemente in agitazione. Viene captata una telefonata tra Martini e Borgogni che commentano gli ultimi sviluppi. «Stai tranquillo - afferma il primo - perché ora arriva una "botta" della finanza che gli farà perdere l'inchiesta». Capaldo capisce che è lui l'obiettivo, ma inizialmente si decide di non dare un peso specifico alla conversazione che potrebbe anche essere una millanteria. Si vigila comunque su eventuali interferenze che potrebbero essere messe in atto per depotenziare le indagini o addirittura per far cambiare mano al fascicolo. Nulla accade fino agli inizi di ottobre scorso, quando il nucleo di polizia tributaria della capitale trasmette ai magistrati una informativa sugli affari di Enav e sui sospetti che riguardano un giro di false fatture. Il capo dell'ufficio delega il pubblico ministero Paolo Ielo che dispone nuove verifiche. Procede ipotizzando il reato di corruzione nei confronti dei vertici dell'Ente e quando il quadro delle presunte responsabilità appare delineato informa i capi dell'ufficio che intende eseguire perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni degli indagati.

Si cerca la «talpa»
In quel momento la trama dei sospetti viene così svelata, Ielo viene informato dell'esistenza dell'intercettazione tra Martini e Borgogni. Si valuta la possibilità che la «botta» di cui parlavano sia proprio quell'informativa consegnata dai finanzieri. Si cerca di capire chi possa aver informato i due manager che effettivamente la Guardia di finanza avesse avviato verifiche sull'Enav. Si scopre così che lo spunto per gli investigatori del nucleo di polizia tributaria è stato fornito da una denuncia su irregolarità fiscali che però è arrivata in forma anonima. Agli inizi della scorsa settimana l'accordo tra magistrati è raggiunto. Il fascicolo su Finmeccanica - che intanto si è arricchito grazie alla scelta di collaborare presa da Lorenzo Cola, il consulente del presidente Pier Francesco Guarguaglini, e dal suo commercialista Marco Iannilli - e quello su Enav rimangono separati. Ma i titolari delle indagini avranno una delega comune e lavoreranno insieme. I magistrati sono convinti che questa soluzione servirà a proteggere entrambe le inchieste da possibili fughe di notizie che possano agevolare gli indagati, almeno sino a che non sarà individuata la «talpa» che ha informato Martini dell'iniziativa delle Fiamme Gialle e che, questo è il timore, avrebbe potuto continuare a passare informazioni. E così venerdì scorso - quando scattano le perquisizioni nelle sedi di Selex Sistemi Integrati e di Enav, negli uffici delle società che hanno ottenuto gli appalti e i subappalti, nelle abitazioni dei vertici aziendali - si decide di trasmettere copia dell'intercettazione alla Procura di Perugia, competente a indagare sui magistrati della capitale sia quando sono indagati sia quando sono parte lesa. E adesso spetterà proprio agli inquirenti umbri individuare la fonte che ha cercato di fermare l'attività di Capaldo, o quantomeno di conoscere il contenuto del suo fascicolo.

Cola indica i «pagatori»
Non è un mistero che l'indagine sia ormai entrata in una fase estremamente delicata. Nei provvedimenti di perquisizione e sequestro eseguiti la scorsa settimana - notificati all'amministratore di Selex Marina Grossi e di quello di Enav Guido Pugliesi per corruzione e frode fiscale, al presidente dell'Ente di assistenza al volo Luigi Martini, al suo predecessore Bruno Nieddu, al componente del consiglio di amministrazione dello stesso Ente Ilario Floresta, al capo delle relazioni esterne di Finmeccanica Lorenzo Borgogni, ai dirigenti di Selex Letizia Colucci e Manlio Fiore, all'ex amministratore di Techno Sky Paolo Prudente, oltre a numerosi imprenditori - è ben spiegato il meccanismo che consentiva di creare i «fondi neri». Enav passava gli appalti a Selex, che a sua volta individuava le ditte per i subappalti. La maggior parte venivano affidati a Techno Sky, a sua volta controllata da Enav. Gli altri finivano a pochi privilegiati scelti a trattativa privata che così ricevevano un fiume di denaro. È stato Cola a raccontarlo, ma ha aggiunto altri preziosi dettagli. E così le sue rivelazioni sono state così descritte nel decreto firmato dai pubblici ministeri: «Risulta che per un verso Paolo Prudente pagava gli amministratori Enav per l'assegnazione dei lavori a Selex, per altro verso l'esistenza di un concorso di Lorenzo Borgogni, con società che a lui si riferivano (Renco, Auxilium, Simav - sistemi integrati, Aicon e Corus) nell'emissione di fatture sovradimensionate nei confronti di Selex». Cola assegna a Borgogni una posizione chiave e afferma che ottenne come ricompensa almeno 300 mila euro in contanti, oltre alle commesse per le sue aziende. Oggi è previsto un nuovo interrogatorio del consulente.

Fiorenza Sarzanini

01 dicembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/10_dicembre_01/sarzanini_boicottaggio-finmeccanica_1b9cd724-fd13-11df-a940-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Preoccupazione al Viminale: parole che aizzano la protesta
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2010, 02:47:51 pm
Retroscena - Malumori nei sindacati di polizia. Il questore riconferma la «zona rossa»

Preoccupazione al Viminale: parole che aizzano la protesta

Al ministero l'intervento è considerato «una provocazione»


ROMA - Adesso i responsabili della sicurezza sono preoccupati davvero. Perché a due giorni dall'inizio della mobilitazione contro la riforma Gelmini, la dichiarazione del capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri che evoca gli anni di piombo e propone arresti preventivi, viene letta ai piani alti del Viminale come una vera e propria «provocazione che serve a eccitare gli animi in un momento già molto delicato».

Una presa di posizione che rischia di far fallire definitivamente i già difficili tentativi di avviare un dialogo con l'ala più estrema degli studenti pronti alla protesta. Del resto si tratta di una misura inapplicabile nel nostro ordinamento e dunque si è consapevoli che la scelta di inserirla nel dibattito di questi giorni «ha come unico risultato quello di aizzare la piazza».
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha convocato per oggi pomeriggio una riunione con il capo della polizia e con gli addetti ai servizi di ordine pubblico per mettere a punto un piano di prevenzione in vista delle manifestazioni che cominceranno domani in tutta Italia e confluiranno nel corteo previsto per mercoledì a Roma, quando nell'Aula di palazzo Madama è previsto il voto definitivo sul disegno di legge. Il questore Francesco Tagliente ha confermato la scelta di ripristinare la «zona rossa» per il controllo dei palazzi delle istituzioni, aggiungendo i «nuclei mobili» per monitorare le altre aree nel tentativo di bloccare eventuali assalti di gruppi sparsi per la città. Ma le strutture investigative e di prevenzione cercano anche una mediazione con chi scenderà in piazza, con un mandato specifico che lo stesso Tagliente ha affidato al dirigente della Digos. È il dialogo più volte invocato e adesso messo a rischio dal clima di contrapposizione forte causato dalla sortita di Gasparri.

Nei giorni scorsi i sindacati di polizia si sono ritrovati insieme a protestare davanti alla villa di Berlusconi ad Arcore contro i tagli che «ci umiliano e mettono seriamente a rischio la nostra capacità di garantire la sicurezza dei cittadini». Sono nuovamente compatti ora nel rispondere a chi, come sottolinea il segretario del Siulp Felice Romano, «pensa di farci giocare alla guerra e a chi si arma di più. Con i giovani bisogna parlare, discutere e non mostrare i muscoli. In particolare chi rappresenta un gruppo parlamentare dovrebbe avere senso di responsabilità e comprendere che solo il dialogo serio può farci uscire da questa situazione».

Quando gli viene letta l'esternazione del senatore pdl, Enzo Letizia, segretario dell'Associazione Funzionari di polizia, rimane stupefatto perché «da un legislatore si pretende senso di responsabilità e capacità di dialogo, oltre che di ascolto. Mentre dal governo nel suo complesso le forze dell'ordine esigono di essere messe in grado di garantire l'ordine pubblico tenendo a bada le frange di violenti, dotandole di strumenti adeguati a consegnare alla magistratura prove inconfutabili per una condanna certa e rapida». Più volte i rappresentanti di categoria hanno chiesto di poter utilizzare «microtelecamere sui caschi, proiettili con vernice indelebile e spray urticanti a lunga gittata per evitare lo scontro fisico», ma si tratta di dispositivi che non possono essere introdotti senza una misura che renda riconoscibili i poliziotti, i carabinieri e i finanzieri, ad esempio con un numero di matricola sui caschi.

Nicola Tanzi, rappresentante nazionale del sindacato autonomo Sap, mette sullo stesso piano «poliziotti e studenti che vivono il disagio di trovarsi di fronte a un governo sordo alle loro richieste». E aggiunge: «Lo Stato deve garantire la sicurezza e l'ordine pubblico attraverso la legislazione ordinaria, non con provvedimenti d'urgenza comunque inapplicabili. Discutiamo davvero sulla possibilità di vietare a chi è già stato condannato di partecipare a cortei e sit-in in modo da isolare i violenti». Di proposta «illegittima e pericolosa per il sistema democratico» parla il segretario del Silp Cgil Claudio Giardullo, secondo il quale «sicurezza e diritto di manifestare non sono inconciliabili, soprattutto di fronte a forzature come le misure restrittive ipotizzate dal senatore Gasparri che fanno a pugni con la Costituzione. In questo modo si crea un clima di rottura sociale che non serve al Paese. Un'idea del genere non fu presa in considerazione neanche dopo il G8 di Genova».


Fiorenza Sarzanini

20 dicembre 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA



Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ecco chi aveva i soldi in Svizzera
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:49:20 pm
I nuovi nomi della lista Falciani. Stilisti, attrici e imprenditori

Ecco chi aveva i soldi in Svizzera. Da Valentino alle Sandrelli, C'è anche Telespazio

   
ROMA - Ci sono stilisti e imprenditori, attrici e gioiellieri, commercianti e dirigenti d'azienda, ma anche illustri sconosciuti che hanno evidentemente deciso di tenere all'estero i propri risparmi. Oltre settecento persone che adesso sono sotto inchiesta a Roma per omessa o incompleta dichiarazione fiscale. Tutte finite nell'ormai famosa «lista Falciani» che prende il nome da Hervé Falciani, il dipendente infedele della sede di Ginevra dalla banca inglese Hsbc scappato con l'elenco dei clienti di mezzo mondo che poi ha ceduto alle autorità francesi. Per l'Italia ci sono 6.963 «posizioni finanziarie» per un totale di depositi che supera i sei miliardi e nove milioni di dollari relativi al biennio 2005-2007.

I documenti contabili ottenuti dalla procura di Torino e dalla Guardia di Finanza sono stati trasmessi per competenza alle varie Procure e nella capitale sono stati avviati gli accertamenti. Gli interessati dovranno infatti essere interrogati dal procuratore aggiunto Pier Filippo Laviani e dal suo sostituto Paolo Ielo, soprattutto per verificare se abbiano usufruito dello scudo fiscale e abbiano così sanato eventuali irregolarità.

ATTRICI E MANAGER - Aveva trasferito parte dei suoi risparmi in Svizzera l'attrice Stefania Sandrelli, che poi ha deciso di usufruire dello scudo e dunque dovrebbe evitare possibili conseguenze penali. Nella lista c'è anche sua figlia Amanda e adesso si dovrà stabilire se sia beneficiaria del deposito della madre o se abbia invece una posizione autonoma. Nulla si sa ancora sull'entità degli importi accreditati sui vari conti correnti: saranno le Fiamme Gialle a dover ricostruire la movimentazione fino a stabilire la cifra portata all'estero. Nella lista consegnata alla Procura c'è poi Elisabetta Gregoraci, la soubrette diventata famosa anche per essere diventata la moglie di Flavio Briatore. Il regista Sergio Leone risulta nell'elenco, ma è scomparso nel 1989 e dunque dovranno essere i suoi eredi a dover fornire chiarimenti ai magistrati.

STILISTI E GIOIELLIERI - Il più noto è certamente Valentino Garavani, seguito a ruota da Renato Balestra. Entrambi, secondo le carte acquisite a Parigi e poi inviate nel nostro Paese, avrebbero depositato capitali presso la banca inglese. Nell'elenco c'è anche Pino Lancetti, il famoso sarto umbro morto nel 2007, che viene inserito insieme alla sorella Edda. E poi le due società che fanno capo a Gianni Bulgari, maestro di gioielleria con la sua "Gianni Bulgari srl" e la "Bulgari International". Gli inquirenti ritengono che anche Pietro Hausmann sia uno dei componenti della famosa gioielleria di Roma. Il Bolaffi che spicca nella lista dovrebbe appartenere alla dinastia nota per la numismatica mentre Sandro Ferrone è certamente lo stilista noto per i negozi sparsi in tutta la città che hanno come testimonial l'attrice Manuela Arcuri.

IMPRENDITORI E MANAGER - Telespazio è la società di Finmeccanica che si occupa di sistemi satellitari e i magistrati vogliono scoprire per quale motivo avesse un conto presso la Hsbc. Sarà soltanto una coincidenza, ma nella stessa lista compare Camilla Crociani, moglie di Carlo di Borbone e figlia di Camillo, che del colosso specializzato in armamenti e sistemi di difesa è stato presidente per diciotto anni prima di essere coinvolto nello scandalo Lockheed. Nella lista c'è anche il presidente della Confcommercio Roma Cesare Pambianchi, insieme a Carlo Mazzieri, commercialista che risulta socio nella sua attività professionale privata. Nel settembre scorso lo studio è stato perquisito nell'ambito di un'altra inchiesta della magistratura romana che riguarda il trasferimento all'estero, in particolare in Bulgaria e in Gran Bretagna, di società in stato prefallimentare al fine di evitare i procedimenti di bancarotta fraudolenta. Nome noto è pure quello di Mario Salabè, l'ingegnere coinvolto negli anni 90 nelle indagini sui finanziamenti al Pci-Pds con la sua società "Sapri Broker", fratello dell'architetto Adolfo Salabè che invece fu accusato di peculato nell'inchiesta sui «fondi neri» del Sisde quando al Viminale c'era Oscar Luigi Scalfaro del quale Salabè era amico attraverso la figlia Marianna. Risulta invece essere un professore universitario Francesco D'Ovidio Lefevre.

ILLUSTRI SCONOSCIUTI - I ricchi ma non famosi sono la maggior parte. Molte casalinghe, svariati professionisti, titolari di negozi del centro della città con un considerevole fatturato. Si va da Cinzia Campanile a Michele Della Valle, da Carmelo Molinari a Giovanni Pugliese da Mario Chessa a Roberto D'Antona. E ancora nell'elenco: Gabriella e Giorgio Greco; Gianfranco Graziadei; Adriano Biagiotti; Cinzia Santori; Marina Valdoni; Piero Dall'Oglio; Andrea Rosati; Eleonora Sermoneta; Stefania Vento; Giordana Zarfati; Eliane Rostagni; Fabrizia Aragona Pignatelli. La scorsa estate la Guardia di Finanza aveva avviato accertamenti su 25 persone che avevano esportato in Svizzera un totale di 8 milioni e 299 mila dollari, scelte in base ai «canoni di pericolosità fiscale» perché risulta che non hanno presentato denuncia dei redditi, oppure perché la loro dichiarazione è stata ritenuta «incongrua» rispetto alle somme movimentate. Tra loro, l'ambasciatore Giuseppe Maria Borga, la pittrice Donatella Marchini, il marchese Hermann Targiani.

Fiorenza Sarzanini

12 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/11_gennaio_12/stilisti-attrici-e-imprenditori-ecco-chi-aveva-i-soldi-in-svizzera_c8745daa-1e15-11e0-8f93-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'ipotesi dell'evasione per centinaia di nomi.
Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2011, 06:27:26 pm
L'inchiesta. L'ipotesi dell'evasione per centinaia di nomi. In campo l'antimafia

Il tennista e il patron della radio nella lista dei conti all'estero

Panatta jr e Montefusco nella «Falciani». E c'è anche un banchiere

L'inchiesta. L'ipotesi dell'evasione per centinaia di nomi. In campo l'antimafia


ROMA - Tennisti, stilisti, banchieri, imprenditori: si concentra su nuovi nomi l'indagine sugli italiani titolari di un conto presso la filiale di Ginevra della banca britannica Hsbc. Persone che avevano occultato parte dei propri beni al fisco e si sono ritrovate nella famigerata «lista Falciani», l'elenco dei clienti ceduto dal responsabile informatico dell'Istituto di credito Hervé Falciani, 38 anni, alle autorità francesi. Migliaia e migliaia di correntisti di mezzo mondo tra i quali ci sono, appunto, 6.963 nostri connazionali che hanno trasferito oltre confine oltre sei miliardi e nove milioni di dollari. Su di loro indagano adesso Procure e Guardia di Finanza per ricostruire la movimentazione e verificare quanti abbiano scelto di usufruire dello «scudo» e così evitare conseguenze penali.

I beni mafiosi
Si procede per omessa o infedele dichiarazione, ma in alcuni casi si valutano reati ben più gravi come il riciclaggio. Il sospetto degli inquirenti è che dietro alcune «posizioni» si nascondano in realtà prestanome o titolari di società incaricate di ripulire fondi provenienti da operazioni illecite. Una copia della lista è stata inviata alla Procura nazionale antimafia per stabilire eventuali collegamenti con organizzazioni criminali.

Sportivi e imprenditori
Claudio Panatta è meno noto del fratello Adriano, ma ha seguito la sua passione tennistica fino ad arrivare nella squadra di coppa Davis. Il suo nome è inserito nell'elenco acquisito dai pubblici ministeri capitolini Pier Filippo Laviani e Paolo Ielo. Proprio come Eduardo Montefusco, l'imprenditore diventato famoso per aver trasformato Rds, la radio della capitale, in uno dei network più ascoltati. Entrambi dovranno essere convocati per verificare se abbiano avuto accesso a possibili sanatorie. Saranno invece gli eredi dello stilista Egon Von Furstenberg, morto all'ospedale Spallanzani nel 2004 dopo una vita dedicata alla moda, a dover dichiarare se il deposito sia ancora attivo ed indicare gli eventuali beneficiari. Chiarimenti saranno chiesti anche Claudio Cavazza, 77 anni, presidente dell'industria farmaceutica Sigma-Tau e vicepresidente di Farmindustria, nominato nel 1987 cavaliere del lavoro. L'anno successivo la stessa onorificenza è stata assegnata al conte Giovanni Auletta Armenise, azionista della Banca Nazionale dell'Agricoltura di cui fu presidente fino al 1985: anche lui è titolare di un conto presso la Hsbc. Proprio come la nobildonna Maria Cristina Saint Just di Teulada.

Attrici e registi
Stefania Sandrelli aveva circa 400 mila euro e ha già consegnato la documentazione che prova la scelta di «scudare» la cifra. Adesso bisognerà verificare se sua figlia Amanda, a sua volta titolare di un conto, abbia preso la stessa decisione. Tre milioni di euro sono stati lasciati dal regista Sergio Leone e un importo identico risulta riconducibile a suo figlio Andrea. Gli analisti della Guardia di Finanza dovranno adesso stabilire se si tratti di due depositi uguali o se invece ci sia stato un passaggio ereditario dopo la morte del maestro del cinema. I primi accertamenti hanno consentito di stabilire come la metà dei conti intestati agli italiani abbia un saldo pari a zero e questo ha fatto partire nuove verifiche su eventuali spostamenti in altre banche. Le prime stime assicurano infatti che soltanto un terzo degli intestatari avrebbe usufruito dello scudo fiscale.

Gli industriali del Nord
Almeno la metà dei nomi trasmessi alla procura di Milano riguardano proprietari di fabbriche - molti mobilieri - del Comasco, della Brianza e della provincia di Varese. L'elenco comprende anche moltissimi nuclei familiari e questo fa presumere che si tratti dei soggetti che rientrano nei cosiddetti «canoni di pericolosità fiscale», vale a dire coloro che non hanno mai presentato una denuncia dei redditi o comunque che avevano una dichiarazione «non congrua» rispetto al proprio tenore di vita.

Fiorenza Sarzanini

13 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/11_gennaio_13/sarzanini-evasione-fiscale-vip_6376ce20-1ee1-11e0-bc88-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Anche a Roma le «case» per le ragazze
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2011, 12:22:13 pm
L'INCHIESTA/2

Anche a Roma le «case» per le ragazze

Dalle intercettazioni nuovi «buchi» nella sicurezza. Una giovane: noi ad Arcore senza controllo

   
ROMA—È un «giro» di ragazze che si passano la voce e spesso vengono esortate a coinvolgere le amiche. Un «giro » che appare ormai fuori controllo. Anche perché il metodo di cessione degli appartamenti alle giovani che partecipano alle feste organizzate dal presidente del Consiglio già sperimentato alla «Dimora Olgettina » di Milano Due, viene utilizzato anche a Roma. L’elenco cambia, uguali appaiono i modi scelti per ripagarle, con case messe a disposizione nella capitale. E si scopre che spesso vengono accettate donne, molte straniere, delle quali non si conosce neanche il cognome. Gli atti della Procura di Milano confermano la vulnerabilità del sistema di sicurezza che deve proteggere il presidente Silvio Berlusconi. Ripropongono in maniera ancor più evidente il problema già emerso dopo la pubblicazione delle foto di Villa Certosa scattate da Antonello Zappadu e delle registrazioni di Patrizia D’Addario. E soprattutto fanno emergere le pressioni e talvolta il possibile ricatto esercitato da queste giovani — quasi tutte aspiranti starlette—per ottenere soldi, alloggi ma pure borse, scarpe, vestiti griffati. C’è quella che lascia il telefono sul letto mentre è a Miss Italia «e tutti hanno potuto leggere gli sms di Lui!». Quella che ha preso 10.000 euro da Emilio Fede «perché aveva le foto scattate col telefonino e aveva bisogno di soldi». Quella che ipotizza di «rubare qualcosa dalla casa». La questione sarà affrontata domani dal Comitato di controllo parlamentare che ascolterà il sottosegretario Gianni Letta dopo il rifiuto di Berlusconi a presentarsi.

«Avevo il cellulare, nessun controllo» Il 20 settembre 2010, dopo la serata ad Arcore, una delle ragazze portate da Nicole Minetti si sfoga al telefono con un’amica. Si dice «nauseata» per quanto ha visto e aggiunge: «Noi siamo entrate proprio senza nessun tipo di controllo nel senso che tu arrivi, fuori di casa, dici il tuo nome e passi con la macchina tranquillamente. Io avevo la mia borsa, il mio cellulare, nessuno me l’ha guardata, nessuno mi ha chiesto niente. Quindi, varchi la soglia ed entri». Il 16 novembre scorso davanti ai pubblici ministeri ribadisce la totale assenza di controlli sulle persone: «Giungemmo ad Arcore a bordo delle due autovetture, fuori dal cancello della residenza c’erano due carabinieri con un’autovettura di servizio e noi ci fermammo. Credo che la Minetti desse il proprio nome, non ricordo con sicurezza se furono forniti anche i nostri nominativi, i carabinieri comunicarono con l’interno tramite radio e ricevettero l’assenso a farci entrare. Ricordo che ebbi modo di sentire l’indicazione proveniente dall’interlocutore all’interno della residenza, che disse "principale", in presumibile riferimento all’accesso di cui dovevamo fruire per entrare all’interno della residenza ». E ancora: «Durante la cena non è successo niente di particolarmente strano, anche se potetti rilevare la libertà con cui tutti potevano circolare e per esempio andarsi a fumare una sigaretta, utilizzare i cellulari, eccetera». Eppure sono le stesse persone dell’entourage di Berlusconi a mostrarsi preoccupate per quanto accade.

«Che brutto gruppo è quello» Il 6 settembre 2010 Emilio Fede parla con l’amica Iman e discutono sull’opportunità di avvisare il premier.

Emilio: quello lì quel cubano che ha portato Marysthelle
Iman: ma sai che non lo so, io sono andata via che li ho lasciati fuori che parlavano tra di loro, boh, non lo so Emilio: che brutto gruppo quello però, eh?!
Iman: sì io non so, non so cosa dire, giuro, non so cosa dire quello è un altro gruppo pericoloso
Emilio: pericoloso quello
Iman: ah sì, per i miei gusti sì poi...
Emilio: ha portato uno lì che ...
Iman: ma io non ho capito perché lei deve sempre portare qualcuno, chi l’ha detto scusa? Cioè nel senso, c’è sempre, cioè si deve sempre portar dietro una squadra, per che cosa scusami?
Emilio: per far guadagnare soldi
Iman: eh ho capito però voglio dire... cioè lui non ci arriva che non è il massimo?
Emilio: io posso intervenire e dire: "Chi è quello lì, devi informarti prima"?
Iman: eh ma scusami eh, gente che è... non sai... non si sa, non si sa niente, pensa se viene fuori, cioè, non so che cosa perché noi non, perché siamo stati insomma... molto fiduciosi e alla fine magari abbiamo fatto male
Emilio: amore non capisco, cioè, non parlare non ti capisco perché parli in fretta e butti via le parole e mi diventa difficile capirti...
Iman: no ho detto, come si fa a stare con delle persone che non sai chi sono...
Emilio: infatti quello lì poi m’ha detto Roberta che l’ha trovato in bagno che stava al telefono e stava raccontando dov’era quello lì
Iman: eh no vedi? eh no, ma io è per quello che ti dico, anche la Marysthelle ma cosa sta facendo?

Le case di Roma per «il giro» A gestire gli appartamenti milanesi all’Olgettina è la consigliera regionale Nicole Minetti che ne ha tre intestati. Chiarisce subito le modalità: «Si versa la caparra e poi lui te la dovrebbe ridare in forma di assegno». Tiene i contatti con il ragioniere Giuseppe Spinelli, lo chiama per assicurare che «c’è l’ok del presidente». E talvolta propone spostamenti da una casa all’altra, oppure una convivenza. Di questo discute il 17 settembre 2010 con Imma De Vivo, una delle gemelle napoletane, che appare ben informata sul meccanismo.

Imma: No, se no possiamo fare così: vedere questo trilocale e poi al limite, se lui decide di mettere anche un’altra persona più avanti qualcuno che chiede, capisci, come ha fatto lì... ha fatto anche a Roma di solito così. Ha messo una o due poi è andata la terza perché era grande la casa, hai capito?
Nicole: Okay, okay. Quali siano le ragazze che frequentano le feste a Roma, dove negli ultimi mesi è apparsa molto attiva la deputata pdl Maria Rosaria Rossi, lo racconta Barbara Faggioli alla stessa Minetti quando si lamenta che le feste sono diminuite e si guadagnano meno soldi: «Nei giri di Roma fanno cene anche tre volte alla settimana, nel giro di Roma ci sono Valeria, Rafia, Cinzia».

Fiorenza Sarzanini

19 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/11_gennaio_19/sarzanini_case_anche_roma_2db2bc8c-2395-11e0-a3c4-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Usata anche Villa Campari, sul lago Maggiore
Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2011, 06:17:45 pm
La Minetti a Puricelli

Fede, Mora e le feste: «Lui stasera è pimpante, chiama le nostre vallette»

Usata anche Villa Campari, sul lago Maggiore. Si cercano altre ragazze non ancora identificate

   
ROMA - Ragazze reclutate con urgenza nei cast dei programmi Mediaset. Giovani da portare alle feste del presidente del Consiglio quando le ospiti abituali erano impegnate. La ricerca spasmodica di donne per assecondare le richieste del premier Silvio Berlusconi emerge nelle telefonate dei suoi amici ora accusati di induzione alla prostituzione, Emilio Fede e Lele Mora. E nei contatti della consigliera regionale Pdl in Lombardia Nicole Minetti che - come risulta dalle telefonate - gestisce gli appuntamenti, seleziona una parte degli inviti, ma si occupa anche della sistemazione nelle case, del pagamento delle bollette, delle liti che inevitabilmente scoppiano tra chi aspira a diventare la «favorita». E le carte processuali della procura di Milano rivelano pure che questo tipo di incontri non avvenivano soltanto nella residenza di Arcore. Almeno una serata fu organizzata a Villa Campari, la splendida dimora acquistata dal capo del governo poco più di due anni fa sul lago Maggiore. C'erano numerose ospiti, alcune non ancora identificate che potrebbero essere rintracciate in vista del processo.

«Lui è pieno cerca a Rete4»
Sono le 20,17 del 25 agosto 2010 quando «Emilio Fede chiede a Lele Mora di "trovargli" urgentemente qualcuno per la cena». Berlusconi ha già organizzato numerose feste nei giorni precedenti.
Mora: sì
Fede: eh lui è pieno, pimpante mi ha chiamato adesso ma proprio pimpante è la serata giusta ma chi trovo, ho detto a Daniele chiedi consiglio a Lele, chi trovo?
Mora: faccio due telefonate
Fede: eh subito, ciao
Subito dopo Mora chiama Daniele Salemi, il suo factotum su Torino, gli "gira" la richiesta. E lui lo informa che sta provando con le vallette del programma Vivere meglio il programma sulla salute che va in onda su Rete4.
Daniele: c'è Simona che mi ha contattato tutte le sue ex colleghe, le "vitamine" di Rete 4... me le ha contattate... e mi ha detto che loro ci sono e la situazione così va bene. Capito? Però stasera no, nell'immediatezza, son tutti in vacanza... tutte le altre persone, sono tutte a Salsomaggiore
Lele: eh, ma glielo dici, così tranquillamente senza problemi, non farti problemi, digli: "non è possibile, non ce la facciamo, troppo tardi..."
Daniele: è troppo tardi... ma poi alle otto per le nove e mezza, come si fa?
Lele: digli "guardi ho fatto un po' di telefonate, non è possibile"
Daniele: no, per domani... che poi abbiamo l'incontro, lì così ce la facciamo, lì impostiamo lì, domani e poi via.
La serata viene organizzata comunque. Emilio Fede rintraccia la sua amica Imam Fadil e alla fine, come risulta dalle verifiche effettuate dalla polizia giudiziaria, le ospiti sono tutte straniere: le rumene Ioana Claudia Amarghioale e Ioana Visan, la brasiliana Iris Berardi, la russa Raissa Skorkina.

Anche in vista della festa ad Arcore del 19 settembre 2010 si era deciso di coinvolgere le ragazze di Colorado Cafè di Italia 1, lo stesso show dove fu ingaggiata la Minetti. Due giorni prima Francesca Cipriani invia un sms a Lele Mora: «Amore mi ha detto Maristeli che il nostro amico domenica sera fa la cena a casa sua a Milano e vuole che noi coloradine andiamo a fargli vedere uno stacchetto... cosa devo dirgli che vado??? tvttttttb». Lui non ha esitazioni: «Ok tesoro digli tutto ok ci vai».
Corsa all'invito per Villa Campari
Alle 14,18 Fede parla con Giorgio Puricelli, il medico consigliere regionale del Pdl in Lombardia che si trova nella residenza di Berlusconi sul lago Maggiore.
Fede: ehi Giorgio?
Puricelli: eccomi qui, tutto bene Emilio?
Fede: sì sì, no. Tutto benissimo, lui mi ha detto di venire stasera al lago.
Puricelli: perfetto!... perché io sono appena arrivato, doveva essere già qui, invece mi sa che arriva tra un'oretta.
Fede: chi lui? e dov'è? È ancora ad Arcore perché devono aver fatto il pieno all'elicottero non ho ben capito. Io sono già sul lago... non so se portare, non gli ho chiesto se vuole che porto questa qui che a lui gli piace questa qua.
Puricelli: molto! gli piace, gli piace.
Fede: ecco, vorrei fargli capire che non è la mia donna capito? Frega c... a me capito?
Puricelli: (ridendo) ho capito, ho capito. Comunque insomma, voglio dire è una carina, è una che anche ieri poi mi diceva che insomma, che una che non è mai oltre misura, è una che sta al suo posto.
Fede: poi lui gli fa piacere che lei sa tutto di calcio.
Tra le ragazze si sparge la voce di una festa e si scatena la caccia all'invito. La Minetti non è stata inclusa e si affanna per esserci. Alle 13,30 comincia uno scambio di Sms con Puricelli.
Minetti: «Gio ma secondo te il pres vuole fare qualcosa stasera? Perché ieri mi aveva detto forse sì.... Giusto per capire»...
Puricelli: «Siamo al lago nel pom Secondo me Dorme li C'è katarina la gelosa Per me facciamo come ieri sera Cena 5 persone
Minetti: «Ok dai prova a convincerlo a fare qualcosa stasera.... Cosi lo tiriamo un po' su di morale..!! L'ho provato a chiamare ma non mi risponde...»
Puricelli: «Poi gli parlo Ti faccio sapere»
Alle 17 arriva la risposta positiva
Puricelli: «Chiamami per favore»
Minetti: «Ho sentito Barbara. Mi ha detto che si va al lago... Ho il tel scarico e se rispondo mi si spegne...!!»
Puricelli: «Ok coordinati con Emilio Fede. Potete dormire qui se volete»
Minetti: «Oh fantastico.... Grande Gio!»
Dopo un paio d'ore la Minetti invia un nuovo sms: «Gio ma lui ti ha detto di invitarmi? Non vorrei fare l'intrusa». La risposta sembra rassicurarla: «No vieni tranq Tu e Barbara».

Alla fine sul lago si ritrovano svariate ragazze, comprese due che non sono state ancora identificate. «Ci risolve i problemi a mamma a te e a me»

Le intercettazioni sembrano smentire definitivamente che Roberta Bonasia possa essere la fidanzata del presidente Berlusconi.
Appare eloquente la conversazione del 14 settembre scorso con suo fratello, quando lei è al concorso di Miss Italia e gli racconta la telefonata con Berlusconi.
Roberta: non penso mi abbia vista perché ha avuto molto da lavorare mi diceva. Poi mi fa me l'hai preso allora qualche numero di telefono? Guarda te ne ho presi un paio ma non è che c'era questo granché di fighe gli ho detto (ride) e lui mi fa ma no amore mi ha detto (ride) e poi gli faccio ma quando ci possiamo vedere mi ha detto che lui domenica è a Milano perché adesso giovedì è a Bruxelles, venerdì al consiglio dei ministri penso a Roma, sabato è a Taormina e quindi prima di domenica non lo posso vedere. Però cosa faccio domenica vado e torno non mi ha detto di fermarmi... solo che poi lo vedo solo domenica, cosa risolvo in un giorno dovrei stare due o tre giorni da lui
Stefano: no vabbè innanzitutto gli dici, gli dai i dati che l'altra volta non avevi, subito con la faccia così da tranquilla e poi vedi amore... amò ci risolve tanti problemi a tutti
Roberta: e lo so amore
Stefano: a mamma a te a me

Fiorenza Sarzanini

20 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/11_gennaio_20/fede-mora-e-le-feste-lui-stasera-e-pimpante-chiama-le-nostre-vallette-fiorenza-sarzanini_4ba8aa90-2461-11e0-8269-00144f02aabc.shtml


Titolo: Fulvio Bufi e Fiorenza SARZANINI. Reclutamento delle ragazze, pista napoletana
Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2011, 04:26:57 pm
L'INCHIESTA

Reclutamento delle ragazze, pista napoletana

Indagine su euro falsi, spuntano il nome della showgirl Sara Tommasi e le visite a Villa San Martino

   
ROMA - C'è un fronte napoletano che si intreccia con l'inchiesta della procura di Milano sulle feste del presidente. Un traffico di soldi falsi che ha fatto emergere personaggi in contatto con Lele Mora e Fabrizio Corona. Le telefonate e gli sms intercettati nelle ultime settimane rivelano nuovi dettagli sul «reclutamento» delle ragazze da inviare ad Arcore e nelle altre ville di Silvio Berlusconi. Fanno emergere i racconti di chi ha partecipato alle serate, confermando e riscontrando quanto già contenuto nei verbali e nelle conversazioni del fascicolo del capoluogo lombardo. E rappresentano il possibile sfondo alle nuove dichiarazioni dello stesso Corona che in un'intervista pubblicata ieri dal quotidiano Il Mattino ha parlato di «foto di Berlusconi nudo che vengono trattate a Napoli da emissari di settimanali con la malavita». Entro qualche giorno il fotografo sarà interrogato come testimone per scoprire se davvero abbia informazioni sulla vicenda o se la sua sortita sia soltanto l'ultimo tentativo di mettersi in mostra oppure di far soldi. Ma l'indagine condotta dai pubblici ministeri Marco Del Gaudio e Antonello Ardituro ha già aperto nuovi scenari sul giro di prostituzione arrivato sino alle residenze del capo del governo.

I legami di «Bartolo»
Tutto comincia qualche mese fa quando la polizia avvia un'indagine su un traffico di euro falsi. Tra le persone sotto controllo c'è V.S., conosciuto come "Bartolo", che si occupa di campagne pubblicitarie e cura l'immagine di alcune ragazze. Ma cerca di piazzare sul mercato anche le banconote fasulle. Le intercettazioni svelano i suoi rapporti con Corona, e soprattutto quelli con l'attrice Sara Tommasi che diventerà un personaggio chiave dell'inchiesta napoletana, pur se non indagata. La giovane è stata diverse volte ad Arcore, era presente pure il 25 aprile insieme a Ruby e alle altre ragazze dell'Olgettina quando a Villa San Martino arrivò Vladimir Putin. Le conversazioni captate consentono di ricostruire anche altri incontri a pagamento ai quali ha partecipato a Napoli. Il suo telefono viene messo sotto controllo proprio per cercare riscontri all'accusa di induzione alla prostituzione ipotizzata nei confronti dei suoi interlocutori napoletani.

I racconti di Sara
Tommasi invia alcuni sms a Berlusconi, lui non le risponde. Si tratta di messaggi banali di saluti e di auguri. Ben più interessanti sarebbero i racconti che la ragazza fa sul ruolo di Mora e sulle feste che si svolgono ad Arcore. La starlette, nota per aver partecipato a "L'isola dei famosi", parla ampiamente del ruolo delle ragazze, dei metodi utilizzati da «Lele» per il reclutamento, del pagamento dei compensi. E per questo i pubblici ministeri avrebbero deciso di convocarla come testimone prima di trasmettere copia del fascicolo ai colleghi milanesi. Quanto emerso in queste settimane di accertamenti sembra infatti rappresentare un riscontro alle accuse contestate a Mora, ma apre un nuovo fronte anche sui rapporti tra questi personaggi e la criminalità napoletana legati all'organizzazione di incontri sessuali e forse non solo.

Gli scatti proibiti
Da giorni si rincorrono indiscrezioni sull'esistenza di foto che ritraggono Berlusconi insieme alle ragazze in atteggiamenti compromettenti. Immagini che non sono inserite nel fascicolo dell'inchiesta milanese, ma sarebbero state messe sul mercato per cifre da capogiro. Potrebbe trattarsi di scatti «rubati» da qualche ragazza durante le serate e poi affidati a chi aveva i canali giusti per venderli o addirittura per chiedere soldi in cambio della loro sparizione. Un metodo utilizzato proprio da Corona che per questo ha subito anche un processo e una condanna per tentata estorsione. Ora il fotografo sostiene che è la malavita a gestire queste immagini. Ma quanto c'è di vero nelle sue parole? È possibile che a fornirgli le informazioni siano stati gli stessi personaggi indagati per i soldi falsi, oppure che le abbia raccolte in altri ambienti. Tra le persone che negli ultimi giorni avrebbero cercato di vendere foto delle feste c'è il fratello di Roberta O., l'amica di Noemi che trascorse dieci giorni a Villa Certosa per festeggiare il Capodanno 2008. E forse non è l'unico. Del resto i rapporti spericolati di alcune ospiti delle feste sono già emersi nell'inchiesta milanese. Come quello di Eleonora De Vivo, una delle gemelle napoletane che frequentano il presidente e hanno un appartamento all'Olgettina: è fidanzata con Massimo Grasso, imprenditore campano ed ex consigliere comunale di Forza Italia, recentemente inquisito per associazione a delinquere di stampo camorristico.

Fulvio Bufi e Fiorenza Sarzanini

07 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_07


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Feste con le ragazze, il caso Tommasi Vertice tra i pm ...
Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2011, 12:26:46 pm
Feste con le ragazze, il caso Tommasi Vertice tra i pm di Napoli e Milano

I contatti con Paolo Berlusconi e La Russa.

Il ruolo della Ronzulli


NAPOLI — C’è una girandola di contatti e appuntamenti nelle intercettazioni disposte dalla Procura di Napoli sul giro di prostituzione che incrocia quello delle feste del presidente del Consiglio. Perché coinvolge il mondo che ruota attorno a Sara Tommasi, la starlette che partecipava alle serate organizzate nelle residenze di Silvio Berlusconi, ma anche ad incontri a pagamento in alcuni alberghi del capoluogo partenopeo. Le telefonate rivelano i legami della ragazza con politici, dirigenti della televisione, manager, in una ricerca continua di soldi e successo. Ma fanno soprattutto emergere il filo che porta fino alla scuderia di Lele Mora, della quale Tommasi fa parte da anni, e a Fabrizio Corona. È V. S., conosciuto come «Bartolo» e indagato per un traffico di euro falsi oltre che per induzione alla prostituzione, l’uomo che si occupa di «gestire» la ragazza in città in cambio di una mediazione di mille euro a volta. Lui lavora nel settore della pubblicità, ha contatti frequenti con Corona e con lui parla anche dello smercio di banconote fasulle. Lei nelle telefonate con lo stesso Bartolo e con altri amici racconta invece che cosa avviene ad Arcore, parla di «Lele» , svela che «lui ci stordisce, ci mette delle cose nei bicchieri» . E così fornisce riscontro a quanto è già contenuto nel fascicolo avviato dai magistrati di Milano. Non a caso entro un paio di giorni ci sarà un incontro tra i pubblici ministeri delle due città per uno scambio di atti e per la messa a punto di una strategia comune in vista di un interrogatorio della giovane che dovrebbe essere fissato al più presto.

Le richieste al ministro e ai dirigenti della tv
Sara Tommasi— che è stata ad Arcore pure insieme a Ruby in occasione della visita di Vladimir Putin il 25 aprile scorso — spediva sms a Silvio Berlusconi ma nelle trascrizioni non c’è traccia di risposte da parte del Capo del governo. L’attrice appare invece più pressante con il ministro della Difesa Ignazio la Russa, al quale telefona svariate volte. Ma anche con il fratello del premier, l’imprenditore Paolo Berlusconi. Le intercettazioni mostrano i contatti della ragazza con l’europarlamentare del Pdl Licia Ronzulli, che alle feste di Arcore era una habitué tanto da essere stata indicata come una delle organizzatrici, anche perché legata alla consigliera regionale della Lombardia Nicole Minetti. Ma poi l’attrice cerca pure strade per ottenere comparsate in televisione, si rivolge a Fabrizio del Noce e a Massimo Giletti. E a Bartolo chiede di organizzarle appuntamenti in Campania. «Io non voglio più essere nel giro del presidente — confida al telefono a un amico —, voglio muovermi autonomamente» .

Le sostanze di Lele «che ci stordisce»
I racconti sulle feste di Berlusconi si intrecciano su quelli di altre serate alle quali Tommasi partecipa. Quando l’amico le chiede che cosa abbia combinato a Milano Marittima, lei quasi si giustifica: «Non sai mai Lele che cosa ti mette nel bicchiere, però dopo rimani stordita» . L’abitudine di sciogliere sostanze nelle bevande era già emersa nell’inchiesta avviata dai magistrati di Bari sul reclutamento di ragazze da parte dell’imprenditore Gianpaolo Tarantini. Nei colloqui intercettati si raccontava come Eva Cavalli, moglie dello stilista, si sarebbe sentita male mentre era ospite dello stesso Tarantini in Sardegna. Lui provò a smentire questa circostanza durante uno dei suoi interrogatori: «Non corrisponde al vero — dichiarò — il fatto che io abbia versato lo stupefacente "MD"nel bicchiere di Eva Duringer a sua insaputa. Ammetto di averne parlato con tale Pietrino ma escludo che dal tenore della conversazione possa evincersi una qualsiasi mia eventuale ammissione. Posso aggiungere che scherzosamente la stessa Eva Cavalli mi chiese, qualche tempo dopo, se io le avessi versato qualche sostanza stupefacente nel suo bicchiere. Ma io le risposi che non mi sarei mai permesso di fare un gesto simile» .

La convocazione di Sara davanti ai magistrati
Nei prossimi giorni i pubblici ministeri Marco Del Gaudio e Antonello Ardituro interrogheranno la Tommasi come testimone. Ed è possibile che all’incontro partecipi anche un pubblico ministero di Milano. L’ultimo incontro organizzato da Bartolo per l’attrice risale a una decina di giorni fa: appuntamento in un hotel alla periferia di Napoli con un guadagno per lui di 1.000 euro. Sono state le intercettazioni a rivelarlo e il riscontro è arrivato dagli accertamenti svolti dalla polizia. Così è scattata per il «mediatore» l’accusa di induzione alla prostituzione. Di questo dovrà parlare la ragazza, ma anche del ruolo di Lele Mora, visto che quanto lei stessa ha raccontato nelle telefonate — e confermato ieri in dichiarazioni a Radio2 — avvalora le contestazioni della Procura di Milano proprio a Mora, sospettato di essere uno dei «reclutatori» delle feste di Arcore insieme al giornalista di Mediaset Emilio Fede e alla consigliera Minetti.

E sulle foto si apre l’asta
Potrebbe invece cambiare la posizione di Corona: da testimone a indagato, visto che parlava con Bartolo degli euro falsi da immettere sul mercato e potrebbe essere stato a conoscenza degli appuntamenti organizzati negli alberghi per la Tommasi. Le sue dichiarazioni su «foto di Berlusconi nudo che la malavita sta trattando» non trovano alcuna conferma e vengono interpretate come un tentativo di avvelenare il clima. Si sa invece che il fratello di Roberta, la giovane che per il Capodanno del 2008 trascorse una decina di giorni a Villa Certosa con l’amica Noemi Letizia, avrebbe messo all’asta foto delle due ragazze— all’epoca diciassettenni — in posa con il premier. Nulla di sconveniente, ma le indiscrezioni su immagini compromettenti avrebbero comunque fatto salire le quotazioni. E in ogni caso nessuno può escludere che altre istantanee siano in giro, custodite dalle stesse ragazze napoletane o dalle aspiranti starlette che erano assidue frequentatrici delle feste del presidente del Consiglio.

Fulvio Bufi, Fiorenza Sarzanini

08 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_08


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'allarme - La Farnesina valuta di rimpatriare gli italiani
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2011, 03:58:44 pm

L'allarme - La Farnesina valuta di rimpatriare gli italiani

Il Viminale e i timori per la Libia «Rischio invasione di clandestini»

Se Tripoli non tiene, centinaia di migliaia pronti a sbarcare

ROMA - Il rischio di un esodo che potrebbe ben presto trasformarsi in invasione è ben chiaro agli specialisti del Viminale. Perché quanto accaduto nei giorni scorsi con gli sbarchi dei tunisini diventerebbe un'inezia se le autorità libiche decidessero di sospendere i controlli nei porti e sulle spiagge dove continuano ad ammassarsi gli stranieri provenienti da tutta l'Africa subsahariana. Centinaia di migliaia di persone che non aspettano altro se non riuscire ad abbandonare quelle terre e attraversare il Mediterraneo per arrivare in Italia e poi nel resto d'Europa. Lo sa bene il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in costante contatto con l'ambasciatore in Italia Abdulhafed Gaddur. Una preoccupazione che si somma a quella per la sorte degli italiani residenti in Libia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto la verifica costante delle presenze per poter valutare - come ha già fatto la Turchia - anche l'ipotesi di predisporre il rimpatrio di chi vuole rientrare.

«Prospettiva che inquieta»
Lo «sconsiglio» comparso sul sito web della Farnesina dedicato a chi viaggia evidenzia le «situazioni di specifica criticità segnalate in Cirenaica, regione al confine con l'Egitto» e invita a non effettuare «qualsiasi viaggio non essenziale nell'area». Ma ben più esplicito è l'ultimo report trasmesso al ministro dall'Unità di crisi perché, pur sottolineando come a Tripoli il clima sia al momento ancora «tranquillo», specifica la «problematica situazione della Cirenaica» ed evidenzia come sia «la prospettiva che inquieta». Per questo rende conto dei «contatti costanti con l'ambasciata per la valutazione dei diversi possibili scenari relativi alla comunità italiana, avendo già esaminato specifiche iniziative di tutela diretta per chi si trova nella zona di Bengasi».
Protezione mirata, dunque, non escludendo la possibilità di trasferire chi si trova nella zona degli scontri. Una nota ufficiale dell'Eni - che in Libia ha numerosi impianti e soprattutto moltissimi dipendenti - assicura che «al momento non si registra alcun tipo di problematica e la produzione continua, ma monitoriamo costantemente la situazione e seguiamo con attenzione gli sviluppi». La maggior parte dei lavoratori vive in una zona residenziale di Tripoli protetta da servizi costanti di vigilanza e dove finora non c'è stato alcun problema. Gli altri - assicura la società - sono comunque al sicuro. Ma le disposizioni date da Roma e condivise dall'ambasciatore Vincenzo Schioppa prevedono la possibilità di ottenere il rimpatrio immediato qualora la situazione dovesse degenerare anche nella capitale.

Il rispetto del Trattato
Proprio a Bengasi fu firmato il «Trattato di amicizia» tra Italia e Libia che - in cambio di numerose concessioni economiche e politiche al regime del Colonnello - impegna i libici a monitorare le coste per impedire le partenze dalla zona nord del Paese, lì da dove sono sempre salpati gli scafisti con mezzi carichi di immigrati. Due giorni fa il ministro Roberto Maroni ha incontrato l'ambasciatore Gaddur e gli ha rinnovato la preoccupazione per quanto può accadere qualora la sorveglianza venga allentata. Un'eventualità che il diplomatico, ritenuto uno dei fedelissimi di Gheddafi ha escluso, assicurando come le autorità «continuano ad avere il controllo della situazione». In realtà i vertici degli apparati di intelligence e dunque anche i responsabili del settore immigrazione temono l'effetto domino che, come già accaduto in Tunisia e in Egitto, potrebbe portare a un ampliamento della rivolta e dunque a un'assenza di controlli. La conseguenza è ben chiara. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali forniti dallo stesso Maroni nell'ottobre scorso, «dopo gli accordi con la Libia gli sbarchi sull'isola di Lampedusa sono diminuiti del 98 per cento. Sono infatti passati dai 37.000 del 2009 a 404 del 2010». Un trend positivo che con l'arrivo della bella stagione e con l'eventuale via libera da Zwara e dalle altre località costiere alle partenze potrebbe subire presto un'inversione. Non a caso dal Dipartimento dell'Immigrazione è partita la richiesta per un monitoraggio costante dell'area dove in questi mesi gli extracomunitari sono comunque arrivati. Hanno attraversato il deserto e sono rimasti nell'attesa di trovare comunque un modo per aggirare i controlli e provare a partire, semmai seguendo una rotta alternativa a quella che porta in Sicilia. E dunque puntando verso la Calabria, la Sardegna o addirittura verso Grecia e Turchia per poi muoversi con altri mezzi verso l'Italia e il nord Europa.

Fiorenza Sarzanini

20 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Maroni appoggia la richiesta di Casini. (sic)
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2011, 04:04:49 pm
IL VIMINALE

«Unità di crisi aperta all'opposizione»

Maroni appoggia la richiesta di Casini.

Maxi-tendopoli in Sicilia per gestire gli sbarchi


ROMA — Il piano di emergenza che in queste ore viene messo a punto al Viminale è quello che prevede lo scenario peggiore. Perché in Libia vivono da tempo oltre un milione di clandestini provenienti da altri Paesi della regione e il crollo del regime di Gheddafi potrebbe spingere molti di loro a mettersi in viaggio verso l’Europa e dunque sulla rotta che passa per l’Italia. Il clima di tensione che si respira nel nostro Paesetrova conferma quando la Difesa decide di alzare il livello di allerta nelle basi dell’aeronautica, mentre l’Interno coordina gli interventi di sicurezza in collegamento con l’Unione Europea. Ma la trova soprattutto nella decisione del ministro dell’Interno Roberto Maroni di appoggiare la richiesta del leader Udc Pierferdinando Casini per la creazione di una «unità di crisi» aperta ai partiti dell’opposizione. I due ne avrebbero parlato in colloquio telefonico e stasera la questione sarà affrontata nella riunione convocata a palazzo Chigi.

Schierati aerei e flotta navale
Il sistema di controllo sulla costa libica è già saltato, il contingente della Guardia di Finanza che fino a qualche giorno fa pattugliava porti e spiagge insieme ai poliziotti locali è stato trasferito presso l’ambasciata italiana a Tripoli. Gli ufficiali di collegamento che sono ancora operativi hanno comunicato di non avere più interlocutori con i quali trattare. Vuol dire che non c’è più alcuna vigilanza e dunque bisogna riorganizzare il sistema di sorveglianza con i mezzi navali e con gli aerei. Perché le notizie arrivate ieri in serata— sia pur non controllate — parlavano di decine di barconi pronti a salpare appena le condizioni del mare lo consentiranno. Non a caso si è deciso di mobilitare la nave Marina Elettra dotata di un particolare sistema radar e di controllo tecnologico che consente l’intercettazione delle comunicazioni. Fino a ieri sera era nel porto di La Spezia, ma nelle intenzioni dei vertici militari c’è quella di farla salpare con a bordo le unità speciali di contrasto all’immigrazione clandestina, in grado di fronteggiare l’arrivo dei pescherecci e dei barconi carichi di migranti.

Il finanziamento da 100 milioni di euro
Era stato proprio Maroni — di fronte al precipitare della situazione in Libia — a sollecitare Silvio Berlusconi a convocare con urgenza un vertice interministeriale. In primo piano c’è l’emergenza immigrazione, ma ci sono anche le ripercussioni di questa crisi sull’economia italiana. «Rischiamo di fare la fine di Costantinopoli» , ha sottolineato il titolare dell’Interno illustrando al presidente del Consiglio i pericoli provenienti dalle rivolte che infiammano l’intero Maghreb. E non celando i propri timori per il fermento di quell’area islamista che, secondo numerosi esperti, si muove per fomentare e per cercare di orientare i movimenti popolari. Sabato scorso, mentre in Cirenaica esplodevano le proteste, il prefetto Rodolfo Ronconi, responsabile del Dipartimento Immigrazione del Viminale, ha presieduto la riunione con i responsabili degli Affari Internazionali della commissione europea per mettere a punto il piano di intervento in mare. L’Italia ha già schierato i mezzi navali della Marina, della Finanza e della Guardia Costiera e quelli aerei per la sorveglianza dall’alto. Ora scatta la missione Frontex, ma anche questo potrebbe non bastare tenendo conto che la Tunisia e l’Egitto non sono affatto pacificate e pure il Marocco appare in fermento. L’Italia ha chiesto alla Ue un finanziamento da 100 milioni e domani Maroni rinnoverà questa esigenza nell’incontro a cinque che precede la riunione dei ministri dell’Interno dei 25 Stati membri dell’Unione prevista giovedì a Bruxelles.

Caserme e tendopoli per migliaia di posti
Il vertice di domani al Viminale coinvolgerà Francia, Grecia, Cipro e Malta, direttamente coinvolti insieme alla Spagna nella nuova ondata migratoria che arriva dall’Africa. Maroni comunicherà quanto è già stato deciso di fare in Italia per essere pronti a gestire le migliaia di extracomunitari che potrebbero arrivare nei prossimi giorni e quelli che sono già approdati dopo essere partiti dalla Tunisia. Al momento viene confermata la scelta di farli rimanere in Sicilia: la Protezione Civile ha trasferito il materiale per allestire tendopoli in varie aree e così «sfollare» il centro di accoglienza di Lampedusa e soprattutto l’intera isola ormai occupata da migliaia di migranti. I Cie e le altre strutture italiane hanno una capienza complessiva di oltre 6.000 persone, ma si punta ad avere almeno altrettanti posti e dunque si devono individuare le aree dove creare i villaggi. Una soluzione estrema che però non viene affatto esclusa, tenendo conto della gravità delle informazioni che arrivano dalla Libia e più in generale dal Nordafrica. Chi chiede asilo dovrebbe invece essere alloggiato nel Villaggio degli Aranci a Mineo, in provincia di Catania, anche se il Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, ha chiesto ieri al ministro di valutare un’ipotesi alternativa nel timore che «in una struttura così grande si perda il controllo della situazione» . La scelta definitiva dovrebbe essere fatta oggi, inserita in un progetto complessivo che si muove seguendo le regole previste dallo stato di emergenza umanitaria decretato nei giorni scorsi. Un piano da sottoporre all’Unione Europea dove Maroni ribadirà che l’Italia non è in grado di fronteggiare da sola «una situazione che rischia di trasformarsi in una catastrofe per tutto il nostro continente» .

Fiorenza Sarzanini

22 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica


Titolo: I pm Woodcock e Curcio indagano su una presunta associazione segreta
Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2011, 05:45:19 pm
A Napoli

I pm Woodcock e Curcio indagano su una presunta associazione segreta

Manager e politici, sospetti su una loggia Nell'inchiesta sfilano testimoni eccellenti

Il ruolo di Bisignani e di un carabiniere mai rientrato dall'Africa


ROMA - È arrivata a popolarsi di «testimoni eccellenti» l'inchiesta della Procura di Napoli su una presunta associazione segreta ribattezzata P4, costituita per «interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale».

Nei giorni scorsi i pubblici ministeri Francesco Curcio e Henry John Woodcock hanno ascoltato come persona informata sui fatti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. E sono andati a sentire il presidente del Copasir, comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Massimo D'Alema. Al quale hanno chiesto conto di alcuni lavori dell'organismo che controlla l'operato dei servizi segreti; dopo che è arrivata una formale richiesta, il Copasir ha trasmesso gli ordini del giorno della sua attività. Ancora, fra le persone interrogate c'è Italo Bocchino, il vicepresidente di Futuro e Libertà, la nuova formazione politica creata da Gianfranco Fini, per provare a chiarire alcune vicende legate alla cosiddetta «macchina del fango» da lui più volte denunciata, e i mancati finanziamenti al giornale Roma, di cui è editore. E dopo Bocchino è toccato al direttore generale della Rai Mauro Masi.

Intelligence e politica
Sembra dunque un'azione complessa e a vasto raggio quella dispiegata dai magistrati napoletani, destinata a proseguire nelle prossime settimane anche attraverso l'analisi del materiale sequestrato nelle perquisizioni disposte di recente. Uno dei principali personaggi intorno al quale ruota l'indagine napoletana è Luigi Bisignani, manager e uomo d'affari dalle importanti relazioni politiche ed economiche, considerato molto vicino a uomini di governo, dirigenti dei servizi segreti (fra i testimoni ascoltati a dicembre c'è anche il direttore dell'Agenzia informazione e sicurezza esterna, l'ex Sismi, Andriano Santini) e di enti pubblici strategici, come l'Eni. Nella settimana che s'è appena conclusa gli investigatori sono andati a cercare elementi utili all'inchiesta nelle case e negli uffici dell'autista, della segretaria e della madre di Bisignani.

Tra i nomi che compaiono agli atti dell'inchiesta c'è pure quello del deputato del Pdl Alfonso Papa, ex magistrato ed ex vice-capo di gabinetto del ministero della Giustizia quando Guardasigilli era il leghista Roberto Castelli. Dopo che il suo nome è comparso sui giornali, Papa s'è lamentato di essere vittima di violazioni delle sue prerogative parlamentari, e l'attuale sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati ha annunciato a Montecitorio la richiesta di accertamenti da parte del ministro Alfano. Il procuratore di Napoli Lepore ha già risposto «nei limiti della riservatezza imposta dal segreto investigativo», come ha pubblicamente spiegato aggiungendo: «Non abbiamo mai perseguitato nessuno, e non guardiamo in faccia nessuno; se sono stati consumati reati essi vanno perseguiti, se non ci sono stati ci saranno proscioglimenti o archiviazioni».

Istituzioni e «affari»
La composizione della presunta associazione segreta e le sue concrete attività e finalità non sono ancora state svelate dagli inquirenti. Il procedimento, di cui ha dato anticipazione un paio di mesi fa Il fatto quotidiano, è nella fase preliminare e non ha manifestato i suoi esatti contorni. Ma qualcosa è trapelato con il coinvolgimento di un maresciallo dei carabinieri in forza alla sezione anticrimine dei carabinieri di Napoli, Enrico la Monica. Il sottufficiale è uno degli indagati per violazione della legge Anselmi (quella che vieta, appunto, la costituzione di società segrete come la Loggia P2 di Licio Gelli), associazione a delinquere e concorso in rivelazione di segreto d'ufficio. A dicembre sono scattate le perquisizioni nei confronti suoi e di altre tre persone a lui legate. La Monica doveva rientrare da un viaggio in Senegal ma non è mai atterrato all'aeroporto di Fiumicino dove lo attendevano alcuni suoi colleghi dell'arma e della Guardia di Finanza; da allora non è tornato nemmeno in servizio, inviando certificati medici.

Il carabiniere, che aveva in animo di essere arruolato nei servizi segreti, è accusato di far parte di un «sodalizio criminoso, unitamente ad altri esponenti delle istituzioni dello Stato e del "mondo degli affari", costituito e mantenuto in vita allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia». Sul conto di La Monica c'è il sospetto che abbia rivelato «in più occasioni, notizie coperte da segreto, anche attinte da altri appartenenti all forze dell'ordine». Tra le persone «legate» al carabiniere e perquisite alla ricerca di elementi di prova c'è pure Valter Lavitola editore e direttore del giornale Avanti! che s'è particolarmente distinto nella ricerca di notizie su chi si nasconde dietro le società off-shore proprietarie della casa di Montecarlo venduta da Alleanza nazionale e abitata dal cognato di Gianfranco Fini.

L'attività di dossieraggio
I pubblici ministeri napoletani sembrano sicuri della loro ipotesi d'accusa. E nel decreto di perquisizione a La Monica, Lavitola e altre due persone (tra cui un pregiudicato napoletano titolare di punti vendita di «schede telefoniche "coperte" ed illegali utilizzate dal sodalizio» nel tentativo di evitare intercettazioni) affermano di aver individuato «un articolato meccanismo illecito riconducibile a taluni soggetti impegnati nella gestione di un sistema preordinato alla acquisizione illegale e alla gestione, per scopi e finalità diversi e lontani da quelli istituzionali, di notizie riservate e secretate inerenti, tra l'altro, anche delicati procedimenti penali in corso». È la descrizione di un'attività di «dossieraggio» o diffusione di notizie allo scopo di screditare o delegittimare gli «obiettivi» prescelti. Secondo i magistrati «quello che emerge dalle indagini appare e si delinea come un vero e proprio "sistema parallelo" e surrettizio gestito sia da soggetti formalmente estranei alle istituzioni pubbliche e alla pubblica amministrazione sia, invece, da soggetti espressione delle istituzioni dello Stato». Tutto queste emergerebbe soprattutto dalle numerosissime intercettazioni telefoniche realizzate negli ultimi mesi. E proprio da una di queste è scaturito il frammento d'indagine che riguarda le attività del Copasir, sulle quali due interlocutori esprimevano forti preoccupazioni per le conseguenze che avrebbero potuto avere su persone «amiche». Di qui l'interesse per i lavori del comitato di controllo sui servizi segreti.

Giovanni Bianconi, Fiorenza Sarzanini

27 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Che cosa rischia l'Italia
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2011, 03:19:38 pm
I missili libici hanno una gittata di 300 chilometri e quindi non arrivano neanche a Lampedusa

Che cosa rischia l'Italia

Missili, armi chimiche e azioni isolate: tutte le incognite della vendetta del Raìs

 
ROMA - L'incognita adesso riguarda la potenza militare del regime di Gheddafi. Perché alcuni analisti e lo stesso presidente Silvio Berlusconi affermano pubblicamente che i missili a disposizione non hanno la gittata sufficiente per raggiungere il suolo italiano.
Ma in realtà nessuno è in grado di fornire certezze sugli armamenti accumulati dopo la revoca dell'embargo e dunque sull'eventualità che il Colonnello sia in grado di colpire Lampedusa, Linosa e addirittura arrivare fino a Pantelleria. Del resto gli accordi economici stretti negli ultimi anni da numerosi Stati occidentali riguardano anche l'industria bellica, però non esiste una lista ufficiale delle apparecchiature consegnate. Gli apparati di sicurezza sono in regime di massima allerta e nessuna ipotesi viene scartata quando si analizzano le possibili «ritorsioni» già annunciate dal Raìs contro quegli Stati che gli hanno voltato le spalle, in testa proprio il nostro Paese. Non rassicura il fatto che nel suo proclama di ieri Gheddafi abbia minacciato esplicitamente soltanto Francia e Gran Bretagna. Perché il conto con l'Italia non appare affatto chiuso, soprattutto tenendo conto delle promesse che gli erano state fatte per ottenere la firma al Trattato di Amicizia e così bloccare i flussi dell'immigrazione clandestina.

Allerta alle frontiere di terra e mare
Un dispositivo particolare è scattato a protezione delle ambasciate e più in generale di tutte le sedi diplomatiche degli Stati coinvolti nei raid, così come sempre avviene in caso di una crisi internazionale tanto grave. Non risulta che i servizi di intelligence abbiano trasmesso al governo segnalazioni specifiche su possibili azioni progettate sul territorio. Ma due anni fa nessuno previde che Mohamed Game, cittadino libico residente da anni in Italia, si sarebbe fatto esplodere di fronte alla caserma Santa Barbara di Milano per protesta «contro il governo e Silvio Berlusconi responsabile della politica estera». Ed è proprio un eventuale gesto isolato ad allarmare, come è stato ribadito due giorni fa durante la riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza convocato al Viminale dal ministro dell'Interno Roberto Maroni.

La circolare firmata dal capo della polizia Antonio Manganelli e indirizzata a prefetti e questori al momento si limita a sollecitare «la massima attenzione per gli obiettivi sensibili e soprattutto per le frontiere marittime e terrestri», ma la decisione di convocare in maniera permanente il Comitato di analisi strategica conferma le preoccupazioni relative all'evolversi di «una situazione di guerra che può diventare simile all'Iraq e all'Afghanistan però questa volta in un Paese che si trova a poche centinaia di miglia da noi». In queste ore si cerca di scoprire se negli arsenali del Raìs ci siano armi chimiche. Le voci sono contrastanti, ma è pur vero che l'analisi su quanto stava accadendo nel Paese è apparsa da tempo carente se si tiene conto che nessun servizio segreto occidentale aveva previsto che cosa sarebbe accaduto in Libia: né la rivolta degli oppositori partita dalla Cirenaica, né tantomeno la capacità di Gheddafi di riconquistare la maggior parte del Paese come ha mostrato di poter fare negli ultimi giorni, prima della risoluzione dell'Onu di due giorni fa che ha deciso l'intervento militare a protezione della popolazione.

La rete degli ambasciatori
Per cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni i servizi di intelligence occidentale si affidano dunque a quegli ambasciatori libici che il 21 febbraio hanno deciso di abbandonare il regime e schierarsi con i ribelli. Un documento congiunto diramato quattro giorni dopo si rivolgeva al «popolo in lotta» con un messaggio esplicito: «Popolo nostro, in questi momenti noi siamo con te, noi non ti abbandoneremo e ci impegneremo al massimo per servirti come soldati leali al servizio dell'unità nazionale, della libertà e della sicurezza. Noi rimarremo al nostro posto per servire il nostro popolo nei Paesi in cui siamo, nei quali rappresentiamo il popolo libico. Dio abbia misericordia dei martiri del popolo libico». Firme di spicco erano quelle del rappresentante diplomatico in Italia Hafed Gaddur, quello all'Onu Abdurrahman Shalgam che con Gheddafi era stato anche ministro degli Esteri, entrambi ritenuti fedelissimi del Colonnello.
La nota era stata sottoscritta anche dai loro colleghi in Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Grecia e Malta. Adesso sono tutti loro a poter fornire un aiuto prezioso per comprendere dove e come possa essere indirizzata la vendetta di Gheddafi. Il pericolo maggiore riguarda gli italiani e gli altri occidentali che si trovano ancora in Libia e potrebbero essere catturati per essere utilizzati poi come merce di scambio o comunque in un'azione di propaganda contro l'Occidente. Ma la paura per quanto potrà accadere ormai supera i confini dello Stato africano.

Fiorenza Sarzanini

20 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/esteri


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il caso del rimorchiatore in mano ai libici
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2011, 04:51:56 pm
Il caso del rimorchiatore in mano ai libici: si tratta di un messaggio agli italiani

L'intelligence : è la prima ritorsione

Si è temuto che l'obiettivo potesse essere quello di prendere la piattaforma costruita sul giacimento di Bouri


ROMA - L'ipotesi peggiore, quella più temuta dagli apparati di sicurezza adesso è realtà. Perché il sequestro degli otto italiani da parte di alcuni militari libici armati imbarcati sul rimorchiatore «Asso 22» dimostra che le minacce di Gheddafi erano concrete. E questa potrebbe essere soltanto la prima ritorsione messa in atto dal Colonnello per vendicarsi della scelta del nostro Paese di partecipare all'intervento militare contro la Libia. Quando alle 14.30 di ieri il mezzo navale lascia il porto di Tripoli e fa rotta verso il giacimento di Bouri, si comprende che l'obiettivo finale potrebbe essere l'assalto alla piattaforma dell'Eni utilizzata fino a qualche settimana fa per l'estrazione del petrolio. Dunque, l'inizio di una estenuante e drammatica trattativa per ottenere il rilascio dei prigionieri. L'intervento della Marina Militare che fa alzare in volo un elicottero serve a far invertire la rotta, ma questo non risolve la questione. Anche perché fino a tarda notte non è chiaro quale possa essere la destinazione finale scelta dai militari.

Non ci sono rivendicazioni, ufficialmente nessuna richiesta viene fatta pervenire alle autorità italiane. Anzi. L'ordine di spegnere le comunicazioni bordo-terra fa ben comprendere come i militari che hanno catturato i nostri connazionali non abbiano alcuna intenzione di avviare un dialogo. E infatti con il trascorrere delle ore ministero degli Esteri e della Difesa concordano sulla necessità di far calare il silenzio sulla vicenda, sperando che la strada della riservatezza porti a qualche risultato concreto. Le notizie ottenute sono frammentarie, spesso difficili se non impossibili da verificare visto che l'ambasciata italiana è stata chiusa e il personale è stato rimpatriato prima dell'avvio dei raid. Anche gli uomini dell'intelligence risulta che abbiano ripiegato verso Bengasi tanto che il titolare della Farnesina Franco Frattini conferma di aver «chiesto alla Turchia, che in questo momento sostiene i nostri interessi in Libia, di compiere un passo ufficiale nei confronti del governo locale».
Ci si affida ai radar e al pattugliatore «Borsini» della Marina Militare che si trova in zona, sia pur a una distanza di sicurezza, per cercare di seguire la rotta di «Asso 22». Perché in questi casi è comunque indispensabile non perdere la localizzazione dell'imbarcazione e dunque essere pronti a intervenire qualora la situazione rischi di degenerare. Ufficialmente sulla piattaforma Eni ci sono soltanto una ventina di libici. «Il personale italiano - dichiara il portavoce dell'Ente - è stato rimpatriato circa tre settimane fa e l'impianto è stato messo in sicurezza». E allora perché i militari sono saliti a bordo e hanno impiegato un giorno di navigazione per raggiungerlo?

Per capire quali siano le loro reali intenzioni bisognerà attendere le prossime mosse. Non è escluso che una volta approdati decidano di lasciare liberi gli otto italiani. Ma l'irruzione sul rimorchiatore e la scelta di tenere prigionieri i marinai - anche se l'azione dovesse risolversi entro poche ore - rappresenta comunque un segnale preciso, manda un messaggio chiaro: l'Italia è il nemico e può essere colpito. Nella lista degli avversari di Gheddafi il nostro Paese è ormai in cima e questo preoccupa gli apparati di sicurezza, al di là delle dichiarazioni ufficiali che invitano a non avere paura. Anche perché i libici hanno informazioni privilegiate sul nostro Paese che derivano proprio dalla collaborazione strettissima - soprattutto dal punto di vista economico - che ha funzionato fino a un mese fa. E dai rapporti personali tra il Colonnello e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma anche tra l'establishment libico e i politici di tutti gli schieramenti, destra e sinistra, che in alcuni casi hanno addirittura ostentato e rivendicato l'amicizia con il Raìs.

Oltre alle «commesse» milionarie ottenute dalle aziende italiane, per capire quanto fosse continua questa cooperazione basti pensare che la concessione della piattaforma di Bouri è affidata alla «Mellita Oil and Gas», società a capitale misto libico-italiano. Rapporti che ormai appaiono definitivamente chiusi e questo - concordano gli analisti - mette in serio pericolo il nostro Paese, lo espone a ritorsioni che al momento appaiono difficili da prevedere anche se i timori riguardano il sequestro di connazionali in territorio libico e possibili azioni di terrorismo su suolo italiano. Non a caso il Viminale ha intensificato le procedure di controllo sui barconi che arrivano dall'area del Maghreb e approdano a Lampedusa, ma anche sulle persone che entrano in Italia attraverso le frontiere terrestri e aeree. «Scatenerò l'inferno», ha minacciato il Raìs e l'Occidente si prepara a fronteggiare il peggio.

Fiorenza Sarzanini
21 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_21/Intelligence-allerta-sarzanini_78553818-5389-11e0-9775-d7937a6c081d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il governo tratta con Tunisi: mille rimpatri entro domenica
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2011, 05:59:11 pm
LAMPEDUSA

Il governo tratta con Tunisi: mille rimpatri entro domenica

Il piano: gli altri clandestini in Sicilia, Toscana e Basilicata

ROMA - Il governo adesso prende tempo e pensa al rimpatrio dei tunisini che ancora si trovano a Lampedusa. I tecnici del Viminale ribadiscono le difficoltà di procedere con i respingimenti di massa, così come aveva ipotizzato il ministro dell'Interno Roberto Maroni e come vorrebbe la Lega. E dunque è possibile che almeno una nave faccia rotta verso Tunisi, ma soltanto se arriverà il via libera delle autorità locali. La trattativa è in corso, mediazione affidata al finanziere Tarak Ben Ammar che già venerdì scorso - durante la visita dello stesso Maroni e del titolare della Farnesina Franco Frattini - aveva rivestito il ruolo di negoziatore così come gli era stato richiesto dal premier Silvio Berlusconi. Intanto si cercherà di sfollare Lampedusa trasferendo gli stranieri senza permesso nei centri provvisori che proprio in queste ore si stanno allestendo in Sicilia, ma anche in Toscana e Basilicata. Campi creati all'interno delle basi messe a disposizione dalla Difesa che diventeranno tredici entro la prossima settimana.

La scansione delle prossime mosse viene decisa durante una riunione che si tiene in serata al Viminale, prima che il ministro vada a palazzo Chigi per incontrare il presidente del Consiglio. L'impatto che questa vicenda può avere - soprattutto a livello mediatico - non sfugge agli esponenti del governo e dunque si cerca di trovare una soluzione veloce tenendo conto delle polemiche che riguardano proprio i ritardi nel risolvere la situazione di Lampedusa, ridotta ormai allo stremo. Ma sospendendo, almeno al momento, quelle azioni di forza che potrebbero aprire un nuovo fronte internazionale con uno scontro diplomatico, anche perché lo stesso ministro dell'Interno tunisino ha fatto sapere che i controlli sulle coste sono stati ripristinati e questo dovrebbe fermare o quantomeno rallentare i flussi migratori.

L'accordo che già questa mattina potrebbe diventare operativo, prevede che in Tunisia vengano rimpatriate subito alcune centinaia di persone per arrivare a mille entro la fine della settimana. Intanto entro venerdì altri 5.200 stranieri troveranno posto nei centri provvisori e lì scatterà la procedura per l'identificazione e poi l'espulsione proprio come sta avvenendo con gli altri 12.000 tunisini che erano già stati portati via da Lampedusa e trasferiti nei Cie.

Il trattato bilaterale tuttora in vigore con Tunisi impone all'Italia di rimpatriare non più di quattro persone ogni giorno, ma in queste ore è stato sottolineato come questo numero fosse sufficiente quando le rotte erano state chiuse con i pattugliamenti marittimi, certamente non adesso. E dunque è proprio sulla base delle nuove esigenze derivate dalla crisi dei Paesi del Maghreb e dalla guerra in Libia che si chiede una collaborazione delle autorità locali in cambio degli aiuti allo sviluppo nel settore del turismo e della consegna di mezzi e apparecchiature per un totale che sfiora i 300 milioni di euro.

Questa mattina tornerà a riunirsi l'unità di crisi e poi Maroni incontrerà i presidenti delle Regioni che dovranno accogliere i profughi che arriveranno dalla Libia. È un'eventualità, la vera emergenza adesso riguarda chi è senza il permesso di soggiorno ma non ha diritto a ottenere lo status di rifugiato. Per l'evacuazione dell'isola sono già stati potenziati i contingenti di polizia, carabinieri e finanzieri non escludendo che ci sia chi si rifiuta di imbarcarsi e che possano esserci atti di protesta. Una procedura che potrebbe richiedere molte ore, anche se le disposizioni prevedono lo «sfollamento» completo entro la serata.

Fiorenza Sarzanini

30 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_marzo_30/


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Interrogata la showgirl Tommasi
Inserito da: Admin - Giugno 01, 2011, 06:15:25 pm
Napoli L'inchiesta su un giro di prostituzione. «Ma io non sono una escort»

«Ecco i miei rapporti con i politici»

Interrogata la showgirl Tommasi

Ha confermato di essere salita su un'auto della scorta del premier. Palazzo Chigi aveva smentito


NAPOLI - Si presenta in jeans e scarpe da ginnastica, forse sperando di non essere riconosciuta. Ed effettivamente sembra assai diversa dalla ragazza appariscente vista sui giornali o in televisione, lontana da quella immagine di giovane svampita che ha spesso dato di sé. Perché di fronte ai magistrati napoletani Sara Tommasi appare determinata a raccontare che cosa è accaduto nell'ultimo anno, quando si è trovata coinvolta in un giro di prostituzione ed è stata «gestita» da alcuni personaggi napoletani in contatto con Lele Mora e Fabrizio Corona, accusati di averle procurato incontri a pagamento con imprenditori campani. Uno in particolare, Vincenzo Seiello, detto «Bartolo». Sono state le intercettazioni telefoniche a rivelarlo, consentendo poi di ricostruire anche i rapporti che la showgirl, diventata nota dopo la partecipazione all'Isola dei Famosi, intratteneva con alcuni politici. E la sua partecipazione alle feste di Arcore.

Tommasi arriva a palazzo di giustizia poco dopo l'ora di pranzo, accompagnata dall'avvocato Antonio Cozza che l'assiste insieme a Nicodemo Gentile. E nella stanza dei pubblici ministeri rimane oltre tre ore. «Non sono una escort», premette. Ma poi accetta di parlare dei suoi rapporti con i politici, «con quelle persone importanti che mi hanno aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo», lei che per svariati anni è stata nella scuderia di Mora. Nelle trascrizioni delle telefonate ci sono le conversazioni con il fratello del presidente del Consiglio, Paolo Berlusconi, e i rapporti intimi con il direttore di Raifiction Fabrizio Del Noce. Ma anche un colloquio con il ministro della Difesa Ignazio La Russa che la liquida in modo sbrigativo mentre lei lo chiama «amore». E poi i quindici sms inviati allo stesso premier Berlusconi dove si alternano parole di affetto a veri e propri insulti.

Non nega Sara Tommasi queste sue frequentazioni e anzi entra nei dettagli, cerca di ricostruire ogni appuntamento. Non si sottrae quando le viene chiesto di ricostruire cosa accadde il 9 settembre scorso. Quella sera - come emerge dai colloqui intercettati - sotto la sua casa di Roma ci sono «Bartolo» e l'amico Giosuè. Le avevano procurato un appuntamento in un hotel romano, ma all'ultimo la ragazza ha detto che non avrebbe potuto rispettare l'impegno perché «mi ha chiamata una persona che non vedo da tempo». Loro non si arrendono, cercano di incontrarla per convincerla. Ma non ci riescono.

Il motivo lo raccontano subito dopo al telefono a un tale «Checco»: «Guaglio' in vita mia non mi è mai capitata una cosa del genere... Mentre stiamo aspettando giù al palazzo ci ha mandato un messaggio: "Giosuè adesso scendo!"... È arrivata... due macchine con le guardie del corpo di Berlusconi! Se la sono venuta a prendere a questa e se la sono portata... guarda è una incredibile!... Adesso lei non risponde al telefono... Checco sono rimasto allibito di quello che ho visto stasera...». «Bartolo» aggiunge i dettagli: «Ci ha fatto andare là e poi abbiamo visto arrivare queste due macchine, un'Audi A8 e un Audi A6».

Palazzo Chigi aveva smentito la circostanza, ma ora - almeno secondo quanto riferito dal legale - è proprio la Tommasi a confermarlo. «La sua immagine è stata deturpata - spiega l'avvocato Gentile - e lei vuole raccontare la verità». Per farlo non sono evidentemente state sufficienti tre ore e infatti Tommasi tornerà in Procura per un nuovo interrogatorio. L'inchiesta napoletana condotta dai sostituti Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio riguardava inizialmente un traffico di euro contraffatti, ma ascoltando i colloqui dei falsari era emerso il giro di squillo di lusso e così erano stati avviati ulteriori accertamenti e si era arrivati alla Tommasi, che nello stesso periodo partecipava alle serate nelle residenze del capo del governo. Era ad Arcore insieme a Ruby il 25 aprile 2010 in occasione della visita di Putin. Un capitolo che - al termine delle verifiche sui fatti di competenza dei magistrati napoletani - potrebbe essere trasmesso per competenza agli inquirenti milanesi.

Fiorenza Sarzanini

01 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_giugno_01/


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le tre donne ministro nelle carte di Bisignani
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2011, 10:33:30 am
Le tre donne ministro nelle carte di Bisignani

Il consulente spunta in un'inchiesta sui Casalesi


ROMA - Il nome di Luigi Bisignani è emerso anche in un'indagine avviata dalla magistratura di Napoli sul clan camorristico dei Casalesi. I pubblici ministeri lo hanno iscritto nel registro degli indagati e poi hanno trasmesso gli atti ai colleghi Henry John Woodcock e Francesco Curcio, titolari dell'indagine sulla presunta associazione segreta. A rivelarlo è lo stesso giudice nella sua ordinanza di custodia cautelare, quando elenca «i dati di riscontro» alle contestazioni formulate dall'accusa contro lo stesso Bisignani e il parlamentare del Pdl Alfonso Papa. E così fornisce un indizio forte per comprendere quanto ampio sia lo scenario nel quale si muove l'uomo d'affari, ritenuto il vero motore di questo gruppo che, tramite Papa e altre «fonti», avrebbe utilizzato notizie riservate «per favorire o ricattare persone, tra cui anche membri delle istituzioni».

Nella tela di relazioni i contatti con i ministri
Ci sono imprenditori, dirigenti d'azienda, ufficiali delle forze dell'ordine nella rete di Bisignani. Ma ci sono anche numerosi politici, alcuni esponenti del governo. Le intercettazioni telefoniche svelano i suoi tentativi di condizionare nomine e appalti pubblici tessendo la tela delle proprie relazioni. Non solo: per mesi nel suo ufficio di piazza Mignanelli di Roma una microspia piazzata per ordine dei magistrati ha registrato incontri e colloqui. Il resto lo hanno fatto gli interrogatori di centinaia di testimoni ascoltati negli ultimi mesi, ma anche le sue ammissioni di fronte ai magistrati. Dichiarazioni «parziali» ritenute comunque attendibili dal giudice che infatti ha deciso di accogliere la richiesta di arresto, ma soltanto ai domiciliari.

Con il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta, interrogato nel febbraio scorso quando ha confermato il legame, i rapporti erano costanti. E poi ci sono i contatti con il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo che è stata intercettata mentre era nell'ufficio dell'uomo d'affari e proprio su questo è stata ascoltata nei mesi scorsi dalla Procura di Napoli. Non è l'unica. Ci sono anche quelli con la titolare dell'Istruzione Mariastella Gelmini, che Bisignani lo avrebbe consultato frequentemente, come lei stessa avrebbe confermato quando i pubblici ministeri le hanno chiesto di chiarire la natura di alcune conversazioni. Sembra essersi invece incrinata l'antica amicizia con il sottosegretario Daniela Santanchè - che proprio lui avrebbe sostenuto per la nomina governativa - tanto che lo stesso Bisignani ha dichiarato a verbale: «Papa mi disse che ci saremmo potuti levare delle soddisfazioni con Il Giornale e ciò disse, ritengo, perché sapeva che io non avevo grandi rapporti con Il Giornale e con Sallusti per via della Santanchè e della politica che Il Giornale stava facendo contro Fini». Nei mesi scorsi è stata ascoltata come testimone la titolare delle Pari Opportunità Mara Carfagna, ma il suo staff assicura che l'interrogatorio «si riferiva all'attività di dossieraggio contro l'attuale presidente della Regione Stefano Caldoro e ai suoi scontri con Nicola Cosentino».

Sponsor di nomine per generali e 007
Il parlamentare del Pdl Alfonso Papa poteva contare sulle informazioni carpite tra ufficiali e sottufficiali delle forza dell'ordine. Ma gli elementi raccolti durante l'indagine di Napoli mostrano come Bisignani potesse contare sulla fedeltà di molti generali e colonnelli della Guardia di Finanza e dei carabinieri. Dalle telefonate emerge un suo interessamento per la nomina del generale Adriano Santini a direttore dell'Aise, il servizio segreto militare, dove è effettivamente approdato. Il capo del servizio di intelligence è stato interrogato ma ha cercato di minimizzare il ruolo dell'uomo d'affari nella sua designazione.

Un tentativo di ridimensionare i suoi rapporti con il gruppo e in particolare con il parlamentare del Pdl Alfonso Papa, lo ha fatto anche il generale Paolo Poletti, attuale vicedirettore dell'Aisi, il servizio segreto civile. Un mese fa i magistrati lo hanno convocato per sapere come mai l'ex magistrato avesse ottenuto un alloggio della Guardia di Finanza a Roma e soprattutto che tipo di rapporto continuavano a coltivare. «L'assegnazione di una foresteria - ha dichiarato Poletti - mi fu chiesta dal Comando Generale, come spesso avviene quando ci sono magistrati che per ragioni di servizio si trasferiscono e nel caso specifico ciò era avvenuto dopo la nomina di Papa al ministero della Giustizia. Da allora mi è capitato di incontrarlo qualche volta per un caffè, ma nulla di più».

I referenti negli Enti di Stato
Frequentava i politici Luigi Bisignani, ma grande influenza aveva anche sui vertici di aziende statali o a partecipazione come l'Eni e Finmeccanica - guidate dai suoi amici Paolo Scaroni e Pierfrancesco Guarguaglini - tanto da poter influire sulle nomine di alcuni dirigenti e sulle assunzioni di impiegati e manager. Agli atti dell'indagine risultano contatti e trattative con l'entourage di Luca Cordero di Montezemolo per lo spostamento di voti relativo agli assetti interni di Confindustria. In particolare, ci sarebbe stato l'interessamento per favorire alcuni personaggi indicati proprio da Bisignani. Svariati testimoni hanno raccontato di aver ottenuto grazie al suo interessamento e a quello di Papa consulenze, ma anche contratti a tempo indeterminato. Un capitolo di indagine ancora in fase di esplorazione riguarda alcuni appalti assegnati da Palazzo Chigi. Uomo chiave in questo settore sembra essere Antonio Ragusa, ex generale dei carabinieri poi transitato nei servizi segreti, da sempre ritenuto vicino a Bisignani. I pubblici ministeri lo hanno interrogato per ricostruire l'iter di alcune commesse visto che ha l'incarico di capo del dipartimento per le Risorse strumentali della presidenza del Consiglio. Tra i lavori «contestati» c'è quello per l'informatizzazione di Palazzo Chigi affidato alla «Italgo spa» di Anselmo Galbusera che di Bisignani è amico da tempo e ora risulta indagato proprio perché sarebbe stato favorito illecitamente.

«Papa riferiva, ma nessun segreto»
Molte circostanze Bisignani le ha ammesse e chiarite negli interrogatori delle scorse settimane. La sua nuova versione la racconterà lunedì mattina, quando sarà interrogato dal giudice alla presenza dei suoi avvocati Fabio Lattanzi e Gianpiero Pirolo. «Risponderà alle domande - assicura Lattanzi -, chiarirà il proprio ruolo sulle contestazioni che gli vengono mosse. E soprattutto specificherà come Papa gli abbia fornito nel tempo moltissime notizie che si sono rivelate infondate. Lui raccoglieva le informazioni ed effettivamente poi ne discuteva con Letta, ma non si trattava di rivelazioni su notizie riservate, erano soprattutto discussioni sulle inchieste». Una versione diversa da quella che Bisignani ha già messo a verbale, quando ha specificato di aver «informato Letta delle informazioni comunicatemi da Papa e in particolare di tutte le vicende che potevano riguardarlo direttamente o indirettamente come la vicenda riguardante Verdini...».

Fiorenza Sarzanini

18 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_giugno_18/sarzanini_tre-donne-ministro-carte-bisignani_e12eafc6-9971-11e0-872e-8f6615df4e68.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gli 007 nella rete dell'ex pm: «Istituzioni ricattate»
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2011, 08:41:04 am
Le relazioni di Papa secondo l'accusa

Gli 007 nella rete dell'ex pm: «Istituzioni ricattate»

I testimoni: legami con Pollari altri dei Servizi e Pio Pompa Una delle sue donne: da lui Rolex «nudo»


ROMA - Non ci sono soltanto le estorsioni agli imprenditori e le manovre per pilotare nomine e appalti. Perché secondo l'accusa Luigi Bisignani e Alfonso Papa sono inseriti in «un'organizzazione che ricerca notizie segrete per favorire o ricattare persone, tra cui anche membri delle istituzioni». Nella sua ordinanza il giudice chiarisce: «Sono informazioni che talvolta Papa adopera in prima persona, altre volte porta a Bisignani. Altre volte ancora Bisignani ha affermato di sapere che Papa ha informato direttamente altre persone». E adesso l'indagine si concentra sulla «rete» interna agli apparati e agli Enti pubblici che fornivano queste notizie «anche sui "dati sensibili"». Molti nomi sono già svelati dalle carte processuali, altri sono coperti da «omissis». Un aiuto prezioso è arrivato dal sequestro di una «pen-drive» che contiene la «rubrica di Papa». Il resto lo hanno rivelato le donne che avevano rapporti stretti con i due e sono state ricompensate con gioielli preziosi e contratti di lavoro.

Il gruppo degli ufficiali
Afferma Bisignani durante il suo interrogatorio del 14 marzo scorso: «Ho conosciuto Papa e lui mi disse che mi avrebbe dato notizie sulle indagini avviate nei confronti di Stefania Tucci alla quale ero legato... Da tempo Papa mi diceva di poter contare su un gruppo di ufficiali di polizia giudiziaria e in particolare su un carabinieri che attingeva notizie riservate e segretate dagli uffici giudiziari di Napoli... Non c'è dubbio che i canali informativi di Papa erano prevalentemente nella Guardia di finanza... Papa mi disse che conosceva Pompa e che lo aveva conosciuto in occasione di un intervento che il padre aveva avuto al San Raffaele di Milano». Si tratta di Pio Pompa, stretto collaboratore dell'ex capo del Sismi Niccolò Pollari e accusato di aver gestito l'archivio segreto di via Nazionale con dossier riservati su politici, magistrati, giornalisti, imprenditori. Dei rapporti di Papa con gli uomini dei servizi segreti parlano anche altri testimoni ascoltati dai pubblici ministeri. Tutti concordano sugli «stretti legami tra Papa e Pollari». Tra loro il magistrato Umberto Marconi. È stato coinvolto nell'inchiesta sulla P3 e con Papa era entrato in netto contrasto, ma le sue affermazioni sono state ritenute attendibili. Racconta a verbale: «Seppi che Papa abitava a Roma in un appartamento della Finanza. In particolare si parlava di un appartamento tra via Condotti e via Frattina. Non sono in grado di ricordare se l'appartamento fosse della Guardia di finanza e dei Servizi. Addirittura il Papa, almeno all'epoca, era solito girare per Napoli con un servizio di accompagnamento svolto dalla Guardia di Finanza... Sono certo che Papa abbia spiegato e spieghi le proprie energie intrecciando rapporti con i carabinieri e con i servizi segreti, occupandosi poco, anche come parlamentare, delle vicende politiche, concentrato sempre nell'agire nell'ombra, Papa ha praticamente a disposizione delle "truppe" che utilizza per perseguire i suoi scopi personali». Marconi non può negare che ci siano dei motivi di attrito: «Sono certo che Papa abbia tramato nei confronti miei e anche - fatte le debite distanze con me - di Caliendo, al quale non ha perdonato di essere stato nominato sottosegretario al posto suo».

L'amante alle Poste e le false consulenze
La capacità di Papa di influire sulle scelte di politici e dirigenti di aziende è rivelata dalle sue donne. Il 12 aprile viene interrogata Maria Roberta Darsena: «Ho conosciuto Alfonso Papa nel 1999. Il nostro è stato un rapporto personale... Nel 2005 mi sono trasferita a Roma per seguire un corso di preparazione per il concorso in magistratura e Papa mi disse di mandare il mio curriculum alle Poste perché lui avrebbe potuto farmi entrare essendo amico dell'ex presidente e cioè di Cardi. Al riguardo vi posso dire che lui chiamava direttamente Cardi. Sono stata assunta dopo un colloquio prima con uno stage di sei mesi e poi, automaticamente, a tempo indeterminato. Effettivamente conferma che il Papa chiese ad Alfonso Gallo di stipulare con me un contratto di consulenza per una cifra pari a 5.000 euro. Ho anche firmato il contratto tuttavia non si è concluso più nulla dal momento che ho bruscamente interrotto ogni rapporto con Papa». Maria Elena Valenzano, assistente parlamentare di Papa e in rapporti con Bisignani, svela invece la consulenza ottenuta con la Auxilium di Angelo Chiorazzo, il titolare della «Cascina» indagato insieme a Gianni Letta dalla magistratura di Lagonegro per una vicenda legata ai servizi nei centri per l'immigrazione. Afferma la donna: «Papa mi presentò Chiorazzo nel 2009 a un pranzo con l'ex capo della segreteria di Mastella Francesco Borgomeo... Chiorazzo mi disse che aveva ottenuto da Letta la promessa di essere candidato alle elezioni del 2009, promessa non mantenuta. Dopo qualche mese, intorno a settembre, Papa mi disse che Chiorazzo mi sarebbe venuto a trovare perché aveva da farmi una proposta lavorativa. Venne negli uffici alla Camera e mi propose una consulenza con Auxilium riguardante astrattamente la gestione dei rapporti istituzionali inerente ai servizi parasanitari. Fu stabilito un compenso di 1000 euro lordi per 36 mesi e firmammo il contratto con decorrenza ottobre 2009, tuttavia tengo a rappresentarvi che a fronte di tale consulenza, non solo non ho mai fatto nulla e non ho mai svolto alcuna prestazione pur emettendo regolare fattura, ma addirittura quando rappresentai a Chiorazzo che avevo problemi di dichiarazione dei redditi e che non avevo fatto nulla, Chiorazzo disse ad Alfonso che era inutile che lo chiamavo e così risolsi a recedere il contratto». La donna ha ottenuto in seguito altri contratti: «Ho fatto colloqui e ho stipulato contratti di consulenza con Irses e con Selex per 1.500 euro al mese ciascuno». Sono «lavori» che Papa avrebbe ottenuto in cambio delle informazioni sulle indagini in corso fornite a politici e imprenditori.

Il Rolex «nudo» e la tessera di Montecitorio
Racconta ancora Darsena: «Papa mi ha proposto di procurarmi una casa a via Quasimodo a Roma, ma io non ho voluto. Mi chiedete dei regali che Papa mi ha fatto: mi ha regalato quest'anno sicuramente un Rolex, lo ricordo bene perché non me lo diede in una confezione regalo nè aveva una garanzia nè un'etichetta di alcun negozio ma me lo diede così "nudo". Ricordo che mi ha regalato anche un braccialetto tennis di oro bianco e diamanti a Natale di qualche anno fa. Anche il braccialetto non aveva la confezione di un negozio ma solo un astuccio. Poi un anello nella confezione di un negozio e un altro orologio di marca americana contenuto in una semplice scatola non confezionata e senza indicazione. Mi disse che aveva un amico che vendeva orologi. Mi ha regalato anche diverse borse ma nessuna in confezione regalo, semplicemente in confezione di stoffa». Riferendosi ai regali il gip parla di «elementi utili» e aggiunge: «Sembra molto grave, come può agevolmente comprendere chi vive in una città come Napoli il riferimento al Rolex "nudo". Sul tema ha dato qualche indicazione anche Luigi Bisignani durante l'interrogatorio del 9 marzo scorso quando ha affermato: "Papa mi ha regalato due orologi. Lo stesso Papa mi ha più volte detto che a Napoli c'è un buon mercato di orologi ed ottimi prezzi"». Gianna Sperandio viene convocata dai magistrati perché ha una carta telefonica utilizzata da Papa, ma soprattutto perché spesso abita in un appartamento di via Capo le Case, al centro di Roma, che risulta a disposizione del parlamentare. Ai magistrati la ragazza racconta di aver vissuto a Milano e a Roma «ospite a casa di due transessuali, perché io preferisco le donne ma sono intrigata da quel mondo... Papa mi riconosce 700 euro al mese, indubbiamente mi aiuta... Effettivamente ho una Jaguar intestata acquistata nell'ottobre-novembre 2010. Questa macchina che mi è stata regalata da Papa la tengo custodita nel mio garage a Latina. Bollo e assicurazione sono molto cari perciò ugualmente se la vede Papa... Effettivamente anche se ho deciso io di buttare la scheda e quindi non sono stata forzata, Papa mi consigliò di buttarla nell'ottobre 2010. Si trattava di una scheda riservata... L'unica sostanza stupefacente che uso è la marijuana. Il mio consumo medio è di due canne al giorno. È vero che una volta sono andata a Conegliano con una Ferrari F430 di colore nero che mi ha prestato Papa e che a sua volta gli avevano prestato... La mia Jaguar ha i vetri oscurati, anzi mi hanno fatto una multa perché non si possono avere i vetri anteriori destro e sinistro oscurati... L'onorevole Papa mi ha fornito una tessera di riconoscimento emessa dalla Camera dei Deputati per poter accedere a Montecitorio. È stato Papa che mi ha portata a Montecitorio e me l'ha fatta fare. In effetti mi sono telefonicamente rallegrata che non l'avessi con me quando sono stata fermata dalla polizia, non facevo una bella figura che una persona che poteva accedere a Montecitorio si facesse le canne...».

Fiorenza Sarzanini

17 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_giugno_17/sarzanini_007_istituzioni_398f9e28-98a0-11e0-bb19-8e61d656659c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ci manderanno nel baratro» Frattini e lo sfogo con Bisignani
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2011, 05:46:50 pm
L'inchiesta p4, le carte

«Ci manderanno nel baratro» Frattini e lo sfogo con Bisignani

Al telefono i timori sul governo tecnico e la compravendita degli eletti

Dai nostri inviati  FULVIO BUFI, FIORENZA SARZANINI


NAPOLI - Nelle grandi manovre sul futuro del governo Berlusconi dopo la rottura con Gianfranco Fini, Luigi Bisignani si conferma gran tessitore. Dunque è a lui che il ministro degli Esteri Franco Frattini si rivolge quando si cerca una soluzione per non arrivare alla crisi. E con lui parla della possibilità che ci siano degli spostamenti da una parte all'altra degli schieramenti ormai avversi. Parla esplicitamente del timore di «senatori comprati per farli fare ministro», discute sul modo di «tenere botta». Intercettazioni e verbali allegati agli atti dell'inchiesta dei pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio raccontano gli scontri interni alla maggioranza e confermano alcuni retroscena che sin qui erano stati sempre smentiti. Come la trattativa condotta dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna per passare con il partito del sud di Gianfranco Miccichè. Incontri e scontri che Bisignani mostra di volere e poter governare anche gestendo la parte mediatica di ogni vicenda. E influendo sulle scelte di Berlusconi che già un anno fa aveva evidentemente deciso di puntare su Angelino Alfano, ma anche su Giorgia Meloni.

Il pranzo alla Farnesina
Il legame tra Bisignani e Frattini emerge già nell'aprile del 2010 quando Luca Simoni, ex direttore generale della Cassa di Risparmio dell'Etruria e poi di San Marino, contatta la segretaria dell'uomo d'affari e, come viene annotato nel brogliaccio «riferisce che ha appena terminato un incontro con il ministro degli Esteri e hanno ipotizzato una colazione presso lo studio/appartamento privato presso il ministero degli Esteri e insieme al dottore... Simoni precisa che per la colazione devono decidere se invitare una quarta persona». Due giorni dopo «Simoni contatta Rita e comunica che ha sentito il dottor Bisignani ma stava correndo in Santa Sede e non hanno fissato un appuntamento e chiede di incontrarlo oggi nel pomeriggio o domani». Passano ancora i giorni e alla fine Simoni richiama: «Chiede se il dottore giovedì o venerdì ha libera l'agenda per una colazione con Vittorio Casale. Si aggiorneranno a dopo. Simoni ricorda che prima di incontrare Frattini deve parlare con Bisignani», ma nulla viene anticipato circa l'argomento che dovrà essere trattato durante il pranzo.

«Gli ex An ci mandano nel baratro»
In realtà i contatti tra Frattini e Bisignani non sembrano aver bisogno di intermediari, come dimostra una telefonata che avviene il 5 agosto scorso, quando la guerra Berlusconi-Fini è in pieno svolgimento con Il Giornale che attacca il Presidente della Camera per la casa di Montecarlo. L'atmosfera nella maggioranza appare incandescente.
Frattini: Oggi ho fatto, ancora una volta sono andato a questo gruppo qui a questo minivertice dove oggi il nostro era sul dialogante.
Bisignani: Ah, meno male
Frattini: Dice: ma insomma non possiamo sparare sempre questa cosa delle elezioni, il governo deve andare avanti, ha incoraggiato anche me... Sai, dice: tu che hai questa immagine devi dirle queste cose, non possiamo fare che sfasciamo tutto, hai capito?
Bisignani: Poi lui ha diciassette su quale spera molto, ma mi preoccupa molto devo dirti la verità... questi "inco" di diciassette da nuovi, quelli mi preoccupano molto
Frattini: Beh, ma se tu guardi la copia di Panorama che esce stasera o domattina... ci stanno sette pagine sull'appartamento di Montecarlo... c'è un'intervistona a Gaucci che dice praticamente
Bisignani: L'ho vista, l'ho vista
Frattini: Ah l'hai già vista?... però voglio dire, in questa fase, per dire, oggi ha incontrato Ronchi, ora sta incontrando Viespoli... oggi era nella... perché evidentemente sai anche Gianni gli ha detto: beh insomma non possiamo ogni giorno, perché la paura fa novanta... Sai ci vuole niente sull'onda della paura, quei due, tre senatori che ti passano di qua e ti fanno il governo tecnico perché alla Camera i numeri ci sarebbero in teoria
Bisignani: Certo, al Senato
Frattini: Al Senato no, però se si prendono e si comprano quattro, cinque senatori, sei senatori proponendogli posti di sottosegretario e ministro questi si spostano
Bisignani: E certo
Frattini: piuttosto che andare a casa fanno il ministro
Bisignani: Non c'è dubbio, non c'è dubbio
Frattini: Quindi su questa cosa è una tattica sbagliata, noi abbiamo stipato Daran degli ex An
Bisignani: Cose da pazzi
Frattini: Per salvare la loro pelle ci mandano tutti nel baratro
Bisignani: E fare le vendette che loro non sono riusciti a fare... perché questa è la verità
Frattini: Sì, sì questa cosa, Luigi, lui l'ha chiara oggi, ieri meno, oggi sì, domani chissà... comunque nessuno dubita più il fatto che lui proponga nella sua testa come tre coordinatori Alfano, Gelmini e Meloni, vuol dire che ovviamente noi ci siamo... l'ha detto a tutti, quindi questo fatto che Schifani mi chiama tutti i giorni, quindi come dire abbiamo tenuto botta quando occorreva...
Bisignani: Poi ho visto quella cosa sulle Fondazioni Europee
Frattini: Oggi ho dato a Berlusconi un primo schema di statuto, lui mi ha detto di farla con Alfano e Meloni...

«Terrorizzato da Tremonti»
Bisignani controlla le mosse politiche, ma si occupa anche delle questioni tecniche e finanziarie. Sembra avere in ogni luogo strategico qualcuno che lo informa di quanto accade. Se dal parlamentare del Pdl Alfonso Papa riceve notizie sulle indagini in corso, a relazionarlo su quanto avviene al Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria di palazzo Chigi sembra pensare il capo Elisa Grande. Annotano gli investigatori: «Grande informa costantemente Bisignani circa l'esito di talune attività svolte nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali quali, ad esempio, una riunione presieduta dal sottosegretario Gianni Letta alla quale hanno partecipato il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola e il vice Paolo Romano (probabilmente Romani, ndr), il sottosegretario Paolo Bonaiuti, l'amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi oltre alla Fnsi. Il 9 aprile lei riferisce: «Il tavolo è andato bene perché quando ho visto che lui nicchiava sono andata da Gianni che devo dire m'ha fatto dei complimenti... mo' se va via da Carbone... lui l'ha chiamato prima insieme a Scajola e insieme a Paolo... Paolo non era tanto sul pezzo... è terrorizzato da Tremonti comunque se l'è chiamato e gli ha detto... ma io però dirò che è disponibile al tavolo... alla fine abbiamo capito tutti che Tremonti vuol far fallire il tavolo però Letta è stato bravissimo ieri, l'ha condotto in modo, mi ha chiamato l'angelo custode dell'editoria... Malinconico cioè pure lui si sta facendo baipassare da tutti gli editori grossi che stanno andando a fare accordi direttamente alle Poste... adesso si stanno facendo i lavori tecnici...». Annotano poi gli investigatori: «Elisa afferma che è stata anche contattata dall'opposizione perché vuole partecipare "ai tavoli" in quanto l'opposizione ritiene che "non solo avete tolto i soldi ma mo' risolvete pure il problema senza soldi" ed aggiunge che per questo motivo tutti stanno gufando... Bisignani la interrompe e gli chiede di Romani. Elisa risponde che "Romani era nero"».

Miccichè: «Mara vuole stare con noi»
Trame e grandi manovre si ripropongono a dicembre, quando il governo deve ottenere la fiducia in Parlamento. In quei giorni Mara Carfagna annuncia che potrebbe dimettersi. Il retroscena di quella sortita che tanto aveva fatto infuriare le altre ministre, si rintraccia in una telefonata del 5 dicembre tra Miccichè e Bisignani.
Miccichè: Sono qua a Palermo e ho due miliardi di incontri
Bisignani: Immagino, senti come ci poniamo col caso... ci chiedevamo con Sergio, col caso Carfagna? Premesso che il Presidente è "imbufalito" con lei
Miccichè: me ne fotto che il Presidente si è "imbufalito" io ieri le ho già parlato e lei è assolutamente pronta a venire... la devo incontrare domani.., viene insieme a lei anche l'altra, Nunzia Di Girolamo, mi hanno chiamato insieme
Bisignani: perché lì il problema è se uscire fuori te con un articolo o qualcosa, magari dopodomani
Miccichè: nonostante lei ieri mi abbia detto: io passo con te, cioè me l'ha dato come fatto scontato, invece non ho preferito fare nessuna... per un fatto di prudenza perché poi se per legge alla fine decide meglio di no, dobbiamo parlare col Presidente perché poi io so che il Presidente in questo è un grande ammaliatore per cui quando uno parla col Presidente mi sembra che lui abbia sempre ragione... però insomma credo che lei sia una seria, poi lo voleva poi lei è una che voleva stare con noi sinceramente sin dall'inizio
Bisignani: Assolutamente, poi non l'hanno mandata
Miccichè: Sì, poi le avevano vietato di venire a Palermo e lei non era venuta, ma insomma poi è una brava
Bisignani: Con Sergio avevamo preparato un articolo magari da fare mercoledì... dopo che tu la vedi e le parli
Miccichè: e me lo vuoi mandare?


24 giugno 2011
da - corriere.it/politica/speciali/2011/caso-p4-le-carte/notizie/ci-manderanno-nel-baratro-frattini-e-lo-sfogo-con-bisignani-bufi-sarzanini_6824c638-9e21-11e0-b150-aadf3d02a302.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Caccia alle «fonti» di Bisignani nella Guardia di Finanza
Inserito da: Admin - Giugno 28, 2011, 05:44:38 pm
IL CASO p4

Quegli omissis nei verbali e gli ufficiali sotto accusa

Caccia alle «fonti» di Bisignani nella Guardia di Finanza


ROMA - Sono gli «omissis» contenuti nei verbali a confermare come l'inchiesta sulle «talpe» interne alla Guardia di Finanza sia soltanto all'inizio. Perché oltre al capo di stato di maggiore Michele Adinolfi ci sono almeno altri due alti ufficiali sospettati di aver passato notizie sulle indagini in corso. Non solo. Un nuovo filone si è aperto e i pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio hanno potuto contare sulle conferme fornite da Marco Milanese, l'ex ufficiale poi eletto parlamentare del Pdl e fino a ieri consigliere politico del ministro delle Finanze Giulio Tremonti. Indagato per corruzione e illecito finanziamento ai partiti in un'altra indagine, Milanese è stato ascoltato già due volte come testimone. E la frase sibillina pronunciata dal suo avvocato Bruno Larosa quando gli si chiede se si possa parlare di una collaborazione - «sta facendo il suo dovere di cittadino» - sembra dimostrare che abbia fornito qualcosa in più dei chiarimenti richiesti.

I racconti del parlamentare sui finanzieri
Milanese viene interrogato un paio di mesi fa. Il suo nome è noto ai magistrati di Napoli e di Roma che lo accusano di aver utilizzato la propria influenza per orientare le nomine ai vertici di società e per far assegnare appalti ad alcune aziende che in cambio erano disponibili a versargli tangenti. Gli viene chiesto se è a conoscenza che Bisignani fosse stato informato che c'erano indagini sul suo conto. E lui dichiara: «Durante una cena il generale Adinolfi mi disse di aver chiesto a Pippo Marra, direttore dell'agenzia di stampa Adn Kronos, di avvisare Bisignani». La versione fornita dal diretto interessato, alla presenza dei suoi legali Fabio Lattanzi e Gianpiero Pirolo, è diversa: «Marra mi chiamò per una vicenda completamente diversa e mi disse: non parlare al telefono, stop. Dopodiché io ne parlai con l'onorevole Milanese che dopo un po' mi disse che avevo il telefono... per via dell'inchiesta sui Casalesi, su un certo Schiavone...». Versioni divergenti anche quando si è deciso di convocare Adinolfi come indagato e metterlo a confronto proprio con Milanese. Il capo di stato maggiore ha negato con veemenza di aver mai parlato dell'indagine in corso: «Chi mi accusa mente», ha ribadito anche ieri.

In realtà, di fronte a Woodcock e Curcio, Milanese avrebbe confermato pure quanto era emerso su altre vicende che coinvolgono i vertici delle Fiamme Gialle fornendo nuovi dettagli e spianando la strada a ulteriori verifiche. Un atteggiamento di apertura che negli uffici giudiziari viene interpretato come il tentativo di alleggerire la propria posizione processuale. In questo quadro si inserirebbero anche i racconti della sua compagna Manuela Bravi, la portavoce del ministro, che ha confermato di aver partecipato ad almeno due cene durante le quali si parlava di «informatori» della Guardia di Finanza. E di aver ottenuto conferma anche dal direttore del Poligrafico dello Stato Roberto Mazzei. «Il Mazzei, commentando le notizie pubblicate su Bisignani - ha dichiarato a verbale la donna - mi disse espressamente che vi era un appartenente e più precisamente un ufficiale (non ricordo se maggiore o capitano) alla Guardia di Finanza di Napoli che passava notizie». Gli accertamenti svolti in seguito avrebbero consentito di individuarlo e di verificare anche le altre dichiarazioni della coppia. «Al mio cliente - si limita a spiegare il difensore di Milanese - sono stati chiesti chiarimenti su alcuni episodi emersi nel corso dell'inchiesta e lui ha raccontato quanto era a sua conoscenza. Lo stesso ha fatto la signora Bravi». Quanto basta per ritenere che ulteriori sviluppi possano arrivare nei prossimi giorni su questi due filoni che ormai corrono paralleli.

I nomi «secretati» e le soffiate
Il generale Adinolfi non è l'unico ad essere sospettato di aver fornito notizie sulle indagini. Esiste un verbale di Bisignani, quando ancora non era stato arrestato, che è stato quasi interamente coperto dal segreto. E riguarda proprio le «soffiate». Soltanto una frase è rimasta «in chiaro» e conferma come uno dei fascicoli «svelati» sarebbe stato quello che riguardava il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta e l'imprenditore Chiorazzo per le convenzioni sui centri per immigrati avviato dai magistrati di Lagonegro e poi in parte trasferito alla procura di Roma. È scritto nel verbale di Bisignani: «Vi dico che anche con riferimento alla vicenda che ha riguardato Chiorazzo (della Cascina e dell'Auxilium) e omissis vicenda giudiziaria omissis, il Papa mi disse di essersi informato e di aver acquisito informazioni attraverso omissis che era a suo dire una delle "fonti" omissis».

È appunto sulle «fonti» di Bisignani e del suo presunto sodale Alfonso Papa - l'ex magistrato e ora parlamentare del Pdl per il quale è stato sollecitato l'arresto alla Camera - che si concentra questa fase dell'indagine. Ma anche sulla catena di comando interna alla Finanza che consente la veicolazione delle informazioni. Partendo proprio dall'episodio che coinvolge Adinolfi. Ad informarlo che un'indagine era stata avviata sarebbe stato Vito Bardi, comandante interregionale per l'Italia del Sud che è stato indagato per rivelazione del segreto d'ufficio. L'alto ufficiale nega la circostanza, annuncia denunce per calunnia. In ogni caso si dovrà stabilire se gli ufficiali sono tenuti alla riservatezza o se invece la loro gerarchia li obblighi ad informare i superiori sulle deleghe ottenute dall'autorità giudiziaria.

Fiorenza Sarzanini

27 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_giugno_27/quegli-omissis-nei-verbali-e-gli-ufficiali-sotto-accusa-fiorenza-sarzanini_6728bbea-a092-11e0-b2f7-bc745ffd716f.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Quel sollecito dell’indagato alla Rotkopf
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2011, 11:01:16 am
L'ordinanza

«Non avete fatto il bonifico»
Quel sollecito dell’indagato alla Rotkopf

I 28.800 euro pagati alla società dell’amico Smeriglio


ROMA — «Consegnai a Pronzato complessivi 40.000 euro in due tranches da 20.000 euro l’una. Pronzato di tali somme mi diede la metà: 10.000 euro la prima volta, 10.000 euro la seconda. Consegnai tali somme a Pronzato a Roma, a casa sua in via Frattina. Le consegne avvennero verso la fine dell’anno, l’ultima a Natale del 2010, la prima qualche mese prima». È l’8 giugno scorso. Vincenzo Morichini, l’ex amministratore delegato delle agenzie Ina-Assitalia e ora titolare di una società di mediazione, si presenta davanti al pubblico ministero Paolo Ielo che indaga sull’appalto per la rotta aerea Roma-Isola d’Elba assegnato alla Rotkopf Aviation Italia di Viscardo Paganelli e di suo figlio Riccardo. È indagato per corruzione, sa bene che rischia di finire in carcere. Gli investigatori del Nucleo valutario guidati dal generale Leandro Cuzzocrea hanno già rintracciato un bonifico da 28.800 euro dalla società dei Paganelli alla Ri.Energy di Giuseppe Smeriglio, il segretario di Pronzato, a fronte «di un contratto di consulenza fittizio a giustificazione dei flussi di denaro tra le società ». Lui, accompagnato dal suo avvocato Grazia Volo, capisce che negare sarebbe inutile. E confessa. Del resto le intercettazioni hanno già rivelato quello che il giudice definisce nella sua ordinanza «il patto corruttivo». E lui racconta la storia dall’inizio.

Incontri e «gratifiche»
«La Sdb ha un contratto di consulenza per attività di relazioni istituzionali con la Foretec, società
Franco Pronzato, in una foto tratta dal suo sito,
Franco Pronzato, in una foto tratta dal suo sito,
riconducibile ai Paganelli, così come la Rotkopf Aviation Italia. La società intendeva partecipare al bando, indetto da Enac per l’assegnazione della tratta Elba-Pisa per la cosiddetta continuità territoriale. A tali fini era essenziale essere muniti del Coa, il certificato di operatore aereo. La Rotkopf aveva presentato l’istanza, ma dentro la struttura amministrativa c’erano resistenze perché loro avevano aerei monomotore. Le lungaggini avrebbero seriamente pregiudicato la partecipazione alla gara e quindi proposi a Paganelli di utilizzare Pronzato. Effettivamente contattai Pronzato che si mise a disposizione. Io, lui e Paganelli ci incontrammo almeno 10 volte prima della concessione del Coa... Dopo un po’ di tempo, grazie anche all’intervento di Pronzato, fu rilasciato il Coa e vi fu la gara. Per tali fatti e per mantenere un rapporto che facilitasse la soluzione dei problemi che Rotkopf Aviation poteva incontrare nei rapporti con Enac proposi a Paganelli di erogare gratifiche a Pronzato».

«Su quale conto il bonifico?»
Non bastano evidentemente i soldi consegnati in contanti e così l’accordo prevede che Paganelli effettui un bonifico a Giuseppe Smeriglio «soggetto legato al Pronzato e da questi coinvolto e seguito costantemente nella gestione del pagamento », per questo finito anche lui agli arresti. Così la trattativa viene ricostruita nell’ordinanza. Il 29 aprile 2011 «Pronzato contatta Smeriglio per riferirgli di aver visto determinate persone che la mattina successiva "faranno tutto". Il 2 maggio Smeriglio comunica a Pronzato che "non è arrivato nulla". Pronzato invia un sms a Paganelli: "Non avete fatto il bonifico a Smeriglio". Ed è a questo punto che i due Paganelli parlano al telefono.
Riccardo: «Dimmi papi?»
Viscardo: «Senti chiama Pronzato perché mi ha fatto un sms dicendo "non avete fatto il bonifico a Smeriglio" che stiamo facendo oggi. Digli al coso proprio di stare tranquillo perché è stato fatto, digli che gli arriverà. Noi abbiamo delle procedure interne che non possiamo fargli un saldo unico perché poi quando vengono a fare i controlli ci chiedono perché... capito, fagli capire questo... che sta rompendo i coglioni pure lui».
Riccardo: «Va bene... sì, Viscardo: eh! solo a paga’ stiamo pronti noi».

Poco dopo Viscardo Paganelli invia al Pronzato due sms. «Il bonifico è partito venerdì, come da procedure interne. Noi paghiamo tutte le fatture a fine mese. Non posso fare eccezioni. Mi capisci». E dopo «Domani matina gli mando il Cro». Il giorno dopo Pronzato contatta Smeriglio quando ha la conferma che il bonifico è arrivato per avvisarlo del pagamento: «Senti allora quei signori t’hanno fatto tutto eh!». E poi è lo stesso Paganelli a parlare con Smeriglio e la conversazione fa capire che lo stesso «sistema» è stato usato anche in altre occasioni e con altre persone.

Paganelli: «Ho trattato quella cosa esattamente come tutte le altre mie, capito, esattamente senza nessuna...».
Smeriglio: «Non sapevo niente, perché lui ha telefonato l’altro giorno perché noi chiudiamo a fine mese, l’importante sia andato tutto a posto, siamo a posto».
Paganelli: «Tutto a posto, solo che io le ho trattate esattamente perché quando in passato vennero le prime cose che mi guardarono... e una volta che uno aveva pagato il giorno dopo, mi disse perché?».
Smeriglio: «Esattamente, no no bisogna pagare tutto insieme... molto bene, ti ringrazio, ciao».

Annota il giudice: «Le verifiche effettuate dall’organo inquirente sui movimenti del conto corrente numero 172100 acceso presso il Banco Desio e della Brianza hanno consentito di accertare che la società Rotkopf ha effettivamente disposto, con valuta 4 maggio 2011, un bonifico di 28.800 a favore di Ri.Energy con causale "saldo fattura". E tuttavia presso gli uffici della società non è stato rinvenuto né il contratto di consulenza oggetto della fattura, né qualsivoglia documento che attesi una prestazione di consulenza nel settore trasporti, salvo che il giorno successivo un tale contratto è "quasi magicamente riapparso" per usare l’efficace espressione adoperata dal pubblico ministero».

La lista dei sette
Un falso, dunque, e il sospetto è che sia proprio questo il «"sistema»che Paganelli e Morichini hanno utilizzato anche per altri appalti. La prova sarebbe in quell’elenco di nomi e cifre sequestrato nei suoi uffici e sul quale sarebbero già stati effettuati riscontri. Scrive il giudice nell’ordinanza: «Le cifre indicate nell’appunto sequestrato — e collocate accanto ad altri nomi di persone fisiche e soggetti giuridici — rappresentano l’annotazione di pagamenti tutti eseguiti, si ricava immediatamente e direttamente, come evidenziato dal pubblico ministero, dalla considerazione che le cifre riferite a operazioni economiche ostensibili (che potevano essere riportate nelle scritture della società) sono considerate come pagamenti in contabilità, differentemente dalle altre, riferibili a politici e amministratori—tra i quali è indicato Pronzato — evidentemente in ragione della loro natura non lecita».

Fiorenza Sarzanini

29 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_giugno_29/sarzanini_bonifico_6117652e-a215-11e0-b1df-fb414f9ca784.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Milanese pagava la casa a Tremonti»
Inserito da: Admin - Luglio 08, 2011, 10:06:11 am
INCHIESTA P4

«Milanese pagava la casa a Tremonti»

La replica: ero solo ospite temporaneo

Per i pm rapporti finanziari poco chiari.

Incontro tra Berlusconi e Adinolfi «Il premier si informò su Tremonti»

   
ROMA - Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha denunciato l’esistenza di «cordate» interne alla Guardia di Finanza in vista della nomina del nuovo comandante generale. La circostanza emerge dall’ordinanza di arresto per il suo ex consigliere politico, il parlamentare del Pdl Marco Milanese che è stato in passato ufficiale delle Fiamme Gialle. Di questo è stato chiesto conto anche al capo di Stato Maggiore Michele Adinolfi, durante l’interrogatorio che si è svolto il 21 giugno scorso di fronte ai pubblici ministeri che indagano sulla cosiddetta P4. E l’alto ufficiale ha rivelato di essere stato convocato da Silvio Berlusconi che gli chiese conto di alcune «trame» contro lo stesso Tremonti. L’incontro con il premier si è svolto agli inizi dello scorso giugno.

L'ABITAZIONE A ROMA - Gli atti processuali, trasmessi ieri alla Camera per sollecitare l’arresto di Milanese, svelano anche come quest’ultimo paghi la casa del ministro Tremonti, una casa in via di campo Marzio, al centro di Roma. Il giudice sottolinea come «l’ immobile è stato concesso in locazione a Milanese Marco per un canone mensile di 8.500 euro, ma viene di fatto utilizzato dal Ministro Tremonti, il quale, a sua volta, risulta aver emesso, nel febbraio 2008, un assegno di 8.000 euro in favore del Milanese». E poi evidenzia: «I rapporti finanziari tra il Tremonti ed il Milanese sono assolutamente poco chiari atteso che Milanese paga mensilmente un canone molto alto il cui complessivo ammontare rispetto alle rate già pagate risulta di oltre centomila euro; non esiste un risarcimento per Milanese; l'assegno del febbraio 2008, risalente dunque nel tempo, attiene evidentemente ad altra partita economica tra i due, essendo isolato nel tempo e risultando emesso un anno prima della nascita del rapporto contrattuale con il Pio Sodalizio dei Piceni».

LA REPLICA DI TREMONTI - In serata arriva la precisazione del ministro Tremonti sulla question della casa romana. «La mia unica abitazione è a Pavia - spiega Tremonti - . Non ho mai avuto casa a Roma. Per le tre sere a settimana che normalmente - da più di quindici anni - trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, prevalentemente in albergo e, come ministro, in caserma. Poi ho accettato l'offerta fattami dall'on. Milanese, per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità utilizzo. Apprese oggi le notizie giudiziarie relative all'immobile - conclude - già da stasera per ovvi motivi di opportunità cambierò sistemazione».

Fiorenza Sarzanini

07 luglio 2011(ultima modifica: 08 luglio 2011 07:33)© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_luglio_07/incontro-berlusconi-adinolfi-sarzanini_0cc2155c-a8c1-11e0-ad5c-15112913e24f.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Niente metodo Boffo contro di me
Inserito da: Admin - Luglio 09, 2011, 04:55:47 pm
Le carte

«Niente metodo Boffo contro di me

Lo dissi a Silvio in un colloquio»

L'interrogatorio di Tremonti


NAPOLI - Un colloquio chiarificatore con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che si conclude con l'ammonizione pronunciata dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti: «Non vorrei fare la fine di Boffo». A raccontarlo ai magistrati napoletani che indagano sulla P4 e sulla presunta corruzione del parlamentare Pdl Marco Milanese è lo stesso Tremonti, interrogato come testimone il 17 giugno scorso. Gli viene fatta ascoltare una telefonata di dieci giorni prima, il 7 giugno, tra Berlusconi e il capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, intercettato perché indagato per favoreggiamento e violazione del segreto istruttorio, sospettato di aver informato Luigi Bisignani di essere sotto inchiesta.

Dichiara Tremonti: «Mi viene chiesto se abbia fatto cenno ad una utilizzazione strumentale della Guardia di Finanza ai miei danni da parte dello stesso presidente Berlusconi. Io rispondo che con il presidente del Consiglio ebbi una discussione pochi giorni prima della data della conversazione che ho ascoltato. Nel corso della discussione io e il presidente manifestammo posizioni diverse sulla politica di bilancio. A un certo punto della discussione sono emerse posizioni fortemente critiche in ordine alla mia attività di ministro da parte del presidente del Consiglio. Per inciso e in parallelo su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza spinta alle mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. A questo punto se non ricordo male manifestai la mia refrattarietà ad essere oggetto di campagne stampa tipo quella "Boffo". Ciò trovava riscontro in voci in Parlamento che mi sono permesso di segnalare al presidente del Consiglio. In quel contesto - facendo seguito a quanto riferitomi da Milanese su una cena a Napoli a cui avrebbero partecipato, oltre al generale Adinolfi, anche persone vicine al presidente del Consiglio - rappresentai al presidente Berlusconi, in modo devo ammettere caratterialmente reattivo, tra l'alto di una situazione di conflittualità in cui si trovano alcune figure di vertice della Guardia di Finanza. Ricordo che a Berlusconi feci il nome di Adinolfi, più esattamente ricordandomi di una cena a Napoli gli dissi: "Chiedi conferma ad Adinolfi". Si trattò di uno sfogo non avendo io elementi per valutare i comportamenti di Adinolfi sotto il profilo deontologico. Mi chiedete se alla citata cena fossero presenti Paolo Berlusconi e Galliani e vi rispondo che probabilmente Milanese mi fece questi nomi, ma non ne sono sicuro. Con specifico riferimento alla conversazione che ho ascoltato, posso dirvi che la stessa non mi sorprende poiché avevo già voci del rapporto di amicizia o comunque di conoscenza di Adinolfi con il presidente Berlusconi attesa la comune passione per il Milan. Mi permetto di notare - mia impressione - che, dal tono della telefonata che ho ascoltato, le parole del presidente del Consiglio mi sembrano ispirate dal desiderio di un chiarimento in buona fede nei miei confronti. Mi viene chiesto se rientra nella fisiologia istituzionale un rapporto diretto tra il presidente del Consiglio e il capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza e io le dico che, per quanto di mia competenza, mi attengo a criteri istituzionali diversi e cioè mi relaziono solo con il comandante generale del Corpo che, sia detto per inciso, è persona che stimo particolarmente. Con riferimento alla conversazione che ho ascoltato ribadisco che non ho mai detto a Berlusconi che lui mi voleva far fuori tramite la Guardia di Finanza. Ritengo che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciate».

Poi Tremonti chiarisce: «Quando parlo di metodo Boffo mi riferisco alla propagazione sui mass media di notizie riservate e/o infondate atte a screditare chi viene preso di mira. Non alludevo dunque come voi mi chiedete all'utilizzazione di notizie di carattere giudiziarie e riservate per fini strumentali. Con riferimento alla vostra indagine, ne ho appreso l'esistenza solo dai giornali». E ancora: «Sull'eventuale esistenza di cordate contrapposte all'interno della Guardia di Finanza, cordate composte da alti ufficiali della stessa. Mi vado sempre più convincendo del fatto che la rimozione dell'impedimento di legge a che gli alti ufficiali della Gdf potessero ricoprire l'incarico di comandante generale è stata, per un verso, positiva, perché al vertice del Corpo viene nominata persona che conosce le problematiche dello stesso e ha le necessarie competenze, ma ha portato anche conseguenze negative, nel senso che si sono creati meccanismi di competizione tra possibili candidati, meccanismi potenzialmente negativi. Voglio essere chiaro: gli alti ufficiali nella prospettiva di diventare comandanti generali hanno preso a coltivare relazioni esterne al Corpo che non trovo opportune: più esattamente c'è il rischio, la tendenza di eccesso di competizione. Mi sono permesso nella mia qualità di ministro, qualche tempo dopo la nomina del primo comandante generale appartenente al Corpo, avendo verificato o avendo avuto voce di un certo attivismo relazionale di alcuni generali in servizio a Roma di suggerire al comandante generale di dare alcune direttive nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Gli dissi: "Meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma. Ribadisco che nella mia funzione, anche memore di alcune polemiche passate, ho sempre evitato di avere rapporti diretti di tipo operativo con alti ufficiali della Gdf. Applicando correttamente la legge ho ritenuto giusto limitare la mia funzione a quella di indirizzo, esercitando la stessa direttamente ed esclusivamente verso il comandante generale».

Fiorenza Sarzanini

09 luglio 2011 09:28© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_luglio_09/le-carte-l-interrogatorio-di-tremonti-foprenza-sarzanini_2272b05e-a9f3-11e0-9d03-960d18ba419d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza e i ...
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2011, 06:35:04 pm
P4

Milanese: darò ai pm le mie cassette di sicurezza e i miei tabulati telefonici

Il parlamentare Pdl lo chiede alla Giunta della Camera: «Non ho nulla da temere dalle indagini»


ROMA - Il parlamentare del Pdl Marco Milanese ha chiesto alla giunta della Camera di autorizzare l’apertura delle sue cassette di sicurezza e la consegna dei suoi tabulati telefonici, così come era stato sollecitato dal pubblico ministero Vincenzo Piscitelli che ha chiesto e ottenuto dal giudice il suo arresto per associazione a delinquere, corruzione e rivelazione di atti.

«CALUNNIA» - L’ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti ha trasmesso, attraverso i suoi legali Franco Coppi e Bruno La Rosa, una nota al procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore per informarlo dell’iniziativa e ha aggiunto: «Ho la certezza, infatti, che le indagini approfondite e senza pregiudizi consentiranno una lettura dei fatti secondo verità, non avendo nulla da temere dalle stesse; auspicando che le investigazioni proseguano con grande celerità ed in ogni direzione, compresa quella diretta a smascherare le vere ragioni della calunnia e delle strumentalizzazioni della mia persona».

Fiorenza Sarzanini

19 luglio 2011 16:38© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_luglio_19/milanese-cassette-sicurezza_eaf64050-b212-11e0-962d-4929506ed0a9.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 11:56:19 am
Un favore dopo l'ottenimento degli appalti Sogei. E un occhio di riguardo dalle Entrate

L'affitto di Tremonti e le carte sugli appalti

Le rivelazioni di Di Lernia: «La casa abitata dal ministro in via Campo Marzio era pagata dal costruttore Proietti»

   
ROMA - L'affitto dell'appartamento di via di Campo Marzio, occupato fino a qualche settimana fa dal ministro Giulio Tremonti, sarebbe sempre stato pagato da Angelo Proietti, il titolare della società Edil Ars che lo aveva ristrutturato gratuitamente e aveva ottenuto appalti dalla Sogei. I soldi sarebbero stati consegnati a Marco Milanese, il parlamentare pdl ex consigliere politico dello stesso ministro, accusato di associazione a delinquere, corruzione e violazione di segreto. A raccontarlo ai magistrati di Roma è Tommaso Di Lernia, l'imprenditore arrestato con l'accusa di aver pagato il leasing della barca di Milanese con un sovrapprezzo di oltre 200 mila euro in cambio di «commesse» dell'Enav. E poi dichiara che Tremonti - che al momento non risulta indagato - avrebbe ceduto al «ricatto» del consulente di Finmeccanica Lorenzo Cola, che chiese e ottenne la conferma di Pierfrancesco Guarguaglini alla presidenza della holding. Rivelazioni clamorose che i magistrati stanno adesso verificando, tenendo conto che Di Lernia sostiene pure di aver evitato una verifica fiscale grazie «all'intervento di Milanese su Befera», il direttore dell'Agenzia delle Entrate.

Il canone della casa
È l'11 luglio scorso. Nel carcere di Regina Coeli, dove è detenuto proprio per l'inchiesta sulla barca pagata a Milanese, Di Lernia - dopo aver ricostruito i passaggi dei versamenti - afferma: «Parallelamente sentii parlare di questo Milanese da Guido Pugliesi (amministratore delegato di Enav, ndr ) che da una parte era stanco delle pressioni e dei richiami che Milanese gli aveva fatto per Fabrizio Testa da nominare a Tecno Sky, ma che mi chiedeva anche di far lavorare un certo Angelo Proietti ai subappalti di Palermo che Cola aveva già deciso fossero affidati a Electron di Finmeccanica e a me. Presi tempo con Pugliesi e ne parlai con Cola il quale mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come «il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti. Mi disse di dire a Pugliesi che lo avrebbe fatto chiamare da Milanese e avrebbero instaurato un rapporto amicale e comunque a Proietti in un immediato futuro Selex gli avrebbe dato lavori a Milano».
Il 7 luglio scorso, dopo aver annunciato che avrebbe lasciato la casa «per ovvi motivi di opportunità», Tremonti ha spiegato di aver «accettato l'offerta fattami dall'onorevole Milanese per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo», lasciando intendere di essere stato ospite. Versione diversa da quella contenuta nel memoriale scritto con i suoi legali Franco Coppi e Bruno Larosa e consegnato a Montecitorio due giorni fa da Milanese che nel documento afferma: «Il ministro ha corrisposto, quale partecipazione all'affitto dell'immobile, a partire dalla seconda metà del 2008, la somma mensile di circa 4.000 euro. Settimanalmente e in contanti mi ha corrisposto circa 75.000 euro complessivi». Adesso sarà il pubblico ministero Paolo Ielo a dover effettuare ulteriori accertamenti per stabilire chi davvero abbia pagato quella casa, anche tenendo conto che Proietti è stato iscritto nel registro degli indagati per corruzione insieme a Milanese e all'ex presidente di Sogei Sandro Trevisanato, proprio perché avrebbe ottenuto l'assegnazione degli appalti a trattativa privata in cambio di soldi e favori.

Il blitz dal ministro
Il secondo capitolo affrontato da Di Lernia riguarda Finmeccanica. Dichiara nel verbale: «Nel giugno 2010 Cola mi chiamò e mi disse "sono dispiaciuto per aver fatto fare l'acquisto della barca a quel verme" alludendo a Milanese perché disse che il tizio (Milanese, ndr ) stava sostenendo la candidatura di Flavio Cattaneo a Finmeccanica invece di Guarguaglini, in più aveva saputo che aveva fatto estorsioni a persone di Napoli facendo l'inverso di quanto promesso e che Tremonti non rispondeva alle chiamate telefoniche di Guarguaglini. Lo stesso Cola mi diceva che questa storia non la mandava proprio giù e avrebbe da lì a poco organizzato un blitz dal ministro mostrandogli l'evidenza e la portata delle porcate commesse da lui e dai suoi consiglieri e che di sicuro avrebbe cambiato idea sui vertici di Finmeccanica. Dopo poco tempo Massimo De Cesare (il socio anche lui arrestato per la vicenda della barca, ndr ) mi riferisce che Milanese, per tramite di Fabrizio Testa, volle dirmi che Guarguaglini sarebbe stato riconfermato e da lì a qualche giorno Tremonti gli avrebbe telefonato. Infatti Cola mi disse che il blitz era andato a buon segno».
Anche su questo i magistrati stanno effettuando verifiche soprattutto tenendo conto che Cola, indicato come il vero «braccio destro» di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il «sistema» che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare «fondi neri» e così pagare tangenti a politici e manager.

La «verifica» annullata
Di Lernia sostiene di aver incontrato successivamente Proietti nell'ufficio di Pugliesi che lo invitava a chiudere la storia della barca. E spiega: «Dissi a Proietti che avevo bisogno di un favore da Milanese e lui mi diede appuntamento nel suo ufficio il giorno dopo. Lo vidi due giorni dopo portando con me tutto un incartamento riguardante un accertamento dell'Agenzia delle Entrate sulla mia società "Print Sistem" riferito al 2005. Gli dissi che non volevo favoritismi ma solo una buona parola ai fini di una verifica fiscale "serena" poiché avevo denunciato la stessa Agenzia per altre vicende e avevo paura di un accanimento nei confronti della società che amministro. Tre giorni dopo Proietti mi diede appuntamento a piazza del Parlamento e mi disse di stare tranquillo perché Milanese aveva parlato con Befera e mi assicurava nessun accanimento».
È possibile che si decida di acquisire gli atti presso l'Agenzia delle Entrate proprio per stabilire quale fosse la reale portata della verifica e se Milanese abbia effettuato un intervento sul direttore che, a questo punto, potrebbe anche essere ascoltato come testimone.

Il pranzo e le nomine
Del resto l'influenza del consigliere politico del ministro sui dirigenti degli Enti che fanno capo al Tesoro è già emersa negli accertamenti su Sogei. Durante i controlli, i magistrati hanno scoperto che l'avvocato Luigi Fischetti - il legale che a metà di dicembre scorso ospitò l'ormai famoso pranzo con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - è stato nominato componente dell'Organismo di Vigilanza di Sogei, nonostante fosse il difensore del costruttore Proietti assegnatario di numerosi appalti. Un'incompatibilità che lui dice di aver «superato lasciando le riunioni quando si parlava del mio cliente, come dimostrano i verbali», ma su questa circostanza sono tuttora in corso riscontri.
Ieri il capo della Procura di Roma ha chiesto ai colleghi napoletani la trasmissione degli atti che riguardano il pranzo a quattro: oltre a Capaldo e Fischetti, Milanese e Tremonti. Un «incontro conviviale» l'ha definito il deputato del Pdl, ma la procura generale presso la Corte d'appello della Capitale ha avviato un'istruttoria per verificare eventuali profili disciplinari: all'epoca Capaldo era infatti l'aggiunto titolare dell'inchiesta su Finmeccanica e alcuni indagati avevano già verbalizzato accuse contro Milanese. «Non sapevo che Milanese era invitato», ha sostenuto lo stesso Capaldo ma questo potrebbe non essere sufficiente ad evitargli il procedimento e le ulteriori verifiche avviate anche dalla procura di Perugia. La scorsa settimana il capo dell'ufficio umbro ha incontrato i colleghi di Napoli, che però negano di aver già affrontato con lui questa vicenda.

Fiorenza Sarzanini

28 luglio 2011 10:15© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tangenti, accuse ad altri 5 politici
Inserito da: Admin - Luglio 29, 2011, 09:30:54 am
Le carte

Tangenti, accuse ad altri 5 politici

C'è Brancher. Il nome di Matteoli

Il costruttore Proietti e l'appartamento di Tremonti: è vero, per due anni a quell'affitto ho provveduto io


ROMA - Non ci sono soltanto il ministro Giulio Tremonti e il suo ex consigliere politico Marco Milanese nei verbali dell'imprenditore Tommaso Di Lernia. Il costruttore tuttora agli arresti domiciliari per illecito finanziamento proprio per aver pagato la barca a Milanese in cambio di appalti, ha accusato altri tre politici di centrodestra e uno dell'Udc di aver preso tangenti per l'assegnazione delle «commesse» di Enav e Selex, azienda del gruppo Finmeccanica. Uno di loro è Aldo Brancher, per diciassette giorni ministro per il Federalismo dell'attuale governo e poi costretto a dimettersi perché condannato a Milano, per ricettazione nell'affare Antonveneta. Gli altri sono ancora segretati. In questo sistema di «mazzette» ha coinvolto anche il titolare dei Trasporti Altero Matteoli, definendolo «il politico di riferimento delle imprese che operano su Venezia». Rivelazioni ritenute attendibili dai magistrati che stanno adesso effettuando una serie di ulteriori riscontri. Ma una conferma alle sue dichiarazioni sul pagamento della casa al centro di Roma occupata dal responsabile dell'Economia da parte del titolare della «Edil Ars» Angelo Proietti, sia pur con diverse modalità, è già arrivata dal diretto interessato: «È vero - ha detto - per due anni all'affitto di quell'appartamento ho provveduto io».

La casa di Tremonti
Racconta Di Lernia davanti al giudice e poi conferma al pubblico ministero Paolo Ielo: «Lorenzo Cola (consulente di Finmeccanica che lo aveva coinvolto nel giro degli appalti, anche lui ancora agli arresti domiciliari, ndr ) mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come "il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l'affitto a Tremonti"». Il 7 luglio scorso il ministro ha lasciato intendere di essere stato ospite, ma poi è stato Milanese ad affermare - nella memoria consegnata al Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio - che Tremonti gli dava 1.000 euro a settimana, così raggiungendo la metà dell'affitto fissato in 8.000 euro mensili. Ben diverso è il racconto di Proietti al pubblico ministero di Napoli Vincenzo Piscitelli: «Fui io a far avere a Milanese un appartamento del Pio sodalizio dei Piceni e poi lui prese anche quello di via di Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, la feci a titolo gratuito». Tenendo conto che il canone annuale è di complessivi 96 mila euro, se Proietti dice il vero per due anni quell'appartamento non è costato a Milanese e a Tremonti neanche un centesimo. Da verificare è anche il racconto di Di Lernia sul «ricatto» di Cola a Tremonti. «Gli disse che se non confermava Guarguaglini alla presidenza di Finmeccanica, avrebbe svelato le sue porcate e quelle dei suoi consiglieri», dichiara nel primo interrogatorio alla presenza del suo difensore Natale Perri. Successivamente aggiunge un dettaglio che può servire da riscontro: «So per certo che alla lite ha assistito un testimone. Cola può indicarvi il suo nome».

Le «mazzette» all'estero
Così Di Lernia ricostruisce invece il «sistema» di corruzione: «Ogni impresa ha un politico di riferimento che paga attraverso i vertici di Enav e Selex, oppure direttamente. Io ho pagato direttamente Brancher e il parlamentare dell'Udc attraverso una triangolazione estera: ho portato i soldi a Cipro, poi li ho trasferiti a San Marino e infine li ho prelevati in contanti e distribuiti a Roma. Brancher li voleva fatturati alla sua fondazione "L'Officine della Libertà", gli altri versamenti erano invece "in nero". In totale ho versato circa un milione in due anni. So che anche Cola ha pagato due politici, in totale in dieci anni sono stati versati circa tre milioni e mezzo di euro di tangenti per l'assegnazione degli appalti di Enav e di Selex. C'è un politico di riferimento a Milano, uno a Palermo per le "commesse" che riguardano gli aeroporti di Linate e quello "Falcone e Borsellino". So che a Venezia, per i lavori dell'aeroporto il politico di riferimento era Matteoli».

Regali e soldi ai manager
È lungo anche l'elenco dei manager ai quali Di Lernia racconta di aver versato soldi e regali. Molti di loro, già citati nei precedenti verbali, hanno smentito di aver ottenuto denaro o altre utilità, ma nei nuovi verbali l'imprenditore ha aggiunto ulteriori dettagli. «Anche perché - specifica l'avvocato Perri - può fornire riscontro a quanto sta dichiarando». Afferma Di Lernia: «Il presidente dell'Enav Luigi Martini, soprannominato "il calciatore" perché giocava nella Lazio, è il manager di riferimento della destra. L'amministratore delegato Guido Pugliesi è invece tramite con l'Udc. Io gli ho regalato tre Rolex, uno del valore di 22mila euro. In totale ho comprato dieci Rolex e li ho distribuiti. In questo sistema è inserita anche l'amministratore di Selex Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini». Sul versamento di denaro Di Lernia ha fornito poi altri particolari, ma le verifiche sono tuttora in corso.

Conclusi sono invece i controlli sull'operazione immobiliare che ha coinvolto Ilario Floresta, consigliere di amministrazione di Enav, ex parlamentare di Forza Italia e sottosegretario al Bilancio nel primo governo guidato da Silvio Berlusconi. Il sistema usato per fargli avere 250 mila euro è stato quello delle finte vendite immobiliari: attraverso il commercialista Marco Iannilli è stato firmato un preliminare per la vendita di un appartamento in Egitto. Il contratto non è stato perfezionato e Floresta ha tenuto i soldi della caparra. Di Lernia è però andato oltre: «Quando Iannilli è stato arrestato, Floresta ha preteso che fossi io a versargli i soldi. Ero già pressato da numerose richieste e così gli ho dato circa 15.000 euro per farlo stare buono».

Fiorenza Sarzanini

29 luglio 2011 07:57© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_luglio_29/sarzanini_6269387c-b9a2-11e0-9ceb-ac21c519f82b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Sabina e Lele, tutti sistemati Adesso Silvio parli con me»
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2011, 11:22:29 pm
Le intercettazioni / Tarantini

«Sabina e Lele, tutti sistemati Adesso Silvio parli con me»

Tarantini: «Lui sa che prendo i soldi da Eni e Finmeccanica, a me ne servono 5 per domani»

Dal nostro inviato  FIORENZA SARZANINI


NAPOLI -- «Sabina è sistemata tutta la vita, se vedi la sua casa dici non è possibile perché sembra la casa di Onassis... Lele Mora ha avuto 4 milioni di euro e Emilio Fede se n'è intascati 800... Ed io non ho mai chiesto un c...! Io sono sempre andato, attraverso te, con i piedi di piombo... Ora mi fai andà a parlà con lui, perché io sono sicuro che io e lui, davanti, da soli, a me lui non mi dà 500, perché lui mi conosce, sa che Gianpaolo Tarantini prende i soldi dall'Eni, prende i soldi da Finmeccanica... lui lo sa che io li prendo, a me ne servono 5 domani? Lui lo sa che io ne prendo 20, perché lui lo sa come so capace io a prenderli i soldi, io li ridò tutti e 5». È il 17 luglio scorso. Gianpaolo Tarantini ha appena scoperto che Valter Lavitola ha preso da Berlusconi 500 mila euro destinati a lui, ma gliene ha consegnati soltanto 100 mila. Lo chiama e al telefono la sua rabbia esplode. Lavitola è in Sudamerica, Tarantini insiste perché gli faccia incontrare il premier. La Sabina di cui parla dovrebbe essere la Began, soprannominata l' Ape regina proprio per essere stata una delle «favorite» del presidente del Consiglio. Fu proprio lei - più volte indicata come una delle «reclutatrici» per le feste a palazzo Grazioli e a Villa Certosa - a far incontrare l'imprenditore barese con Berlusconi. E Tarantini la prende ad esempio per quello che anche lui vuole ottenere. Una strategia che condivide con sua moglie Nicla, visto che la donna - indicata nell'ordinanza come amante di Lavitola - racconta nelle conversazioni intercettate di essere già stata nella residenza romana di Berlusconi per avere soldi e chiede di poterci tornare. Un piano andato a buon fine visto che - come rivela Tarantini nel memoriale che sarà consegnato oggi ai magistrati di Napoli dal suo nuovo legale Alessandro Diddi - con Berlusconi ci sono stati due incontri oltre a quello con la moglie: uno a marzo, l'altro agli inizi di agosto proprio per ottenere l'intera cifra.

«Lele Mora gli fa schifo»
Nella telefonata del 17 luglio Tarantini rivendica di voler trattare direttamente con Berlusconi, ma Lavitola cerca di convincerlo a non fare mosse azzardate, sottolineando come un incontro ci sia già stato.
Lavitola: Gianpà scusa, ma noi ci siamo andati e quello là ti ha fatto così.
Tarantini: E tu gli hai detto 500, perché se parlavo io gli chiedevo 3 milioni e quello diceva "si". Ti assicuro.
Lavitola: Gianpà se tu gli chiedi 3 milioni, quello ci cacciava fuori a tutti e tre
Tarantini: Ma che cosa dici? Ma tu non... con chi stai parlando, ma tu lo conosci a quello?
Lavitola: no, io non lo conosco, per fortuna che lo conosci tu
Tarantini: e allora agli altri sì e a me no? Io so' il coglione de tutta la storia?
Lavitola: ma no, Gianpà io non ci credo agli altri, di tutte queste...
Tarantini: come non ci credo... stanno negli atti i bonifici a Lele Mora
Lavitola: ma lascia perdere, ma tu lo sai qual è il rapporto di Lele Mora con lui o non lo sai?
Tarantini: quale, che gli faceva schifo, te lo dico io che vivevo là dentro, io dormivo a casa sua... gli faceva schifo, gli faceva vomitare
Lavitola: vabbè Gianpà, lascia stà, allora c'hai ragione tu.
Tarantini: allora la casa di Sabina è una finta. Cioè, la casa di Sabina, dove vive ora, è finta.
Lavitola: ma non lo so, io la casa di Sabina non lo so, comunque io ti dico che per quella che è la mia esperienza, tu vai là e gli vai a chiedere tre milioni, quello ti caccia fuori a pedate.
Tarantini: ma io non glieli chiedo. Io a lui gli voglio dire una cosa, mi voglio mettere di fronte e gli voglio dire: «Presidè io non c'ho una lira, sono disperato, sto facendo sta c... di operazione, non ci sta, nel frattempo, per favore, mi vuoi mantenere come Cristo comanda, senza avere rotture di c..... di nessun genere?» Mi deve dire: «No»? Io non ci credo
Lavitola: Gianpà, quello che cosa ti deve dire? Ti deve dire: «lo sto facendo», com'è vero che lo sta facendo
Tarantini: oh! Ma io non voglio avere rotture di c...
Tarantini si mostra preoccupato di avere subito i 500 mila euro. Lavitola gli assicura di averli messi «su un conto chiuso in Uruguay». Tarantini lo invita a non sottovalutarlo: «Ricordati che io a vent'anni andavo in barca con D'Alema e a trenta dormivo da Berlusconi»

Tre incontri dal premier
Nel memoriale Tarantini racconta di aver conosciuto Lavitola «perché i nostri figli vanno a scuola insieme» e di avergli manifestato le sue difficoltà economiche. Ammette di aver ottenuto i 20 mila euro al mese e poi dice di aver chiesto di vedere Berlusconi anche se cerca di negare ogni intento ricattatorio. Poi racconta nel dettaglio i tre incontri: «Il primo fu organizzato nel novembre 2010 a palazzo Grazioli e partecipò soltanto mia moglie; Berlusconi si mostrò dispiaciuto per il clamore mediatico subito dalla mia famiglia. Inizialmente il ruolo di Lavitola mi sembrò genuino, poi assai meno sincero. L'impossibilità di parlare direttamente con il Presidente, per molteplici e intuitive ragioni, mi ha costretto a usarlo come tramite. A marzo 2011, dopo molte insistenze, ci accompagnò ad Arcore. Io ero emozionatissimo e lo ringraziai per gli aiuti che ci faceva pervenire». Il terzo incontro avviene a palazzo Grazioli, Tarantini ha saputo pochi giorni prima che Lavitola si è tenuto 400 mila euro: «Chiesi personalmente scusa al Presidente per aver dubitato della sua generosità. Mi confermò di aver dato già da tempo la somma a Lavitola, dando immediatamente incarico di consegnarla a mia moglie che poteva iniziare un'attività lavorativa».

I pm di Bari e la D'Addario
Nella conversazione del 17 luglio Tarantini si mostra informato su quanto accade a Bari per l'inchiesta in cui è indagato per favoreggiamento della prostituzione per aver portato trenta ragazze a pagamento alle feste di Berlusconi nel 2009. Il giorno precedente sul quotidiano Libero è stata pubblicata un'intervista a Patrizia D'Addario che dice di essere stata «usata» per danneggiare Berlusconi.
Tarantini: è stato fatto per non chiudere le indagini, per non mandare l'avviso di conclusione, così non escono intercettazioni.
Lavitola: che c'entra questo?
Tarantini: perché così riapre il caso, riapre l'indagine.
Lavitola: il pm?
Tarantini: e certo!
Lavitola: embè, è che vantaggio ha il pm a riaprire le indagini, scusa.
Tarantini: no, il vantaggio ce l'abbiamo noi. L'ha fatto apposta Laudati (il procuratore di Bari ndr ) questo, perché, si sono messi d'accordo: nel momento in cui riaprono l'indagine e non mandano l'avviso di conclusione, non escono ... non diventano pubbliche le intercettazioni.
Lavitola: ah, dici tu.
Tarantini: sì e pure Nicola l'ha detto, pure Perroni l'ha detto oggi.

Le ragazze e i soldi
Il Nicola di cui parla Tarantini è l'avvocato Nicola Quaranta che lo difende insieme al collega Giorgio Perroni. Di loro Tarantini parla in altre due conversazioni agli inizi del luglio scorso proprio con riferimento ai rapporti con «il Procuratore».
Tarantini: ho parlato ora con Nicola, di Bari, l'avvocato che ha parlato l'altro giorno... ti dissi che andava a parlare al Capo... là c'è un problema grosso... per telefono come faccio a dirti ste c... di cose... hanno fatto un putiferio... hanno trascritto tutto, cosa che non dovevano fare...
Lavitola: ah...
Tarantini: le mie e le sue e quello lui, il Capo stava cacato nelle mutande, ha detto ti prego, aiutatemi... allora siccome questo dice che non se la può più tenere questa cosa finale, la deve per forza mandare... e se và... dice che non è quello che è uscito il mese scorso, due... sei mesi fà, dice che sono terrificanti... gli ha spiegato anche tutto gliele ha letto, si è molto aperto, gli ha detto tutto... tu mi devi fare un piacere, perché tra l'altro lui gli ha detto a Nicola che lui non poteva farlo, o meglio non sapeva come farlo, di avvisare l'avvocato di Milano, di Roma, quello mio...
Lavitola rifiuta e in una successiva conversazione Tarantini, riferendosi al procuratore aggiunge: «Lui ha detto a Nicola che il suo ruolo è fallito perché lui era convinto di archiviarla». E poi spiega perché sono preoccupati per le intercettazioni di Bari che si riferiscono a Berlusconi: «Ci sono telefonate tra me e le ragazze in cui loro mi dicono che lui il giorno prima gli ha dato i soldi».

Fiorenza Sarzanini

02 settembre 2011 09:26© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_02/sarzanini-sabina-e-lele-tutti-sistemati_66394426-d525-11e0-b96a-5869f8404a57.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Niente Cartier, fate gli umili»
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 06:03:57 pm
Le intercettazioni / L'ordinanza

«Niente Cartier, fate gli umili»

Lavitola: «Gianpi, tu e tua moglie vivete troppo alla grande. Andate meno al ristorante, e non ingioiellati»

   
NAPOLI - Soldi in contanti versati settimanalmente dalla segretaria del presidente Silvio Berlusconi, ma anche contratti di consulenza con aziende di Stato, missioni all'estero, contatti in corso con gli enti locali, in particolare con la Regione Lazio. Le conversazioni di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola rivelano come i due uomini che hanno ottenuto notorietà muovendosi all'ombra del premier, siano riusciti a ottenere vantaggi proprio grazie a questo rapporto privilegiato con il capo del governo. E così l'imprenditore pugliese rivendica di aver «preso soldi da Eni e Finmeccanica», mentre il giornalista faccendiere mostra dimestichezza quando tratta con i dirigenti della holding specializzata in sistemi di Difesa.

I pagamenti esteri
Scrive il giudice Amalia Primavera nella sua ordinanza: «Sotto diverso profilo, va evidenziato come da molte delle conversazioni sia emerso uno stretto collegamento tra il Lavitola e alcune società del gruppo Finmeccanica operanti prevalentemente all'estero quali, ad esempio, Augusta, Selex e Telespazio Brasile. Nell'operare per conto delle predette società, l'indagato intrattiene un livello di relazioni molto alto, nell'esercizio delle quali pone in essere non meglio precisati movimenti di danaro da impiegare verso terzi». Soldi movimentati fuori dall'Italia e non a caso nel provvedimento di custodia cautelare si evidenzia come «appare già di per sé anomalo ed inquietante che un giornalista come il Lavitola parli di «commissioni« da pagare estero su estero da Finmeccanica». Un nuovo filone investigativo che mira a verificare l'esistenza di eventuali «fondi neri» da utilizzare nel versamento di tangenti o comunque per ricompense «occulte». Del resto i colloqui dimostrano come Tarantini e Lavitola - nonostante si lamentino per le proprie condizioni economiche e continuino a battere cassa a Palazzo Chigi - conducano una vita dal tenore molto alto con cene nei ristoranti alla moda, viaggi in barca, beni di lusso da far sfoggiare alle mogli. Nicla «Ninni» Devenuto, la moglie di Tarantini finita in carcere per concorso in estorsione, chiama in continuazione Lavitola con il quale ha una relazione sentimentale e lo pressa per avere soldi, non fa mistero della sua disperazione.

Le borse di Cartier
Lavitola gestisce la vita dei coniugi che ha conosciuto «perché - dice Tarantini nel suo memoriale - i nostri figli vanno alla stessa scuola, al Villa Flaminia». Ma si preoccupa che i magistrati possano scoprire questo suo rapporto con i due. Si fa chiamare dalle cabine pubbliche e sempre raccomanda: «Statevi attenti al telefono che questa è una delle piste che c'hanno». Nella telefonata del 17 giugno, due giorni dopo l'arresto di Luigi Bisignani, appare terrorizzato di finire in carcere.
Lavitola: voi state avendo un tenore di vita troppo elevato per il reddito... e questi hanno sgamato tutto, che il lavoro è finto.... che la cosa è così... hanno sgamato tutto!

Tarantini: ma quelli di Napoli o quelli di Bergamo?
Lavitola: quelli di Napoli! che significa la stessa cosa... per cui, per piacere attenzione, attenzione estrema, non fate i bambini... io già gliel'ho detto a Ninni due o tre volte con le buone...
Tarantini: Valter, comunque non facciamo un c... cioè a mangiare due volte a settimana andiamo, non è che
Lavitola: ma non hai capito Gianpà... la questione è, digli pure a Ninni di non andare con la borsa di Cartier là, come si chiama... anche se ce l'ha da 10 anni, di cercare di andare una volta in meno al ristorante, perché quello non è il problema se ci va una volta a settimana, il problema è che quando ci vai chi vuole rompere il c..., fa la fotografia che tu entri da «Assunta Madre» (noto ristorante di Roma ndr ), se il pranzo se è 100 euro loro mettono 200, se esce tutto elegante, ingioiellato che c... ne so... con la borsa da 5.000 euro... e fanno la relazione, hai capito? Non è che tu ci devi andare tutte le settimane, fanno la foto una volta e dici normalmente... più volte la settimana, basta che ci sei andato 2 volte, più volte alla settimana può significare pure 6.
Tarantini: eh lo so! ma indagato sono... no?
Lavitola: l'altra cosa non vi fate trovare soldi addosso eh!
Tarantini: non abbiamo niente, a casa sai quanto abbiamo? 800 euro
Lavitola: benissimo!

Missioni e consulenze
Un mese dopo, sempre al telefono con Tarantini che si lamenta perché non ha soldi e non ha più un'attività lavorativa, Lavitola parla di alcune trattative avviate: «C'ho la speranza abbastanza concreta che si facciano le due cose dell'Eni e della Regione, in modo tale che poi il problema sia superato». Certamente ha rapporti frequenti con Finmeccanica. Scrive il giudice nell'ordinanza di custodia cautelare: «Con Paolo Pozzessere (dirigente del Gruppo ndr ) condivide numerosi affari sicuramente tutti da approfondire». In particolare viene citata una conversazione del 5 luglio scorso durante la quale «Lavitola dice di essere ancora a Panama, e aggiunge che dopodomani partirà per l'Argentina, dove ha una cosa importante da fare. Quindi prosegue dicendo che oggi andrà alla controlleria per Telespazio, che spera di sbloccare definitivamente ed ha la riunione con quelli dell'Aeronautica a cui pare gli riescano a dare i GJ27, ma dice di non dire niente (non dice a chi) e Paolo risponde che sarà lui (Valter) a dirglielo. Valter dice che partirà per l'Argentina, dove ha una cosa sua importante da fare e dove deve vedere "'sta cosa di 'ste riunioni", aggiunge che andrà a caccia e dice a Paolo che Telespazio se la negozierà lui "giù"».
Lavitola chiede di essere pagato su un conto che ha in Bulgaria ma Pozzessere rifiuta e successivamente gli spiega che «dopo i casini che hanno avuto in Finmeccanica, hanno dato disposizioni che i consulenti possono essere pagati o sul luogo dove lavorano, in questo caso Panama, o dove c'è la sede legale. Nel caso, tu dovresti spostare la sede, però il pagamento ti può essere fatto solamente dopo. Ovviamente tu dovresti motivare il fatto perché sposti la sede...»

Fiorenza Sarzanini

03 settembre 2011 09:06© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_settembre_03/niente-cartier-fate-gli-umili-fiorenza-sarzanini_32892e42-d5f8-11e0-a2ab-ce11126458a9.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'interrogatorio di Nicla, la moglie di Tarantini.
Inserito da: Admin - Settembre 10, 2011, 05:57:06 pm
L'interrogatorio

«Noi rovinati senza i soldi del premier»

L'interrogatorio di Nicla, la moglie di Tarantini. «Sposata? Sì, purtroppo»


NAPOLI - Carcere di Poggioreale, 3 settembre 2011, ore 10.28. Angela Devenuto entra nella sala degli interrogatori, risponde alle domande preliminari del cancelliere. E quando le chiedono se è sposata, verbalizza soltanto una parola: «Purtroppo».
Angela la conoscono tutti come Nicla, è la moglie di Gianpaolo Tarantini. «Nata il 27 dicembre 1977 a Bari», dichiara. Fino a due anni la sua vita era piena di amici, di soldi, di feste e di vacanze. Poi suo marito è finito sotto inchiesta per aver portato escort nelle residenze di Silvio Berlusconi, è stato anche in carcere. E ai magistrati di Napoli che l'hanno arrestata per l'estorsione al presidente del Consiglio in concorso con suo marito e con Valter Lavitola, ha detto in lacrime: «Sono rimasta con lui per amore delle bambine, perché stava passando guai neri, ma lui mi aveva riempito di corna, mi aveva sputtanato in tutta Italia e in tutta Europa». Una settimana fa le hanno concesso i domiciliari. È tornata a vivere nella sua casa romana con le bambine, il cognato e la suocera. Il suo unico contatto con l'esterno è l'avvocato Alessandro Diddi. E proprio a lui Nicla affida la sua preoccupazione, che sfocia talvolta nella disperazione «per quello che potrà essere il nostro futuro».

Da settembre 2010 la famiglia Tarantini viveva con i soldi messi a disposizione da Berlusconi: 20.000 euro al mese, più altri versamenti extra, tutti rigorosamente in contanti. Nicla piange, dice che non sa come fare «perché adesso senza quei soldi che ci dava il Presidente come faremo a campare? Non riusciremo ad andare avanti, a fare più nulla. Lui ci aveva dato anche i 500 mila euro per avviare una nuova attività e invece è tutto finito, ora non abbiamo davvero più nulla». Prima era diverso, lo ha raccontato lei stessa a verbale: «Il Presidente, che è una persona molto buona per come io l'ho conosciuto, disse che praticamente noi ci potevamo rivolgere a Valter per qualsiasi problema che era economico, quindi di vita, perché noi dovevamo mantenere noi, la famiglia di mio marito, tre famiglie e così iniziò».

I magistrati vogliono sapere come fa a sostenere che 20 mila euro al mese non erano sempre sufficienti, le ricordano che non aveva rinunciato ad avere due camerieri, e lei risponde: «Avevamo un sacco di debiti, nonostante mi fossi venduta l'impossibile... benzinaio, salumiere, a Bari di tutto di più. Che ne so, prima mio marito faceva tante cene, tante feste, c'erano conti assurdi tipo 30 mila euro alla rappresentante di vini, cose che tu puoi sostenere solo se hai un'azienda, ma se tu sei una persona che non ha lavoro ti devi solo suicidare... Quando non hai i soldi la gente non ti calcola più. Quando li avevamo, avevamo i centralini telefonici eravamo invitati ovunque e tutti ci volevano, quando siamo caduti in disgrazia a noi la gente non ci guardava più in faccia... lo dissi al Presidente, "sono stanca"... Io mi sono dovuta vendere tutto, dai vestiti, gioielli, orologi, borse...».

Il marito ha rivelato che la scorsa estate aveva ottenuto 20 mila euro per una vacanza a Cortina. Lei dice di essere andata a palazzo Grazioli per chiedere altri soldi «almeno 5 mila euro, ma mi dissero che non era possibile». Dice che parlò «giù con Alfredo», il maggiordomo di Berlusconi, «disse guarda, non è possibile, in questo momento non ce li abbiamo. Risposi, grazie, per carità. Siccome era la prima vacanza che facevamo dopo tre anni, eravamo ospiti da questa nostra amica che prese casa vicino Cortina, non ho pagato niente, però chiaramente, si parte quattro persone, volevo far fare una bella vacanza alle bambine». Poi le chiedono del suo legame con Lavitola, lei non si sottrae: «Io non avevo una relazione... io ero soggiogata mentalmente da Lavitola, pensavo che mi volesse bene e ci sono stati degli episodi, ma io relazione non la considero anche perché lui stava sempre all'estero, l'avrò visto sì e no venti volte in tutta la mia vita... con me si era eretto a uomo fighissimo e io fragile, eppure non sono una cretina, ci ero cascata come una pera». Nega con decisione che Tarantini potesse accettare il patteggiamento nel processo di Bari per evitare la pubblicazione di verbali e intercettazioni «perché poi, scusate - dice rivolgendosi ai pubblici ministeri - per quanto il Presidente ci abbia mantenuti e per quanto affetto ci può essere, mio marito pensa al culo suo, tiene una famiglia e dei figli».

Fiorenza Sarzanini

10 settembre 2011 10:56© RIPRODUZIONE RISERVATA

da -


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tarantini sotto tutela, Ghedini dai pm
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2011, 11:50:14 am
L'INTERROGATORIO

Tarantini sotto tutela, Ghedini dai pm

L'imprenditore: «Fu lui a procurargli il lavoro». In un cooperativa, duemila euro per non far nulla

   
NAPOLI - Un interrogatorio di oltre tre ore e Niccolò Ghedini, parlamentare del Pdl e soprattutto avvocato del presidente del Consiglio, entra ufficialmente come testimone nell'inchiesta di Napoli sulla presunta estorsione a Silvio Berlusconi. Le verifiche dei magistrati avrebbero infatti accertato che è stato lui ad occuparsi di tutte le necessità di Gianpaolo Tarantini. Posto di lavoro, pool di difesa, strategia processuale: a sentire i suoi colleghi e lo stesso Tarantini, lui ha sempre pensato a tutto. E in questo modo ha di fatto messo «sotto tutela» l'imprenditore pugliese indagato per aver reclutato decine di ragazze da portare alle feste del premier. Perquisizioni, sequestri, incontri hanno segnato ieri l'indagine condotta dai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio, partiti nel pomeriggio per Roma proprio per interrogare il legale deputato. Mentre gli agenti della Digos entravano a casa di Tarantini a sequestrare il suo BlackBerry per esaminare mail e sms contenuti nella memoria.

Andromeda e il finto contratto
È la questione più spinosa e, al momento, quella che potrebbe aprire nuovi scenari investigativi. Riguarda il lavoro offerto a Tarantini mentre era ancora agli arresti domiciliari presso la società Andromeda, specializzata in forniture di servizi d'impresa, dei fratelli Bruno e Antonio Crea, calabresi risultati in collegamento con alcuni boss della 'ndrangheta, che hanno sedi in Puglia, nel Lazio e in Lombardia. Nei giorni scorsi viene interrogato l'avvocato Nico D'Ascola, socio dello studio capitolino di Ghedini e fino a qualche mese fa legale di Tarantini. Gli viene chiesto di chiarire come mai il suo cliente fu assunto ad Andromeda e lui afferma: «Per chiedere la scarcerazione di Tarantini - che era agli arresti domiciliari - era necessario dimostrare che avesse un lavoro e con Ghedini gli trovammo il posto ad Andromeda». Tarantini conferma, sia pur con qualche piccola differenza: «D'Ascola mi disse che c'era un annuncio di questa azienda sul quotidiano romano Il Tempo e di mandare mia moglie a portare il curriculum». Non ci sono problemi, il tempo di sbrigare alcune formalità e arriva l'assunzione.

La conferma di Tarantini
A questo punto è proprio Tarantini - durante l'interrogatorio avvenuto due giorni fa nel carcere di Poggioreale - ad aggiungere i dettagli. «Prendevo 2.000 euro al mese, ma si trattava in realtà di un lavoro fittizio perché non facevo nulla e infatti a un certo punto ho smesso di andare». Una versione che dovrà essere comunque verificata perché le verifiche effettuate dagli inquirenti baresi al momento di concedere i domiciliari avevano invece consentito di scoprire che l'imprenditore si sarebbe occupato di tenere alcuni contatti finalizzati a ottenere contratti e lo stesso avrebbe fatto suo fratello Claudio, ingaggiato come agente in Puglia. Entrambi guidati da Valter Lavitola. E riguarda proprio quest'ultimo l'altra affermazione di Tarantini che viene verificata in queste ore: «Lavitola mi versava un contributo previdenziale di 1.000 euro al mese». Ufficialmente i fratelli Crea sono amici del faccendiere, ma il sospetto è che Lavitola sia in realtà il socio occulto di Andromeda e abbia gestito anche alcuni appalti concessi dalle aziende che fanno capo a Berlusconi.

«Chiedevo perché ero amico di Berlusconi»
I pubblici ministeri domandano a Tarantini come mai scelse D'Ascola come difensore a Bari e lui risponde: «Avevo parlato con il mio legale Nicola Quaranta sollecitandolo a chiedere a Ghedini chi dovessi nominare e lui fece quel nome». Ma perché si rivolse a proprio a Ghedini? Su questo l'imprenditore non ha esitazioni: «Ero amico di Berlusconi, perché non dovevo chiederlo proprio a lui». E aggiunge: «Non ho mai pagato D'Ascola», così confermando di non aver mai versato un euro per la sua difesa. Conferma poi di aver chiesto a Ghedini - sempre attraverso Quaranta - che cosa dovesse dire durante l'indagine e come si dovesse comportare. Del resto sarebbe stato proprio Ghedini a preoccuparsi di sapere se Tarantini avesse ricevuto i 500 mila euro messi a disposizione da Berlusconi. Il ruolo dei legali nella gestione dei rapporti tra Berlusconi e Tarantini viene ritenuto strategico. E proprio per rintracciare le comunicazioni via mail o via sms dell'imprenditore con loro ieri è stato ordinato il sequestro del suo smartphone. Parlando con Lavitola in una conversazione intercettata il 13 luglio scorso l'imprenditore fa infatti riferimento ad alcune comunicazioni con Quaranta «su messenger del BlackBerry» e i pubblici ministeri hanno disposto una perizia tecnica per scoprire che cosa si siano detti. Oggi i nuovi legali - Alessandro Diddi, Ivan Filippelli e Piergerardo Santoro - potranno consultare gli atti dell'accusa depositati al tribunale del Riesame. Da lunedì la battaglia tra le parti si concentra su competenza e scarcerazioni.

Fiorenza Sarzanini

14 settembre 2011 08:43© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/11_settembre_14/tarantini-sotto-tutela-ghedini-dai-pm-fiorenza-sarzanini_abbf72aa-de93-11e0-ab94-411420a89985.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il premier e le escort vestite da segretarie.
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2011, 04:18:41 pm
Gli affari - Le pressioni su Finmeccanica

«Cambio telefono, mi spiano» Quello sfogo con Tarantini

Il premier e le escort vestite da segretarie.

L'imprenditore: Sky mi offrì soldi Tarantini


BARI - Anche il capo della sicurezza di Silvio Berlusconi fu coinvolto nell'assistenza alle donne reclutate per le feste. Il 5 settembre 2008 «Gianpaolo Tarantini e Claudio Cecere, collaboratore del premier, si mettono d'accordo come accompagnare le ragazze a palazzo Grazioli», l'imprenditore avvisa le ragazze e alle 21 di quella sera «Cecere comunica che tra un minuto sarà sotto l'Hotel de Russie». Aerei a disposizione, viaggi di Stato, programmi televisivi: le carte dell'inchiesta della Procura di Bari sullo sfruttamento della prostituzione dimostrano come il capo del governo avesse coinvolto tutte queste persone anche nella sua vita pubblica. Tanto che in un'occasione chiese a due escort di seguirlo facendole passare come sue segretarie. Molti di loro avevano il numero del cellulare personale, potevano chiamarlo a tutte le ore. E il 19 settembre è proprio lui a rivelare a Tarantini, che conosce da qualche settimana: «Ho avuto un disastro con il telefono, ho avuto un po' di guasti e ho dovuto cambiarlo perché come al solito me l'avevano messo sotto controllo, ogni tanto mi succede. Ce ne siamo accorti e allora ho cambiato il numero». Tarantini, custode di molti segreti di Berlusconi, rivela invece in un verbale che dopo l'intervista della D'Addario al Corriere della Sera «Murdoch mi propose un contratto miliardario che rifiutai».

«Ha chiesto il tailleur»
Il 17 ottobre Barbara Guerra chiama Tarantini. Annotano gli investigatori: «Amore c'è un piccolo problemino, che mi ha chiesto un tailleur e io non ce l'ho dietro e neanche Anna (Ioanna Visan) perché vuole che scortiamo tipo segretaria. Gianpaolo le dice di mettersi un pantalone e una giacca. Poi le dice: "Vuoi passare di qua?" e lei dice che ora deve andare». Capita che Berlusconi coinvolga queste persone in appuntamenti pubblici. Ma anche che si metta a disposizione per soddisfare le loro esigenze.
Il 5 gennaio 2009 Tarantini con Belén Rodriguez, la sorella e Linda Santaguida devono raggiungerlo in una delle sue ville.
Berlusconi: ottimo a che ora vuoi l'aereo
Tarantini: facciamo così, la chiamo io verso le cinque, magari la chiamo a casa, oppure vuole che mi accordi con Marinella?
Berlusconi: no, dovresti accordarti con la dottoressa Ronzulli... Ti spiego, io mando giù un aereo oggi, lo faccio fermare a Roma a tua disposizione, quindi puoi venire su all'ora che vuoi, domani mattina venite per colazione...
Episodio simile accade anche il 3 febbraio 2009. È scritto nella relazione della Guardia di finanza: «Gianpaolo chiama Marinella, segretaria di Berlusconi, le dice che partirà con il presidente e con lui ci sarà anche Barbara Guerra. Lei gli dice che si deve trovare alle 13.30 all'aeroporto militare di Linate».

«Vai con le geishe»
Il 17 ottobre 2008 Tarantini parla al telefono con la parlamentare del Pdl Elvira Savino. Annotano gli investigatori: «Parlano di lui (Berlusconi) che è indistruttibile. Gianpaolo racconta a Elvira che andrà con lui a Pechino, allora Elvira dice: "E quindi te ne vai cinque giorni a Pechino con le geishe praticamente, cambiate genere..."». Quattro giorni dopo l'imprenditore affronta lo stesso argomento con l'amico Massimo Verdoscia, poi indagato anche lui come partecipe alla presunta associazione per delinquere.
Tarantini: che io per noi sto a faticare io
Verdoscia: per noi, per noi io ancora non vedo nulla qua, io ancora do e do
Tarantini: la calma è la virtù dei forti
Su questo viaggio in Cina Tarantini ha riposto molte speranze ed evidentemente anche il premier aveva agevolato questa partecipazione, tanto che i documenti necessari sono stati preparati a tempo di record. Tarantini glielo racconta vantandosi: «Avere il visto dall'ambasciata cinese è stata un'impresa, perché con le procedure urgenti ci vogliono dodici giorni, mentre per la normalità ci vogliono 36 giorni. Io l'ho avuto in un giorno».

«Ferro caldo»
Per Gianpaolo Tarantini che l'aveva conosciuto un mese prima, e già gli aveva organizzato un paio di serate con le «sue» ragazze, Silvio Berlusconi era «un ferro da battere quando è caldo». Così diceva il 29 settembre 2008 con l'amico Salvatore Castellaneta, spiegando che bisognava raccogliere velocemente le informazioni sul gruppo imprenditoriale di Enrico Intini - amico di tutti e due - per sottoporle al presidente del Consiglio. Ci riuscì, perché di lì a poche settimane il premier gli procurò un incontro con Guido Bertolaso, il potente capo della Protezione civile, per far lavorare le aziende di Intini.
Di questo parlano a febbraio del 2009 l'autista di Tarantini, Dino Mastromarco, con la moglie dell'imprenditore e l'uomo afferma: «Lo fece chiamare da Bertolaso personalmente... Intini mi ricordo che gli disse a Gianpaolo, quel giorno che andarono, "io non sono mai stato ricevuto da Bertolaso, mi ha sempre rifiutato"... eppure Intini passa per uno dei più grossi imprenditori d'Italia». Nell'affare appare coinvolto anche Roberto De Santis, imprenditore di area dalemiana, che più volte insiste con Tarantini per chiudere la partita. In un verbale del novembre 2009 lo stesso Tarantini racconta la sua gita in barca a Ponza proprio con Massimo D'Alema e altri amici, «ricordo che io e lui giocammo a burraco». E quale possa essere il risultato lo racconta Tarantini al fratello Claudio dopo l'incontro con Bertolaso: entrare con una società nella nuova Protezione civile spa che si sta costruendo e che sarà bloccata soltanto dopo gli arresti dei manager accusati di aver assegnato gli appalti in cambio di tangenti.

«A posto con Guarguaglini»
Lo stesso gruppo si muove anche su Finmeccanica. Il 3 febbraio 2009 Intini dice a Tarantini di non aver ancora definito il valore degli accordi con Finmeccanica che erano stati promessi. Scrivono nell'informativa i finanzieri: «A rassicurare Tarantini ci pensava Silvio Berlusconi alcuni giorni dopo, riferendo di aver parlato con Guarguaglini (era il suo secondo intervento sulla presidenza del Gruppo Finmeccanica) che gli aveva garantito che le trattative stavano proseguendo regolarmente: "Niente ho parlato... come ti avevo detto che avrei fatto... lui mi ha detto sì, sì, non ci sono... sta andando avanti tutto, ho parlato personalmente con la persona.... tutto bene, la persona è tranquilla, e perciò andiamo avanti"».
A marzo Tarantini riferisce a Intini «l'aspro disappunto» di Silvio Berlusconi «verso il vertice di Finmeccanica» per il fatto che non aveva ancora concesso le promesse collaborazioni con le società del Gruppo Intini: «Quello disse: "Guagliò... il rispetto delle istituzioni almeno"», racconta riportando una frase del premier

La cena con Borgogni
Nella relazione della finanza sono anche contenuti i particolari di una cena organizzata da Gianpaolo Tarantini il 29 aprile 2009, nella sua casa di Roma, col direttore centrale delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, e con Salvatore Metrangolo, presidente e amministratore delegato di due società del gruppo, che si è dimesso nei giorni scorsi. «Alla cena intervenivano anche Paolo Berlusconi e un suo amico», scrivono gli investigatori. Che aggiungono: «Per intrattenere i suoi ospiti Tarantini reclutava Barbara Guerra, Fadoua Sebbar e Letizia Filippi, la cui disponibilità a concedere favori sessuali in cambio di utilità era stata ormai testata». Seguono i colloqui intercettati in cui l'imprenditore si raccomanda con Barbara: «È una cosa importante, che mi serve a me, capito? Per lavoro...», e quelli in cui le dà indicazioni su come vestirsi: «Amò, però mettiti uma minigonna inguinale... Vestiti proprio a mignotta!».
Il giorno dopo Tarantini commenta con un'altra donna presente alla cena - Micaela Ottomano, segretaria particolare dell'allora sottosegretario allo Sviluppo economico Paolo Romani - «soffermandosi, tra le altre cose, sulla spesa che Gianpaolo aveva dovuto sostenere per reclutare le due ragazze (la Guerra e la Sebbar) che avevano intrattenuto i due dirigenti di Finmeccanica». La Ottomano dice: «Certo che sono due puttanone, ma si vede... Ti è costato altri duemila?». Tarantini glissa: «Nooo». Ottomano: «Che sei generoso, chissà che gli hai dato...». Ieri Borgogni ha precisato di essere «andato via a metà della cena, quando arrivò Paolo Berlusconi».

L'incontro con Romani
Micaela Ottomano, quarantenne avvocato barese, era già stata contatta da Tarantini per organizzare un incontro col sottosegretario Romani, utile a sbloccare una pratica che doveva portare le aziende del Gruppo Intini a gareggiare per la realizzazione del Sistema nazionale integrato delle comunicazioni di Protezione civile. Serviva la firma di un accordo tra Rai e Protezione civile, di cui si sarebbe dovuto occupare Romani. «Primo passo - scrivono gli investigatori - era avvicinare Micaela Ottomano, segretaria particolare di Paolo Romani, perché questa, dietro la promessa di Tarantini di essere presentata al presidente Berlusconi, prevedesse un appuntamento con il sottosegretario».
Dopo averla contattata, il 1° aprile 2009 Tarantini ricevette da Micaela questo sms: «Ciao Gianpaolo, grazie x l'affettuosità e la gentilezza dimostratami. Ci metterò il mass dell'impegno, e tu se riesci cerca di accontentarmi nelle modalità di cui ho detto xché la festa x il mio caso nn va bene. Ti abbraccio». Tre settimane dopo, nuovo contatto tra i due. Riferiscono gli investigatori: «Micaela Ottomano contattava Tarantini e gli diceva che gli avrebbe organizzato un pranzo con Romani per il giovedì. La Ottomano in cambio avrebbe voluto incontrare il presidente Berlusconi».

Fiorenza Sarzanini

18 settembre 2011 09:15© RIPRODUZIONE RISERVATA

da -


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Tarantini, l'inchiesta passi a Roma»
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2011, 06:01:14 pm
il giudice: «credibili le dichiarazioni del premier nella sua memoria»

«Tarantini, l'inchiesta passi a Roma»

Presunto ricatto al premier, la decisione del Gip: «La competenza non è della procura di Napoli»

   
MILANO - Il Gip di Napoli Amelia Primavera si è dichiarata incompetente a decidere sulla scarcerazione di Gianpaolo Tarantini richiesta dagli avvocati Alessandro Diddi e Ivan Filippelli. «In ordine al reato di estorsione - si legge nel provvedimento appena depositato - la competenza è dell'autorità giudiziaria di Roma».

«CREDIBILI LE DICHIARAZIONI DEL PREMIER» - Il Gip si è basato sulle dichiarazioni della segretaria di Berlusconi Marinella Brambilla ma soprattutto su quanto affermato nella sua memoria dallo stesso presidente del Consiglio. Scrive il Gip nell'ordinanza: «La stessa vittima del reato ha confermato di aver corrisposto le somme di denaro sempre a Roma traendole da proprie disponibilità liquide che teneva presso la sua abitazione di Palazzo Grazioli. Dichiarazioni credibili con riferimento al luogo della dazione del denaro oggetto dell'attività estorsiva ipotizzata». Per la decisione del Gip l'avvocato del premier Niccolò Ghedini ha espresso soddisfazione.

Fiorenza Sarzanini

20 settembre 2011 15:59© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_20/tarantini-ricatto-berlusconi_59383058-e389-11e0-bc23-ba86791f572a.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tra le escort la donna di un boss mafioso
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2011, 05:10:59 pm
Le ragazze

Tra le escort la donna di un boss mafioso

La Tommasi raccomandata dal premier per l'«Isola dei famosi».

L'incontro con le sorelle del Montenegro

 
BARI - Le ragazze lo chiamano «Papi». Per lui è «babuccio». Così, parlando con le ragazze, Gianpaolo Tarantini si riferisce a Silvio Berlusconi. E in continuazione cerca rassicurazioni per sapere che cosa dice di lui quando incontra le donne in privato, se è rimasto contento degli incontri. La sua voglia di compiacerlo traspare in maniera netta e così lo interroga se ha dubbi sulle donne da portare. Proprio una di queste conversazioni intercettate ha consentito di scoprire che fu Berlusconi a raccomandare gli organizzatori dell'«Isola dei Famosi», il programma all'epoca condotto da Simona Ventura su Raidue. Annotano gli investigatori della Guardia di Finanza nel brogliaccio relativo alla telefonata del 10 marzo 2009: «Berlusconi chiama Tarantini. Parlano delle ragazze che saranno presenti alla serata. Tarantini dice che porterà Sara Tommasi. Il presidente dice "quella che abbiamo mandata con un programma speciale a fare un viaggio in Brasile, no in America"». Più volte la Tommasi risulta aver dormito a casa di Berlusconi, anche perché fu lui a contattarla direttamente dopo aver chiesto il numero a «Gianpi».

Barbara Montereale, l'amica di Patrizia D'Addario che proprio quest'ultima portò con sé a palazzo Grazioli, riuscì a partecipare alle feste nonostante le resistenze del suo fidanzato Radames Parisi, nipote del boss Savinuccio Parisi, capo di uno dei più potenti clan della mafia barese, che inizialmente le intima di non andare ma poi acconsente e si fa raccontare nei dettagli sia le serate, sia la vacanza trascorsa dalla ragazza a Villa Certosa in occasione del Capodanno del 2009.

Negli atti processuali compaiono anche telefonate di Raffaella Zardo, compagna di Emilio Fede, che dice di voler andare alle feste del premier ma il direttore del Tg4 non glielo consente e qualche giorno dopo aver saputo che sono in circolazione alcune sue foto con Manuel Casella, ex fidanzato di Amanda Lear, dice a Tarantini: «Sono contenta che escono così capisco che non sto con Emilio Fede... e dopo lui mi ha già tolto da Sipario quindi la gente capisce. Vedi com'è Fede, allora se stai con lui ti fa lavorare, sennò no. Lui non le vuole far pubblicare, addirittura dice che è disposto a comprarle». Berlusconi non sembra apprezzare la Zardo e a Tarantini dice: «Questa qui è una tr... Lui non l'ha mai sc... neanche baciata. Lo sfruttava per lavorare in televisione, era la favola di tutti». Era stata proprio la Zardo a chiedere a Tarantini se il Presidente «può fare qualcosa per far ottenere il passaporto al cognato di Ayda Yespica» e poco dopo lo aveva bloccato: «Lascia stare, ha risolto. Perché l'aveva detto lei personalmente al Presidente ma lui si sarà dimenticato».

Sono svariate le showgirl che si rivolgono a Berlusconi per cercare di risolvere i propri problemi. E lui si mostra evidentemente disponibile. Alcune le ospita in casa per giorni. È Sara Tommasi a riferire a Tarantini che Berlusconi l'ha invitata a cena da lui e le ha chiesto «se non ti scoccia mi hanno fatto una sorpresa c'è qui anche mio fratello con due tipe del Montenegro, però noi stiamo insieme io e te». Secondo gli investigatori potrebbe trattarsi delle due sorelle che, almeno a quanto risulta dall'inchiesta avviata a Milano, «lo hanno tenuto sotto ricatto».

F.Sar.
19 settembre 2011 15:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/11_settembre_19/tra-le-escort-la-donna-di-un-boss-mafioso-fiorenza-sarzanini_b0664388-e285-11e0-9b5b-a429ddb6a554.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Indagare il premier, la mossa dei pm
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2011, 10:58:57 am
IL CASO TARANTINI

Indagare il premier, la mossa dei pm

La tesi di Napoli: spinse Tarantini a mentire, il caso rimanga a noi


ROMA - È la mossa a sorpresa che potrebbe riaprire la partita. Non c'è più soltanto l'estorsione nella vicenda che ha portato agli arresti Gianpaolo Tarantini e sua moglie Nicla, mentre rimane latitante il faccendiere Valter Lavitola. Adesso i magistrati di Napoli ipotizzano anche un reato da contestare a Silvio Berlusconi. E così rimettono in discussione pure la questione della competenza. Induzione a rendere dichiarazioni mendaci: questo l'addebito contro il premier, che potrebbe essere formalizzato nelle prossime ore. I pubblici ministeri attendono il giudizio del tribunale del Riesame, ma appaiono determinati a procedere con l'iscrizione nel registro degli indagati accusando il presidente del Consiglio di aver «pilotato» i comportamenti processuali di Tarantini in cambio di soldi e altre utilità.

Accade tutto ieri mattina, di fronte al collegio che deve decidere sulla scarcerazione di Tarantini chiesta dai suoi legali Alessandro Diddi, Piergerardo Santoro e Ivan Filippelli. I difensori hanno già incassato la decisione del giudice che trasferisce il fascicolo nella capitale, dunque si concentrano sull'istanza che sollecita il ritorno in libertà del loro assistito. Danno per scontato, come evidenzia Diddi, che non si debba neanche tornare a discutere questo punto, anche tenendo conto che gli atti sono già stati inviati alla Procura di Roma dove i coniugi Tarantini e Lavitola sono già stati indagati per lo stesso reato di estorsione. Puntano soprattutto sul fatto che abbia risposto a ben tre interrogatori, mostrando la massima collaborazione. E invece è proprio da quelle sue dichiarazioni che l'accusa - sostenuta da Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Greco - fonda il cambio di orientamento. Nei verbali Tarantini afferma infatti che Berlusconi non sapeva che le ragazze reclutate per le sue feste fossero prostitute e soprattutto giura che i soldi ricevuti erano soltanto un prestito per avviare una nuova attività.

«È una versione falsa - sostengono i pubblici ministeri - smentita dagli interrogatori dei testimoni, primi fra tutti i collaboratori più stretti di Berlusconi». Woodcock paragona il capo del governo che giura di non essere ricattato e di aver aiutato una famiglia in difficoltà «a coloro che vengono accoltellati e invece sostengono di essersi tagliati mentre affettavano il pane». Poi depositano gli atti dell'inchiesta di Bari sullo sfruttamento della prostituzione che dimostrano come il premier fosse informato dei pagamenti delle donne e vi avesse in parte contribuito. Ricordano l'elenco delle utilità ottenute da Tarantini: almeno 20 mila euro al mese nell'ultimo anno, 500 mila euro attraverso Lavitola (anche se quest'ultimo ne ha trattenuti 400 mila), la tutela legale e il lavoro. Poi sferrano il colpo: «È stato Berlusconi a indurre l'indagato a mentire, dunque gli può essere contestato l'articolo 377 bis del codice penale che appunto punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o di altra utilità induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata davanti all'autorità giudiziaria». E su questo «deve indagare Napoli, oppure Lecce che ha già avviato accertamenti sulla gestione dell'indagine da parte dei colleghi baresi».

I magistrati negano che l'iscrizione di Berlusconi sia già avvenuta. Ma - a meno di una smentita clamorosa di questa impostazione accusatoria da parte dei giudici del Riesame - sembra non ci siano dubbi sul fatto che ciò possa avvenire appena la decisione del Tribunale sarà depositata, vale a dire entro lunedì, quando scadranno i termini per decidere sull'eventuale scarcerazione di Tarantini. Anche perché i pubblici ministeri napoletani sono convinti che il reato di estorsione non sia alternativo a quello di induzione e dunque le inchieste di Roma e Napoli potrebbero procedere in maniera parallela.

Una soluzione pacifica caldeggiata anche dalla giunta dell'Anm di Napoli che ieri ha ritenuto di dover intervenire a tutela dei pubblici ministeri «visto che numerosi commentatori, omettendo ogni valutazione nel merito, hanno prospettato lo scenario di una "superprocura" ostinatamente concentrata a perseguire reati commessi da una certa parte politica in spregio alle regole processuali. E di fronte alla costruzione di un simile teorema che muove da posizioni preconcette e si fonda su affermazioni di fatti non corrispondenti al vero, con l'obiettivo di delegittimare la magistratura napoletana gettando discredito sul suo operato, non si può tacere. Anche perché, dopo la dichiarazione di incompetenza, nessun atto investigativo è stato compiuto e di fronte alla conferma di giudizio da parte del gip, si è provveduto a trasmettere immediatamente gli atti».

Fiorenza Sarzanini

24 settembre 2011 09:08© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_settembre_24/procura-napoli-sarzanini-estorsione_c7c8f8fa-e66c-11e0-93fc-4b486954fe5e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ruoli ribaltati, Gianpi diventa una «vittima»
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 10:57:08 am
Gli scenari

Ruoli ribaltati, Gianpi diventa una «vittima»

Oltre a Roma e Napoli il conflitto potrebbe ora allargarsi alla Procura pugliese

 
NAPOLI - La decisione del tribunale di Napoli riapre in maniera clamorosa la partita che si gioca tra magistrati sul ruolo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Perché la scelta di far cadere l'accusa di estorsione contro Gianpaolo Tarantini e sua moglie Nicla accoglie la tesi dei pubblici ministeri napoletani che avevano preannunciato di volerlo indagare per aver indotto l'indagato a rendere dichiarazioni mendaci. Ma sposta la competenza su Bari, ritenendo che lì sia cominciato il reato, poi perfezionato a partire dal settembre 2010 con la complicità del faccendiere Valter Lavitola che ha provveduto materialmente a versare ai coniugi oltre 20.000 euro al mese e ha fatto da tramite per erogare i 500mila euro chiesti dallo stesso «Gianpi» in un'unica soluzione. E questo spiana la strada a un possibile conflitto tra uffici giudiziari.

Bisognerà attendere le motivazioni che saranno depositate oggi e messe a disposizione dei difensori, ma già appare evidente come il Riesame abbia ritenuto illecita la decisione di Berlusconi di mettere «sotto tutela» Tarantini scegliendo per lui gli avvocati, provvedendo alle spese e cercandogli un lavoro mentre l'imprenditore era ai domiciliari proprio per ordine dei giudici pugliesi che lo avevano arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti. Un «controllo» da parte del premier che serviva - questo dice il collegio partenopeo - ad orientare le scelte processuali di Tarantini e a fargli mantenere la tesi iniziale: «Berlusconi non sapeva che le donne portate alle sue feste erano escort». In realtà le telefonate intercettate nel corso dell'inchiesta barese e depositate la scorsa settimana raccontano una storia ben diversa, avvalorando non solo l'ipotesi che il premier fosse a conoscenza della vera professione della maggior parte delle invitate, ma anche che contribuisse al loro mantenimento.
E adesso bisognerà vedere se i magistrati napoletani accetteranno la trasmissione del fascicolo a Bari, come del resto avevano ipotizzato davanti al Riesame chiedendo di valutare proprio la sussistenza di questo reato previsto dall'articolo 377 bis del codice penale. O se invece cercheranno di mantenere l'indagine, forti anche del fatto che il capo della Procura di Bari Antonio Laudati è sotto inchiesta a Lecce proprio perché sospettato di non aver gestito correttamente il processo nella fase istruttoria. La terza ipotesi è che possa essere, appunto, Lecce ad avere la competenza. Ma questo apre un nuovo fronte con Roma che ha ricevuto le carte dal gip di Napoli la scorsa settimana e sta già procedendo per estorsione. I pubblici ministeri capitolini si adegueranno a quanto disposto dall'ordinanza di ieri notte del Riesame, oppure proseguiranno autonomamente non ritenendo che i due reati siano incompatibili? Vale a dire: sosterranno la tesi che Tarantini ricattava Berlusconi e questi a sua volta gli elargiva denaro e altre utilità per costringerlo a seguire la sua strategia?

Bastano questi interrogativi per capire quanto la vicenda si sia aggrovigliata e quanto possa diventare difficile districarsi in questo intreccio di verifiche che comunque continuano a ruotare intorno a un unico e fondamentale nodo: il vero rapporto che si è sviluppato tra Berlusconi e Tarantini dopo le rivelazioni di Patrizia D'Addario, la donna che per prima - in un'intervista al Corriere della Sera - svelò che cosa accadeva durante le serate organizzate nelle residenze del capo del governo. Di certo la decisione presa dal collegio partenopeo sembra credere alla tesi di Tarantini che aveva sempre detto di aver «soltanto chiesto un aiuto al presidente Berlusconi per avviare una nuova attività imprenditoriale» e fa propria l'istanza degli avvocati Alessandro Diddi, Ivan Filippelli e Piergerardo Santoro che avevano sollecitato la remissione in libertà dello stesso «Gianpi» e di sua moglie Nicla. Di fatto viene loro riconosciuto il ruolo di «vittime» di Berlusconi, ma anche di Lavitola. Del resto è stato proprio Tarantini a raccontare come il faccendiere lo tenesse sempre «sotto pressione» «visto che mi diceva che il Presidente non voleva più vedermi e mi spingeva ad avvalorare la tesi che il mio atteggiamento nel processo di Bari potesse cambiare». Un'affermazione confermata dalle telefonate intercettate durante le quali più volte Lavitola dice a Tarantini: «Per costringerti a patteggiare te lo devo chiedere lui in persona».

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

27 settembre 2011 07:20© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_settembre_27/sarzanini-berlusconi-tarantini_ed35be90-e8c7-11e0-ba74-9c3904dbbf99.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ora pensiamo a Meredith Kercher
Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2011, 07:42:03 pm
DOPO IL VERDETTO D'APPELLO

Le ambiguità di un processo indiziario

Ora pensiamo a Meredith Kercher

 
Adesso bisogna pensare a Meredith Kercher. Bisogna dare giustizia a questa ragazza uccisa, quando aveva soltanto 21 anni, alla fine di un gioco perverso. I giudici di appello hanno stabilito che Amanda Knox e Raffaele Sollecito non sono i complici di Rudy Guede. Ma un'altra sentenza, pronunciata in Cassazione, aveva già accertato che complici ci sono. Che quella sera di quattro anni fa, nella villetta di via della Pergola a Perugia, c'erano tre persone accanto al corpo agonizzante di Mez. E dunque vanno cercati e perseguiti.

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Il verdetto di ieri sera certamente darà spunto a nuove e aspre polemiche sul funzionamento della giustizia nel nostro Paese. Accade spesso. E questa volta, di fronte a tanti indizi e nessuna prova certa, è possibile che lo scontro diventi addirittura più ruvido. Ma c'è davvero qualcuno sinceramente convinto che Amanda e Raffaele non dovessero essere mandati a giudizio? Le campagne di stampa orchestrate in questi anni negli Stati Uniti hanno cercato di far passare la tesi che i due dovessero essere prosciolti già in istruttoria. Ma si trattava, appunto, di campagne mediatiche.

In realtà Amanda e Raffaele hanno avuto - come dimostra proprio la sentenza di appello - un dibattimento equo e alla fine, poiché non si poteva andare «oltre ogni ragionevole dubbio» sulla loro colpevolezza come invece prevede il nostro ordinamento per decretare la condanna, sono stati assolti. I processi indiziari si devono fare e questo, come tanti altri, ha avuto una svolta grazie alla nuova «lettura» delle prove scientifiche. Del resto gli stessi imputati non hanno potuto negare di aver avuto, almeno all'inizio delle indagini, un atteggiamento che li aveva posti al centro della scena del delitto. C'erano zone d'ombra causate da reticenze e bugie che non vengono completamente spazzate via da questa sentenza, anche se pronunciata con una «formula piena». Soprattutto tenendo conto che i giudici del primo grado avevano riconosciuto la loro colpevolezza, quindi bisognerà attendere la Corte di Cassazione prima di poter affermare che il caso è davvero chiuso.

Quel giorno Amanda sarà probabilmente dall'altra parte del mondo e forse anche Raffaele avrà deciso di andar via o comunque di ricostruire la propria esistenza lontano dai riflettori. In carcere resta Rudy Guede con i suoi silenzi e le sue menzogne che certamente hanno segnato negativamente l'inchiesta. Nessuno però potrà e dovrà dimenticare il volto di Mez, la sua vita spezzata, il suo omicidio rimasto almeno in parte insoluto.

Fiorenza Sarzanini

04 ottobre 2011 07:48© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Titolo: Fiorenza SARZANINI. Due euro a manifestante e soldi per l'ordine pubblico
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2011, 10:12:21 am
Viminale - Le somme potranno essere incamerate dai Comuni in caso di danni

Due euro a manifestante e soldi per l'ordine pubblico

Le ipotesi: versamento anticipato del 50% delle spese

ROMA - I conti li aveva fatti il Comune di Roma lo scorso anno, al momento di varare il nuovo regolamento per le mobilitazioni di piazza. Aveva stimato che per un corteo di 100 mila persone, le spese ammontano a circa 215 mila euro. Vuol dire 2 euro per ogni manifestante.
Ed è proprio questa la cifra che potrebbe essere chiesta ai promotori, qualora fosse approvata la proposta del ministro Roberto Maroni di imporre una sorta di fideiussione a chi chiede l'autorizzazione a sfilare o ad organizzare un sit-in.


Il tema, già dibattuto dopo gli scontri del 14 dicembre 2010 che devastarono il centro di Roma, è controverso. Perché una norma di questo genere rischia di essere incostituzionale, ma anche un regolamento porterebbe a una grave discrasia tra chi ha i mezzi per fornire garanzie economiche come le grandi organizzazioni sindacali o le associazioni di categoria e chi invece scende in piazza proprio perché non ha nulla. Non a caso, quando si è trattato di quantificare le spese da far sostenere ai promotori, il sindaco Gianni Alemanno aveva già ipotizzato di esonerare «le manifestazioni giovanili, quelle studentesche o di fasce sociali deboli, in particolare dei disoccupati».
Le prefetture hanno studiato il problema, ma è comunque compito del Viminale fissare regole e procedure, tenendo conto dei gravi problemi di incostituzionalità che possono sorgere rispetto ai principi di eguaglianza e di dissentire liberamente. Ma anche cercando di mettere d'accordo le esigenze «politiche» che sono già state espresse. Maroni pensa al risarcimento dei danni, i sindaci chiedono invece anche un contributo per i costi sostenuti per garantire un corretto svolgimento della manifestazione. Un lungo elenco che parte dalla messa a disposizione dei bagni chimici, alle ore di straordinario dei vigili urbani, senza dimenticare i servizi aggiuntivi richiesti alle aziende municipalizzate per la pulizia delle strade. E poi ci sono le corse dei mezzi pubblici che devono essere soppresse per motivi di ordine pubblico. Il Campidoglio ha calcolato che sabato scorso c'è stata una riduzione di 27 mila chilometri «con le perdite economiche che questo comporta».

Adesso, se davvero si troverà l'accordo politico sulle nuove misure proposte da Maroni, saranno gli uffici legislativi a mettere a punto il regolamento. Ed è presumibile che lo facciano tenendo conto del percorso indicato dai promotori e dal numero di partecipanti stimato, imponendo un versamento che sia pari almeno al 50 per cento delle spese previste. Soldi che, in caso di danneggiamento, verrebbero immediatamente incamerati dalle amministrazioni comunali.
Del resto quello dei soldi non è l'unico scoglio che dovrà essere superato per raggiungere un'intesa. Gli esperti hanno già evidenziato non solo i problemi di tipo giuridico, ma anche difficoltà pratiche, come nel caso del cosidetto Daspo. Attualmente il provvedimento si applica ai tifosi che vengono coinvolti negli scontri fuori e dentro gli stadi. In occasione delle partite e di altre manifestazioni sportive queste persone hanno il divieto di entrare negli impianti, alcuni hanno l'obbligo di firma. Il controllo è reso possibile dai tornelli sistemati all'esterno delle strutture che registrano ogni passaggio delle tessere nominative. Ed ecco il punto: come si fa a controllare che un manifestante diffidato rispetti davvero il divieto a partecipare ad altre mobilitazioni?

Un altro nodo da sciogliere riguarda la richiesta di «garanzie funzionali» presentata dai poliziotti per chi effettua servizi di ordine pubblico. Il prefetto Antonio Manganelli ne ha parlato a lungo durante la riunione di ieri mattina al Viminale servita per mettere a punto le proposte portate in Senato dal ministro. E ha sottolineato la necessità che gli agenti si sentano tutelati sia dal punto di vista giuridico, sia per quanto riguarda gli equipaggiamenti. Una battaglia che il Sap, il sindacato autonomo, porta avanti da giorni con due proposte in particolare: «L'iscrizione nel registro degli indagati di chi fa servizi di polizia, deve essere "vistata" dal procuratore generale e nelle attività di polizia, quando ci sono danni, gli agenti devono rispondere solo per dolo e non per colpa grave».
Infine c'è il fermo preventivo, che riporta agli anni 70 e presenta numerosi aspetti controversi che al momento appaiono difficili da superare. Non a caso Maroni ha precisato la sua volontà di intervenire a livello legislativo per poter contrastare il comportamento di quelle persone che vengono sorprese con «strumenti atti ad offendere» in concomitanza delle manifestazioni. Il rischio, da più parti paventato, è invece che ci possano essere «retate» alla vigilia di appuntamenti ritenuti rischiosi come appunto il corteo di sabato scorso degli «Indignati» ma ancor di più la protesta prevista per domenica prossima nei boschi della Val di Susa.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

19 ottobre 2011 07:35© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_ottobre_19/due-euro-manifestante-sarzanini_b2db89c6-fa12-11e0-81c3-3aee3ebb3883.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nel processo P4 Alfonso Papa resta l'unico imputato
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2011, 05:28:19 pm
L'inchiesta |

Era accusato di associazione a delinquere e favoreggiamento.

Nel processo P4 Alfonso Papa resta l'unico imputato

Bisignani patteggia ed esce di scena

Accordo per 1 anno e 8 mesi: da adesso potrà essere solo testimone

Dal nostro inviato  FIORENZA SARZANINI


NAPOLI - Va tutto come previsto e Luigi Bisignani esce dalla scena giudiziaria napoletana. Il lobbista accusato di associazione a delinquere e favoreggiamento del parlamentare del Pdl Alfonso Papa - a sua volta imputato di corruzione, concussione ed estorsione nei confronti di alcuni imprenditori - chiude l'accordo con i pubblici ministeri e concorda una pena a un anno e otto mesi. Ma soprattutto ottiene un patteggiamento «tombale», dunque fine del processo e delle indagini tuttora in fase istruttoria. In aula potrà essere chiamato soltanto come testimone.

Comincia alle 10.15 l'udienza davanti alla prima sezione del tribunale di Napoli e viene rispettato il copione stabilito da accusa e difesa: da una parte gli avvocati Fabio Lattanzi e Giampiero Pirolo, dall'altra i sostituti Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Il patto prevedeva una richiesta di nullità per difetto di notifica che consentisse di riaprire i termini in modo da poter accedere al rito alternativo. Pirolo presenta l'istanza, Woodcock la appoggia specificando come tre giorni fa lo stesso Bisignani abbia formalizzato la richiesta di patteggiare la pena. E al presidente del tribunale non resta altra scelta che riconoscere l'effettivo errore procedurale.

Alfonso Papa, per la prima volta in tribunale dopo l'arresto autorizzato il 20 luglio scorso dalla Camera, assiste impotente. I suoi avvocati cercano di accodarsi, sottolineano la necessità di non separare il destino dei due imputati e per questo chiedono che un'eventuale riapertura dei termini possa riguardare anche il loro cliente. Ma non sortiscono l'effetto sperato. E Papa resta solo a difendersi dall'accusa di aver ricattato i titolari di alcune aziende con informazioni riservate sulle inchieste in corso. Notizie segrete carpite grazie alla sua «rete», in cambio delle quali si sarebbe fatto elargire soldi, auto di lusso, viaggi, contratti lavorativi per sua moglie e per le sue amanti.

Bisignani torna dunque davanti al Gip che dovrà ratificare l'accordo: un anno e due mesi di condanna per l'associazione a delinquere, sei mesi per il favoreggiamento. Tenendo conto che da quattro mesi è agli arresti domiciliari, appena sarà emesso il decreto tornerà in libertà. I suoi legali si mostrano soddisfatti del risultato, ancor più la Procura che in questo modo può rivendicare di aver condotto un'inchiesta solida e di aver ottenuto il riconoscimento di colpevolezza dell'imputato. Ma anche la possibilità di poterlo riconvocare al processo come testimone, tenendo conto che durante l'istruttoria aveva già accettato di rispondere per tre volte alle domande degli inquirenti.

L'uscita di scena di Bisignani fa calare il sipario sulle centinaia e centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali che documentavano i suoi incontri e le sue conversazioni nell'ufficio di piazza Mignanelli, nel cuore di Roma, dove il lobbista riceveva ministri, imprenditori, politici, giornalisti. E dove riusciva a orientare persino le scelte del governo. I magistrati potranno eventualmente utilizzare soltanto quelle relative a reati commessi da altri. Nulla potranno invece fare con i documenti custoditi nei computer di Bisignani e da lui acquisiti illegalmente grazie a un sofisticato programma che gli consentiva - semplicemente inviando una email - di copiare l'intera memoria del destinatario. Ma anche di quelli che aveva ricevuto in maniera lecita e che - secondo alcune indiscrezioni - potrebbero essere classificati come «riservati» perché provenienti da uomini dell'intelligence.

Il processo è stato rinviato all'8 novembre. Dopo alcune questioni procedurali, si comincerà ad esaminare la lista dei testimoni. Sono numerose le persone che potrebbero essere chiamate a rendere dichiarazioni in aula sui rapporti tra Papa e gli imprenditori, ma soprattutto su quelli con i politici. Del resto le intercettazioni hanno mostrato le frequentazioni del parlamentare con i vertici del Pdl e i suoi tentativi di accreditarsi presso il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per ottenere un posto da sottosegretario. Nell'elenco c'è anche l'onorevole Marco Milanese, l'ex braccio destro del ministro Giulio Tremonti, che nell'ambito dell'inchiesta sulla cosidetta P4 di cui anche Papa è accusato di far parte, è già stato interrogato diverse volte.

Fiorenza Sarzanini

27 ottobre 2011 10:40© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/11_ottobre_27/sarzanini_bisignani-patteggia_d4ebffb4-006b-11e1-a50b-be6aa0df10bc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Una rete per spiare Woodcock
Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2011, 06:28:27 pm
Giustizia L'inchiesta

«Una rete per spiare Woodcock»

Indagato il sostituto pg Bonomi. «Dossier falso anche con i tabulati della Sciarelli»


ROMA - Un'associazione segreta composta da magistrati, agenti delle forze dell'ordine e dell' intelligence che utilizzava informazioni segrete per fare carriera e ottenere altri vantaggi. Ma anche per cercare di annientare i nemici rovinando loro la reputazione. Come il pubblico ministero Henry John Woodcock, spiato e denunciato per circostanze in realtà false quando era in servizio a Potenza, oppure il giudice che lavorava nella stessa città, Alberto Ianuzzi.

La Procura di Catanzaro riapre il fascicolo «Toghe lucane», in passato affidato a Luigi de Magistris, e mette sotto inchiesta il sostituto procuratore generale di Potenza Gaetano Bonomi per reati gravissimi che, oltre all'associazione, vanno dalla corruzione in atti giudiziari alla calunnia, dall'abuso d'ufficio alla rivelazione di segreto. Sarebbe lui, secondo l'accusa, il capo del sodalizio che avrebbe coinvolto anche il suo collega Modestino Roca, l'allora capo della squadra mobile di Potenza Luisa Fasano e quello della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri Pietro Gentili. Ma pure un cancelliere del Palazzo di giustizia, altri due militari dell'Arma e un finanziere.
Riparte da quanto accaduto nel 2008 l'indagine affidata al pubblico ministero di Catanzaro Giuseppe Borrelli, ma riguarda anche fatti recenti, tanto che le contestazioni per Bonomi e altri fanno riferimento a «reati in atto». Tra gli episodi più gravi viene indicato quello relativo al febbraio 2009 quando fu preparato un esposto anonimo con i tabulati telefonici di Woodcock e quelli della giornalista Federica Sciarelli per «accreditare l'ipotesi non veritiera che erano state veicolate notizie riservate alla stessa conduttrice della trasmissione Chi l'ha visto? , ma anche al conduttore di Annozero Michele Santoro». Sarebbero stati i funzionari di polizia a procurarsi i dati riservati, mentre il cancelliere avrebbe preparato la denuncia. Obiettivo: far avviare verifiche disciplinari sui colleghi, ma anche intimidirli tenendo conto che questo tipo di verifiche sono delegate proprio ai sostituti procuratori generali.

Una vera e propria guerra tra toghe che adesso rischia di avere esiti imprevedibili. Anche perché agli atti ci sono centinaia e centinaia di intercettazioni che documentano i legami di Bonomi con esponenti politici locali e nazionali, ma anche con alcuni magistrati in servizio presso l'ispettorato del ministero della Giustizia, ufficio dove lo stesso Bonomi aspirava a essere trasferito. Agli atti ci sarebbero alcune conversazioni con Gianfranco Mantelli, uno degli ispettori incaricato di occuparsi dell'indagine amministrativa disposta dal Guardasigilli Francesco Nitto Palma a Napoli e relativa ai fascicoli condotti da Woodcock insieme con i colleghi Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli. Inchieste relative ai pagamenti effettuati da Silvio Berlusconi all'imprenditore procacciatore di donne Gianpaolo Tarantini attraverso il faccendiere Valter Lavitola.

Indicativo delle modalità di azione del sodalizio è, secondo l'accusa, quanto accaduto tra il 2008 e il 2010 quando Bonomi avrebbe accettato di mettersi a disposizione dell'amico imprenditore Ugo Barchiesi, soprattutto per occuparsi di una denuncia che l'uomo aveva presentato e per cercare, senza però riuscirci, di non farla archiviare. Ma soprattutto per carpire notizie riservate sugli accertamenti disposti e sul pubblico ministero titolare del fascicolo. Come contropartita avrebbe ottenuto la raccomandazione di alcuni politici nazionali per essere trasferito al ministero, il posto in una commissione e un viaggio a Velden in Austria per festeggiare il Capodanno con la sua compagna.

In alternativa all'ispettorato, Bonomi mirava a diventare procuratore di Potenza. Per questo avrebbe fatto pressioni su alcuni ufficiali di polizia giudiziaria affinché gli fornissero informazioni su indagini condotte dall'allora capo di quell'ufficio, Giuseppe Galante, e poi avviava a sua volta accertamenti sul collega ipotizzando un'«incompatibilità ambientale». Un presupposto inesistente, ma la situazione che si era creata convinse comunque Galante a dimettersi dalla magistratura.
Tra le accuse c'è anche quella di aver «garantito l'impunità ad alcuni esponenti del mondo politico e imprenditoriale lucano», così come al direttore generale dell'Ospedale San Carlo di Potenza Michele Cannizzaro. Oltre a essere il marito del magistrato Felicia Genovese, il manager aveva contatti con numerosi politici che Bonomi - questa è la contestazione - aveva intenzione di sfruttare proprio per farsi favorire nella nomina.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

29 ottobre 2011 08:21© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_ottobre_29/woodckock-sciarelli-spiati-sarzanini_b4c2342a-01f5-11e1-b822-152c7b3c1360.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La rivelazione dello 007 in una registrazione
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2011, 11:30:29 am
L'inchiesta: «rancore di magistrati verso il collega»

«Incarico al Copasir per creare il dossier contro Woodcock»

La rivelazione dello 007 in una registrazione


ROMA - Allo 007 che preparava i finti dossier contro il pubblico ministero Henry John Woodcock fu promessa una consulenza al Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. È lui stesso a raccontarlo in una conversazione registrata e allegata agli atti dell'inchiesta sull'associazione segreta che sarebbe stata guidata da alti magistrati in servizio a Potenza. Nicola Cervone, 54 anni, l'ex agente del Sisde assunto come cancelliere presso il Tribunale di Melfi, è accusato di essere il «terminale» del gruppo che avrebbe fatto capo al sostituto procuratore generale Gaetano Bonomi e al suo collega Modestino Roca e per questo nei mesi scorsi è stato arrestato per calunnia. Nell'elenco ci sono anche carabinieri e finanzieri, tutti indagati nel fascicolo affidato al procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli.

Per mesi Woodcock sarebbe stato spiato insieme ad altri colleghi e alla giornalista Federica Sciarelli, conduttrice di Chi l'ha visto?. I dati sui loro tabulati telefonici e contatti sono finiti in alcuni esposti anonimi spediti alla Procura locale e ai giornali con l'obiettivo di delegittimarli e di farli finire sotto procedimento disciplinare in modo che fossero trasferiti in altra sede. Denunce preparate proprio da Cervone, che per le spedizioni si affidò a un poliziotto, Leonardo Campagna. Ed è stato proprio quest'ultimo, quando ha capito di essere coinvolto in una trappola che avrebbe potuto portarlo in carcere, a decidere di collaborare con gli inquirenti consegnando loro le registrazioni delle conversazioni con Cervone, che lui stesso aveva effettuato durante alcuni appuntamenti.

In particolare agli atti dell'inchiesta è allegata una cassetta audio che dà conto di un colloquio tra i due del 30 gennaio 2010. Campagna è preoccupato perché dopo essere stato individuato come «mittente» degli anonimi grazie alle telecamere piazzate davanti all'ufficio postale teme per gli esiti dell'indagine. E dunque afferma: «Sono sottoposto a procedimento e per le vostre stronzate devo passare i guai...». Cervone cerca di rassicurarlo e così rivela i suoi obiettivi futuri: «Io a breve, molto a breve sono chiamato come consulente al Copasir e vieni pure tu», ma non fa riferimento a quale sia il suo referente nell'organismo guidato da D'Alema.

In realtà dopo poco l'ex 007 finisce sotto inchiesta e questo blocca ogni possibilità di ottenere nuovi incarichi. Ma quanto afferma subito dopo fa ben comprendere quale fosse lo scenario nel quale si muoveva ed è su questo che si continuano a concentrare gli accertamenti nei confronti dei magistrati che vengono ritenuti dall'accusa i «mandanti» dell'operazione. Dice Cervone: «Là c'era tutto un giro di magistrati che s'erano accordati fra loro per poter fare diversi casini e tutta una cosa, ti dovrei, dovremmo sederci e parlarci ore, capito! Era tutto un bordello che avevano fatto tra loro, non è che c'era accanimento ma quello sembrava il paladino senza macchia e non era così». Evidenzia il giudice nel provvedimento che ha disposto l'arresto dell'ex agente del Sisde: «In buona sostanza nella spiegazione di Cervone le motivazioni della spedizione dell'esposto risiedono nel rancore nutrito da alcuni magistrati "che s'erano accordati tra loro per poter fare diversi casini" nei confronti del dottor Woodcock che "sembrava il paladino ma non era così"».

Di tutto questo risponderà domani Bonomi, convocato per l'interrogatorio come indagato di associazione a delinquere, corruzione in atti giudiziari, calunnia e rivelazione di segreto. L'alto magistrato ha sempre respinto le accuse, ma di fronte ai pubblici ministeri dovrà spiegare il contenuto di decine e decine di intercettazione telefoniche che invece mostrano la sua volontà di delegittimare i colleghi e i suoi rapporti con numerosi politici e imprenditori lucani, oltre alla sua ricerca di sponsor a livello nazionale per ottenere un incarico all'ispettorato del ministero della Giustizia oppure per diventare procuratore di Potenza.

Fiorenza Sarzanini

01 novembre 2011 08:19© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_01/Incarico-al-Copasir-per-creare-il-dossier-contro-Woodcock_314ecd3c-0458-11e1-89f9-a7d4dc298cd1.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Maroni. A rischio l'alleanza con Silvio: ridiscutere tutto
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2011, 12:09:41 pm
Il retroscena

Maroni, addio al Viminale «A rischio l'alleanza con Silvio: ridiscutere tutto»

Il ministro si prepara a lasciare il suo ufficio: era come stare su una Ferrari

ROMA - Alle 19.30, quando esce dal Viminale per andare alla cena dei leghisti, Roberto Maroni lascia l'ufficio come se fosse un giorno qualunque. Nelle stanze dei suoi collaboratori ci sono scatoloni già riempiti, l'aria di smobilitazione è evidente. Nella sua, tutto è come prima, nonostante la consapevolezza che queste possono essere le sue ultime ore da ministro dell'Interno. Ride se si parla di scaramanzia e forse è soltanto un modo per esorcizzare la tensione. Perché la fine del mandato sembra arrivata, ma il problema adesso è un altro. E lui non lo nasconde: «Se il Pdl entra nel governo e la Lega rimane fuori, va in crisi un sodalizio iniziato nel 1994 e non è affatto scontato che si possa tornare insieme. Silvio Berlusconi lo sa bene, glielo hanno detto anche Maurizio Sacconi e Renato Brunetta, perché su questo i ministri del Nord sono d'accordo. Vedremo quello che succederà in vista delle elezioni, però è chiaro che per costruire un nuovo patto nulla sarà scontato, ogni punto dovrà essere ridiscusso».

Il primo colloquio della giornata è con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La sintonia tra i due non è mai mancata, non manca adesso che dal Quirinale si auspica un accordo totale, dunque la partecipazione del Carroccio al nuovo esecutivo. Ma su questo Maroni è categorico: «Se la maggioranza è la stessa del 2008, semmai allargata a quelli che intanto sono andati via, noi ci stiamo. Se è diversa siamo fuori. In democrazia è necessario ci sia l'opposizione e questo faremo, anche perché riteniamo pericoloso che ci sia un'opposizione fuori dal Parlamento. Di fronte ai tagli, alle riforme rigorose, sia pur necessarie, l'unica opposizione sarebbe nelle piazze, un rischio troppo alto». In serata circola il nome di Lamberto Dini come alternativa del centrodestra a quello di Mario Monti. Maroni non esprime giudizi, anche se la sua idea rimane quella di un governo guidato da Angelino Alfano «che potrebbe avere la maggioranza parlamentare e fare le riforme». In quel caso punterebbe a fare il vicepremier? «Non è nei miei piani, mi piacerebbe invece restare qui, è l'unica cosa che in quel caso potrei chiedere».

Il Viminale, diverso da come l'aveva lasciato nel 1994, «per me è stata un'esperienza stimolante, per certi versi esaltante, perché questo dicastero è come una Ferrari che devi saper guidare alla perfezione se non vuoi finire fuori strada. E per farlo devi esserci sempre, come fosse un'azienda privata». Da quando è tornato alcune regole sono saltate, «forse quelle più istituzionali e burocratiche». E adesso che si intravede la fine, c'è già chi rimpiange quella riunione fissata tutti i martedì alle 16 che pomposamente è stata chiamata «staff meeting» e in realtà «serve a confrontarsi, a scambiarsi le informazioni visto che partecipano tutti i capi dei dipartimenti, i sottosegretari, il capo di gabinetto e quello dell'ufficio legislativo». Parla bene di tutti Maroni, ma è con il capo della polizia Antonio Manganelli che ha instaurato un rapporto speciale, «tanto che, proprio facendo saltare tutte le regole, gli ho ordinato di darmi del tu, cosa mai accaduta in questo palazzo tra ministro e capo della polizia». Una sintonia che li ha portati insieme a Caserta, era l'inizio del mandato, per un esperimento di lotta alla camorra che si è rivelato vincente, anche se unico. Perché poi sono arrivati i «tagli» alla spesa e quello che doveva essere un «modello» è rimasto un caso isolato, come possono testimoniare i sindacati di polizia che da mesi si battono perché non hanno neanche i soldi per mettere la benzina nel serbatoio delle volanti.

Ne è consapevole Maroni, pur volendo rivendicare come «risultato più grande l'aggressione ai patrimoni mafiosi e la creazione dell'Agenzia che ha consentito di ottenere numeri straordinari». Ma se si parla di veri rimpianti ce n'è uno che non può celare: «Non essere riusciti in questi dieci anni a superare la situazione del G8 di Genova. E mentre lo dico penso a quanto è accaduto il 15 ottobre, durante la manifestazione degli «indignati», dove tutto era stato pianificato nei dettagli, dove ogni misura e contromisura era stata studiata, ma alla fine ha prevalso l'aspetto psicologico e il risultato è stato ben evidente. È questo il problema vero, la paura dei poliziotti di essere perseguiti per aver rispettato gli ordini, il condizionamento sul quale avevo deciso di intervenire con un provvedimento di legge che potesse proteggerli».
La riunione con i leghisti va avanti fino a tarda sera, al Viminale le luci restano accese per preparare la visita di questa mattina in un piccolo Comune in provincia di Padova. Poi, la settimana prossima, ci sarà il passaggio di consegne. «E allora - ammette Maroni - quegli scatoloni dovrò riempirli davvero».


Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

12 novembre 2011 09:11© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tangenti, i pentiti accusano i politici
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2011, 05:35:16 pm
I nomi di Alemanno, Follini e Matteoli. «Guarguaglini autorizzò i pagamenti»

Tangenti, i pentiti accusano i politici

I verbali Cola e Di Lernia: «Quei 200 mila euro erano per Casini» .

I manager giravano i soldi degli imprenditori ai leader dei partiti, a volte in cambio di robuste «creste»

ROMA - Tutti i partiti partecipavano alla spartizione delle nomine in Enav e Finmeccanica. Anche i Comunisti italiani sono riusciti a ottenere un consigliere. Ma quando si è trattato di distribuire affari e favori, la parte del leone l'avrebbero fatta Udc, An e Forza Italia. Gli imprenditori che volevano ottenere i lavori consegnavano i soldi ai manager e questi li giravano ai politici, talvolta riuscendo a ottenere una robusta «cresta».

I NOMI - Ma nei verbali di interrogatorio e negli altri atti processuali dell' inchiesta che ha portato agli arresti l'amministratore delegato Guido Pugliesi e due manager ci sono pure i finanziamenti non dichiarati, le società segnalate dai parlamentari e agevolate per ottenere l'assegnazione delle commesse, i ministri che avrebbero ottenuto il via libera nell'assegnare i posti di dirigenza. Sono le rivelazioni di chi, dopo essere finito in carcere, ha deciso di collaborare con la magistratura e ha coinvolto il leader udc Pier Ferdinando Casini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, l'ex titolare dei Trasporti Altero Matteoli, il parlamentare Marco Follini, quando era vicepresidente del Consiglio. Tra loro Tommaso Di Lernia, che ha svelato di aver portato insieme a Pugliesi, 200 mila euro al tesoriere udc Giuseppe Naro il 2 febbraio 2010 e poi ha chiamato in causa molti altri parlamentari e membri di governo. Ma soprattutto il consulente del presidente Pier Francesco Guarguaglini e della moglie amministratore di Selex Marina Grossi, Lorenzo Cola. Entrambi stanno rispondendo da tempo alle domande del pubblico ministero Paolo Ielo. I manager dimostrano di esserne informati, tanto che in una intercettazione ambientale un dirigente di Enav afferma: «Ielo pensa di fare il milanese, ma a Roma le cose si fanno alla romana. O si calma o lo calmano».

BUSTE E DONAZIONI - Il 27 giugno 2011, nel carcere di Regina Coeli Di Lernia afferma: «Enav ha acquisito per una cifra spropositata un ramo di azienda di Optimatica, per un valore di circa 15 milioni di euro. Optimatica è una società vicina al ministro Matteoli, credo che eroghi finanziamenti alla fondazione a lui riconducibile ed è attraverso questi favori che Pugliesi si è garantito l'appoggio per la conferma nel ruolo di amministratore delegato. Fondamentalmente la conferma di Pugliesi alla carica di ad è dovuta a due canali: l'appoggio di Matteoli e l'appoggio di Milanese, favorito attraverso l'operazione della barca (il pagamento delle rate di leasing ndr ) e la somma di 10 mila euro mensili che l'imprenditore Proietti erogava a Milanese per pagare un affitto per il ministro Tremonti. Il manager Raffaello Rizzo era un uomo di Pugliesi e il suo ruolo era quello di favorire le imprese che erogavano finanziamenti all'Udc e alla frangia romana riconducibile all'attuale sindaco, di Alleanza nazionale. Sostanzialmente tali imprese portavano finanziamenti all'Udc alle feste del partito, a fare delle donazioni.

AN E UDC - Per contro i finanziamenti agli uomini di An, secondo quanto mi ha riferito Pugliesi, avvenivano direttamente nell'ufficio di Pugliesi, dove gli imprenditori portavano le somme di denaro che Pugliesi dava agli uomini di An».
Poi Di Lernia si concentra sull'Udc: «Ricordo anche che in un'occasione, in relazione ai lavori fatti a Venezia, vennero assegnati lavori a una società che si chiama Costruzioni e Servizi, vicina a Follini, all'epoca vicepresidente del Consiglio. Con riferimento al versamento dei 200 mila euro Pugliesi mi disse che erano destinati a Casini. Vennero consegnati al tesoriere dell'Udc perché erano assenti sia Cesa che Casini, impegnati in un'operazione di voto, secondo quanto mi disse il tesoriere medesimo». Il 6 settembre viene interrogato il commercialista Marco Iannilli che risulta in società con Di Lernia e afferma: «Consegnai a Di Lernia 300 mila euro su indicazione di Cola, parte dell'acconto dovuto a Pugliesi (complessivamente 600 mila euro) la cui quota parte, nella misura di 300 mila euro, avrebbe dovuto essere consegnata al partito di riferimento di Pugliesi, l'Udc».

PATTO TREMONTI-MATTEOLI - Il 24 agosto 2011 Lorenzo Cola conferma lo schema già acquisito dai pubblici ministeri ma aggiunge dettagli e nomi. Afferma a verbale: «Sul piano strettamente formale il potere di nomina del cda di Enav apparteneva al ministero dell'Economia, sul piano sostanziale era frutto di una precisa spartizione politica. In concreto, nella prima fase ossia tra il 2001 e il 2002 vi era un tavolo delle nomine o laboratorio interno alla maggioranza composto da Brancher, Cesa, Gasparri o La Russa e un uomo della Lega. Quanto ai riferimenti politici dei soggetti che si sono succeduti nel tempo, posso dire che Pugliesi è sempre stato in quota udc originariamente riferibile a Baccini. Devo aggiungere che dentro Finmeccanica il riferimento è Bonferroni, deputato ancora ora confermato nel ruolo di cda della holding. A quanto mi risulta Nieddu venne nominato direttamente dal Tesoro, Martini aveva come riferimento An e il ministro Matteoli».
E poi rivela: «Nell'ultima tornata di nomine io fui messo a conoscenza che Matteoli aveva ottenuto un accordo con Tremonti per il quale avrebbe potuto decidere le presidenze delle società... Ed è proprio per ingraziarsi Matteoli che Pugliesi, tre giorni prima dell'ultima nomina del Cda di Enav fa l'operazione Optimatica chiudendo un contratto poco inferiore alla soglia oltre la quale sarebbe scattata la necessità di una delibera del Cda. Nieddu mi ha riferito di un incontro avvenuto all'Harry's bar di Roma tra Matteoli, un suo parente e un apicale di Optimatica nei giorni precedenti la delibera di Pugliesi. Poco dopo Optimatica ha assunto quel parente di Matteoli». Cola racconta di «buste» piene di soldi - anche 300 mila euro - che l'ex direttore generale di Alenia Paolo Prudente gli consegnava da portare a Lorenzo Borgogni «per le necessità di pagamento di entità istituzionali». E poi racconta come «agli inizi del 2008 è avvenuta la consegna di somme di denaro a Bonferroni quando portai a Borgogni 300,350 mila euro in contanti».

CODICE CON GUARGUAGLINI: «FARE I COMPITI» Per mesi Cola ha negato che i vertici di Finmeccanica fossero a conoscenza delle tangenti versate ai politici e invece il 24 agosto scorso rivela: «Nelle nostre discussioni (con Guarguaglini, ndr ) l'attività di sovrafatturazione e di pagamento di tangenti veniva definita "fare i compiti". Locuzione che serviva per definire anche l'attività di mettere a posto le carte, la contabilità e tutto il resto, per evitare si scoprissero i fatti illeciti che intervenivano. Quando qualcuno incappava in qualche vicenda giudiziaria, e a ciò veniva dato risalto mediatico, dicevamo che avevano fatto male i compiti». Anche l'amministratore di Selex era «consapevole», secondo Cola. Afferma il consulente nell'interrogatorio del 9 dicembre 2010: «Si parlava con l'ad Marina Grossi del fatto che per lavorare in Enav occorreva pagare tangenti. È un sistema che lei ha ereditato e che ha continuato a realizzare».
Di fronte ai magistrati di Napoli, con i quali ha cominciato a collaborare da qualche settimana, il responsabile delle relazioni istituzionali di Finmeccanica Lorenzo Borgogni si è definito «collettore dei rapporti con i politici». Cola gli assegna un ruolo diverso: «Borgogni gestiva il livello di pagamenti destinati ai politici». Lo stesso manager ammette di aver fatto «assumere la figlia di Floresta (Ilario, ex deputato di Forza Italia, ndr ), che ne aveva fatto richiesta a Martini, in una delle società del gruppo Finmeccanica». Agli atti è allegata un'intercettazione telefonica dello stesso Borgogni con tale «Marco».
Marco: senti mi ha chiamato Filippo eh, che dice su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano eccetera...
Borgogni: di partito? del ministero!
Marco : parti ...eh del Pd, credo sia una cosa del Pdl, no? dice che te ne ha parlato a te pure
Borgogni: no
Marco: su Milano, lui mi ha anche detto che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica ma con una società esterna
Borgogni: Vabbè, ma se ne parla quando torni dai
Marco: e no, questo si ok! no perché lui dice scusami sto all'ultimo con l'acqua alla gola eccetera, perché lui deve parlare con qualcuno dei nostri... tra oggi e domani.
Borgogni impreca e poi, via sms, spiega che di questa cosa non bisognava parlare al telefono. Scrive Ielo nella sua richiesta di arresto poi negata dal giudice: «Il tenore della telefonata appare essere inequivoco. Si tratta di una contribuzione al Pdl che rischia di essere confusa con una contribuzione al Pd, palesemente illecita, in ragione del fatto che deve essere effettuata con una società esterna. Carattere di illiceità emerge anche dalla reticenza e dal fastidio manifestati da Borgogni il quale evidentemente sa o presume di essere intercettato».

Fiorenza Sarzanini

22 novembre 2011 | 9:09© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_22/sarzanini-tangenti-pentiti-accusano-politici_4d30ca7e-14d8-11e1-9140-38f81e7faa5e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Quei quattromila finti poveri che non pagano asili e atenei
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2011, 05:56:53 pm
IL RAPPORTO SUGLI SPRECHI

Quei quattromila finti poveri che non pagano asili e atenei

Una famiglia controllata su tre imbroglia e ottiene sconti

ROMA - Ricchi nella realtà, poveri per lo Stato. E proprio grazie a questa finta indigenza migliaia di italiani sono riusciti a ottenere benefici per i figli - dagli asili nido gratuiti alle agevolazioni sulle tasse universitarie - per i parenti anziani con i servizi sanitari a domicilio. Ma anche riduzioni sulle bollette di luce e gas. Su circa 14.000 famiglie controllate nei primi 10 mesi di quest'anno, quasi 4.000 avevano illecitamente dichiarato di essere sotto la soglia minima fissata dalla legge. Vuol dire, una su tre. È uno dei dati più eclatanti che emerge dal rapporto annuale della Guardia di Finanza sugli sprechi della spesa pubblica. Si tratta del bilancio di un'attività diventata strategica nel momento in cui si cerca di risanare i conti dello Stato. A leggere i resoconti appare evidente come tra i settori in sofferenza nei quali si deve intervenire con urgenza effettuando un monitoraggio costante anche da parte delle stesse autorità di controllo, c'è quello della Sanità. Ma la cifra più eclatante continua a rimanere quella legata al danno erariale provocato dai dipendenti statali che commettono abusi, falsi o accettano mazzette: da gennaio a ottobre 2011 ha abbondantemente superato un miliardo e 700mila, sono ben 3.736 persone denunciate alla Corte dei Conti.

Nel complesso, le azioni illecite e le verifiche inesistenti nella spesa pubblica causano ogni anno un mancato introito di circa tre miliardi di euro. In totale negli ultimi tre anni gli sprechi hanno superato la cifra record di dieci miliardi di euro. E infatti nella relazione si evidenzia come «il contrasto alle frodi, che da un punto di vista ragionieristico pesa quanto e forse più di quello delle entrate fiscali, oggi traspare in maniera ancor più evidente in ragione del perdurante momento di crisi e degli impegni politici assunti dall'Italia nei confronti della comunità internazionale, i quali impongono che le risorse disponibili siano spese sino all'ultimo euro per sostenere l'economia e le classi più deboli, eliminando sprechi, inefficienze e, nei casi più gravi, distrazioni di fondi pubblici che rappresentano un ostacolo alla crescita del Paese». Una considerazione che trova fondamento anche nelle sempre più frequenti frodi comunitarie che hanno causato, soltanto nel 2011, una perdita di oltre 120 milioni di euro che sale fino a 700 milioni di euro calcolando gli «aiuti indebitamente percepiti da privati e imprese» negli ultimi tre anni.

Finti ricoveri e pazienti deceduti: «Il controllo della spesa sanitaria - sottolineano gli analisti delle Fiamme Gialle - stante la sua particolare importanza nell'ambito del bilancio pubblico e le sue dinamiche di crescita rappresenta una delle priorità inderogabili per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica». La realtà appare però ben lontana dal raggiungimento di questo obiettivo se si calcola che nei primi dieci mesi di quest'anno sono stati effettuati 1.507 controlli e sono finite sotto inchiesta 1.866 persone. La perdita calcolata per lo Stato è pari a 274 milioni di euro, addirittura il triplo di quanto era stato accertato nel 2009. E proprio in questo settore si sbizzarrisce la fantasia dei pazienti, ma soprattutto quella degli operatori: medici, infermieri e responsabili delle strutture.

La violazione più frequente riguarda l'autocertificazione di cittadini che attestano un falso Isee (l'indicatore della situazione economica equivalente) e ottengono prestazioni mediche totalmente esenti da ticket. Ma la «voce» che provoca il maggior danno al bilancio dello Stato riguarda i ricoveri: perché ci sono alcuni medici e paramedici che certificano di aver effettuato prestazioni in day hospital anziché in ambulatorio e altri - in servizio presso le cliniche convenzionate - che attestano di essere arrivati attraverso il pronto soccorso in modo da ottenere il rimborso delle spese dal servizio sanitario nazionale che altrimenti non sarebbe previsto. E poi ci sono i dottori «di base» che fanno risultare in cura pazienti che in realtà sono morti o si sono trasferiti all'estero e in questo modo continuano a percepire il compenso. Per avere un'idea dell'incidenza basta calcolare che le ispezioni condotte nel 2008 e nel 2009 hanno consentito di scoprire 67.000 «fantasmi» e denunciare 347 medici che avevano percepito illegalmente 22 milioni e mezzo di euro. «La necessità di pervenire al risanamento dei conti pubblici - evidenziano gli analisti delle Fiamme Gialle - impone un'oculata attività di contenimento e razionalizzazione della spesa, accompagnata da una mirata azione di controllo finalizzata all'individuazione delle condotte negligenti o illecite che, consentendo sprechi, diseconomie o inefficienze possono rappresentare una variabile sensibile nelle funzioni di crescita delle uscite di bilancio».

Asili nido e assegni sociali: assegno per chi ha almeno tre figli minori, assegno di maternità, asilo nido, mensa scolastica, libri, borse di studio, sconti sulle tasse universitarie e una serie di servizi di assistenza agli anziani o ai malati come le cure a domicilio: sono le agevolazioni previste per i nuclei familiari a basso reddito. Peccato che ad usufruirne siano spesso ricchi professionisti che presentano dichiarazioni poco superiori allo zero. I numeri contenuti nel dossier della Finanza forniscono il quadro della situazione. Si scopre così che «nel triennio 2007/2009 ci sono stati 41.000 interventi che hanno portato alla denuncia di 12.256 soggetti per falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche». L'esborso per lo Stato è stato di ben quattro milioni di euro. Boom di richieste anche per gli ultimi due anni con un totale di circa 9.000 persone scoperte e un danno che supera i tre milioni di euro. Il record di denunce è stato in Toscana con 683 segnalazioni alla magistratura, poi il Lazio con 567 illeciti accertati.

Truffe e raggiri sono stati scoperti in tutta Italia pure per il cosiddetto «assegno sociale» destinato a chi ha più di 65 anni e un reddito inferiore ai 6.000 euro annui. «È stato riscontrato - sottolineano i finanzieri - che molti cittadini extracomunitari hanno perfezionato la pratica di erogazione e poi sono rientrati nel Paese di origine facendo così venir meno il requisito della residenza nello Stato italiano necessario per continuare a ottenere il sostegno che, in tal modo, si tramutava in una "pensione d'oro" considerato il differente costo della vita rispetto all'Italia». Anche molti nostri connazionali hanno il sussidio: «Emigrati in Argentina che hanno fatto rientro in Italia e vi hanno soggiornato il tempo necessario a vedersi riconoscere l'assegno, poi sono nuovamente espatriati. I controlli sono appena iniziati, il risultato è sorprendente: 571 illeciti scoperti con un esborso di ben 11 milioni di euro, vuol dire un guadagno illecito che per ogni abusivo è stato di 20mila euro.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it


18 dicembre 2011 | 11:08© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/economia/11_dicembre_18/sarzanini_quei-quattromila-finti-poveri_4b1e9d9e-2958-11e1-b27e-96a5b74e19a5.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Palazzi Siae venduti in perdita
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2012, 11:37:18 am
DISMISSIONI CONTESTATE

Palazzi Siae venduti in perdita

Nuovo caso legato a Balducci

Stimati 463 milioni, il presidente Blandini si è 'accontentato' di 260


ROMA - Dismissione del patrimonio immobiliare per un valore che potrebbe essere addirittura la metà di quello reale. C'è un'altra vicenda che rischia di mettere in imbarazzo le istituzioni. Perché riguarda la gestione della Siae, l'Ente pubblico che si occupa dei diritti d'autore, affidata a Gaetano Blandini, ex direttore del settore «Cinema» del ministero dei Beni culturali. Anche lui, come Carlo Malinconico, era molto legato al Provveditore Angelo Balducci e ai suoi amici, in particolare Diego Anemone. Sono le intercettazioni dell'inchiesta che nel febbraio 2009 portò in carcere molti componenti della «cricca» dei Grandi Eventi a raccontare questi rapporti, con Blandini che segnala una persona da assumere e in cambio si adopera per le società di produzione gestite dalle mogli di Balducci e Anemone. Ma finanzia anche un film dove recita Lorenzo Balducci. Nove mesi dopo Blandini viene nominato direttore generale della Siae. E adesso la sue scelte amministrative rischiano di finire all'attenzione della magistratura.

La «perdita» di 203 milioni di euro
Accade tutto il 28 dicembre scorso, periodo di festività natalizie. Quel giorno viene firmato un atto notarile che dispone la cessione dei palazzi del Fondo Pensioni della Siae a un misterioso «Fondo Aida». Si tratta di sei immobili che si trovano a Roma. Il prezzo viene fissato in 80 milioni di euro. Ed ecco la prima stranezza. Il valore di mercato è in realtà ben più alto e potrebbe crescere ulteriormente tenendo conto che il decreto del governo prevede la rivalutazione degli estimi catastali. In ogni caso nel bilancio 2010 il valore era già stato indicato in 103 milioni di euro e dunque la perdita secca già equivale a 23 milioni di euro. Non basta. Anche gli immobili della Siae vengono ceduti e confluiscono nel «Fondo Norma». Prezzo concordato: 180 milioni di euro, ma il valore dei palazzi è già stato stimato in 360 milioni di euro, esattamente il doppio. L'intera operazione finanziaria è affidata alla «Sorgente Group» e prevede che entro il prossimo 31 gennaio il 100 per cento di «Aida» venga acquisito dal «Norma».

I conti sono presto fatti: a fronte di stabili stimati complessivamente 463 milioni di euro, gli introiti risultano pari a 260 milioni. Perché questa differenza? E soprattutto qual è il vantaggio di questa dismissione totale? Sono le domande rivolte dai sindacati che rappresentano i 1.200 dipendenti e i pensionati proprio a Blandini, ma al momento nessuna risposta è arrivata. Anzi, con una lettera firmata il 3 gennaio scorso, il direttore generale specifica che «le scelte amministrative, tutte improntate al più rigoroso rispetto della legalità e alla ricerca della massima efficienza gestionale, non sono oggetto di confronto o di informativa». Eppure già in passato la gestione Blandini aveva generato perplessità negli organi di vigilanza. Basti pensare che nel bilancio 2010 del Fondo Pensioni era stata messa in consuntivo una perdita pari a 18 milioni di euro, ma il collegio dei revisori non l'aveva certificata ritenendo di non «poter condividere» le motivazioni che avevano causato il «buco» nei conti.

«Sorgente Group» e l'affitto stellare
Sono diversi i misteri che ancora avvolgono questa vicenda. La prima riguarda l'affitto che la Siae dovrà versare per gli uffici della Direzione Generale dell'Eur. Si tratta di ben 600 mila euro annui e - facendo le debite proporzioni - i sindacati vogliono adesso sapere quanto si dovrà sborsare per tutti gli altri uffici sparsi in tutta Italia. La seconda, altrettanto seria, attiene al pagamento di stipendi e Tfr. Secondo l'accordo del 28 dicembre entro il prossimo 31 gennaio sarà stipulata una polizza assicurativa con la Società Allianz Ras di 86 milioni di euro per il pagamento delle pensioni. Ma il resto? Secondo lo statuto sono proprio gli immobili a garantire il pagamento dei salari e delle liquidazioni. Dunque, che cosa accadrà adesso?

L'ulteriore enigma da chiarire riguarda il ruolo di «Sorgente Group» che secondo il sito Internet ufficiale «è una società di diritto italiano al vertice di un gruppo che opera nel settore della finanza immobiliare con quattro società di gestione del risparmio (in Italia, Svizzera, Lussemburgo e Stati Uniti) e con 25 società immobiliari». Perché si è scelto di affidarsi a questa azienda e poi far confluire gli immobili nei fondi «Aida» e «Norma»? E soprattutto, perché si è scelto di procedere a trattativa privata, nonostante già in passato ci fossero offerte di acquisto ben più alte per gli immobili? Silvano Conti, coordinatore nazionale della Cgil per i lavoratori del settore, non va per il sottile: «Attendiamo le risposte di Blandini, altrimenti siamo pronti a presentare un esposto alla magistratura. Noi siamo qui per garantire i lavoratori, i pensionati e dunque l'Azienda, ma abbiamo il timore forte che queste alienazioni abbiano uno scopo preciso: creare in maniera artificiosa condizioni di crisi che poi portano alla privatizzazione. Un percorso inaccettabile perché soltanto la certezza che rimanga Ente pubblico consentirà di garantire una distribuzione equa dei diritti tra grandi Major e piccoli autori, come è sempre stato fatto fino ad ora».

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

11 gennaio 2012 | 8:33© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_11/sarzanini_66bf62ac-3c1f-11e1-9394-8a7170c83e07.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Di chi sono i soldi che Zhou aveva con sé?
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2012, 03:12:30 pm
Le indagini I punti da chiarire per capire il movente del delitto

Di chi sono i soldi che Zhou aveva con sé?

La pista di una «talpa» e il mistero del casolare


ROMA - La borsa piena di soldi buttata in un casolare diroccato apre nuovi interrogativi sull'agguato mortale contro il commerciante cinese Zhou Zeng e la sua figlioletta Joy di appena nove mesi. Perché né sua moglie, né i suoi parenti più stretti avevano rivelato come l'uomo quella sera avesse con sé 16 mila euro, o forse addirittura di più, oltre ai tremila che nascondeva in una tasca. Ma soprattutto perché difficilmente due rapinatori occasionali abbandonano un simile bottino, soprattutto dopo aver ucciso. E dunque a questo punto i carabinieri battono la pista che gli aggressori siano stranieri o addirittura di un regolamento di conti, senza escludere la possibilità che chi ha agito sia stato avvisato che Zeng stesse andando a consegnare il denaro. Una «talpa» che lavorava con lui, comunque qualcuno che conosceva bene la coppia e le sue abitudini.

LA RICOSTRUZIONE - Il film della tragedia viene rivisto in continuazione e messo a punto nei dettagli alla ricerca di una versione finale, visto che al momento la ricostruzione delle fasi dell'omicidio appare ancora confusa. Non è facile, anche perché l'unica vera testimone è la moglie della vittima, Liyan, che è ancora sotto choc e non conosce perfettamente l'italiano. Alcuni punti fermi sono stati comunque messi e da qui si riparte per cercare la verità e rintracciare gli assassini.

I SOLDI - Si torna dunque a mercoledì sera quando marito e moglie chiudono il bar e con la figlioletta vanno via. «Tornavamo a casa», assicura lei. La donna racconta che due uomini con il casco li avvicinano e cercano di prenderle la borsa. Aggiunge che il marito tenta di difenderla, ma non ci riesce e nella colluttazione parte un colpo. Ed ecco il primo dubbio: se quella borsa era vuota, che motivo aveva l'uomo di mettere a rischio la loro incolumità e quella della bambina? In realtà la borsa che si vuole difendere è evidentemente quella che contiene il denaro, ma Liyan non ne fa cenno. Pensa forse di poter recuperare le migliaia di euro che le sono stati sottratti quando l'attenzione su questa vicenda sarà inevitabilmente calata? Oppure non sa che il marito ha tutti quei soldi con sé? Eppure è proprio lei a raccontare di aver inseguito i malviventi, prima di accorgersi che la sua bimba era stata colpita a morte e questo fa presumere che fosse a conoscenza del prezioso contenuto di quel borsello.

I RAPINATORI - Liyan parla di due italiani che avevano un casco in testa e spiega che li ha sentiti parlare. In realtà lei non conosce perfettamente la nostra lingua e dunque potrebbe non essere stata in grado di comprendere se si trattasse effettivamente di italiani o semplicemente di stranieri perfettamente integrati, forse immigrati di seconda generazione. Un'ipotesi che gli investigatori non hanno affatto scartato, perché le testimonianze di chi era in strada in quel momento non sono convergenti. Ma pure tenendo conto che nessuno ha visto uno scooter o una moto, dunque non si può escludere che nei paraggi avessero uno o due complici che li attendevano.

LA REAZIONE DI ZENG - «Mio marito ha cercato di reagire», racconta Liyan. Se questa circostanza è vera, avvalora l'ipotesi che l'uomo non fosse troppo spaventato da chi lo stava minacciando, che non avesse paura di esporre a un pericolo grave la sua bimba. Conosceva gli aggressori? O invece il suo vero timore riguarda il proprietario di quella cifra? I tremila euro che potrebbero essere l'incasso del bar Zeng li custodiva addosso. I 16 mila li teneva in un borsello. Stava andando a consegnarli a qualcuno? Si sa che l'uomo raccoglieva denaro da portare a un money transfer che si trova poco distante. Ma era davvero quella la destinazione finale delle migliaia di euro?

IL CASOLARE - La borsa con i soldi è stata ritrovata in un casolare a circa due chilometri dall'agguato. È possibile che i banditi l'abbiano buttata durante la fuga, presi dal panico dopo lo sparo mortale. Ma questa ipotesi non convince del tutto. Se davvero hanno compreso la gravità del loro gesto avrebbero potuto lasciarla subito. Invece hanno fatto un pezzo di strada e hanno scelto un luogo non facile da individuare. Pensavano di tornare a prenderla? Oppure hanno preso una parte dei soldi lasciando il resto in un posto dove abitano stranieri per far ricadere la colpa su di loro? Non è facile trovare risposta a queste domande, ma soltanto quando tutti i tasselli saranno andati a posto si potrà comprendere davvero il movente di questa drammatica storia. E un aiuto concreto può arrivare dalle analisi già avviate dai carabinieri del Ris. Un dettaglio che consenta di ricostruire un'impronta, un codice Dna. E così fare giustizia per la morte di un uomo e di una bimba di appena nove mesi.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it7 gennaio 2012 | 13:32© RIPRODUZIONE RISERVATA


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Sei miliardi di euro sottratti all'Erario
Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2012, 10:53:38 am
La «macchina» pubblica

Sei miliardi di euro sottratti all'Erario

La Finanza e gli accertamenti sugli statali.

Il settore della sanità rimane in cima alla lista degli sprechi e delle ruberie


ROMA - In tre anni hanno provocato un «buco» nel bilancio dello Stato pari a 6 miliardi e 250 milioni di euro, quasi un terzo della manovra da 20 miliardi già varata dal governo di Mario Monti per il 2012. Sono i dipendenti pubblici accusati di danno erariale, dopo essere finiti sotto inchiesta per reati che vanno dalla corruzione alla truffa, dall'omissione in atti d'ufficio all'abuso. Ma anche per semplici «negligenze» nello svolgimento delle proprie mansioni. Funzionari e impiegati che sfruttano il lavoro dei propri colleghi e nella maggior parte dei casi riescono ad arricchirsi. Complessivamente, 14.327 persone che tra il 2009 e il 2011 sono state «segnalate» dalla Guardia di Finanza alla Corte dei Conti e per molte di loro è scattata anche la denuncia penale.

Si tratta di una minoranza, ma capace di mandare in crisi il bilancio. Soltanto nell'ultimo anno sono state 883 le «ispezioni» effettuate dai finanzieri, 4.148 le «segnalazioni» per una «perdita» quantificata in un miliardo e 841 milioni di euro. Il settore della spesa sanitaria rimane in cima alla lista degli sprechi e delle ruberie, ma molti altri sono i campi dove la «cattiva gestione» si mescola all'illecito. Uno è certamente quello delle case popolari, amministrate spesso con l'obiettivo di favorire parenti, amici e potenti. E poi c'è il mercato delle consulenze, con amministrazioni locali che addirittura sostituiscono i dipendenti con «esperti» ingaggiati all'esterno e pagati con parcelle da capogiro. E proprio sull'attività di controllo nel settore della spesa pubblica che - al pari dell'evasione fiscale - si concentrerà l'attenzione investigativa della Finanza anche nel 2012 come ha ribadito nella sua direttiva il comandante generale Nino Di Paolo, proprio alla luce dei risultati ottenuti.

Le case vuote e i «senzacontratto»

A Catania il direttore dell'Ente Case Popolari aveva assegnato un negozio a suo figlio - che non ne aveva diritto - e non si è preoccupato di allegare neanche la richiesta, tantomeno di riscuotere il canone. Del resto sono moltissimi gli alloggi che aveva concesso a parenti e amici e alla fine ha provocato un danno di 42 milioni di euro. Grave è anche il «buco» causato da 21 tra amministratori comunali e responsabili di un altro Istituto case popolari che hanno consentito a numerosi inquilini di prendere possesso degli immobili, ma non hanno mai stipulato con loro un contratto di locazione e alla fine non hanno potuto pretendere neanche un euro. C'è anche il caso di un ente con 83 milioni di affitti non riscossi e lì per cercare, inutilmente, di recuperarli è stata autorizzata una consulenza legale che ha provocato un ulteriore esborso di tre milioni di euro. Altri problemi sono stati riscontrati dai finanzieri al momento di censire gli appartamenti lasciati vuoti. In un caso si è scoperto che c'erano 50 alloggi popolari pronti da anni e mai utilizzati: il mancato introito verificato è stato di due milioni di euro, da sommare alle spese di ristrutturazione per renderli nuovamente abitabili dopo anni di abbandono. Numerose indagini sono state avviate pure sulla «cartolarizzazione» degli stabili perché al momento della cessione è stato determinato un prezzo molto inferiore al valore di mercato. Fatti i conti, l'ammanco complessivo per il 2010 e il 2011 è stato di 170 milioni di euro con 70 persone denunciate alla Corte dei Conti e 34 alla magistratura ordinaria.

Il record del primario e le Tac private

I casi più frequenti di «danno» sono quelli dei medici che lavorano per il Servizio sanitario nazionale e senza autorizzazione svolgono anche attività privata. Negli ultimi due anni, denunciano i finanzieri, «le verifiche per le prestazioni mediche "intramoenia" hanno consentito di scoprire un danno pari a 172 milioni di euro e di deferire ai giudici contabili 190 dipendenti, mentre nei confronti di 71 è scattata anche la denuncia penale». Il record di quest'anno spetta a un primario che ha svolto oltre 3.500 visite presso il proprio studio privato senza naturalmente dichiarare i relativi ricavi. Alcuni suoi colleghi di una Asl che percepivano le indennità di esclusiva, uscivano per andare a visitare i pazienti, ma per giustificare le assenze presentavano falsi contratti per attestare che andavano a insegnare.
Il «sistema» è stato sfruttato in maniera costante in Calabria: i finanzieri hanno denunciato alla Corte dei Conti 115 medici e 25 impiegati della Asp di Catanzaro contestando loro un danno complessivo di 12 milioni di euro. Il meccanismo di illecito riguarda la «Alpi», vale a dire l'attività libero professionale intramuraria. Chi l'accetta può svolgere lavori esterni soltanto in casi particolari e con il «visto» del dirigente. E invece si è scoperto che nessuno effettuava i controlli e questo ha consentito al personale ora finito sotto inchiesta di lavorare fuori e di svolgere l'attività privata addirittura all'interno di una clinica che non aveva le autorizzazioni per alcune prestazioni che invece venivano effettuate. Altrettanto grave è il caso di tre medici che dichiaravano sul foglio presenza di essere al lavoro, mentre facevano visite nei propri studi privati dall'altra parte della città o addirittura in un'altra provincia. La «segnalazione» delle Fiamme Gialle ai giudici contabili riguarda incassi «in nero» per 200 mila euro, ma è stata presentata anche una denuncia penale per truffa. Stesso reato è stato contestato ad alcuni specialisti che utilizzavano Tac e risonanze magnetiche delle strutture pubbliche per i propri pazienti privati.

I medici del lavoro e le «ispezioni»

Truffa, falso e concussione sono gli illeciti addebitati ad alcuni dottori che lavoravano in una struttura ispettiva sull'igiene e la sicurezza negli ambienti di lavoro e avevano accettato consulenze da quelle stesse aziende che dovevano tenere sotto controllo. Onorario concordato: mezzo milione di euro, oltre a docenze e corsi di formazioni pagati a parte.
Al momento appare inspiegabile il comportamento del direttore sanitario di un ospedale che, come viene sottolineato nella relazione della Guardia di Finanza «ha autorizzato personale sanitario dipendente all'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria ambulatoriale presso strutture private non accreditate, pur avendo a disposizione spazi realizzati ad hoc utilizzando un finanziamento pubblico di quasi 700 mila euro».

I consulenti legali
Il caso più eclatante è certamente quello di un Comune che - nonostante potesse contare su un ufficio legale interno - aveva affidato incarichi esterni per un'attività che, come hanno riscontrato le Fiamme Gialle, era «seriale, superflua e svolta soltanto formalmente». Questo non ha comunque impedito un esborso di ben 21 milioni di euro. Nel dossier si evidenzia come quello dei lavori affidati a personale non dipendente sia ormai un vero e proprio «sistema» che consente agli alti funzionari di gratificare amici e parenti con un danno per il bilancio da centinaia di milioni di euro e soprattutto a discapito di quegli «esperti» interni che potrebbero svolgere perfettamente le stesse mansioni.

Fiorenza Sarzanini

17 gennaio 2012 | 7:44© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_17/sarzanini-controlli-frodi-6-miliardi-sottratti-erario_ea65412e-40d1-11e1-b71c-2a80ccba9858.shtml?fr=box_primopiano


Titolo: Fiorenza SARZANINI. LA DONNA FORSE CLANDESTINA
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2012, 04:47:11 pm
LA DONNA FORSE CLANDESTINA

Indagini anche sulla Costa Il giallo della moldava in plancia

La compagnia di navigazione avvisata un'ora prima dell'«abbandonate la nave»: esitò per evitare i rimborsi?


GROSSETO — I misteri che segnano le fasi del naufragio della nave Concordia coinvolgono direttamente i vertici della Costa. Perché l’azienda fu avvisata ben 68 minuti prima della dichiarazione di evacuazione che c’era un problema a bordo, ma non risulta che il comandante Francesco Schettino sia stato sollecitato a dichiarare immediatamente lo stato di emergenza. Ci fu soltanto una sottovalutazione del problema causata dalle omissioni dello stesso Schettino a rivelare la gravità di quanto stava effettivamente accadendo? Oppure i responsabili della compagnia pensavano di poter evitare gravi conseguenze economiche e in questo modo si sono resi complici del comandante nel causare il disastro? Su questi interrogativi si concentrano le verifiche disposte dalla Procura di Grosseto, tenendo conto di un dettaglio emerso nelle ultime ore: ai crocieristi che hanno subito un trauma durante il viaggio, per esempio lo sbarco notturno su un’isola a bordo di scialuppe, la procedura marittima assegna un risarcimento di 10.000 euro a testa. Tenendo conto che a bordo c’erano circa 3.000 persone, vuol dire che l’indennizzo complessivo avrebbe potuto sfiorare i 30 milioni di euro.

Sono numerose le circostanze che appaiono tuttora inspiegabili. L’ultima riguarda la presenza in plancia di una ragazza moldava di 25 anni che non risulta inserita in alcuna lista. Era ospite del comandante? E perché non era stata registrata? Lavorava senza contratto? Di lei hanno parlato alcuni testimoni sostenendo che si chiama Domnika e il procuratore Francesco Verusio ha chiesto ai carabinieri di rintracciarla visto che compare anche in una fotografia scattata poco dopo la partenza da Civitavecchia. Bisogna verificare perché fosse a bordo e dove si trovasse al momento dell’impatto, visto che secondo alcuni si era sistemata nel salottino attiguo alla sala comandi. Ha visto o sentito dettagli utili a ricostruire quanto è accaduto? Possibile che sia rimasta lì anche nelle fasi concitate che sono seguite all’impatto con lo scoglio? Che la situazione fosse grave, Schettino lo aveva certamente intuito. Però le decisioni che prende in seguito appaiono inspiegabili e si rafforza il sospetto che non fossero completamente autonome ma concordate con la compagnia. E che anche adesso, nonostante le prese di distanza del presidente e amministratore delegato Pier Luigi Foschi, ci si muova di pari passo, prova ne sia che non risulta cambiata la decisione di «garantire assistenza legale a Schettino» come lo stesso Foschi ha confermato tre giorni fa quando ha denunciato «l’errore umano commesso dal comandante». Del resto venerdì sera c’erano le condizioni per riparare a quello sbaglio, ma i responsabili di Costa non diedero alcuna disposizione immediata di evacuazione che avrebbe consentito di salvare tutti i passeggeri visto che per quasi un’ora la nave è rimasta «in asse» e l’impiego delle imbarcazioni di salvataggio avrebbe scongiurato ogni rischio.

Invece si sono persi 68 minuti preziosi: esattamente il tempo trascorso dall’allarme dato alle 21.50 dall’ex comandante Mario Palombo proprio a uno dei manager della Costa alle 22.58 quando i sette fischi di emergenza decretano l’abbandono della nave. Finora è stato accertato che Schettino parla per tre volte al telefono con il responsabile dell’unità di crisi della compagnia Roberto Ferrarini. Ma gli elementi raccolti accreditano adesso l’ipotesi che le consultazioni di quei momenti abbiano coinvolto anche altre persone della compagnia. E soprattutto che ci siano stati contatti con altre persone che erano a bordo della Concordia. Non a caso i controlli delegati a carabinieri e Guardia di Finanza riguardano pure la divisione dei compiti assegnati a ufficiali e sottufficiali perché al momento risulta che alcuni possano aver svolto mansioni non adeguate al proprio ruolo. L’obiettivo è evidente: ricostruire la catena di comando e così scoprire quali «consigli» furono dati a Schettino, ma anche a chi ne aveva preso il posto dopo che lui aveva abbandonato la nave, dai responsabili di Costa. Soltanto quando il quadro delle verifiche sarà completato si chiederà conto a Ferrarini e agli altri responsabili della sicurezza di una serie di eventi che alla fine si sono rivelati scellerati e che — ormai questa appare la convinzione degli inquirenti— non possono essere addebitati soltanto al comandante di bordo.

Fiorenza Sarzanini

19 gennaio 2012 | 9:13© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_19/indagini-anche-sulla-Costa-fiorenza-sarzanini_6a2c389a-426c-11e1-8207-8bde7a1445db.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il giallo della strumentazione fuori uso
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2012, 09:58:06 pm
Le carte

Schettino ammette: ho ritardato l'allarme

Il giallo della strumentazione fuori uso

Gli «inchini» li pianifica la Compagnia, un modo per farsi pubblicità.

Ora dovrò convivere con questi morti


GROSSETO - Ci sono stati altri inchini a «Capri, a Sorrento, in tutto il mondo». Le «pianificava la Compagnia, ad agosto per le feste patronali» e in questo modo «ci facciamo pubblicità». Così, durante il lungo interrogatorio di martedì scorso davanti al giudice, il comandante Francesco Schettino ha smentito l'amministratore delegato di Costa Pier Luigi Foschi che aveva detto di aver autorizzato una simile manovra «soltanto una volta». Poi il «capitano» della Concordia è stato costretto a riconoscere di aver ritardato l'allarme, un errore che ha avuto conseguenze tragiche provocando la morte di numerosi passeggeri e membri dell'equipaggio. E così ha provato a giustificarsi: «Prima di dare l'emergenza dobbiamo essere sicuri, perché non voglio rimanere con i passeggeri in acqua, né creare panico che la gente mi muore per nulla». Possibile che quanto stava accadendo non fosse sufficiente per ordinare l'evacuazione? Schettino assicura di no e subito dopo fa un'altra clamorosa ammissione che potrebbe segnare l'esito dell'inchiesta: «Il sistema di registro dei dati era rotto».

«Dovrò convivere con i morti». I magistrati lo incalzano per avere una ricostruzione degli orari, per sapere come mai ordinò l'abbandono della nave più di un'ora dopo l'urto. E così Schettino tenta di difendersi: «Le operazioni sono avvenute dopo che io ho avuto le informazioni che la nave non avesse più ossequiato la caratteristica nautica che è la galleggiabilità. Perché non è che io posso avere un blackout e dico andiamocene tutti. Dove li mando questi qua? Un comandante deve stabilire i tempi. Perché se c'è un comandante che mette tutti i passeggeri in mare e la nave poi rimane a galla che facciamo?». Gli contestano come in realtà i suoi sottufficiali lo avessero informato che «i sei generatori erano allagati». Lui spiega di aver chiesto «di vedere sul piano di ordinate quanto è questo benedetto squarcio», ma evidentemente neanche questo è stato sufficiente per ordinare l'evacuazione. «Ho dato l'allarme di emergenza quando ero convinto di non dovere più tornare indietro e che lo dovevo dare per forza. Perché questa è la verità».

In quel momento alcuni passeggeri avevano già indossato i giubbotti salvagente, «l'ufficiale in seconda mi aveva detto che alcuni stavano già andando sulle lance». Schettino continuava a minimizzare la portata di quanto stava accadendo con la Capitaneria di porto, che nel frattempo era stata allertata dai carabinieri contattati da alcuni clienti che erano a bordo. La difesa di Schettino su questo appare a tratti inverosimile: «Io ho detto abbiamo un blackout, ma ho anche avvisato che avevamo avuto un contatto col fondo». Il pubblico ministero lo smentisce. Lui prova a insistere: «Nel momento in cui ho il blackout la nave non è più governabile, la cosa va da sé. Il fatto del discorso del contatto col fondo io l'ho detto! Non so, se non risulta per favore ditemelo!». Non risulta e alla fine è costretto ad ammettere di non aver neanche avvisato la Capitaneria «perché nel momento in cui succede qualcosa e una persona sta lavorando...».
Era troppo impegnato, dunque. Ma poi in un altro passaggio dell'interrogatorio capisce che la sua posizione si può aggravare ulteriormente e afferma: «Dovrò convivere tutta la vita con questi morti, come si fa?».

Al Giglio accostati fino a 0,28. Sul «saluto» alle isole i magistrati si soffermano a lungo, visto che in questo caso la manovra di accostamento si è rivelata fatale. Racconta Schettino: «La dovevamo fare pure la settimana prima e non la feci perché c'era cattivo tempo. L'insistenza... "perché facciamo navigazione turistica, ci facciamo vedere, facciamo pubblicità e salutiamo l'isola". "Ok", dissi. All'Isola del Giglio, questo percorso qua, l'ho fatto per tutti e quattro i mesi: io sono imbarcato da quattro mesi, dovevo sbarcare questa settimana. L'ho sempre fatto, ma non navigazione turistica. L'ho fatto anche in passato con la Costa Europa e con altre navi. Non è la prima volta che faccio questo tratto. Non ricordo quante volte, ma lo avevo fatto anche negli imbarchi precedenti. E anche quando lavoravo con la Tirrenia di navigazione quindici anni fa». Il magistrato vuole sapere la distanza, il comandante non si sottrae: «Allora le dico: io per esempio la navigazione turistica quando la svolgevo a Sorrento, dalle mie parti, ci andavo proprio vicino, sui 400-500 metri; rallentavo e andavo a fare la navigazione turistica. Adesso io volevo fare solamente un passaggio consapevole del fatto che il Giglio, come infatti poi ho avuto modo di vederlo anche praticamente che ci sta il fondale fino a sotto, ho detto: "Vado giù e mi porto su parallelo e me ne vado". Era pianificata a 0,5 (mezzo miglio) poi l'abbiamo portata a 0,28».

Schettino afferma che il «saluto» era dedicato al maître e all'ex comandante Mario Palombo. Sostiene che fu proprio lui a «dirmi di passare fino a 10 metri dalla costa». I pubblici ministeri gli contestano che lo stesso Palombo, interrogato il giorno precedente, «ha definito l'accostamento privo di senso, nel senso che non era navigazione turistica a gennaio con il Giglio praticamente semideserto anche da un punto di vista delle luminarie, mentre tutte le altre accostate erano state fatte ad agosto, in occasione delle feste patronali e quando era fatto con fini schiettamente turistici era addirittura stampato e inserito nel programma». A questo punto Schettino non può negare «che non c'è un senso commerciale nel farlo di notte» e poi aggiunge: «Sul programma, sì sì. Ma noi lo facciamo anche quando facciamo la penisola sorrentina, Capri, in tutto il mondo lo facciamo. Questo sì».

Le telefonate al manager. Durante l'interrogatorio Schettino spiega di aver informato Costa di quanto stava avvenendo e di aver avuto sempre via libera rispetto alle proprie scelte. E rivela che, mentre era sullo scoglio, fu proprio il responsabile dell'Unità di crisi Roberto Ferrarini a contattare il capitano Gregorio De Falco che gli aveva intimato di risalire a bordo. «Quando gli dissi che avevo fatto un guaio e che lo avrei informato di tutto, Ferrarini mi rispose: "Sì, fai così". Poi dopo gli ho detto "mandami gli elicotteri" e lui ha risposto. "Sì, ok, mo' ti mando gli elicotteri"». Dunque Costa era consapevole della gravità della situazione e della necessità di evacuare la nave. Però l'ordine non arrivò. I magistrati insistono per sapere che cosa diceva Ferrarini. «Nel primo colloquio mi disse che da me non se lo aspettava... Ci siamo sentiti più volte e anche quando stavo sullo scoglio l'ho richiamato. Dico: "Guarda, vedi così e così, mandami gli elicotteri". "Ma quante persone hai?". Gli ho detto: "Guarda, c'ho circa 100, 150 persone, ora non ti so quantificare, mi servono gli elicotteri. Poi gli ho anche detto del comandante della Capitaneria. Ho detto: "Guarda, digli che io non è che non ci voglio tornare sulla nave perché a questo signore credo che non sono stato chiaro a spiegargli la situazione. Chiamalo tu per favore e diglielo che non è che mi sto rifiutando di eseguire un ordine della Capitaneria, che non voglio salire sulla nave". Ha detto: "Ok Francesco, non ti preoccupare, lo chiamo io"».

In tilt il sistema di backup dati. Quando viene affrontato il problema delle apparecchiature di bordo, Schettino appare confuso e la premessa alimenta il sospetto degli inquirenti: «Io mi auguro che voi, non ci conosciamo, però io sono una persona fondamentalmente onesta, cioè voglio avere la massima onestà». E poi dichiara: «Avevo chiesto al comandante in seconda di scaricare i Vdr (Voice data recorder, ndr). Quando c'è un incidente, è un bottone e scarica. È manuale, noi abbiamo un sistema di registro dati. Cioè se io voglio andare a vedere cosa è successo prima, anche se la legge non lo prevede, a trenta giorni prima, ho la possibilità di vedere... Dato che questo computer di backup si era rotto e avevamo fatto la richiesta all'ispettore di aggiustarlo, per far analizzare la cause dell'incidente, la legge dice che devi avere il bottone, che schiaccia il bottone e lo scarico dei dati va fatto in automatico per le 24 ore. Dal momento in cui è successo più bastano dodici ore prima, in modo che lei c'ha chiaro... Per dare tutti i dati scarica quel bottone lì. E lui (il comandante in seconda, ndr ) mi ha detto: "Sono andato sulla consolle e l'ho trovato tutto spento sto coso qui. Poi non so se con il blackout si era spento pure questo qua". Questo però me l'ha detto quando eravamo in banchina e io mi sono sincerato: "Hai schiacciato il bottone?". Dice: "Comandante l'ho schiacciato, però il pannello del Vdr era tutto spento". Ho detto: "Va bene"».

Vuol dire che i dati sono andati persi? È possibile che dai tracciati della «scatola nera» manchino informazioni preziose? Schettino sostiene che «nella parte più alta della nave ci sta il Voyage date recorder che comunque registra a prescindere», ma la conferma potrà arrivare soltanto quando i periti esamineranno i nastri e verificheranno che le strumentazioni siano davvero integre.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

22 gennaio 2012 | 10:24© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_gennaio_22/sarzanini-verbali-schettino_3bcfca5a-44cb-11e1-b12c-223272f476c4.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La conferma del satellite: erano in acque internazionali.
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2012, 11:05:37 am
Il rapporto /

Chi ha deciso di obbedire ai militari indiani dirigendo la nave in porto?

Le raffiche, gli orari, la rotta I punti oscuri della vicenda

La conferma del satellite: erano in acque internazionali.

La Marina aveva ordinato di non assecondare le richieste delle autorità locali e di non far scendere a terra i militari


ROMA - La terza raffica di avvertimento «è stata sparata in acqua, a prua del peschereccio che non è stato colpito, tanto che ha invertito la rotta e si è allontanato». Così, nella relazione trasmessa due giorni fa ai carabinieri del Ros e alla Procura di Roma, Massimiliano Latorre ricostruisce i momenti cruciali del conflitto a fuoco avvenuto al largo delle coste indiane, relazione che indica gli autori della sparatoria. E nega che l'azione abbia potuto provocare feriti, tanto meno vittime. Era lui il capo del «nucleo di protezione» imbarcato sulla petroliera Enrica Lexie per contrastare gli atti di pirateria. E proprio lui - adesso accusato insieme con Salvatore Girone dell'omicidio di due pescatori che erano a bordo del St. Antony - firma il rapporto con foto allegate, che servirà al pubblico ministero Francesco Scavo Lombardo a verificare quanto accaduto. Nel fascicolo sono contenute le testimonianze degli altri cinque soldati presenti a bordo e le conclusioni del responsabile del team. Sono ancora numerosi i dubbi che avvolgono la vicenda, le incongruenze tra la versione fornita dai militari italiani e quella delle autorità di New Delhi. E ruotano attorno a tre misteri: l'orario dell'azione, il luogo esatto dove è avvenuta, l'imbarcazione che ha attaccato la petroliera. Ma c'è pure un altro interrogativo: perché, nonostante gli italiani abbiano comunicato di essere in acque internazionali, sono poi entrati nell'area controllata dagli indiani così consentendo il fermo dei due marò. E lo hanno fatto dopo il parere contrario espresso dalla Marina Militare.

Gli orari diversi
Secondo il report trasmesso a Roma l'allarme scatta alle 11.30 del 15 febbraio mentre la Enrica Lexie si trova a «33 miglia dalla costa sudovest dell'India». La posizione della nave è confermata dai dati forniti dal satellite, attivato da chi era a bordo ma viene contestato dalle autorità locali. Anche gli orari non coincidono, visto che la polizia indiana colloca gli spari almeno due ore dopo. E questo ha fatto nascere l'ipotesi che i due pescatori siano stati uccisi in un diverso conflitto, anche tenendo conto che quella stessa sera risulta avvenuto un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante.
Alla relazione Latorre allega tre fotografie che dovrebbero servire a dimostrare proprio questa divergenza: il peschereccio sarebbe infatti diverso dal St. Antony dei marittimi uccisi. Le immagini risultano però sfuocate, poco chiare e dunque non possono bastare a chiarire il dubbio. Né a confermare il fatto - sottolineato dal marò - che a bordo di quel natante non ci fossero pescatori, ma cinque uomini armati.

Le tre raffiche
Per cercare di accertare la verità si torna dunque ai momenti dell'avvicinamento. Secondo quanto riferisce il rapporto «è il radar a segnalare la barca che viaggia in rotta di collisione e i militari presenti a bordo si dispongono per reagire. Vengono messe in atto le procedure previste in questi casi. Quando il natante è a 500 metri di distanza vengono sparati i primi «warning shots», ripetuti quando si trova a 300 metri e infine a cento». Latorre specifica che gli ultimi vengono rivolti verso lo specchio d'acqua «senza colpire l'imbarcazione». Completamente diversa la ricostruzione fatta dalle autorità indiane secondo le quali «sul peschereccio ci sono i segni di 16 proiettili, mentre quattro sono andati a segno e hanno ucciso i due marittimi». Una tesi ritenuta incredibile dalle autorità diplomatiche e investigative italiane perché significherebbe che tutti i colpi a disposizione sono stati sparati ad altezza d'uomo.

L'ordine non rispettato
In queste ore la magistratura sta valutando l'ipotesi di inviare una squadra investigativa in India, che lavori in stretto contatto con la diplomazia italiana. Le indagini sono affidate al colonnello del Ros Massimiliano Macilenti che sta già acquisendo la documentazione presso i comandi militari e presso la società armatrice anche per verificare se siano stati loro a decidere di far entrare nel porto di Kochi la Enrica Lexie . La Marina aveva espresso parere contrario, così come aveva raccomandato di non far scendere a terra i militari. E invece si è deciso di assecondare le richieste indiane. La procedura prevede che le decisioni a bordo siano prese dal comandante d'accordo con la Compagnia, ma generalmente in situazioni di emergenza ci si muove in accordo con le autorità militari e con il governo italiano. Adesso bisognerà dunque verificare se davvero sia stato l'armatore a ordinare di abbandonare le acque internazionali e con chi sia stata condotta la trattativa. Un negoziato che, al momento, si è concluso nel peggiore dei modi.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it20 febbraio 2012 | 9:43© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_20/sarzanini-raffiche-gli-orari-la-rotta-I-punti-oscuri-della-vicenda_1b9b8508-5b8c-11e1-9554-12046180c4ab.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La strategia del Viminale per la manifestazione di Roma
Inserito da: Admin - Marzo 03, 2012, 03:40:12 pm
Il retroscena

La strategia del Viminale per la manifestazione di Roma

Mini pattuglie mobili su ferrovie e strade

La manifestazione di oggi nella capitale rischia di trasformarsi in una «vetrina» per i violenti


ROMA - Tre cortei nella capitale, ma a fare paura è proprio quello dei No Tav. La protesta si svolgerà alle 15 contemporaneamente alla manifestazione organizzata dalla Destra di Francesco Storace, qualche ora dopo quella degli edili. E il timore dei responsabili della sicurezza è che possa trasformarsi nell'ennesima «vetrina» per sfogare la rabbia in maniera violenta. Soprattutto dopo l'annuncio di venerdì sera del presidente del Consiglio Mario Monti che ha definitivamente escluso un possibile ripensamento sulla costruzione della linea di alta velocità.

La linea decisa dal Viminale prevede la rimozione dei blocchi stradali, pur cercando di non arrivare a scontri diretti con i dimostranti che in questo clima acceso rischiano di degenerare. E dunque ci sarà un impiego straordinario di uomini e mezzi a Roma e in tutte le altre città dove sono state annunciate le mobilitazioni, con un dispositivo mobile che possa impedire ai facinorosi di avvicinarsi alle sedi istituzionali e soprattutto alle linee ferroviarie e alle tangenziali.

Quanto è accaduto nelle ultime ore dimostra la grande capacità di mobilitazione in punti diversi del Paese anche in tempi brevi. È il potere di Internet che - così come era già accaduto il 15 ottobre durante la guerriglia scatenata durante la «sfilata» degli «Indignati» - consente a chi organizza e fomenta le azioni dei teppisti di coordinare le aggressioni e segnalare le vie di fuga per tentare di sfuggire alle forze dell'ordine. Oppure, come è successo nelle ultime ore, di scagliarsi contro giornalisti, carabinieri e poliziotti.

Sono questi i bersagli delle frange più estreme che proprio attraverso il web avvertono chi andrà in piazza: niente telecamere. Le nuove norme introdotte un paio di mesi fa equiparano i manifestanti agli ultras e consentono di fermare chi viene identificato attraverso i filmati fino a 48 ore dopo la fine del corteo e questo è dunque ufficialmente il motivo per cui non vogliono essere ripresi. In realtà il tam tam va avanti ormai da giorni e appare soprattutto un pretesto che ha come unico scopo quello di indicare gli obiettivi da colpire.

La linea del capo della polizia Antonio Manganelli prevede autorizzazioni a chi chiede di manifestare, ma i questori dovranno effettuare un controllo severo sui percorsi indicati dai promotori eliminando tutti gli snodi che potrebbero rivelarsi difficili da presidiare. E soprattutto impedire eventuali occupazioni di luoghi pubblici. A questo si riferisce il comunicato del ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri quando - al termine della riunione a Palazzo Chigi - ribadisce che «sarà contrastata ogni forma di violenza».

La scelta di non proporre al Parlamento alcuna nuova norma - ad esempio l'introduzione del reato di blocco stradale, che pure era stato ipotizzato - è un tentativo per non alzare ulteriormente la tensione, ma non sembra definitiva. Anche perché con il trascorrere delle ore la resistenza dei reparti mobili - impegnati anche in altri servizi di ordine pubblico, primo fra tutti quello negli stadi - potrebbe risultare fiaccata E dunque - se le mobilitazioni andranno ulteriormente avanti - non viene esclusa la possibilità di varare un decreto che fornisca strumenti nuovi alle forze dell'ordine, ad esempio quello che consenta di far scattare il fermo per chi impedisce la circolazione. Non a caso i sindacati di polizia, in testa il Sap, parlano di «turni massacranti e situazioni di servizio difficilissime per chi - evidenzia Massimo Montebove - guadagna 1.300 euro al mese e rischia la vita ogni giorno». E il Siulp con Claudio Giardullo sottolinea la necessità di «potenziare il personale e gli equipaggiamenti con una strategia politica che metta gli agenti nelle condizioni di fronteggiare in maniera adeguata i violenti».

Adesso l'obiettivo è cercare di spaccare il fronte della protesta, portando dalla parte del governo i sindaci della valle. Lo stanziamento di venti milioni potrebbe però non essere sufficiente perché oltre al denaro, gli amministratori locali chiedono misure che possano convincere i cittadini a sfruttare l'occasione della Tav. E in cima alla lista delle priorità, subito dopo gli sgravi fiscali, continuano a mettere la possibilità di trasformare il proprio territorio in «zona franca». Un privilegio che però potrà essere concesso soltanto a pochissimi comuni.

Fiorenza Sarzanini

3 marzo 2012 | 7:28© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_03/mini-pattuglie-mobili-su-ferrovie-strade-sarzanini_64755040-64f8-11e1-8a59-8bc3a463cee3.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Cambiano le regole per le Grandi opere.
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2012, 11:10:20 am
Val di susa

Sei mesi di consultazioni sui progetti

Cambiano le regole per le Grandi opere.

Il governo adotta il modello francese che punta alla «democrazia partecipativa»


ROMA - Per costruire una grande opera dovrà essere effettuata una consultazione preventiva con tutti i soggetti interessati. Il governo Monti decide di cambiare le regole in materia di lavori pubblici e studia un provvedimento simile a quello introdotto in Francia nel 1995 che, assicurano gli esperti, ha ridotto dell'80 per cento la conflittualità riguardo alla realizzazione di progetti che hanno un impatto ambientale. Il piano è in fase avanzata, già entro la fine del mese potrebbe arrivare il testo del disegno di legge da sottoporre all'esame del Parlamento.

Il via libera definitivo è arrivato durante la riunione convocata due giorni fa a Palazzo Chigi per affrontare l'emergenza delle contestazioni del movimento No Tav. E i componenti dell'esecutivo si sono trovati d'accordo sulla necessità di accelerare i tempi perché, come ha sottolineato il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri «prima si fa, meno tensioni di piazza si rischia di generare».
Era stato il responsabile dello Sviluppo economico Corrado Passera, qualche settimana dopo la sua nomina a ministro, ad avviare la procedura per arrivare a una modifica dell'attuale normativa. La pratica era stata affidata al presidente dell'Osservatorio della Torino-Lione Mario Virano che in questi mesi ha effettuato numerose audizioni e due settimane fa ha incontrato i sindaci di tutta Italia proprio per illustrare il programma e ottenere suggerimenti. La sua relazione è nella fase della stesura finale, poi spetterà ai tecnici ministeriali mettere a punto l'articolato.

Il modello è quello del Débat Public, procedura in vigore in Francia grazie alla legge Barnier, che da 17 anni garantisce la cosiddetta «democrazia partecipativa». Al momento di avviare l'iter per la costruzione di un'opera pubblica, «il promotore deve presentare uno studio di fattibilità che tenga conto di tutti i fattori relativi alla realizzazione visto che presentano forti sfide socioeconomiche oppure hanno un impatto significativo sull'ambiente e sull'assetto del territorio». Oltre a questi fattori, si devono indicare i costi, i tempi, le conseguenze sull'occupazione e sull'economia del luogo scelto. A quel punto spetta a una sorta di Autorità di controllo - in Francia è una Commissione nazionale - convocare tutte le parti che possono avere un interesse e dunque i sindaci, gli abitanti dell'area, le associazioni ambientaliste e chiunque altro sia in grado di fornire elementi positivi o negativi. Ci sono sei mesi di tempo per effettuare le consultazioni, poi deve essere resa pubblica la valutazione finale indicando ogni parere espresso nel corso dell'istruttoria.

La parola torna così al promotore che non è obbligato ad accettare i suggerimenti, ma ha la consapevolezza - qualora decida di non tenerne conto - che in caso di conflittualità o contestazioni non avrà alcuna tutela o collaborazione da parte delle istituzioni, visto che aveva ricevuto una sorta di avviso preventivo. È prevista anche la rinuncia, se si ritiene che il progetto sia troppo complicato da portare a termine. Ma gli analisti assicurano che l'esperienza francese dimostra come in realtà si decida sempre di seguire le indicazioni ottenute dall'Autorità di controllo, proprio per avere la strada spianata al momento di dare il via ai lavori.

Durante la riunione di due giorni fa il ministro Passera ha illustrato questa procedura, evidenziando come il progetto iniziale sulla Tav sia stato modificato più volte il progetto e specificando che molti problemi - soprattutto con i cittadini e gli amministratori locali - sarebbero stati evitati se le consultazioni fossero avvenute prima dell'approvazione. Una linea sposata in pieno dal premier Mario Monti, che ha ricevuto il consenso dei ministri e in particolare della responsabile del Viminale. Del resto è stata proprio lei, in questi ultimi giorni, a sollecitare l'avvio di una nuova trattativa con i sindaci della Val di Susa per concedere privilegi a chi si schiererà a favore della Torino-Lione. In Italia esiste infatti una normativa che prevede la «partecipazione del pubblico» ma in realtà si riduce ad un annuncio a pagamento da pubblicare su due giornali per annunciare il progetto che nessuno legge e soprattutto che nessuno è in grado di far modificare visto che non esiste alcun organismo specifico al quale rivolgersi per contestarne la validità.

Fiorenza Sarzanini

4 marzo 2012 | 9:53© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_04/sei-mesi-di-consultazioni-sui-progetti-fiorenza-sarzanini_036e0c10-65cf-11e1-be51-f4b5d3e60e3d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Buchi» nella rete estera, agenti in retrovia
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2012, 03:55:27 pm
La scelta di Monti di non nominare un responsabile per i servizi suscita perplessità

«Buchi» nella rete estera, agenti in retrovia

I servizi segreti sul banco degli imputati

Lunedì il generale Santini al Copasir. Si apre la partita per il rinnovo dei vertici


ROMA - Lo scontro diplomatico tra Roma e Londra apre la partita sul cambio al vertice dei servizi segreti. E sul banco degli imputati finisce Adriano Santini, il direttore dell'Aise. La sua audizione già fissata per domani di fronte al Copasir, il comitato parlamentare di controllo, rischia di trasformarsi nella resa dei conti sull'operatività della struttura di intelligence che ha competenza sull'estero. Perché - è questa la contestazione che viene mossa a livello politico - avrebbe dovuto essere in prima linea per riportare a casa Franco Lamolinara, l'ingegnere rapito in Nigeria e rimasto ucciso durante il blitz delle teste di cuoio britanniche. E invece - almeno secondo quanto è stato accertato sino ad ora - nonostante la presenza di 007 italiani ad Abuja, la guida dell'operazione è sempre stata britannica e anche le informazioni trasmesse al vertice della struttura sono arrivate dai servizi collegati, raramente da fonte diretta. È stato il presidente del Copasir Massimo D'Alema, neanche un'ora dopo la notizia del raid fallito, a evidenziare la necessità di «chiarire il ruolo dei nostri servizi segreti e valutare le iniziative svolte in questo lungo periodo in relazione alla tragica vicenda». Lo ha fatto nella consapevolezza che altri italiani sono tuttora nelle mani dei sequestratori, altre vite sono sospese in attesa di una trattativa che non si chiude. Negoziati spesso condotti da altri. E allora nella partita entra anche la nomina del sottosegretario delegato, autorità politica e figura indispensabile per cercare di ribaltare una situazione che sta esponendo sullo scenario internazionale la debolezza del nostro Paese. Perché bisogna riportare a casa i due marò detenuti in India, salvare Rossella Urru, liberare i marinai sequestrati dai pirati somali, conoscere la sorte di Giovanni Lo Porto rapito in Pakistan e di Maria Sandra Mariani sparita mentre era nel Sahara algerino.

I «buchi» nella rete estera
Sono oltre 2.500 gli agenti in servizio all'Aise. Tra loro ci sono almeno 1.500 «operativi». I numeri non possono essere precisi, però sono circa 200 gli 007 dislocati all'estero e distribuiti in una cinquantina di sedi. Uffici che dovrebbero rivelarsi strategici nel controllo delle aree di crisi o comunque ritenute a rischio. E invece nell'ultimo periodo si sarebbero aperte alcune «falle» nella linea di intervento, lasciando spesso gli italiani in retrovia anche quando si trattava di gestire casi che coinvolgono i nostri connazionali.
E dunque sarà Santini a dover confermare se la sua linea - già emersa nelle precedenti audizioni di fronte al Copasir - sia rimasta quella di privilegiare l'attività di analisi rispetto a quella operativa. Un lavoro di approfondimento che mette in primo piano l'acquisizione di informazioni anche con l'utilizzo di una tecnologia sofisticata, ma poi evidenzia carenze gravi quando si tratta di operare sul territorio. Perché è vero che rimane forte la presenza in Afghanistan - favorita anche dal fatto che il contingente militare è ancora impiegato - e in altre zone dell'Asia, ma in Africa solo pochissime aree sono «coperte» e questo ci costringe ad appoggiarci ai servizi di intelligence locale oppure a quelli degli Stati alleati.

Il canale con la Difesa
Ed è proprio il fallito blitz ordinato dagli inglesi che si è concluso con la morte degli ostaggi ad aver mostrato queste crepe, evidenziando nello stesso tempo una debolezza di gestione da parte dell'autorità politica. Perché è vero che le comunicazioni trasmesse erano prevalentemente di seconda mano, ma a questo punto l'inchiesta condotta dal Copasir dovrà accertare quale uso sia stato fatto delle informazioni acquisite e soprattutto quali fossero le reali intenzioni del governo per concludere la vicenda. Appare accertato che almeno una settimana prima del blitz, un appunto trasmesso dagli 007 al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola confermasse la presenza degli incursori britannici nella zona del sequestro, evidenziando la linea interventista degli inglesi. Non c'è alcuna dipendenza gerarchica dell'Aise dal dicastero della Difesa. E dunque il primo interrogativo da chiarire riguarda il canale di comunicazione: è stato diretto oppure l'informazione è passata prima da Palazzo Chigi? In ogni caso, quando l'autorità politica ha avuto certezza che i militari inglesi erano stati schierati, ci sono stati contatti tra i governi? Oppure il rapporto è rimasto a livello tecnico?
Si tratta di una questione cruciale per stabilire la correttezza dell'operato degli 007, ma anche per comprendere la capacità di intervento di Palazzo Chigi e di pressione nei confronti di Stati con i quali vantiamo ottimi rapporti. Anche tenendo conto che la Nigeria è uno Stato sovrano e al momento - al di là di una telefonata di cordoglio del presidente Goodluck Jonathan arrivata nella serata di giovedì al presidente del Consiglio Mario Monti, seguita da una lettera che sottolinea «stima e amicizia» - non risulta che abbia consultato le autorità italiane prima di dare il via al blitz condotto con gli inglesi.

Il sottosegretario delegato
Che cosa avrebbe fatto l'Italia se fosse stata preventivamente avvisata? Nessuno al momento appare in grado di rispondere a questa domanda. Anche perché la questione non sembra essere stata neanche affrontata prima che si aprisse lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna. La scelta di Monti di non assegnare la delega ai servizi segreti comincia a suscitare perplessità, tanto che già la prossima settimana i partiti che sostengono il governo potrebbero aprire la discussione su una rosa di nomi. Il primo nodo da sciogliere riguarda però il metodo da seguire perché si dovrà decidere se nominare un nuovo componente di governo oppure designare uno dei sottosegretari già in carica. Sulla necessità di procedere i partiti non sembrano comunque avere ormai più dubbi, anche per non venire meno a una prassi che si era consolidata negli anni scorsi quando il ruolo era ricoperto da Gianni Letta.
Quali siano i motivi di urgenza li spiega bene Emanuele Fiano, responsabile del settore sicurezza del Pd e per molto tempo componente del Copasir, che ha contribuito alla stesura della legge di riforma sui servizi: «Poter contare su un'autorità delegata garantisce una connessione più veloce e più continua tra apparati di intelligence e governo. Il presidente del Consiglio non può, ovviamente, garantire una conoscenza costante di tutti i dossier aperti e per questo la normativa ha previsto una figura di sua fiducia che a lui risponde, ma che sia in grado di occuparsi costantemente dell'analisi delle vicende e della risposta da fornire sia a livello tecnico, sia a livello politico interno e internazionale».

I vertici in scadenza
Non sono poche le questioni da dover affrontare, tenendo conto che a giugno scade il mandato del direttore del Dis Gianni De Gennaro e di quello dell'Aisi, il servizio segreto interno, Giorgio Piccirillo. Il dibattito politico non si è ancora ufficialmente aperto, ma già da settimane si accreditava la possibilità che entrambi fossero prorogati per non mettere il governo tecnico nelle condizioni di dover compiere scelte politiche e dunque dover trattare un tema tanto delicato con tutte le forze che lo sostengono, ma anche con l'opposizione, come sempre avviene quando si tratta di rinnovare i responsabili degli apparati di sicurezza.
L'esito della partita adesso non appare più così scontato, anche tenendo conto che - al di là dei pubblici attestati di stima - sembra affievolita la fiducia proprio nei confronti di Adriano Santini, l'unico che invece potrebbe rimanere al proprio posto senza che debba essere firmato alcun provvedimento. In realtà il suo nome era già finito al centro di polemiche la scorsa estate, quando si era scoperto che si era fatto sponsorizzare dal faccendiere Luigi Bisignani proprio per arrivare al vertice dell'Aise. Il governo guidato da Silvio Berlusconi non diede seguito agli attacchi, ma ora la sua posizione appare nuovamente indebolita. E i motivi riguardano non i suoi sponsor, ma la gestione delle vicende che all'estero convolgono i nostri connazionali.

Da Rossella ai marò
Nei giorni scorsi l'Aise si era rivolto proprio ai colleghi dell'intelligence inglese, con i quali c'è una collaborazione costante e consolidata, per trovare un canale di trattativa con gli indiani che si mostri più efficace di quelli utilizzati sinora dalla diplomazia per ottenere la scarcerazione dei due marò. Se in questo caso ad apparire debole è stata soprattutto la Farnesina, tutt'altra valutazione viene fatta per quanto riguarda il sequestro di Rossella Urru.
La liberazione della cooperante sarda portata via da un campo profughi in Algeria la notte tra il 22 e 23 ottobre scorso era stata annunciata una settimana fa dalla televisione araba Al Jazeera e aveva sorpreso tutti, tanto che per ore il ministero degli Esteri non era stato in grado di smentire o confermare la notizia. Anche in quel caso si è avuta la sensazione che l'Italia non fosse in prima linea nella trattativa per ottenere il rilascio della donna e che ci fosse una evidente difficoltà nella gestione di una informazione falsa che probabilmente serviva soltanto a far alzare il prezzo del riscatto.

Fiorenza Sarzanini

11 marzo 2012 | 9:52© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_11/sarzanini-buchi-nella-rete-estera_4875cec0-6b4b-11e1-a02c-63a438fc3a4e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Fede, la Svizzera respinge 2,5 milioni di euro
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2012, 07:15:13 pm
Il direttore del Tg4 si è presentato con una valigetta piena di contanti

Fede, la Svizzera respinge 2,5 milioni di euro

No al deposito. La Finanza indaga un accompagnatore


ROMA - Voleva depositare su un conto svizzero due milioni e mezzo in contanti. Ma i funzionari di banca avrebbero rifiutato di accettare l'operazione, non avendo garanzie sulla provenienza dei soldi. Una vicenda che appare senza precedenti e sulla quale hanno avviato verifiche l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza. Protagonista è il direttore del Tg4 Emilio Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell'ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l'agente dello spettacolo Lele Mora, tuttora detenuto proprio per l'inchiesta sul fallimento della sua società «Lm management» che per anni ha gestito l'immagine di numerosi personaggi dello spettacolo. E, si è scoperto poi, serviva a reclutare le ragazze da portare ad Arcore e a Villa Certosa.

La segnalazione è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio. A chiedere l'intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca che evidenzia un episodio risalente alla fine di dicembre, circa tre mesi fa. Nella denuncia racconta che Emilio Fede, accompagnato in macchina da un'altra persona, si è presentato presso la filiale dell'istituto di credito di Lugano con la valigetta piena di contanti, ma che è dovuto rientrare in Italia perché i responsabili della banca non hanno ritenuto opportuno accettare la somma. Una decisione presa, presumibilmente, tenendo conto dei problemi avuti in precedenza con i magistrati italiani e della necessità di fornire spiegazioni.

Nonostante le autorità svizzere abbiano sempre assicurato la massima collaborazione in ambito giudiziario, gli istituti di credito preferiscono mantenere alto il livello di riservatezza per proteggere i propri clienti. Dunque è possibile che dopo il clamore mediatico suscitato dalle vicende che hanno coinvolto Fede nei mesi scorsi abbiano deciso di respingere le sue richieste. Pur di fronte a un investimento molto alto.
La scorsa estate, dopo una richiesta di rogatoria sollecitata dai pubblici ministeri lombardi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci era stato infatti interrogato il funzionario della Bsi di Lugano Patrick Albisetti, l'uomo che si era occupato di gestire i depositi di Mora e le richieste di contanti dello stesso Fede.

In quell'indagine il giornalista è stato accusato di aver trattenuto per sé un milione e duecentomila euro dei 2 milioni e ottocentomila che Berlusconi avrebbe fatto avere a Mora attraverso il suo tesoriere Giuseppe Spinelli. Una «cresta» che il direttore del telegiornale di Rete4 ha sempre cercato di negare, sia pur con scarso successo di essere creduto.
Albisetti aveva rivelato che nell'aprile 2010 Fede si presentò in banca e chiese di prelevare 500 mila euro, ma gliene furono consegnati soltanto 300 mila e fu costretto ad aprire un conto dove depositare gli altri 200 mila che lui avrebbe poi provveduto a ritirare dopo qualche settimana.

Quel deposito era stato denominato «Succo d'agave» e quando i pubblici ministeri gli chiesero spiegazioni su quel deposito Fede fornì una versione poco comprensibile: «Io non avrei voluto aprirlo perché per me avere un conto all'estero era un rischio e un fastidio». Qualcuno lo aveva obbligato? Ora ci sono questi altri soldi comparsi in Svizzera. Dopo aver ricevuto la segnalazione sono stati avviati i controlli sugli spostamenti del giornalista per verificare che fosse proprio lui ad aver chiesto di effettuare l'operazione, ma soprattutto per scoprire l'origine del denaro. Da chi li ha avuti? E ne ha denunciato il possesso al fisco? Chi c'era con lui in quell'auto nel viaggio da Milano a Lugano? A questi interrogativi dovranno rispondere gli investigatori delle Fiamme Gialle che poi, in caso di mancata dichiarazione, dovranno inoltrare gli atti alla magistratura per i reati di evasione fiscale e tentata esportazione di capitali all'estero visto che la somma supera la soglia consentita per la semplice segnalazione amministrativa.

In passato Emilio Fede aveva sostenuto che ad occuparsi del suo conto era una sua amante cubana che era stata incaricata di prelevare la somma e portarla in Italia. Una versione ritenuta «non credibile» dai magistrati.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

27 marzo 2012 | 9:56© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_marzo_27/sarzanini-fede-svizzera_735d5576-77cc-11e1-978e-bf07217c4d25.shtml


Titolo: SARZANINI. Girardelli, l'ammiraglio della cosca: Il sottosegretario mio socio
Inserito da: Admin - Aprile 04, 2012, 05:19:04 pm
Reggio Calabria

Girardelli, l'«ammiraglio» della cosca: «Il sottosegretario mio socio»

L'uomo vicino alla 'ndrangheta si sfoga contro Belsito in un'intercettazione: «Si abbuffa e raschia tutto»



ROMA - C'è un uomo che secondo i magistrati rappresenta l'anello di congiunzione tra il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e la 'ndrangheta. Si chiama Romolo Girardelli, ma per tutti è «l'ammiraglio». È genovese, ha 53 anni. Nel 2002 finì sotto inchiesta con Paolo Martino e Antonio Vittorio Canale «soggetti al vertice della cosca De Stefano di Reggio Calabria». L'accusa era di associazione a delinquere di stampo mafioso «per aver messo a disposizione del clan le proprie competenze finalizzate - oltre che a fornire supporto logistico alla latitanza di Salvatore Fazzalari, esponente di spicco della 'ndrangheta calabrese attraverso la messa a disposizione di somme di denaro - alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di "strumenti finanziari atipici" di illecita provenienza». Dunque, un procacciatore d'affari per la criminalità organizzata. Proprio il ruolo che svolgeva anche per Belsito, al quale risulta legato da almeno dieci anni. Era tanto stretto il loro rapporto che alla fine decisero di mettersi in società e crearono la «Effebiimmobiliare» con sede a Genova, che si occupa di mediazioni nel settore immobiliare e commerciale, ma anche di consulenza e amministrazione di stabili. Insieme procuravano commesse alle società dell'imprenditore Stefano Bonet - che oltre ai guadagni otteneva anche i crediti d'imposta - e poi reinvestivano i soldi. E dunque, come sottolineano i magistrati di Reggio Calabria «l'ufficio genovese della Polare Scart e affidato a Girardelli è stato aperto al fine di sfruttare l'operatività del gruppo riconducibile a Belsito per accaparrarsi commesse da parte delle più grandi realtà societarie genovesi, in particolare Fincantieri - del quale Belsito era consigliere di amministrazione - e Grandi Navi Veloci».

«Il mio socio è il sottosegretario»
I magistrati reggini arrivano al tesoriere leghista indagando sulle attività di Girardelli ma anche dell'avvocato Bruno Mafrici, calabrese con studio a Milano, che cura la parte legale e i ricorsi amministrativi relativi a questi affari. E così motivano il provvedimento di perquisizione: «Ampiamente accertata appare la presenza di un gruppo di soggetti, variamente inseriti in contesti imprenditoriali, professionali ed istituzionali - in cui operano Stefano Bonet, Paolo Scala, Francesco Belsito e Bruno Mafrici - dipendenti o collegati alla figura di Girardelli. Si ritiene sostanzialmente certa l'esistenza e l'operatività di un gruppo di soggetti protagonisti di un complesso sistema di "esterovestizione" e di "filtrazione", e quindi di riciclaggio o reimpiego, di capitali di provenienza illecita, almeno in parte verosimilmente riconducibili alle attività criminali poste in essere dalla cosca De Stefano a cui il Girardelli risulta collegato sulla base di pregressi accertamenti».

Per evidenziare il legame tra Girardelli e Belsito gli inquirenti allegano il brogliaccio di un'intercettazione telefonica del 10 settembre scorso tra lo stesso Girardelli e una donna durante la quale lui racconta le proprie mansioni nell'impresa di Bonet: «Girardelli dice che è stato assunto da quel gruppo di San Donà del Piave che gli hanno fatto un contratto come manager perché gli ha portato due risultati che non si aspettavano e hanno aperto uno "sportello" a Genova nei suoi uffici e lo hanno nominato reggente... La donna chiede se è stata una cosa improvvisa, lui dice che è stata una promozione per il risultato ottenuto anche perché lui non voleva essere contrattualizzato ma gli hanno fatto un contratto importante e poi ha avuto dei risultati importanti... poi fa un accenno al suo socio che è il sottosegretario» (Belsito ha ricoperto l'incarico dal febbraio 2010 al novembre 2011).

I soldi, gli orologi e il Sol Levante
Fino all'autunno scorso i rapporti tra Belsito e Girardelli appaiono idilliaci. I due si parlano spesso al telefono, pianificano gli incontri per ottenere i lavori. Ma alla fine dell'anno c'è uno scontro violento. Al centro della disputa proprio le elargizioni che sarebbero arrivate da Bonet, che i due chiamano «lo shampato», e dall'avvocato Mafrici. Accade il 23 dicembre scorso. E così è raccontato nel brogliaccio: «Litigano al telefono e si insultano reciprocamente con particolare riferimento alle scorrettezze sul piano del lavoro. Girardelli gli esterna la sua rabbia per il comportamento tenuto da Belsito in questi dieci anni di collaborazione ... l'avvocato ti ha regalato gli orologi e non me ne hai dato neanche mezzo a me e i soldi che ti sei pigliato da shampato ... se vuoi te li faccio vedere i numeri e poi ti faccio vedere pure le quote del Sol Levante». Il riferimento è allo «stabilimento balneare più bello della Liguria» che il tesoriere della Lega risulta aver preso in gestione grazie al denaro ricevuto da Bonet. È scritto ancora nel brogliaccio della telefonata: «Belsito nega di aver preso gli orologi da Bruno e i soldi da shampato mentre sulle quote del Sol Levante dice che è roba sua... i finanziamenti li fa a nome suo. Belsito minaccia Girardelli e gli dice che gliela farà vedere lui». Al termine della telefonata Belsito sembra però essersi calmato e gli spiega che «hai preso un abbaglio».

In realtà in una telefonata del giorno dopo con un amico comune è proprio Girardelli a scagliarsi contro Belsito dicendo che «adesso farà fare tabula rasa, senza pietà, userà tutti i suoi mezzi e le sue conoscenze». I due, annotano gli investigatori «sono concordi nel dire che Belsito è bastardo dentro» e poi Girardelli aggiunge: «Lui si è abbuffato, perché si vede che sente il fiato corto e allora ha detto raschio più che posso... a un certo punto si dovrà rendere conto di quello che fa, cioè bisognerà stringerlo un attimino e dirgli: senti amico... bisognerà distruggerlo su tutti i fronti e poi andare all'attacco, prendere shampato e dirgli cosa ha messo nel piatto... una volta che shampato lo molla, lui rimane con una mano nel culo... bisognerà distruggerlo». Un mese dopo, il 23 gennaio scorso, «Bonet parla al telefono con Girardelli e gli chiede notizie di Belsito. Girardelli gli fa presente che ha subito duri attacchi all'interno del movimento, tanto da rischiare una possibile rimozione dall'incarico e un successivo commissariamento della gestione amministrativa del partito».

Fiorenza Sarzanini

4 aprile 2012 | 9:48© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_04/ammiraglio-della-cosca-sottosegretario-mio-socio-fiorenza-sarzanini_8f2e7c18-7e15-11e1-b61a-22df94744509.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «I soldi a Calderoli come faccio a giustificarli?»
Inserito da: Admin - Aprile 06, 2012, 04:35:02 pm
Le intercettazioni

«I soldi a Calderoli come faccio a giustificarli?»

Somme a Brancher, mazzette a Belsito.

Gli affari in Vaticano: «Mi posso far mandare in Eni, però meglio alla Rai, alle Poste»


ROMA - Nella ragnatela di rapporti che aveva tessuto negli ultimi anni, Francesco Belsito si muoveva con disinvoltura grazie alla gestione dei soldi. E nella sua lista di beneficiari il tesoriere della Lega aveva inserito anche Roberto Calderoli. Le telefonate intercettate e i riscontri effettuati dai carabinieri del Noe per conto dei pubblici ministeri di Napoli - Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - svelano quanto fitta fosse questa rete. E consentono di scoprire che Stefano Bonet, l'imprenditore in affari con Belsito e adesso finito sotto inchiesta con lui per riciclaggio, aveva ottenuto commesse anche dal Vaticano mentre il tesoriere trattava un affare con Selex, società controllata da Finmeccanica. Nella lista dei politici in contatto con i due ci sono il parlamentare del Pdl Aldo Brancher che avrebbe ricevuto un contributo di 150 mila euro «per la festa del Garda» e il suo collega di partito Filippo Ascierto, «referente per i problemi con le forze dell'ordine», il leghista Francesco Speroni «che ha fatto il fondo che hai fatto tu con la Tanzania» e Gianpiero Stiffoni, componente del comitato amministrativo del Carroccio indicato dagli investigatori come uno dei destinatari «di rilevanti somme di denaro». Sono le carte processuali a rivelare che cosa sia accaduto all'interno della Lega dopo la scoperta degli investimenti all'estero decisi da Belsito e agevolati da Bonet, la preoccupazione dello stesso Belsito che precisa di poter giustificare «soltanto il 70 per cento delle spese», il ruolo di Roberto Castelli che prima chiede di poter visionare l'intera documentazione contabile e poi avvia un'indagine privata per scoprire come sia stata gestita la cassa.

«Pronto a restituire 4,5 milioni» Annotano i carabinieri: «Dopo le polemiche sui media per l'investimento in Tanzania s'è creato fermento nel partito e tutti vogliono avere contezza dell'operazione e più in generale della gestione delle risorse del partito, tra questi proprio gli altri due componenti del comitato amministrativo, Castelli e Stiffoni. Proprio Castelli, di fatto, si è fatto portavoce di iniziative volte a "verificare" la regolarità degli investimenti e più in generale dei conti e del bilancio del partito. In questo senso ha avuto diversi contatti - anche riservati - e incontri proprio con Bonet per adottare strategie e acquisire informazioni sull'operazione. In questo Castelli, si è avvalso anche di Lubiana Restaini, già impiegata al ministero dello Sviluppo, e attualmente all'Ufficio legislativo della Pcm. È "vicina" al deputato Pdl Filippo Ascierto, ma soprattutto importanti sono i suoi rapporti con alcuni leghisti (Calderoli, Castelli, Galli, Rivolta) con cui ha un'assidua frequentazione. Ed è proprio la Lusiana che ha creato una serie di incontri, a Como, Milano, Roma, tra Bonet e Castelli per carpire informazioni sull'operato di Belsito e acquisire documentazione e dossier al riguardo dell'operato di Belsito».

È un'attività che il tesoriere del Carroccio cerca di fermare. Al telefono con la segretaria amministrativa Nadia Dagrada li definisce «i due scemi», ma poi è proprio la donna a esortarlo «a parlare con il "capo" Bossi per far allontanare Castelli dal comitato amministrativo ed evitare così controlli sui conti e sulle uscite fatte a favore della famiglia». Belsito non immagina che a tradirlo è stato proprio Bonet. Lo scopre l'8 febbraio scorso quando viene contattato da Dagrada.
Dagrada: Ti sto continuando a chiamare perché è arrivata una raccomandata di Bonet alla Lega Nord Consiglio federale, alla tua attenzione.
È stata inviata anche a Castelli e Stiffoni
Belsito: Aprila
Dagrada: iio sottoscritto Stefano Bonet, codice, riferimento all'operazione finanziaria che ha portato al trasferimento di fondi appartenenti al partito Lega Nord sul mio conto corrente personale per la somma di 4 milioni e mezzo, nonché sul conto della società di consulenza cipriota Kris Enterprise per la somma di 1.200.000, con la presente dichiaro, la piena volontà e disponibilità nel collaborare a far rientrare i soldi nei conti del partito e in tal senso mi faccio portavoce della medesima volontà dell'avvocato Scala, amministratore della Krispa. Dichiaro inoltre la sospensione del predetto importo pari a euro 4 milioni e mezzo, non accreditato sul mio conto, ma appunto in sospeso presso la banca di Nicosia».

«Come giustifico Calderoli?»
Belsito capisce che la situazione sta precipitando e cerca di correre ai ripari. Ma pianifica anche una serie di richieste e ricatti per assicurarsi il futuro: «Mi posso far mandare in Eni, però meglio alla Rai, alle Poste». In realtà è preoccupato di non riuscire a ricostruire ogni spesa e il 26 febbraio si sfoga con Dagrada.
Belsito: Quelli di Cald (Calderoli), come faccio? Come li giustifico quelli?
Dagrada: Ma quello è un... nella cosa che c'hai, quello non è un grosso problema! Nell'arco dell'anno non è un problema quello, è un problema quello di tutto il resto! Però t'ho detto, bisogna fare i conti precisi!
Già da settimane Bonet ha accettato di incontrare alcuni esponenti della Lega, in particolare Castelli. Il primo appuntamento risale al 3 febbraio scorso quando i carabinieri registrano una telefonata tra i due.
Castelli: Signor Bonet, buongiorno è Castelli.
Bonet: Onorevole buongiorno.
Castelli: Senta per l'appuntamento di oggi io le proponevo la sala vip della Sea, potrebbe andarle bene?
Bonet: La Sea, cioè aeroporti
Castelli: Lì a Linate?
Bonet: Linate va bene.

A Bonet viene proposto di incontrare anche Roberto Maroni, ma non se ne fa nulla e lui continua a dialogare con Castelli. E il 22 marzo scorso, parlando con Romolo Girardelli (il procacciatore d'affari indicato come referente della cosca De Stefano che era socio di Belsito), gli racconta l'esito dei colloqui. Annotano i carabinieri: «Bonet riferisce che il partito dopo aver ricevuto la restituzione dei residui dei fondi Tanzania e gli altri soldi da Bonet, vuole coprire Belsito. Bonet poi precisa che farà una denuncia contro Belsito per le tangenti prese da Fincantieri». Effettivamente per anni i tre hanno avuto contatti con numerose aziende per ottenere commesse. Nella lista degli intermediari era stato indicato anche il geometra Marcello Ferraina, candidato per la Lega all'europarlamento, che però precisa «di non aver mai incontrato, né conosciuto Belsito».

Affari in Vaticano e con Fincantieri

Tra i filoni che saranno approfonditi c'è quello che porta direttamente alla Santa Sede. Nell'informativa i carabinieri svelano che «Bonet e la Restaini collaborano con Andromeda, l'associazione per la sicurezza di Filippo Ascierto, sede anche dell'unità locale di "Polare" (una delle società di Bonet) a Roma. Insieme stanno costituendo a Roma un osservatorio per la pubblica amministrazione da affiancare a "Polare". Dopo vari incontri, insieme a don Pino Esposito, l'arcivescovo Zygmunt Zimoswki e altri soggetti, hanno in atto trattative per vari progetti con le strutture sanitarie del Vaticano e per alcuni investimenti in Paesi dell'Est Europa da realizzare con "Polare". In una telefonata intercettata Bonet dice: "Quello che stiamo facendo sul Vaticano, centoventitremila cliniche nel mondo sotto il controllo del Vaticano che oggi non controlla niente" e dice "facci l'Osservatorio sull'innovazione" e da domani parte"». Un altro affare trattato dal gruppo fa emergere «il ruolo strategico di Belsito in Fincantieri, il quale per agevolare la società "Santarossa Spa" che produce arredamenti per la casa ed anche per il settore navale veniva pagato regolarmente da questi con la copertura di un contratto di lavoro (ieri con una nota Fincantieri ha smentito di aver mai pagato commesse o tangenti, ndr ). Infatti qualche giorno prima Belsito aveva ricevuto altri 15.000 euro da questi. E Santarossa ha riferito di aver tirato fuori più di 1.500.000, di euro nell'ultimo anno per Belsito e per l'amministratore di Fincantieri Giuseppe Bono».

Fiorenza Sarzanini

6 aprile 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_06/sarzanini-ora-i-soldi-a-calderoli_ad49dee4-7fab-11e1-8090-7ef417050996.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Sapeva delle irregolarità» «Soldi in nero presi da Bossi»
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2012, 11:57:22 am
I verbali

«Soldi in nero presi da Bossi»

«Sapeva delle irregolarità»

La contabile: lauree pagate in Svizzera a Rosy Mauro e all'amico Saldate le fatture degli avvocati di Riccardo, difeso per un assegno


ROMA - Venti milioni di lire «in nero» presi da Bossi e consegnati al partito. Una sospetta tangente che il Senatur avrebbe accettato oltre dieci anni fa emerge dai verbali dell'inchiesta sui falsi bilanci della Lega Nord. A rivelarlo è Nadia Dagrada, la segretaria amministrativa che con le sue telefonate notturne con il tesoriere Francesco Belsito ha svelato come veniva gestita la cassa del partito. E quattro giorni fa, davanti ai pubblici ministeri di Napoli e Milano, ha confermato come i rimborsi elettorali fossero diventati la cassa privata del leader e della sua famiglia allargata alla vicepresidente Rosy Mauro e al suo amante poliziotto. È stata lei ad elencare a quanto ammontano gli esborsi per le spese mediche e legali, le auto di piccola e grossa cilindrata, le vacanze, ma anche i diplomi e le lauree ottenuti sborsando centinaia di migliaia di euro. Una girandola di fatture false, bonifici e assegni che fa dire a Daniela Cantamessa, assistente particolare di Bossi, durante la verbalizzazione: «Lo avevo avvisato delle irregolarità di Belsito, o meglio della sua superficialità ed incompetenza e del fatto che Rosy Mauro era un pericolo sia politicamente e sia per i suoi rapporti con la famiglia Bossi. Non nominai a Bossi la moglie perché mi sembrava indelicato».

Contanti in «nero» e bilanci falsi
Sono le 10.30 di martedì scorso quando Dagrada comincia l'interrogatorio che andrà avanti per circa tredici ore. Le fanno ascoltare le conversazioni intercettate. Sollecitano chiarimenti. E lei non si sottrae. «Mi si chiede se siano entrati nelle casse della Lega Nord soldi in contante "in nero". Sì, mi ricordo che alcuni anni fa l'ex amministratore della Lega Balocchi, portò in cassa venti milioni di lire in contanti dopo essersi recato nell'ufficio di Bossi. Anni fa sapevo che c'era il "nero" che finanziava il partito, ma io ho assistito solo a questo episodio». Riguardo a una telefonata con Belsito spiega: «Castelli stava insistendo, anche con me, per vedere i conti del partito e quindi io consiglio a Belsito di riferire al "capo" Umberto Bossi, vista la consistenza delle spese sostenute per la famiglia Bossi, di non permettere a Castelli di fare questi controlli e che quindi per poter continuare a pagare le spese della famiglia. Bisognava fare ricorso al "nero", cioè a incassarli senza registrazione contabile alcuna, così come ha fatto in passato Balocchi quando è andato nell'ufficio di Bossi ed è uscito subito dopo con delle mazzette di soldi per 20 milioni di lire. Balocchi venne da me mi consegnò i 20 milioni di lire dicendomi di non registrarli e di metterli in cassaforte che poi ci avrebbe pensato lui».


«Quando c'era Balocchi io avevo accesso a tutti i dati. Per il bilancio del 2010 dissi al Belsito, poiché non avevo la disponibilità della documentazione che giustificava le spese caricate sui conti del Banco di Napoli e della Banca Aletti, che avevo difficoltà a redigere il bilancio poiché non avevo una visione chiara delle cose. Tuttavia, la mancata redazione dei bilanci nei termini di legge avrebbe impedito alla Lega Nord di incassare i contributi o i rimborsi elettorali erogati dalla Camera dei Deputati, anche se la documentazione non era completa e non avevo tutte le pezze giustificative, decisi comunque di procedere alla stesura del bilancio consapevole del fatto che responsabilità non era mia ma di Belsito che era ben consapevole di queste criticità e di cui si assumeva la piena responsabilità. A seguito della presentazione del bilancio 2010, la Lega incassò circa 18.000.000 di euro per il 2011... Belsito non aveva e non ha una gestione trasparente delle spese che vengono caricate sulla Lega, cioè lui ci diceva di effettuare pagamenti senza che io e le mie colleghe dell'amministrazione vedessimo le fatture o comunque i documenti giustificativi...».

Dottori, auto e diplomi
«Gli unici soldi della Lega Nord sono quelli del contributo pubblico che vengono destinati per le finalità istituzionali previste dalla legge. Effettivamente vi sono una serie di spese e somme di denaro provenienti dai finanziamenti pubblici erogati dallo Stato al partito che nulla hanno a che vedere con le finalità e l'attività del partito politico. Mi risulta, ad esempio, che con i soldi pubblici sia stata comprata l'auto Audi A6 acquistata a Renzo Bossi e poi passata a Belsito, ancora sono stati usati soldi pubblici per pagare i conti dei medici, anche per cure ricevute dalla famiglia Bossi. Belsito mi ha riferito di aver pagato con i soldi della Lega provenienti dal finanziamento pubblico cartelle esattoriali e conti vari di Riccardo Bossi... mi spiegò Belsito che ha fatto comprare una Smart per Renzo Bossi che è intestata alla Lega e che ad oggi, dopo essere stata usata da Renzo per qualche mese è rientrata nella nostra disponibilità; analoga cosa è successa per il Bmw X5 in uso a Riccardo Bossi a cui abbiamo pagato il riscatto del leasing perché non era in grado di affrontarne gli oneri, pari a euro 12 o 21.000 euro. Svolgo attività di contabile dal 1998, ho immediatamente notato che con la gestione Belsito c'è stato un incremento sostanziale delle spese che gravano sulle casse del partito».

«Effettivamente e con dolore dico che sono stati utilizzati soldi del finanziamento pubblico destinati al partito della Lega per pagare conti e per effettuare pagamenti personali in particolare della famiglia Bossi. Posso dire che la situazione è precipitata dopo la malattia del segretario federale Umberto Bossi, nell'anno 2004. Dopo il 2004 c'è stato «l'inizio della fine»: si è cominciato con il primo errore consistito nel fare un contratto di consulenza a Bruxelles a Riccardo Bossi, se non ricordo male da parte dell'onorevole Speroni; dopo di che si sono cominciate a pagare, sempre con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico, una serie di spese personali a vantaggio di Riccardo Bossi e degli altri familiari dell'onorevole Bossi; in particolare con i soldi della Lega venivano pagati i conti personali di Riccardo Bossi per migliaia di euro e degli altri familiari, come per esempio i conti dei medici sia per le cure dell'onorevole Bossi sia dei suoi figli. Tornando su Bossi Riccardo, so che Belsito ha pagato alcune fatture per gli avvocati difensori di Riccardo, perché aveva un assegno protestato di circa 12.000 euro. Renzo Bossi dal 2010 sta "prendendo" una laurea ad un'università privata di Londra e so che ogni tanto ci va a frequentare e chiaramente le spese sono tutte a carico della Lega, ed anche qui credo che il costo sia sui 130.000 euro».

Manuela, le vacanze e la terrazza
Si arriva così alla casa di Gemonio. Dichiara Dagrada: «Per quanto riguardo la ristrutturazione del terrazzo so che nel 2010 sono stati pagati 25.000 euro con bonifico bancario della Lega. Ci sono da pagare ancora 60.000 euro e so che la ditta voleva fare causa per il mancato pagamento. Belsito ha pagato al segretario Bossi ed alla sua famiglia, con i soldi della Lega provenienti dai contributi pubblici, un soggiorno estivo nel 2011 ad Alassio, ma non è stato fatto dai Bossi perché il segretario ebbe un infortunio al braccio qualche giorno prima».

Poi passa alla moglie del leader Manuela Marrone: «Sono stati versati dal conto corrente della Lega del Banco di Napoli di Roma, "contributi diversi" almeno 80-100.000 euro per sostenere la "scuola Bosina" di Varese, dove penso che la signora Marrone riveste il ruolo di preside. Mi risulta che ulteriori versamenti per un ammontare di 800.000 euro sono stati erogati a favore della stesso istituto scolastico dal conto dei fondi della cosiddetta legge Mancia. Ho appreso circa un mese fa da Belsito, che nel 2010-2011 gli era stato chiesto da Marrone Manuela di accantonare, per cassa, una cifra per il sostegno della scuola Bosina, pari a circa 900.000 o l milione di euro per esigenze della scuola bosina. Lui si mostrava disponibile ad accettare questa richiesta, io gli manifestai il mio disappunto e la mia netta contrarietà perché ritenevo e ritengo che l'accantonamento deve essere trasparente e dette operazioni devono essere regolarmente iscritto nel bilancio e che non c'era motivo di farlo in maniera nascosta come chiedeva la Marrone al Belsito. Chiarendo nel merito con Belsito che questa richiesta aveva una doppia valenza, una per Belsito di avere sempre più una forte ascesa nei confronti dei Bossi e l'altra la spregiudicatezza della Marrone nel richiedere la complicità del Belsito per attingere ai fondi del partito. Non volevo che i fondi pubblici del partito venissero utilizzate per le esigenze personali, pertanto lo consigliavo di fare dei bonifici tracciabili sui versamenti a favore della "scuola Bosina"».

Rosy e l'«amante» poliziotto
«A proposito di Rosy Mauro, mi risulta per avermelo detto sempre il Belsito che anche a suo favore siano state erogate somme e la fatture relativa ad una visita cardiologica effettuata dalla Rosy Mauro, per un ammontare di alcune centinaia di euro, pagata con i soldi della Lega; Belsito mi ha raccontato e rappresentato di altre somme della Lega di cui la Rosy Mauro si sarebbe appropriata, di cui, tuttavia, io non ho visto le carte». Poco dopo parla però di «un prelievo bancario 29,150 franchi svizzeri». Nella lista dei "beneficiati" c'è anche «l'amante di Rosy Mauro, Belsito mi ha riferito che Pier Giuramosca, poliziotto, attualmente suo segretario particolare, è stato da lei aiutato ad ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa ed ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosy è Vicepresidente dello stesso organo. Nel 2011 sono stati versati circa 60.000 al Sinpa. Belsito mi ha poi riferito che sono stati dati altri soldi in contanti al Pier Giuramosca, compagno della Rosy Mauro, affinché pagasse le rate per le spese della scuola privata e conseguire il diploma e poi la laurea, credo "ottenuti" entrambi in Svizzera. Inoltre Belsito mi ha detto anche di aver pagato le rate per il diploma e poi la laurea della stessa Rosy Mauro, pagando con i soldi della Lega. Per quanto riferitomi da Belsito i titoli di studio menzionati sono costati circa 120.000 euro prelevati dalla cassa della Lega. Credo che i titoli sono stati conseguiti in Svizzera».

«Belsito mi ha sicuramente detto di aver registrato un suo colloquio con l'onorevole Bossi - colloquio nel quale aveva "ricordato" al segretario tutte le spese sostenute nell'interesse personale della famiglia Bossi. Non so se Belsito abbia effettuato tale registrazione. Belsito mi disse di volerla utilizzare come strumento di pressione dal momento che volevano farlo fuori». Poi spiega perché voleva evitare i controlli chiesti da Roberto Castelli: «Ritenevo che attraverso lui Rosy Mauro avrebbe potuto utilizzare la conoscenza dei fatti contro gli interessi del mio segretario e del mio "movimento"».

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it7 aprile 2012 | 8:00© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_07/sarzanini-soldi-nero-bossi-sapeva-irregolarita_ea2bba90-8072-11e1-97af-a2f25e79a811.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nella fattura CC Hotels di Vicenza vi sono nomi sconosciuti
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2012, 05:18:13 pm
I verbali

Ristoranti, hotel, camioncini: il bilancio parallelo a casa della contabile cacciata

Varie spese alberghiere venivano sopportate dal partito.

Nella fattura CC Hotels di Vicenza vi sono nomi sconosciuti


ROMA - Esiste una documentazione finanziaria della Lega che i responsabili amministrativi avevano chiesto agli impiegati di non inserire nei bilanci. Una contabilità «occulta» che dovrà essere adesso analizzata e quantificata. Una parte di queste carte segrete sono state sequestrate a casa di Helga Giordano, contabile di via Bellerio per circa sette anni. Nel febbraio scorso la donna - che fino a qualche mese fa era assessore al Bilancio del Comune di Sedriano (Milano) - è stata licenziata perché accusata di aver truffato un'imprenditrice spacciandosi come la segretaria particolare di Bossi. Lei sostiene di essere stata in realtà «mobbizzata dal tesoriere Francesco Belsito, che mi costrinse anche a lasciare l'incarico politico». Il 3 aprile, dopo le perquisizioni scattate in tutta Italia nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rimborsi elettorali, è stata interrogata dai pubblici ministeri. E si è trasformata in una testimone chiave per ricostruire l'origine di fatture e pagamenti «anomali».

Non solo. L'ex dipendente ha rivelato come i rapporti tra la Lega e il procacciatore d'affari della 'ndrangheta Romolo Girardelli siano iniziati ben prima dell'arrivo di Belsito. «Ho conosciuto Girardelli - ha verbalizzato la donna - perché accompagnava talora in ufficio Maurizio Balocchi» il tesoriere morto nel 2010. «I due sembravano legati da forte amicizia, pur essendo Girardelli del tutto estraneo al partito».
In realtà i magistrati sono convinti che proprio Girardelli, attraverso le casse della Lega, riciclasse i soldi della criminalità organizzata. In questo quadro inseriscono il trasferimento dei cinque milioni e 700 mila euro a Cipro e in Tanzania. E infatti nel decreto di perquisizione firmato dal giudice di Reggio Calabria è scritto: «Si tratta di complesse operazioni bancarie di "esterovestizione" e "filtrazione" in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Condotta posta in essere da Girardelli per agevolare l'attività dell'associazione mafiosa e in particolare della "cosca De Stefano"».

I CONTI DI RISTORANTI E ALBERGHI - Sono decine i documenti che Helga Giordano nascondeva nel suo appartamento. E lei così ha spiegato il proprio comportamento: «Nadia Dagrada selezionava specie negli ultimi tempi una serie di fatture che, anziché passarmi affinché le contabilizzassi, se le tratteneva lei. Proprio perché mi ero accorta che vi erano delle anomalie in questa attività di contabilizzazione decisi di portarmi a casa copia dei prospetti dei bonifici da me compilati. Si tratta della documentazione che è stata sequestrata in data odierna nel corso della perquisizione. Per ciò che riguarda la cartellina che mi è stata sequestrata, contenente documentazione varia, in particolare fatture e rendiconto di carte di credito, si tratta per quel poco che sono riuscita a fotocopiarmi, di alcune spese che la Dagrada non voleva che annotassi o di spese che mi sembravano anomale».
I sospetti della donna si concentrano fra l'altro su «varie spese alberghiere che venivano sopportate dal partito in base alla scelta discrezionale di Nadia Dagrada. Nella fattura CC Hotels di Vicenza, oltre a Bossi e ad altri militanti a me noti, vi sono nomi totalmente sconosciuti».
E ancora: «Le fatture emesse da Paola Prada, Andrea Calvi e Luigi Pisoni, ad esempio, le avevo sulla scrivania perché recapitatemi direttamente dal postino e mi furono tolte dalla Dagrada dicendomi che non andavano inserite nel prospetto ufficiale delle spese/bonifici. Tra tutte le spese indicate nei prospetti di bonifico non vi sono voci "sospette" nel senso che almeno da una prima visione mi sembrano spese inerenti l'attività di partito. Vi sono significative spese di rappresentanza in ristoranti, che potranno essere discutibili dal punto di vista del contribuente con i cui soldi vengono finanziati i partiti, ma si tratta di prassi consolidata e normale in tutte le formazioni politiche. Dove si vede la voce "asilo" nella colonna "Manifestazioni/Riferimento", si tratta dell'asilo che si trova all'interno della sede della Lega Nord che svolge appunto un'attività di asilo per bambini a pagamento, anche per persone che non appartengono al partito».

RISTRUTTURAZIONI E CAMIONCINI - Le dichiarazioni della Giordano confermano l'accusa che numerose spese accreditate alla Lega fossero in realtà spese personali della famiglia di Umberto Bossi o comunque di persone inserite nel «cerchio magico» del leader. Ma anche affari gestiti per proprio interesse da Belsito. Afferma la testimone: «Tra le spese anomale inserisco le fatture della "Cori.cal service" che erano singolari perché, tenuto conto che si tratta di una ditta di pulizie, avevano oggetti anche diversi dalla semplice pulizia e lo stesso importo delle fatture mensili era oscillante mentre invece ragionevolmente poteva ritenersi che dovesse essere più o meno fisso, o comunque non discostarsi troppo da un importo stabile. Indubbiamente sono molte le fatture della "Cori.cal service" con importo variabile e spesso con reiterazione di lavori tinteggiatura. Sembra che sia una ditta che lavori spesso in tandem con la "G&A soluzioni edili". Mi si chiede se questi lavori di rifacimento facciate, pulizia straordinaria, manovalanza, siano stati effettivamente svolti e io rispondo che non sono in grado di stabilirlo. Tutta la questione della manutenzione della sede di via Bellerio veniva seguita da un nostro dipendente, il signor Luca Canavesi».
Ci sono poi altri pagamenti «anomali». Afferma la Giordano: «La fattura della "Italtrade", oltre ad essere indubbiamente assai elevata per la prestazione fornita, richiamò la mia attenzione perché il fornitore mi chiamò per essere rassicurato sul pagamento. Si tratta di 1.000 euro al mese per il parcheggio di un camioncino con la vela pubblicitaria sopra, per complessivi 43.000 euro ed oltre, per sei camion in un semestre. E la fattura della "Boniardi Grafiche" perché non è emessa alla Lega, bensì a Massimiliano Orsatti».

LA LISTA DELLE MACCHINE - Tra i fogli inseriti nella cartellina di Helga Giordano ci sono quelli relativi alla macchina di Daniela Cantamessa, la segretaria di Umberto Bossi. Lei spiega di averli presi perché l'auto era nella lista della Dagrada «sulle spese da non annotare». Su questo viene interrogata il giorno dopo la stessa Cantamessa che così spiega il possesso dell'auto: «Circa l'autovettura Focus che uso in via esclusiva, si tratta di vettura presa in leasing o comunque con un finanziamento con riscatto finale da parte della Lega. Le spese di riparazione dell'autovettura sono a carico del partito».
Anche nella sua abitazione sono stati sequestrati documenti contabili, in particolare «una copia del bilancio 2010 e i tabulati relativi alle autovetture del partito». E lei, per giustificare la scelta di portare via le carte dalla sede di via Bellerio, ha dichiarato: «Avevo redatto delle note critiche sulle spese e volevo darle a Roberto Castelli affinché svolgesse un accurato controllo».

Fiorenza Sarzanini

8 aprile 2012 | 8:49© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_08/i-verbali-inchiesta-lega-conti-ristoranti-aleberghi-sarzanini_36_dfc8e5d6-8145-11e1-9393-421c9ec39659.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Calderoli e la versione concordata per difendere l'ex ...
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2012, 11:43:09 pm
Le intercettazioni

Calderoli e la versione concordata per difendere l'ex tesoriere leghista

Dopo i malumori e i contrasti, l'ex tesoriere commentava: «Il capo si vuole dimettere, vuole fare un altro partito»


ROMA - Firme false e versioni concordate per cercare di «coprire» Francesco Belsito e le sue operazioni finanziarie illecite. Sono le intercettazioni telefoniche a svelare come lo «stato maggiore» della Lega fosse mobilitato per evitare che la magistratura avviasse indagini sull'attività del tesoriere e scoprire l'uso privato dei fondi provenienti dai rimborsi elettorali. In prima linea, in quelli che a volte appaiono veri e propri «depistaggi», ci sono l'onorevole Roberto Calderoli - appena nominato «reggente» del partito insieme a Roberto Maroni e Manuela Dal Lago - e Piergiorgio Stiffoni membro del comitato amministrativo insieme a Roberto Castelli. Ma anche Giancarlo Giorgetti. Uno si fa dettare dall'avvocato di Belsito la linea pubblica da tenere, l'altro accetta di siglare un documento retrodatato per dimostrare la regolarità degli investimenti. Il terzo è indicato tra i partecipanti agli incontri con l'imprenditore Stefano Bonet, ora indagato per riciclaggio, che ha messo a disposizione i propri conti esteri. Quello delle «coperture» è un capitolo che i magistrati di Milano, Napoli e Reggio Calabria stanno adesso esplorando per valutare le ulteriori responsabilità penali. Anche perché era stato proprio Belsito, parlando di soldi con Rosi Mauro, a chiedere: «Come li giustifico quelli di Calderoli?».

Calderoli e l'intervista
È il 24 febbraio, lo scandalo dei soldi investiti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia è ormai esploso. All'interno del Carroccio si cerca una soluzione. Annotano gli investigatori della Dia nella loro informativa: «Si registra una conversazione tra l'avvocato Scovazzi e l'onorevole Calderoli, il quale dovendo rilasciare una intervista al Secolo XIX concorda con il legale di Belsito gli argomenti da utilizzare per difendere lo stesso Belsito dagli articoli di stampa che lo attaccano». Il brogliaccio dà conto del colloquio: «Calderoli dice che questa mattina il giornalista ha preteso un'intervista sulla questione, in un primo momento il suo addetto stampa aveva cercato di mediare, dicendo che sono due mesi che non rilascia dichiarazioni a nessun quotidiano nazionale, ma poi sempre Calderoli dice di aver riflettuto perché non usare l'intervista cercando di vendere le nostre buone ragioni. Scovazzi dice che secondo lui questa intervista che gli vogliono fare non la vogliono realizzare per sentire le loro buone ragioni, ma lo fanno solo per attaccarli, anzi gli chiederanno come mai la Lega non prende delle posizioni forti contro questo tale (Belsito). L'avvocato aggiunge che l'unica cosa che lui gli può dire e che in buona sostanza su tutte le vicende che riguardano Francesco (Belsito) hanno fatto dei processi dopo che i processi erano già stati fatti, perché relativamente ai fatti dei giorni scorsi, si tratta di due indagini archiviate». Calderoli propone possibili titoli da sottoporre al giornalista: «Fallimento, e non c'è mai stato un fallimento; per il titolo di studio è stato assolto in primo grado e successivamente è intervenuta comunque una prescrizione su una assoluzione; sul discorso della Tanzania l'operazione è già rientrata, i consulenti erano persone completamente a titolo gratuito». In realtà Calderoli sa perfettamente che Stefano Bonet, l'imprenditore che ha gestito il trasferimento dei fondi, sta chiedendo una percentuale proprio alla Lega.

Quali potessero essere i suoi timori, li aveva spiegati poco prima Belsito parlando con un'amica, come si legge nella trascrizione della conversazione: «Belsito dice che prima lo ha chiamato il segretario di Calderoli dicendogli che hanno appena mandato a fare in culo Mari (giornalista del Secolo XIX ), in quanto lo stesso Mari aveva detto che voleva parlare urgentemente con Calderoli e che se non fosse riuscito a parlargli, lo avrebbe sputtanato». In quei giorni i contatti tra l'onorevole e il tesoriere sono frequenti. È proprio Calderoli a cercarlo quando Umberto Bossi vuole vederlo. Il 6 febbraio viene intercettata una telefonata tra Belsito e Romolo Girardelli, il procacciatore d'affari legato alla «cosca De Stefano» della 'ndrangheta. «Belsito dice che sono 9 giorni, anche il capo voleva incontrarlo oggi e lo ha cercato anche Calderoli per dirglielo ma che lui non ci è andato perché non sa cosa deve dire. Calderoli gli ha detto che il capo vuol sapere quando è tutto a posto. Castelli gli ha scritto una raccomandata nella quale ha scritto che di tutto quello che gli chiede ogni volta non gli dà mai niente, Belsito dice che Castelli vuol fare il Giustiziere. Belsito dice che domani dovrà andare a Roma a parlare col Capo e che gli dirà che è ancora tutto fermo».

Rosi e l'atto falsificato
Tra gennaio e febbraio gli uomini di vertice della Lega si attivano per cercare una soluzione che salvi Belsito e dunque l'intero partito. Il 7 febbraio il tesoriere chiama Rosi Mauro. È scritto nell'informativa: «Belsito le riferiva che la sera precedente si era visto a cena con l'onorevole Piergiorgio Stiffoni, con il quale commentava la vicenda relativa al trasferimento dei soldi della Lega all'estero. In particolare Stiffoni esternava il timore che la vicenda in questione, qualora non gestita con le dovute cautele, avrebbe potuto scatenare un terremoto all'interno del Movimento pregiudizievole alla leadership di Bossi. Il timore appalesato dallo Stiffoni, a dire di Belsito, poteva essere evitato qualora i membri del comitato amministrativo (Stiffoni e Castelli) avessero firmato il documento mandatogli da Belsito inerente l'istituzione dei fondi. È evidente che il documento a cui faceva riferimento Belsito era l'autorizzazione affinché Belsito avesse potuto disporre l'operazione in essere. Rosi Mauro, riscontrando le difficoltà appalesate da Belsito lo consigliava di parlare del comportamento tenuto dai suddetti parlamentari, direttamente con Bossi».

L'8 febbraio i due affrontano nuovamente la questione e «Belsito comunicava che era sua intenzione scrivere una lettera ai due parlamentari invitandoli a sottoscrivere "l'autentica delle firme"». E poi, riferendosi a un'altra vicenda, evidentemente sempre economica aggiungeva che «"la tua operazione" riferita alla Mauro, l'avrebbe fatta dal Banco di Napoli poiché in tale istituto non si correva alcun rischio di controllo essendo di fatto sotto i riflettori la Banca Aletti ove, peraltro, a dire del Belsito non avrebbero trovato nulla». Due giorni Rosi Mauro «contattava nuovamente Belsito per avere informazioni circa l'avvenuta firma di Stiffoni e Castelli di un atto verosimilmente da identificare nell'autentica delle firme. Belsito affermava che ciò era stato fatto da Stiffoni mentre non aveva riscontro dell'operato di Castelli».

Il Vaticano, i dossier e le banche
La vicenda sembra aver creato numerosi problemi e contrasti all'interno del Carroccio tanto che, secondo Belsito, «il "capo" si vuole dimettere, vuole fare un altro partito». Ma anche gli altri personaggi coinvolti nella vicenda raccontano di avere problemi. Il 25 gennaio l'imprenditore Bonet si lamenta con un amico per le conseguenze che può avere sui propri affari. E cita in particolare la Santa Sede spiegando che «gli sta facendo recapitare il dossier che stanno preparando per il Vaticano, nel quale, tra l'altro, inseriranno delle controdeduzioni alle accuse "infamanti" di questi ultimi giorni, in modo che gli dia uno sguardo ed esprima un suo parere, soprattutto su "una posizione politica" che deve decidere come metterla. Bonet spiega il motivo di tale memoriale dicendo che lo sta preparando per evitare problemi in futuro (con il Vaticano) considerato l'incarico che gli stanno per dare e per il quale è possibile che gli venga richiesta qualche spiegazione circa il coinvolgimento di Bonet nella vicenda con Belsito e i fondi della Lega».

Un ruolo chiave in questa partita lo riveste, secondo gli inquirenti, l'avvocato calabrese con studio a Milano Bruno Mafrici. Secondo alcuni atti pubblicati dal Corriere della Calabria il professionista - indagato per riciclaggio in questa inchiesta - «ha rapporti con i big della politica calabrese come il governatore Giuseppe Scopelliti e l'assessore regionale Mario Caligiuri. Nel suo studio nel capoluogo lombardo, nella centralissima via Durini a pochi passi dal Duomo, gli inquirenti identificano la base operativa dove la politica incontrava gli ambasciatori finanziari della 'ndrangheta e con loro stendeva accordi e faceva affari». Sarebbe stato proprio Mafrici, in un'intercettazione con Belsito e Bonet, a valutare la possibilità di spostare i soldi già trasferiti a Cipro e in Tanzania, su un conto della banca Arner, l'istituto di credito diventato famoso perché il conto numero 1 è intestato a Silvio Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini

13 aprile 2012 | 8:51© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_13/calderoli-versione-concordata-sarzanini_811ab7b2-8528-11e1-8bd9-25a08dbe0046.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Caso Tarantini, Berlusconi indagato a Bari ...
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2012, 04:50:01 pm
POLITICA E GIUSTIZIA - Lavitola parla con i pm

Caso Tarantini, Berlusconi indagato a Bari «Lo indusse a mentire».

La difesa: atto dovuto


NAPOLI - Nell'inchiesta sugli affari illeciti di Valter Lavitola entra ufficialmente Silvio Berlusconi. L'ex capo del governo è indagato dai magistrati di Bari insieme al faccendiere, entrambi sono accusati di aver indotto Gianpaolo Tarantini a mentire sulle feste che si svolgevano nelle residenze presidenziali. La svolta arriva nel giorno del primo interrogatorio da detenuto dello stesso Lavitola, quando gli viene notificato in carcere un provvedimento di proroga delle indagini pugliesi, identico a quello già consegnato all'ex premier. E adesso l'intera vicenda potrebbe avere esiti inattesi. Perché ieri, di fronte al giudice, Lavitola ha affermato di voler rispondere alle domande degli inquirenti, ha tenuto un atteggiamento che potrebbe addirittura preludere a una futura collaborazione.
Il suo comportamento finora non è mai stato limpido, dunque c'è bisogno di riscontri e verifiche alle sue parole e di un esame attento dei documenti che ha già consegnato. Ma la scelta di rientrare in Italia e costituirsi fa ipotizzare che su alcune questioni sia disposto a raccontare la verità, dunque i suoi rapporti con Tarantini potrebbero essere proprio uno dei capitoli da esplorare. E forse non è un caso che questo avvenga subito dopo il suo trasferimento a Napoli. Perché proprio qui, la scorsa estate, tutto era cominciato.

L'arresto di Tarantini
Era il 30 agosto quando l'imprenditore pugliese e sua moglie Nicla furono arrestati dai giudici di Napoli con l'accusa di aver ricattato Berlusconi. Lavitola - che al telefono con un'amica ammise di essere stato avvisato - era all'estero e sfuggì alla cattura. Secondo i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - confortati dal giudice che aveva accolto la richiesta di cattura - i tre avrebbero estorto 500 mila euro al Cavaliere: in cambio del denaro, Tarantini doveva dichiarare che Berlusconi era all'oscuro che le ragazze portate alle sue feste erano escort, così confermando la tesi sempre sostenuta dallo stesso Cavaliere. Le indagini successive dimostrarono che in realtà l'imprenditore veniva stipendiato con 20 mila euro al mese, che gli venivano pagate le vacanze e le scuole dei figli.
«Ho aiutato una famiglia in difficoltà», affermò Berlusconi. Ma nulla disse quando si scoprì che i 500 mila euro promessi a Tarantini per consentirgli di avviare una nuova attività imprenditoriale li aveva intascati Lavitola. In realtà fu proprio questa circostanza, insieme all'ascolto delle telefonate intercettate tra il presidente e il faccendiere, a convincere i giudici del tribunale del Riesame di Napoli - ai quali si erano rivolti Tarantini e la moglie sollecitando la scarcerazione - che lo scenario fosse diverso. E nel provvedimento che concedeva la libertà ai coniugi scrissero: «Silvio Berlusconi aveva piena e indiscutibile consapevolezza della qualità di "escort" delle ragazze che gli erano state presentate da Gianpaolo Tarantini. E dunque non c'è dubbio che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Tarantini davanti ai magistrati di Bari nel luglio 2009», quando ha negato che il Presidente sapesse che le donne venivano pagate, «risultano reticenti relativamente al coinvolgimento del premier e a tratti addirittura mendaci, determinando la consumazione del reato 377 bis posto in essere da Silvio Berlusconi».

Le tre procure
Il collegio decise poi di inviare il fascicolo nel capoluogo pugliese per competenza, ritenendo sbagliata la decisione del giudice per le indagini preliminari che qualche settimana prima aveva invece individuato come titolari dell'indagine i magistrati della Capitale. Un pasticcio giuridico che ha portato a un risultato paradossale: a Bari Berlusconi e Lavitola sono indagati e Tarantini è parte lesa; a Roma Berlusconi è parte lesa, mentre Lavitola e Tarantini sono indagati. «Non abbiamo ricevuto alcun provvedimento - commenta Niccolò Ghedini, difensore dell'ex premier - ma secondo il pronunciamento del tribunale del Riesame e gli atti di indagine conosciuti, l'iscrizione è un atto dovuto. A questo punto possiamo soltanto auspicare che si arrivi al più presto all'archiviazione».

L'interrogatorio di Lavitola
Nei prossimi giorni i capi delle procure Antonio Laudati e Giuseppe Pignatone decideranno insieme come procedere, ma è probabile che lo facciano dopo aver interrogato Lavitola per sapere che cosa ha da dire sulla vicenda. Ieri, durante le cinque ore trascorse davanti al giudice di Napoli che ne ha ordinato l'arresto per corruzione internazionale e bancarotta, il faccendiere ha parlato di tutte le circostanze che gli vengono contestate. E ha consegnato una serie di documenti sugli affari chiusi a Panama e in Brasile, ma anche sui finanziamenti ottenuti in Italia. Carte che dovranno essere esaminate anche per «testare» la sua volontà di collaborare o quantomeno di non cercare di depistare le indagini in corso.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

19 aprile 2012 | 8:58© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_19/caso-tarantini-berlusconi-indagato-bari-tarantini-fiorenza-sarzanini_67bad344-89e0-11e1-a379-94571f4a698e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Oltre alla Lega pagata anche Cl». I pm verificano le ...
Inserito da: Admin - Aprile 26, 2012, 03:44:10 pm
INCHIESTA FINMECCANICA

Le accuse dell'ex dirigente a Orsi

«Sei Maserati in cambio di appalti»

«Oltre alla Lega pagata anche Cl». I pm verificano le dichiarazioni


NAPOLI - Auto di lusso, lavori di ristrutturazione di una villa in Liguria e soldi che sarebbero stati incassati gonfiando il valore degli appalti. Nell'inchiesta sulle commesse ottenute all'estero da Finmeccanica ci sono nuove accuse che i magistrati devono verificare. Sospetti sull'amministratore delegato Giuseppe Orsi - indagato per corruzione internazionale e riciclaggio - e sulla sua gestione di AgustaWestland, alimentati dalle dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, l'ex responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo che da mesi collabora con i pubblici ministeri di Napoli. E nuovi possibili beneficiari dei suoi finanziamenti: oltre alla Lega Nord Borgogni ha indicato Comunione e Liberazione. Più volte si è parlato del rapporto stretto tra lo stesso Orsi e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, indicato come uno dei suoi sponsor. E adesso si scopre che nel verbale del manager si parla proprio di questi contatti e di possibili passaggi di denaro. Ulteriori accertamenti sono stati disposti dai sostituti partenopei - Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - che hanno delegato indagini ai carabinieri del Noe, ma hanno anche deciso di affidare una consulenza su tutti i contratti stipulati dall'azienda specializzata nella costruzione di elicotteri fino al maggio scorso, quando Orsi fu chiamato alla guida della holding al posto di Pier Francesco Guarguaglini. E quando Borgogni, travolto dalle accuse di false fatturazioni e finanziamento illecito ai partiti, fu costretto a farsi da parte. Qualche settimana dopo ha fatto sapere ai magistrati di essere disposto a parlare.

Il «sistema»dei fondi
Quello dell'accantonamento di «provviste» di denaro da utilizzare per pagare manager e politici è un sistema che Borgogni conosce bene, visto che anche lui è accusato di averlo applicato. Nel caso dei 12 elicotteri venduti al governo indiano nel 2010 si sta cercando di stabilire quante persone abbiano beneficiato dei «fondi neri» che sarebbero stati creati grazie al sistema delle sovraffatturazioni. Si tratta di un meccanismo neanche troppo sofisticato, già emerso in tutte le altre indagini che riguardano le aziende controllate da Finmeccanica. Il trucco è nella scelta di un mediatore di affari che deve essere disponibile a far figurare compensi molto più alti di quelli che effettivamente percepirà al momento della sigla del contratto. Ed è proprio una parte di questa somma aggiuntiva che, dice Borgogni, sarebbe stata versata in parte alla Lega e in parte a Comunione e Liberazione.
Per gestire la commessa indiana il negoziatore con le autorità di New Dehli è stato Guido Ralph Haschke, ingegnere di Lugano ora indagato per corruzione internazionale e riciclaggio perché sospettato di aver distribuito «mazzette» all'estero per conto di Orsi. Dei partiti italiani si sarebbe occupato invece un intermediario britannico conosciuto con un'identità probabilmente falsa: Christian Mitchell. Si tratta di un uomo che i testimoni d'accusa descrivono come legatissimo ad Orsi. E il sospetto è che Mitchell abbia gestito, oltre ai soldi che sarebbero finiti ai politici, anche una «cresta» da destinare ai manager. Soldi che un investigatore non esita a definire come una sorta di «pensione integrativa» messa da parte e poi intascata da chi ha gestito l'appalto.

Le Maserati e la villa
Sono sei le Maserati che sarebbero entrate nella disponibilità di Giuseppe Orsi, ma intestate al suo autista. Vetture di grande valore che il manager avrebbe ottenuto dai proprietari di alcune società che lavoravano con AgustaWestland quando lui ne era amministratore. Tre auto sarebbero rimaste in Italia, una risulta spedita a Londra e altre due negli Stati Uniti. La circostanza, emersa qualche anno fa in un'indagine milanese, è stata avvalorata ultimamente con nuovi dettagli proprio da Borgogni e per questo si è deciso di verificare sia l'effettiva proprietà delle macchine, sia la loro provenienza. Ma pure di scoprire se davvero rappresentino la contropartita di un affare da milioni di euro che Orsi avrebbe concluso con un'altra azienda italiana.
Nuovi accertamenti saranno effettuati anche sui lavori di ristrutturazione di una villa che si trova a Moneglia, in Liguria, ed è intestata alla moglie di Orsi. I controlli dovranno stabilire se davvero - come risulta dai verbali in mano all'accusa - siano stati effettuati da società assegnatarie di appalti gestiti da Agusta nel settore delle opere civili. Aziende che in questo modo avrebbero restituito al manager i favori ottenuti al momento della scelta delle ditte da impiegare.

Fiorenza Sarzanini

26 aprile 2012 | 7:25© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_26/accuse-orsi-maserati-appalti-finmeccanica-lega_33d31a72-8f5e-11e1-b563-5183986f349a.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. LAVITOLA - IL VERBALE
Inserito da: Admin - Maggio 09, 2012, 03:03:02 pm
LAVITOLA - IL VERBALE

Lavitola: «Da Berlusconi un milione per comprare il senatore De Gregorio»

Il faccendiere: «Per Finmeccanica ho stipulato i contratti su elicotteri e radar. Sponsorizzai il generale Spaziante»


NAPOLI - Per «controllare» la commissione Difesa sottraendola al centrosinistra Silvio Berlusconi nel 2006 «versò un milione di euro al senatore Sergio De Gregorio» e questi passò dall'Idv a Forza Italia. È il 25 aprile scorso, nel carcere di Poggioreale a Napoli parla Valter Lavitola, assistito dall'avvocato Gaetano Balice. Il faccendiere svela i retroscena della «compravendita» dei parlamentari, coinvolge Clemente Mastella e Lamberto Dini nelle trattative con il centrodestra per la caduta del governo Prodi in quella che definisce «Operazione Libertà». Poi si sofferma sui suoi rapporti con uomini della dirigenza di Finmeccanica rivendicando il ruolo di mediatore per i contratti in Centroamerica. E racconta di aver fatto incontrare «il presidente Berlusconi al generale Spaziante», per farlo diventare «numero due della Guardia di Finanza». È l'inizio di quella che lui stesso definisce una «collaborazione» con i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio che ne hanno chiesto e ottenuto la cattura per le false fatture emesse dal suo quotidiano l' Avanti! e per corruzione internazionale. Un atteggiamento che i magistrati stanno valutando, non escludendo che in realtà le dichiarazioni verbalizzate servano a Lavitola anche a saldare alcuni conti rimasti aperti durante la sua lunga latitanza.

L'acquisto del senatore
La prima parte del verbale riguarda proprio la «migrazione» dei parlamentari.

Lavitola: «Era stata candidata dalla sinistra una senatrice, notoriamente pacifista (Lidia Menapace ndr ), ed era uscito anche sui giornali che gran parte, diciamo così, delle forze armate erano contrarie a questa cosa. Non ricordo se io chiamai De Gregorio o De Gregorio chiamò me, e De Gregorio nel frattempo che, però, è uno intraprendente che mica aspettava me per fare le cose, si era già messo in contatto con alcuni del gruppo di Forza Italia dell'epoca, e precisamente, non perché ora è morto, pace all'anima sua, e quindi non può dirlo, con il senatore Romano Comincioli, se non sbaglio, il quale era uno dei fedelissimi del presidente Berlusconi, e andò a negoziarsi la nomina a presidente della commissione. Io lo chiamai la mattina... e De Gregorio votò con il centrodestra e fu eletto presidente alla commissione Difesa, e in quel caso sicuramente io, ma ritengo anche il senatore Comincioli, gli creammo un link con il presidente Berlusconi, link che poi fu determinante per il suo passaggio a Forza Italia».

Pm: «Ma un link finanziario o un link...».

Lavitola: «No, un link personale, nel senso che io l'ho preso e l'ho portato da Berlusconi...».

Pm: «E quanto gli è costata a Berlusconi questa cosa?».

Lavitola: «Allora in termini economici gli è costato quel contratto che lui aveva con... allora, De Gregorio prima è passato con Forza Italia... e ricordo come se fosse ora che De Gregorio disse a Berlusconi che lui non intendeva entrare in Forza Italia, ma intendeva fare un suo movimento politico soprattutto all'estero; il presidente gli disse: non ti preoccupare, non ci sono problemi; ma non si entrò nei dettagli».

Pm: «E quanto gli è costato a Berlusconi?».

Lavitola: «In termini economici, a De Gregorio il contratto, come dico pure sui giornali, non so... un milione».

«Dini, Pallaro e Mastella»
Dichiara Lavitola: «Questo fu uno dei miei meriti... il senatore Comincioli era l'uomo principale che al Senato si occupava di tentare di avvicinare i parlamentari del centrosinistra per passare con il centrodestra, e io in quel senso svolgevo una funzione di consigliere del senatore Comincioli...». Poi cita gli altri casi: «Tenga presente che gli altri soldi li avrebbero dovuti dare a Dini, a Mastella e a Pallaro, che stiamo parlando, insomma, seppure glieli avesse dati non glieli ha dati per tramite... Sono persone che si sono trovate messe al margine dal centrosinistra nonostante si dica... Berlusconi che è uno che sa tra virgolette vendersi e gli ha garantito l'economia del movimento, ognuno di loro ha fatto un movimento, quando si è fatta la fondazione del Pdl insieme a Fini, ci stavano pure, alla pari, De Gregorio, Caldoro, Dini, insomma, là ci sta la fotografia con tutti questi qua magari con voti più degli altri...». Lavitola ammette anche di aver avuto un ruolo nella costruzione del dossier sulla casa del cognato di Gianfranco Fini a Montecarlo e spiega: «L'obiettivo più che la ricompensa era quello di riuscire a ritagliarmi uno spazio politico all'interno del partito».

L'incontro con Guarguaglini
I magistrati gli chiedono degli affari e Lavitola risponde: «Ho fatto innanzitutto il consulente di Finmeccanica a Panama... Abbiamo stipulato quei contratti noti, quello dei sei elicotteri e quello dei radar e quello del telerilevamento della mappatura del territorio di Panama, e sostanzialmente il mio ruolo si sarebbe esaurito avendo io un contratto di un anno... la mia idea era di mettere assieme cinque o sei contratti di valore intorno ai 100 mila euro...». Il suo sponsor era il dirigente Paolo Pozzessere «ma incontrai pure Guarguaglini una volta e tutti quanti dicevano sì, ma poi non si faceva niente».

Sulla mediazione per far incontrare Berlusconi con il generale Spaziante afferma invece: «Ci incontrammo per parlare della legge e io dissi al presidente Berlusconi: guardi che, a mio avviso, nel momento in cui passa la legge per la nomina interna alla Guardia di Finanza, per la nomina del comandante generale interno alla Guardia di Finanza, Spaziante potrebbe correre per fare il numero due e non il numero uno, in quanto per anzianità lui potrebbe fare il vicecomandante, punto... questo fu la cosa che io dissi a Berlusconi e Berlusconi sinceramente mi rispose e disse: chi se ne frega, tanto...».

«Latitante per Berlusconi»
I pubblici ministeri lo incalzano per sapere a che titolo voleva cinque milioni da Berlusconi e Lavitola risponde: «Io stavo latitante per aver dato dei soldi di Berlusconi a quel giovane genio di Tarantini, punto, dopo che, come si vede dalle intercettazioni, c'è stata una piccola cosa positiva in quel rapporto, credo voi sappiate di che si tratta...».

Pm: «E anche i soldini che si è portato giù».

Lavitola: «No, aspetti, i soldini che mi sono portato via anche lì, voglio dire, ci vorrebbe... Lo abbiamo già spiegato più volte a Bari».

Pm: «Dico perché lei ha ritenuto che Berlusconi potesse essere così...».

Lavitola: «Perché numero uno io lo conosco e molto bene, e quando uno sta nei guai soprattutto a causa sua se lui può lo aiuta, e io le ribadisco che io ero latitante solo per aver aiutato Tarantini e neanche per indurlo a mentire, perché nessuno ci potrà credere mai...».

Poi, riferendosi a una telefonata intercettata la scorsa estate nella quale Berlusconi lo rassicurava afferma: «Nel momento in cui Berlusconi mi dice: io al limite del possibile vi scagiono a tutti quanti... lì mi sono sentito tranquillo perché il mio dubbio era stato quello che Ghedini, per dire la verità, o Letta, si fosse inventato qualche altra cosa per farmi diventare addirittura l'estorsore di Berlusconi». Poi ammette di avere avuto cinquecentomila euro dall'allora premier e sostiene che erano per l' Avanti! «perché avevamo una situazione economica difficile, eravamo un giornale fiancheggiatore di Forza Italia e gli siamo andati a chiedere se ci stava un sostegno economico a fronte di un servizio che gli potevamo fare».

Fulvio Bufi

Fiorenza Sarzanini

9 maggio 2012 | 9:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_09/lavitola-da-berlusconi-un-milione-per-comprare-il-senatore-de-gregorio-fulvio-bufi-fiorenza-sarzanini_602aa8a2-9999-11e1-85ab-3c2c8bfb44fd.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nuovo piano antiterrorismo
Inserito da: Admin - Maggio 17, 2012, 05:11:20 pm
Il Viminale: 1.500 soldati. La nuova mappa dei rischi

Nuovo piano antiterrorismo

Quattrocento obiettivi sotto protezione

Un volantino della Fai contro Monti, ma è un falso. Previste «ronde dedicate» nelle aree più sensibili


ROMA - Circa 400 nuovi obiettivi fissi da proteggere, almeno 1.500 soldati da redistribuire sul territorio. Al ministero dell'Interno si fanno i conti delle forze disponibili per sorvegliare le sedi e garantire la sicurezza delle personalità dopo il ferimento dell'amministratore delegato di «Ansaldo Nucleare» Roberto Adinolfi. La lista dei possibili bersagli è stata riscritta ed è stato messo a punto un nuovo dispositivo di controllo del territorio.
Oltre alle aziende di Finmeccanica che i terroristi della Fai hanno definito nel volantino di rivendicazione recapitato venerdì scorso al Corriere della Sera «una mostruosa piovra artificiale», l'elenco comprende gli uffici di Equitalia, quelli di numerose aziende statali che hanno i dipendenti in cassa integrazione, alcuni organismi istituzionali che si occupano di nucleare. E poi ci sono i manager, i funzionari addetti al personale, ma anche alcuni professionisti che potrebbero essere stati presi di mira per la propria attività di consulenti.


La mappa aggiornata dei rischi e delle misure di intervento è stata sottoposta ieri sera dal ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri al vertice di Palazzo Chigi, durante un incontro al quale era presente anche il neosottosegretario Gianni De Gennaro. Questa mattina le nuove linee saranno ulteriormente discusse durante il Comitato nazionale e poi il piano sarà operativo. Complessivamente i militari già impiegati in ordine pubblico - compresi quelli che presidiano i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati e partecipano all'operazione «strade sicure» - sono 4.250.


L'indicazione fornita dal ministro ai prefetti è di utilizzare per i nuovi controlli quelli già inseriti nel contingente dislocandoli in altre aree rispetto a quelle già occupate. Ci sono infatti alcuni edifici e istituzioni per cui potrebbe non essere più necessario mantenere servizi di vigilanza fissa perché diventati di minor interesse per quanto riguarda la minaccia terroristica. Del resto la linea imposta prevede di non arrivare a una «militarizzazione» delle città e dunque di predisporre una distribuzione razionalizzata delle camionette. In alcune aree si è invece deciso di effettuare le cosiddette «ronde dedicate» vale a dire il giro di pattuglia di carabinieri e polizia che comprenda il controllo di diversi obiettivi. «Attenzione sia dal punto di vista investigativo che di prevenzione» è stata raccomandata dal ministro anche in relazione a possibili nuove manifestazioni dei «No Tav» pur ribadendo che non c'è alcun possibile legame tra i contestatori e chi ha agito a Genova la scorsa settimana.


Gli analisti continuano a ritenere altamente probabile che nuove azioni possano essere state già pianificate per le prossime settimane, non escludendo che le modalità possano essere diverse da quelle di Genova. Ma nessuna valenza viene data al volantino recapitato ieri ad un quotidiano calabrese per minacciare il presidente di Equitalia Sud e il premier Mario Monti «uno dei sette rimasti». La sigla è quella della Fai, Federazione anarchica informale «cellula Olga», esattamente la stessa che ha rivendicato il ferimento di Adinolfi. Ma secondo l'esame degli esperti si tratta di un clamoroso falso. Oltre al linguaggio utilizzato e ai concetti espressi - totalmente diversi da quelli contenuti nel documento ritenuto invece «attendibile» - la contraffazione riguarda il «logo» inserito nella lettera. Il simbolo è infatti quello della Fai greca che si può rintracciare su un qualsiasi sito Internet ed è soltanto la brutta copia di quello che «marca» il documento di venerdì.

Fiorenza Sarzanini

17 maggio 2012 | 10:13© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_17/piano-antiterrorismo-Sarzanini_b694ae4a-9fe3-11e1-bef4-97346b368e73.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Così Dell'Utri ha smistato i soldi del Cavaliere
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2012, 11:24:56 am
La relazione ai pm

Prestanome e 20 società

Così Dell'Utri ha smistato i soldi del Cavaliere

Gli inquirenti valutano se contestare il reato di riciclaggio viste le centinaia operazioni per il frazionamento del capitale

Dal nostro inviato FIORENZA SARZANINI

PALERMO - Ci sono almeno venti società utilizzate da Marcello Dell'Utri per movimentare le decine di milioni di euro ricevute negli ultimi dieci anni da Silvio Berlusconi. E alcuni prestanome che lo avrebbero aiutato a veicolare i capitali all'estero. Secondo i magistrati di Palermo - il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo - quei soldi sono il frutto di un'estorsione, il prezzo della mediazione condotta dal senatore con gli uomini di Cosa Nostra per garantire la protezione all'ex premier e alla sua famiglia. Dunque, dopo aver individuato l'entità e le date dei versamenti, ci si concentra sulle «uscite» e si valuta la possibilità di procedere anche per riciclaggio. Per questo si cerca di identificare gli altri beneficiari dei versamenti. E per farlo si riparte dalle verifiche già effettuate nel corso dell'inchiesta sulla cosiddetta «P3» dove Dell'Utri è indagato insieme ad altri politici e al faccendiere Flavio Carboni.
Erano stati gli investigatori del nucleo Valutario, circa due anni fa, a scoprire versamenti da Berlusconi a Dell'Utri per circa 10 milioni di euro oltre all'acquisto della villa sul lago di Como che il leader del Pdl avrebbe pagato almeno il doppio del valore. L'esito di quelle prime verifiche fu trasmesso dai magistrati romani ai colleghi siciliani per competenza e da allora sono stati individuati numerosi canali per il reimpiego dei fondi.

La pista che porta all'estero. Oltre agli undici milioni trasferiti a Santo Domingo un paio di mesi fa, ci sono tracce di spostamenti verso la Svizzera e su alcuni depositi che si trovano a Cipro. Si tratta di un canale investigativo aperto grazie alle segnalazioni dell'Uif, l'Unità di analisi finanziaria della Banca d'Italia che da allora ha continuato a «monitorare» le movimentazioni disposte dal senatore su conti aperti in svariate banche e i collegamenti con circa settanta depositi. Una rete fitta che, questo emerge dal rapporto degli investigatori già consegnato ai magistrati, può contare anche su alcuni manager italiani e stranieri.
L'attenzione degli inquirenti si è concentrata sulla «Tome Advertising» una società spagnola che fa capo a Giuseppe Donaldo Nicosia e che nel 2009 ha disposto svariati bonifici in favore di Dell'Utri per circa 400 mila euro. Si tratta di un uomo d'affari che possiede diverse aziende, anche in Svizzera, e gli accertamenti riguardano possibili operazioni disposte per riportare in Italia denaro precedentemente trasferito all'estero in modo da mascherarne l'origine.

I controlli riguardano anche movimentazioni in entrata e in uscita con i titolari di una società segnalata dalla Deutsche Bank per una triangolazione finanziaria transitata su un conto corrente aperto presso un istituto di credito di Nicosia. Ufficialmente si trattava di affari legati al mondo dell'arte, ma la scelta di utilizzare depositi esteri ha convinto gli investigatori della necessità di continuare il monitoraggio, ampliando poi le verifiche anche ad altri soggetti risultati in contatto con il senatore e ai suoi familiari. Anche perché nel corso degli ultimi anni il politico ha disposto centinaia di operazioni per il frazionamento del capitale e firmato decine e decine di assegni per i quali non si riesce a individuare il beneficiario. Modalità finanziarie che sembrano avere come scopo principale il non superamento della soglia di tracciabilità e dunque potrebbero far scattare la contestazione di riciclaggio.

Il silenzio dei testimoni. Su tutto questo i magistrati ritengono indispensabile chiedere spiegazioni a Silvio Berlusconi visto che è stato lui a disporre i bonifici dai propri conti personali motivandoli come «prestito infruttifero» e da un altro deposito a firma congiunta con sua figlia Marina. L'ipotesi dell'accusa è che Dell'Utri abbia ottenuto i soldi in cambio del silenzio su alcune circostanze che riguardano la vita di Berlusconi e che possa averlo fatto anche rivestendo il ruolo di «mediatore» soprattutto dopo la morte di Vittorio Mangano e Gaetano Cinà, entrambi ritenuti «esattori» delle cosche. Dovrebbero essere l'ex presidente del Consiglio e sua figlia a chiarire se ci siano altri motivi che possano giustificare le generose elargizioni, ma al momento non sembrano intenzionati a rispondere alle domande dei pubblici ministeri.
Negli ambienti della Procura viene notato come Berlusconi abbia finora deciso di rimanere in silenzio dopo la contestazione di un reato grave come l'estorsione a quello che viene ritenuto uno dei suoi amici storici, l'uomo che ha contribuito alla nascita di Forza Italia e con il quale ha continuato ad avere un legame personale e - visto quanto accertato dalla Guardia di Finanza sugli ultimi bonifici che risalgono a pochi mesi fa - stretti rapporti economici.

22 luglio 2012 | 9:00

da - http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_22/prestanome-e-venti-societa-cosi-dellutri-ha-smistato-soldi-cavaliere_ad6e693e-d3c6-11e1-83bd-0877fdcd1621.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Ritorno in Italia e ti spacco il c...»
Inserito da: Admin - Agosto 05, 2012, 07:37:18 pm
La nuova ordinanza di arresto per estorsione

«Ritorno in Italia e ti spacco il c...»

Le minacce di Lavitola a Berlusconi

NAPOLI - La fotocopia del biglietto aereo per il ritorno in Italia e un messaggio minatorio spediti via mail. Così, dalla latitanza, il faccendiere Valter Lavitola avrebbe ricattato Silvio Berlusconi per convincerlo a consegnargli cinque milioni di euro in cambio del silenzio su vicende che riguardavano la sua vita privata e i suoi affari. A rivelarlo è stato uno dei legali di Lavitola e durante le perquisizioni compiute dai magistrati di Napoli è stata trovata anche la copia di una lettera indirizzata all'ex premier, nella quale si indica tra l'altro la versione «concordata» in caso di interrogatorio. Estorsione: è questo il reato contestato all'ex direttore dell 'Avanti! con una nuova ordinanza che gli è stata notificata nel carcere di Poggioreale. E in galera è finito anche Carmelo Pintabona, candidato del Pdl per gli italiani all'estero alle ultime elezioni, che avrebbe accettato di fare da tramite fra i due, ma avrebbe anche aiutato Lavitola durante la latitanza di sette mesi tra Panama e l'Argentina.

INDAGATO L'AVVOCATO SAMMARCO - Le carte processuali svelano pure che uno dei legali del leader del Pdl, l'avvocato Alessandro Sammarco, è indagato per aver cercato di convincere Lavitola a rendere false dichiarazioni ai pubblici ministeri in concorso con Eleonora Moiraghi, uno dei difensori del faccendiere. L'inchiesta dei pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio comincia lo scorso anno e riguarda il presunto ricatto a Berlusconi compiuto da Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore pugliese che portava donne a pagamento alle feste del presidente. Le verifiche sul suo comportamento e di sua moglie Nicla, fanno emergere il ruolo di Lavitola che si occupava di mediare con Berlusconi e nella primavera del 2011 si appropria di 500 mila euro destinati alla coppia. È la sorella del faccendiere, nel febbraio scorso, a raccontare che l'uomo continua a pretendere soldi da Berlusconi. E indica in uno dei difensori, l'avvocato Gennaro Fredella, la persona che è a conoscenza dei dettagli della vicenda. Dichiara a verbale Maria Lavitola: «Il 28 marzo scorso il legale ha chiesto di vedermi. Nella circostanza l'avvocato mi disse che mio fratello aveva spedito una mail o un fax all'onorevole Berlusconi con il quale mostrava il biglietto aereo di rientro in Italia con sotto scritto: "Torno e ti spacco il culo". L'avvocato era molto contrariato e mi disse che mio fratello era veramente pazzo e lui non sapeva che cosa fare».

Il professionista viene convocato in Procura a Napoli l'11 maggio scorso. Conferma questa versione e aggiunge altri particolari. «Nell'ultima decade di marzo io e l'avvocato Gaetano Balice fummo contattati dall'avvocato Sammarco per chiedere se poteva fare un interrogatorio nell'interesse di Berlusconi. Lo incontrai nello studio di Eleonora Moiraghi, un altro legale di Lavitola con la quale si davano del tu. Presi tempo e poi comunicai che io e Balice eravamo contrari, ma parlai con Lavitola e lui mi parse assolutamente favorevole... Intanto Sammarco aveva comprato i biglietti per l'Argentina per lui e per la Moiraghi. Alla fine comunicammo a Sammarco la nostra contrarietà all'interrogatorio e Moiraghi si adeguò. Lavitola era molto contrariato». Secondo Maria Lavitola durante l'incontro Sammarco avrebbe così cercato di convincere Fredella: «La salvezza di Valter Lavitola è la salvezza del mio cliente».

LA LETTERA PER GLI ACCORDI - Quali siano gli argomenti che Lavitola intendeva usare per convincere Berlusconi a pagarlo sono ben illustrati in una lettera che il faccendiere aveva incaricato la sorella di recapitargli. La donna nega di averlo fatto ma i magistrati sono convinti che della consegna si sia occupato Pintabona che in una telefonata intercettata precisa di avere «ancora aperta una partita a briscola con il nano maggiore» secondo gli inquirenti «intendendo appunto Berlusconi».
Dopo aver confermato «la mia amicizia e lealtà come sempre», Lavitola scrive a Berlusconi: «La prego solo, nei limiti di quanto le sarà possibile, di tutelare la mia onorabilità. Le ricordo che il 9 agosto scorso, quando sono stato da lei con i due ragazzi (i coniugi Tarantini ndr ), le hanno confermato la mia correttezza e lei ha confermato loro la disposizione che mi aveva dato di consegnar loro una somma solo per avere un'attività all'estero. L'unica cosa che non consentirò è che, anziché essere considerato un amico disposto a sacrificarsi senza aver mai ottenuto nulla, venga qualificato come un piccolo truffatore che approfittava della sua fiducia». Poi quello che sembra un avvertimento: «Dalla lettura delle carte sarà impossibile sostenere che non ho ricevuto i 500 mila euro in contanti».

GLI APPALTI DELL'ENI - Erano state alcune intercettazioni, poi confermate dallo stesso Tarantini durante il suo interrogatorio, a rivelare come nella primavere del 2011 l'imprenditore pugliese stesse cercando di ottenere un appalto dall'Eni sfruttando l'amicizia con Berlusconi. Il faccendiere indica all'ex premier la linea da tenere: «Sarà necessario spiegare la questione dell'Eni. Considerato che Tarantini sta parlando a ruota libera, l'unica cosa sostenibile è che lui le ha chiesto di far inserire nell'albo dei fornitori di una società dell'Eni un suo amico che a sua volta lo avrebbe aiuto a reinserisi. Lei ha sollecitato Scaroni (il presidente ndr ) a far valutare la richiesta ma poi non se ne è fatto nulla. In effetti è la verità. Ho affidato questa nota a una persona di mia assoluta fiducia. È venuto lì e ritorna. Se vuole farmi pervenire qualche messaggio per variare qualcosa di quanto sopra riportato, potrà farlo comunicare verbalmente al latore, che me lo riporterà fedelmente. Un fraterno saluto. Valter».

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it4 agosto 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_agosto_04/torno-e-ti-spacco-sarzanini_b0a39352-ddf5-11e1-9fa2-bd6cbdd1a02d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le carte di Fiorito ai pm: i ladri sono otto
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2012, 05:02:08 pm
SCANDALO FONDI PDL

Le carte di Fiorito ai pm: i ladri sono otto

Dall'ex capogruppo accuse alla presidente e ai vertici. C'era chi andava a donne, chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini.

Due casse di documenti, 109 bonifici


ROMA - La linea di difesa è quella dell'attacco frontale contro i colleghi di partito. Così Franco Fiorito cerca di tirarsi fuori dall'inchiesta sulle ruberie da milioni di euro alla Regione Lazio. E di fronte ai magistrati che gli contestano il reato di peculato per aver usato a fini personali i fondi destinati al Pdl, afferma: «Se ho sbagliato pagherò per gli errori, ma io non ho rubato. I ladri sono altri».

Poi consegna due scatoloni di documenti su otto consiglieri del suo stesso partito e un memoriale che serve a rilanciare su di loro accuse pesantissime sulla destinazione del denaro. Ma punta anche ai vertici e quando parla del «sistema» che aveva fissato le regole per la spartizione dei fondi si concentra sul presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese, sul segretario Nazzareno Cecinelli e sulla stessa governatrice Renata Polverini.

Nel dossier che rischia di provocare conseguenze devastanti sulla Regione, sulla giunta e sull'intero consiglio regionale, Fiorito ha inserito lettere e mail ricevute dai consiglieri, richieste di soldi e raccomandazioni. E poi decine e decine di fatture che ha saldato quando era tesoriere e, dice adesso, «erano per la maggior parte false».

Con sé ha portato casse di documenti per giustificare le elargizioni a pioggia che secondo il suo legale Carlo Taormina «servivano a soddisfare gli appetiti di chi viveva in quel porcile». Spese folli con cene da migliaia di euro, viaggi e vacanze, compensi altissimi per assistenti personali, consulenti, portaborse.

Dunque, la strategia è chiara: tutti dentro per spartirsi le responsabilità. O più probabilmente per consumare l'ultimo atto di una faida interna che va avanti da mesi. Non a caso prima di sedersi davanti ai magistrati l'ex capogruppo alla Pisana rilascia dichiarazioni pubbliche che suonano come un avvertimento a tutti i componenti del Consiglio regionale. E si concentra sui «nemici» interni al Pdl - il suo successore Francesco Battistoni; il presidente della Commissione sviluppo economico, innovazione, ricerca e turismo Giancarlo Miele; il vicepresidente della commissione Bilancio Andrea Bernaudo; il consigliere Carlo De Romanis - indicandoli come coloro che «davvero rubavano». Nomi che conferma, insieme ad altri, di fronte ai pm.

Quando alle 16 di ieri risponde all'interrogatorio del procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Alberto Pioletti, Fiorito però sa che deve difendersi. Spiegare perché ha dirottato oltre 800mila euro dai conti correnti del Pdl a quelli intestati a lui e ai suoi familiari. Ricostruire quei 109 bonifici a se stesso tutti per gli stessi importi: 4.180 euro oppure 8.360 euro. E soprattutto svelare che fine abbiano fatto gli altri soldi se è vero, come ha sostenuto Battistoni che dai depositi del gruppo consiliare sono spariti circa 6 milioni di euro.

Lo fa a suo modo, affermando che c'era «chi andava a donne e chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini e chi mangiava a sbafo, mentre io ho trasferito alcuni soldi sui miei conti perché pensavo fosse regolare e se ho sbagliato pagherò». Ma poi gli chiedono come ha vinto l'asta per l'assegnazione di una casa in affitto da 200 metri quadri a 4.000 euro al mese dell'Ipab in via Margutta - una delle strade più belle di Roma - e anche come ha acquistato gli altri immobili.
Lui ribadisce che tutto è stato regolare. Le sue parole certamente non serviranno a scagionarlo. Ma aprono scenari nuovi che rischiano di travolgere l'intero governo della Regione.

Fiorenza Sarzanini

20 settembre 2012 | 8:14© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_settembre_20/sarzanini-le-carte-di-fiorito-ai-pm-2111892902396.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nell'indagine su Fiorito i vertici del Pdl laziale
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2012, 11:22:59 am
L'ex fidanzata ai pm: i bonifici? Curavo gli elettori ciociari

Nell'indagine su Fiorito i vertici del Pdl laziale

La faida Fiorito trascina nell'inchiesta alcuni colleghi sospettati di aver modificato con lui le fatture presentate dal successore


ROMA - L'indagine sugli sperperi alla Regione Lazio travolge l'ufficio di coordinamento del Pdl e il suo responsabile Vincenzo Piso. L'ex capogruppo Franco Fiorito - ora accusato anche di falso e calunnia - trascina nell'inchiesta alcuni colleghi di partito che adesso sono sospettati di aver modificato d'accordo con lui le fatture presentate da Francesco Battistoni, il suo successore nella carica di capogruppo alla Regione. Una faida interna che potrebbe avere come conseguenza immediata l'azzeramento del vertice, ma che nei prossimi giorni potrebbe portare a nuove e clamorose iniziative giudiziarie. Una svolta sull'asse Roma-Viterbo con i pubblici ministeri delle due città che si muovono in parallelo e continuano ad interrogare testimoni e indagati. L'ultima è stata Samantha Veruska Reali, l'ex fidanzata di Fiorito, beneficiata all'epoca della relazione con una collaborazione e tre bonifici per un totale di circa 7.000 euro.

La guerra interna al Pdl
Tra i documenti acquisiti dalla magistratura di Viterbo ci sono una decina di fatture presentate da Battistoni evidentemente «taroccate». Solo per fare un esempio: su una richiesta di rimborso da 3.000 euro è stato aggiunto un «1» in modo che la cifra finale fosse 13.000 euro. I documenti furono pubblicati da un sito internet locale e Battistoni denunciò per diffamazione il giornalista che aveva firmato l'articolo e il direttore. Vengono disposte alcune verifiche affidate alla Guardia di Finanza e l'ipotesi più accreditata è che la diffusione di quelle carte si inserirebbe in una campagna messa in piedi dall'assessore regionale all'Agricoltura Angela Birindelli proprio per screditare il suo collega di partito.

La Birindelli finisce sotto inchiesta per corruzione e tentata estorsione, insieme ai giornalisti Paolo Giallombardoe Viviana Tartaglini. Sospettata di aver pagato 18 mila euro al quotidiano - sotto forma di inserzioni pubblicitarie - proprio per essere appoggiata in questa «operazione» contro Battistoni. Quando viene convocato dai pubblici ministeri, Giallombardo nega di aver falsificato i documenti e racconta ulteriori dettagli. «Quelle fatture - accusa - le ho avute da Fiorito. Se qualcuno ha modificato gli importi, certamente non sono stato io». E pubblicamente aggiunge: «Se confrontate le fatture che ho pubblicato con quelle che ha acquisito Piso, vedrete che sono uguali».

La riunione del 12 settembre
L'indicazione è precisa, svela la trama di guerra interna al partito. E consente ai magistrati di imboccare una buona pista. Si scopre che effettivamente tutta la documentazione contabile del Pdl è stata consegnata da Fiorito al coordinatore Piso il 12 settembre scorso. A verbale Er Batman la racconta così: «Quel giorno arrivai da lui nell'ufficio della Camera e gli consegnai i documenti. Si chiuse nella stanza per fare le fotocopie e rimase lì almeno un'ora. Io aspettavo fuori, non so chi ci fosse con lui Mentre andavo via incontrai la Birindelli che mi chiese le fatture. Le risposi di parlarne con Piso che aveva tutto l'incartamento».

I magistrati dispongono nuovi accertamenti per scoprire chi fosse con Piso nella stanza e allargano l'inchiesta a tutti i presenti. Lui nega di aver commesso illeciti, assicura di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia. E spiega: «Non capisco su che base dovrei essere indagato, mi sembra una situazione kafkiana. C'era una guerra interna e io ho cercato di capire che cosa stesse accadendo». Poi Piso scarica ogni responsabilità sull'ex capogruppo: «È un delitto fare fotocopie? Fiorito mi ha portato quella documentazione, è vero. Ma poi se lui fa quello che ha fatto, io cosa c'entro? Insomma: io cerco di capire e alla fine il colpevole sarei io? Lo sanno tutti che il mio rapporto con Fiorito è pessimo».

I soldi per Samantha
A quanto pare sono in molti ad avere rapporti pessimi all'interno del partito, ma quando si è trattato di ottenere rimborsi per spese che tutto erano tranne che esborsi per l'attività politica, nessuno sembra essersi tirato indietro. Prendevano i consiglieri e prendevano i loro collaboratori, prendevano anche parenti e amici. Proprio in quest'ultima lista è inserita Samantha Veruska Reali, «Sissi» per gli amici, che di Fiorito è stata la fidanzata per sette anni.

Ora la storia è finita, ma rimane il sospetto che una parte dei soldi a lei arrivati attraverso quattro bonifici fossero soltanto uno dei tanti escamotage studiati da «Er Batman» per appropriarsi illecitamente dei fondi del partito.
Lei, interrogata ieri come testimone dai finanzieri del Nucleo valutario, ha negato qualsiasi complicità. «Non avevo il contratto, ma lavoravo. Ero il collegamento tra Franco e i suoi elettori in Ciociaria, per questo sono stata pagata: tre bonifici e un rimborso spese». Nega anche di aver mai saputo che la vacanza da sogno trascorsa nel 2010 in Sardegna fosse stata pagata con il denaro destinato al Pdl. «Non mi sono chiesta da dove arrivassero i soldi, ma certo non potevo immaginare che fossero quelli della Regione». Un'aria ingenua che non sembra aver convinto investigatori e magistrati.

Fiorenza Sarzanini

2 ottobre 2012 | 9:45
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da - http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_02/fiorito-bonifici-pdl-sarzanini_c4379214-0c4f-11e2-a61b-cf706c012f27.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. In crescita le frodi allo Stato.
Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2012, 05:37:45 pm
Il rapporto della Guardia di Finanza: Tangenti e finti poveri costano 3 miliardi

 Il caso dell'imprenditore col sussidio nonostante il reddito milionario


ROMA - Hanno affinato la tecnica e così sono riusciti ad aumentare i guadagni. Illeciti, naturalmente. Perché in tempi di crisi economica le frodi sulla spesa pubblica hanno subito un'ulteriore impennata. Basti pensare che nei primi nove mesi del 2012 sono stati erogati ben 3 miliardi di euro a cittadini che non avevano i requisiti, quasi mezzo miliardo in più di quanto era stato percepito abusivamente nello stesso periodo dello scorso anno.

I funzionari tra falsi e «mazzette»
Veri ricchi che si fingono poveri, persone sane che denunciano gravi malattie e grazie ai falsi certificati riescono a percepire le indennità, figli o fratelli che continuano per anni ad incassare la pensione del parente morto: ogni escamotage è stato sfruttato pur di strappare qualcosa allo Stato. Ma la «voce» più consistente rimane quella dei danni erariali causati dai pubblici dipendenti con oltre un miliardo e mezzo di danni contestati a quei funzionari e impiegati che hanno contribuito a prosciugare le casse di enti e società commettendo falsi e abusi, ma soprattutto intascando «mazzette».

È l'ultimo rapporto della Guardia di Finanza sugli «sprechi» a fotografare un settore che - nonostante l'impegno - continua ad essere in gravissima sofferenza. Nell'ultimo anno i controlli delle Fiamme Gialle sono diventati più mirati e questo ha consentito di individuare le «maggiori uscite» che in alcuni settori si trasformano in una vera e propria emorragia di fondi. Con casi eclatanti come quel signore lombardo che pur guadagnando milioni di euro è riuscito ad ottenere l'assistenza dovuta a chi è indigente. Ma azioni più incisive sono già state programmate per prevenire e soprattutto recuperare le somme.

Le truffe all'Inps e il buco nel bilancio
Quella delle truffe all'Inps rimane la «voce» più critica con un buco nei bilanci che continua ad aggravarsi proprio in conseguenza di queste erogazioni concesse a chi non ha alcun titolo per ottenerle. Tra il primo gennaio e il 30 settembre scorsi sono state controllate 9.643 famiglie e sono stati scoperti ben 2.324 illeciti - la media di uno su quattro - con un esborso non dovuto che supera i 65 milioni di euro. Sono gli ormai famosi «falsi poveri», liberi professionisti e imprenditori che riescono a nascondere i propri guadagni e così finiscono ai primi posti delle graduatorie comunali quando si tratta di ottenere agevolazioni per mense scolastiche, per l'acquisto dei libri, per l'iscrizione dei più piccoli negli asili nido, ma anche sgravi su medicine e assistenza domiciliare.

Incredibile appare la vicenda dell'imprenditore con ditta a Busto Arsizio che dal 2007 guadagnava oltre due milioni di euro l'anno, ma percepiva un «contributo di sostegno al nucleo familiare» pari a 800 euro. Una cifra che gli è stata concessa dal comune di Cassano Magnago - dove risiede - nonostante avesse presentato una dichiarazione dei redditi mai inferiore ai 58mila euro annui.

In Veneto record di «esenti»
Obiettivo dei controlli, come viene specificato nella relazione che illustra i risultati di questi primi nove mesi è quello di «evitare che preziose risorse vadano disperse o diventino preda di truffatori ed associazioni criminali, a svantaggio delle politiche di sostegno alle imprese ed alle famiglie che si trovano in difficoltà, proprio a causa della crisi economica e della recessione internazionale». I dati nazionali confermano infatti che in questo settore le mancate verifiche portano danni gravissimi alle casse dello Stato. Basti pensare che su 1.277 accertamenti effettuati, sono state presentate 1.505 denunce per un illecito esborso complessivo di oltre 65 milioni di euro. Ed è proprio sulla base di questo criterio che in Veneto sono stati effettuati i controlli sulla spesa sanitaria.

Le Fiamme Gialle hanno effettuato uno screening su undici Asl in tutta la Regione e hanno scoperto ben 8.377 casi di persone che, pur avendo un reddito alto, erano riuscite a ottenere l'esenzione dal pagamento dei ticket. Situazione analoga a Scafati, in provincia di Salerno. In questo caso ad essere denunciati sono stati undici funzionari del Comune che avevano fatto ottenere il «contributo assistenziale» a 153 persone «mediante falsi Isee, l'indicatore di situazione economica equivalente necessario per fornire i giusti parametri di reddito, che certificavano entrate pari a zero euro nonostante i cittadini avessero redditi di gran lunga superiori».

Le pensioni dei parenti morti
Nei primi nove mesi del 2012 sono state 278 le persone che hanno percepito la pensione di un genitore o di un fratello deceduto. Uomini e donne che hanno occultato il certificato di morte e si sono regolarmente presentati agli sportelli per ritirare le somme. In alcuni casi hanno potuto godere della complicità dei funzionari, in altri hanno semplicemente sfruttato l'assenza di controlli da parte delle amministrazioni pubbliche. E così il danno per l'Inps è stato superiore ai 10 milioni di euro che si aggiungono agli oltre 2 milioni di indennità concesse nello stesso periodo del 2011.

Una procedura simile seguita da chi si finge invalido e riesce a ottenere altissime indennità. Quest'anno ne sono stati scoperti 358 (57 sostenevano di essere ciechi) che erano riusciti a ottenere complessivamente sette milioni e 600mila euro con una media di 21mila euro l'anno ciascuno. Entrata ben più alta di quella registrata nel 2011 quando furono scoperti 474 finti malati per un esborso di circa 5 milioni di euro, vale a dire 10mila euro ottenuti da ognuno.

Snack e patatine per gli anziani
Quello della sanità si rivela un vero e proprio «buco nero» con frodi e sprechi che si dimostrano clamorosi. Nel 2011 un servizio «mirato» in Puglia aveva consentito di individuare una truffa da 125 milioni di euro. E anche quest'anno numerose verifiche sono state effettuate negli stessi luoghi.

Tra i casi più «remunerativi» c'è quello degli amministratori di un ospedale che «per ottenere finanziamenti dalla Regione hanno inserito nei bilanci voci di costo insussistenti rappresentando l'utilizzazione totale dei fondi assegnati». Ma l'aspetto più inquietante riguarda le forniture. Nonostante uno dei reparti fosse adibito all'assistenza per gli anziani, è stato chiesto il rimborso di derrate alimentari come snack, patate fritte e bibite gassate che i dipendenti, anziché fornire agli ospiti, avevano provveduto a rivendersi privatamente. E di aver anche ottenuto il rimborso per lavori di manutenzione degli immobili che in realtà non sono mai stati effettuati. La denuncia finale parla di un danno economico per le casse pubbliche pari a oltre due milioni di euro e di beni sequestrati per un valore complessivo di 2 milioni e 150mila euro.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it22 ottobre 2012 | 14:47© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_22/tangenti-finti-poveri-3-miliardi-sarzanini_1c0cb8de-1c09-11e2-b6da-b1ba2a76be41.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. ... così il Cavaliere mi chiese la percentuale per Lavitola
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2012, 09:26:52 am
L'inchiesta

Finmeccanica, la versione del dirigente : così il Cavaliere mi chiese la percentuale per Lavitola

L'interrogatorio di Giuseppe Bono, direttore generale di Fincantieri


NAPOLI - Ogni commessa di Finmeccanica che veniva trattata a livello internazionale prevedeva una «tangente» per i mediatori. Le dichiarazioni dell'ex responsabile Relazioni istituzionali Lorenzo Borgogni, trovano conferma nei verbali di interrogatorio di altri manager che hanno partecipato in questi anni alle trattative con i governi stranieri. E svelano come anche Silvio Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, abbia sollecitato il pagamento di una percentuale sugli appalti per i suoi «emissari». Lo racconta Giuseppe Bono, direttore generale di Fincantieri, nel suo interrogatorio di fronte ai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock del 26 settembre scorso.

«Convocato a palazzo Grazioli»
Borgogni già ha svelato la richiesta presentata dal ministro Claudio Scajola «di una percentuale dell'11 per cento per la vendita di undici fregate al governo brasiliano». A Bono viene dunque chiesto di chiarire che cosa accadde. E lui dichiara: «Dopo le intese che c'erano state a livello governativo, Valter Lavitola venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l'attività svolta nella firma degli accordi governativi dove, a suo dire, Berlusconi si era determinato grazie al suo intervento. Io gli feci osservare che l'intervento del presidente del Consiglio era doveroso, data la sua posizione istituzionale e quindi non ritenevo che l'azienda dovesse alcunché a Lavitola, anche perché non aveva mai ricevuto alcun incarico in tal senso. Successivamente fui convocato telefonicamente da Berlusconi a palazzo Grazioli nel 2011. Lavitola mi aveva preannunciato che mi avrebbe chiamato Berlusconi e quando mi arrivò questa telefonata pensai di recarmi accompagnato dall'avvocato Ioannucci. Quest'ultima, per la verità, aveva ricevuto da Fincantieri un incarico per studiare la questione delle navi alla Guardia costiera di cui parlerò da qui a un attimo. Mi recai con Ioannucci a palazzo Grazioli e lì venivo ricevuto da Berlusconi e Lavitola. In quell'occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere ben presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile. In quell'occasione ebbi la netta sensazione che Berlusconi era pressato da Lavitola. L'incontro non ebbe altro contenuto che quello ora descritto, a parte gli «sfoghi» di Berlusconi sulle vicende giudiziarie che lo coinvolgevano. Mi riservo, consultando le mie agende di far conoscere con precisione la data dell'incontro avvenuto tra febbraio e marzo 2011. A partire da questo incontro non ho poi avuto più occasione di incontrarmi con il Lavitola per la questione del Brasile».

I 17 milioni alla Capitaneria
È lo stesso Bono a rivelare ai pubblici ministeri le procedure simili seguite per un altro affare che coinvolgeva Finmeccanica: la fornitura di navi alla Guardia costiera italiana. Racconta il manager: «Il bando - indipendentemente dal prezzo a cui si sarebbe aggiudicata la gara - prevedeva che nella determinazione del prezzo bisognava tenere conto di due navi usate della Guardia costiera che sarebbero state consegnate all'aggiudicataria. Il valore stimato dalla stessa Guardia costiera italiana era di 17 milioni di euro per tutte e due. Insomma nel prezzo bisognava tenere conto che per 17 milioni di euro avrebbero dato le navi e la differenza sarebbe stata pagata in monete. Devo aggiungere che in questo stesso periodo (siamo sempre nel 2011) Lavitola riprese contatto con me per comunicarmi che le due navi che avremmo dovuto ritirare Berlusconi le aveva promesse al presidente del Panama Ricardo Martinelli all'interno dell'accordo stipulato dall'Italia con quel governo. Io risposi che le predette navi usate facevano parte del prezzo che la Guardia costiera avrebbe dovuto pagare per la nuova fornitura a Fincantieri e quindi se la Guardia costiera italiana non ce le avesse dato indietro avrebbe dovuto corrisponderci i 17 milioni. In quel contesto dissi a Lavitola che se Berlusconi aveva promesso al governo di Panama le suddette navi, si sarebbe dovuto impegnare a far comunque confluire nella disponibilità della Guardia costiera i 17 milioni. In effetti così accadde, tant'è che di lì a poco vi fu un intervento normativo con il quale furono stanziati 17 milioni di euro alla Guardia costiera che la stessa Guardia costiera destinò a Fincantieri».

La tangente al 10 per cento
Il 4 giugno scorso viene interrogato Emilio Dalmasso, responsabile della vendita di elicotteri civili per AgustaWestland sin da quando l'azienda era guidata dall'attuale amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi. E dunque si è occupato della fornitura al governo di Panama nell'ambito dell'accordo più ampio firmato dal governo italiano. I magistrati gli chiedono se è al corrente del «contratto collaterale con una società di diritto panamense». Si riferiscono alla Agafia che, dice l'accusa, è riconducibile a Lavitola e al presidente Ricardo Martinelli ed è il veicolo che sarebbe stato utilizzato per il pagamento di «mazzette». Il manager annuisce e svela i dettagli: «Fu Camillo Pirozzi, collaboratore di Paolo Pozzessere, con una mail inviatami qualche giorno prima della conclusione del contratto con Panama a segnalarmi che bisognava concludere anche il collaterale contratto con l'agente straniero che aveva favorito la conclusione degli accordi. Pirozzi mi comunicò i dati relativi alla percentuale concordata del 10 per cento». È la cifra stabilita anche per tutti gli altri affari esteri. Soltanto Scajola avrebbe chiesto un rialzo di un punto arrivando all'11 per cento.
fsarzanini@corriere.it

Fiorenza Sarzanini

25 ottobre 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_25/sarzanini-versione-del-dirigente_83f14486-1e63-11e2-83ec-606b68a0023b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Contestatori-agenti, la sfida dei video
Inserito da: Admin - Novembre 15, 2012, 04:52:59 pm
i cortei

Contestatori-agenti, la sfida dei video

La preoccupazione del Viminale: prova generale per azioni ancora più violente


ROMA - La guerra dei filmati scoppia in serata quando comincia a montare la polemica sugli episodi di guerriglia che hanno segnato questa giornata di protesta nelle città italiane. Televisioni e siti internet trasmettono i video girati durante le manifestazioni, mostrano studenti trascinati via dal corteo, buttati per terra, presi a manganellate dagli agenti, alcuni in borghese e con il casco in testa. Al Viminale c'è grande preoccupazione, l'immagine della polizia può subire un altro durissimo colpo. Il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri è ad Algeri per un incontro bilaterale. Rimane in contatto costante con il prefetto Antonio Manganelli che la aggiorna sulla situazione. E alla fine si decide di far partire la "controinformazione" con la trasmissione delle immagini girate «dalle forze dell'ordine» per «far vedere i giovani armati di bastoni e scudi che si sono chiusi "a testuggine" e hanno attaccato la polizia e i carabinieri».

I responsabili degli apparati di sicurezza sono convinti che quella di ieri sia stata soltanto una prova generale. Altri cortei saranno organizzati nelle prossime settimane, nuove manifestazioni per esprimere un disagio che sempre più spesso si trasforma in violenza. Perché è questo il punto cruciale evidenziato dagli analisti: il malcontento che viene sfruttato da chi vuole fomentare il clima e far prevalere il dissenso da esprimere in maniera forte e aggressiva. La rabbia di chi protesta si confonde allora con quella degli agenti, costretti a turni massacranti per cercare di far filare tutto liscio.

«Chi ha sbagliato sarà punito», fanno sapere in serata dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Ma poi sottolineano come «l'impegno delle forze dell'ordine abbia scongiurato pericoli ben più seri e conseguenze ben più gravi». Una posizione che il ministro Cancellieri fa propria quando, di ritorno da Algeri, emette un comunicato per «esprimere la più ferma condanna per i gravi episodi di violenza e manifestare vicinanza e solidarietà agli operatori di polizia rimasti feriti nel corso degli incidenti» e «apprezzamento al prefetto Manganelli per l'operato delle forze di polizia».

Ci sono vari fronti sindacali aperti, molte aree del Paese in fermento. Gli studenti si mescolano con i professori e gli operai in serpentoni che sembrano avere più anime, ma l'unico obiettivo di mostrarsi uniti nella protesta contro il governo e misure economiche giudicate troppo pesanti, soprattutto dalle fasce più deboli. Una compattezza che evidentemente preoccupa i responsabili della sicurezza e li spinge, talvolta, a reagire in maniera più pesante di come era accaduto in passato.

Il dispositivo di sicurezza utilizzato ieri a Roma per cercare di evitare che i manifestanti si avvicinassero ai palazzi del potere e delle istituzioni è stato molto più "stretto" che durante i precedenti cortei organizzati nella capitale. E più repressivo. Non sembra affatto causale che i manifestanti siano stati dirottati verso Lungotevere in modo da evitare che "occupassero" le piazze, come era accaduto il 15 ottobre dello scorso anno con gli "Indignati" a San Giovanni. Un canovaccio seguito pure in altre città, soprattutto al nord. La scelta di affidare agli investigatori della Scientifica il compito di filmare ogni "intervento" per «documentare la situazione prima di ogni "carica"», fa ben comprendere quale sia il clima che si respira.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

15 novembre 2012 | 11:41© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_15/agenti-contestatori-viminale-cancellieri-Sarzanini_b23c3002-2f0d-11e2-8b0e-23b645a7417c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Salesiani, persa la lite sull'eredità
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2012, 11:18:51 pm
Il verdetto

Salesiani, persa la lite sull'eredità

In ballo un conto da 130 milioni

Il caso sui beni lasciati alla Fondazione del marchese Gerini.

Il giudice: nessuna truffa. I religiosi: valuteremo ulteriori passi


ROMA - Non c'è stata truffa, l'accordo sulla spartizione dei beni dei Salesiani è valido. Il giudice di Roma Adele Rando archivia la denuncia della Fondazione Gerini contro i «mediatori» che avevano concluso un accordo per la spartizione dell'eredità del marchese Alessandro Gerini. E dunque il faccendiere Carlo Moisè Silvera ha diritto ad ottenere oltre 100 milioni di euro proprio per il suo ruolo di negoziatore tra le parti. Il sequestro cautelativo dei beni per 130 milioni, disposto dal tribunale di Milano, potrebbe diventare operativo.
Perde la Fondazione, ma perdono soprattutto le alte gerarchie vaticane che negli ultimi mesi hanno cercato di far dichiarare nullo quel patto. Esce sconfitto il segretario di Stato Tarcisio Bertone che in una lettera depositata agli atti il 24 settembre aveva dichiarato: «Ho dato il consenso alla soluzione negoziale, ma ho scoperto solo dopo il modo fraudolento di comportarsi verso il sottoscritto».

La vicenda comincia nel 1990 quando il nobiluomo lascia tutti i propri beni (terreni, palazzi, opere d'arte) alla Fondazione che porta il suo nome e che, dopo essere stata riconosciuta ente ecclesiastico, era stata posta sotto il controllo della Congregazione Salesiana. I nipoti impugnano il testamento e aprono una controversia che va avanti per 22 anni. Nel 2007 compare sulla scena Silvera come rappresentante degli eredi e propone un accordo che riconosca il 15 per cento del valore complessivo all'economo dei Salesiani don Giovanni Battista Mazzali. Per arrivare al perfezionamento di questo patto vengono coinvolti alcuni professionisti, tra i quali l'avvocato milanese Riccardo Zanfagna.

Il patrimonio viene stimato in 658 milioni, dunque Silvera fissa il suo prezzo a 99 milioni. Don Mazzali accetta, confortato dal parere di Bertone che caldeggia la chiusura di ogni controversia. L'8 giugno 2007 arriva la firma, la questione sembra conclusa. E invece la Congregazione rifiuta di pagare la cifra pattuita, Silvera fa ricorso al tribunale di Milano e ottiene il sequestro dei beni dei Salesiani per 130 milioni di euro. Una decisione clamorosa: per la prima volta vengono messi i sigilli a beni ecclesiastici come la sede della direzione generale di Roma e il fondo Polaris aperto in Lussemburgo.
Mentre si attende l'esito di quella controversia, c'è un nuovo colpo di scena: don Mazzali presenta una denuncia contro Silvera e l'avvocato Zanfagna alla Procura di Roma. «Mi hanno truffato, l'accordo non è valido», afferma davanti ai magistrati. Una tesi avvalorata dal cardinal Bertone che però non convince affatto i magistrati. Il pubblico ministero ritiene che non ci sia stato alcun raggiro. E ieri questa sua impostazione viene confermata dal giudice secondo la quale «emerge una gestione concordata degli interessi in campo, alla quale si perviene dopo una transazione voluta dalle parti, certamente in grado di valutare gli operatori cui si affidavano e la portata nonché la convenienza dell'accordo».

«Rispettiamo la decisione e adesso valuteremo eventuali ulteriori passi», dichiara l'avvocato della Fondazione Michele Gentiloni. Ben diverso il commento dell'avvocato Zanfagna: «Da uomo di giustizia ho atteso con serenità la decisione della magistratura che, riconoscendo l'infondatezza della notizia di reato, ha conseguentemente accertato la linearità, professionalità, deontologia e correttezza con cui ho svolto tutti gli incarichi ricevuti. A fronte di vertenze civili in corso da 22 anni, al giudice penale sono bastati pochi mesi per rendersi conto dell'infondatezza delle affermazioni dell'Ente Ecclesiastico. Agli stessi organi di Giustizia rimetterò la tutela del mio nome e dei miei diritti, violati con tanta leggerezza e superficialità».

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it28 novembre 2012 | 14:49© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_28/salesiani-persa-lite-su-eredita_1fa3f980-3923-11e2-8eaa-1c0d12eff407.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Troppi interventi in ritardo dei giudici Servono più arresti
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2012, 07:26:00 pm
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«Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio l'ammonimento, non ha bisogno di querela e si è rivelato un ottimo deterrente»   

«Troppi interventi in ritardo dei giudici Servono più arresti»

di Fiorenza Sarzanini


«Il vero problema riguarda quello che accade tra il momento della denuncia e l’intervento del magistrato. Perché spesso i giudici non prendono provvedimenti oppure lo fanno con un ritardo che a volte può essere fatale». Mariacarla Bocchino è il direttore della Divisione Analisi del Servizio centrale operativo della polizia. Le procedure e i percorsi dell’indagine sugli atti persecutori le conosce perfettamente. E non può negare quanto gravi siano le carenze nella risposta, quando una donna implora aiuto. Proprio come è accaduto a Lisa Puzzoli, la giovane uccisa ad appena 22 anni. Aveva presentato tre denunce contro il suo ex fidanzato. Ma non era successo nulla. Non è l’unica.

Dottoressa, come è possibile?
«Purtroppo anche se le denunce sono precise e circostanziate, la scelta di intervento è affidata alla discrezionalità del magistrato. Il numero di casi da esaminare è molto alto, per questo stiamo sollecitando i responsabili dei distretti a nominare pool di pubblici ministeri “dedicati”».

Invece adesso che cosa accade?
«Ci si affida al pubblico ministero di turno che spesso si occupa di altre specializzazioni e tratta il caso allo stesso modo di una rapina o un incidente stradale. Abbiamo chiesto al ministero della Giustizia di intervenire affinché non sia vanificato il nostro lavoro».

Avete ottenuto risultati?
«Il percorso è avviato, non sarà breve. Invece bisognerebbe sfruttare al massimo gli strumenti della legge che possono essere molto efficaci. E soprattutto bisognerebbe intervenire con maggior decisione».

Per esempio facendo scattare la custodia cautelare in carcere per il persecutore?
«Esatto. Invece per questo tipo di reati avviene raramente. Quando addirittura non si arriva al paradosso di concedere gli arresti domiciliari. In alcuni casi siamo stati costretti ad allontanare la vittima e i figli perché il giudice aveva disposto l’arresto nell’abitazione familiare».

Esistono uffici giudiziari «affidabili»?
«A Roma il pool è stato costituito. In generale posso dire che le città più piccole sono quelle più sprovvedute. Sicuramente al Centro-Nord c’è maggiore difficoltà ad ottenere l’arresto degli autori, probabilmente perché si tratta di aree più tranquille dove c’è una maggiore percezione di sicurezza».

Però lo stalker è uguale in ogni parte dell’Italia.
«Nelle Procure del Sud, a Napoli in particolare, c’è molta rispondenza tra l’attività delle forze dell’ordine e quella della magistratura. Sono vicende sempre molto delicate, il fatto che la vittima ottenga risposte è fondamentale. È importante che non si scoraggi».

C’è ancora molta paura di denunciare, soprattutto quando il persecutore è il marito oppure il convivente. Lei crede che la legge offra davvero protezione alle donne?
«Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio l’ammonimento. È un atto amministrativo che viene emesso dal questore al termine di una veloce istruttoria e può essere molto efficace perché non ha le conseguenze della querela, ma si è rivelato un ottimo deterrente».

Quali conseguenze ha?
«Nel caso di recidiva, la denuncia scatta automaticamente. Se la vittima chiede aiuto ma poi rifiuta di presentare la querela si procede d’ufficio. Posso dire che soltanto nel 18 per cento dei casi siamo intervenuti per la seconda volta».

Che cos’altro manca?
«È fondamentale che i magistrati dispongano tutti quei provvedimenti — divieto di contatto, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinarsi al luogo di lavoro — che servono davvero a proteggere le vittime».

fsarzanini@corriere.it

da - http://27esimaora.corriere.it/articolo/troppi-interventi-in-ritardo-dei-giudici-servono-piu-arresti/


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ecco perché Bankitalia ha deciso l'ispezione sul Vaticano
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2013, 05:58:18 pm
Ecco perché Bankitalia ha deciso l'ispezione sul Vaticano

Vaticano, conto «sospetto» da 40 milioni dietro al blocco di bancomat e carte

Scoperta l'entità dei flussi dei Pos: Sul deposito alla Deutsche Bank non è possibile applicare la norma antiriciclaggio


ROMA - Si gioca su oltre 40 milioni di euro l'anno la partita tra Santa Sede e Banca d'Italia per l'autorizzazione a utilizzare Bancomat e carte di credito. È questa l'entità della movimentazione che risulta dai documenti contabili acquisiti dalla procura di Roma prima di segnalare quelle «anomalie» che hanno portato al blocco di tutti i Pos degli esercizi commerciali che si trovano all'interno del Vaticano. Si tratta di ben ottanta «punti vendita», dai Musei alla farmacia, passando per decine di negozi e anche per lo spaccio. Per loro il colpo subito è gravissimo visto che dall'inizio dell'anno i pagamenti possono avvenire soltanto in contanti e ciò - tenendo conto dei milioni di turisti e visitatori che arrivano costantemente - sta causando serie difficoltà e anche perdite economiche. Ma sembra assai difficile, se non impossibile, che il servizio possa essere nuovamente garantito. Anche perché quanto accaduto riporta in primo piano le «carenze» nel sistema antiriciclaggio dello Ior, l'Istituto per le opere religiose, già evidenziate dai pubblici ministeri titolari dell'inchiesta sulla correttezza delle operazioni bancarie effettuate sui conti intestati a religiosi. Sono gli atti a svelare che cosa è accaduto prima che si arrivasse a questa iniziativa senza precedenti.

Gli 80 Pos sul conto Deutsch
Secondo le relazioni dell'Uif, l'Unità di informazione finanziaria di Palazzo Koch, tutti i soldi acquisiti attraverso i Pos confluiscono su un unico conto intestato allo Ior e aperto presso una filiale della Deutsche Bank. Per l'installazione delle «macchinette» l'istituto di credito avrebbe dovuto chiedere una apposita autorizzazione, ma questo non è mai avvenuto. Un anno e mezzo fa era stato proprio il pool di magistrati guidati dal procuratore aggiunto Nello Rossi a segnalare l'anomalia e così era scattata l'ispezione di Bankitalia.
Siamo a settembre del 2011. Soltanto dopo l'avvio dei controlli l'Istituto di credito sollecita una «sanatoria». Gli accertamenti giudiziari che avevano determinato la segnalazione riguardavano un altro conto Ior sul quale erano stati depositati 23 milioni di euro dei quali si ignorava la provenienza. In questo nuovo caso bisognava stabilire se fosse invece possibile ricostruire il flusso del denaro.

Il saldo da 10 milioni
All'11 settembre 2011, giorno in cui parte la verifica, risulta un saldo di circa 10 milioni di euro. I documenti relativi alla movimentazione annuale consentono però di accertare che sono più di 40 i milioni transitati su quel conto negli ultimi dodici mesi. Soldi dei quali non si sa praticamente nulla, come ha evidenziato anche Bankitalia in una nota pubblicata due giorni fa per evidenziare i motivi che hanno indotto i vertici a sospendere i pagamenti con Bancomat e carte di credito.
I responsabili di palazzo Koch sottolineano come «per l'attività bancaria svolta dallo Ior con controparti italiane non è possibile applicare il regime di controlli semplificati previsto per i rapporti con le banche comunitarie, che consente a queste ultime di non comunicare i nomi dei clienti per conto dei quali sono effettuate le singole operazioni». Il nodo è sempre lo stesso: non si conosce l'intestatario effettivo del deposito aperto presso Deutsche e soprattutto chi ha la delega ad operare, dunque non è possibile applicare la normativa antiriciclaggio.

I conti di preti e suore
La stessa situazione era già emersa in altri casi esaminati dai magistrati di depositi intestati a religiosi che in realtà risultavano messi a disposizione di persone estranee al Vaticano. Il 6 dicembre scorso Bankitalia ha notificato la decisione di non concedere la «sanatoria», il 3 gennaio non è stato più possibile pagare con le carte.
È stato verificato che sul conto Ior affluivano ogni giorno decine di migliaia di euro, ma poiché la maggior parte dei Pos sono intestati a società con sede in Vaticano non è possibile sapere da dove arrivi effettivamente il denaro e soprattutto chi lo utilizzi poi in uscita. In particolare, nonostante i controlli disposti, non si sa che fine abbiano fatto, nel 2011, i 30 milioni di euro che risultano prelevati dal conto, né tantomeno chi abbia compiuto le operazioni di prelievo.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it 14 gennaio 2013 | 11:26© RIPRODUZIONE RISERVATA


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il patto con Santander e Jp Morgan
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2013, 11:32:40 pm
Le indagini

Il patto con Santander e Jp Morgan

Adesso spunta una lettera segreta

Tra i testimoni Cardia, figlio dell'ex presidente Consob: L'accordo per far salire il titolo e nuove speculazioni sospette


ROMA - Un patto tra acquirente e venditore per truccare i conti e far salire il prezzo di Antonveneta. Un accordo non scritto tra gli spagnoli del Santander e gli italiani di Monte Paschi per dividersi la «plusvalenza» di quell'affare. Gli atti contabili, le comunicazioni interne, le relazioni trasmesse agli organi di vigilanza sequestrate otto mesi fa per ordine della magistratura di Siena e analizzate dagli specialisti della Guardia di Finanza, hanno consentito di trovare indizi concreti su questo intreccio illecito. E di aprire una nuova fase d'indagine che si concentrerà sui testimoni da ascoltare. Personaggi che potrebbero conoscere dettagli inediti di quanto accadde nel 2007 quando Santander acquistò la banca per 6,3 miliardi di euro e appena due mesi dopo riuscì a venderla a Mps per 9,3 miliardi di euro con un'aggiunta di oneri che fecero lievitare la cifra a 10,3 miliardi. Un ulteriore miliardo che potrebbe rappresentare la «stecca» aggiuntiva e coinvolge direttamente Jp Morgan.

L'armadio dei documenti - Nell'elenco c'è anche il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior e da vent'anni responsabile di Santander per l'Italia che ha più volte incontrato l'ex presidente Giuseppe Mussari, come dimostrano le agende sequestrate a quest'ultimo. Lo scorso anno, indagando sui conti dell'Istituto opere religiose, le Fiamme gialle sequestrarono nel suo ufficio un armadio pieno di documenti sulle operazioni condotte da Santander nel nostro Paese. E contenevano i nomi di alcuni consulenti che negli anni hanno affiancato l'istituto spagnolo e potrebbero aver avuto un ruolo importante anche nella vendita di Antonveneta. Tra i nomi spicca quello di Marco Cardia, avvocato che si occupò di alcuni aspetti dell'acquisizione per conto di Mps all'epoca in cui suo padre Lamberto era presidente della Consob. Sono diverse le persone che in questi mesi avrebbero già aiutato gli uomini del Nucleo valutario a ricostruire il percorso dei soldi. Denaro trasferito all'estero e in parte fatto rientrare grazie allo scudo fiscale. Ma ancora molto ne manca all'appello e soprattutto altre speculazioni sono state effettuate negli ultimi mesi. Per questo, come viene confermato dai magistrati senesi, si continua a indagare pure per aggiotaggio. Non escludendo che anche in queste ore ci siano nuove manovre illecite sul titolo. Testimone chiave in questa fase si è dimostrato Nicola Scocca, l'ex direttore finanziario della Fondazione che sarebbe stato interrogato già quattro volte.

Il patto tra le banche - Sono gli ordini di perquisizione notificati il 9 maggio scorso a svelare quale sia il nocciolo dell'inchiesta. E per quale motivo siano finiti nel registro degli indagati l'ex direttore generale Antonio Vigni e gli ex sindaci Tommaso Di Tanno, Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti. Adesso l'indagine si è allargata coinvolgendo Mussari, il presidente della Fondazione Gabriello Mancini, l'ex direttore generale dell'ente Mario Parlangeli e l'attuale, Claudio Pieri. E con un faro acceso sull'attività di Gianluca Baldassarri, direttore dell'Area finanza fino allo scorso anno. Dopo l'esborso di oltre 10 miliardi e l'accollo dei debiti per ulteriori otto miliardi, bisogna ripianare il bilancio. Le ricapitalizzazioni e i prestiti del Tesoro non sono evidentemente sufficienti. E così i titoli Mps in portafoglio alla Fondazione finiscono in pegno a undici istituti di credito, una sorta di cordata guidata da Jp Morgan che coinvolgeva anche Mediobanca. I finanziamenti arrivano attraverso contratti di Total Rate of Return Swap (Tror) e per questo i magistrati chiedono ai finanzieri di sequestrare le «note propedeutiche agli accordi di stand still siglati con la Fondazione, la documentazione relativa alle contrattazioni che hanno determinato il rilascio di garanzie in favore delle banche o del "Term loan" da parte della Fondazione Mps, la loro novazione, documentazione concernente il ribilanciamento del debito contratto dalla Fondazione».


Le manovre speculative - L'esame dei documenti effettuato in questi otto mesi dimostra che per sanare la voragine nei conti aperta con l'acquisto di Antonveneta furono messe in piedi operazioni ad altissimo rischio come i bond fresh del 2008 e quelle sui derivati. Ma non solo. I magistrati sono convinti che il valore delle azioni sia stato gonfiato dai dirigenti di Mps e che queste manovre speculative siano andate avanti anche negli anni successivi, in particolare tra giugno 2011 e gennaio 2012.
Obiettivo: nascondere un disastro finanziario che i vertici del Monte Paschi avevano invece escluso. Non a caso nei decreti di perquisizione del maggio scorso viene evidenziato come «la documentazione acquisita e le informazioni testimoniali fanno emergere l'ostacolo all'attività di vigilanza della banca d'Italia poiché risulta che organi apicali e di controllo di Mps, contrariamente al vero rappresentavano che la complessiva operazione realizzava il pieno e definitivo trasferimento a terzi del rischio d'impresa e che la stessa non contemplava altri contratti oltre quelli già inviati».


Il falso su Jp Morgan - Agli atti c'è una lettera trasmessa il 3 ottobre 2010 dal direttore generale di Mps Vigni a Bankitalia sull'aumento di capitale da un miliardo riservato a Jp Morgan. Dieci giorni prima Palazzo Koch aveva chiesto «delucidazioni circa la computabilità della complessiva operazione di rafforzamento patrimoniale da un miliardo di euro nel core capital ». Vigni risponde che «in ordine all'assorbimento delle perdite Jp Morgan ha acquistato le proprietà delle azioni senza ricevere alcuna protezione esplicita o implicita dalla Banca». Affermazioni «non rispondenti al vero» secondo i pubblici ministeri che contestano al direttore generale di aver mentito «anche sulla flessibilità dei pagamenti riconosciuti alla stessa Jp Morgan». E di aver provocato un'ulteriore, gravissima perdita finanziaria a Mps.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

28 gennaio 2013 | 10:06© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_28/patto-santander-jpmprgan_382e3800-6914-11e2-a947-c004c7484908.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il supertestimone Rizzo e le somme versate a Lugano
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2013, 11:22:08 pm
La «banda del 5 per cento» di Mps

In Procura i nastri sugli accordi

Il supertestimone Rizzo e le somme versate a Lugano

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

SIENA - Le conversazioni che proverebbero l'esistenza di una «banda del 5 per cento» all'interno del Monte dei Paschi di Siena, sono state registrate. I nastri sono nelle mani di Antonio Rizzo, il funzionario della Dresdner Bank che per primo ha accusato l'ex direttore dell'area finanza Gianluca Baldassari e il responsabile delle filiali di Londra Matteo Pontone di aver preso una «stecca» su tutti gli affari gestiti da Mps. «L'ho fatto per tutelarmi quando ho capito quale fosse la situazione - conferma - e a questo punto sono disponibile a consegnare i nastri ai magistrati di Siena». La sua convocazione è prevista per questa mattina. Già oggi gli inquirenti potrebbero dunque avere a disposizione nuovi elementi per dimostrare come il vecchio management abbia lucrato sulle operazioni finanziarie, compresa quella di Antonveneta.

Oggi è il giorno dell'ex presidente Giuseppe Mussari, che sarà interrogato dai pubblici ministeri Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso. «Parlerò» aveva annunciato nei giorni scorsi, ma non è escluso che alla fine decida di avvalersi della facoltà di non rispondere almeno fino a che l'accusa non avrà scoperto ulteriori carte. Tra le contestazioni ai responsabili della passata gestione ci sono l'associazione per delinquere, l'aggiotaggio, le false comunicazioni, la turbativa e la truffa. Tra due giorni toccherà all'ex direttore generale Antonio Vigni, anche lui indagato per gli stessi reati.

Dettagli inediti su quanto accaduto all'interno della banca senese a partire dall'estate 2007 potrebbero essere forniti proprio da Rizzo. I colloqui sono stati registrati in quello stesso anno e riguardano operazioni su pacchetti titoli Mps. Rizzo ne aveva parlato con i magistrati milanesi che l'avevano interrogato il 13 ottobre 2008 come testimone.
«A novembre 2007 - si legge nel verbale - si è svolto un incontro tra me, il mio superiore Antonio Cutolo e il responsabile londinese Massimiliano Pero durante il quale quest'ultimo caldeggiava l'operazione di riacquisto di un pacchetto titoli strutturato da Mps Londra. Nell'occasione si venne a sapere che Dresdner avrebbe pagato una somma a titolo di intermediazione a tale Lutifin di Lugano». Rizzo evidenzia il parere contrario di Cutolo che però non venne tenuto in conto visto che un mese dopo arrivò invece il via libera all'operazione. Per questo lo stesso Rizzo nel marzo successivo effettuò una segnalazione interna che diede il via a un audit.

Aggiunge il funzionario a verbale: «Il 12 marzo 2008 sono andato a cena con il responsabile della vendita di prodotti finanziari Michele Cortese e lui mi ha detto che a suo avviso, ma il fatto sembrava notorio, Pontone e Baldassarri avevano percepito una commissione indebita tramite Lutifin. Mi disse che i due erano conosciuti come la banda del 5 per cento perché su ogni operazione prendevano tale percentuale».
Conversazioni registrate e Rizzo sostiene di poter fornire anche l'elenco dei nomi di altri funzionari che sarebbero stati a conoscenza del «sovraprezzo» applicato dai manager di Mps. Gli stessi che trattarono con gli spagnoli del Santander l'acquisto di Antonveneta accettando un costo di 9 miliardi e trecento milioni di euro, oltre a un miliardo di oneri. E che poi si servirono del Fresh con Jp Morgan e degli investimenti sui «derivati» per cercare di ripianare una situazione debitoria che era ormai diventata insostenibile.

La conseguenza di una gestione spericolata che, dicono i magistrati senesi, aveva fatto guadagnare molti soldi ai vertici di Mps.

Fiorenza Sarzanini

4 febbraio 2013 | 16:21
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_febbraio_04/la-banda-del-5-per-cento-mps-in-procura-i-nastri-sugli-accordi_69426bd4-6e99-11e2-87c0-8aef4246cdc1.shtml


Titolo: Re: Fiorenza SARZANINI. L'inchiesta Mps si allarga, la pista Verdini
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2013, 03:58:13 pm
LO SCANDALO DEI DERIVATI

L'inchiesta Mps si allarga, la pista Verdini

La Procura di Firenze sente Amato e Monaci

Vertice con i magistrati di Siena

Dal nostro inviato  FIORENZA SARZANINI


SIENA - L'indagine della magistratura di Siena adesso coinvolge anche la politica. E punta ad accertare i rapporti tra banchieri e rappresentanti dei partiti che a livello locale e nazionale possano aver influito sulle scelte dei vertici del Monte dei Paschi. Le verifiche sull'acquisizione del 2007 di Antonveneta dagli spagnoli del Santander si snodano sul doppio binario: da una parte le manovre finanziarie per rastrellare i soldi necessari a chiudere l'affare, dall'altra i contatti con chi poteva aver interesse - anche personale - al buon esito. L'attenzione si concentra sui comportamenti dei consiglieri di amministrazione, in particolare sul ruolo di Andrea Pisaneschi che rappresentava il Pdl e fu poi nominato presidente dell'Istituto di credito appena acquistato. Ma anche su quanto accaduto all'interno del Pd, con i dissensi che portarono alle dimissioni l'ex sindaco Franco Ceccuzzi.

Soldi e potere, questo è l'intreccio che si cerca di dipanare per capire chi diede il via libera a quell'operazione che si rivelò disastrosa per le casse di Mps con il versamento di 9 miliardi e 300 milioni di euro, oltre a 10 milioni di euro di oneri. E che avrebbe invece portato evidenti vantaggi economici ad alcuni manager di vertice. La giornata è scandita da interrogatori, nuove acquisizioni di documenti, esame delle carte sequestrate negli ultimi giorni. Ma la novità è la missione a Firenze del pubblico ministero Natalino Nastasi per incontrare i colleghi che indagano sul Credito Cooperativo di Denis Verdini e sugli incarichi di consulenza ottenuti proprio da Pisaneschi, per questo indagato per l'emissione di fatture false. Agli atti di quell'inchiesta ci sono le intercettazioni delle telefonate del 2010 di Verdini che chiede all'allora presidente Giuseppe Mussari finanziamenti per il suo socio, l'imprenditore Riccardo Fusi.

Un pool di istituti di credito gli ha concesso un prestito da 150 milioni di euro, Mps ne ha messi 60, ma Verdini insiste perché la banca senese ne aggiunga altri 10. Sollecita più volte Mussari che alla fine nega però l'ulteriore stanziamento. Nastasi acquisisce la documentazione, poi interroga insieme ai magistrati fiorentini il senatore Paolo Amato, eletto con il Pdl e poi andato via proprio in polemica con il coordinatore. Obiettivo: conoscere i rapporti tra il partito e Mps. Subito dopo viene ascoltato come testimone il presidente del Consiglio regionale della Toscana Alberto Monaci, esponente senese del Pd, ex Margherita, accusato da Ceccuzzi di aver guidato la fronda contro di lui. Suo fratello Alfredo è stato nel cda della banca. Al termine dichiara: «L'ex direttore generale Antonio Vigni è un ottimo analista e quindi lui era in condizione di vedere le cose. Evidentemente non avrá avuto sufficiente tenuta di carattere per dire no a Mussari. Per quanto riguarda il vertice, l'accordo politico prevedeva che Leonello Mancini facesse il presidente della banca e Mussari della fondazione, ma su questo io non diedi il gradimento».

A Siena i pubblici ministeri Giuseppe Grosso e Aldo Natalini intanto sentono per oltre due ore la versione di Raffaele Ricci che, prima per Dresdner e poi per Nomura, gestì il «derivato» Alexandria. Secondo l'accusa quell'investimento - inizialmente nascosto al mercato e agli organi di vigilanza - fu pianificato per cercare di ripianare i conti e ritiene indispensabile ricostruire la sua storia. Anche perché gli specialisti che se ne sono occupati farebbero parte di quella «banda del 5%» che per i magistrati aveva al vertice Gianluca Baldassarri, capo dell'Area Finanza, adesso indagato per associazione a delinquere truffa, appropriazione indebita, turbativa del mercato, insieme al suo vice Alessandro Toccafondi e ad altri funzionari della struttura. Ma anche ai broker della società Enigma che avrebbero gestito alcune operazioni finanziarie per loro conto e ieri - dopo il blocco dei 40 milioni di euro - hanno subito un nuovo sequestro di tre milioni di euro per evasione fiscale da parte della Procura di Milano.

Gli inquirenti stanno verificando se le percentuali illecite siano state percepite sin dal 2003, quando direttore generale di Mps era ancora Vincenzo De Bustis. Non a caso tra i documenti acquisiti nelle ultime ore dagli specialisti del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo ci sono i documenti relativi alle operazioni gestite negli ultimi dieci anni e sulle quali potrebbero aver gravato «plusvalenze» proprio come accaduto per Antonveneta.

9 febbraio 2013 | 9:07

da - http://www.corriere.it/economia/13_febbraio_09/inchiesta-mps-pista-verdini-sarzanini_6a3dbbf6-7281-11e2-bdf7-bdbb424637ab.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Indagato l'ex vice capo dei servizi La Motta
Inserito da: Admin - Maggio 11, 2013, 05:32:46 pm
COINVOLTO anche nelle indagini sulla P4

Fondi del Viminale nascosti in Svizzera

Indagato l'ex vice capo dei servizi La Motta

Sottratti 10 milioni, erano destinati agli edifici di culto


ROMA - Dieci milioni di euro sottratti dalle casse del Viminale. Soldi del Fec, il Fondo per gli edifici del culto, che sarebbero stati investiti in una finanziaria svizzera e poi spariti. Dopo le indagini sull'Ufficio Logistico e gli appalti assegnati soltanto alle ditte «amiche», c'è una nuova inchiesta sulla gestione del denaro gestito dal ministero dell'Interno che rischia di avere sviluppi clamorosi. Perché coinvolge il prefetto Francesco La Motta, fino a qualche mese fa vicedirettore vicario dell'Aise, il servizio segreto civile. L'alto funzionario è in pensione, ma continua ad avere un incarico di consulenza con la struttura di intelligence e nei giorni scorsi i carabinieri del Ros hanno perquisito la sua abitazione e il suo ufficio all'interno della sede centrale in via Lanza. Le accuse contestate dal pubblico ministero Paolo Ielo sono corruzione e peculato.

Il nome di La Motta emerge qualche mese fa in un'indagine per riciclaggio aperta dalla Procura di Napoli sul clan Polverino. Ascoltando alcune conversazioni tra gli affiliati, i magistrati scoprono legami tra il prefetto e alcuni uomini legati ai boss. Ma soprattutto afferrano la traccia che porta ai soldi che avrebbe sottratto dalle casse dello Stato. Gli contestano l'aggravante di aver favorito i camorristi, poi decidono di trasmettere per competenza una parte del fascicolo ai colleghi della Capitale.

La Motta è stato direttore centrale del Fec dal 2003 al 2006, poi è passato ai servizi segreti. Secondo quanto risulta dal sito del ministero, obiettivo del Fondo è quello di «assicurare la tutela e la valorizzazione, la conservazione e il restauro dei beni di proprietà, costituiti per la maggior parte da edifici sacri (oltre settecentocinquanta) spesso di grande interesse storico-artistico, ma anche dalle opere d'arte e dagli arredi in essi custoditi, da immobili produttivi di rendite, da aree boschive e da un fondo librario antico». Una missione che il prefetto non deve aver rispettato, se è vero che tutti i soldi che avrebbe dovuto gestire sono stati trasferiti in Svizzera. E qui c'è la prima stranezza. Secondo le verifiche effettuate dagli investigatori dell'Arma, al ministero erano stati informati di questa scelta di trasferire una parte del denaro all'estero. Come è possibile che sia stato autorizzato? E soprattutto da chi?

La richiesta di rogatoria è già stata presentata alle autorità elvetiche e la relazione attesa nei prossimi giorni potrebbe già fornire alcune risposte. Il resto potrebbe emergere dai documenti sequestrati a casa e nell'ufficio di La Motta, ma anche dall'esposto che gli stessi responsabili degli uffici ministeriali avevano presentato qualche mese fa. Nella denuncia si parla della sparizione dei fondi a disposizione del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione. La «perdita» viene quantificata in dieci milioni di euro e si sollecitano verifiche sul percorso fatto dal denaro dal 2005 a oggi. Anche tenendo conto degli incarichi di altissimo livello ricoperti da La Motta negli ultimi anni. Dopo aver lasciato il Viminale, nel 2006 il prefetto è infatti diventato vicecapo vicario al Sisde e ha mantenuto lo stesso incarico dopo la riforma dei servizi segreti. È «gentiluomo di Sua Santità». Il suo nome era già comparso nelle indagini napoletane sulla cosiddetta P4 per alcuni contatti con Luigi Bisignani durante i quali il prefetto usava lo pseudonimo di «Imperia».

La contestazione di corruzione si riferisce invece ad alcuni vantaggi personali, anche economici, che La Motta avrebbe ottenuto durante la gestione degli edifici di culto. Ma la decisione di sottoporlo a perquisizione mira a scoprire se possa aver compiuto illeciti anche durante la sua permanenza al vertice dell' intelligence .

Fiorenza Sarzanini

11 maggio 2013 | 8:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_11/prefetto-soldi-viminale-svizzera_db5ffa8e-ba01-11e2-b7cc-15817aa8a464.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Nuova strategia di Berlusconi al processo Tarantini
Inserito da: Admin - Maggio 16, 2013, 11:10:10 am
Il retroscena

Parlare con i pm, la nuova strategia di Berlusconi al processo Tarantini

Le inchieste di Roma e Bari


ROMA - Dopo Roma, Bari. Dopo mesi di muro contro muro con i pubblici ministeri, adesso Silvio Berlusconi sembra aver cambiato strategia processuale. Quantomeno per quanto riguarda le indagini in corso. E allora decide di presentarsi davanti ai pubblici ministeri per essere interrogato. Lo ha fatto due giorni fa, parte lesa nell'inchiesta per estorsione contro Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola. Lo farà probabilmente la prossima settimana, quando arriverà davanti ai magistrati pugliesi che invece accusano lui e Lavitola di aver indotto Tarantini a mentire nel processo per le escort e quindi a negare che lo stesso Berlusconi sapesse che le ragazze prendevano soldi in cambio della propria partecipazione a feste e vacanze. Se lo avesse invece confermato, il Cavaliere sarebbe infatti finito sotto inchiesta per sfruttamento della prostituzione. L'accordo con i pubblici ministeri pugliesi su data e luogo dell'incontro sarebbe già stato concluso.

Le due Procure indagano sugli stessi fatti: i soldi versati a Tarantini. Oltre un milione di euro consegnati tra il 2010 e il 2011, vale a dire un anno dopo le clamorose rivelazioni di Patrizia D'Addario che per prima svelò l'abitudine di pagare le donne per farle partecipare alle feste dell'allora presidente del Consiglio. I magistrati di Roma avrebbero già deciso di chiudere il fascicolo e sollecitarne l'archiviazione. Quelli di Bari sembrano invece intenzionati ad arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio di Berlusconi e Lavitola e potrebbero farlo entro la fine della prossima settimana. E proprio in questo quadro si inserirebbe il cambio di rotta della difesa, l'estremo tentativo di svicolare da quelle inchieste che per lui sono più imbarazzanti perché riguardano quanto accadeva nelle sue residenze. Non sarà facile.
«Ho dato soldi a un amico in difficoltà, non c'era alcun ricatto e dunque non avevo necessità di pagare il silenzio di Tarantini» ha sostenuto Berlusconi davanti ai magistrati capitolini e inevitabilmente ripeterà a quelli pugliesi. La stessa linea già tenuta da Lavitola, pur senza essere apparso convincente. Anche perché era stato proprio lui, nelle conversazioni telefoniche intercettate, a cercare di convincere Tarantini sulla necessità di «tenere in scacco Berlusconi per farci pagare».

L'inchiesta sulle escort è ormai entrata nella fase conclusiva. Proprio ieri, all'udienza preliminare i legali di Tarantini e di Sabina Began (per entrambi il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per l'induzione alla prostituzione) hanno chiesto per i loro assistiti il «non luogo a procedere». Nicola Quaranta, difensore dell'imprenditore, si è limitato alla richiesta formale, mentre l'avvocato Fabrizio Siggia ha confermato come «la Began avesse indubbiamente un rapporto preferenziale con Berlusconi e sarebbe stato controproducente dal suo punto di vista distrarlo dalle attenzioni nei suoi confronti presentandogli altre belle donne».

Il nuovo atteggiamento difensivo di Berlusconi sembra orientato a non aggravare ulteriormente questo quadro, cercando di liberarsi di quelle indagini tuttora in corso. E l'unica strada percorribile sembra quella di aprire una linea di dialogo con i pubblici ministeri. Del resto la necessità di abbassare i toni in materia di giustizia ed evitare lo scontro con la magistratura era una delle condizioni che sarebbero state poste dal professor Franco Coppi per accettare di assistere il Cavaliere davanti ai giudici della Corte di cassazione nel processo per le frequenze televisive dove è stato condannato a quattro anni in appello. Chissà se dopo quanto è accaduto sabato a Brescia durante la manifestazione del Pdl, l'avvocato sarà ancora disponibile.

Fiorenza Sarzanini

16 maggio 2013 | 7:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_16/berlusconi-giustizia-tarantini-nuova-strategia-escort-sarzanini_395c719a-bde9-11e2-9b45-0f0bf9d2f77b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Detenuti a casa sei mesi prima
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2013, 05:14:27 pm
CELLE AFFOLLATE, LE MISURE

Detenuti a casa sei mesi prima

Piano per 10 mila posti nelle carceri

La strategia di Cancellieri: progetto per Pianosa, raddoppia Gorgona. Per i piccoli reati obbligatorie le misure alternative


ROMA - Un decreto legge per limitare gli ingressi in carcere e favorire le uscite di chi sta scontando l'ultima parte della pena. Apertura di nuove strutture per poter contare su 4.000 posti entro la fine dell'anno. Il piano carceri messo a punto dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri entra nella fase operativa per fronteggiare una situazione drammatica che con l'arrivo del caldo può soltanto peggiorare. E mira a recuperare in totale almeno 10.000 posti. Sono i dati forniti dalla stessa Guardasigilli durante la sua audizione al Senato e aggiornati al 15 maggio scorso, a dimostrarlo: quasi 65.891 detenuti, vale a dire circa 20 mila in più rispetto alla capienza, anche se l'associazione Antigone ne calcola almeno 30 mila. In particolare 24.697 sono in attesa di giudizio, 40.118 condannati e 1.176 internati. Un buon terzo (circa 23 mila) sono stranieri.

Il provvedimento del governo potrebbe alleggerire i penitenziari, ma non sarà sufficiente. Per questo si sta valutando anche la riapertura di alcune strutture ormai in disuso. E in cima alla lista è stata inserita Pianosa, che può ospitare 500 persone. Già la prossima settimana Cancellieri potrebbe incontrare il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per sondarne la disponibilità e per discutere il raddoppio della capienza di Gorgona. «Qui non si tratta di migliorare le condizioni - ha ripetuto due giorni fa il ministro durante la festa della polizia penitenziaria - ma di cambiare il sistema, riuscendo a dare piena concretezza al principio secondo cui la pena detentiva deve costituire l'extrema ratio. Il rimedio cui ricorrere quando si rivela impraticabile ogni altra sanzione. La reclusione potrebbe essere limitata ai reati più gravi, mentre per gli altri si dovrebbe fare più ampio ricorso alla detenzione domiciliare e al lavoro di pubblica utilità».

La popolazione carceraria dal 2006 a oggi - Clicca per vedere il graficoLa popolazione carceraria dal 2006 a oggi - Clicca per vedere il grafico

Il nuovo decreto «svuotacarceri». Sono proprio queste le linee guida del provvedimento che sarà portato in consiglio dei ministri entro la fine del mese. L'obiettivo è evitare il meccanismo delle cosiddette «porte girevoli» con i detenuti che entrano ed escono e, dicono gli esperti, determinano una presenza media in cella di 20 mila persone per soli tre giorni. Il decreto riguarderà i reati minori, cioè quelli che non destano allarme sociale. E si muoverà sul doppio binario.
Per quanto riguarda gli ingressi, si renderà obbligatorio il ricorso alle misure alternative: detenzione domiciliare oppure affidamento in prova, a seconda dei casi. Per chi invece attende di uscire la scelta è portare da 12 a 18 mesi il residuo pena che i condannati in via definitiva potranno scontare a casa. Calcoli esatti non sono stati ancora completati, ma i tecnici di via Arenula stimano che nei primi mesi saranno migliaia i posti che potranno essere resi disponibili grazie a questo meccanismo. Il resto dovrà arrivare con misure specifiche che sono allo studio di due commissioni appena costituite. Una, guidata dal professor Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l'Università di Firenze, dovrà mettere a punto le modifiche alla legge in tema di depenalizzazione. L'altra, affidata a Glauco Giostra, componente laico del Csm, si concentrerà invece sulle misure alternative.

Nuove strutture e padiglioni. Tra due settimane sarà inaugurato il nuovo carcere di Reggio Calabria che potrà ospitare fino a 318 detenuti. A metà luglio sarà invece la volta di Sassari con una struttura da 465 posti. Entro la fine dell'anno si interverrà poi in altre città: Biella con 200 posti, Pavia con 300, Ariano Irpino con altri 300 e Piacenza con 200. Nei giorni scorsi era stato il capo dello Stato Giorgio Napolitano a ribadire la necessità di arrivare a un «comune riconoscimento obiettivo della gravità ed estrema urgenza della questione carceraria, che rientra tra le priorità di azione del nuovo governo. Si richiedono ora decisioni non più procrastinabili per il superamento di una realtà degradante per i detenuti e per la stessa Polizia Penitenziaria». Il piano messo a punto dall'Italia nella risposta alle sollecitazioni dell'Europa, prevede che entro il 2015 si trovino almeno 12mila nuovi posti per i reclusi, ma anche questo non può bastare.

Il 24 giugno in Parlamento comincerà la discussione sul provvedimento firmato dall'ex ministro Paola Severino la discussione sulle misure alternative al carcere e la messa alla prova - che sospende il processo per chi rischia condanne inferiori ai quattro anni e opta per un percorso di rieducazione - ma la Lega ha già ufficializzato il suo ostruzionismo di fronte a quello che definisce «un indulto mascherato» e dunque appare difficile che l'approvazione definitiva possa arrivare in tempi brevi.

Pianosa e le colonie sarde. Ecco perché al ministero della Giustizia hanno deciso di intervenire con un decreto che consenta di «regolare» subito entrate e uscite dalle carceri, ma hanno già avviato le istruttoria per rimettere in funzione strutture che finora erano rimaste inutilizzate. Su Pianosa ci sono svariati nodi da sciogliere, tenuto conto che il Sappe, il maggior sindacato di polizia penitenziaria, ha già espresso la propria contrarietà, eppure il progetto appare già in fase avanzata. Del resto la struttura è in buone condizioni, quindi potrebbe essere resa agibile senza spese eccessive. Interventi sono stati programmati anche per Gorgona, che già ospita detenuti-lavoratori.

Quello di incentivare le possibilità di lavoro per chi si trova dietro le sbarre è uno dei punti chiave per Cancellieri che ha chiesto ai suoi uffici di valutare anche la possibilità di utilizzare le colonie che si trovano in Sardegna. Il problema riguarda però gli stanziamenti, visto che già adesso in molti penitenziari sono stati sospesi i programmi di impiego perché non ci sono i fondi sufficienti.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

10 giugno 2013 | 9:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_10/carceri-piano-anti-affollamento-sarzanini_0fe9c892-d191-11e2-810b-ca5258e522ba.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. DOPO IL «NO» DELLA CONSULTA AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO...
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2013, 05:20:53 pm
DOPO IL «NO» DELLA CONSULTA AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Mediaset, la parola sul futuro di Berlusconi adesso passa ai giudici della Cassazione

La Consulta chiude lo spiraglio che avrebbe potuto portare il Cavaliere alla prescrizione.

La condanna in Appello: 4 anni di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni


La parola passa adesso alla Corte di Cassazione, ma di fronte a quei giudici Silvio Berlusconi non potrà giocare la carta del legittimo impedimento. La Consulta chiude la strada a un motivo di nullità che si basi su un errore o peggio sull’intromissione abusiva dei giudici nella sua attività di presidente del Consiglio durante il processo per diritti tv Mediaset. L’8 maggio scorso, in appello, Berlusconi è stato condannato a 4 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Se la Consulta avesse lasciato aperto uno spiraglio in motivazione, il Cavaliere poteva sperare in un nuovo processo e quindi di arrivare alla prescrizione che scadrà nel luglio 2014, esattamente fra un anno. Adesso si avvicina invece il pronunciamento dei supremi giudici, previsto per novembre prossimo. E la parola definitiva sul destino giudiziario di Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini

19 giugno 2013 | 19:20© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_giugno_19/conseguenze-%20no-legittimo-impedimento-berlusconi-sarzanini_703fe568-d903-11e2-8ffc-5f2d0b7e19c1.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I conti segreti del Vaticano «Soldi nascosti in Svizzera»
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2013, 04:40:40 pm
L'inchiesta su Scarano

I conti segreti del Vaticano «Soldi nascosti in Svizzera»

L'inchiesta dopo l'arresto di monsignor Nunzio Scarano


ROMA - Conti segreti aperti presso la banca Ubs di Lugano e utilizzati per occultare denaro proveniente dalla Santa Sede. Depositi gestiti da monsignor Nunzio Scarano, ma intestati all'Apsa, l'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica. È il capitolo ancora riservato, certamente clamoroso, dell'inchiesta avviata dai magistrati romani sulle attività finanziarie dell'alto prelato arrestato due giorni fa per corruzione e truffa insieme al funzionario dei servizi segreti Giovanni Maria Zito e al broker Giovanni Carenzio e accusato di aver versato una tangente da 400 mila euro allo 007 per fargli riportare in Italia dalla Svizzera 20 milioni di euro. Perché riguarda uno dei centri di snodo dell'economia vaticana e si collega direttamente allo Ior.

L'indagine condotta dai pubblici ministeri Stefano Pesci e Stefano Rocco Fava coordinati dall'aggiunto Nello Rossi ha già svelato quanto stretti fossero i rapporti del sacerdote con i vertici dell'Istituto per le Opere Religiose. Adesso si concentra sul denaro da lui movimentato negli ultimi anni. Anche perché nelle telefonate intercettate è lo stesso Scarano a parlare di un'operazione effettuata su un conto Ior grazie al suo amico 007. Su questo potrebbe rivelarsi determinante la testimonianza di una donna - già interrogata dai magistrati di Salerno titolari di un fascicolo su numerosi affari gestiti dal monsignore - che sarebbe stata incaricata di effettuare alcune operazioni sui conti, compilando assegni che Scarano le aveva consegnato e inserendo anche l'identità dei traenti.

«Rilevante giacenza»
I finanzieri del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno scoperto che Scarano è socio di alcune imprese immobiliari salernitane, ma soprattutto che ha chiesto finanziamenti a svariati istituti di credito poi estinti, utilizzando i soldi provenienti dalla beneficenza. Sui suoi conti sono transitate centinaia di migliaia di euro e le verifiche riguardano proprio la provenienza di questo denaro, tenendo conto che fino a un mese fa il prelato era il contabile dell'Apsa. Possibile che abbia spostato fondi dell'Amministrazione sui propri conti?
Telefonate e mail intercettate negli ultimi mesi mostrano i contatti costanti di Scarano con i responsabili dell'Ubs di Lugano. In quella banca risultano depositati i 40 milioni di euro - secondo l'accusa sono degli armatori Paolo, Marcello e Cesare D'Amico - che il prelato doveva far rientrare in Italia. In un colloquio con Marcello, Scarano gli comunica di aver «chiamato in Svizzera, ed ho dato il password per lo sblocco. Ho fatto quello internazionale, che noi siamo clienti per 800 di franchi svizzeri e 1.400 di euro, hai capito?». I finanzieri hanno scoperto che presso la stessa filiale è stato aperto un altro conto intestato all'Apsa dove risulta una «rilevante giacenza». Il sospetto possa essere stato utilizzato proprio dal prelato e alimentato con denaro di provenienza illecita.

Lo 007 allo Ior
La possibilità di mescolare fondi in modo da rendere difficile l'individuazione dei beneficiari era stata evidenziata nell'ultimo rapporto sull'Apsa stilato nel luglio 2012 da Moneyval svelando come i conti aperti presso l'Amministrazione «sono intestati a prelati e laici e potrebbero essere alimentati occultamente con provviste di proprietà di soggetti diversi». In particolare veniva sottolineata «l'esistenza dei cosiddetti depositi "calderone" ove si potrebbero confondere somme di origine e destinazione diversa». Esattamente la modalità utilizzata da Scarano nel 2009 per estinguere un mutuo da 600mila euro che aveva acceso presso la filiale Unicredit di via della Conciliazione. In quell'occasione il prelato aveva utilizzato 61 assegni circolari intestati a parenti e amici emessi da 17 banche diverse.
Secondo gli specialisti del Valutario «lo scopo è da individuarsi nella sua volontà di non apparire formalmente quale effettivo detentore dei mezzi finanziari per l'estinzione del mutuo ipotecario e nascondere la sua reale e florido patrimonio, ed occultare le sue consistenze ingenti ed oscure presso lo Ior». Agli atti ci sono tracce di numerose operazioni che coinvolgono direttamente l'Istituto ed è lo stesso Scarano ad ammettere di utilizzare i depositi per trasferire soldi in maniera veloce e soprattutto esente da controlli. Al telefono con Marcello D'Amico, Scarano parla in particolare di un'operazione fatta allo Ior proprio «grazie a Zito» e poi gli chiede soldi per acquistare alcuni gioielli da regalare allo 007. La «ricompensa per l'intervento di Zito» sulle autorità spagnole che avevano avviato accertamenti su investimenti effettuati da Paolo D'Amico attraverso il broker Carenzio. L'ennesima prova, secondo l'accusa, di affari illeciti chiusi in Italia e all'estero.

Fiorenza Sarzanini

30 giugno 2013 | 9:50© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_30/i-conti-segreti-del-vaticano-soldi-nascosti-in-svizzera-fiorenza-sarzanini_ab0bfd7e-e13e-11e2-a879-533dfc673450.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le intercettazioni "SANTE".
Inserito da: Admin - Luglio 02, 2013, 04:40:40 pm
Le intercettazioni

Scarano: case e conti all'estero «Così il prelato usava lo Ior»

Il retroscena dal clamoroso arresto del monsignore che il Vaticano aveva rimosso un mese fa dai vertici della banca



ROMA - Possiede case, box per auto, partecipazioni societarie. Ma monsignor Nunzio Scarano ha soprattutto accesso a svariati conti correnti aperti presso lo Ior e altre banche. Muove centinaia di migliaia di euro attraverso operazioni immobiliari e finanziarie, gestisce i fondi provenienti dalla beneficenza facendoli confluire nelle proprie disponibilità. E adesso è in questa girandola di entrate e uscite «fuori bilancio» che si stanno districando gli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di Finanza guidati dal generale Giuseppe Bottillo. Perché altri filoni di inchiesta potrebbero aprirsi, svelando episodi di riciclaggio. E facendo emergere le figure di alcuni religiosi che avrebbero percepito denaro proprio attraverso i flussi gestiti da Scarano, come quel «fra Elia» che viene nominato spesso nelle conversazioni tra gli indagati intercettate negli ultimi mesi.

Con i soldi l'alto prelato ha sempre mostrato dimestichezza, pagava generalmente con banconote di grosso taglio, tanto da essere soprannominato «mister 500». Sono proprio i colloqui captati dagli investigatori a mostrare quanto stretto fosse il suo legame con il vicepresidente dello Ior Massimo Tulli e i contatti frequenti con il direttore Paolo Cipriani, indagato in un altro capitolo dell'inchiesta sulla gestione dell'Istituto per le Opere Religiose. Proprio con loro discute spesso del trasferimento di soldi.
La notizia dell' arresto di monsignor Scarano sul sito dell'IndependentLa notizia dell' arresto di monsignor Scarano sul sito dell'Independent

«Te li faccio partire dal Vaticano». Quando si tratta di far rientrare dalla Svizzera una parte del patrimonio che secondo l'accusa è riconducibile agli armatori napoletani Paolo, Maurizio e Cesare D'Amico (anche loro coinvolti nell'inchiesta), il monsignore si attiva immediatamente. Scrive il giudice: «Scarano intrattiene frequenti e stretti rapporti con i D'Amico e dalle conversazioni sembra desumersi la cointestazione di un conto corrente con Cesare. È lui a garantire le operazioni finanziarie come "sicure" grazie ai suoi rapporti con lo Ior.

Particolarmente significativa appare la conversazione del 17 maggio 2012 con Giovanni Carenzio nella quale Scarano descrive lo Ior come l'unico strumento sicuro e rapido per effettuare operazioni finanziarie e bancarie in elusione - quando non in violazione - della normativa antiriciclaggio e fiscale».
Annotano i finanzieri: «Carenzio dice di aver avuto un aiuto economico ma non è sicuro di riuscire ad avere subito tale cifra e chiede a Scarano se gli può anticipare il denaro. Scarano dice che domattina gli farà un bonifico di 20, 30 mila euro».
Scarano: Stasera mi mandi le coordinate, l'Iban. Ti faccio il swift. Sarà intorno ai 20-30, una cosa del genere perché riguarda la mia firma
Carenzio: Scusami, ma da dove?
Scarano: Te li faccio partire dal Vaticano, perché è l'unico modo celere che ho. Faccio la firma, dal direttore generale, mi porta questa persona che gentilmente si presta, e basta.

I 61 assegni circolari. Fino al 1983 Scarano è dipendente della Banca d'America d'Italia e tre anni dopo decide di prendere i voti. Ogni mese riceve un bonifico da 20 mila euro da Cesare D'Amico con la causale «beneficenza», che finisce sui suoi conti personali. La procedura è «anomala», adesso si sta cercando di scoprire la vera ragione di queste elargizioni fisse. È titolare di svariati depositi presso lo Ior e ha un conto presso la filiale Unicredit di via della Conciliazione con un saldo che al 2 settembre 2011 ammonta a circa 456 mila euro. Non solo. Scarano possiede «un cospicuo patrimonio immobiliare» e per acquisirlo ha impiegato molti soldi: un milione e 155 mila euro soltanto nel periodo che va da novembre 2009 a marzo 2010.

I sospetti dei pubblici ministeri si concentrano in particolare su due operazioni di mutuo da 600 mila euro l'una, effettuate sul conto Unicredit e su un altro deposito aperto presso una filiale Mps. Nel dicembre 2009 il monsignore decide infatti di estinguere il primo contratto e lo fa con 61 assegni circolari di importi che oscillano tra i 2.000 e i 20.000 euro emessi da 17 banche diverse. Sono tutti intestati ad amici e parenti e hanno come causale una «donazione».

Da dove provengono realmente? Secondo una testimone interrogata nella parallela inchiesta avviata a Salerno sarebbe stato proprio il monsignore a incaricarla di compilare quegli assegni fornendole la lista degli intestatari. «Mi disse - aggiunge la donna - che i soldi arrivavano dallo Ior».

E i milioni diventano «libri». Nel 2006 l'alto prelato acquista alcuni box auto a Salerno pagandoli con sei assegni da 10 mila euro l'uno emessi dal conto Unicredit e addebitati allo Ior. Poi c'è un deposito presso la banca del Fucino, un'altra movimentazione che porta a Francoforte. E le società «Prima Luce srl» e «Effegi Gnm srl» finanziate con almeno 500 mila euro. Su tutto questo si sta cercando di fare luce, anche se la documentazione relativa allo Ior continua a risultare inaccessibile.

Le intercettazioni telefoniche dimostrano i trucchi che il monsignore utilizzava per eludere i controlli quando parlava di soldi. Generalmente i milioni erano «i libri della Treccani». Il 15 luglio 2012, alla vigilia del trasferimento dei venti milioni dalla Svizzera all'Italia affidato allo 007 Giovanni Maria Zito, lo contatta per gli ultimi dettagli.
Scarano: Io credo che più libri porti e meglio è
Zito: Se riesco raddoppio
Scarano: Riesci a portare 20/25 libri?
Zito: Quelli sicuri
Scarano: Già quello è un buon traguardo, hai capito? Perché ci consente di fare un sacco di cose per noi
Zito: Quello mi ha chiesto di portarne il doppio, 40!

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

29 giugno 2013 | 10:37© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_giugno_29/ior-intercettazioni-sarzanini-2221909503014.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Finiscono sotto inchiesta altre 13 operazioni fatte sui...
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2013, 12:00:15 am
Le indagini

Finiscono sotto inchiesta altre 13 operazioni fatte sui conti dell'Istituto opere religiose

Il mistero dei soldi provenienti da Montecarlo: Cipriani e Tulli rischiano il processo, Gotti Tedeschi verso l'archiviazione


ROMA - Operazioni sospette per oltre un milione di euro effettuate su conti Ior aperti presso altre banche. Almeno tredici trasferimenti di denaro dei quali non si conosce l'origine e soprattutto il reale destinatario e la causale. Esattamente come accaduto per i 23 milioni di euro che si cercò di spostare nel 2010 dal Credito Artigiano a Jp Morgan. Su questo si concentrano le verifiche della procura di Roma che contesta il reato di riciclaggio al direttore generale Paolo Cipriani e del suo vice Massimo Tulli, entrambi dimissionari. Entro qualche giorno sarà notificato l'avviso della chiusura dell'indagine che prelude al rinvio a giudizio. Ma è soltanto il primo capitolo di un'inchiesta ben più ampia che continua su ulteriori illeciti che sarebbero stati compiuti negli ultimi tre anni dai vertici dell'Istituto per le Opere religiose.

Gli accertamenti, affidati ai pubblici ministeri Stefano Pesci e Stefano Rocco Fava e coordinati dall'aggiunto Nello Rossi, sono ormai conclusi. E consentono ai magistrati di sollecitare l'archiviazione nei confronti dell'ex presidente Ettore Gotti Tedeschi, indagato per lo stesso reato proprio in relazione al trasferimento di 23 milioni di euro. Il banchiere ha infatti dimostrato di non aver mai avuto alcuna delega ad operare sui depositi e anzi ha sempre sostenuto di essere stato tagliato fuori dall'operatività dell'Istituto di credito «per la mia volontà di cambiare le regole e rendere trasparente la procedura».
Una modalità evidentemente ignorata dalla direzione generale, come emerge anche dagli atti processuali dell'indagine che ha fatto finire in carcere monsignor Nunzio Scarano, accusato di aver tentato di far rientrare dalla Svizzera 20 milioni di euro di proprietà degli armatori D'Amico, che proprio oggi saranno interrogati in Procura. Sono le intercettazioni telefoniche allegate all'informativa degli investigatori del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo a dimostrare quanto stretti siano i suoi rapporti con Tulli.
Il 21 agosto 2012 l'alto prelato parla con l'amico Massimiliano Marcianò che deve effettuare un'operazione presso lo Ior e lo rassicura sulla disponibilità del vicedirettore. Annotano i finanzieri: «Scarano ha riferito al suo interlocutore di aver già preso accordi con Tulli e suggerisce a Marcianò di contattarlo personalmente: «Mettiti d'accordo con lui, lui aspetta la tua telefonata, io l'ho sentito qualche giorno fa, hai capito? Ha detto che tu lo chiami, ti metti d'accordo, e vai li te li fai dare» . Il sacerdote ha precisato, altresì, che era necessario contattare Tulli preventivamente: «L'importante è che tu lo chiami in mattinata così te li prepara» . In tale contesto le affermazioni di Scarano hanno lasciato ragionevolmente presupporre che l'operazione bancaria che Marcianò avrebbe dovuto perfezionare allo Ior era un prelevamento di denaro contante».

La dimostrazione, secondo gli inquirenti, che la dirigenza della banca vaticana avrebbe consentito accessi anche a persone esterne, soprattutto «laiche», e questo nonostante i divieti imposti. Un intero capitolo della relazione è dedicato alle attività di Scarano presso lo Ior, visto che il prelato mette i propri conti a disposizione dei suoi amici per il passaggio di denaro. E «giustifica formalmente tali accrediti come una sua rendita estera di natura personale, ponendosi quindi come un vero e proprio schermo interposto al reale beneficiario economico dell'operazione e interrompendo, in tal modo, la tracciabilità del denaro. E questo ha indotto a ritenere quanto meno sussistenti significativi dubbi circa l'origine e la liceità delle provviste estere».
Su tutte queste movimentazioni si continua a indagare, ma si cerca anche di scoprire l'origine del patrimonio di Scarano che gestiva numerosi conti Ior in Italia e all'estero aveva accesso ai depositi dell'Apsa, l'Amministrazione del patrimonio della sede apostolica, di cui è stato contabile fino a un mese fa. In una conversazione intercettata con l'armatore Cesare D'Amico «dalla quale si è potuto evincere che l'imprenditore aveva disposto da Montecarlo un pagamento di «primi venti» (presumibilmente 20mila euro) a favore del sacerdote preannunciando altri accrediti per l'inizio del mese prossimo».

Fiorenza Sarzanini

3 luglio 2013 | 8:57© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/13_luglio_03/finiscono-sotto-inchiesta-altre-tredici-operazioni-fatte-sui-conti-dell-istituto-fiorenza-sarzanini_11aaabae-e39a-11e2-a86e-c1d08ee83a64.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Quel fax della Farnesina che le negò l'immunità
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2013, 10:33:11 am
Il giallo?

Quel fax della Farnesina che le negò l'immunità

«Shalabayeva può rientrare in Italia»

L'irruzione nella villa di Casal Palocco chiesta dall'Interpol. Il capo della polizia non avvisato

13 luglio 2013 | 7:40

FIORENZA SARZANINI

ROMA - Il ministero degli Esteri fu informato che la signora Alma Shalabayeva stava per essere espulsa dall'Italia. La prova è in un fax inviato il pomeriggio del 29 maggio scorso dal Cerimoniale della Farnesina all'ufficio Immigrazione della questura di Roma che chiedeva conferma del fatto che la donna godesse dell'immunità diplomatica. Quanto basta per rendere ancora più fitto il mistero su che cosa sia davvero accaduto in quei giorni e fino al 31 maggio, quando lei e la figlia Alua di 6 anni furono rimpatriate con un aereo privato della compagnia austriaca Avcon Jet messo a disposizione dalle autorità diplomatiche a Roma e non, come generalmente avviene, con un velivolo di linea. E su quali pressioni siano state esercitate dalle autorità kazake su quelle italiane affinché tutto si svolgesse con la massima urgenza. Del resto Alma Shalabayeva è la moglie di Mukhtar Ablyazov, il dissidente che il 7 luglio 2011 ha ottenuto lo status di «rifugiato» dalle autorità della Gran Bretagna. Come è possibile che questo non risulti negli archivi della Farnesina? E perché, come emerge dai primi accertamenti svolti in questi giorni, la Direzione centrale della polizia Criminale non avrebbe informato il capo della polizia del blitz compiuto nella notte tra il 28 e il 29 maggio? Ruota fondamentalmente intorno a questi due interrogativi l'indagine affidata dal governo al prefetto Alessandro Pansa che al vertice della polizia è arrivato quando la signora era stata ormai rispedita in patria. Un accertamento rapido che dovrà verificare proprio quanto accaduto.

La catena di comando
È l'Interpol, il 28 maggio, a segnalare la presenza di Ablyazov in Italia e sollecitarne l'arresto per una serie di truffe. Il mandato di cattura internazionale firmato dalle autorità kazake e moscovite viene trasmesso alla squadra mobile di Roma con le indicazioni sulla villetta di Casal Palocco dove l'uomo si sarebbe nascosto. Il capo della mobile Renato Cortese concorda con il questore Fulvio Della Rocca di eseguire l'irruzione appena farà buio. Nella nota viene sottolineato che Ablyazov è «armato e pericoloso», dunque si decide di chiedere rinforzi alla Digos.
Il blitz si conclude con un nulla di fatto, visto che l'uomo non viene trovato. Sull'esito il questore Fulvio Della Rocca informa l'Interpol, che dipende direttamente dalla Dac guidata dal prefetto Matteo Chiusolo. Ma secondo la versione accreditata in queste ore, nessuno si preoccupa di avvisare il vertice della polizia e dunque il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Ed ecco l'altro punto oscuro che l'indagine di Pansa dovrà chiarire: come è possibile che l'Interpol abbia sollecitato la cattura dell'uomo senza verificare che si trattava di un rifugiato politico?

I due fax
Gli agenti della Mobile che fanno irruzione nella villetta non trovano Ablyazov, ma sua moglie Alma. E per la donna è l'inizio dell'incubo, come ha più volte sottolineato il suo avvocato Riccardo Olivo che da settimane si batte per farla tornare in Italia e così sottrarla alla possibile vendetta del regime kazako. La signora esibisce un passaporto rilasciato dalla Repubblica del Centroafricana con il suo nome da nubile Alma Ayan. Gli agenti ritengono che il documento possa essere contraffatto e la trasferiscono nel centro di accoglienza di Ponte Galeria. È lì che la signora spiega di godere dell'immunità diplomatica. La mattina del 29 maggio il dirigente dell'ufficio Immigrazione Maurizio Improta chiede conferma al Cerimoniale della Farnesina, come prevede la prassi. La risposta arriva poche ore dopo. Il fax è firmato dall'addetto Daniele Sfregola. Attesta che la signora non gode di alcuna immunità. Precisa che era stata candidata dall'ambasciata del Burundi a diventare console onorario per le regioni del sud Italia, ma che quella candidatura era stata successivamente ritirata. Il ministero degli Esteri ha dunque svolto ricerche sul nominativo. Possibile non abbiano scoperto la circostanza più importante, cioè che si trattava della moglie di un rifugiato politico?

L'iscrizione a scuola
Eppure la presenza della donna in Italia ha certamente lasciato tracce, come risulta dal ricorso presentato dall'avvocato Olivo contro il decreto di espulsione. Ed è proprio questo ad alimentare i dubbi sull'operato delle autorità, soprattutto se si tiene conto che l'ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov, avrebbe più volte sollecitato il blitz per catturare Ablyazov. E lo avrebbe fatto proprio con alcuni alti funzionari del Viminale che adesso dovranno chiarire la natura di questi contatti.

Scrive il legale: «Alla signora Shalabayeva e a sua figlia Alua sono stati rilasciati dalle competenti Autorità britanniche, in data 1 agosto 2011, regolari permessi di soggiorno, con validità sino al 7 luglio 2016. A seguito di segnalazioni della Polizia Metropolitana di Londra, circa la sussistenza di un concreto ed imminente pericolo per l'incolumità sua e della famiglia e dell'impossibilità per la stessa Polizia di garantire loro un'effettiva e continua protezione onde evitare che Ablyazov venisse assassinato sul territorio Britannico, la signora Shalabayeva, pur in possesso dei permessi di soggiorno britannici, ha deciso di allontanarsi dal Regno Unito. Dopo un periodo in Lettonia, si è trasferita in Italia, facendo ingresso dalla frontiera con la Svizzera, nell'estate del 2012. A partire da tale momento dunque viveva sul territorio italiano, e più precisamente in una villa in affitto a Casal Palocco, con la figlia Alua, unitamente ad alcuni collaboratori domestici. La signora Shalabayeva ha condotto nel territorio italiano una vita assolutamente normale, non ha mai avuto alcun problema con le Autorità italiane, ed ha iscritto la propria figlia Alua ad una scuola di Roma, che ha frequentato regolarmente». Sarebbe bastato questo dettaglio per scoprire chi fosse realmente.

13 luglio 2013 | 7:40
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_luglio_13/giallo-kazako-farnesina-shalabayeva_14741148-eb7b-11e2-8187-31118fc65ff2.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Lo staff di Alfano sapeva
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2013, 11:35:41 pm
L'indagine di Pansa dimostra anche il coinvolgimento di funzionari di rango della Farnesina

Lo staff di Alfano sapeva

Così arrivò il via libera al blitz

Il ruolo del capo gabinetto del Viminale e dei vertici della Polizia

Fiorenza SARZANINI

ROMA - Il gabinetto del ministro Angelino Alfano ha avuto un ruolo centrale nella vicenda culminata il 31 maggio scorso con l'espulsione dal nostro Paese di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua. E il resto lo hanno fatto i vertici del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che si sono attivati su richiesta dell'ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov. L'indagine disposta dal governo e affidata al capo della polizia Alessandro Pansa arriva dunque ai piani alti del Viminale. E dimostra che anche i funzionari di rango della Farnesina furono coinvolti nella procedura, durata appena due giorni, che si concluse con il rimpatrio della moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov a bordo di un jet privato pagato proprio dalle autorità kazake. Come è possibile che lo stesso Alfano e la titolare degli Esteri Emma Bonino non siano stati tempestivamente informati? E soprattutto, se davvero hanno saputo che cosa era accaduto soltanto il 31 maggio scorso come continuano a dichiarare, che cosa hanno fatto sino ad ora? Perché hanno ripetutamente assicurato che «le procedure sono state rispettate» salvo essere poi costretti a fare marcia indietro e revocare il provvedimento del prefetto? Proprio per rispondere a questi interrogativi bisogna tornare al 27 maggio scorso e ricostruire la catena di errori, omissioni, possibili bugie che segna questa drammatica storia.


Le riunioni al Viminale
Proprio quella sera, dopo aver cercato di contattare inutilmente il ministro Alfano, l'ambasciatore Yelemessov chiede e ottiene un appuntamento con il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini. L'obiettivo appare chiaro: sollecitare l'arresto di quello che viene definito «un pericoloso latitante, che gira armato per Roma e si è stabilito in una villetta di Casal Palocco». Secondo la versione ufficiale, il prefetto spiega che non si tratta di affari di sua competenza e dunque propone al diplomatico di affrontare la questione con il Dipartimento di pubblica sicurezza. Il contatto viene attivato subito e la pratica finisce sul tavolo del capo della segreteria del capo della polizia, il prefetto Alessandro Valeri. La mattina successiva, è il 28 maggio, l'alto funzionario incontra l'ambasciatore e il primo consigliere Nurlan Zhalgasbayev. Di fronte a loro contatta la questura di Roma, sollecita un intervento immediato.
Il caso viene affidato al capo della squadra mobile Renato Cortese che si muove sempre in accordo con il questore Fulvio Della Rocca. Insieme incontrano i due diplomatici kazaki. Le consultazioni di quelle ore coinvolgono anche l'Interpol, che dipende dalla Criminalpol e dunque dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo. Sono proprio i funzionari di quell'ufficio a trasmettere ai colleghi il mandato di cattura internazionale contro Ablyazov. L'uomo - risulta dal provvedimento - è accusato di truffa, ricercato per ordine dei giudici kazaki e moscoviti. Le massime autorità di polizia concordano dunque sulla necessità di intervenire con un blitz nella villetta di Casal Palocco. Possibile che nessuno si sia premurato di scoprire chi fosse davvero questo Ablyazov? È credibile che nessun accertamento abbia consentito di scoprire che si trattava di un dissidente che aveva già ottenuto asilo politico dalla Gran Bretagna?


I contatti con la Farnesina
Il blitz scatta poco dopo la mezzanotte del 28 maggio. Sono una quarantina gli agenti coinvolti. Finisce come ormai è noto, visto che in casa non c'è Ablyazov e gli agenti trovano soltanto sua moglie e la figlioletta che dorme. Viene avviata la procedura di espulsione della donna che però fa presente di godere dell'immunità diplomatica grazie al passaporto rilasciato dalle autorità della Repubblica del Centroafricana. L'ufficio Immigrazione chiede conferma di questa circostanza al Cerimoniale della Farnesina che il 29 pomeriggio invia un fax di risposta che nega questo privilegio. «Non avevamo accesso a questi dati perché la signora aveva fornito il suo cognome da nubile», hanno fatto sapere ieri dal ministero degli Esteri.
In realtà la comunicazione trasmessa dal capo della Cerimoniale Daniele Sfregola contiene altre informazioni sullo status della signora e dunque appare almeno strano che non si fosse a conoscenza della sua particolare condizione di pericolo e della necessità di accordarle protezione. In ogni caso, dopo il rimpatrio della signora e della bambina, è proprio alla Farnesina che l'avvocato Riccardo Olivo si rivolge per chiedere assistenza. Bonino viene dunque a conoscenza di ogni aspetto della vicenda. E contatta Alfano.

La linea del governo
La ricostruzione effettuata in queste ore certifica che quantomeno dal 31 maggio, quindi poche ore dopo il decollo del jet privato, i due ministri sono perfettamente informati di quanto accaduto. Ma è davvero così? Possibile che il prefetto Procaccini non abbia ritenuto di dover relazionare ad Alfano il motivo della visita dell'ambasciatore kazako, visto che l'istanza iniziale sollecitava un incontro proprio con il ministro? E come mai il prefetto Valeri, dopo aver attivato la questura e di fatto concesso il via libera all'intervento sollecitato a livello diplomatico, decise di non parlarne con il prefetto Alessandro Marangoni, all'epoca capo della polizia reggente? Perché non lo fece il suo vice Cirillo? Ed è credibile che non ci fu alcun contatto successivo con la Farnesina, viste le relazioni intessute con l'ambasciatore kazako a Roma? A questi interrogativi dovrà rispondere l'indagine condotta dal prefetto Pansa, anche tenendo conto che il 3 giugno fu proprio il prefetto Valeri a sollecitare una relazione per ricostruire ogni passaggio della vicenda, che gli fu trasmessa poche ore dopo dal questore Della Rocca. Il capo della polizia dovrà individuare le responsabilità dei tecnici, ma questo non sarà comunque sufficiente a chiarire i risvolti politici della vicenda. In questi 40 giorni trascorsi dopo la partenza forzata della signora Shalabayeva e di sua figlia, è infatti sempre stato assicurato che non c'era stata alcuna irregolarità. Ma nonostante ciò, due giorni fa il governo è stato costretto a revocare il provvedimento di espulsione, assicurando che avrebbe fatto ogni sforzo per far tornare la donna e la bambina in Italia. Una presa di posizione forte, arrivata però troppo tardi.

14 luglio 2013 | 9:17
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da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_14/bonino-alfano-pasticcio-kazako_c1f143ae-ec4d-11e2-b462-40c7a026889e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Punti oscuri
Inserito da: Admin - Luglio 16, 2013, 06:23:34 pm
Punti oscuri

Caso Shalabayeva: spunta un documento con il nome da sposata della donna kazaka

Alla Farnesina risultava solo quello da nubile. I documenti trasmessi dall'ambasciata kazaka alimentano i dubbi


ROMA - C'è una nota trasmessa dall'ambasciata kazaka alla questura di Roma che alimenta ulteriori dubbi sulla versione ufficiale. Perché rivela nuovi punti oscuri nella procedura che ha portato all'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua. In quel documento la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile che invece era sul passaporto esibito di fronte ai poliziotti. Perché non fu chiesto alla Farnesina di fare accertamenti anche su questa identità? E perché l'Interpol prese per buone le informazioni fornite dai kazaki senza fare ulteriori riscontri?

La relazione della diplomazia di Astana ricostruisce la storia di Mukhtar Ablyazov e si conclude con la «richiesta di arresto». L'uomo viene indicato come «ricercato inserito nel Bollettino rosso internazionale». I kazaki scrivono che - oltre ai reati contestati dalla Federazione Russa e dell'Ucraina - «nel febbraio 2012 in Gran Bretagna, come una decisione della Corte suprema di Londra, gli è stata attribuita la detenzione in carcere per un periodo di 22 mesi per mancanza di rispetto della Corte, ma lui è fuggito dalla giustizia inglese». Perché, oltre a confermare l'esistenza di un ordine di cattura internazionale, l'Interpol non ha svolto accertamenti chiedendo conferma di queste circostanze ai colleghi britannici?

L'ulteriore «punto oscuro» riguarda l'identità della signora. Nella nota, dopo aver fornito l'indirizzo di Casal Palocco «dove Ablyazov attualmente soggiorna», gli addetti dell'ambasciata scrivono: «Preghiamo identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966».

Sul passaporto esibito dalla donna al momento del blitz della polizia compare il suo cognome da nubile «Alya» ed è proprio questa l'identità trasmessa alla Farnesina al momento di chiedere se davvero godesse dell'immunità diplomatica come lei aveva dichiarato. Perché non si decise di fare un ulteriore controllo trasmettendo anche il nominativo completo, così come compariva nei documenti ufficiali messi a disposizione dalla diplomazia? Forse un ulteriore controllo avrebbe consentito di scoprire che si trattava della moglie di un dissidente. A meno che si fosse invece già deciso che non era necessario.

16 luglio 2013 | 8:27
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F. Sar.

da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_16/spunta-un-documento-con-il-nome-da-sposata-della-donna-kazaka_fec56726-edd6-11e2-98d0-98ca66d4264e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Procaccini si dimette e rivela: «Informai il ministro.
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2013, 03:58:35 pm
IL CAPO DI GABINETTO LASCIA PER IL CASO KAZAKO

Procaccini si dimette e rivela: «Informai il ministro. Mi sento offeso»

Alfano: «Nessuno ci ha detto che si trattava di un dissidente né abbiamo saputo nulla dell'espulsione di moglie e figlia»

Fiorenza SARZANINI

Non ha nascosto di essere «nauseato e ingiustamente offeso» Giuseppe Procaccini, il capo di Gabinetto del Viminale che ieri si è dimesso in seguito al coinvolgimento nel caso del rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov. Procaccini, nonostante Angelino Alfano lo abbia negato in Parlamento, sostiene di averlo informato dell'incontro con l'ambasciatore kazako «venuto a parlare della ricerca di un latitante» e di aver passato la pratica al prefetto Alessandro Valeri. Il ministro Alfano, dopo aver accettato le dimissioni di Procaccini, ha chiesto l'avvicendamento di Valeri.

Ha scelto di andarsene prima di essere cacciato, al termine di una carriera durata quarant'anni e segnata dalla fiducia massima di tutti i ministri che si sono avvicendati all'Interno. Ma non ha nascosto di essere «nauseato, per quanto è accaduto». Perché Giuseppe Procaccini è un uomo delle istituzioni e mai sarebbe rimasto al suo posto dopo il terremoto provocato dall'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, di appena 6 anni, il 31 maggio scorso a bordo di un jet privato messo a disposizione dalle autorità kazake. Ma mai avrebbe immaginato che potesse finire così. Il prefetto paga per tutti e nella lettera di dimissioni consegnata lunedì sera al titolare dell'Interno Angelino Alfano lo ha scritto esplicitamente: «Dopo tanti anni di carriera vado via, ma sono stato ingiustamente offeso». Il motivo lo ha spiegato in maniera chiara a tutti coloro che lo hanno chiamato ieri per esprimergli solidarietà: «Ho ricevuto l'ambasciatore kazako al Viminale perché me lo disse il ministro spiegandomi che era una cosa delicata. L'incontro finì tardi e quindi quella sera non ne parlai con nessuno. Ma lo feci il giorno dopo, spiegando al ministro che il diplomatico era venuto a parlare della ricerca di un latitante. Lo informai che avevo passato la pratica al prefetto Valeri».

Procaccini lo dice adesso che ha già sgomberato l'ufficio, consapevole che il ministro continuerà a negarlo, come del resto ha fatto ieri di fronte al Parlamento. Eppure è proprio questa circostanza a tenere aperta la vicenda, il caso politico che continua a far fibrillare il governo. Perché riapre gli interrogativi sulla catena informativa arrivata fino al vertice del Viminale. «Ho saputo di questa storia per la prima volta quando sono stato contattato da Emma Bonino», ha sempre sostenuto Alfano. Procaccini fornisce una diversa versione. Nega di avergli parlato dell'espulsione e dell'avvenuto rimpatrio, ma conferma di averlo informato relativamente al colloquio avuto con il diplomatico. Esattamente come ha sempre fatto nel corso della sua carriera, non a caso è famoso al Viminale per i continui «appunti» che redige.

Del resto, sia pur velatamente, ne lascia traccia proprio nella lettera al ministro, il suo ultimo atto ufficiale: «Le confermo che ho mantenuto una linearità istituzionale priva di ogni invasività, cercando di operare da tramite funzionale circa la presenza nel nostro Paese di un pericoloso latitante armato». È questo il nodo. Il capo di gabinetto ribadisce che nessuno gli parlò del fatto che Mukhtar Ablyazov fosse un dissidente. Lo ribadisce adesso che ha deciso di farsi da parte: «Nessuno mi parlò mai dell'espulsione di sua moglie e di sua figlia. Anzi. Al termine del blitz Valeri mi comunicò che il latitante non era stato trovato e per me la vicenda si chiuse lì. Non sapevo nulla dell'espulsione. Nessuno mi ha informato di quanto accaduto relativamente alla pratica gestita dall'ufficio Immigrazione». Lo scrive anche nella missiva consegnata ad Alfano: «Sono testimone di quanta distorsione profonda dalla realtà sia stata consumata in questi giorni da una comunicazione velenosa, offensiva, fantasiosa e stancante. Devo confessarle che ho continuamente ripercorso la vicenda e mi sono anche interrogato se qualcosa mi fosse sfuggita, ma tutto mi riporta alla obiettiva circostanza di non essere stato informato».
Non sono stati facili questi ultimi giorni al Viminale. Perché via via che filtrava la ricostruzione di quanto accaduto in quei quattro giorni di fine maggio, Procaccini e il ministro si sono confrontati in continuazione. E in alcuni momenti c'è stata anche tensione forte, confronto aspro per la necessità di tenere una posizione che diventava sempre meno credibile. Tra otto mesi il prefetto va in pensione. Non avrebbe mai creduto di poter andare via prima. Lo scrive in modo forte, diretto: «Penso che per un capo di gabinetto dell'Interno ci sia un livello diverso di obblighi e responsabilità. L'essenza della mia funzione mi impedisce di replicare esplicitamente ma è poi la funzione stessa che è fondata sul rispetto, la fiducia senza condizioni, la stima e l'autorevolezza interna. Gli attacchi indecenti minano e incrinano tale delicato ruolo e influenza, o rischiano di farlo, il rapporto fiduciario con gli uomini delle forze di polizia, del soccorso e i tanti colleghi e collaboratori. Eppure fino a ieri l'ho sentita la fiducia, ne sono stato fiero nei tanti anni di servizio pubblico, soprattutto cercando di dare un esempio. È vero che è amaro e ingiusto lasciare in questo modo, ma l'Amministrazione ha ancora più bisogno dell'esponente apicale motivato».
C'è un aspetto della sua vita privata che Procaccini svela nella lettera proprio per dimostrare il dolore e lo sgomento per l'esito di questa storia. E infatti, dopo aver sottolineato il suo «totale impegno personale», scrive: «Ciò mi ha sicuramente limitato nella mia dimensione familiare e ne ho sempre sofferto, soprattutto quando ho visto il mio amato figliolo Fabrizio andare pian piano via. Di lui ricordo che mi disse con un filo di voce: "Avrei voluto che tu fossi orgoglioso di me". Eppure io lo sono stato immensamente e spero che lui sappia quanto e nell'assistere al suo saluto gli ho promesso che avrei cercato di agire perché lui fosse orgoglioso di me. Anche questo è per me motivo di tormento e non posso non tenerne conto mentre vengo ingiustamente offeso. Del resto la soddisfazione di aver lavorato tanti anni in una posizione che non potevo neanche immaginare di ricoprire mi lascia senza rimpianti».
Procaccini sa che la parola fine non è stata ancora scritta e conta «sulla pacata riconsiderazione delle azioni, affinché si possa riportare alla ragione i tanti preconcetti, le tante malevolenza espresse e favorite e le tante affermazioni oltraggiose e quelle avventatezze nei giudizi che sono propri di un periodo amaramente senza "rispetto"».

17 luglio 2013 | 7:54
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da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_17/informai-ministro-misento-offeso_5a633b3a-ee9a-11e2-b3f4-5da735a06505.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L'inchiesta Astana: un «buco» di 10 miliardi di dollari
Inserito da: Admin - Luglio 23, 2013, 04:25:18 pm
L'inchiesta Astana: un «buco» di 10 miliardi di dollari

Dietro il blitz a Roma la guerra delle banche

Tra i «truffati» anche 8 istituti italiani

Ci si interroga sui contatti tra l'ambasciatore e la Farnesina: chi gli «consigliò» di rivolgersi al ministero dell'Interno?



FIORENZA SARZANINI

ROMA - Ci sono numerosi interessi, soprattutto economici, che si muovono dietro l'affaire kazako. E potrebbe essere proprio questo il filo da seguire per individuare chi ha ordinato la «consegna» della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua alle autorità di Astana. E così scoprire i retroscena dell'operazione cominciata ufficialmente il 28 maggio scorso con la visita dell'ambasciatore Andrian Yelemessov alla questura di Roma e terminata il 31 maggio alle 19 con la partenza delle due donne a bordo del jet privato della compagnia austriaca Avcon. Ma forse avviata diversi giorni prima. Si rafforza l'ipotesi che quell'espulsione servisse a far uscire allo scoperto il marito Mukhtar Ablyazov, che fosse il ricatto all'Italia dopo la fuga dell'uomo. Perché si scopre che il dissidente era in realtà scappato dalla Gran Bretagna nonostante questo gli facesse automaticamente perdere lo status di rifugiato. Braccato da chi lo accusa di aver messo in piedi una truffa da circa 10 miliardi di dollari quando era presidente della Bta, la banca più importante del Kazakistan che per questo aveva avviato contro di lui un'azione legale in Gran Bretagna, lo stesso Paese che poi decise di concedergli asilo politico. E nella lista dei creditori, si scopre adesso, ci sono anche otto istituti di credito italiani, «inseriti nell'elenco delle vittime di frodi di Ablyazov».

L'ATTIVAZIONE ITALIANA DEL 16 MAGGIO - Mario Trotta, l'ex carabiniere e adesso investigatore privato titolare dell'agenzia Sira che pedinava Ablyazov, sostiene di aver ricevuto l'incarico il 16 maggio da un'agenzia di Tel Aviv. Chi aveva ricevuto l'informazione che il dissidente era giunto a Roma e poteva essere catturato? E da chi arrivava? Il team incaricato dei pedinamenti presenta numerose relazioni alle autorità kazake, aggiornate con tutti gli spostamenti dell'uomo. L'ultima si riferisce alla serata del 26 maggio quando lo seguono mentre va a cena in un ristorante nella zona dell'Infernetto e poi fino al rientro a casa. Dopo non accade più nulla. Loro sono convinti che sia rimasto nella villetta di Casal Palocco e dunque continuano gli appostamenti. Invece Ablyazov, che si è accorto di essere sotto controllo o forse ha ricevuto una «soffiata», riesce a fuggire. Il 28 maggio l'ambasciatore Andrian Yelemessov contatta per tre volte il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Ufficialmente non sa che la preda è ormai scappata. «Non potevo rispondere e incaricai il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini di occuparsene», assicura. In attesa di recarsi al Viminale, contatta la segreteria del questore e poi viene ricevuto dal capo della Squadra mobile Renato Cortese. Porta i documenti per dimostrare dove si nasconde Ablyazov, ne chiede l'arresto. Ebbene, 55 giorni dopo quell'incontro, non è stato ancora svelato chi «consigliò» al diplomatico di recarsi direttamente negli uffici di San Vitale. Generalmente gli ambasciatori hanno come interlocutore la Farnesina. Possibile che Yelemessov non attivò subito quel canale? Possibile che non parlò con nessuno degli Esteri, prima di bussare alle porte del ministero dell'Interno?

NELLA LISTA UNICREDIT E MEDIOBANCA - Eppure Ablyazov era al centro di un vero intrigo internazionale, come dimostrano i documenti raccolti in Gran Bretagna. La scoperta di un «buco» di almeno 10 miliardi di dollari viene scoperto dalla Bta nel febbraio 2009. Si decide così «una ristrutturazione grazie al Fondo sovrano Samruk Kazyna», ma soprattutto si scopre che mentre ricopre l'incarico di presidente, Ablyazov avrebbe concesso «ingenti prestiti a enti impossibili da individuare, spesso senza garanzie». Il sospetto è che tra questi ci fossero «organizzazioni di cui lo stesso Ablyazov era proprietario e beneficiario». Sono proprio gli atti raccolti nel Regno Unito a rivelare che «tra i creditori che a livello internazionale erano stati vittime delle frodi di Ablyazov figuravano i seguenti istituti di credito italiani: Unicredito italiano, Banca popolare di Vicenza, Banca Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, Banca agricola mantovana, Banca nazionale del lavoro, Banca Antonveneta, Banca Ubae». Tutti insieme hanno ottenuto il sequestro dei suoi beni.

LE VILLE CON PISCINA E SALE DA BALLO - Sono proprio i documenti allegati al fascicolo della Corte britannica e rivelare come le proprietà di Ablyazov avessero un valore oscillante tra i 41 e i 46 milioni di sterline e nell'aprile scorso i giudici hanno autorizzato i liquidatori alla vendita delle proprietà immobiliari. Il bene di maggior pregio è «Carlton House, villa a nord di Londra, acquistata nel 2006 attraverso una società offshore per 15,5 milioni di dollari. È composta fra l'altro da una sala da ballo di circa 50 piedi, una biblioteca, 9 camere da letto, una piscina e un bagno turco da 12 persone».
In vendita anche «Oaklands Park, nel Surrey, acquistata nel 2006 attraverso una società offshore per 8,15 milioni di sterline. È composta da 100 acri di terreno e otto case». E poi c'è «Alberts Court, appartamento che si trova a St.John's Wood a Londra, acquistato nel 2008 attraverso una società offshore per 965 mila sterline». Questa è la fortuna di Ablyazov. Difficile credere che dietro la vicenda che riguarda la sua famiglia non ci sia soprattutto la battaglia per mettere le mani sul suo patrimonio.

23 luglio 2013 | 7:33
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da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_23/caso-kazako-dietro-blitz-guerra-delle-banche_5ef2ad1e-f356-11e2-8b7b-cca7146f8a5e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il tribunale: Shalabayeva, la polizia commise errori
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2013, 06:36:43 pm
Il tribunale: Shalabayeva, la polizia commise errori

La relazione-denuncia del giudice: anomalie ed omissioni

FIORENZA SARZANINI


ROMA - Il giudice di pace «è stata tratta in inganno dalla polizia che non le ha trasmesso atti fondamentali per identificare la signora Alma Shalabayeva. In questa vicenda ci sono state anomalie e omissioni nell'attività dei funzionari che ho già segnalato al procuratore». È un atto di accusa grave e pesantissimo quello del presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano. Al termine dell'ispezione sollecitata dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, l'alto magistrato «assolve» il giudice che convalidò il trattenimento della signora nel Centro di espulsione di Ponte Galeria, fornendo così il via libera alla sua espulsione. Ma decide di trasmettere il fascicolo al capo dei pubblici ministeri evidenziando «il fumus di possibili reati di chi gestì la procedura». E dunque sollecitando l'apertura di un'indagine.

Non usa mezzi termini Bresciano per ricostruire quanto accaduto. E spiega: «Nel lavoro della dottoressa Stefania Lavore non ho riscontrato alcuna irregolarità, anzi. Non posso negare che un togato con maggiore esperienza avrebbe potuto accorgersi delle tante stranezze, ma questo non inficia assolutamente quanto è stato fatto. Il comportamento della giudice è stato ineccepibile. L'ho scritto nella relazione che ho trasmesso al ministro. Non altrettanto si può dire della polizia che certamente ha agito con una fretta insolita e anomala. Ma soprattutto ha tenuto per sé delle informazioni preziose».
Il problema è noto. Durante l'irruzione nella villetta di Casal Palocco la signora consegnò agli agenti della squadra mobile un passaporto rilasciato dalla Repubblica Centroafricana intestato ad Alma Ayan che attestava anche il riconoscimento dell'immunità diplomatica. Fu ritenuto falso, tanto che la donna fu denunciata proprio per aver presentato un documento di identità contraffatto. Il dirigente dell'Uffico immigrazione Maurizio Improta chiese notizie al cerimoniale della Farnesina e la risposta del responsabile Daniele Sfregola escluse che la signora potesse avere questa prerogativa: «Si comunica che la nominata non gode dello status diplomatico-consolare nella Repubblica italiana».

Nulla fu invece richiesto riguardo alla vera identità della donna, nonostante le sue generalità fossero state comunicate con una nota ufficiale del 28 maggio trasmessa dall'ambasciata kazaka alla questura di Roma al momento di sollecitare l'arresto del marito: «Preghiamo identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966». Non solo. Due giorni dopo, un ulteriore appunto della diplomazia, indirizzato agli stessi uffici di San Vitale, specificava: «Si conferma che la signora Alma Shalabayeva è cittadina della Repubblica del Kazakhistan. Possiede il passaporto nazionale numero N0816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e l'altro passaporto nazionale numero N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007. In base ai dati dell'Interpol la signora Alma Shalabayeva può usare i documenti di identità falsi per il nome di Alma Ayan, nata il 15 agosto 1966 con passaporto nazionale della Repubblica dell'Africa Centrale N06FB04081 rilasciato il 1 aprile 2010».
Ed ecco l'atto di accusa del presidente Bresciano: «Di tutto questo non è stata data comunicazione. C'è stata una mancata trasmissione di atti che ha avuto gravissime conseguenze. La polizia avrebbe dovuto fornire tutti i documenti riguardanti l'identità Alma Shalabayeva e invece non l'ha fatto». La polizia sostiene che quegli atti erano stati inseriti nel fascicolo inviato al Cie in vista dell'udienza di convalida. La giudice di pace ha verbalizzato il contrario: «Il nome Shalabayeva non risultava in nessuna relazione ufficiale depositata al mio ufficio. Gli unici a pronunciare il nome Shalabayeva furono gli avvocati».
Adesso sarà il procuratore Giuseppe Pignatone a dover decidere come procedere.

Il giallo sulla «consegna» della moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov non è affatto risolto.

27 luglio 2013 | 7:31
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da - http://www.corriere.it/cronache/13_luglio_27/tribunale-shalabayeva-polizia-commise-errori-sarzanini_db718f18-f67b-11e2-9839-a8732bb379b1.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ablyazov, il ricatto dietro la fuga
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2013, 05:05:52 pm
IL GIALLO KAZAKO

Ablyazov, il ricatto dietro la fuga

L'espulsione della moglie forse una «contropartita» pagata da Roma.

Decisa in fretta la "consegna" della donna e della figlia

Fiorenza SARZANINI

Il documento di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako espulso dall'Italia insieme alla figlia di 6 anni (Ansa) Il documento di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako espulso dall'Italia insieme alla figlia di 6 anni (Ansa)
ROMA - Chi ha avvisato Mukhtar Ablyazov di essere stato individuato? E perché, prima di essere ricevuto al Viminale, l'ambasciatore kazako Andrian Yelemessov ha deciso di recarsi direttamente in questura? Sono questi i due interrogativi chiave per comprendere quanto accaduto tra il 28 e il 31 maggio scorsi, fino alla «consegna» di sua moglie Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua. Perché l'incrocio delle testimonianze e dei dati emersi dai documenti depositati in Parlamento sembra confermare l'ipotesi che l'espulsione delle due donne sia in realtà la contropartita pagata dall'Italia al governo di Astana per essersi fatti sfuggire il loro ricercato. Il tentativo estremo per obbligare l'uomo ad uscire allo scoperto. Un ricatto al quale non si è stati in grado di sottrarsi .

La pista svizzera. Nella notte tra il 28 e il 29 maggio, quando gli agenti della squadra mobile entrano nella villetta di Casal Palocco, sequestrano 50 mila euro in contanti e una macchinetta fotografica. Nella memory card ci sono immagini di Ablyazov a Roma con i suoi familiari. La data dell'ultima istantanea è quella del 25 maggio. Mario Trotta, l'investigatore incaricato da un'agenzia israeliana di rintracciare l'uomo, assicura di averlo seguito il 26 maggio mentre si recava in un ristorante nella zona dell'Infernetto. Poi più nulla. La notte dell'irruzione della polizia gli uomini di Trotta sono ancora appostati davanti alla villa, convinti che sia all'interno. E invece niente, il blitz va a vuoto.
Ablyazov potrebbe essersi accorto di essere pedinato, oppure ha ricevuto la giusta soffiata. Di certo è riuscito a fuggire dal nostro Paese beffando chi era pagato per tenerlo sotto controllo. La convinzione di chi sta cercando di ricostruire i suoi spostamenti è che sia andato in Svizzera, lì dove ha il proprio quartier generale, dove vive la figlia Madina e dove si sono adesso rifugiati anche gli altri parenti. Proprio a Ginevra risiede il notaio che il 3 giugno ha autenticato i documenti della signora Shalabayeva che il suo avvocato Riccardo Olivo ha poi presentato alle autorità del nostro Paese per dimostrare che non era stato compiuto alcun falso .

L'identità di copertura. Certamente ha potuto godere di una rete di protezione con collegamenti internazionali, come del resto era già accaduto in passato. La lista delle persone che ha incontrato è nelle mani degli inquirenti e da quella si riparte per cercare di scoprire dove si trovi adesso. Altri elementi possono arrivare dagli atti prodotti dai legali di sua moglie. L'identità sul passaporto rilasciato dalle Repubblica Centroafricana è una «copertura». Alma Alya infatti non esiste, non è il suo cognome da nubile come era stato detto inizialmente. Il cognome familiare è Shalabayeva, mentre dopo il matrimonio è diventata Ablyazova, come risulta proprio da tutti i documenti autenticati e trasmessi ai giudici italiani.
Come è possibile che tutto questo non risultasse alla Farnesina? Eppure proprio con l'identità «Alya» era nota all'ufficio del Cerimoniale. Risulta dal fax trasmesso dal capo vicario di quell'ufficio alla questura di Roma il 29 maggio che chiede conferma dell'immunità diplomatica concessa alla signora. Scrive il funzionario Daniele Sfregola: «Si comunica che l'ambasciata della Repubblica del Burundi ha proposto il 17 aprile scorso la candidatura della signora Ayan a console onorario per le regioni del Sud Italia». L'istanza fu poi ritirata, ma è presumibile che siano stati effettuati accertamenti sulla presenza della donna nel nostro Paese. Nonostante questo, in poche ore è stato fornito il via libera alla procedura attivata per l'espulsione .

La caccia dei kazaki. Una fretta che emerge in maniera forte anche nei rapporti tra le autorità kazake e la polizia italiana. La mattina del 28 maggio l'ambasciatore Yelemessov cerca più volte il ministro dell'Interno Angelino Alfano che però dice di non averci parlato. Poco dopo contatta la segreteria del questore, che non può riceverlo perché è fuori ufficio, e dunque si presenta alla Squadra Mobile. Chi gli ha dato le indicazioni di rivolgersi alla questura, visto che soltanto in serata viene ricevuto dal capo di Gabinetto del Viminale Giuseppe Procaccini? Chi gli ha fornito le credenziali che gli hanno aperto tutte le porte?
Gli stessi vertici della polizia hanno ammesso «l'attivismo e l'invasività» del diplomatico. Ma soprattutto hanno accolto ogni sua richiesta in appena 75 ore. Tre giorni dopo il primo contatto ufficiale tra i due Paesi, le due donne erano in volo sul jet privato, messo a disposizione dai kazaki, che le riportava in patria. «Consegnate» per costringere il marito a consegnarsi a sua volta .

22 luglio 2013 | 9:56
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da - http://www.corriere.it/cronache/13_luglio_22/ablyazov-ricatto-dietro-fuga_3ae9954c-f291-11e2-8506-64ec07f27631.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I verbali del Cavaliere e i rapporti con l'ex direttore...
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2013, 04:43:51 pm
I verbali del Cavaliere e i rapporti con l'ex direttore dell'Avanti

Spese e casa di Montecarlo: i contatti tra Lavitola e Berlusconi

L'ex premier: «Tarantini? Una comodità. Mai pagato una donna»



ROMA - Gianpy Tarantini? «Una comodità». I soldi versati ogni mese? «Guadagnavo un milione e mezzo al giorno, avevo una ricchezza di 12 miliardi di euro, faccia il calcolo di cosa siano tremila, quattromila euro». In settanta pagine di verbale, oltre tre ore davanti ai pubblici ministeri di Bari, Silvio Berlusconi tenta di respingere così l'accusa di aver pagato il silenzio dell'imprenditore barese sulle feste nelle sue residenze. L'inchiesta è ormai terminata, i magistrati sarebbero in procinto di chiedere il rinvio a giudizio dell'ex premier per il reato di induzione del testimone a mentire. Intanto gli atti istruttori sono stati messi a disposizione delle parti. La scelta di Berlusconi di presentarsi a Bari risale al 17 maggio scorso ed era stata interpretata come un gesto collaborativo nella speranza di poter così ottenere l'archiviazione del fascicolo. Ma nuovi dettagli sono emersi, compresa la prova dei contatti con Lavitola poco prima della campagna di stampa contro l'allora presidente della Camera Gianfranco Fini.

Le «pressioni intense»
L'interrogatorio di fronte al procuratore aggiunto Pasquale Drago riguarda naturalmente i 500 mila euro messi a disposizione di Tarantini attraverso il faccendiere Valter Lavitola, ma anche le dazioni mensili e il pagamento dei difensori. Berlusconi, come del resto aveva già fatto pubblicamente, nega di essere stato sotto ricatto e anzi sostiene di essere un benefattore. «Non avevo nessun motivo per dover mandare messaggi a Tarantini di essere attento a quello che diceva, era già stato detto tutto quanto. L'unica cosa per cui dopo io ho ceduto alle pressioni di Lavitola, intense devo dire, è stato proprio per il fatto che avevo conosciuto Tarantini in una situazione di benessere forte. Aveva affittato ville in Sardegna, viaggiava su aerei privati e francamente sentirlo precipitato...». Il magistrato si mostra stupito della «amicizia con questo signore», Berlusconi risponde: «Non è che ho stretto una profonda amicizia, non è che ci parlavo di fatti miei. Devo dire che era piacevole avere, in mezzo a tante persone che ero costretto a invitare a cena, una persona che si faceva accompagnare da due belle ragazze... Era un fatto di comodità, nel senso che quando c'era una cena io non le invitavo neppure, era lui che ogni tanto telefonava per sapere "quando c'è una cena dal presidente?"». E ancora: «Su cento veline a cui rivolgi la domanda: andresti volentieri a cena da Berlusconi? 76 avevano risposto "subito" e le altre 24 erano già venute prima».

La nota spese
Il procuratore gli chiede se c'era bisogno di tanti soldi e Berlusconi è costretto ad ammettere che «sul conto non c'era soltanto la famiglia stretta, lui, moglie e due figlie, ma anche la madre e la famiglia del fratello. Mi ricordo che pagava un affitto esagerato, seimila euro al mese, e io dissi a Lavitola: "Ma che cambi residenza!"». In uno stralcio pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno rimarca quanti soldi extra fosse stato costretto a versare.
Poi ricorda l'incontro avvenuto ad Arcore nella primavera 2011 e il patto sui 500 mila euro. Dichiara Berlusconi: «Durante l'incontro ad Arcore con Tarantini e la moglie, Lavitola confermò a Tarantini che io avevo provveduto al versamento a lui dei 500 mila euro e che lui aveva i 500 mila euro a disposizione di Tarantini. Successivamente a questo incontro cominciò a fare dei versamenti a Tarantini imputandoli ai 500 mila euro che aveva ricevuto da noi. Quando scoppiò la situazione giudiziaria di Tarantini lui mi disse che aveva dato a Tarantini più di 200 mila euro e mi portò una specie di contabilità su un foglio in cui praticamente la metà di quei 500 mila euro era stata versata».

Le chiamate e Montecarlo
Il magistrato gli chiede conto di alcune telefonate con Lavitola arrivate sull'utenza di Arcore delle quali aveva parlato nel suo interrogatorio proprio il faccendiere. Berlusconi precisa di non ricordare perché riceve moltissime telefonate «l'altro ieri 72, non ho risposto a tutte naturalmente». In realtà, come viene contestato dal pubblico ministero durante l'interrogatorio, «si tratta dei contatti avvenuti mentre il faccendiere è in Argentina, nasce con la storia di Montecarlo» facendo evidente riferimento ai documenti sulla casa affittata nel Principato dal cognato dell'allora presidente Gianfranco Fini pubblicati da Il Giornale .
Berlusconi nega di aver parlato, sostiene che «evidentemente non mi è stato passato nessuno», invece gli viene contestato quanto emerge dai tabulati rintracciati dai carabinieri di Bari. Si tratta di tre contatti che risalgono al 17 luglio 2011. Spiega il pubblico ministero: «La prima telefonata dura 2 minuti, la seconda dura un minuto e la terza 9 minuti. Quindi questa sarebbe una conversazione. Nelle intercettazioni della polizia di Napoli di questa cosa non c'è traccia, la ricerca l'ha fatta anche Roma e i risultati sono sempre questi».

22 settembre 2013 | 8:56
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FIORENZA SARZANINI

da - http://www.corriere.it/politica/13_settembre_22/spese-casa-montecarlo-lavitola-berlusconi_23e6cbea-2341-11e3-8194-da2bd4f2ffa4.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il Cavaliere ai pm: le carte di Lavitola?...
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2013, 07:42:49 pm
Il verbale

Il Cavaliere ai pm: le carte di Lavitola?

C'è del vero e del falso

Mostrata al Cavaliere una lettera in cui Lavitola dice di aver ricevuto soldi per carte sulla casa di Montecarlo


Sono le 16 del 14 maggio scorso. Silvio Berlusconi viene interrogato nell'ambito dell'inchiesta della magistratura di Roma sui soldi versati al faccendiere Valter Lavitola e ai coniugi Gianpaolo e Nicla Tarantini. È ritenuto parte lesa, ma poiché a Bari lo accusano di induzione del testimone a mentire proprio per aver comprato il silenzio dell'imprenditore pugliese sulle feste organizzate nelle sue residenze, sono presenti i suoi difensori. L'ex premier risponde alle domande del procuratore Giuseppe Pignatone, dell'aggiunto Francesco Caporale e del sostituto Simona Marazza. Berlusconi ammette di aver versato denaro «tramite Lavitola che mi rappresentava lo stato di difficoltà di Tarantini e della sua famiglia. Peraltro Lavitola era diventato buon amico della moglie di Tarantini».

Pm: Lei è a conoscenza di alcune telefonate intercorse tra Lavitola e Tarantini che fanno intendere che pretendessero denaro e in particolare somme sempre più alte da lei con utilizzo di toni accesi? Toni che si fanno più accesi in concomitanza con la conclusione delle indagini di Bari sul «caso escort«? Lei vede una connessione? Perché Tarantini pretendeva questo soldi?

Berlusconi: «A me le richieste sono pervenute tramite Lavitola sempre in termini di venire incontro alle esigenze familiari di Tarantini e io le ho accettate per i motivi esplicitati nella memoria che deposito oggi. Preciso che non ho mai ricevuto in tal senso alcuna minaccia, nemmeno in modo velato».

Pm: Nella sua memoria di settembre 2011 si fa riferimento a una somma che lei avrebbe messo a disposizione dei coniugi Tarantini per avviare un'attività all'estero. A chi?

Berlusconi: «Mi riporto a quanto detto nella memoria e preciso che ho consegnato 500 mila euro a Lavitola. Del resto quando l'avvocato Peroni - che avevo informato dell'avvenuta consegna - ne informò Tarantini (suo cliente), Tarantini chiese un incontro a me e Lavitola per chiarire la situazione. L'incontro avvenne a Roma e Lavitola confermò davanti a me di aver ricevuto quella somma e che la stessa era a disposizione di Tarantini presso la propria banca in Uruguay. Gli accordi erano stati presi durante un incontro ad Arcore con i coniugi Tarantini e Lavitola».

Pm: Ha mai sentito parlare di un imprenditore pugliese di nome Settanni? Si tratta di un imprenditore che aveva interesse ad aggiudicarsi un appalto con Eni e al quale si fa riferimento nelle intercettazioni telefoniche.

Berlusconi: «Non mi pare di ricordare una persona di nome Settanni o comunque l'imprenditore cui viene fatto riferimento».

A questo punto i magistrati mostrano a Berlusconi la lettera ritrovata in un computer di Lavitola e datata 13 settembre 2011. Nella missiva Lavitola sostiene di aver ricevuto soldi in cambio dei documenti originali sulla casa di Montecarlo utilizzati contro l'allora presidente della Camera Gianfranco Fini «portati direttamente da Santa Lucia». Ma soprattutto dichiara che Berlusconi deve soldi all'imprenditore Angelo Capriotti, arrestato dalla magistratura di Napoli per le tangenti che sarebbero state pagate per la costruzione di carceri a Panama.

Pm: Le poniamo in visione la lettera del 13 dicembre 2011. L'ha mai ricevuta?

Berlusconi: «No, non l'ho mai ricevuta. Ne prendo visione e posso rilevare che è un insieme di cose vere e di cosa totalmente false. Dico subito che non è vero che io abbia promesso a Lavitola di dargli un incarico governativo, né di candidarlo alle elezioni europee in modo tale da garantire la sua elezione, né di farlo nominare nel Cda della Rai. Non è vero nemmeno che io abbia parlato con Lavitola di far nominare la senatrice Ioannucci nel Cda dell'Eni. Peraltro io conosco la senatrice che è del Pdl e ho con lei rapporti diretti. Non è vero neanche quanto asserito da Lavitola sulla promessa da parte mia di far nominare Pozzessere "almeno direttore generale di Finmeccanica". Tengo a dire che io non ho mai nominato nessuno in Finmeccanica nel senso che non mi sono mai interessato a questo tipo di nomine. Non ricordo che la senatrice Ioannucci abbia avuto un incarico presso Poste italiane, ma certo non ne ho parlato con Lavitola, non capisco neanche il riferimento al "commissario delle dighe"».

Pm: E riguardo alle altre circostanze?

Berlusconi: « Non è vero che io abbia rimborsato una somma di circa 500 mila euro a Lavitola per la sua attività a proposito della vicenda "Casa di Montecarlo". Non ho mai ricevuto le richieste, di cui pure in questa lettera si parla, di presunte restituzioni di denaro a Angelo Capriotti, agli avvocati panamensi di Lavitola e a una società cinese. È vero invece che mi fu chiesto da Pintabona (il senatore eletto all'estero esponente del Mpa di Lombardo ndr) per conto di Lavitola di far assumere i 19 dipendenti de L'Avanti che erano stati licenziati. Non fu possibile assumere i suddetti dipendenti anche se io ero disponibile a impegnarmi perché si trattava di lavoratori che avevano perduto il posto di lavoro».

25 settembre 2013 | 10:16
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FIORENZA SARZANINI

http://www.corriere.it/cronache/13_settembre_25/il-cavaliere-ai-pm-le-carte-di-lavitola-c-e-del-vero-e-del-falso-fiorenza-sarzanini_c49e8350-25b9-11e3-baac-128ffcce9856.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Prima che succeda ancora
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2013, 05:10:00 pm
Prima che succeda ancora


Due giorni fa il Parlamento europeo ha approvato l’entrata in vigore del sistema di coordinamento per sorvegliare il Mediterraneo. Si chiama Eurosur: serve a controllare costantemente la frontiera marittima attraverso un sistema satellitare collegato con alcune centrali operative che si trovano in diversi Stati e può rivelarsi utile ed efficace per tenere sotto controllo i flussi di migrazione clandestina. Ma comincerà a funzionare il prossimo 2 dicembre e fino a quella data potrebbero essere ancora tanti i morti in mare, vittime del mercato criminale di esseri umani gestito dalle bande che agiscono in Libia e contano su una «rete» che arriva sino alla Tunisia, all’Egitto e al Marocco.

La tragedia avvenuta nove giorni fa a Lampedusa ha mostrato in maniera drammatica e brutale quali siano le conseguenze di una politica che non rimane sempre vigile di fronte a un’emergenza ormai strutturale. Il governo italiano ha così deciso di mettere la questione in cima alle priorità inviando due navi nel Canale di Sicilia, schierando sull’isola un contingente molto più consistente di mezzi e uomini. Sollecitate anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sono già state varate nuove regole per accelerare le procedure di assistenza per chi richiede asilo politico e per garantire migliore accoglienza a queste persone che continuano a fuggire dalla miseria e dalla guerra.

Molto altro bisogna ancora fare. È importante, ad esempio, che il ministero della Difesa, già impegnato con alcune navi in quel tratto di mare, impieghi tutte le risorse disponibili per contribuire all’attività di prevenzione potenziando i controlli e soprattutto aumentando la possibilità di soccorrere chi è in difficoltà. Però il vero sforzo deve farlo l’Unione Europea. Non per aiutare l’Italia, ma per affrontare questa crisi dai contorni epocali in maniera complessiva e organica. Per far sì che i flussi migratori possano essere davvero governati e non subiti. E quindi è in nord Africa che si deve intervenire, lì dove migliaia e migliaia di disperati si ammassano in attesa di partire. Per l’Europa, non per l’Italia. Bisogna farlo subito, con la missione internazionale di un pool di esperti che incontri le autorità di quegli Stati e pianifichi la presenza in quei luoghi di personale dell’Alto Commissariato per i rifugiati e della Ue in modo da effettuare un primo screening delle richieste di asilo e di assistenza.

Bisogna agire come di fronte a un terremoto, quando per salvare le persone non si deve perdere neanche un minuto. Perché quanto accaduto ieri sera, con un altro naufragio e altri morti, dimostra che proprio davanti a una catastrofe ci troviamo. Per questo è desolante vedere che il dibattito sulle eventuali modifiche alla legge Bossi-Fini porta i politici, parlamentari e non, ad accapigliarsi come in una lite condominiale. Evidentemente senza capire che questa volta la sfida è molto più seria, e non può essere ridotta a una bassa polemica da campagna elettorale.

12 ottobre 2013
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FIORENZA SARZANINI

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_ottobre_12/prima-che-succeda-ancora-82bce81e-3301-11e3-b13e-20d7e17127ae.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Ecco i manager e i politici corrotti con i fondi neri»
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2013, 11:51:21 am
«Ecco i manager e i politici corrotti con i fondi neri»

Gli appalti truccati legati a Finmeccanica

Sabatino Stornelli, ex ad di Selex service managmentSabatino Stornelli, ex ad di Selex service managmentROMA - Soldi «in nero» ricavati con le sovrafatturazioni che servivano a finanziare la politica. Milioni di euro elargiti a parlamentari e manager grazie ai costi gonfiati degli appalti. Imprese «amiche» che dovevano vincere le gare, segnalate dagli stessi manager, ma anche dagli alti dirigenti dei ministeri coinvolti nei progetti. Sono soltanto alcune delle rivelazioni messe a verbale da Sabatino Stornelli, l’ex amministratore della «Selex service management» controllata da Finmeccanica, arrestato la primavera scorsa nell’ambito dell’inchiesta sul sistema di monitoraggio dei rifiuti, e di suo fratello Maurizio. E adesso le verifiche dei magistrati di Napoli e Roma si concentrano sui nomi e sulle circostanze contenute nei verbali che entrambi hanno riempito in questi mesi. Un lavoro effettuato in piena collaborazione tra i due ufficiali giudiziari, che avrebbe già consentito di trovare riscontro rispetto ad alcuni fatti narrati. E nei prossimi giorni potrebbe portare a nuovi e clamorosi sviluppi.

È il 18 aprile quando i due fratelli finiscono in carcere con l’accusa di corruzione, sospettati di aver gestito il giro di tangenti pagate per il Sistri, sistema satellitare di tracciabilità dei rifiuti costato oltre 400 milioni di euro e mai entrato in funzione. Gli uomini della Guardia di Finanza di Napoli guidati dal colonnello Nicola Altieri ricostruiscono il percorso dei soldi, individuano le aziende beneficiate da lavori in subappalto dal valore di milioni di euro che in realtà non hanno mai rispettato i contratti, identificano la «rete» dei funzionari di Stato che avrebbe consentito di snellire le procedure aggirando i controlli.

Qualche settimana dopo Sabatino e Maurizio Stornelli accettano di rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Rivelano quali ditte abbiano accettato la sovrafatturazione per creare le provviste illecite e tra gli altri indicano «le società che fanno capo a Nicola Lobriglio». Indicano i nomi dei politici destinatari delle tangenti e forniscono elementi e dettagli per consentire agli inquirenti di far scattare gli accertamenti sull’effettivo passaggio di denaro. E svelano come «per l’affare Sistri c’era l’interesse della “Gsp Holding” gestita da Giovanni Sabetti che in realtà è un uomo legato al senatore Sergio De Gregorio».

Una delle aziende maggiormente tenute in considerazione in questo sistema di assegnazione delle commesse è, secondo gli Stornelli, la Italgo di Anselmo Galbusera. «La videosorveglianza delle discariche - si legge in uno dei nuovi verbali - è stata subappaltata ad una società di Elsag Datamat gestita da Francesco Subbioni che a sua volta l’ha affidata ad Anselmo Galbusera con la Italgo. Italgo mi venne imposta da Lorenzo Borgogni e Luigi Bisignani. La società è gestita da Galbusera che fa capo a Bisignani».

Esattamente lo stesso schema utilizzato, secondo l’accusa, nel 2010 per l’assegnazione dell’appalto sulla sicurezza delle comunicazioni di palazzo Chigi: la Italgo associata alla Selex service Management, grazie alla mediazione di Bisignani, se lo sarebbe aggiudicato illecitamente in cambio di favori al capo dipartimento della Presidenza del Consiglio, il generale Antonio Ragusa. In particolare «l’assunzione del figlio in Finmeccanica e la concessione di alcuni subappalti a ditte che a lui facevano capo».


Tra le società che compaiono nell’indagine c’è anche la Micheli Associati spa che fa capo al finanziere Francesco Micheli, attuale vicepresidente dell’Abi. L’azienda figura infatti tra i soci della Italgo e secondo l’ex presidente del Poligrafico Roberto Mazzei, che di Bisignani è stato socio e amico, «Micheli è molto legato a Bisignani ed è socio di maggioranza di Italgo».

Altro capitolo che i magistrati stanno esplorando riguarda la gestione degli appalti da parte del Ministero dell’Ambiente. Secondo Stornelli alcune ditte da far lavorare «mi furono imposte dal direttore generale Luigi Pelaggi», già comparso anche nell’inchiesta sull’Ilva per i suoi rapporti con la famiglia. Anche su questo il manager ha fornito nomi e circostanze che vengono adesso esaminate, soprattutto tenendo conto che il dicastero doveva essere il supervisore del progetto Sistri, assicurandone il funzionamento. Nel 2009 si decise che il sistema dovesse essere protetto apponendo il segreto di Stato. Ufficialmente il provvedimento doveva servire ad agevolare le procedure. In realtà il sospetto è che quel vincolo sia stato utilizzato per aggirare i controlli.

I fratelli Stornelli sono anche accusati di aver ottenuto a prezzi stracciati numerose case di Propaganda Fide. Affitti che in alcuni casi non raggiungevano gli 80 euro mensili per dimore da sogno nei quartieri più esclusivi di Roma che erano stati assegnati a loro oppure a alle loro amanti. Ma su questo non hanno voluto fornire alcun elemento avvalendosi della facoltà di non rispondere.

27 novembre 2013
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FIORENZA SARZANINI

Da - http://www.corriere.it/cronache/13_novembre_27/ecco-manager-politici-corrotti-fondi-neri-a43e5264-572f-11e3-a452-4c48221dc3be.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I pm su Telecom: ostacolo alla Vigilanza
Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2013, 06:37:49 pm
Il passaggio delle quote dai grandi soci Telco a Telefonica e sulla cessione argentina
I pm su Telecom: ostacolo alla Vigilanza
L’inchiesta della Procura di Roma. Bernabè sentito come testimone: aveva già esposto i suoi dubbi nella lettera di dimissioni

L’ex amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè (Ansa)L’ex amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè (Ansa)

ROMA - L’interrogatorio come testimone di Franco Bernabè è il primo atto ufficiale di un’inchiesta che può avere sviluppi clamorosi. Perché le verifiche ordinate dai magistrati romani ipotizzano che per il passaggio delle quote in Telco relative al controllo di Telecom Italia e la cessione di Telecom Argentina, possa essere contestato il reato di ostacolo agli organi di Vigilanza. Esplorano la possibilità che ci sia stata un’intesa occulta tra i maggiori azionisti per favorire l’ascesa degli spagnoli di Telefonica e sfuggire ai controlli di chi ha invece il compito di esaminare la regolarità di ogni passaggio, prima fra tutte la Consob.

La versione fornita ieri al procuratore aggiunto Nello Rossi e al pubblico ministero Maria Francesca Loy dall’ex presidente, che si è dimesso proprio per esprimere la propria contrarietà all’operazione, diventa dunque snodo fondamentale dei nuovi accertamenti disposti dopo l’acquisizione avvenuta circa un mese fa della documentazione presso le sedi societarie e la stessa Consob. Sono almeno tre le «criticità» rilevate dagli inquirenti e dagli specialisti del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza riguardo a quell’accordo stipulato il 24 settembre scorso tra i soci di Telco (Assicurazioni Generali, Intesa San Paolo e Mediobanca) e Telefonica.

La prima riguarda l’aumento di capitale sottoscritto da Telefonica per 324 milioni di euro e destinato a ripianare i debiti bancari. E infatti ci si concentra sull’opzione di acquisto delle azioni al prezzo di 1,09 euro che rappresentava quasi il doppio del prezzo di mercato pari a 0,57. Ma anche sulla scelta di emettere azioni ordinarie di Telco di categoria C senza diritto di voto fino al 31 dicembre 2013 che Telefonica si è impegnata ad acquistare dai soci.

La seconda punta invece alle modalità di emissione dell’ormai famoso prestito convertendo da un miliardo e trecento milioni di euro sottoscritto dal fondo americano BlackRock. In particolare vengono ritenute «anomale» le modalità di collocamento, soprattutto nella parte delle informazioni ai sottoscrittori. I primi ad avanzare dubbi sono stati i piccoli azionisti di Asati che hanno evidenziato nel loro esposto alla Consob «un trattamento iniquo verso tutte le minorities a cui è stato strappato un diritto in anticipo, chiedendo a posteriori una approvazione in una assemblea straordinaria nella quale occorreranno i due terzi per arrivare al rigetto». I controlli effettuati dal Nucleo Valutario hanno fatto il resto, evidenziando il ruolo ancora non chiaro avuto da Telecom Finance Sa e la sottoscrizione del bond per 100 milioni dalla stessa Telefonica e per altri 200 milioni da BlackRock, nonostante inizialmente si fosse deciso di escludere gli Stati Uniti dal collocamento.

Il sospetto degli inquirenti, già espresso in due esposti presentati alla Consob dalla Findim di Marco Fossati e dall’Asati che rappresenta una parte dei piccoli azionisti, è che il patto abbia favorito l’ascesa di Telefonica in Telco, provocando un danno a Telecom e al mercato. Grazie a questi accordi la società spagnola avrebbe infatti ottenuto la maggioranza in Telco arrivando al 66% e riuscendo così a garantirsi la governance dell’azienda.

Il terzo capitolo che si sta approfondendo riguarda la vendita di Telecom Argentina a Fintech per 960 milioni di dollari con 860 milioni per la cessione delle azioni e altri 100 per affari collegati. Al centro delle verifiche c’è la congruità del prezzo per stabilire se sia vero quanto sostenuto dalle parti che hanno concluso l’affare circa il vantaggio economico per Telco. Il dubbio è che in realtà la vendita sia stata decisa soprattutto per favorire le richieste degli spagnoli di Telefonica che hanno numerosi interessi nello Stato sudamericano e rischiavano di avere problemi di antitrust se non avessero «alleggerito» la propria partecipazione azionaria in alcune società.

Era stato proprio Bernabè a sottolineare gli aspetti negativi dell’operazione prima nella sua lettera di dimissioni, poi durante un’audizione in Parlamento. Una posizione critica ribadita ieri di fronte ai magistrati e al colonnello del Nucleo Valutario Pietro Bianchi nel corso dell’interrogatorio durato oltre tre ore. Perché, come aveva evidenziato nella sua missiva, il presidente era favorevole ad avviare un percorso dell’aumento di capitale «ma non ho trovato il supporto dei soci riuniti in Telco», quindi «ho deciso di fare un passo indietro, non senza avere rappresentato al board la necessità di dotare la società dei mezzi finanziari necessari a sostenere una strategia di rilancio».

fsarzanini@corriere.it
20 dicembre 2013
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FIORENZA SARZANINI 108

Da - http://www.corriere.it/economia/13_dicembre_20/i-pm-telecom-ostacolo-vigilanza-eab6694a-693e-11e3-95c3-b5f040bb6318.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il fiscalista dei Camilliani lavorava per i servizi segreti
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2014, 04:06:46 pm
L’INCHIESTA della procura di Roma
Il fiscalista dei Camilliani lavorava per i servizi segreti

Avrebbe controllato la Began per conto degli 007.
L’ipotesi è che abbia ottenuto informazioni segrete utili per i suoi affari


Paolo Oliverio era un collaboratore dei servizi segreti. Il fiscalista arrestato per gli affari illeciti compiuti con l’ordine religioso dei Camilliani, ha collaborato per due anni con l’Aisi, l’agenzia per la sicurezza interna, all’epoca diretta dal generale Giorgio Piccirillo. È stato ingaggiato nel settembre 2009 per svolgere attività «coperta» senza retribuzione. Ed è stato aggregato alla sezione di intelligence economica. Ha dunque risvolti clamorosi e inquietanti la scoperta del suo archivio informatico che contiene dossier su politici, manager, 007, militari della Guardia di Finanza, personaggi dello spettacolo. Perché adesso bisognerà scoprire chi lo ha assoldato e soprattutto quale fosse la contropartita visto che non risulta aver ricevuto compensi in denaro. Alle verifiche della magistratura, si aggiungono quelle del Copasir, il Comitato parlamentare di controllo, che ha avviato un’indagine e ha già sollecitato chiarimenti ai vertici della struttura.

GLI EVASORI DI SAN MARINO - Il contatto tra il professionista (l’Ordine nazionale dei commercialisti smentisce che sia iscritto all’albo) e gli 007 avviene attraverso un funzionario di vertice nell’estate del 2009. Per accreditarsi e mostrare la propria affidabilità Oliverio consegna all’Aisi l’elenco degli italiani che hanno trasferito soldi a San Marino. L’informazione si rivela preziosa per l’intelligence , dunque si decide di portare avanti il rapporto. Ma qui sorgono i primi interrogativi. Perché Oliverio accetta di non guadagnare nulla? Che cosa riceve in cambio? È possibile che per questa collaborazione possa aver ottenuto una sorta di impunità, visto che al momento di essere «arruolato» aveva infatti alcune pendenze giudiziarie. Oppure - ed è questa l’altra ipotesi che dovrà essere esplorata - che anche lui abbia ottenuto informazioni riservate da utilizzare per i propri affari e interessi personali. Quanto emerso finora nell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Giuseppe Cascini e delegata agli investigatori della Guardia di Finanza guidati dal colonnello Cosimo De Gesù, accredita la possibilità che Oliverio abbia ricattato numerose persone. Non si può escludere che lo abbia fatto utilizzando anche notizie ricevute dagli 007. Del resto lui stesso si era accreditato come un agente segreto con numerosi interlocutori.

I RAPPORTI CON I PRELATI - È il superiore generale dei Camilliani Renato Salvatore - ancora in carcere per il finto sequestro dei suoi «oppositori» interni all’ordine religioso - a raccontarlo in una nota firmata dai suoi legali Massimiliano Di Parla e Annarita Colaiuda con la quale assicura di non aver avuto «alcuna consapevolezza dell’intreccio di relazioni con personaggi della politica, della criminalità, della finanza e dello spettacolo intessute da Oliverio». Aggiungono gli avvocati: «Oliverio era conosciuto in ambito ecclesiale, tanto da essere presentato all’Ordine dei Camilliani proprio nel corso di una cerimonia di intitolazione cardinalizia di una Basilica minore del centro storico di Roma. Venne accreditato non solo come titolare di un importante studio tributario di Roma, ma anche come alto ufficiale della Guardia di Finanza sotto copertura per il suo ruolo nell’ambito dei Servizi Segreti. Ruolo che lo stesso Oliviero si è preoccupato di avvalorare nel tempo presso l’Ordine dei Religiosi Camilliani, attraverso dichiarazioni, comportamenti e abitudini».

I VIAGGI DELLA BEGAN - Numerosi dossier trovati nell’archivio segreto custodito in una pen drive e nel computer sequestrati a Oliverio al momento della cattura sarebbero stati preparati proprio per essere consegnati agli 007. Nell’elenco c’è anche la pratica relativa a Sabina Began, l’«Ape Regina» di Silvio Berlusconi. Nell’informativa allegata agli atti si parla del «file 000488 denominato “visto Sabina Beganovic”, documento che riporta un apparente visto turistico rilasciato alla stessa Beganovic». Secondo alcune indiscrezioni si tratterebbe di appunti relativi a un’attività che sarebbe stata commissionata al fiscalista dai suoi referenti all’interno dell’Aisi. Chi decise di mettere sotto controllo la «preferita» del presidente del Consiglio? Il Copasir ha chiesto di sapere chi abbia proposto Oliverio al vertice dell’intelligence e chi fossero i suoi referenti, la natura degli incarichi a lui affidati e soprattutto la portata delle informazioni date e ricevute. Domande che nei prossimi giorni potrebbero porgli anche gli inquirenti.

10 gennaio 2014
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FIORENZA SARZANINI

Da - http://www.corriere.it/cronache/14_gennaio_10/fiscalista-camilliani-lavorava-servizi-segreti-2940e81a-79d0-11e3-b957-bdf8e5fd9e96.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Dai prof universitari ai dirigenti pubblici La truffa del...
Inserito da: Admin - Gennaio 26, 2014, 11:30:12 pm
Dai prof universitari ai dirigenti pubblici
La truffa del doppio lavoro in nero
Consulenze e prestazioni in conflitto con quelle statali: un danno da 8 milioni

ROMA - Professori e ricercatori universitari che accettano consulenze oppure ottengono incarichi in società private. Alti funzionari di enti pubblici che svolgono attività in concorrenza o in conflitto con i compiti assegnati loro dallo Stato. Enti locali, Motorizzazione civile, Agenzia delle Entrate, Asl: sono migliaia i dipendenti con il «doppio lavoro». Dirigenti o semplici impiegati che, spesso in orario d’ufficio, sono altrove e percepiscono compensi «in nero». È uno dei capitoli del rapporto annuale della Guardia di Finanza sugli sprechi della «spesa pubblica» a destare maggior allarme. Perché si tratta di un fenomeno in crescita che drena le casse dell’Erario. Grave, come quello relativo al settore degli appalti che ha ormai raggiunto livelli da record: le gare «truccate» hanno causato nell’ultimo anno un danno economico di oltre un miliardo e 300mila euro.

«Baroni» e doppio lavoro
Sono decine i professori universitari già accusati di aver ottenuto incarichi in collegi sindacali e commissioni collaudi, ma anche consulenze per la realizzazione di progetti per aziende e addirittura docenze in strutture private. Una grave incompatibilità che - secondo le prime stime - ha provocato un danno di circa otto milioni di euro. Ma nuove indagini sono tuttora in corso su un fenomeno che ha dimensioni ben più ampie e non riguarda soltanto questo settore. Su 1.346 verifiche effettuate negli enti pubblici sono stati scoperti ben 1.704 impiegati con un secondo lavoro, nella maggior parte dei casi retribuito «in nero» e le sanzioni amministrative hanno superato i 21 milioni di euro.
Nella lista c’è un dirigente tecnico di svariati Comuni che faceva l’ingegnere per alcune imprese edili percependo oltre 200mila euro, esattamente come un suo collega impiegato in una Regione che però di euro ne ha presi 600mila. E poi un funzionario della Motorizzazione che effettuava perizie per i privati e un dirigente dell’Agenzia delle Entrate che aveva aperto uno studio da commercialista assistendo clienti che spesso avevano bisogno proprio per le contestazione di evasione fiscale, infermieri delle Asl che in realtà lavoravano in cliniche private.

I «cartelli» di imprese
Grave è la situazione per quel che riguarda gli appalti pubblici. Aumentano i controlli e migliorano i risultati ottenuti con interventi di prevenzione, ma il livello di corruzione dei funzionari che gestiscono settori strategici per l’economia del Paese si mantiene su livelli altissimi. Quello dei lavori Pubblici è certamente uno dei settori di maggiore interesse per chi deve garantire la legalità visto che il volume d’affari stimato dall’Autorità di Vigilanza del 2012 è stato di circa 95 miliardi di euro, equivalente al 5,9 per cento del prodotto interno lordo. Ebbene, nell’ultimo anno sono stati arrestati o denunciati «657 soggetti responsabili di turbata libertà degli incanti e frode belle pubbliche forniture». Dato ancora più eclatante emerge dall’attività svolta dai finanzieri su delega della Corte dei Conti perché «i soggetti segnalati alla magistratura contabile sono 1.186 soggetti e i danni erariali connessi a procedure di appalto un miliardo e 300 milioni di euro». L’illecito più grave, secondo quanto emerge dalla relazione, riguarda la costituzione di «cartelli preventivi tra imprese» che riescono in questo modo a pilotare le gare, oltre naturalmente all’erogazione di mazzette a chi deve materialmente gestire le procedure di assegnazione.
«Altre forme di illegalità - sottolineano gli analisti della Finanza - attengono alla materiale esecuzione dei contratti. In tale fase si annidano frodi nelle pubbliche forniture, inadempienze dannose per la regolare erogazione dei servizi pubblici, indebiti abbattimenti dei costi dell’opera tramite il ricorso al lavoro nero e ingiustificati rialzi dei valori delle commesse durante l’esecuzione, volti unicamente a drenare denaro pubblico in misura superiore a quella originariamente stabilita. Una realtà che si somma ai fenomeni di ingerenza della criminalità organizzata che sfociano in condotte violente o in comportamenti più subdoli di condizionamento dei mercati, con il riciclaggio e il reimpiego di cospicue masse di denaro provento di reato».

Da nord a sud, le modalità per truccare le gare mostrano spesso grande creatività. A Brindisi gli investigatori della Finanza hanno scoperto un’organizzazione formata da imprenditori e funzionari di una Asl che si spartivano i lavori riuscendo a eliminare la concorrenza. «Il meccanismo - è specificato nel dossier - consisteva nell’apertura fraudolenta e successiva chiusura delle buste contenenti le offerte economiche delle ditte, da parte dei componenti delle commissioni di seggio, tutte presiedute dal medesimo dirigente dell’Ufficio Tecnico, prima della procedura finale e nella comunicazione alla ditta “amica” delle informazioni acquisite per consentirle di formulare l’offerta più idonea».

Molto più sofisticato il sistema utilizzato a Monza dai titolari di alcune imprese che sono riusciti a ottenere commesse per 260 milioni di euro: la mazzetta veniva pagata «ai funzionari incaricati di redigere i capitolati di appalto dei vari bandi». I requisiti inseriti erano talmente stringenti da far risultare vincitrice sempre la stessa impresa. Un meccanismo simile a quello utilizzato a Milano da un ex dirigente del Comune che ha «venduto» a un imprenditore disposto a versare tangenti quattro appalti relativi ai servizi per la gestione delle «Case vacanza extraurbane», strutture che generalmente vengono utilizzate per l’accoglienza dei bambini durante il periodo estivo.

In questi casi di cattiva gestione dei fondi pubblici rientrano certamente le frodi su risorse nazionali e all’Unione europea, che possono causare gravi danni all’Italia soprattutto per quanto riguarda l’immagine internazionale. Perché anche nel 2013 si conferma altissima l’entità dei finanziamenti ottenuti per realizzare progetti in realtà inesistenti o comunque dal valore molto inferiore rispetto a quello dichiarato. Il bilancio finale parla di «indebite percezioni o richieste di fondi pubblici destinate al sostegno delle imprese pari a un miliardo e 400 milioni di euro».

Di questi, quasi un terzo provengono dall’Ue. «L’attività ispettiva della Guardia di Finanza - è scritto nella relazione annuale - ha consentito di individuare oltre 433 milioni di euro di provvidenze comunitarie indebitamente percepite o richieste riferibili a due settori di contribuzione: le Politiche agricole e i Fondi strutturali, nonché di segnalare all’autorità giudiziaria 793 soggetti per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato».

26 gennaio 2014
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FIORENZA SARZANINI

DA - http://www.corriere.it/cronache/14_gennaio_26/dai-prof-universitari-dirigenti-pubblici-truffa-doppio-lavoro-nero-26da2320-865a-11e3-a3e0-a62aec411b64.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’arresto della dama bianca e la talpa che protegge i vip
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2014, 10:37:09 am
Retroscena -
Registi del traffico di droga e acquirenti ora sanno dei controlli
L’arresto della dama bianca e la talpa che protegge i vip
Qualcuno ha svelato l’esistenza dell’inchiesta

di Fulvio Bufi Fiorenza Sarzanini

ROMA - C’è l’ombra di una talpa sullo sfondo dell’operazione antidroga che giovedì ha portato all’arresto, all’aeroporto di Fiumicino, di Federica Gagliardi, e al sequestro di 24 chili di cocaina che la bionda accompagnatrice di Berlusconi in alcuni viaggi del 2010, quando era premier, aveva trasportato dal Venezuela. E non una talpa che ha favorito gli investigatori spifferando la dritta giusta, ma che, al contrario, li ha danneggiati rischiando di pregiudicare un’indagine sul traffico internazionale di stupefacenti che sicuramente ha dimensioni vastissime e potrebbe svelare coinvolgimenti altissimi.

Infatti non tutto è andato come avrebbe dovuto, tre giorni fa a Fiumicino. Non come avrebbero preferito in Procura a Napoli, dove l’indagine è condotta dalla Direzione distrettuale antimafia. Quest’ultimo particolare, l’esistenza dell’inchiesta, non sarebbe dovuto diventare di dominio pubblico. Se l’arresto di Federica Gagliardi e il sequestro della droga fossero apparsi casuali (cosa comprensibilissima, visto che la donna trasportava quell’enorme quantitativo in un trolley e in uno zainetto, senza nessun tentativo di occultamento) non avrebbe creato allarme tra i molti - e pare anche molto potenti - che potrebbero essere coinvolti nel giro. Chi aveva investito il suo capitale in quel carico (almeno cinque milioni di euro, che in dollari diventano quasi sette) ci avrebbe rimesso pesantemente, ma nessuno avrebbe avuto la certezza di essere finito nel mirino degli investigatori. E quando chi è indagato non sa di esserlo, è facile che si tradisca, che porti involontariamente gli investigatori sempre più avanti. Al contrario, la consapevolezza di una inchiesta induce alla prudenza, a non usare i telefoni, a interrompere ogni contatto.

E probabilmente era proprio questo lo scopo di chi ha voluto far trapelare la notizia che l’arresto di Federica Gagliardi era avvenuto nell’ambito di un più vasto lavoro investigativo della Dda napoletana, che ha delegato le indagini alla Guardia di Finanza. Chi possa essere questa talpa è per ora un mistero. Ma non si può escludere che abbia a che fare, direttamente o indirettamente, con la copertura sulla quale la Gagliardi riteneva di poter contare per passare indenne i controlli a Fiumicino. Così come li aveva passati a Caracas al momento dell’imbarco, dove pure qualcuno deve averla aiutata a non far bloccare quelle due borse che a un semplice scanner potevano anche sembrare piene di panetti di esplosivo al plastico, visto come era stata confezionata la cocaina. Non si può invece escludere che i destinatari dell’informazione che la talpa ha veicolato fossero non solo, e non tanto, i clan camorristici che potrebbero essere dietro al traffico di droga, ma i non pochi insospettabili che, a quanto emergerebbe dalle indagini, erano interessati al carico portato in Italia da Federica Gagliardi. Che era molto ben inserita in una «rete» di politici, imprenditori e uomini d’affari, un giro in cui molti potrebbero essere interessati anche alla sua attività di corriere della droga.

Certamente la Gagliardi era stata ingaggiata per questo viaggio da un broker, un mediatore internazionale del traffico di stupefacenti. Gli investigatori ritengono anche di averlo già individuato, e anche lui potrebbe rivelarsi un canale per arrivare ancora più in alto.
Poi bisognerà capire quale sarà l’atteggiamento della donna quando sarà interrogata dai magistrati napoletani. Per ora resta a disposizione dell’autorità giudiziaria di Civitavecchia dove in tempi rapidi (bisogna aspettare solo il deposito delle perizie tecniche che documentino ufficialmente che i panetti sequestrati sono di cocaina) sarà processata per traffico internazionale di droga. Colta in flagranza di reato non potrà che essere condannata. E rischia almeno dieci anni di carcere.

16 marzo 2014 | 09:17
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_16/arresto-dama-bianca-talpa-che-protegge-vip-ab218098-ace2-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il marito della Mussolini rischia il giudizio immediato
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2014, 06:20:05 pm
L’inchiesta

Parioli, una delle prostitute minorenni: trattate come macchine
Lunedì gli interrogatori dei clienti accusati di essere al corrente dell’età delle ragazze.
Il marito della Mussolini rischia il giudizio immediato

di FIORENZA SARZANINI

Adesso Mauro Floriani rischia il giudizio immediato. L’indagine nei confronti del marito dell’onorevole Alessandra Mussolini, che ha ammesso di aver avuto rapporti sessuali a pagamento con una delle due minorenni romane sia pur negando di essere consapevole della sua età, potrebbe chiudersi entro qualche settimana con il processo. Le verifiche sul suo ruolo sono ormai terminate. Come lui, pure altri clienti potrebbero finire entro breve davanti al tribunale. Ma l’inchiesta non è affatto conclusa. Lunedì cominceranno gli interrogatori di almeno una decina di uomini rintracciati attraverso intercettazioni telefoniche e tabulati. Anche loro indagati per sfruttamento della prostituzione per aver frequentato l’appartamento dei Parioli a Roma, dove Angela e Aurora - così si facevano chiamare - prendevano dai 100 ai 300 euro a prestazione. Ragazzine gestite da «sfruttatori» adulti, ma talvolta anche autonome nel rispondere alle richieste di chi le aveva contattate dopo aver letto il loro annuncio «postato» sul sito internet «bakekaincontri».

Il figlio del parlamentare
Il contatto con Floriani è stato diretto con la quindicenne. Lo hanno individuato ascoltando le conversazioni sul cellulare di una delle due ragazze e la prossima settimana anche il figlio di un parlamentare del centrodestra dovrà difendersi dall’accusa infamante di aver sfruttato le minorenni. Esattamente come il vicecapo Dipartimento informatica di Bankitalia Andrea Cividini e tutti gli altri clienti nei confronti dei quali il procuratore aggiungo Maria Monteleone e il sostituto Cristiana Macchiusi ritengono di aver ottenuto elementi «incontrovertibili» circa la loro consapevolezza che si trattasse di «under 18».

Al termine di questa verifica e tenendo conto della difesa, si deciderà se sollecitare per ognuno la trasmissione degli atti al tribunale. L’ipotesi che sembra prendere corpo è quella di non celebrare un unico processo, ma agevolare processi singoli che abbiano dunque anche un clamore mediatico di impatto meno elevato. L’obiettivo rimane infatti quello di proteggere al massimo l’identità delle ragazzine e fare sì che questa vicenda si chiuda per loro prima possibile, in modo da poter tornare a una vita normale. Anche tenendo conto che le due giovani sono tuttora ospitate in strutture «protette», anche se hanno ricominciato a frequentare la scuola.

Le paure delle coetanee
Sono state le stesse ragazzine, interrogate dal giudice il 5 febbraio scorso in sede di incidente probatorio proprio per evitare che debbano poi partecipare a un eventuale dibattimento pubblico, a raccontare di aver chiesto agli sfruttatori di non incontrare ragazzi troppo giovani, «per il fatto che magari li potevamo conoscere. Cioè, tipo di 18, 20 anni no. Questa era l’unica nostra preferenza. Io ai clienti dicevo di avere 18 anni, anche se mi è capitato che qualche cliente mi dicesse, vedendo le forme, “ma sei sicura? Sembri più grande”. Noi più che altro ci mettevamo i tacchi e ci vestivamo più elegante possibile per sembrare più grandi - hanno proseguito -. Quando poi abbiamo visto che ad alcuni clienti non gliene fregava niente, ci vestivamo normali. Ci truccavamo, ma in modo normale. Io mi ero fissata in testa come se avessi proprio 18 anni, dentro di me non avevo più 15 anni, facevo come mi pareva». E poi, parlando di Mirko Ieni, che aveva affittato l’appartamento e organizzava gli incontri: «Ci pressava e ci condizionava, ci trattava un po’ come delle macchine, per lui dovevamo esserci sempre, tutti i giorni, non voleva perdere i soldi, diceva che gli servivano i soldi per varie cose. Perché alla fine noi due eravamo l’unica sua fonte di guadagno».

15 marzo 2014 | 08:06
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_15/parioliuna-prostitute-minorenni-ci-trattavano-come-macchine-cfe664d2-ac0d-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Spending review «Un piano per tagliare 200 commissariati»
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2014, 11:49:43 pm
Spending review
«Un piano per tagliare 200 commissariati»
La protesta delle forze dell’ordine: sicurezza a rischio.
«Stop al blocco degli stipendi»

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA — Esiste un piano segreto «che prevede tagli molto più pesanti di quelli annunciati». La denuncia arriva dal Sap, il sindacato autonomo di polizia, e riguarda almeno 200 commissariati che potrebbero essere chiusi nei prossimi due anni. Rilancia dunque i timori per le «gravi conseguenze in questo settore» causate dalla spending review voluta dal governo. Rischi per la sicurezza confermati dal comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo che nella relazione depositata due giorni fa presso la commissione Finanze del Senato evidenzia le criticità e avverte: «Tra il 2009 e il 2013 sono stati chiusi 72 reparti e risparmiati oltre 15 milioni di euro, ma è necessario mantenere inalterate le potenzialità del dispositivo operativo per corrispondere al meglio alle crescenti istanze di equità della società civile che passano anche attraverso un sempre più efficiente contrasto all’evasione ed elusione fiscale, alle frodi e alle altre forme di criminalità economica e finanziaria».

Mentre la “base” delle forze dell’ordine protesta e chiede anche lo sblocco degli stipendi, i vertici mettono in guardia dalla possibilità che un progetto non articolato di riduzione di mezzi e uomini possa far abbassare il livello di attenzione. Non a caso il generale Capolupo sottolinea i dati ottenuti dalle Fiamme Gialle nel 2013 —«recupero di 55 miliardi di euro di evasione fiscale, sequestri per 4,5 miliardi di danno erariale e rientro di 5 miliardi per gli sprechi nella spesa pubblica» — e ricorda come «il progetto di ottimizzazione delle risorse dovrà servire a migliorare con una tecnologia più avanzata l’attività di contrasto all’immigrazione clandestina e ai traffici illeciti via mare». Del resto nel novembre scorso era stato il capo della polizia Alessandro Pansa a lanciare l’allarme: «Non è pensabile che noi possiamo offrire lo stesso servizio di sicurezza al cittadino che offrivamo qualche anno fa, con 15 mila poliziotti, 15 mila carabinieri e migliaia di finanzieri in meno. E con la riduzione delle risorse. È pacifico che in questo momento noi stiamo offrendo un servizio di sicurezza inferiore al passato».

Quattro mesi sono trascorsi e ben più grave è il “taglio” che viene sollecitato. Il progetto già trasmesso a prefetti e questori che per legge devono esprimere il proprio parere prevede la chiusura di 267 presidi con una diminuzione di almeno 40mila uomini in due anni. E potrebbe non essere sufficiente. Secondo il segretario nazionale del Sap Gianni Tonelli «la mannaia si sta per abbattere adesso su circa 200 commissariati cittadini e sullo stop totale alle assunzioni che ci porterà in due anni ad avere 60.000 operatori in meno tra tutte le forze dell’ordine».

Il Viminale smentisce, assicura che «i commissariati a rischio sono soltanto undici». Ma si tratta di una versione che non appare convincente anche perché nella richiesta di parere trasmessa alle prefetture viene evidenziato come «ogni eventuale variante comporta necessariamente una ineludibile rivisitazione dell’intero progetto». Un invito più che esplicito a non esprimere parere contrario tanto che il Sap ha già chiesto di «invalidare la procedura visto che il giudizio espresso è chiaramente non libero».

Anche sulle retribuzioni si è aperta la battaglia. Il blocco degli stipendi deciso nel 2011 ha infatti causato la situazione paradossale per cui «due funzionari di polizia o ufficiali dell’Arma o della Finanza a parità di grado e funzioni svolte posso percepire una busta paga diversa: quello promosso, ma sottoposto a blocco stipendiale, guadagna meno rispetto a quello promosso prima del blocco che svolge la sua stessa funzione». Ma ancor più assurda è la situazione che porta a far guadagnare un sottoposto più del superiore se quest’ultimo, proprio per effetto del blocco, non ha potuto godere degli aumenti previsti in situazioni di normalità. «In questo modo — avvertono i rappresentanti delle forze dell’ordine — viene meno il principio fondamentale per cui il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della propria attività, ma soprattutto si azzera la meritocrazia con evidenti conseguenze anche sul rendimento operativo».

21 marzo 2014 | 07:40
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_marzo_21/piano-tagliare-200-commissariati-66d16636-b0c2-11e3-b958-9d24e5cd588c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Inchiesta sulla casa Tremonti patteggia e versa 40 mila euro
Inserito da: Admin - Aprile 02, 2014, 10:36:17 pm
Accordo sull’abitazione messa a disposizione da Milanese
Inchiesta sulla casa, Tremonti patteggia e versa 40 mila euro
L’ex ministro: «Pago per chiudere il caso»

di FIORENZA SARZANINI

Ha chiesto il patteggiamento per evitare il processo. E l’intesa con il pubblico ministero è stata raggiunta. Giulio Tremonti pagherà 40 mila euro per uscire dall’inchiesta sulla casa di via Campo Marzio a Roma che il suo consigliere politico Marco Milanese gli aveva messo a disposizione. Quattro anni dopo aver abbandonato l’appartamento che gli costò l’accusa di finanziamento illecito, l’ex Ministro dell’Economia sceglie il rito alternativo e sigla con il sostituto procuratore Paolo Ielo l’accordo che dovrà adesso essere ratificato dal giudice. E’ la fine di un caso che certamente ha segnato la sua carriera politica, ma anche la sua storia personale. E, come spiega lui stesso, «è proprio l’aspetto che riguarda la mia famiglia, oltre al rispetto che ho per la magistratura, ad avermi convinto dell’opportunità di pagare la pena pecuniaria e chiudere la vicenda».

L’indagine avviata dai magistrati di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli risale al 2011. Nel mirino ci sono gli affari siglati da Milanese, gli appalti che avrebbe agevolato quando - dopo essersi congedato dalla Guardia di Finanza - andò a lavorare presso il dicastero di via XX settembre, il suo legame con il costruttore Angelo Proietti che si occupò della ristrutturazione dell’appartamento e che - questo il sospetto degli inquirenti - lo avrebbe fatto per avere in cambio lavori e commesse della Sogei, la Società generale di informatica, controllata dall’Economia. Proprio esplorando i suoi contatti si scopre che ha ottenuto in affitto due appartamenti dal «Pio Sodalizio dei Piceni». A che titolo? Proietti viene interrogato e dichiara: «Fui io a far avere a Milanese un piccolo appartamento e poi lui prese anche quello di via Campo Marzio. Poiché doveva essere ristrutturato fissai il costo dei lavori in 200 mila euro e quella cifra riuscii a fargliela scalare dal canone. In realtà la ristrutturazione mi costò circa 50 mila euro, ma la feci a titolo gratuito».

Il contratto di affitto viene siglato nel 2009, ma un anno dopo quella casa viene messa a disposizione di Tremonti. Lui dice di aver accettato l’ospitalità del suo collaboratore, Milanese lo smentisce. Nell’estate 2011, di fronte alla giunta della Camera che doveva pronunciarsi sulla richiesta di arresto inoltrata nei suoi confronti dai magistrati partenopei, quest’ultimo racconta che Tremonti gli ha rimborsato ogni mese 4.000 euro in nero fino all’estate del 2011 quando le polemiche lo convinsero dell’opportunità di andare via. E qui c’è la contraddizione più evidente: se Proietti dice di non aver ricevuto il canone, chi ha intascato il denaro? Possibile che sia stato proprio il consigliere politico? Sospetti che Milanese cerca di sviare un anno fa quando invia una lettera a Tremonti chiedendogli la restituzione della somma versata «sino al mese di aprile 2012 quando ha provveduto al pagamento dell’intero importo».


Accuse, contraccuse, veleni che alla fine hanno persuaso Tremonti - assistito dagli avvocati Grazia Volo e Pier Maria Corso - a cercare l’accordo con la procura, che si dichiara favorevole proprio perché in questo modo dimostra la bontà del proprio impianto. E così sono stati fatti i conti. Per il finanziamento illecito la pena prevista era di 9 mesi più 21 mila euro di multa, che scendono a 6 mesi e 14 mila euro con la concessione delle attenuanti e a 4 mesi e 10 mila euro con lo sconto previsto quando si sceglie il rito alternativo. Calcolando che per ogni giorno bisogna versare 250 euro si raggiungono così i 30 mila da sommare all’ammenda.

2 aprile 2014 | 08:06
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_aprile_02/inchiesta-casa-tremonti-patteggia-versa-40-mila-euro-f974da50-ba2b-11e3-9050-e3afdc8ffa42.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «L’applauso non era contro Aldrovandi» Il Sap chiede scusa..
Inserito da: Admin - Maggio 05, 2014, 11:42:27 pm
«L’applauso non era contro Aldrovandi» Il Sap chiede scusa a Napolitano
«Siamo stati travisati»: ma il sindacato della polizia è isolato

di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Adesso il Sap fa marcia indietro e chiede scusa. Travolto dalle polemiche per quell’applauso agli agenti condannati per aver ucciso Federico Aldrovandi, il segretario del sindacato autonomo di polizia Gianni Tonelli invia una lettera «di ammenda pubblica» al capo dello Stato. Un modo per cercare di abbassare i toni dello scontro, ma soprattutto per tentare di allontanare da sé e dagli iscritti l’accusa di aver «disonorato la divisa», sottolineata anche dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. E per questo nel plico spedito al presidente Giorgio Napolitano - che aveva scritto una lettera alla mamma del ragazzo definendo «indegna» la vicenda - inserisce anche «la registrazione di tutto l’evento per dimostrare che l’applauso dura appena 38 secondi», ma soprattutto che «non è in alcun modo riconducibile alla tragica morte del giovane e al dolore della famiglia verso la quale nutriamo sinceri sentimenti di deferente rispetto».

La spaccatura
Sono trascorsi due giorni dalla riunione dei delegati in un hotel di Rimini e la tensione per quanto è accaduto non si è ancora sopita. Soprattutto non è passata l’emozione per il dolore di Patrizia Moretti, la mamma di Federico, che ha mobilitato lo Stato e continua a chiedere che non possa più succedere quello che lei e la sua famiglia hanno dovuto subire. Non a caso gli altri sindacati maggioritari hanno preso le distanze dal Sap e lo stesso hanno fatto il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il capo della polizia Alessandro Pansa incontrando la donna mercoledì pomeriggio al Viminale e promettendo modifiche normative che in futuro possano consentire di impedire il rientro in servizio di chi viene condannato per gravi reati.

Ieri è intervenuto nuovamente sul caso il segretario della Silp-Cgil Daniele Tissone per ribadire che «una cosa è difendere i diritti dei lavoratori in relazione agli strumenti dati dalla nostra Costituzione, dallo sblocco contrattuale al ripristino degli automatismi individuali, altra cosa è una deriva corporativa che non rende giustizia alle migliaia di donne e uomini in divisa che con sacrificio svolgono correttamente il proprio dovere». Mentre Felice Romano del Siulp e Lorena La Spina dell’Associazione Funzionari pur negando «una spaccatura all’interno della polizia perché quanto accaduto a Rimini va ascritto solo alle persone presenti», ripetono che «l’istituzione è e resta sana, efficiente e sempre pronta a servire il Paese».

«Travisate le nostre azioni»
Di fronte a un isolamento evidente, i vertici del Sap hanno deciso di rivolgersi direttamente a Napolitano per chiedere una «riabilitazione» perché, scrive Tonelli, «la sua autorevole e perentoria censura rappresenta per la mia persona un marchio di infamia e un fardello di vergogna e sofferenza dai quali non riuscirò mai ad affrancarmi». In realtà nella missiva il segretario del Sap sostiene che «le nostre azioni sono state artatamente travisate» e spiega che «l’applauso incriminato si è sviluppato spontaneamente al termine della presentazione di una campagna di “verità e giustizia” in favore di tutti i colleghi che tutti i giorni sulle strade con dedizione, professionalità e mal corrisposti, chiedono solamente di poter tutelare i diritti dei cittadini, la legalità, la pacifica convivenza e l’ordine costituzionale».
Nei prossimi giorni il problema legato ai procedimenti disciplinari nei confronti dei poliziotti condannati con sentenza definitiva sarà nuovamente affrontato dal prefetto Pansa che si è impegnato affinché si arrivi a una modifica del regolamento di disciplina. In particolare per quanto riguarda i reati di natura colposa, di fronte ai quali non è possibile al momento adottare alcun provvedimento relativo al licenziamento. L’intenzione espressa dal capo della polizia al momento dell’insediamento era quella di individuare alcuni comportamenti gravi che fossero puniti con il massimo della sanzione. Un’iniziativa che comunque dovrebbe rientrare in una revisione più generale delle regole relative ai cortei e dunque anche alle modifiche di legge che consentano di poter intervenire in maniera più incisiva contro i manifestanti violenti.

3 maggio 2014 | 06:50
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_03/applauso-non-era-contro-aldrovandi-sap-chiede-scusa-napolitano-22106358-d27d-11e3-8ae9-e79ccd3c38b8.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ambasciatore arrestato per pedofilia, i bambini: «Ci ha ...
Inserito da: Admin - Maggio 05, 2014, 11:57:37 pm
Il caso di Daniele Bosio

Ambasciatore arrestato per pedofilia, i bambini: «Ci ha aiutato a lavarci»
Chiuso in una cella di 30 mq con altre 80 persone, il diplomatico ha mobilitato parenti, amici, associazioni benefiche per cercare di dimostrare di «essere innocente

di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Ha mobilitato parenti, amici, associazioni benefiche per cercare di dimostrare di «essere innocente». E ha tentato di ottenere ascolto anche alla Farnesina. Ma la posizione del Ministero degli Esteri è ferma: rispetto delle decisioni dei giudici locali. E dunque la sorte di Daniele Bosio, l’ambasciatore del Turkmenistan arrestato il 5 aprile scorso a Binyan nelle Filippine con l’accusa di violazione della legge che tutela i minori e poi sospeso dall’incarico, resta legata al provvedimento che sarà preso nei prossimi giorni dal presidente della Corte. Il nodo da sciogliere rimane al momento legato alla sede processuale. Soltanto dopo aver risolto questo problema si arriverà alla formalizzazione delle accuse e all’eventuale rinvio a giudizio.

Le pressioni sui giudici
I tempi non saranno brevi. Finora ci sono state due udienze e all’ultima, il 30 aprile scorso, Lily Flordelis, 56 anni, responsabile dell’organizzazione «Bahay Tuluyan Foundation» che si occupa di tutela dell’infanzia, ha depositato un’istanza per far trasferire l’inchiesta a Manila. Motivo: pressioni forti esercitate sui giudici e sui testimoni. Fu proprio lei, insieme alla vicedirettrice della Ong, a presentare denuncia contro Bosio dopo averlo sorpreso in una piscina del resort «Splash Island» con tre bambini di 9, 10 e 12 anni. E adesso chiede al ministro della Giustizia di voler «tutelare» la genuinità del processo. In una lettera trasmessa il 12 aprile ha affermato: «Ci sono le basi per credere che ci sia parzialità di giudizio da parte del Procuratore Capo Agripino Baybay III, ragioni che non possono essere svelate qui per ragioni di sicurezza» facendo poi riferimento a «pressioni esercitate anche dal pool di legali». Un’accusa respinta dall’avvocato italiano Elisabetta Busuito che per questo aveva chiesto alla Farnesina di intervenire.

«Ho fatto il bene dei bambini»
La prima fase d’indagine è conclusa. La polizia ha interrogato le due donne dell’associazione e i tre minori. I verbali dei bimbi sono stati pubblicati qualche giorno fa sul blog del giornalista Pio D’Emilia. Hanno confermato di essere stati avvicinati dal diplomatico «mentre facevamo l’elemosina e ci ha chiesto se volevamo divertirci un po’» e di essere stati portati «prima da McDonald’s a mangiare e poi nella sua casa perché eravamo sporchi... Ci ha detto di fare una doccia perché eravamo troppo sporchi per andare in giro. Ci ha aiutato a lavarci».

Bosio ha sempre giurato di essere «innocente», attraverso familiari e difensori continua a ripetere di aver sempre fatto «il bene dei bambini come testimoniano centinaia di persone che porterò davanti al giudice quando mi sarà concessa la possibilità di difendermi». E secondo l’avvocato Busuito «la prova che non c’è stato alcun abuso è la testimonianza degli stessi bambini quando hanno negato di aver subito violenza».

In una cella da 30 metri quadri con 80 persone
In realtà la legge filippina punisce chiunque si accompagni a minori e tra le contestazioni che hanno portato all’arresto dell’ambasciatore c’è anche quella di non aver chiesto alcun permesso ai genitori per portare via i bambini. Anche perché i giudici filippini non hanno ritenuto convincente la giustificazione di Bosio sulla sua volontà di «far divertire i bambini portandoli al parco».

A poche ore dalla cattura Bosio era stato liberato, sia pur con l’obbligo di rimanere a Binyan. Provvedimento revocato il giorno dopo, quando è stato trasferito nel carcere locale. L’avvocato conferma che si trova «in una cella da 30 metri quadri con altre 80 persone, dove non ci sono letti né servizi igienici sufficienti». «Non ci sarà alcun trattamento di favore», aveva assicurato il capo della polizia. E adesso si attende la decisione del giudice sulla sede processuale.

3 maggio 2014 | 07:28
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_03/diplomatico-arrestato-filippine-battaglia-processo-0176ff5a-d280-11e3-8ae9-e79ccd3c38b8.shtml


Titolo: L’archivio di Scajola sotto sequestro I pm il politico è socialmente pericoloso.
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2014, 04:58:02 pm
Migliaia di fascicoli su politici e favori
L’archivio di Scajola sotto sequestro
Per i pm il politico è «socialmente pericoloso»
S’indaga su movimenti bancari per milioni di euro


Di Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini

Decine di raccoglitori catalogati per nome e per argomento. Documenti riservati, veri e propri dossier che l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola custodiva nei propri studi di Roma e Imperia oltre che a Villa Ninnina, la lussuosa dimora ligure a Diano Calderina. È l’archivio messo sotto sequestro dagli investigatori della Dia per ordine dei pubblici ministeri di Reggio Calabria. Non è l’unico. In una cantina della segretaria di Amedeo Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, sono state trovate migliaia di carte che dovranno essere adesso analizzate. Materiale prezioso per l’inchiesta che ha portato in carcere Scajola e tutte le persone che negli ultimi mesi hanno protetto e agevolato - secondo l’accusa - la latitanza di Matacena, l’ex deputato di Forza Italia condannato a cinque anni di pena per complicità con la ‘ndrangheta. Le verifiche si concentrano poi sulle movimentazioni bancarie, per ricostruire i flussi finanziari che avrebbero consentito a Scajola e agli altri di mettere in sistema il «programma criminoso», come lo hanno definito i magistrati motivando la scelta di indagarli anche per concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare emergono alcuni trasferimenti di denaro, considerati sospetti, effettuati da Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare riparato a Dubai.

Scajola «socialmente pericoloso»
Nella loro richiesta di cattura gli inquirenti - il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, il sostituto Giuseppe Lombardo e il pm nazionale antimafia Francesco Curcio - evidenziano come le risultanze investigative «costituiscono uno spaccato di drammatica portata, in grado di enfatizzare la gravità “politica” del comportamento penalmente rilevante consumato da Scajola, il cui disvalore aumenta a dismisura proprio nel momento in cui lo si mette in correlazione al delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso posto in essere da Matacena, da considerare la manifestazione socio-criminale più pericolosa per uno Stato di diritto che un ex parlamentare ed ex ministro dell’Interno dovrebbe avversare con tutte le sue forze e che, invece, consapevolmente sostiene, agevola, rafforza».

Al momento di sollecitare l’arresto preventivo chiedono che sia disposto il trasferimento in carcere per due motivi: «Da un lato l’obiettiva gravità dei fatti reato e dall’altro la evidente pericolosità sociale dei prevenuti, quali risultano dall’estremo allarme riconnesso a condotte delittuose poste in essere in modo programmato». Tutto questo, aggiungono, «non solo è essenziale alla conservazione ed al rafforzamento della capacità di intimidazione che deriva dal vincolo associativo che caratterizza l’organizzazione di tipo mafioso a favore della quale il contributo consapevole di Matacena è stato prestato, ma si pone come ineludibile passaggio al fine di evitare o, comunque, arginare l’espansione in ambiti imprenditoriali e politici delle consorterie criminali di tipo mafioso, potenzialmente in grado di condizionare in modo irreversibile tali ambiti decisionali ed operativi». E concludono: «Tale giudizio negativo, che si riflette inevitabilmente in termini di concretezza e specificità anche sulla valutazione del pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose, risulta rafforzato dalla capacità criminosa degli indagati».

Le carte riservate
Sono migliaia i documenti che Scajola conservava seguendo un metodo che gli investigatori definiscono «maniacale». Riguardano politici, imprenditori, personaggi con i quali ha avuto a che fare nel corso della sua lunga e intensa attività. Ma anche affari, viaggi, richieste di interventi, raccomandazioni. Qualche settimana fa, nell’ambito di un’inchiesta che riguarda il porto d’Imperia, i magistrati della Procura locale gli avevano sequestrato materiale riservato risalente all’epoca in cui era ministro dell’Interno. Comprese alcune relazioni su Marco Biagi. In quell’occasione si trattò di una ricerca mirata. Giovedì scorso, invece, gli inquirenti calabresi hanno deciso di portare via l’intero archivio, alla ricerca di ogni elemento utile a sostenere l’accusa più grave. Non solo lì.

Quando sono arrivati nell’abitazione sanremese della segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, gli agenti della Dia hanno scoperto che la donna aveva la disponibilità anche di una cantina. E in esecuzione dell’ordine dei magistrati che prevedeva la verifica «delle pertinenze e dei locali annessi a tutti gli immobili», alla ricerca degli indizi necessari a «ricostruire la genesi e la natura dei rapporti tra i soggetti sottoposti a indagini», hanno deciso di controllarla. Senza immaginare di poter trovare tanto materiale. Nello scantinato c’erano infatti - pure in questo caso classificati in faldoni - molti documenti relativi all’attività dell’ex parlamentare condannato.

Movimenti per milioni di euro
Un intero capitolo della richiesta d’arresto è dedicato ai «riscontri economico-finanziari» che i pubblici ministeri ritengono di aver trovato all’ipotesi accusatoria. Sono elencate decine di movimentazioni bancarie che ora gli indagati saranno chiamati a chiarire. In particolare sui conti di Chiara Rizzo risultano trasferimenti di denaro di vari importi. Alcuni molto consistenti, come quello del 15 luglio 2009 per 952.000 euro; oppure quello da 270.000 euro effettuato nel 2010 attraverso la Compagnie Monegasque de Banque - Principato di Monaco, Paese nel quale la signora Matacena ha spostato la residenza.

Sotto osservazione è finito pure il patrimonio della madre del condannato, anch’essa indagata nell’inchiesta calabrese e ora agli arresti domiciliari, con particolare attenzione agli spostamenti di soldi tra l’Italia e l’estero.

12 maggio 2014 | 08:25
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DA - http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_12/migliaia-fascicoli-politici-favori-l-archivio-scajola-sotto-sequestro-ba0da292-d999-11e3-8b8a-dcb35a431922.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Fascicoli nell’archivio segreto di Scajola
Inserito da: Admin - Maggio 22, 2014, 05:42:50 pm
Il caso
Fascicoli su Tangentopoli e le Br nell’archivio segreto di Scajola
Una lettera smentisce la versione dell’ex ministro sulle minacce a Biagi


Di FIORENZA SARZANINI

Documenti classificati, atti riservati, appunti manoscritti sulle vicende che hanno segnato il suo incarico di ministro dell’Interno, ma anche la storia giudiziaria degli ultimi anni da Tangentopoli ai più recenti attentati firmati dalle Brigate Rosse. Tra le centinaia di carte trovate dalla Guardia di Finanza nell’archivio di Claudio Scajola, affidato al suo segretario Luciano Zocchi e a uno 007 del servizio segreto militare, c’erano anche scritti che svelerebbero un ruolo ben diverso da quello finora emerso nelle indagini sulla mancata scorta al professor Marco Biagi.

Nel fascicolo trasmesso dalla Procura di Roma ai colleghi di Bologna ci sarebbe infatti la lettera di un politico vicino allo stesso Biagi, spedita al Viminale pochi giorni prima dell’attentato delle Brigate Rosse del 19 marzo 2002 per caldeggiare l’assegnazione del dispositivo di protezione evidenziando la serietà della minaccia. La missiva risulterebbe «vistata» da Scajola che invece ha sempre sostenuto di non essere mai stato informato del reale pericolo per il giuslavorista bolognese. Non solo.

Nell’archivio erano conservate due cartelline riguardanti le vicende giudiziarie di Alberto Grotti, l’ex presidente dell’Eni finito in carcere per le tangenti Enimont nel 1993. E tanto basta per comprendere come la scoperta di faldoni e cartelline, buste di carta e di plastica che il segretario e l’agente segreto hanno custodito nei loro appartamenti, apra nuovi e inediti scenari investigativi.
I finanzieri ci sono arrivati per caso, nel corso delle verifiche sul ruolo avuto dallo stesso Zocchi nella disputa per l’eredità lasciata del marchese Gerini ai Salesiani. Il 9 luglio 2013, durante una perquisizione nel suo appartamento, trovano numerosi raccoglitori con i documenti dell’ex ministro e un «quaderno rosso» dove è annotato l’elenco delle altre carte portate a casa dello 007. Zocchi racconta di avergli chiesto aiuto «perché era una persona che conoscevo bene, un poliziotto che avevo fatto assumere al Sismi di Pollari e io a casa non avevo spazio per tenerli».

Una versione che non appare affatto credibile per gli inquirenti. Anche perché lo stesso Zocchi aggiunge: «Al momento delle dimissioni dal Viminale sono state le segretarie a fare gli scatoloni mandando le carte alla sede di Forza Italia. Poi io sono stato chiamato dal responsabile organizzativo Alessandro Graziani e ho deciso di mandarli a prendere». Scajola si dimise da ministro dell’Interno nel maggio del 2002 dopo aver definito Marco Biagi «un rompicoglioni» e dunque gli scatoloni dovrebbero contenere atti fino a quella data. Tra i documenti affidati al segretario e allo 007 ce ne sono svariati che hanno invece una data successiva, alcuni risalgono addirittura al 2012. Quanto basta per dimostrare che in realtà la raccolta è stata alimentata in tutti questi anni, ma anche per far sorgere nuovi e più inquietanti dubbi.

Il 9 luglio 2013 i finanzieri vanno subito a casa dello 007 e quando arrivano, lui consegna alcune buste «contenenti documenti» tutti numerati, alcuni con un codice alfanumerico. Poi specifica: «Le borse che vi ho consegnato mi sono state date dal signor Zocchi di recente, ma non ricordo precisamente il giorno, il quale a titolo di cortesia mi ha chiesto di custodirle in attesa di un suo trasferimento ad altro domicilio. Le buste, a quanto detto dal signor Zocchi, contengono suoi effetti o carte personali di cui non conosco la fattispecie, provenienza e contenuto. Le buste sono imballate e sigil-late così come mi sono state consegnate».
L’ipotesi è che in realtà il materiale sia stato visionato da entrambi e adesso si sta cercando di scoprire se anche altri ne fossero a conoscenza, soprattutto si vuole sapere se possa essere stato utilizzato a fini illeciti.

21 maggio 2014 | 07:11
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_21/fascicoli-tangentopoli-br-nell-archivio-segreto-scajola-68a7a6fc-e0a4-11e3-90e5-e001228dc18c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Scajola ossessionato da lady Matacena
Inserito da: Admin - Maggio 31, 2014, 10:29:25 pm
L’amicizia
«Fiori, pranzi, biglietti per Sanremo»
Scajola ossessionato da lady Matacena
L’ex segretaria: «Se lei veniva a pranzare in ufficio, lui mi chiamava per dirmi quando potevo rientrare a riordinare»
di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA - Fiori spediti sulle navi dove trascorreva le vacanze, segretarie e poliziotti della scorta sempre pronti a soddisfare esigenze e richieste, controlli e pedinamenti quando aveva la sensazione «che ci fosse qualcuno che si prendeva un po’ cura di lei, come faceva lui». Era una vera e propria ossessione quella che Claudio Scajola aveva per Chiara Rizzo, la moglie di Amedeo Matacena. Le attenzioni quasi maniacali e la gelosia a tratti morbosa, già svelate dai colloqui intercettati, vengono adesso confermate dalla segreteria dell’ex ministro, Roberta Sacco, anche lei arrestata con l’accusa di aver fatto parte della «rete» che favoriva la latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia - fuggito a Dubai dopo la condanna definitiva a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa - e scarcerata per un errore di procedura. È il verbale di interrogatorio, ma soprattutto il memoriale consegnato dalla donna ai pubblici ministeri di Reggio Calabria, a rivelare come Scajola si fosse messo totalmente a disposizione della signora Rizzo tanto che la sua collaboratrice confessa che l’ex ministro «mi ha sempre chiesto riservatezza circa i loro incontri o contatti, in particolare nei confronti della sua famiglia» e di avergli «fatto presente che gli incontri con la Rizzo di cui ero a conoscenza e complice mi creavano disagio verso sua moglie che conosco da anni, ma la mia esternazione non ha prodotto alcun esito».

La crociera e i pranzi
Sacco racconta che negli ultimi due anni «i contatti tra Scajola e la Rizzo erano periodici, a volte lei veniva in ufficio per pranzare con lui. Le disposizioni impartite da Scajola consistevano nell’allestire il pranzo dopodiché potevo lasciare l’ufficio e tornavo a riordinare all’orario concordato con l’onorevole oppure lui mi telefonava per dirmi che potevo rientrare in ufficio». Ma «dalla fine della scorsa estate» il rapporto sembra allentarsi.

Scrive la segretaria: «In corrispondenza di una crociera che la signora Rizzo ha effettuato con amici e di cui sono al corrente perché Scajola mi aveva chiesto di trovare un modo per far avere dei fiori sia in nave sia in un hotel dove faceva scalo, Scajola ha iniziato a parlarmi delle sue preoccupazioni circa l’amicizia con la signora Rizzo, in pratica pensava che potesse esserci qualcuno che si prendeva un po’ cura di lei come faceva lui. Questo è associato al fatto che dopo la vacanza la signora “sfuggiva” e non riuscivano più a vedersi e a concordare gli incontri come facevano prima. Lui era dispiaciuto per questa situazione e tendeva a voler sapere ogni spostamento di lei per poterne verificare la sincerità».

Pedinamenti e controlli

È in questo momento che la gelosia sembra avere il sopravvento. Racconta Sacco: «Ho appreso che in un’occasione Scajola chiese alla sua segretaria romana, Vincenza Maccarone, di pedinare la Rizzo per verificare se la stessa avesse un appuntamento con Francesco Bellavista Caltagirone. Ciò è avvenuto dopo la crociera della Rizzo nel mese di agosto 2013». Non è l’unica volta: la stessa Sacco viene coinvolta in questi controlli, come lei stessa racconta ai magistrati.

Il 12 febbraio scorso gli investigatori della Dia pedinano la Rizzo per scoprire chi sia «l’Orco» di cui Scajola parla in alcune intercettazioni. E la sorprendono all’aeroporto di Fiumicino in compagnia dell’ingegner Bellavista Caltagirone. Il giorno prima la Rizzo era scesa dall’aereo privato che doveva portarla a Roma inventando una scusa con Scajola e l’ex ministro aveva il sospetto che dovesse incontrare un altro uomo. Per questo decise di attivare il suo «servizio segreto» fatto di poliziotti come Michele Quero e segretarie. Sacco lo dice senza esitazioni: «Confermo che Scajola mi incaricava di verificare gli spostamenti della Rizzo. In un’occasione attraverso Quero: ricordo mi disse di verificare se a bordo dell’aereo vi fosse Bellavista Caltagirone che sospettava intrattenesse una relazione con la Rizzo. Per questo motivo mi disse di verificare, tramite altro personale di scorta, la targa della Porsche Cayenne della Rizzo».

La consegna del regalo
Viaggi da Imperia a Montecarlo oppure a Ventimiglia andata e ritorno, piccole commissioni relative alle auto da riparare, ricerca di operai per i lavori di ristrutturazione da effettuare nell’appartamento monegasco: ogni esigenza della Rizzo veniva soddisfatta da Scajola incaricando la fidata segretaria di provvedere. Anche quando si trattava di acquistare i regali.

Ricorda Sacco: «Nel mese di febbraio Scajola mi ha chiesto di raggiungere la signora Rizzo a Sanremo, presso un centro medico dove aveva appuntamento con il figlio, per consegnarle un sacchetto contenente due biglietti per il Festival di Sanremo che era in corso quella stessa settimana. Era un presente di Scajola per il suo compleanno».

31 maggio 2014 | 06:59
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_maggio_31/fiori-pranzi-biglietti-sanremo-l-ossessione-scajola-lady-matacena-e75e3c40-e87e-11e3-8609-4be902cb54ea.shtml


Titolo: F. SARZANINI. Posti barca e donne ai finanzieri Il «sistema» per aggiustare i ..
Inserito da: Admin - Giugno 14, 2014, 10:25:37 pm
L’ordinanza

Posti barca e donne ai finanzieri
Il «sistema» per aggiustare i controlli
L’inchiesta di Napoli e la Finanza, ecco il sistema delle tangenti


Di FIORENZA SARZANINI

DALLA NOSTRA INVIATA NAPOLI - Ci sono imprenditori che collaborano, ma a parlare sono soprattutto ufficiali e sottufficiali. Uomini della Guardia di Finanza che accusano i loro superiori di aver preso tangenti. E svelano al procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e al sostituto Henry John Woodcock l’esistenza di un «sistema» di corruzione che ha già fatto finire in carcere il colonnello Fabio Massimo Mendella, mentre sono indagati il comandante in seconda Vito Bardi e il suo predecessore Emilio Spaziante, tuttora agli arresti per lo scandalo del Mose di Venezia. Non sono gli unici. Ci sono nomi ancora coperti, componenti di quella «rete» che avrebbe preteso soldi, vacanze, favori e forse, ma su questo i controlli sono tuttora in corso, appuntamenti con alcune escort.

Testimoni contro Bardi
È l’ordine di perquisizione notificato ieri al generale a svelare gli elementi raccolti dai pubblici ministeri facendo emergere un quadro di testimonianze incrociate: «Dalle indagini finora svolte è emerso lo stretto legame di ordine personale intercorso tra il colonnello Mendella, percettore di somme illecitamente richieste asseritamente per sé ed altri, ed il generale Vito Bardi, attuale comandante in seconda della Guardia di Finanza. Diverse fonti testimoniali - di cui si omette allo stato il riferimento nominativo per ragioni di cautela processuale, potendo le stesse in ragione del ruolo rivestito da Bardi essere oggetto di iniziative inquinanti - hanno riferito sia dei rapporti di stretta vicinanza tra Mendella e Bardi, sia dei rapporti di familiarità di quest’ultimo con imprenditori partenopei (e non) a loro volta oggetto delle presenti e più ampie investigazioni. Tali ultime circostanze sono state riferite anche da appartenenti alla stessa Guardia di Finanza collocati ad alti livelli gerarchici sentiti come persone informate (di cui parimenti si omette il riferimento nominativo allo stato per le medesime ragioni in precedenza esposte). Altri soggetti hanno riferito di rapporti ispirati a richieste di favori di rilievo economico riguardanti Bardi, oggetto delle presenti investigazioni».

Le caserme in affitto
Tra gli imprenditori interrogati c’è Achille D’Avanzo, in passato legato al generale Nicolò Pollari e poi molto vicino a Bardi. Sono soprattutto due le circostanze emerse dagli accertamenti affidati agli investigatori della Digos. Il primo riguarda l’affitto della caserma di Napoli dove ha sede il Comando provinciale delle Fiamme Gialle e altri stabili che l’immobiliarista avrebbe concesso proprio ai finanzieri. I canoni vengono fissati dall’Ufficio tecnico erariale, ma per questo caso si è deciso di fare un’eccezione. E dunque Bardi avrebbe stabilito di concedere all’amico il massimo possibile ottenendo una contropartita che sarebbe già stata svelata e sulla quale sarebbero tuttora in corso le verifiche. Ma a destare sospetto è anche la decisione presa dallo stesso D’Avanzo di spostare la sede di una delle sue società da Napoli a Roma proprio in seguito al trasferimento di Mendella nella capitale. Esattamente come accaduto per la «Gotha spa» dei fratelli Pizzicato che collaborano con i magistrati e hanno raccontato di aver ricevuto il suggerimento proprio dal colonnello. I difensori dell’imprenditore mettono le mani avanti sostenendo che «le società del gruppo hanno sede nella capitale sin dal 2004».

Il posto barca
Al fascicolo di inchiesta è stato allegato il verbale dell’imprenditore Mauro Velocci, già coinvolto insieme ad Angelo Capriotti nell’inchiesta sugli appalti all’estero gestiti dal faccendiere Valter Lavitola. Il 23 luglio scorso l’uomo viene interrogato da Woodcock e dichiara: «Mi chiedete se Capriotti mi abbia mai riferito di rapporti con ufficiali della Guardia di Finanza e di eventuali richieste avanzate da questi ultimi. Posso dire che intorno al 2006 Capriotti mi mandò negli uffici del generale Bardi per consegnargli un esposto denuncia. Ricordo che io e Capriotti andammo una prima volta insieme dal generale Bardi nel suo ufficio di Napoli e poi Capriotti mi mandò da solo sempre negli uffici del Comando regionale. In questa occasione prese una copia del mio esposto e mi disse che avrebbe seguito lui direttamente la vicenda, tuttavia non abbiamo saputo più nulla. Credo un anno dopo Capriotti mi disse che il generale Bardi gli aveva fatto delle richieste “strane” ovvero richieste di utilità, se non sbaglio riferite all’acquisto o alla locazione di un posto barca ad Ostia».

La «donna che ti vuole»
L’8 marzo scorso viene intercettata una telefonata tra Mendella e un amico avvocato, Marco Campora. Il colonnello dovrebbe aver appreso di avere i telefoni sotto controllo e dunque usa il legale come tramite per incontrare il commercialista Pietro De Riu. Per questo i pubblici ministeri vogliono adesso accertare se l’incontro con la donna sia effettivamente avvenuto o se invece fosse una «finta» per mascherare invece un appuntamento.
Mendella : ué Marco! Ti chiamo dopo
Campora : no, no Fabio! Perché ti stavano aspettando
Mendella : ma chi?
Campora : no là ... quella ragazza che ti volevo presentare a piazza dei Martiri là, quindi ti aspetto un quarto d’ora
Mendella : no e non ce la faccio a venire. Oggi non ce la faccio
Campora : eh ... ma scusa questo ti ... cioè qua sta figa qua, ti sta aspettando Fabio
Mendella : non ce la faccio!
Campora : ... una figura di merda. Sta amica di Cristiana qua devi
Mendella : ma non ce la faccio dai, sto al Vomero!
Campora : e devi venire per forza, che cazzo! Cioè
Mendella : dai, non ce la posso fare. C’ho pure ... adesso è arrivata pure Catia
Campora : eh no e Fabio dai, vieni, vieni! Fammi sta cortesia perché ... vieni, vieni capisci... Perché questo mò ti vo ... ti voleva sc.. mò, qua ... se ti dico vieni è perché devi venire, insomma, capito? Sennò mica ti dicevo cazzate ... hai capito?

13 giugno 2014 | 07:16
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_13/posti-barca-donne-finanzieri-sistema-aggiustare-controlli-4be678a0-f2b9-11e3-9109-f9f25fcc02f9.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Gdf, indagato per corruzione il comandante in seconda Bardi
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2014, 07:15:45 pm
INCHIESTA DELLA PROCURA DI NAPOLI

Gdf, indagato per corruzione il comandante in seconda Bardi
L’inchiesta della Procura di Napoli ha portato anche all’arresto del comandante di Livorno Mendella per presunte verifiche fiscali «pilotate» nel capoluogo partenopeo

di FIORENZA SARZANINI

Indagato per corruzione il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza. Si tratta dell’ultimo sviluppo dell’inchiesta che ha portato - nella mattinata di mercoledì- anche all’arresto del colonnello Fabio Massimo Mendella, comandante della Guardia di Finanza di Livorno accusato di aver percepito un milione di euro per «pilotare» verifiche fiscali favorendo alcune società di imprenditori «amici» quando era in servizio a Napoli.

Perquisizione
Bardi è sospettato di aver ricevuto parte di quella somma oltre ad alcuni regali e favori. Nell’ambito dell’inchiesta i pm di Napoli Piscitelli e Woodcock hanno disposto una perquisizione degli uffici di Bardinella sede del Comando generale della Gdf in viale XXI Aprile a Roma.

L’inchiesta
Il colonnello Mendella -comandante provinciale della guardia di finanza di Livorno - è finito in carcere insieme a un commercialista napoletano Pietro de Riu. I reati ipotizzati dalla Procura di Napoli sono concorso in concussione per induzione e rivelazione del segreto d’ufficio. In particolare De Riu avrebbe incassato per conto di Mendella, responsabile del settore verifiche del Comando provinciale di Napoli dal 2006 al 2012, oltre un milione di euro per evitare verifiche ed accertamenti fiscali.

11 giugno 2014 | 14:21
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_11/corruzione-gfd-perquisisce-ufficio-comandante-seconda-bardi-3c835cf6-f161-11e3-affc-25db802dc057.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Stragi del mare, l’Italia ormai è sola ...
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2014, 07:21:34 pm
Stragi del mare, l’Italia ormai è sola Un’emergenza da affrontare senza Ue

Di FIORENZA SARZANINI

L’ora di arrendersi adesso è davvero arrivata. Di fronte a questi nuovi morti in mare, di fronte ai volti sconvolti e agli occhi terrorizzati di chi invece ce l’ha fatta, è il momento di fermarsi davvero. Perché l’Italia deve prendere atto di essere ormai isolata, addirittura presa in giro dalle autorità europee che continuano a promettere aiuti e interventi, che assicurano appoggio e investimenti finanziari. Non è successo fino ad ora e non succederà in futuro. Quel che accade in quel tratto di mare che ci separa dal Nord Africa è un affare di cui nessuno vuole più occuparsi.
È inutile credere che alla fine ci sarà una collaborazione, illudersi sulla realizzazione di un piano d’intervento internazionale. I migranti in fuga dalla guerra e dalla povertà che seguono la rotta verso la Sicilia sono evidentemente «merce umana» per i trafficanti e «vuoti a perdere» per gli Stati europei e per il governo dell’Unione. Dunque spetta a Roma affrontare la situazione, prima che l’emergenza diventi davvero difficile da gestire. Prima d’assistere durante l’estate a un’invasione o, peggio, a un naufragio dopo l’altro. L’operazione «Mare Nostrum», che tante vite ha finora consentito di salvare, sta infatti creando un effetto paradosso. I trafficanti e gli stessi migranti ormai sanno che basta lanciare un Sos per essere soccorsi. E dunque intraprendono il viaggio anche in condizioni proibitive, soprattutto utilizzando sempre più spesso mezzi di fortuna. Piccole imbarcazioni che non sono naturalmente adatte ad affrontare la traversata. Le riempiono di persone e le fanno partire.

Ecco perché bisogna fermarsi e ripensare il piano d’intervento, discutendo nuovi compiti e diversi obiettivi della missione umanitaria. Soltanto così l’Italia potrà garantire accoglienza e assistenza ai profughi, potrà provvedere a una sistemazione degna per le donne e i bambini che continuano a giungere sulle nostre coste e poi non hanno alcuna speranza di un futuro. «Mare Nostrum» era stata approvata come misura tampone in attesa che l’Europa varasse un progetto articolato. Poiché questo non è accaduto, l’Italia deve agire da sola e scegliere una strada che consenta di affrontare il problema in maniera strutturata. Ma deve farlo in via d’urgenza. Prima che sia troppo tardi e la conta dei morti diventi addirittura più pesante.

15 giugno 2014 | 15:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_15/stragi-mare-l-italia-ormai-sola-un-emergenza-affrontare-senza-ue-a75c1538-f48e-11e3-8a74-87b3e3738f4b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’omicidio di Yara e la fuga di notizie
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2014, 10:43:07 am
L’omicidio di Yara e la fuga di notizie
Botta e risposta Alfano-Procura Non è l’ora delle liti

La notizia dell’arresto era sul sito del Corriere prima della nota del Viminale

Di FIORENZA SARZANINI

Dalla scomparsa di Yara Gambirasio sono trascorsi quasi quattro anni, oltre tre da quando il suo corpo martoriato è stato trovato nel campo di Chignolo d’Isola. Un periodo lunghissimo vissuto nella ricerca affannosa dell’assassino, nella paura che un pericoloso omicida girasse libero e indisturbato, nell’angoscia che l’indagine potesse finire in nulla. E adesso che una pista vera è stata imboccata, appare quasi stucchevole la polemica tra il procuratore di Bergamo Francesco Dettori e il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Ha sbagliato il titolare del Viminale a diramare un comunicato sul fermo di Massimo Giuseppe Bossetti mentre l’uomo era ancora nella caserma dei carabinieri del comando provinciale di Bergamo. Ha commesso un errore grave parlando di «assassino» senza preoccuparsi di avere alcuna cautela riguardo alla presunzione d’innocenza che invece vale fino al terzo grado di giudizio. Ma anche il capo dei pubblici ministeri sembra aver preso un abbaglio. Il sito Internet del Corriere della Sera ha dato la notizia del fermo di un uomo accusato del delitto prima della nota del Viminale. Dunque non è vero che la Procura aveva stabilito di agire nel massimo riserbo come ha dichiarato pubblicamente l’alto magistrato, oppure se l’aveva deciso non è comunque riuscita a custodire il segreto.

Accade spesso, succede quasi sempre riguardo a vicende che hanno un simile impatto sui cittadini e dunque una grande risonanza mediatica. E dunque non è di questo che bisogna continuare a stupirsi. C’è una famiglia che da tempo attende di conoscere la verità, aspetta di poter guardare negli occhi la persona che in una sera d’autunno portò via la loro figlia e sorella, le usò violenza e poi, dopo averla ferita gravemente, la abbandonò in un prato. Il papà e la mamma di Yara hanno sempre mostrato grande compostezza e dignità, hanno scelto la strada del silenzio e della discrezione così mostrando estrema fiducia nelle istituzioni. Senza mai smettere di sperare di poter avere giustizia. È la loro esigenza che adesso bisogna soddisfare. Ed è necessario farlo senza alimentare inutili e sterili diatribe che rischiano soltanto di inquinare un’indagine delicatissima che coinvolge tante altre persone e rischia di distruggere moltissime vite. Il lavoro degli investigatori e degli inquirenti è ancora lungo e ricco di insidie. Bisogna procedere un passo dopo l’altro analizzando ogni elemento, valutando ogni mossa. Sarebbe auspicabile che si pensi soltanto a questo, lasciando il resto - soprattutto la politica e i suoi protagonisti - fuori da tutto.

18 giugno 2014 | 09:20
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Da - http://bergamo.corriere.it/notizie/opinioni/14_giugno_18/botta-risposta-alfano-procura-non-l-ora-liti-14145dc2-f6b8-11e3-a606-b69b7fae23a1.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’interrogatorio di Bossetti
Inserito da: Admin - Giugno 22, 2014, 05:44:52 pm
L’interrogatorio di Bossetti
«Non ero a Brembate per Yara Incontravo solo mio fratello»
Ma Fabio lo smentisce. La moglie chiede di vederlo

Di Fiorenza Sarzanini Giuliana Ubbiali
DAI NOSTRI INVIATI

BERGAMO - «È vero, andavo a Brembate, ma io Yara non la conosco. Ci andavo spesso perché lì abita mio fratello e c’è il mio commercialista. Ma avete sbagliato, l’assassino non sono io». Giovedì 19 giugno, ore 9.30. Nel carcere di Bergamo Massimo Giuseppe Bossetti racconta la sua verità. Parla per un’ora, nega di essere «Ignoto 1», l’uomo che ha lasciato una traccia di DNA sugli slip della vittima. Fornisce una versione dei fatti che i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco stanno adesso verificando. Però non convince il giudice Ezia Maccora che quella stessa sera firma un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio aggravato dai motivi di crudeltà e dalla minorata difesa della vittima che aveva soltanto 13 anni. Anche perché sia il fratello, sia il professionista hanno in parte smentito il suo racconto. Il momento più drammatico è quello dell’inizio. Il gip gli comunica ufficialmente l’esito delle verifiche sulla paternità: «Lei risulta figlio di Giuseppe Benedetto Guerinoni». Nell’aula cala il gelo. Lui rimane immobile, sgrana gli occhi. Guarda il suo avvocato Silvia Gazzetti quasi a cercare conforto. E poi dichiara: «Sono cresciuto sapendo di essere il figlio di Ester Arzuffi e Giovanni Bossetti. Soltanto ieri, leggendo un giornale qui in carcere ho scoperto che Giovanni non è mio padre. Voglio dire che per me mio padre è lui». E aggiunge: «Quando venne fuori la storia di Guerinoni chiesi a mia madre se lo conosceva». Si capisce che è disperato, ma più volte ripete di essere innocente: «Non ho ucciso Yara. Non avrei mai potuto fare un gesto simile. Non sono capace di fare del male a nessuno, ho figli della sua stessa età». Non contesta l’esito degli esami sul Dna. «Ma non so spiegare perché l’abbiate trovato sugli slip della ragazzina». Due giorni fa sua moglie Marita Comi ha chiesto di poterlo vedere. Lui è in isolamento e adesso sarà il pubblico ministero Letizia Ruggeri a dover decidere se autorizzare il colloquio.

Le visite a Brembate
Il giudice gli chiede di ricostruire che cosa ha fatto la sera di venerdì 26 novembre 2010, quando Yara è scomparsa. «Sono passati quattro anni, però ricordo i miei movimenti di quel giorno perché sono un tipo metodico. Ho una vita normale, mi dedico al lavoro e alla famiglia e quindi ho delle abitudini ripetitive. Esco la mattina presto per andare al cantiere, mangio velocemente mentre sono al lavoro, poi il pomeriggio torno a casa, mi faccio una doccia e sto con i miei figli. Dopo cena mi addormento sul divano per la stanchezza. La sera esco raramente, sempre in compagnia di mia moglie e dei miei figli. Adoro mia moglie. La domenica di solito sto con i miei parenti. Sono molto legato ai miei genitori». Poi aggiunge: «Ricordo che cosa feci quella sera perché passando di fronte al centro sportivo vidi furgoni con grosse parabole e ne fui attratto. Era il 26, o forse il 27 novembre». La circostanza è falsa perché la sparizione di Yara fu denunciata dal padre la mattina del 27 e le televisioni arrivarono non prima del giorno successivo, la domenica. Si arriva così alla sua presenza frequente nella zona dove abita Yara, nei pressi della Città dello Sport dove la ragazzina andava a fare ginnastica. E lui si giustifica: «Vado a Brembate da mio fratello Fabio e dal mio commercialista». Entrambi vengono interrogati. Fabio Bossetti spiega che «con mio fratello ci vediamo di rado perché lui è un tipo solitario. Veniva pochissime volte, io non sono mai andato a casa sua». Cauto anche il commercialista: «Sarà venuto una volta al mese, quando mi portava le fatture da registrare».

Il percorso e i negozi
«In quel periodo lavoravo in un cantiere di Palazzago con mio cognato, stavamo costruendo una palazzina. Passavo da Brembate Sopra per tornare a casa, a Mapello. Talvolta mi fermavo per un caffè o una birra. Oppure all’edicola perché lì compravo le figurine per mio figlio. E poi andavo dal benzinaio». Le verifiche effettuate in queste ore dagli investigatori riguardano eventuali percorsi alternativi che sono più veloci e più brevi per verificare se possa essere passato anche altrove. Un controllo che viene fatto anche analizzando i filmati delle telecamere sequestrati al momento della scomparsa della ragazzina. Certamente Bossetti andava «almeno due volte alla settimana» al centro estetico «Oltremare», come ha ricordato la proprietaria per fare la «doccia» abbronzante. Nel novembre 2010 il negozio si trovava di fronte alla villetta dei Gambirasio. Lui nega una simile frequenza: «Tengo al mio aspetto fisico, ma non è vero che ci stavo così spesso, anche perché io lavoro all’aria aperta e il sole lo prendo anche così».

Il cellulare «muto»
Il giudice gli contesta che dopo l’ultima telefonata alle 17.45 del 26 novembre 2010 il suo telefono cellulare sia rimasto muto fino alle 7 della mattina successiva. Lui dichiara: «Da qualche settimana il cellulare non funzionava bene, la batteria non reggeva e infatti poi l’ho cambiato. Quella sera posso averlo spento e messo in carica per riaccenderlo la mattina successiva prima di andare al lavoro. del resto a casa ho il telefono fisso». In queste ore si stanno effettuando nuovi controlli sui tabulati perché secondo le prime verifiche in altri giorni di quello stesso periodo il cellulare ha registrato «traffico» anche nelle ore serali.
Quando gli viene chiesto se abbia mai conosciuto la famiglia Gambirasio, Bossetti è netto: «Non ho mai visto Yara. Ho incontrato sua padre al cantiere di Palazzago dopo la scomparsa della ragazzina. Se fosse successo a mia figlia io non avrei avuto la forza di continuare a lavorare». Nega di aver mai visitato «siti internet pedopornografici», mentre dice che è «molto appassionato ai casi di cronaca nera e li leggo sul computer. Mentre come giornale leggo “L’Eco di Bergamo”, mia suocera è abbonata». Sono cinque i computer che gli sono stati sequestrati, compreso un tablet. E adesso bisognerà verificare che cosa ci sia in tutti gli hard disk.

22 giugno 2014 | 08:40
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Da - http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_giugno_22/non-ero-brembate-yara-incontravo-solo-mio-fratello-b43f09e8-f9d6-11e3-88df-379dc8923ae4.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ai funerali di Esposito il debutto degli agenti con la ...
Inserito da: Admin - Giugno 28, 2014, 11:48:11 am
L’ipotesi

Ai funerali di Esposito il debutto degli agenti con la videocamera
Il Viminale ha già emanato il regolamento per l’uso dei dispositivi elettronici in caso di manifestazioni pubbliche a rischio incidenti: piazza filmata solo se la tensione cresce


Di FIORENZA SARZANINI

Il dispositivo di sicurezza predisposto dalla questura di Napoli è di massima allerta. Ed è possibile che gli agenti in servizio di ordine pubblico possano attivare le telecamere montate sui giubbotti. La sperimentazione è partita ieri, con l’emissione della circolare dei vertici del Dipartimento guidato dal prefetto Alessandro Pansa. Ufficialmente si comincia il 1° luglio, ma già da settimane sono state effettuate alcune «prove» per testare il funzionamento delle apparecchiature.

Video in quattro città
Il «disciplinare di utilizzo» fissa le 10 regole da rispettare, le modalità da seguire per evitare abusi. Sono 160 le apparecchiature messe a disposizione dei Reparti Mobili di Roma, Napoli, Torino e Milano che potranno utilizzarle durante le manifestazioni, nel corso dell’attività fuori e dentro gli stadi, ma anche in occasione di particolari momenti di tensione come può essere appunto il funerale di Ciro Esposito, vittima della follia ultrà prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, giocata all’Olimpico di Roma il 3 maggio scorso. L’obiettivo è specificato nel documento: «Utilizzare le videoriprese come strumento di prevenzione a tutela delle persone e del regolare svolgimento della manifestazione».

I «capisquadra»
Il decalogo prevede che «l’apparecchio, montato sul gilet tattico del “caposquadra” e di un altro componente dell’unità organica dei Reparti Mobili, venga attivato nei momenti di criticità per ordine di un funzionario che potrà disporre la cessazione e poi riattivarlo se ce ne sia la necessità. Al termine dovrà essere compilato un foglio di consegna e tutta la documentazione dovrà essere consegnata alla polizia Scientifica».

Il regolamento assegna al consegnatario del Reparto il compito di «verificare lo stato di efficienza dei dispositivi prima dell’utilizzo e all’atto della riconsegna. Deve poi provvedere al mantenimento della piena efficienza delle batterie, controllando la corrispondenza dell’orario, e della data presenti sul display . Tutti i dispositivi dovranno essere sincronizzati sulla stessa data e sullo stesso orario».

Le schede di memoria
La decisione di filmare la piazza è stata presa nelle scorse settimane, dopo gli scontri avvenuti durante il corteo di metà aprile a Roma segnato dal poliziotto che calpestava una manifestante. E ha come priorità quella di «cristallizzare» i momenti più complessi proprio per poter poi stabilire che cosa sia effettivamente accaduto. E così assegnare responsabilità certe ai responsabili. Anche per questo è previsto che al momento della consegna al caposquadra «la scheda di memoria non dovrà contenere alcun dato archiviato. Le videocamere e le schede di memoria sono contraddistinte da un numero seriale che dovrà essere annotato in un apposito registro recante il giorno, l’orario, i dati indicativi del servizio, la qualifica e il nominativo del dipendente che firmerà la presa in carico e la restituzione».

Proprio per garantire la genuinità delle riprese «l’operatore, dopo aver verificato il funzionamento, l’assenza di dati archiviati nella memoria e la corrispondenza di data e orario, posizionerà la videocamera sul gilet tattico e dovrà tenerlo, pronto per l’utilizzo, per tutta la durata del servizio».

La «tutela» per le indagini
I primi a sollecitare la possibilità di utilizzare le telecamere erano stati i vertici dell’Associazione funzionari di polizia e il Siap «per tutelare gli operatori ed evitare assurde strumentalizzazioni», come ha più volte sottolineato il segretario Lorena La Spina. Una posizione condivisa dal Sap guidata da Gianni Tonelli e dalla Silp Cgil rappresentata da Daniele Tissone, concordi nel chiedere «strumenti efficaci di prevenzione e soprattutto di protezione». Un’istanza accolta anche perché, come viene specificato nella circolare, «è stata rilevata l’esigenza di implementare le dotazioni degli operatori dei Reparti Mobili con strumenti tecnologico dedicati, in grado di ampliare le aree di controllo visivo dell’evento che consentano, in via prioritaria di assicurare una maggiore tutela agli stessi operatori mediante l’acquisizione di materiale video-fotografico utile per l’eventuale supporto probatorio».

La sperimentazione durerà sei mesi e «per monitorare la funzionalità della soluzione adottata e verificarne la rispondenza operativa», ogni mese dovrà essere trasmesso un «report» alla segreteria del capo della polizia in modo da poter effettuare eventuali interventi correttivi.

27 giugno 2014 | 08:19
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_27/ai-funerali-esposito-debutto-agenti-la-videocamera-fcf88fe6-fdbf-11e3-8c6c-322f702c0f79.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Severi con chi non dà segni di pentimento
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2014, 07:02:22 pm


Di FIORENZA SARZANINI

Era accusata di aver sfruttato la figlia minorenne agevolando la sua attività di prostituta e adesso pagherà per quanto ha fatto. Oltre la condanna a sei anni, che rispecchia le richieste dei pubblici ministeri, è condivisibile la scelta fatta dal giudice di privarla della potestà genitoriale e di obbligarla a risarcire i danni alla giovane. Perché è contro natura che una madre possa utilizzare il corpo della sua bambina per sbarcare il lunario. Soprattutto se poi non mostra alcun pentimento e addirittura nega di averlo fatto. Sono state inflitte pene severe anche a chi aveva organizzato il «giro» d’affari facendo incontrare Azzurra e Aurora con uomini adulti in un appartamento in zona Parioli, a Roma, oppure in alcuni alberghi e addirittura in macchina.

E ai clienti consapevoli della minore età delle due, forse attratti proprio dalla perversione di pagare due ragazzine per avere con loro rapporti sessuali. «Il giudice ha condiviso il nostro impianto», commentano con soddisfazione il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Cristina Macchiusi. Hanno ragione, l’inchiesta ha trovato riscontro nell’esito del processo. E proprio sulla base di questa sentenza sarebbe opportuno che adesso rifiutassero la richiesta di patteggiamento presentata dagli altri clienti, soprattutto se - come era stato ipotizzato - lo sconto di pena porta la condanna a sei mesi, convertibile in 40mila euro. L’indagine ha consentito di individuare oltre sessanta uomini che almeno una volta hanno fatto sesso a pagamento con Azzurra e Aurora sapendo che erano minorenni. Persone note e sconosciute, clienti abituali oppure insospettabili uniti dalla stessa «deviazione». Qualcuno aveva figlie o nipoti della stessa età. La maggior parte di loro è già stata «graziata» visto che è riuscita a rimanere nell’anonimato. Ora non ci devono essere scorciatoie, nessuna indulgenza può essere prevista nei confronti di queste persone. «Pedofili» li ha definiti papa Francesco. In ogni caso indegni di ottenere qualsiasi beneficio da chi ha il potere di giudicarli «in nome del popolo italiano».

2 luglio 2014 | 07:34
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_luglio_02/parioli-ragazzina-sfruttatata-severi-chi-non-da-segni-pentimento-49fee964-01aa-11e4-b194-79c20406c0ad.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La sfida degli estremisti Adesso cresce l’allerta anche ...
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2014, 05:00:58 pm
La sfida degli estremisti
Adesso cresce l’allerta anche per gli italiani rapiti
Diventa più difficile per la diplomazia mantenere aperti i negoziati.
Si riunisce il Comitato per la sicurezza

di FIORENZA SARZANINI

L’ultimo contatto è avvenuto una decina di giorni fa ed era servito a rassicurare sulla «buona salute delle ragazze». Il «canale» per riportare a casa Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due cooperanti rapite in Siria la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto scorso, rimane aperto. Ma nessuno può negare che la decapitazione del giornalista statunitense Steven Joel Sotloff e soprattutto la minaccia di riservare lo stesso destino all’ostaggio britannico David Cawthorne Haines, abbiano ulteriormente aggravato una situazione già delicatissima. E fatto salire i timori per la sorte di tutti gli occidentali tuttora nelle mani dei jihadisti.

A far paura adesso è la scansione dei tempi scelti dai terroristi con l’uccisione di un prigioniero ogni dieci giorni e soprattutto con l’avvertimento «ai governi che entrano nella malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico» affinché «si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». L’Italia è inserita in questo elenco, soprattutto dopo la decisione di inviare armi direttamente ai Peshmerga schierandosi ufficialmente con Washington e dunque contro l’avanzata del Califfato. E ciò la espone come bersaglio anche per quanto riguarda possibili attacchi che potrebbero essere pianificati in questa «guerra santa» che i massimi rappresentanti dell’Isis hanno detto più volte di voler combattere nei video trasmessi nelle ultime settimane.

È una situazione di altissima tensione che rende naturalmente irta di ostacoli l’attività condotta dalla diplomazia e dall’intelligence per mantenere aperto il negoziato con i rapitori delle due giovani. Anche tenendo conto che il conflitto siriano è in una fase acuta e gli scontri tra le varie fazioni si sono fatti più intensi.

Ieri sera, dopo la conferma dell’assassinio di Sotloff con la gesta dei fondamentalisti di «postare» sul web le immagini girate nel deserto, è scattata un’ulteriore allerta a questori e prefetti per la protezione dei possibili «obiettivi». Nei prossimi giorni il ministro Angelino Alfano riunirà nuovamente il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Non c’è alcun rischio specifico, nulla di concreto è stato finora segnalato dagli 007 italiani, né dai servizi segreti stranieri su pericoli imminenti che possano riguardare il nostro Paese. Il monitoraggio effettuato dall’Antiterrorismo del Viminale e dagli specialisti del Ros dei carabinieri non fornisce alcuna indicazione di minaccia. Ma gli analisti sono concordi nel ritenere che il livello di attenzione debba rimanere alto non potendo escludere un’azione isolata o comunque un possibile attacco nei confronti dei cittadini italiani, in particolare contingenti militari, che si trovano all’estero.



In questo quadro si inserisce come priorità il negoziato per il rilascio delle cooperanti catturate un mese fa ad Aleppo. Le rassicurazioni fornite dai «mediatori» sulla sorte di Greta e Vanessa accreditano l’ipotesi che le due ragazze siano state affidate a un gruppo di connotazione «politica» ma che non siano gestite direttamente dall’Isis. Proprio per questo la Farnesina ha più volte evidenziato la necessità di mantenere il «massimo riserbo» sulle trattative avviate per evitare di far salire il prezzo degli ostaggi e soprattutto per impedire che possano essere cedute a un’altra formazione intenzionata a utilizzarle per la propaganda dei fondamentalisti. Una precauzione che vale anche per padre Paolo Dall’Oglio, catturato in Siria un anno fa e del quale da tempo non si hanno notizie, tanto che i suoi familiari si sono appellati ai rapitori affinché facciano almeno sapere se è ancora vivo.

La gestione dei precedenti sequestri di italiani in Siria ha consentito all’Aise, l’Agenzia di informazione e sicurezza esterna, di creare una «rete» di contatti efficienti, canali di dialogo che sinora hanno mostrato di funzionare. E proprio questo alimenta la speranza che, con tempi che naturalmente non potranno essere brevi, si possa ottenere la liberazione delle cooperanti, evidenziando il loro impegno nei confronti della popolazione e la scelta di recarsi in Siria, sia pur senza avere alcuna esperienza di quelle zone e del «teatro di guerra», esclusivamente per aiutare la popolazione e in particolare i bambini.

3 settembre 2014 | 07:00
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Da - http://www.corriere.it/


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Polizia: quella minaccia di sciopero non è ricatto...
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2014, 05:54:35 pm
Il commento
Polizia: quella minaccia di sciopero non è ricatto
Serve una strategia chiara sulla sicurezza

Di FIORENZA SARZANINI

Ci sono uomini e donne in divisa che lavorano fino a 15 ore al giorno pur sapendo di non poter percepire lo straordinario, altri che partono in missione senza alcuna certezza di ottenere il rimborso spese. Sono le stesse persone che adesso chiedono al governo di poter avere ciò che spetta loro. Perché, è bene chiarirlo subito, lo sciopero minacciato da forze dell’ordine e forze armate non mira ad ottenere il rinnovo del contratto oppure un aumento dello stipendio. La protesta è contro la scelta di non sbloccare il tetto degli stipendi imposto nel 2010 e dunque impedire il versamento delle somme dovute all’avanzamento di carriera.

Ha ragione il presidente Matteo Renzi quando dice che non bisogna piegarsi ai ricatti. Uno Stato funziona bene quando le istituzioni sono in grado di confrontarsi e di trovare soluzioni evitando esasperazioni e scontri. Cinque forze di polizia - soprattutto in un momento di grave crisi economica - possono causare sovrapposizioni e sprechi che invece sarebbe bene eliminare. Ma per arrivare a questo risultato occorre mettere a punto una seria strategia di interventi, individuando gli obiettivi e pianificando il percorso. Se ne parla da mesi, si stilano elenchi di «tagli», poi tutto viene rinviato.

Il tempo delle decisioni adesso è arrivato. La mobilitazione minacciata in maniera così eclatante non è un ricatto, è il campanello di un’esasperazione che non può e non deve essere sottovalutata. Perché riguarda un bene prezioso come quello della sicurezza e chi ha il compito di garantirla si sente invece «insicuro», addirittura «abbandonato», come lamentano migliaia di carabinieri, poliziotti, finanzieri, militari della Marina, dell’Aeronautica. Il malessere riguarda agenti e funzionari, appuntati e colonnelli, marescialli e generali. L’Italia è un Paese ad alto tasso delinquenziale, che è stato segnato dal terrorismo e ora si trova esposto a imponenti flussi migratori. Sono tante le emergenze da affrontare e bisogna farlo con apparati efficienti e motivati. Non si può consentire che l’età media dei poliziotti e dei carabinieri in servizio sfiori i 40 anni. Non si può consentire che un capo guadagni meno di un sottoposto non perché esiste una contrattazione individuale, ma perché non ci sono soldi per retribuire la sua promozione.

Sarebbe bene che all’incontro promesso con i rappresentanti di forze dell’ordine e forze armate, il capo del governo arrivasse con una strategia chiara per confermare che il tema della sicurezza è una priorità e non soltanto un tema da spendere nelle campagne elettorali.

6 settembre 2014 | 07:32
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_06/polizia-quella-minaccia-sciopero-non-ricatto-3f61be78-3585-11e4-bdcf-fc2cde10119c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI Bossetti non andò in cantiere il giorno dell’omicidio di Yara
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2014, 06:42:20 pm
L’inchiesta La perizia sui suoi spostamenti fino a pochi minuti dall’uscita della ragazza da ginnastica
«Bossetti non andò in cantiere il giorno dell’omicidio di Yara»
Gli investigatori: furgone vicino alla palestra prima della scomparsa

di FIORENZA SARZANINI

ROMA -- Il giorno della scomparsa di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti non andò a lavorare. Quel pomeriggio, pochi minuti prima che la tredicenne fosse portata via, il suo furgone girava intorno alla palestra dove la giovane era andata a portare uno stereo. È l’ultimo tassello inserito dagli investigatori nell’inchiesta contro il muratore accusato di aver sequestrato e poi ucciso la ragazzina. E rappresenta una clamorosa smentita al racconto fatto dall’indagato durante gli interrogatori davanti al giudice, quando ha negato di essere l’assassino e poi ha ricostruito i propri movimenti del 26 novembre 2010, affermando senza esitazione: «Passavo dalla zona del centro sportivo perché tornavo dal cantiere di Palazzago e andavo a casa».

Il tragitto dal cantiere
È il 19 giugno scorso, tre giorni dopo il fermo. L’uomo risponde alle domande del gip Ezia Maccora che deve decidere sulla convalida del provvedimento di cattura e si dichiara «innocente» pur ammettendo di non poter spiegare come mai il suo Dna sia stato trovato sui leggins e sugli slip della vittima. Quel giorno, racconta, «sono andato al lavoro e la sera sono rimasto a casa con mia moglie e i miei figli». Lo dice con sicurezza, tanto che il giudice gli chiede come faccia a ricordare i dettagli. Lui non si scompone: «Faccio sempre le stesse cose, sono un abitudinario». In realtà le verifiche effettuate successivamente avrebbero dimostrato che la vita del muratore non era proprio così metodica. Più volte si sarebbe assentato dal lavoro. E, dettaglio fondamentale per l’indagine, anche quel pomeriggio non risulta essere stato in cantiere.

Sono stati i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco a ricostruire gli spostamenti dell’uomo il giorno della scomparsa di Yara proprio per verificare l’attendibilità delle dichiarazioni difensive. Hanno acquisito i tracciati lasciati dal telefono cellulare, che disegnano il percorso compiuto dal muratore. Ma la svolta è arrivata incrociando le testimonianze dei colleghi di Bossetti, concordi nel ricordare che lui quel pomeriggio non c’era. E dunque utili a smontare quanto affermato dall’indagato. Il resto lo hanno fatto le telecamere piazzate nella zona della palestra.

Il furgone passa alle 18,30
I controlli effettuati subito dopo la sparizione della ragazzina consentono di affermare che le sue tracce si perdono alle 18,49 quando riceve un sms da una sua amica al quale non risponde. In quel momento il suo cellulare aggancia la stessa cella agganciata dal telefonino di Bossetti circa un’ora prima, esattamente alle 17,45. Le verifiche stabiliscono che l’uomo parlava con il cognato, lui aggiunge che l’ha fatto mentre stava tornando a casa. Ma questa volta a smentire la sua versione sono i filmati registrati da più postazioni.
La relazione dei carabinieri del Racis guidati dal generale Pasquale Angelosanto è di fatto terminata. E fornisce elementi precisi sul tragitto di quel furgone, individuato grazie a un particolare accessorio: un catarifrangente non di serie che Bossetti aveva montato sul retro del mezzo. Il primo passaggio viene «registrato» dalla telecamera piazzata su una banca. Alle 18,01 lo inquadra poi quella che si trova sul pilone del distributore di benzina a pochi metri dalla palestra. Ma non è finita: mezz’ora dopo è ancora lì, ripreso dalla telecamera di una società privata che ha la sede di fronte al centro sportivo.

Gli appostamenti e i controlli
Quanto basta per rafforzare la convinzione degli investigatori che stesse aspettando proprio la ragazzina, che - come sarebbe accaduto anche nei giorni precedenti - l’abbia pedinata, controllata, forse addirittura avvicinata prima di decidere di farla salire sul furgone e portarla verso il campo di Chignolo d’Isola dove il suo corpo straziato è stato ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011. Sono le testimonianze di commercianti e residenti della zona, incrociate con il tracciato dal suo telefonino, a dimostrare come il muratore fosse spesso nei pressi del centro sportivo frequentato da Yara.
«Andavo da mio fratello e dal commercialista», si è difeso Bossetti. Ma le verifiche compiute dagli investigatori hanno stabilito che le «visite» erano rare e saltuarie, mentre la sua presenza nella zona risulta costante, soprattutto nelle settimane precedenti la sparizione della ragazzina.

L’istanza e l’errore di notifica
«Non sono io, dimostrerò l’errore», ripete l’indagato dal carcere di Bergamo. Nei giorni scorsi i suoi avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni avevano presentato istanza di scarcerazione per mancanza di indizi, ma ieri il giudice non ha potuto pronunciarsi: i legali non l’hanno infatti notificata ai genitori di Yara, come prevede il codice, dunque è stata dichiarata inammissibile.

La presenteranno nuovamente, intanto la procura valuta la possibilità di stringere i tempi e andare al giudizio immediato entro i 180 giorni dall’arresto, quindi saltando l’udienza preliminare. È una procedura che può essere sollecitata quando l’indagato è detenuto, il pubblico ministero Letizia Ruggeri attende il deposito di tutte le relazioni tecniche che dovrebbe avvenire entro la fine di novembre e poi comunicherà la sua decisione.

12 settembre 2014 | 07:31
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_12/bossetti-non-ando-cantiere-giorno-dell-omicidio-yara-d2caf376-3a3c-11e4-8035-a6258e36319b.shtml


Titolo: SARZANINI. Berlusconi convoca i poliziotti e ... S'ILLUDE D'ESSERE CREDIBILE...
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2014, 06:27:20 pm
Il caso
Berlusconi convoca i poliziotti e spiazza il governo sulla protesta
Mercoledì l’incontro. Esecutivo a caccia di fondi per gli stipendi.
I sindacati saranno ricevuti a Palazzo Grazioli. Dal 23 sono previste le mobilitazioni

Di FIORENZA SARZANINI 138

ROMA - La convocazione è fissata per il 17 settembre «presso il parlamentino di Palazzo Grazioli». Quel giorno alle ore 16 i rappresentanti di forze dell’ordine e forze armate saranno ricevuti da Silvio Berlusconi. In attesa che il presidente del Consiglio Matteo Renzi trovi una soluzione per eliminare i tetti stipendiali di agenti e militari e fissi l’incontro che aveva promesso la scorsa settimana, il leader di Forza Italia entra nella partita. E lo fa, come viene sottolineato nella lettera tramessa ieri ai sindacati, «per intervenire nei confronti del governo con una presa di posizione decisa».

È una mossa inaspettata che spiazza Palazzo Chigi. La procedura sembra quella utilizzata quando a guidare l’esecutivo era proprio Berlusconi: un’«apertura» forte che mira anche a ottenere consenso. E arriva mentre i tecnici del ministero della Difesa e dell’Interno si affannano per trovare le «coperture» finanziarie necessarie a sbloccare gli stipendi entro la fine del 2014 e così consentire di ottenere l’adeguamento per il 2015. In realtà i soldi per l’anno in corso sono già stati accantonati e una parte sono a disposizione anche per il successivo. Rimangono però alcune «voci» scoperte e il rischio forte è che non si riesca a far quadrare i conti entro il 23 settembre, quando cominceranno le mobilitazioni.

Per quella data alcuni sindacati di polizia - primo fra tutti il Sap - hanno indetto «l’astensione dal lavoro per tre ore». Il giorno successivo scenderanno invece in piazza accanto ad alcuni «gruppi» che attraverso i social net-work hanno deciso di schierarsi dietro lo slogan «sblocchiamo i nostri stipendi». Alcuni rappresentanti dei Cocer hanno deciso di schierarsi «a titolo personale», ma questo non attenua la portata della protesta. Una mobilitazione eclatante e senza precedenti, soprattutto tenendo conto che è stata annunciata chiedendo anche le dimissioni dei ministri competenti il giorno dopo le dichiarazioni di una settimana fa della responsabile del dicastero Pubblica amministrazione, Marianna Madia, per annunciare l’estensione del blocco degli stipendi in vigore dal 2010 anche per il 2015 nonostante l’impegno preso nel luglio scorso di ripristinare gli aumenti sulla base delle promozioni ottenute.

Daniele Tissone, segretario della Silp Cgil, è chiaro: «Attendiamo la convocazione del presidente del Consiglio, se questa non ci sarà vedremo le iniziative da mettere in campo. Ad oggi a noi interessa sottolineare il valore della nostra vertenza sindacale, rifiutando le strumentalizzazioni politiche che si vogliono fare sulla pelle dei poliziotti». Gianni Tonelli del Sap ha una linea più dura: «Siamo a Montecitorio da oltre un mese e centinaia di cittadini hanno già firmato la nostra petizione per ridurre il numero di forze dell’ordine e per riformare l’apparato della sicurezza italiano».

Due giorni fa il Cocer della Guardia di Finanza guidato dal generale Bruno Bartoloni è stato ricevuto dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta e ha ribadito come «la specifica dinamica di funzionamento delle amministrazioni di polizia, militari e dei vigili dei fuoco, è inconciliabile con il blocco del tetto salariale poiché fissa per ciascun dipendente come limite massimo di retribuzione quello percepito nel 2010, senza tenere conto delle progressioni di carriera, delle maggiori mansioni svolte o della maggiore quantità di lavoro prestato». E soprattutto il fatto che i fondi sono stati accantonati utilizzando voci di bilancio riservate al personale e dunque soldi che sono comunque destinati a chi invece non riesce a ottenerli.

Una posizione che vorrebbero illustrare a Renzi, ma la convocazione tanto attesa non è arrivata e Berlusconi ha deciso di giocare d’anticipo. A organizzare la riunione sono stati Maurizio Gasparri e Paolo Romani. Adesso nel Pd c’è chi cerca di convincere il premier a sbloccare la situazione prima di mercoledì, consapevoli di quanto importante sia rispondere alle istanze di poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari. Soprattutto per mantenere l’impegno che era stato preso appena un mese e mezzo fa.

13 settembre 2014 | 07:10
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_13/berlusconi-convoca-poliziotti-spiazza-governo-protesta-be9db75c-3b00-11e4-9b9b-3ef80c141cfc.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ucraina: sanzioni all’amico di Putin
Inserito da: Admin - Settembre 23, 2014, 04:42:51 pm
Ucraina: sanzioni all’amico di Putin
Congelati i beni italiani dell’oligarca
L’imprenditore Arkadij Rotenberg, amico di judo del presidente russo, colpito dalle sanzioni contro il Cremlino. Sequestrate ville in Sardegna e un albergo a Roma

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Nella «black list» compilata dalle autorità degli Stati Uniti sui soggetti da sanzionare è al quinto posto. Perché Arkadij Romanovich Rotenberg, 63 anni, è il compagno di judo di Vladimir Putin, ma soprattutto è l’imprenditore che si è aggiudicato numerosi appalti per le Olimpiadi invernali di Sochi dello scorso febbraio. E dunque nei suoi confronti è scattato il «congelamento dei beni», misura prevista dall’Unione Europea contro i «fedelissimi» del presidente russo dopo la guerra scatenata in Ucraina.

In Italia è la prima volta che accade. Sigilli sono stati messi a ville e appartamenti in Sardegna, altri immobili nel Lazio, quote societarie, conti correnti bancari e un lussuoso albergo a Roma, a due passi da via Veneto. L’operazione del Nucleo valutario della Guardia di Finanza è scattata ieri mattina. Gli specialisti guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno eseguito il provvedimento - così come stabilito dalla procedura prevista in caso di «misure previste per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale» - notificandolo allo stesso Rotenberg anche per quanto riguarda le sue società: la «Olpon Investment Limited» che ha sede a Cipro e la «Aurora 31» che possiede l’hotel “Berg Luxury” nella capitale.

L’elenco degli immobili «sigillati» comprende un appartamento a Cagliari, una villa a Villasimius, una villa a Tarquinia, due ville ad Arzachena, l’albergo in pieno centro di Roma. In tutto fanno 30 milioni di euro di beni che l’imprenditore russo risulta aver acquistato attraverso le aziende che possiede all’estero.

È un colpo durissimo che certamente non mancherà di sollevare polemiche visto che alla fine di agosto, pochi giorni prima che i presidenti della Commissione europea, José Manuel Barroso, e del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy rendessero nota la decisione di nuove sanzioni, lo stesso Putin aveva dichiarato: «Se Usa e Ue insisteranno con le sanzioni in relazione alla crisi ucraina, la Russia dovrà rivedere la presenza delle aziende americane ed europee nei settori strategici» della sua economia e in particolare dell’energia.

La minaccia non ha fermato la Ue visto che il 6 settembre scorso proprio Barroso ha annunciato la scelta di «estendere la lista dei cittadini russi che andranno incontro al congelamento dei beni in Europa e al divieto di viaggio, tra cui la nuova leadership a Donbass, il governo di Crimea, oligarchi e altre figure di rilievo». E proprio tra queste figure di rilievo c’è Rotenberg, ma non solo. Nell’aprile scorso analoga misura era stata infatti presa nei confronti di Oleksii Mykolayovych Azarov, figlio dell’ex primo ministro ucraino, risultato titolare di una società con sede a Milano che gestisce una villa con annessi terreni sempre in Sardegna, esattamente nel golfo di Marinella a Olbia, altri immobili nella zona, oltre a numerosi conti correnti bancari, azioni, titoli e partecipazioni societarie.



I provvedimenti hanno valore retroattivo e, come viene specificato nel decreto notificato dagli investigatori del Nucleo valutario, sono efficaci a partire dal 30 luglio scorso, come prevede il Regolamento sul congelamento dei beni e «comporta la indisponibilità da parte del titolare». L’obiettivo è chiaro, indicato nello stesso accordo stipulato in sede di Unione che fa proprie le linee imposte prima dagli Stati Uniti: impedire qualsiasi genere di affari con gli uomini vicini a Putin individuati anche come i suoi principali finanziatori, ma anche bloccare l’accesso delle banche russe ai capitali europei e vietare l’import ed export di tecnologie ritenute strategiche.

Nella lista trasmessa al Valutario, oltre a Rotenberg figurano le persone che gravitano intorno a lui, parenti o semplici prestanome sui quali sono ancora in corso verifiche e che potrebbero diventare destinatari di analoghe misure proprio per evitare che attraverso una «rete» occulta le persone ritenute più vicine al presidente Putin possano continuare ad operare finanziariamente fuori dai confini russi.

23 settembre 2014 | 07:15
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_23/ucraina-sanzioni-all-amico-putin-congelati-beni-italiani-dell-oligarca-732a371c-42dc-11e4-9734-3f5cd619d2f5.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Risparmiatori truffati per 400 milioni
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2014, 05:37:27 pm
Il dossier
Risparmiatori truffati per 400 milioni
Rapporto della Guardia di finanza sui primi nove mesi del 2014: guadagni illeciti tra il 5 e l’8%.
Tra i nuovi Madoff italiani anche bancari e docenti universitari

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Hanno il volto rassicurante del funzionario di banca, del direttore dell’ufficio postale, addirittura del docente universitario. In realtà si sono trasformati in aguzzini dei piccoli risparmiatori. E nei primi nove mesi del 2014 sono riusciti a far sparire circa 400 milioni di euro. Denaro che ignari cittadini, molti pensionati, avevano messo da parte e speravano di far fruttare, specialmente in tempo di crisi. Invece si sono ritrovati a secco, con il capitale iniziale sparito, in molti casi occultato all’estero e praticamente impossibile da recuperare. È il rapporto della Guardia di Finanza sulla «tutela del risparmio» a delineare un fenomeno che desta sempre più allarme sociale. L’attività di contrasto delle Fiamme gialle ha consentito di individuare una ventina di «Madoff» italiani e su molti altri sono in corso accertamenti. Ma evidentemente il miraggio di facili guadagni continua a tentare centinaia e centinaia di cittadini. Caso eclatante è stato quello di Alberto Micalizzi, docente di economia aziendale alla Bocconi di Milano, che lo scorso anno è riuscito a far sparire 300 milioni di euro potendo contare sulla disponibilità nel portafoglio clienti anche di alcune banche d’affari. Più modesti appaiono i suoi seguaci che comunque hanno occultato cifre mai inferiori al milione di euro.

Il meccanismo a piramide
Il dossier lo evidenzia in maniera esplicita: «Non si tratta, al contrario di quanto comunemente percepito, di fenomeni isolati e limitati a ristretti ambiti provinciali. Il numero dei risparmiatori coinvolti e l’entità delle somme di denaro interessate da queste forme di truffa costituiscono gli indici per comprenderne la diffusione».

Si chiama «schema Ponzi» dal nome di un immigrato italiano negli Stati Uniti che negli anni Venti coinvolse circa 40 mila persone in una sorta di catena secondo la quale un investitore per guadagnare ne deve a sua volta coinvolgere un altro. La Guardia di Finanza avverte: «Al malcapitato vengono promessi altissimi rendimenti, in realtà corrisposti in minima parte e solo all’inizio del rapporto con le somme nel frattempo raccolte presso nuovi clienti. Il meccanismo procede spedito fino a quando non vengono avanzate richieste di restituzione dei capitali investiti svelando l’esistenza della truffa».

Il promotore e i soldi dei frati
Ha fatto scalpore, nel giugno scorso, la truffa studiata dal promotore finanziario calabrese Massimo Cedolia che aveva avuto l’incarico di gestire il fondo alimentato con i soldi dei fedeli raccolti al Santuario di San Francesco di Paola.


In realtà li ha usati per giocare in Borsa attraverso «una dissennata attività di trading online ad altissimo rischio, condotta contravvenendo alle prudenziali direttive dei frati e senza autorizzazione». Peccato che i guadagni li tenesse per sé: al momento dell’arresto gli sono stati sequestrati «28 fabbricati, 8 terreni, 10 automezzi per un totale di due milioni e 300 mila euro». Ma per ottenere la restituzione dei soldi i religiosi dovranno attendere la fine del processo in Cassazione.

Nel dossier è citato anche il caso di Benvenuto Morandi, ex direttore della Banca Intesa Sanpaolo di Fiorano al Serio ed ex sindaco del Comune Valbondione, arrestato il 9 maggio scorso per ordine del giudice di Bergamo. «Abusando del doppio ruolo di direttore e primo cittadino - è scritto nella relazione - ha sottratto 20 milioni di euro dai rapporti di conto riconducibili a diversi clienti». In questo caso i correntisti erano ignari di quanto accadeva, non avevano dato alcun assenso a investimenti spericolati: «L’indagato predisponeva false contabilità bancarie relative all’emissione di assegni circolari, alla disposizione di bonifici e prelevamenti in contanti a nome degli ignari titolari dei conti correnti». Alcuni suoi colleghi hanno invece fatto leva sulla propria professione di dipendenti di istituti di credito per invogliare i correntisti a tentare la fortuna con investimenti in titoli. Peccato che la documentazione fosse contraffatta e il denaro non sia stato ancora rintracciato.

I broker e i certificati
Lo «schema Ponzi» è quello più in voga tra i promotori finanziari. A Ferrara è stato arrestato un broker che «attraverso la produzione di falsi certificati di investimento riferiti a operazioni remunerate apparentemente con alti tassi di interesse, ha tratto in inganno oltre 100 risparmiatori sottraendo loro un patrimonio complessivo che supera gli 11 milioni di euro». Ingegnoso anche il sistema messo in piedi da un suo collega di Varese che «trasferiva dai conti dei clienti a quelli di alcuni sodali ingenti somme di denaro, carpendo la fiducia delle sue vittime e di alcuni funzionari di banca attraverso l’uso di documenti e contratti falsificati».

Una truffa da ben 4 milioni di euro è stata contestata a Pierpaolo Visintin, promotore di Pordenone che investiva in fantastici viaggi i soldi a lui affidati da commercianti e pensionati. Ne ha raggirati 40 riuscendo a portarsi via almeno quattro milioni di euro.

6 ottobre 2014 | 07:58
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_ottobre_06/risparmiatori-truffati-400-milioni-9b137988-4d1c-11e4-a2e1-2c9bacd0f304.shtml


Titolo: F. SARZANINI. Il volto tumefatto e la resa dello Stato incapace di giustizia
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2014, 12:02:44 pm
Il commento
Il volto tumefatto e la resa dello Stato incapace di giustizia

Di FIORENZA SARZANINI

Si devono guardare i suoi occhi pesti, il suo viso tumefatto, il suo corpo straziato. Si deve sapere che nessuno si è occupato del suo dolore fisico, né si è preoccupato che quel ragazzo, arrestato per possesso di droga, avesse smesso di bere e di mangiare. Nessuno ha dato importanza al fatto che non riuscisse più a reggersi in piedi tanto da non poter essere trasferito in carcere e dunque dovesse essere ricoverato nel centro di detenzione dell’ospedale Pertini.

E ci si deve interrogare su come sia possibile che nessuno pagherà per questo. Era nelle mani dello Stato Stefano Cucchi ma ieri lo Stato si è arreso e ha mostrato l’incapacità di rendere giustizia. La scelta di sua sorella Ilaria di far vedere ancora una volta in televisione la foto di quel volto devastato dalle botte sul lettino dell’obitorio è la nuova ennesima umiliazione che questa famiglia è costretta a subire pur di conoscere la verità. Un inammissibile sopruso che la mamma e il papà di Stefano hanno dovuto nuovamente sopportare. Sembra assurdo che in una vicenda dove ci sono decine di persone coinvolte, testimoni o protagonisti, non ci sia nessuno che decida di raccontare davvero che cosa è accaduto dal momento dell’arresto fino al ricovero.

Ma ancor più difficile da comprendere è che di fronte agli elementi forti già contenuti negli atti processuali i giudici non riescano a trovare i colpevoli. Stefano è stato ucciso. Lo Stato che non lo ha protetto adesso è chiamato a dire chi lo ha ammazzato. Ci sono stati tanti errori, omissioni e bugie commessi da chi era incaricato di indagare. Ma il verdetto di ieri, che ci lascia senza risposte e rende l’omicidio insoluto, è una sconfitta per tutti.

1 novembre 2014 | 08:35
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_01/volto-tumefatto-resa-stato-incapace-giustizia-04feb99a-6193-11e4-8446-549e7515ac85.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Valigette piene di soldi e affitti gonfiati, la rete del ...
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2014, 12:08:48 pm
Il caso
Valigette piene di soldi e affitti gonfiati, la rete del deputato pd
Accuse a Di Stefano, coordinava un tavolo alla Leopolda. Al telefono: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli, ma ora li tiro dentro tutti»


Di Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

ROMA - Quelle valigette piene di «documenti e valuta» occultate nel bagagliaio dell’auto che viaggiava dalla Francia all’Italia sembrano essere il simbolo dell’inchiesta che sta imbarazzando il Partito democratico. Perché l’accusa di corruzione contestata dai magistrati romani al deputato Marco Di Stefano potrebbe essere soltanto il primo passo di un’indagine che coinvolge ben altri nomi della politica romana.

I «contatti»
Parlamentari della sinistra e della destra accomunati dall’amicizia e soprattutto dagli affari conclusi da Antonio e Daniele Pulcini, imprenditori immobiliari dai mille interessi finiti agli arresti domiciliari per aver pagato il direttore del Demanio del Lazio per «pilotare» un’assegnazione. Costruttori capaci di tessere una rete che partiva da Di Stefano quando era assessore al Demanio della Giunta regionale guidata da Piero Marrazzo, passava per Antonio Lucarelli capo della segreteria del sindaco Gianni Alemanno, arrivava a Fabio De Lillo, ora alla Regione Lazio per il Nuovo centrodestra, ma anche al senatore udc Mario Baccini, ai parlamentari eletti con il Pdl Basilio Giordano e Antonino Foti. Nel gennaio 2013, Pulcini racconta al telefono a un amico di essere «appena uscito dal Campidoglio, ho concordato un posto nella lista civica». Poi fa il conto delle migliaia di voti che può spostare.

Gli affari e le minacce
La tangente da un milione e 880 mila euro (oltre a 300 mila euro per il suo collaboratore) che Di Stefano avrebbe preso per far affittare alla «Lazio Service» (società controllata dalla Regione) due palazzi dei Pulcini al prezzo stellare di 3 milioni e 725 mila euro ciascuno, appare già sufficiente per comprendere quale fosse il modus operandi degli imprenditori. Anche perché quel contratto consentì poi la vendita degli immobili all’Enpam con una plusvalenza che superava il 50% dell’effettivo valore.
Le carte processuali messe a disposizione della difesa mostrano con quale disinvoltura Di Stefano svolgesse il proprio incarico, modificando atti pubblici e rendendo così indispensabile - pur consapevole che invece non c’era alcuna necessità - la locazione degli stabili. Ma rendono chiari anche i suoi movimenti all’interno del partito per ottenere il posto in Parlamento.
Intercettazioni e verifiche compiute dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di finanza danno conto di quanto accadde dopo le primarie del Pd per la Camera dei deputati quando Di Stefano, primo dei non eletti, al telefono minacciava «la guerra nucleare, comincia da Zingaretti e li tiro tutti dentro», li accusava di essere «maiali, non è che puoi l’ultimo giorno, l’ultima notte buttar dentro la gente, dopo che dici che stai dentro» e candidamente affermava: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli».

È approdato alla Camera quando il sindaco di Roma Ignazio Marino ha nominato assessore Marta Leonori, che ha così liberato il posto e forse tacitato le minacce. Alla Leopolda era coordinatore del tavolo sui pagamenti elettronici.

Fondi esteri e mazzette
Chiedeva soldi Di Stefano, ma forse non era l’unico. L’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Nello Rossi mira a verificare il ruolo di un faccendiere che avrebbe trasferito soldi in Lussemburgo, probabilmente provviste da destinare al pagamento di tangenti. Ma anche a chi fosse destinato il denaro fatto rientrare dall’estero nel febbraio 2013 da Daniele Pulcini. L’imprenditore ne parla al telefono con un’amica, fornisce dettagli su un viaggio in Francia che insospettisce i pm. Scrive il giudice nel provvedimento che autorizza le intercettazioni: «Pulcini, inizialmente intenzionato a recarsi a Nizza a mezzo aereo, ha poi optato per la soluzione stradale incaricando due soggetti. Appaiono emblematici i termini della tentata prenotazione aerea verosimilmente finalizzati a evitare, nella fase di rientro, possibili controlli aeroportuali, talvolta innescati sui bagagli. Non ultimo il fatto di voler evitare la collocazione in stiva di qualcosa di valore, comunque non trasportabile a mano. Potrebbe così spiegarsi la volontà di ricorrere al mezzo stradale nella fase di passaggio di confine tra Francia e Italia, verosimilmente attraversato con materiale e documenti di sicura importanza per Pulcini, probabilmente valuta».

Case, permessi e regali
In occasione delle elezioni la famiglia Pulcini metteva a disposizione dei politici amici i locali da usare come uffici. Secondo i controlli degli investigatori «uno degli utilizzatori potrebbe essere Fabio De Lillo». Agli atti è allegata la trascrizione di una conversazione con uno dei dirigenti del gruppo imprenditoriale.
De Lillo: «Mi diceva il geometra che erano pronti quel...».
Catitti: «Sì, ho tutto. Ho i due contrattini fatti uno per il primo mese e uno per il secondo in modo tale che non li andiamo a registrare e la letterina per l’Acea».
De Lillo: «Perfetto, sto mandando un collaboratore da voi alla reception, ritira lui il plico, me lo porta indietro, io lo firmo e da qui a lunedì vi rimando indietro i comodati d’uso».
Catitti: «Allora lo lascio in busta chiusa, a che nome?».
De Lillo: «De Lillo, sta arrivando, sarà lì in 10 minuti».
Nel provvedimento del giudice vengono annotati anche «svariati contatti di Daniele Pulcini con l’onorevole Mario Baccini dai quali emerge un rapporto piuttosto confidenziale. Le conversazioni oltre ad appuntamenti e incontri riguardano la richiesta a Baccini di interventi finalizzati a caldeggiare certe pratiche burocratiche riguardanti la posizione di una donna, evidentemente amica di Antonio Pulcini, nonché adempimenti aeroportuali nel territorio del Marocco ove lo stesso Pulcini progettava di recarsi in compagnia femminile».

7 novembre 2014 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_07/valigette-piene-soldi-affitti-gonfiati-rete-deputato-pd-e32a96b8-6642-11e4-a5a4-2fa60354234f.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Salvini, l’assalto e la polizia Ecco come è andata
Inserito da: Admin - Novembre 11, 2014, 06:08:29 pm
La ricostruzione
Salvini, l’assalto e la polizia
Ecco come è andata
La questura di Bologna: c’erano 80 poliziotti al campo rom ma il leader leghista ha cambiato il programma. Lo staff del segretario non avrebbe avvisato la Digos
Di FIORENZA SARZANINI

Esisteva un dispositivo di sicurezza per proteggere Matteo Salvini, ma il segretario della Lega avrebbe preferito evitarlo. Sabato mattina non avrebbe avvisato la questura di Milano della partenza e quella di Bologna del suo arrivo, come invece si era impegnato a fare. E questo nonostante le norme prevedano che la «personalità» sotto tutela sia sempre obbligata a comunicare costantemente i propri spostamenti, i mezzi utilizzati e soprattutto i luoghi di sosta e di soggiorno.

Il giorno dopo l’aggressione avvenuta a oltre un chilometro dal campo rom del capoluogo emiliano, gli ordini di servizio della polizia ricostruiscono quanto accaduto e smentiscono la versione del leader del Carroccio quando ha dichiarato che gli era stato «impedito di entrare». Dimostrano infatti come l’attacco violento degli appartenenti ai centri sociali poteva essere evitato se Salvini avesse rispettato il programma messo a punto dal questore Vincenzo Stingone proprio per evitare qualsiasi tipo di contatto con gli estremisti. E oggi si rischia la replica visto che ci sarà una nuova visita.

La tutela a Milano
Si torna dunque al 6 novembre, quando i funzionari dell’ufficio scorte di Milano confermano ai colleghi di Bologna la scelta di Salvini di visitare il campo nomadi la mattina dell’8 novembre. La Digos prende accordi con la consigliera leghista Lucia Bergonzoni - incaricata di organizzare la trasferta - per avere comunicazione di tutti gli spostamenti. In particolare si stabilisce che prima di arrivare al casello autostradale avviseranno il capo della polizia di prevenzione per attivare la «staffetta» di auto, in modo che la vettura del segretario abbia la scorta fino a destinazione. Si decide anche di predisporre un presidio fisso in servizio di ordine pubblico in via Erbosa, di fronte all’ingresso dell’accampamento rom.

Vengono impiegati 80 uomini, la maggior parte a protezione dell’entrata secondaria che, questo aveva detto Bergonzoni, sarebbe stata utilizzata per l’accesso. Nelle prime ore di sabato la questura di Bologna contatta la «tutela» di Salvini e apprende che lui ha rifiutato di essere accompagnato nel viaggio. Si decide così di contattare Bergonzoni per avere aggiornamenti. Sono le 11 quando la consigliera viene chiamata e conferma di essere in autostrada con il segretario, ma in ritardo a causa del traffico. Ribadisce che chiamerà una volta arrivata nei pressi di Bologna.

L’arrivo all’Hippobingo
Alle 11,50, non ricevendo alcuna notizia, il capo della Digos di Bologna invia un sms a Bergonzoni per sapere a che punto del viaggio siano. Scopre così che non solo non c’è stato alcun avviso al momento di entrare in città, ma che Salvini è già nel piazzale dell’Hippobingo, dunque a poco più di un chilometro dall’ingresso del campo. Lo dice lei stessa al telefono al capo della Digos e spiega che il segretario del Carroccio sta parlando con i giornalisti. È un inaspettato cambio di programma anche perché la stampa era stata inizialmente convocata di fronte al campo rom e invece a cronisti e telecamere è stato chiesto di spostarsi. Una modifica che evidentemente viene appresa anche dagli estremisti che aspettavano il leader leghista all’ingresso.

Il funzionario comunica a Bergonzoni di attendere perché invierà immediatamente la «staffetta» sul piazzale e le raccomanda di non far muovere la vettura di Salvini. Neanche due minuti dopo è lei a richiamare per chiedere aiuto «perché siamo stati aggrediti».

L’accusa dei sindacati
Sono sei le persone già identificate e denunciate. E a difesa dei colleghi della questura di Bologna si schierano numerosi sindacati. «Va bene chiedere le dimissioni del ministro Angelino Alfano - dichiara Daniele Tissone della Silp Cgil - ma prendersela con i poliziotti è inaccettabile. Non si comprende perché si sia voluto creare a tutti i costi un caso da scaricare poi su funzionari e agenti». In linea Lorena La Spina dell’Associazione Funzionari e Felice Romano del Siulp: «Il servizio di ordine pubblico c’era ma se lo staff del leader della Lega non comunica che ha organizzato la conferenza stampa in un posto diverso da quello previsto, non si può pensare che i poliziotti abbiano la sfera di cristallo. Per questo chiediamo a Salvini di accertare perché il suo staff è stato disattento esponendolo a quel rischio, oppure c’è dell’altro».

10 novembre 2014 | 08:19
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_10/salvini-l-assalto-polizia-ecco-come-andata-d608a8b8-68a8-11e4-aa33-bc752730e772.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I pm sul deputato pd: Soldi a Ginevra scortato da poliziotti
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2014, 05:40:42 pm
IL CASO
I pm sul deputato pd: «Soldi a Ginevra scortato da poliziotti»
Ricostruiti i movimenti di Marco Di Stefano che nega le accuse: denuncerà la ex moglie, testimone nell’inchiesta

Di FIORENZA SARZANINI

Soldi nascosti in alcune valigette, portati in Svizzera e depositati su due conti presso la Ubs di Ginevra. Centinaia di migliaia di euro occultati da Marco Di Stefano, il deputato del Partito Democratico accusato di aver preso tangenti in cambio di appalti tra il 2008 e il 2009 quando era assessore al Demanio e Patrimonio della Regione Lazio. I magistrati di Roma hanno dunque scoperto la pista che porta al denaro grazie alla collaborazione delle autorità elvetiche. E l’inchiesta sui lavori affidati agli imprenditori Antonio e Daniele Pulcini, ma anche ad altri costruttori capitolini, entra nella fase decisiva. Entro un mese il fascicolo potrebbe essere chiuso con la richiesta di rinvio a giudizio, svelando nuovi e inediti retroscena. Uno è già noto: nei suoi viaggi per arrivare oltreconfine il parlamentare, ex poliziotto, si faceva scortare dai suoi amici delle forze dell’ordine.

La rogatoria
La richiesta di rogatoria del procuratore aggiunto Nello Rossi e del sostituto Corrado Fasanelli parte svariati mesi fa. Si chiede di verificare l’esistenza di rapporti bancari tra Di Stefano e le società che fanno capo alla famiglia Pulcini. Le verifiche affidate al Nucleo di Polizia Valutaria hanno infatti già ricostruito i «trucchi» utilizzati dall’allora assessore per consentire agli imprenditori amici di affittare alla «Lazio Service» (società controllata dalla Regione) due palazzi per 3 milioni e 725 mila euro ciascuno. Una cifra fuori mercato che aveva fatto salire alle stelle il valore degli immobili e consentì di venderli all’Enpam a un prezzo che superava di almeno il 50 per cento il loro valore.
I testimoni assicurano che per quell’affare Di Stefano ha preso un milione e 800 mila euro, oltre a 300 mila euro incassati dal suo collaboratore Alfredo Guagnelli. Dunque è necessario scoprire dove sia finito il denaro.

Il saldo zero
Sono i finanzieri guidati dal generale Giuseppe Bottillo a ricostruire i viaggi all’estero effettuati dal parlamentare. Documentano i suoi spostamenti, identificano le persone che lo accompagnano, arrivano alla banca. E lì un funzionario accetta di collaborare consegnando le movimentazioni dei conti tra il 2010 e il 2012. Spostamenti di denaro che certamente non sono congrui rispetto al patrimonio di Di Stefano. È la svolta. Perché avvalorano l’ipotesi che quei contanti trasportati in auto siano il prezzo della corruzione. Anche tenendo conto che all’improvviso entrambi i depositi vengono completamente svuotati.
Nuovi accertamenti sono in corso per stabilire se il trasferimento finale coincida con l’entrata di Di Stefano in Parlamento, nell’agosto del 2013. Alcuni mesi prima l’esponente del Pd partecipa infatti alle primarie per essere tra i candidati alla Camera ma risulta il primo dei non eletti e al telefono minaccia di «far scoppiare la guerra nucleare a cominciare da Zingaretti», accusa «i maiali che mi hanno fatto fare le primarie con gli imbrogli».

La sua ira ha evidentemente effetto: entra a Montecitorio al posto di Marta Leonori, nominata assessore dal sindaco di Roma Ignazio Marino. E subito si schiera tanto da diventare uno degli oratori all’ultima Leopolda, esperto dei «pagamenti digitali».

L’amico sparito

Lui giura di non aver mai preso un euro illecitamente, accusa la sua ex moglie, testimone dell’inchiesta, di averlo rovinato per vendetta, annuncia che la denuncerà per stalking. In realtà sono diverse le circostanze che dovrà chiarire. Perché il ritrovamento dei conti svizzeri apre scenari nuovi rispetto alla sua difesa che si basava sulla mancanza di tracce dei soldi. Ma non è l’unico mistero da risolvere.
Dall’8 ottobre 2009 Guagnelli è sparito, potrebbe addirittura essere morto. Questo almeno sostiene il fratello Bruno, il primo a raccontare della tangente presa da Di Stefano e ad avvalorare la tesi dell’omicidio. Di Stefano sostiene che Guagnelli «era un buon amico», ma nega «che fosse stato coinvolto in vicende riguardanti la Regione Lazio».
Troppo poco per convincere i magistrati sulla sua completa estraneità.

21 novembre 2014 | 08:49
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_21/i-pm-deputato-pd-soldi-ginevra-scortato-poliziotti-f2e5273a-7150-11e4-b9c7-dbbe3ea603eb.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tangenti a Roma, Le carte dell’indagine
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2014, 05:33:56 pm
Tangenti a Roma, Le carte dell’indagine
«Ti servono i contanti?» La segretaria di Buzzi svela il «libro nero»
Dal carcere Nadia Cerrito conferma tutto: decine e decine di dazioni, che la banda usava per controllare il Campidoglio. La donna ha ammesso di aver preparato le buste

Di FIORENZA SARZANINI

È accusata di essere la «cassiera» della banda guidata da Massimo Carminati ed è la prima a crollare. Da una cella del carcere di Rebibbia dove è stata rinchiusa martedì scorso, parla Nadia Cerrito e conferma le dazioni «in nero» a politici e funzionari. Collabora la segretaria di Salvatore Buzzi, il socio dell’ex estremista dei Nar. Ammette di essere stata lei «a preparare le buste con i contanti». E nell’indagine dei pm si registra il primo punto di svolta. Le carte processuali le assegnano un ruolo strategico nell’organizzazione. Lei dice di averlo fatto «per non essere licenziata». Ma ad accusarla c’è il «libro nero» sequestrato nel suo appartamento con l’elenco delle somme pagate e l’iniziale di chi le ha percepite. Decine e decine di dazioni, al massimo 15 mila euro, servite alla banda per controllare il Campidoglio e forse ottenere appalti anche dalla Regione Lazio. Un tariffario al quale si aggiungevano gli extra che il «capo», d’accordo con Carminati, avrebbe versato in occasioni particolari come le cene elettorali del sindaco Gianni Alemanno.

«Fondi riservati»
Non esita Cerrito di fronte al giudice che ha ordinato la sua cattura. E assistita dall’avvocato Bruno Andreozzi, dichiara: «Intendo rispondere all’interrogatorio». Spiega di essere «impiegata della “Cooperativa 29 giugno” da quindici anni e ho uno stipendio da ragioniera. In realtà sono cinque cooperative, abbiamo circa 1.200 dipendenti». Al gip Flavia Costantini che le chiede come mai il “libro nero” sia stato trovato nel suo appartamento e non in ufficio dice: «Lo tenevo sempre nella borsa perché Salvatore Buzzi mi aveva detto che riguardava pagamenti riservati e dunque non volevo che altri lo vedessero».
I dettagli fanno la differenza. Lei li racconta, anche se nel primo interrogatorio mostra di non voler cedere completamente. E conferma: «Buzzi portava i soldi in contanti e io provvedevo a preparare le buste con le sue indicazioni. La “B” che vedete per me equivale a Buzzi. Io non sapevo quale fosse la destinazione finale di soldi, chi fossero i percettori».

«Era illegale»
Il giudice la incalza, lei cede: «Sapevo che si trattava di cose illegali visto che era una contabilità parallela che quindi non doveva essere registrata in alcun modo, ma io non mi potevo sottrarre. Mi dicevano di preparare i soldi in contanti e mi dicevano che dovevano essere messi nelle buste. Io non potevo dire di no. Ho una famiglia, un padre malato, avevo paura di perdere il lavoro. Le buste hanno cominciato a chiedermele due o tre anni fa».

L’elenco dei politici finiti nell’inchiesta va da Alemanno, al capo della sua segretaria Antonio Lucarelli, al capogruppo del Pdl alla Regione Lazio Luca Gramazio. E poi ci sono gli uomini del Partito Democratico: il consigliere regionale Luca Odevaine, il suo collega Eugenio Patanè, il presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti. E poi ci sono gli “amici” come l’ex segretario della federazione romana Lionello Cosentino; il capo della segreteria di Ignazio Marino, Mattia Stella; il vicesindaco Luigi Nieri; il deputato Umberto Marroni; l’assessore comunale alla casa Daniele Ozzimo, marito della parlamentare Michela Campana, responsabile Welfare del partito, destinataria di una richiesta di un’interrogazione parlamentare di Buzzi che nell’sms di risposta scrive: “bacio grande Capo”.


«Vidi Panzironi»
Cerrito conferma di aver saputo dei soldi dati da Buzzi a Carminati, ma quando le chiedono se conosca l’ex estremista dei Nar la donna sembra vacillare. I carabinieri del Ros guidati dal generale Mario Parente hanno filmato e registrato incontri e conversazioni avvenuti nella sede della cooperativa. Il giudice le contesta una riunione del 29 gennaio scorso quando «Paolo Di Ninno, alla presenza di Nadia Cerrito, faceva un resoconto a Buzzi e Carminati della contabilità, ufficiale e parallela, delle cooperative dagli stessi gestite, interloquisce con Carminati circa il modo per fargli pervenire un flusso economico» e durante la quale lei «menziona il “libro nero” e Carminati chiede di “tirar fuori un po’ di soldi”». Lei dice di non averlo visto.

Le fanno ascoltare un’altra intercettazione ambientale del 16 maggio 2013 su 15 mila euro dati a Franco Panzironi, ex amministratore dell’Ama.
Buzzi: «C’avemo i soldi oggi?».
Cerrito: «Sì, te servono?».
Buzzi: «Sempre i 15 mila, oggi è l’ultima settimana e ho finito».
Cerrito: «Te li porto?».

Lei conferma che Panzironi «veniva in ufficio», mentre Riccardo Mancini e il direttore del servizio Giardini del Campidoglio Claudio Turella «li ho sentiti nominare», mentre Gramazio «non l’ho mai sentito». Nei prossimi giorni sarà nuovamente interrogata dai pm Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli e continuerà a parlare. Il difensore di Buzzi, l’avvocato Alessandro Diddi, annuncia: «Solleciterò un interrogatorio per la prossima settimana per rispondere alle domande degli inquirenti. Leggeremo le carte e decideremo quale atteggiamento tenere nei confronti della procura». Di più non dice. Ma di fronte alle possibili crepe nel muro di silenzio finora eretto dagli indagati, sono in molti a tremare.

5 dicembre 2014 | 07:14
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_05/ti-servono-contanti-te-li-porto-segretaria-svela-libro-nero-c9050dba-7c43-11e4-813c-f943a4c58546.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Roma, ecco gli altri politici nella rete
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2014, 05:40:35 pm
Roma, ecco gli altri politici nella rete
«Diamo soldi a una deputata del Pd» Marino: «I dirigenti ruoteranno tutti»
Buzzi: «Mo se me compro la Campana...» Il nome della deputata della segreteria dem
E poi si vanta anche di aver conosciuto Berlusconi a una cena elettorale di Alemanno

Di FIORENZA SARZANINI

Nella sequenza fotografica gli investigatori testimoniano l’incontro tra Fabrizio Franco Testa, uno degli arrestati di martedì scorso, e Massimo carminati che arriva all’appuntamento con una Smart bianca. Testa esulta, poi i due si abbracciano. Al gruppo si aggrega il braccio destro di Carminati Salvatore Buzzi Nella sequenza fotografica gli investigatori testimoniano l’incontro tra Fabrizio Franco Testa, uno degli arrestati di martedì scorso, e Massimo carminati che arriva all’appuntamento con una Smart bianca. Testa esulta, poi i due si abbracciano. Al gruppo si aggrega il braccio destro di Carminati Salvatore Buzzi

ROMA Nella rete tessuta da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi potrebbero essere coinvolti altri politici e funzionari pubblici. Persone che l’organizzazione riteneva strategiche per continuare ad accaparrarsi gli appalti del Comune e controllare anche la Regione. Pagavano bene, soldi contanti, elargizioni mensili. Ma c’era anche chi chiedeva come contropartita l’assunzione di un parente o di un amico. Richieste prontamente soddisfatte. I nomi sono nelle carte processuali che raccontano il lavoro svolto dai carabinieri del Ros e dai magistrati romani.

«Ce fai aprì sta cosa»
Il 5 maggio 2013 Buzzi parla nel suo ufficio con Carminati e con altri soci. E dice: «Allora te sto a di, no...riguardo a Michela e Bubbico stanno allo stesso partito no? se glie dicessi... io domani siccome la devo vede’ prima de Gasbarra e siccome dovemo dagli pure 20 mila euro per sta cazzo de campagna elettorale “ce fai aprì sta cosa te damo 1 euro a persona per la campagna elettorale”». E poco dopo aggiunge: «mo se me compro la Campana...». Annotano gli investigatori: «Buzzi sembra riferirsi a Micaela Campana, deputata eletta nelle file del Pd, compagna di Daniele Ozzimo, assessore del Comune di Roma», che lo stesso Buzzi definiva «un amico». Il nome della parlamentare, responsabile Welfare del Pd, era già emerso nei giorni scorsi per un sms di risposta a Buzzi - «un bacio grande capo» - che le aveva chiesto di presentare una interrogazione alla Camera. Il riferimento a Bubbico riguarda invece una ricerca di incontro con il viceministro dell’Interno. Il 5 maggio scorso parlano di un appuntamento «con il suo capo segreteria», ma «non c’è riscontro che sia avvenuto».

«Votate Gasbarra»
Il 16 maggio 2014, alla vigilia delle Europee «Buzzi ricordava l’importanza di far votare Enrico Gasbarra». E diceva: «Devi capì, noi il nostro mondo è Gasbarra, non è Bettini. Noi nell’ambito de ste cose, nell’ambito di questa monnezza, pe tenè i voti già semo arrivati a 43 mila euro, eh...Tassone 30, Alemanno 40...europee e questi i 3mila e 550, questo se chiama D’Ausilio perché noi pagamo paghiamo tutti come vedi... fai il bonifico poi io te porto la fattura». Gasbarra smentisce: «Non conosco, non ho mai avuto incontri con Buzzi, o altre persone di quel “sistema”. Non so perché si dice che mi avrebbero dato qualche voto, di sicuro io non gli ho mai chiesto voti né contributi o finanziamenti, che infatti non ho ricevuto».
Una riunione con il candidato sindaco Alfio Marchini è stata invece organizzata proprio da Carminati per il 28 novembre 2013 e questo dimostra, secondo i magistrati «il suo ruolo di “ponte” e “trait d’union” tra “mondi politici” opposti» grazie «alla fitta rete di relazioni che mostrava di aver intrecciato nel tempo a tutti i livelli, sfruttata dall’organizzazione». All’appuntamento manda Luca Gramazio accompagnato da altri «amici» e Marchini adesso conferma che l’obiettivo «era di esporre il progetto politico al quale stavo lavorando, ma poi non si fece nulla e certamente ignoravo che dietro ci fosse Carminati, anche perché vorrei ricordare che la mia famiglia era obiettivo per i rapimenti della banda della Magliana». Di un altro incontro si vanta Buzzi ed è quello con Berlusconi avvenuto durante la cena elettorale di Gianni Alemanno del 16 maggio 2013: «M’ha presentato a Silvio, dicendo “ti presento il capo della cooperative rosse di Roma”». Alemanno è indagato per associazione mafiosa per essersi messo a disposizione insieme ai suoi più stretti collaboratori.

I sindaci
Sulla gestione del Campidoglio prima dell’arrivo di Alemanno, Buzzi non sembra essere soddisfatto, anche se poi si lascia andare a considerazioni che al momento gli inquirenti ritengono essere millanterie. Il 17 novembre 2013, parlando in macchina con un’amica, rammenta il passato e afferma: «Non c’era niente e quindi quali problemi c’avevamo? C’avevamo il vento a favore, c’era Rutelli davvero tu ce pensi, c’avevamo Rutelli, la De Petris assessore, all’Ama stavamo ‘na favola stavamo». La donna però lo prende in giro: «Vabbè nel 1995? Nel 1999, otto nove milioni delle vecchie lire. Mo’ da due milioni a 56, de che stamo a parla’». Buzzi e i suoi sodali si lamentano anche di Veltroni: «Col cazzo ti riceveva così, ti mandava qualche scagnozzo della segreteria e stai bene così». Poi però parlando dei soldi dati al suo ex vicecapo di gabinetto Luca Odevaine, arrestato proprio con l’accusa di far parte dell’organizzazione, Buzzi dice: «Ma se Odevaine c’ha tutta sta roba, c’ha mezzo Venezuela, ma Veltroni quanta roba c’ha?».

L’organizzazione ha contatti ovunque. Il 13 giugno 2013 Carminati trascorre oltre un’ora con l’ex direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzessere. Discutono dei rapporti di Berlusconi con il consulente della holding Lorenzo Cola, del ruolo di La Russa e della sua «fissazione per le donne». Poi riferendosi al neosindaco Marino, l’ex Nar dice: «Peggio di Alemanno non po’ fa’». In un’altra occasione Carminati parla di Fabio Panetta, il vicedirettore di Bankitalia: «Stavamo insieme a fare politica da ragazzini. Ci ho fatto le vacanze insieme per tutta la vita è uno dei miei migliori amici, ogni tanto mi chiama».

fsarzanini@corriere.it

6 dicembre 2014 | 07:31
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_06/mafia-roma-ecco-altri-politici-rete-diamo-soldi-una-deputata-pd-13d11e70-7d10-11e4-878f-3e2fb7c8ce61.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Buzzi: “A noi ci manda Goffredo” Trovati conti in Svizzera
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2014, 05:55:54 pm
Buzzi: “A noi ci manda Goffredo” Trovati anche conti in Svizzera
Le carte processuali svelano quanto invasiva fosse ormai la sua presenza all’interno delle istituzioni capitoline

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA I soldi delle tangenti venivano nascosti in Svizzera oppure su conti correnti intestati a parenti e amici. Fedeli prestanome disposti a «coprire» il malaffare dei politici locali e nazionali che - secondo i magistrati romani - si erano messi al servizio dell’organizzazione guidata da Massimo Carminati e dal suo socio Salvatore Buzzi. Era lui a gestire la «rete» all’interno della pubblica amministrazione. Aveva referenti ovunque. Si vantava di poter trovare anche la sponsorizzazione di Goffredo Bettini, europarlamentare del Pd e gran tessitore del partito a Roma. Le carte processuali svelano quanto invasiva fosse ormai la sua presenza all’interno delle istituzioni capitoline. E gli scontri nel centrodestra per spartirsi la «torta» con la minaccia di un consigliere contro l’allora sindaco Gianni Alemanno, ora indagato per associazione mafiosa: «È un tangentaro, io ve faccio arresta’ tutti».

Bettini sponsor
Il 17 marzo scorso Buzzi valuta con Luca Odevaine - anche lui ora in carcere - la possibilità di ottenere appalti all’interno del Centro per i rifugiati di Mineo, in Sicilia. Quello stesso giorno deve incontrare Gianni Letta proprio per affrontare la questione relativa ai centri per immigrati e vuole consigli.
Buzzi: «Che gli chiedo a Letta?».
Odevaine: «Secondo me a Letta je se potrebbe parla’ de quell’altra questione, quella della Regione Lazio».
Buzzi: «Ma lì servono, non è alla nostra portata, capito qual è il problema! A noi ce manda Goffredo con una precisa indicazione. (Annotano i carabinieri del Ros: “Si tratta di Goffredo Bettini” e poi allegano l’intera biografia)».
Odevaine: «No certo, alla portata nostra... mi hanno chiesto pure questi de “La Cascina” però non è che noi, la potremo fare con un partner».

La banca
Ci sono svariati «spalloni» al servizio di Carminati ma il viaggio documentato nella primavera scorsa potrebbe essere servito a trasportare in un istituto elvetico i soldi delle tangenti. Lo spiegano gli specialisti dell’Arma quando evidenziano come «nel corso degli accertamenti è emerso che alcuni sodali si recheranno in Svizzera per pianificare le successive attività di riciclaggio degli illeciti cespiti» e danno conto delle verifiche effettuate sul commercialista Stefano Bravo, uno degli indagati, che al telefono svela i suoi programmi. Si tratta, sottolineano i carabinieri, di una trasferta «per il 10 aprile a Milano, città di transito verso la destinazione finale in territorio elvetico, finalizzata al compimento di operazioni bancarie di significativo interesse per l’indagine». Scatta il pedinamento e viene individuata la banca dove sarebbe stata portata parte dei soldi. Passo fondamentale per chiedere la collaborazione delle autorità locali e accedere alla movimentazione.

La mamma di Odevaine

I proventi illeciti che sarebbero stati percepiti da Odevaine sono stati invece rintracciati. Il politico del Pd ha investito parte del suo patrimonio in Venezuela, ma per nascondere il denaro in Italia si è servito dei conti di madre e figli, tanto che alla fine neanche lui sapeva bene dove fossero finiti. In una telefonata intercettata il 14 marzo 2014 dà disposizioni al commercialista Marco Bruera: «Intanto a mia madre gli facciamo le ritenute, 3.200 a Maribelita, ce l’hai l’Iban?, 800 per cui gli fai una roba di rimborso spese poi dopo quando c’abbiamo la scheda carburante. Qui metti un trasferimento di fondi... L’iban di mia madre ce l’hai?». Scattano i controlli e si scopre che l’anziana signora gestisce svariati conti. Non è l’unica. Quattro giorni dopo, sempre parlando con il professionista, Odevaine dice: «È un casino per me capito? Perché io c’ho conti che uso io ma che sono di mia figlia, di mio figlio, Alessandra, Maribelita». Scrivono i carabinieri: «Con la complicità di alcuni collaboratori Odevaine organizzava operazioni finanziarie che transitavano su conti intestati ai suoi congiunti con la finalità di occultare le dazioni in suo favore».

«A Ozzimo 2 milioni»
Il 23 gennaio 2014 c’è una riunione negli uffici di Buzzi alla quale partecipa anche Carminati. Si fa un bilancio delle attività e Buzzi afferma: «Ieri sono stato da Marini che m’ha stampato le delibere dei 7 milioni e 2 al Comune di Roma. Bisogna anda’ da Ozzimo, io c’ho preso appuntamento per mercoledì perché dovremmo fa’ un progettino quindi Ozzimo ce ne da 5, noi gliene avemo portati 7 lui ce guadagna 2 milioni». Da pochi giorni è finito in carcere Luca Fegatelli, il direttore dell’Agenzia regionale per i beni confiscati. Buzzi lancia l’idea: «I beni passano a Ozzimo, stavamo a studia’ ieri un’ipotesi che lui vole fa... prende i beni della mafia, prenderli e mettece dentro gli immigrati». Ozzimo lo chiamano «il padrone».

«Rovino Alemanno»
I finanziamenti a pioggia che arrivano al centrodestra provocano un durissimo scontro tra Luca Gramazio e il consigliere comunale pdl Patrizio Bianconi che nel gennaio 2013 si lamenta perché non gli arrivano i soldi per la campagna elettorale: «Io vado a San Vitale e a quel tangentaro di Alemanno gli rompo il culo... le gambe tendono ad andare verso la questura, sono state date tangenti a destra e a manca, l’unico pulito sono io e adesso mi sono rotto».

7 dicembre 2014 | 08:38
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_07/buzzi-a-noi-ci-manda-goffredo-trovati-anche-conti-svizzera-07b4cbcc-7de3-11e4-9639-7f4a30c624ee.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ricostruiti i movimenti del commercialista che spostava ...
Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2014, 03:13:55 pm
Ricostruiti i movimenti del commercialista che spostava il frutto delle tangenti a Lugano
«Alemanno porta soldi in Argentina In aeroporto passa al varco riservato»
L’ex sindaco: millanterie. Indagato un collaboratore della Kyenge avvicinato dalla banda


Di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA - Valigette piene di contanti trasportate in Argentina dal sindaco Gianni Alemanno. Denaro portato all’estero evitando i controlli all’aeroporto. Ne parlano gli arrestati dell’inchiesta «Mafia capitale» in una conversazione intercettata e i controlli dei carabinieri del Ros si concentrano su una vacanza di qualche anno fa.

Il percorso dei soldi porta in Sudamerica, ma anche a una fiduciaria di Lugano dove gli «spalloni» dell’organizzazione - capeggiata dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati e dall’imprenditore Salvatore Buzzi - avrebbero trasferito i soldi delle tangenti versate ai politici. Nella strategia di infiltrazione del Campidoglio e delle istituzioni romane Luca Gramazio, consigliere regionale del Pdl, avrebbe tentato di truccare le Regionali del 2013 proprio per continuare a comandare e gestire gli affari. Ma si sarebbero mossi anche a più alto livello riuscendo ad agganciare un collaboratore dell’ex ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge per tentare di entrare nel Centro di accoglienza di Mineo, in Sicilia. Un dirigente della presidenza del Consiglio che per questo è finito sotto inchiesta.

I viaggi del sindaco
Il 31 gennaio scorso Luca Odevaine parla con altri due presunti complici di una lite che Alemanno avrebbe avuto con un uomo che però non viene citato.

Odevaine: «Abita in questo palazzo, che figlio di m... ha litigato con Alemanno... per soldi se so’ scannati... ma sai che Alemanno si è portato via, ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valige piene de’ soldi in Argentina, se so’ portati con le valige piene de contanti, ma te sembra normale che un sindaco... me l’ha detto questi de Polaria».

Schina: «E nessuno lo ha controllato?».
Odevaine: «No è passato al varco riservato... poi ad un certo punto deve essere successo qualche casino, ad Alemanno gli hanno fatto uno strano furto a casa».
Schina: «Cercavano qualche pezzo de carta».
Odevaine: «Credo hanno litigato perché Alemanno ha pensato che ce li ha mandati questo».
Le verifiche effettuate dagli specialisti hanno individuato un viaggio fatto da Alemanno in occasione di un Capodanno. Lui smentisce: «Millanteria totalmente infondata. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina. Il furto di cui si parla è avvenuto ad ottobre 2013 e basta aprire Google per constatare che è stato ampiamente pubblicizzato. Per quanto riguarda il viaggio in Argentina ci sono stato per pochi giorni con la mia famiglia e un folto gruppo di amici a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia».

Riciclaggio a Lugano
È in una fiduciaria di Lugano che Stefano Bravo, commercialista ora indagato per riciclaggio, avrebbe trasferito parte dei soldi delle tangenti. Gli investigatori lo hanno scoperto ascoltando le sue conversazioni con Odevaine e adesso indagano per scoprire quanti fossero i suoi clienti e soprattutto per ricostruire la tela dei conti esteri svizzeri, ma anche quelli aperti in vari paradisi fiscali, compresa Panama. Nello stabile della città svizzera dove è entrato il 10 aprile scorso si trovano numerose società di investimento, ma la sua destinazione è stata individuata e su questo è già in corso una rogatoria con le autorità elvetiche per ottenere l’elenco dei depositi e delle operazioni effettuate dai personaggi inseriti nell’organizzazione.

Le carte processuali fanno emergere numerosi contatti tra l’Honduras e il Costa Rica che proprio Odevaine, probabilmente per conto dell’organizzazione, aveva attivato per intraprendere attività di commercializzazione di prodotti italiani e reimpiegare il denaro ottenuto grazie al pagamento delle «mazzette». Gli stessi canali sarebbero stati utilizzati anche da altri politici foraggiati negli ultimi anni.

I brogli alla Regione
È il 21 febbraio 2013, Gramazio chiama un amico e intanto dice: «Finite le operazioni di voto, le urne vanno in alcune sedi dove vengono contate, non si tratta della classica operazione di controllo delle schede, quello c’abbiamo ancora tempo per fare gli inserimenti. Ce provo, se stiamo in tempo la metto». Annotano i carabinieri: «Luca Gramazio era candidato alle elezioni regionali. Da un’altra conversazione telefonica risulta che dispone di una rete di scrutatori impegnata nelle operazioni di scrutinio dei voti». La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta e l’esponente del Pdl è indagato per «aver posto in essere atti diretti alla produzione di schede elettorali false».

8 dicembre 2014 | 08:13
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_08/alemanno-soldi-argentina-4f8db8b0-7ea5-11e4-bf8b-faa9d359f85b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Mafia a Roma, la nuova scoperta: un altro libro nero delle..
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2014, 11:23:08 pm
L’inchiesta
Mafia a Roma, la nuova scoperta: un altro libro nero delle tangenti
Nelle intercettazioni Odevaine cita anche incontri in parlamento, fra i politici nominati c’è Anna Finocchiaro che smentisce: «Mai parlato con Buzzi»

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Il quaderno era nascosto a casa di un collaboratore di Salvatore Buzzi. E potrebbe fornire nuove tracce utili per individuare altri politici e funzionari pubblici messi a «libro paga» dal titolare della Cooperativa 29 Giugno e dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati, ritenuti dai magistrati al vertice di quell’organizzazione che era riuscita a infiltrarsi in Campidoglio e in altre istituzioni. Contiene infatti annotazioni sulla contabilità occulta delle numerose strutture controllate dal gruppo e segue lo stesso metodo già verificato analizzando il «libro nero» sequestrato alla segretaria Nadia Cerriti con l’iniziale del nome di chi ha percepito la tangente e accanto la cifra versata. Procede spedita l’indagine dei carabinieri del Ros e le migliaia di carte processuali svelano i tentativi per accaparrarsi ulteriori appalti in materia di immigrazione, potendo contare su una figura chiave come quella di Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupava proprio di questa materia. Compresi incontri di alto livello con parlamentari. Una di loro, secondo lo stesso Odevaine, sarebbe la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, che però smentisce: «Qualcuno ha tirato in ballo il mio nome per presunti incontri o colloqui con Salvatore Buzzi. Non ho mai incontrato, né ho tanto meno parlato con questa persona, non so chi sia e sono pronta a querelare chiunque accosti il mio nome ad una così triste e grave vicenda».

«Gara già assegnata»
Dopo aver ottenuto la gestione del campo nomadi di Castel Romano, Buzzi e i suoi sodali pensavano di allargare la propria influenza e avevano messo in campo svariati tentativi per «entrare» a Mineo, la struttura siciliana che rappresentava un grande affare. E dunque, se da una parte erano consapevoli dei propri limiti, dall’altra cercavano sponsor. Il 16 giugno scorso Odevaine parla con Carmelo Parabita e gli riferisce di aver risposto ad un «avviso pubblico di selezione» per essere assunto dal Consorzio Calatino in modo da acquisire i titoli necessari a poter fare il membro della commissione incaricata della valutazione delle offerte per quella gara. Poi entrano nel merito dell’assegnazione.
Parabita: «Non ci saranno altre offerte cioè, con chi stanno parlando, si sono tenuti tutti alla larga da Mineo perché è troppo complessa, cioè non è venuto nessuno venerdì».
Odevaine: «A me m’ha detto Salvatore Buzzi che è andato a parlare dalla Finocchiaro».
Parabita: «Se».
Odevaine: «E la Finocchiaro gli ha detto “lascia perdere quella gara è già assegnata”».
In realtà la ricerca di interlocutori continua e Odevaine si concentra sulla procedura del Viminale che potrebbe consentirgli di manovrare le assegnazioni anche tentando di orientare le scelte dei prefetti.
«Li voglio a stipendio»

La fedeltà retribuita
La scoperta di un nuovo libro contabile fornisce elementi molto significativi per l’inchiesta e conferma un meccanismo che i magistrati avevano già evidenziato nelle contestazioni contro gli arrestati. Anche perché la strategia di controllo della pubblica amministrazione prevedeva il versamento periodico agli uomini da utilizzare in modo di poter contare sulla loro fedeltà. E infatti, di fronte al sindaco di Morlupo che non chiede soldi e tuttavia assegna lavori decide di retribuirlo in maniera fissa. Per questo manda un sms a Carminati, «il sindaco di Morlupo l’ho messo a stipendio», e lui risponde: «Ah perfetto».

Le annotazioni sul libro nero
Scrivono i magistrati: «La retribuzione sia di alcuni esponenti delle strutture politico-amministrative interessate sia dei membri del sodalizio era possibile grazie all’emissione di fatture per operazioni inesistenti che, a seconda delle società emittenti, determinava diversificate modalità di remunerazione, puntualmente annotate in un cosiddetto “libro nero”, e in particolare: le società riconducibili a soggetti esterni al sodalizio, a fronte dei pagamenti ricevuti, retrocedevano all’organizzazione criminale denaro contante per la creazione di fondi extracontabili, necessari al pagamento dei politici, degli amministratori pubblici, dei dirigenti amministrativi e dei membri del sodalizio; le società direttamente controllate dall’organizzazione criminale, gestite anche con l’utilizzo di prestanomi, attraverso transazioni infragruppo riuscivano a canalizzare le quote illecite verso gli stessi membri ed a soddisfare le esigenze di reimpiego dei capitali illecitamente acquisiti».

I ricorsi al Riesame
Giovedì 11 dicembre i giudici del Riesame cominceranno ad esaminare i ricorsi degli arrestati contro le ordinanze di cattura. Il primo a depositare l’istanza è stato proprio Carminati. Nei prossimi giorni saranno invece interrogati arrestati e indagati e in cima alla lista c’è il sindaco Gianni Alemanno, accusato di associazione mafiosa, che sostiene di «poter chiarire la mia posizione e smentire numerose millanterie compresa quella delle valigette piene di soldi portate in Argentina su cui fonti della Procura hanno specificato che non ci sono riscontri». L’elenco delle persone da sentire è lungo, qualcuno sta già pensando di cominciare a collaborare.

10 dicembre 2014 | 08:10
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_10/mafia-roma-nuova-scoperta-altro-libro-nero-tangenti-8dcd17da-8038-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. MAFIA CAPITALE, IL TESORO TRASFERITO all’estero
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2014, 11:41:11 pm
MAFIA CAPITALE, IL TESORO TRASFERITO all’estero
Lo spallone che riciclava i soldi creò la fondazione di Melandri
Il complesso sistema dei commercialisti incaricati di riciclare il denaro, facendo perdere le tracce delle «mazzette» versate a politici e funzionari. Stefano Bravo, specializzato nel trasferire capitali all’estero, è uno dei soci fondatori di «Human Foundation»

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Avevano tentacoli ovunque, erano capaci di infiltrarsi in ogni affare, di sfruttare qualsiasi occasione pur di avvicinarsi al potere e così continuare ad arricchirsi. E lo facevano anche attraverso i commercialisti incaricati di riciclare il denaro, facendo perdere le tracce delle «mazzette» versate a politici e funzionari pubblici. Un «sistema» messo in piedi, secondo i magistrati romani, da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Si scopre così che Stefano Bravo, specializzato nel trasferimento dei capitali all’estero per conto dell’organizzazione, è uno dei soci fondatori di «Human Foundation», l’organizzazione che fa capo a Giovanna Melandri, ex ministro dei Beni culturali e dello Sport per il Partito democratico e ora presidente del Museo Maxxi di Roma.

De Angelis «il banchiere» dei boss
Filippo De Angelis, che i boss chiamavano «il banchiere» per la sua capacità di muoversi tra le fiduciarie di San Marino, aveva invece favorito in un affare immobiliare l’amministratore delegato di «Hera spa», gruppo specializzato nella fornitura di energia che opera soprattutto in Emilia. Nuovi dettagli stanno emergendo dall’agenda sequestrata durante le perquisizioni a uno dei collaboratori di Buzzi: nomi dei percettori e importo delle dazioni sono infatti annotati in chiaro. E proprio su questo si concentrano adesso i controlli dei carabinieri del Ros.

Melandri: «Sono addolorata ma anche furiosa»
I magistrati assegnano a Bravo un ruolo chiave e gli contestano l’accusa di riciclaggio. Il commercialista ha contatti costanti con Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupa di immigrazione anche lui finito in carcere. Gestisce i suoi conti, porta i soldi in Svizzera, fa altri viaggi per conto dell’organizzazione. Adesso si scopre che aveva un incarico importante anche nella «Human» visto che ha contribuito a farla nascere. Ieri, improvvisamente, la sua foto e il suo curriculum sono stati rimossi dal sito Internet ufficiale. Ma nessuno può negare quanta importanza abbia avuto e infatti Melandri chiarisce: «È il mio commercialista da quindici anni. Sono addolorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo. L’8 dicembre gli abbiamo inviato una lettera per chiedergli di lasciare ogni incarico, sia pur nella speranza che possa chiarire la propria posizione. Gli abbiamo scritto che la nostra principale preoccupazione è il danno per la fondazione che nasce sul presupposto della totale trasparenza e innovazione nelle politiche sociali». Nega invece che abbia svolto attività per il Maxxi: «Nessun contatto, mai».

L’Ad di «Hera spa» usò De Angelis come prestanome
Pure l’interesse di De Angelis, anche lui strategico per gli investimenti dell’organizzazione, si indirizza su livelli alti. Una traccia interessante arriva da una segnalazione di operazione sospetta trasmessa da Bankitalia nel 2013 che coinvolge l’amministratore delegato di «Hera spa» Stefano Lappi, accusato dagli ispettori di via Nazionale di aver utilizzato De Angelis come prestanome. L’operazione risale al 2009 quando la società «Sil srl» chiede un finanziamento per comprare uno stabile di «Hera spa». La relazione tecnica di Bankitalia denuncia: «Emergeva come la stessa “Sil srl” fosse stata costituita poco prima dell’acquisizione dell’immobile Hera (agosto 2009) e che al momento dell’accensione del finanziamento, e quindi dell’acquisizione della proprietà immobiliare, il capitale sociale era detenuto formalmente da Filippo De Angelis e Filippo Donati, ma di fatto era controllato indirettamente dalla fiduciaria Fidens Project Finance, in quanto ne possedeva le quote in pegno. Successivamente all’acquisto dell’immobile le quote della “Sil srl” venivano cedute a nuovi soci: il 20 per cento a Lappi, all’epoca presidente della Hera Energie di Bologna e l’80 per cento alla Eco Termo Logic srl». «Hera spa» non cambia sede, preferisce pagare un canone di affitto trimestrale di 53 mila euro che, dunque, finiscono proprio nelle tasche dell’amministratore delegato.

Carminati controllava i flussi finanziari
A leggere le trascrizioni delle conversazioni, emerge come Carminati controllasse personalmente con Buzzi i flussi finanziari e la gestione degli affari. Questa mattina il tribunale del Riesame dovrà decidere sul suo ricorso contro l’ordinanza di cattura. Gli avvocati Bruno e Ippolita Naso contestano la fondatezza del reato di 416 bis «ma - dicono - non abbiano nessuna fiducia, i giudici non hanno avuto neanche il tempo di leggere gli atti. Andremo a processo, nessuno si illuda sul patteggiamento». Protesta il legale di Buzzi, Alessandro Diddi: «Il mio cliente è stato trasferito nel carcere di Nuoro, una misura afflittiva sinceramente ingiustificata, soprattutto in questa fase dell’indagine». La battaglia tra accusa e difesa è appena cominciata.
11 dicembre 2014 | 07:37
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Da -http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_11/spallone-che-riciclava-soldi-creo-fondazione-melandri-384de3cc-80fe-11e4-98b8-fc3cd6b38980.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Fare in fretta e cominciare la fase due
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2014, 06:50:21 am
Fare in fretta e cominciare la fase due

15/12/2014
Elisabetta Gualmini

Immaginiamo per un momento di ritrovarci all’inizio della prossima legislatura avendo di nuovo ai primi punti dell’agenda la riforma del bicameralismo e della legge elettorale. Poniamo che alle elezioni ci siamo andati con la legge scritta dai giudici della Consulta, identica a quella abolita a furor di popolo con un paio di referendum all’inizio degli anni Novanta: puramente proporzionale con voto di preferenza. E che quindi non c’è una maggioranza che sia una, né per il governo né per una qualunque ragionevole riforma istituzionale. Nel frattempo il Pil non avrà ripreso miracolosamente a galoppare. Saremo ancora nella più nera delle recessioni che il Paese abbia mai sperimentato. La gran parte delle imprese continueranno ad arrancare e le famiglie a impoverirsi. Qualsiasi spiffero su scontrini per spese di rappresentanza improbabili, per non parlare di qualche altro tsunami su mafie che lambiscono o infiltrano la politica, non potrà che scatenare reazioni imprevedibili anche da parte dei cittadini più moderati. 

Il Pd, nonostante il ritmo di Renzi, fa finta di non vedere su quale vulcano sta seduto. Nonostante Renzi e il renzismo, ricomincia a dare la stessa sensazione dei partiti che l’hanno preceduto. 

Balla sul Titanic baloccandosi con le sue liturgie di posizionamento interno. In realtà il paese continua ad affondare ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, mentre il distacco verso tutto il ceto politico, là fuori, sta velocemente aumentando. 

Fa bene Renzi, per ora, a inscenare a ogni riunione del Pd lo stesso copione, in vista degli scogli già registrati dal suo radar. Approvato il Jobs Act, il prossimo, si è capito, è l’elezione del Presidente della Repubblica. Le frasi su Napolitano sono rispettose, piene di gratitudine ma inequivoche nell’assumere che potrebbe lasciare il Quirinale «prima della prossima assemblea». Quindi meglio prevenire piuttosto che ripetere il disastro del 2013.

Però, una volta per tutte, diciamoci cosa è vero e cosa è falso in questa ormai ricorrente pantomima del leader visionario che corre e incita all’ottimismo, e delle minoranze che lo trattengono, garantendogli così agli occhi del pubblico il beneficio del dubbio: sarà lui che non riesce a fare i miracoli promessi o è colpa di chi lo frena e non gli fa spiccare il volo?

L’eterna minaccia di Civati di uscire dal Pd, con strizzate d’occhio ora alla piazza di Camusso ora alla rivoluzione naif e noiosissima di Pizzarotti fa sorridere: non sembra che oggi la gente fugga dalle urne per un «insoddisfatto bisogno di sinistra». Dello sconcerto di Fassina per la nuova rotta, rispetto a quando al timone c’era Bersani, con lui stesso a dettare la «filosofia economica» del partito, gli italiani si faranno una ragione. Però entrambi, Fassina e Civati, convincono quando chiedono a Renzi dove pensa d’arrivare. Davvero pensa d’andare avanti così fino al 2018?

 

Se veramente Renzi crede che per soddisfare all’infinito il pubblico bastino i dribbling con i D’Alema e i D’Attorre, giocatori senza fisico o ormai senza fiato, o che per tirare fuori il Paese dal baratro bastino le bellissime idee di cui ha discusso per qualche mezz’ora con Marianna e Andrea, Ernesto e Luca, Debora e Lorenzo, stiamo freschi.

Fa bene a serrare le fila sulle riforme istituzionali e la legge elettorale, e a produrre in fretta i decreti delegati sul Jobs Act. Se porta a casa questo, passando attraverso l’elezione del Capo dello Stato, il Paese gli dovrà essere riconoscente. 

Purché sia chiaro che su tutto il resto l’esecutivo riuscirà a fare poco. Il pin unico, la dichiarazione autocompilata e altre belle cose non cambieranno la vita ai cittadini. La riforma della pubblica amministrazione va avanti con gli stessi slogan di Bassanini e di Brunetta, quando si tratterebbe di modificare in profondità i comportamenti, le conoscenze e la formazione di un personale pubblico addestrato alla procedura e alla liturgia dell’adempimento, e di ristrutturare interi settori (dai cinque corpi di polizia agli enti locali, lasciati nel limbo dalla legge Delrio), di fare veramente la spending review, senza dire che saranno i ministeri ad auto-riformarsi (come se qualcuno ci credesse). Per di più, mentre servirebbe un pensiero robusto, applicato con determinazione al cambiamento, l’attacco perenne alle competenze è diventato stucchevole, ripetitivo, inascoltabile. Come se la politica degli autodidatti, nati nelle segreterie di partito e cresciuti all’ombra dei capibastone, a pane, tweet, comunicati stampa e congressi, avesse brillato e fosse stata esemplare nel risolvere i problemi. 

Insomma Matto Renzi acceleri, chiuda le partite complesse che ha in corso e si prepari per bene alla fase due. Che chiede idee più solide e un più nitido mandato elettorale. 

twitter@gualminielisa 

DA - http://www.lastampa.it/2014/12/15/cultura/opinioni/editoriali/fare-in-fretta-e-cominciare-la-fase-due-5jSDjDU2ETcT0sjWBKhUWI/pagina.html


Titolo: Fiorenza SARZANINI Bossetti attorno alla palestra per un’ora fino alla scomparsa
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2014, 06:07:07 pm
L’ultima rivelazione sull’omicidio della tredicenne di Brembate sopra getta ulteriori ombre sul carpentiere
Bossetti attorno alla palestra per un’ora fino alla scomparsa di Yara
Il suo furgone compare più volte nelle telecamere della zona tra le 18 e 19 del 26 novembre 2010. Poi, sparisce. L’esperto di Iveco Daily: «È il suo»

Di Fiorenza Sarzanini e Giuliana Ubbiali


La telecamera del distributore di fronte alla palestra di Brembate Sopra ha «catturato» un furgone compatibile a quello di Bossetti almeno una volta il 26 novembre 2010, alle 18.01. Ora, dagli inquirenti trapela la notizia di nuovi fotogrammi sospetti. Non è chiaro per il momento da quali obiettivi siano stati ripresi La telecamera del distributore di fronte alla palestra di Brembate Sopra ha «catturato» un furgone compatibile a quello di Bossetti almeno una volta il 26 novembre 2010, alle 18.01. Ora, dagli inquirenti trapela la notizia di nuovi fotogrammi sospetti. Non è chiaro per il momento da quali obiettivi siano stati ripresi

Il furgone di Massimo Giuseppe Bossetti è stato ripreso più volte attorno alla palestra di Brembate Sopra nell’ora precedente la scomparsa di Yara Gambirasio, il 26 novembre 2010. È l’ultimo, pesantissimo dettaglio che emerge dall’indagine che il 16 giugno scorso ha portato in carcere il carpentiere di Mapello, 44 anni, moglie e tre figli. Gli inquirenti sono sicuri che si tratti del suo Iveco Daily, perché i fotogrammi sono stati fatti analizzare a un esperto della casa automobilistica, che, in base alle caratteristiche del mezzo, ha confermato: «Quello è il furgone di Bossetti».

Per l’indagato è una tegola, anche perché dopo le 19, cioè quando la tredicenne viene rapita nel tragitto tra la palestra e la casa, il furgone non compare più nelle inquadrature. Sparisce. Fino a oggi si era parlato delle immagini catturate della telecamera del distributore Shell, che si trova di fronte al centro sportivo e che aveva registrato il giorno del delitto un furgone compatibile con quello di Bossetti alle 18.01. «Passavo sempre di lì quando tornavo dal lavoro», si era difeso lui, anche se poi era emerso che quel pomeriggio non era stato in cantiere.

17 dicembre 2014 | 08:49
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Da - http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_17/bossetti-piu-volte-alla-palestra-un-ora-prima-scomparsa-yara-b67f3ac0-85bd-11e4-a2bf-0fba46a30b83.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «L’evacuazione non è riuscita»
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2015, 04:22:30 pm
Il dossier
«L’evacuazione non è riuscita»
Gli errori dell’equipaggio nell’atto d’accusa della Procura
Una famiglia denuncia il Rina affidandosi ai legali dei naufraghi della Costa Concordia

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Ritardi, omissioni, negligenze: con il trascorrere delle ore il naufragio del Norman Atlantic assume sempre più i contorni di una tragedia che poteva essere evitata, almeno per quanto riguarda il numero delle vittime. La conferma emerge dal decreto di sequestro firmato dai magistrati di Bari che ieri hanno disposto il trasferimento del relitto nel porto di Brindisi mentre era già in viaggio verso Valona, in Albania, trainato dai mezzi di un’impresa contattata dall’armatore Carlo Visentini, indagato assieme al comandante. Il provvedimento evidenzia proprio le carenze che ci sarebbero state al momento di far scattare l’allarme per mettere in salvo i passeggeri. E poi la necessità di verificare il corretto funzionamento dei dispositivi che, almeno secondo quanto testimoniato da chi era a bordo, in parte non hanno funzionato.

Il decreto dei pm
Nell’atto notificato alla Visemar viene sottolineata l’urgenza di avere a disposizione il relitto «per ricostruire l’esatta dinamica dell’incendio e dell’evacuazione non riuscita secondo quanto doveva essere previsto». È il passaggio chiave che rende espliciti i dubbi degli inquirenti sulla gestione delle fasi più delicate: il rogo e l’assistenza alle persone.
Non a caso nel decreto si parla esplicitamente delle verifiche da effettuare sulle dotazioni di bordo. Oltre ai sistemi di sicurezza, bisognerà infatti stabilire come mai non si sia riusciti a calare una parte delle scialuppe ritardando così di molte ore l’abbandono della nave e mettendo a rischio la vita delle persone o addirittura provocando la morte di alcuni.

L’allarme e il May Day
La scansione degli orari rappresenta la chiave per capire che cosa è accaduto. Un aiuto potrà arrivare da fotografie e filmati archiviati nei telefonini dei passeggeri con la registrazione dell’ora in cui sono stati effettuati. Al momento si sa che l’incendio è divampato nel garage alle 4.30 di domenica, circa dodici ore prima dell’arrivo previsto nel porto di Ancona. Dopo poco il comandante Argilio Giacomazzi ha lanciato il May Day.
Numerosi passeggeri già interrogati hanno raccontato di non aver sentito alcuna sirena. Qualcuno ha sostenuto di essere rimasto in cabina addirittura fino alle 5.20 prima di essere svegliato dal trambusto e dal fumo che a quel punto saliva dal garage. E questo avvalora l’ipotesi che l’allarme sia scattato in ritardo, pregiudicando per molti la possibilità di mettersi in salvo.



Mezzi e passeggeri
Secondo la lista ufficiale a bordo del Norman Atlantic c’erano 128 camion, di cui almeno quattro pieni di olii, 90 auto, 2 autobus e una moto. Ma si tratta appunto di quanto registrato al momento dell’imbarco, è possibile che i mezzi fossero di più. La perizia già disposta dai magistrati dovrà stabilire se il peso del carico fosse adeguato, ma soprattutto se è vero - come raccontato da alcuni passeggeri - che il tetto di alcuni camion sfiorava il soffitto del garage e con il movimento causato dal mare in tempesta, lo sfregamento tra le due superfici potrebbe aver causato le scintille all’origine del rogo.

Su questo tutte le ipotesi rimangono aperte, compresa quella dell’incendio scatenato involontariamente da uno dei clandestini nascosti proprio nella stiva.

Nel decreto si parla di «dotazioni di bordo» e nell’elenco sono comprese le scialuppe che non hanno funzionato, impedendo a numerosi passeggeri di mettersi subito in salvo.

Ma anche delle verifiche da effettuare sull’impianto antincendio, visto che le fiamme si sono propagate velocemente dal garage fino ai ponti superiori e nel giro di pochissimo tempo il traghetto è diventato rovente e ingovernabile.

Il team legale
Una famiglia di tre persone sopravvissute alla tragedia ha deciso di presentare una denuncia affidandosi al team di legali che già assistono un gruppo di circa cento naufraghi della Costa Concordia. L’esposto sarà depositato nelle prossime ore e, come anticipa l’avvocato Alessandra Guarini, «chiederà la verifica delle dotazioni di bordo e della funzionalità di tutti i sistemi di sicurezza, ma riguarderà anche l’attività del Rina, il registro navale italiano».

Aggiunge il legale: «Come abbiamo già segnalato alla magistratura di Grosseto sarebbe opportuno mettere fine a questo mercato delle certificazioni a scapito dell’incolumità dei passeggeri. Le ispezioni in realtà sono una farsa, anche di fronte a palesi violazioni le imbarcazioni non vengono fermate. E di fronte a ogni naufragio torniamo a interrogarci su come vengano effettuati i controlli».

fsarzanini@rcs.it

31 dicembre 2014 | 08:05


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Rischio terrorismo, allarme in Italia
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2015, 04:57:00 pm
DOPO LA STRAGE IN FRANCIA
Rischio terrorismo, allarme in Italia
Alzata l’attenzione in aeroporti e stazioni. Il pericolo è la capacità di attacco che può arrivare sia dai cosiddetti “lupi solitari”, sia da gruppi organizzati.

Di Fiorenza Sarzanini e Redazione Online

Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane». Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane».

L’allarme è scattato immediato anche in Italia. Massima allerta per gli apparati di sicurezza e già nel pomeriggio il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato per le 16.30 il Comitato di analisi strategica (CASA) per una verifica del dispositivo di sorveglianza che era già stato adeguato dopo gli attentati delle ultime settimane in Canada e in Australia.

Analisti dell’Antiterrorismo e 007 ripetono che non ci sono segnalazioni specifiche riguardo a particolari situazioni di rischio, ma il pericolo riguarda ormai la capacità di attacco che - come dimostra proprio quanto accaduto a Parigi - può arrivare sia dai cosiddetti «lupi solitari», sia da gruppi organizzati.

Il «salto di qualità» negli attacchi
Ed è proprio sulla presenza in Europa di questi uomini perfettamente addestrati che si concentra l’attenzione investigativa. Anche tenendo conto che svariate segnalazioni di possibili attacchi sono state esaminate negli ultimi mesi e in particolare nel periodo delle festività natalizie. La strategia di prevenzione che si applica in questi casi prevede l’aumento immediato dei controlli negli aeroporti e nelle stazioni, la verifica di tutti quegli ambienti di aggregazione che potrebbero fornire «coperture», ma anche l’intensificarsi dei contatti di intelligence tra Stati alleati.
In questi momenti non viene esclusa anche la convocazione di un vertice europeo proprio per mostrare compattezza una reazione comune di fronte a un offensiva terroristica che mostra di aver fatto un ulteriore salto di qualità nei confronti di obiettivi occidentali.

La Gran Bretagna invita i turisti alla prudenza
Quasi immediate le reazioni internazionali all'attentato. A Madrid la sede della casa editrice spagnola Prisa a Madrid, che pubblica tra l'altro, il quotidiano El Pais, è stata evacuata per un pacco sospetto. Il premier inglese David Cameron ha twittato raggelato, e i turisti britannici a Parigi sono stati invitati a una particolare prudenza: «fate particolarmente attenzione e seguite i consigli per la sicurezza delle autorità francesi», ha scritto il Foreign and Commonwealth Office. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel, tra l'altro in visita ufficiale a Londra, ha sottolineato: «Questo atto abominevole» «è anche un attacco alla libertà di parola e di stampa, elementi fondamentali della nostra cultura libera e democratica. Non lo si può giustificare in nessuna maniera». Dagli Stati Uniti Barack Obama ha condannato l'attentato: «sappiamo che la Francia non si farà spaventare da questo atto tremendo».

La Commissione europea: «Attacco contro noi tutti»
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha ribadito: «atti intollerabile, una barbarie», parlando di «attacco brutale e inumano», mentre il suo vice Frans Timmermans ha parlato di un attacco «contro noi tutti, contro i nostri valori fondamentali, contro le libertà su cui le nostre società europee sono costruite».

7 gennaio 2015 | 13:19
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_07/rischio-terrorismo-allarme-italia-aa54a1c8-9665-11e4-9ec2-c9b18eab1a93.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Rischio terrorismo, allarme in Italia...
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2015, 05:16:19 pm
Rischio terrorismo, allarme in Italia Alfano: «Livello allerta elevatissimo»
Nel prossimo consiglio dei ministri, annunciato un «giro di vite» nella lotta al terrorismo. Alzata l’attenzione in aeroporti e stazioni

Di Fiorenza Sarzanini e Redazione Online

Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane». Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane».

L’allarme è scattato immediato anche in Italia. Massima allerta per gli apparati di sicurezza e già nel pomeriggio il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato il Comitato di analisi strategica (CASA) per una verifica del dispositivo di sorveglianza che era già stato adeguato dopo gli attentati delle ultime settimane in Canada e in Australia. «Abbiamo un livello di allerta elevatissimo benché non ci sia nessuna traccia concreta di un segnale specifico organizzativo di eventuali attentati» ha detto il ministro Alfano intervenendo al programma Tv «Porta a Porta». «Abbiamo rafforzato le misure di protezione - ha ricordato Alfano - tutti gli obiettivi possibili sono presidiati, in particolare quelli francesi, americani ed ebraici. Stiamo dando il meglio di noi stessi». Analisti dell’Antiterrorismo e 007 ripetono che non ci sono segnalazioni specifiche riguardo a particolari situazioni di rischio, ma il pericolo riguarda ormai la capacità di attacco che - come dimostra proprio quanto accaduto a Parigi - può arrivare sia dai cosiddetti «lupi solitari», sia da gruppi organizzati.

Giro di vite contro il terrorismo
Così, si profila un giro di vite contro il terrorismo al prossimo Consiglio dei ministri. A quanto si apprende da fonti del Viminale, verrà approvato un provvedimento che mira a colpire in particolare i cosiddetti foreign fighters: termine usato per chi va a combattere nei teatri di guerra e poi potrebbe rientrare in Italia con progetti ostili. Alla misura lavorano da tempo i tecnici del ministero. Dopo l’attentato a Parigi si stringe sui tempi. La misura introdurrebbe la possibilità di punire penalmente i combattenti e non solo i reclutatori, come oggi prevede l’ordinamento. Si punta poi - analogamente a quanto avviene con i mafiosi - ad adottare uno stretto controllo di polizia su soggetti a rischio radicalizzazione con possibilità di allontanarli dall’Itala. Il bersaglio, le parole utilizzate da Alfano, è l’«aspirante combattente. Lo scopo è quello di neutralizzarne alla radice la pericolosità, applicandogli la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza che lo priverebbe di ogni capacità di nuocere».

Il «salto di qualità» negli attacchi
Proprio sulla presenza in Europa di questi uomini, perfettamente addestrati, che si concentra l’attenzione investigativa. Anche tenendo conto che svariate segnalazioni di possibili attacchi sono state esaminate negli ultimi mesi e in particolare nel periodo delle festività natalizie. La strategia di prevenzione che si applica in questi casi prevede l’aumento immediato dei controlli negli aeroporti e nelle stazioni, la verifica di tutti quegli ambienti di aggregazione che potrebbero fornire «coperture», ma anche l’intensificarsi dei contatti di intelligence tra Stati alleati.
In questi momenti non viene esclusa anche la convocazione di un vertice europeo proprio per mostrare compattezza una reazione comune di fronte a un offensiva terroristica che mostra di aver fatto un ulteriore salto di qualità nei confronti di obiettivi occidentali.

La Gran Bretagna invita i turisti alla prudenza
Quasi immediate le reazioni internazionali all'attentato. A Madrid la sede della casa editrice spagnola Prisa a Madrid, che pubblica tra l'altro, il quotidiano El Pais, è stata evacuata per un pacco sospetto. Il premier inglese David Cameron ha twittato raggelato, e i turisti britannici a Parigi sono stati invitati a una particolare prudenza: «fate particolarmente attenzione e seguite i consigli per la sicurezza delle autorità francesi», ha scritto il Foreign and Commonwealth Office. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel, tra l'altro in visita ufficiale a Londra, ha sottolineato: «Questo atto abominevole» «è anche un attacco alla libertà di parola e di stampa, elementi fondamentali della nostra cultura libera e democratica. Non lo si può giustificare in nessuna maniera». Dagli Stati Uniti Barack Obama ha condannato l'attentato: «sappiamo che la Francia non si farà spaventare da questo atto tremendo».

La Commissione europea: «Attacco contro noi tutti»
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha ribadito: «atti intollerabile, una barbarie», parlando di «attacco brutale e inumano», mentre il suo vice Frans Timmermans ha parlato di un attacco «contro noi tutti, contro i nostri valori fondamentali, contro le libertà su cui le nostre società europee sono costruite».

7 gennaio 2015 | 13:19
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_07/rischio-terrorismo-allarme-italia-aa54a1c8-9665-11e4-9ec2-c9b18eab1a93.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Dopo la strage Stretta sui controlli alle frontiere
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2015, 10:31:52 pm
Dopo la strage
Stretta sui controlli alle frontiere
La misura divide i governi europei
Francia e Spagna vogliono rivedere Schengen, l’Italia è contro. Il punto di incontro tra i governi potrebbe essere l’adozione di controlli a campione

Di FIORENZA SARZANINI

Le linee guida sono stabilite, adesso toccherà all’Ue prendere una decisione. Ma non sarà semplice. Perché la possibilità di sospendere o quantomeno rivedere l’accordo di Schengen, ripristinando i controlli alle frontiere interne, divide i governi e rischia di vanificare il clima di grande condivisione che si respira dopo l’attacco dei terroristi islamici a Parigi. E invece per prevenire la minaccia di nuovi attacchi imminenti che i servizi segreti di mezzo mondo continuano a ritenere «altamente probabile», è necessario «rispondere con una sola voce», come viene ribadito al vertice dei ministri dell’Interno che si svolge nella capitale francese. E come accadrà da oggi in Italia con questori e prefetti chiamati dal capo della polizia Alessandro Pansa a riformulare la lista dei possibili obiettivi sulla base delle indicazioni fornite.

Misure urgenti
Sono tre le «misure» ritenute urgenti nella lotta internazionale al fondamentalismo: oltre al ripristino dei controlli ai confini, c’è l’approvazione della direttiva Ue che obbliga le compagnie aeree a fornire tutti i dati sui passeggeri e un coinvolgimento dei gestori della Rete web per limitare la pubblicazione dei messaggi che incitano all’odio e soprattutto una vera campagna di controinformazione come sollecitato dal ministro dell’Interno spagnolo Jorge Fernández Díaz. Tutto questo passando per un Centro di analisi europeo.

Le liste passeggeri
L’accesso immediato al Pnr (Passenger name record) che l’Italia ha più volte sollecitato durante il semestre europeo ma che non è stato varato per una resistenza trasversale all’interno dei vari schieramenti politici legata alle possibili violazioni della privacy, sembra adesso mettere tutti d’accordo. Anche Germania, Francia e Spagna - oltre a Stati Uniti, Canada e Australia che già lo hanno reso obbligatorio - spingono perché si faccia in fretta. E già la prossima settimana, in un nuovo vertice che si svolgerà a Bruxelles, si potrebbe arrivare a un risultato concreto superando le perplessità sull’accesso ai dati sensibili. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano lo dice chiaramente: «Il punto di equilibrio tra privacy e sicurezza deve variare a seconda dei momenti storici che si attraversano. In questo momento storico occorre un nuovo punto di equilibrio. Il limite di 3 anni per la conservazione delle informazioni è un compromesso che può sbloccare la situazione». Schierato anche il francese Bernard Cazeneuve che lo definisce «uno strumento fondamentale» e la britannica Theresa May.

Controlli alle frontiere
Più complesso il nodo legato al trattato di Schengen con Francia e Spagna che spingono per una revisione degli accordi, mentre l’Italia si oppone con Alfano «perché si tratta di una grande conquista di libertà che non può essere regalata ai terroristi e dunque va bene rafforzare il sistema di informazione, ma senza arretrare» e il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni che parla di «regalo ai terroristi se si decidesse di limitare la libera circolazione». Ora comincia il lavoro di mediazione, su qualcosa certamente bisognerà cedere perché Parigi e Madrid appaiono unite nel chiedere quantomeno controlli «a campione» e pare difficile che Roma possa sganciarsi dalla linea comune che sta prevalendo. E infatti ha trovato ampio consenso la proposta di convocare riunioni ristrette «tecniche» e politiche in sede europea per esaminare le informazioni prima che avvengano gli eventi perché, spiega Alfano, «occorre scambiarsi opinioni, notizie, rappresentarsi il rischio reale che ognuno avverte nel proprio Paese».

12 gennaio 2015 | 07:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_12/stretta-controlli-frontiere-misura-divide-governi-europei-cccdcd22-9a22-11e4-806b-2b4cc98e1f17.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Due video «cifrati» in 15 giorni Così i rapitori hanno ...
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2015, 11:13:42 pm
Il retroscena
Due video «cifrati» in 15 giorni Così i rapitori hanno alzato il prezzo
I ribelli: «Pagati 12 milioni di dollari». La banda di terroristi non è legata all’Isis.
Le stragi di Parigi usate per alzare la posta. La cifra diffusa sembra comunque esagerata


Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Lo scambio sarebbe avvenuto tra domenica e lunedì, dopo l’arrivo di un video che forniva la nuova prova in vita delle due ragazze rimaste prigioniere in Siria quasi sei mesi. Un filmato per sbloccare definitivamente la trattativa, con la consegna della contropartita ai sequestratori. Sembra esagerata la cifra di dodici milioni di dollari indicata dai ribelli al regime di Assad, ma un riscatto è stato certamente pagato, forse la metà. E tanto basta a scatenare la polemica, alimentata da chi sottolinea come il versamento sarebbe avvenuto proprio nei giorni degli attentati a Parigi.
È l’ultimo capitolo di una vicenda a fasi alterne, con momenti di grande preoccupazione, proprio come accaduto dopo la strage di Charlie Hebdo e del supermercato kosher, quando i mediatori avrebbero tentato di alzare ulteriormente la posta.

La cattura
Saranno Greta Ramelli e Vanessa Marzullo a fornire ai magistrati i dettagli della lunga prigionia, compreso il numero delle case in cui sono state tenute. Ieri sera, dopo essere arrivate in un luogo sicuro - probabilmente in Turchia - e prima di essere imbarcate sull’aereo per l’Italia, sono state sottoposte al «debriefing» da parte degli uomini dell’intelligence, come prevede la procedura che mira a ottenere notizie preziose sul gruppo che le ha catturate il 31 luglio scorso e su quelli che le hanno poi gestite nei mesi seguenti.

Attivare i primi contatti per il negoziato non è stato semplice, anche se si è avuta presto la certezza che a rapirle era stata una banda di criminali, sia pur islamici, e non i jihadisti dell’Isis. A metà agosto, quando il Guardian ha rilanciato l’ipotesi che fossero tra gli ostaggi internazionali del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, i mediatori italiani si sono affrettati a smentire proprio nel timore che la trattativa potesse fermarsi. Circa un mese dopo è arrivata la prima prova per dimostrare che le ragazze stavano bene. E da quel momento è partita la trattativa degli 007, coordinata da Farnesina e Palazzo Chigi.

I passaggi di mano
Secondo le notizie iniziali a organizzare il sequestro è il «Free Syrian Army», l’esercito di liberazione della Siria. Ma la gestione delle prigioniere avrebbe avuto fasi alterne, con svariati cambi di «covo» e nell’ultima fase ci sarebbe stata un’interferenza politica di «Jabat al-Nusra», gruppo della galassia di Al Qaeda che avrebbe preteso un riconoscimento del proprio ruolo da far valere soprattutto rispetto alle altre fazioni e contro l’Isis. Non a caso, poco dopo la conferma dell’avvenuto rilascio delle due giovani, un uomo che dice di chiamarsi Muahhed al Khilafa e si firma sulla piattaforma Twitter con l’hashtag dell’Isis posta un messaggio per attaccare «questi cani del fronte al-Nusra che rilasciano le donne crociate italiane e uccidono i simpatizzanti dello Stato Islamico».

I contatti mediati
Del resto è proprio la situazione complessa della Siria ad alimentare sin da subito la sensazione che il sequestro non possa avere tempi brevi. E infatti la «rete» attivata per dialogare con i sequestratori ha a che fare con diversi interlocutori, non tutti affidabili. Con il trascorrere del tempo le richieste diventano sempre più alte, viene accreditata la possibilità che i soldi non siano sufficienti per chiudere la partita, che possa essere necessario concedere anche altro.
A novembre si sparge la voce che una delle due ragazze ha problemi di salute, si parla di un’infezione e della necessità che le vengano dati farmaci non facilmente reperibili in una zona così segnata dalla guerra. Qualche giorno dopo arrivano invece buone notizie, un emissario assicura che Greta e Vanessa sono in una casa gestita esclusivamente da donne. Informazioni controverse che evidentemente servono a far salire la tensione e dunque il valore della contropartita per la liberazione.

Rilancio e ultimo video
A fine novembre c’è il momento più complicato. I rapitori cambiano infatti uno dei mediatori facendo sapere di non ritenerlo più «attendibile». Si cerca un canale alternativo e alla fine si riesce a riattivare il contatto, anche se in scena compare «Jabat al-Nusra» e la trattativa assume una connotazione più politica.
La dimostrazione arriva quando si sollecita un’altra prova in vita di Greta e Vanessa e il 31 dicembre compare su YouTube il video che le mostra vestite di nero, mentre chiedono aiuto e dicono di essere in pericolo. È la mossa che mira ad alzare il prezzo rispetto ai due milioni di dollari di cui si era parlato all’inizio. Quel filmato serve a chiedere di più, ma pure a lanciare il segnale che la trattativa può ormai entrare nella fase finale. Anche perché contiene una serie di messaggi occulti che soltanto chi sta negoziando può comprendere, come il foglietto con la data «17-12-14 wednesday» che Vanessa tiene in mano mentre Greta legge il messaggio, che sembra fornire indicazioni precise.
Si rincorre la voce che entro qualche giorno possa avvenire il rilascio. Ma poi c’è una nuova complicazione.
Il 7 gennaio i terroristi entrano in azione a Parigi, quattro giorni dopo arriva un nuovo video. Questa volta viaggia però su canali riservati. L’intenzione dei sequestratori sembra quella di alzare ulteriormente la posta, la replica dell’Italia è negativa. Si deve chiudere e bisogna farlo in fretta.
L’ intelligence di Ankara fornisce copertura per il trasferimento oltre i confini siriani delle due prigioniere. Ieri mattina gli 007 avvisano il governo: è fatta, tornano a casa.

16 gennaio 2015 | 07:34
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_16/due-video-cifrati-15-giorni-cosi-rapitori-hanno-alzato-prezzo-b09e4888-9d48-11e4-b018-4c3d521e395a.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Roma, venti jihadisti indagati «5 mila combattenti europei»
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2015, 06:59:19 am
Terrorismo IN ITALIA

Roma, venti jihadisti indagati «5 mila combattenti europei»
Nel mirino del Ros i «lupi solitari», immigrati o italiani di seconda generazione
Lo zar antiterrorismo dell’Unione Europea: non possiamo prevenire nuovi attentati

Di FIORENZA SARZANINI 146

Dialogano via Internet, parlano di «onorare la jihad », dicono che «bisogna colpire presto». Sono sotto controllo da mesi, non sembrano avere capacità operative immediate. Però fanno paura perché quanto accaduto a Parigi potrebbe averli esaltati convincendoli ad emulare le stragi compiute nella capitale francese dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly. Si concentra su un gruppo di stranieri residenti in Italia collegati con fondamentalisti che si trovano in Europa, ma anche arruolati dalle organizzazioni fondamentaliste in Siria e in Iraq, l’indagine dei carabinieri del Ros coordinata dai pubblici ministeri di Roma. In tutto, una ventina le persone che si muovono tra il nostro Paese e l’estero, con «basi» nella capitale, ma anche in Lombardia e Veneto dove altre indagini collegate sono tuttora in corso.

Sono i «lupi solitari» dei quali ha parlato davanti al comitato parlamentare sui servizi segreti il sottosegretario alla presidenza Marco Minniti, evidenziando la necessità di «tenere altissima l’attenzione degli apparati di sicurezza, ma anche dei cittadini perché queste persone si uniscono in piccole cellule e tentano di ottenere il massimo sforzo anche senza pianificare atti imponenti». Quanto accaduto a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato Kosher dimostra come si possano provocare vittime e tenere in scacco il mondo intero anche senza un’organizzazione perfetta dell’attentato.

Non a caso il capo dell’antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kechove mette in guardia: «Non possiamo prevenire nuovi attacchi, sappiamo che è in atto una massiccia radicalizzazione, soprattutto nelle prigioni». I numeri fanno spavento. Li fornisce il direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico, spiega che ci sono «tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per addestrarsi e partecipare alla guerra santa, che potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati». La «rete» italiana sarebbe composta da giovani tra i 20 e i 30 anni, immigrati, ma soprattutto stranieri di seconda generazione nati nel nostro Paese che si sono radicalizzati proprio grazie all’indottrinamento avvenuto attraverso la rete Internet, la frequentazione di luoghi di culto, i contatti con alcuni «arruolatori».

Le verifiche compiute al nord identificano tra i reclutatori personaggi provenienti dall’area del Maghreb e dai Balcani. Nella maggior parte dei casi si tratta di insospettabili esaltati dai richiami provenienti da Al Qaeda e dai leader dell’Isis che incitano i propri seguaci a «colpire con ogni mezzo e in ogni modo» e quindi «investire, sparare, decapitare» perché così si devono «uccidere gli infedeli». L’indagine partita proprio dal controllo del web, è poi andata avanti mettendo sotto controllo alcuni «sospetti», cercando di seguirne le mosse in modo da ricostruire contatti e strategie. «Se avessimo avuto la sensazione di un pericolo imminente li avremmo già fermati», spiegano gli investigatori lasciando intendere che sviluppi potrebbero arrivare a breve proprio per fermare il possibile processo emulativo.

14 gennaio 2015 | 07:23
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_14/roma-venti-jihadisti-indagati-5-mila-combattenti-europei-305dc7d2-9bb5-11e4-96e6-24b467c58d7f.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Accertamenti su 40 stranieri Si valutano nuove espulsioni
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2015, 10:24:46 am
La strategia

Accertamenti su 40 stranieri Si valutano nuove espulsioni
Limitato Schengen: l’Italia ripristina i controlli alle frontiere e chiede la lista dei passeggeri dei voli. La «blindatura» dimostra quanto alto sia il livello di preoccupazione

Di FIORENZA SARZANINI

L’Italia ripristina i controlli alle frontiere e chiede la lista passeggeri dei voli che arrivano da tratte a rischio. Mentre scattano accertamenti su una quarantina di stranieri ritenuti «sospetti» - residenti nel Lazio, in Lombardia e in Campania - per valutare nuove espulsioni, il prefetto Alessandro Pansa potenzia l’attività della polizia di frontiera per realizzare «la piena efficacia dei dispositivi e delle misure». Decisione che provoca la protesta dei sindacati con il Sap che evidenzia «la mancanza grave di risorse».

Accessi limitati
La «blindatura» dimostra quanto alto sia il livello di preoccupazione per la minaccia jihadista e la conferma è contenuta proprio nella circolare trasmessa ieri dal Dipartimento dell’Immigrazione del Viminale nella quale si sottolineano le «recenti segnalazioni concernenti un incremento dell’utilizzo fraudolento di documenti e titoli di viaggio sottratti in bianco e le diversificate procedure di falsificazione degli stessi».
Non è una sospensione del trattato di Schengen, ma il risultato è un’attenuazione forte visto che ad essere controllati ai confini potranno essere non solo i cittadini extracomunitari ma tutti coloro che sono ritenuti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale.

I voli a rischio
Il provvedimento del Viminale prevede anche «il sistematico accesso alle banche dati per migliorare il processo di gestione dei rischi e contrastare adeguatamente l’immigrazione irregolare e il terrorismo internazionale» soprattutto potenziando «l’utilizzo del sistema Bcs per l’acquisizione anticipata delle liste dei vettori provenienti da tratte a rischio». Più volte in questi giorni il ministro dell’Interno Angelino Alfano, d’accordo con i colleghi di Francia, Germania e Spagna ha insistito sulla necessità che in sede europea si sblocchi la direttiva per l’accesso al Pnr, il codice di prenotazione dei passeggeri, che fornisce informazioni dettagliate su tutti coloro che si trovano a bordo di un aereo e consente di effettuare pure verifiche incrociate. In attesa che si superino le resistenza legate a problemi di privacy, l’Italia decide così di potenziare quantomeno l’accesso alle liste in modo da poter effettuare comunque controlli su chi entra nel nostro Paese.

Quaranta «sospetti»
Dopo le dieci espulsioni decise nei giorni scorsi, poliziotti dell’Antiterrorismo e carabinieri del Ros continuano il monitoraggio di quegli stranieri nei confronti dei quali non ci sono elementi per un provvedimento giudiziario ma si deve valutare l’opportunità di farli rimanere in Italia.
Sono 43 le persone controllate ieri perché finite «sotto osservazione» per aver inneggiato alla jihad su internet oppure nei luoghi di incontro, visionato siti web ritenuti pericolosi, programmato viaggi verso il Medio Oriente. Nei prossimi giorni sarà il capo della polizia Pansa, d’accordo con il ministro Alfano, a valutare se tra loro ci sia chi deve essere espulso.

Le richieste degli 007
Di scenari internazionali ha parlato di fronte al Parlamento il capo dei servizi segreti, il direttore del Dis Giampiero Massolo, che dopo aver sollecitato poteri maggiori - dunque garanzie funzionali - per gli agenti sotto copertura, ha chiesto che si varino nuove norme per gli italiani che vanno all’estero, sottolineando la necessità che chi sceglie di andare senza alcuna protezione nelle zone di massima pericolosità sia poi responsabile delle conseguenze.

22 gennaio 2015 | 08:29
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_22/accertamenti-40-stranieri-si-valutano-nuove-espulsioni-c32f3796-a207-11e4-8580-33f724099eb6.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Minacce Isis a Italia, 007 avvertono: «Doppio fronte, mai...
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2015, 07:50:14 am
Rapporto dell’intelligence
Minacce Isis a Italia, 007 avvertono: «Doppio fronte, mai così esposti»
Secondo i servizi segreti, flussi migratori e minacce jihadiste in Libia formano una miscela che costituisce un unico pericolo per il nostro Paese


Di FIORENZA SARZANINI

È il momento di crisi peggiore da quando i fondamentalisti dell’Isis hanno messo nel mirino l’Europa e ora in un video che mostra la decapitazione di 21 ostaggi annunciano: «Siamo a sud di Roma». Perché per l’Italia si apre in maniera drammatica un doppio fronte di emergenza: da una parte i flussi migratori, dall’altra i jihadisti in una miscela che in Libia rischia di fondersi in un unico pericolo visto che molti miliziani, dopo la caduta del regime di Gheddafi, gestiscono i traffici illeciti primo fra tutti proprio quello che riguarda i clandestini. E quale sia il livello di rischio si è capito ieri pomeriggio quando alcuni uomini armati di kalashnikov hanno minacciato i marinai di una motovedetta della Guardia costiera italiana che si era spinta davanti alla costa di Tripoli per soccorrere migranti che avevano lanciato l’Sos. E hanno costretto il capitano a restituire il barcone vuoto che invece era già stato sequestrato. Le ultime stime parlano di 600 mila stranieri presenti in Libia, 200 mila già sistemati in cinque campi di raccolta e pronti a imbarcarsi. Ma parlano soprattutto di circa 7 mila combattenti di Ansar Al Sharia che hanno aderito all’appello del Califfo e stanno marciando per conquistare il Paese. A loro potrebbero aggiungersi i seguaci di altri gruppi fondamentalisti determinati a far prevalere l’Islam impedendo l’occupazione di una coalizione occidentale. Gli analisti sono concordi nel ritenere che mai il nostro Paese è stato così esposto.

Il vertice urgente
I report degli apparati di intelligence e di sicurezza confermano che in poche settimane la situazione può degenerare visto che dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di Tripoli del 27 gennaio scorso l’Isis ha mostrato di voler avanzare rapidamente ed è già riuscita ad ottenere il controllo di molte aree principali del Paese. Il governo di Roma preme per un intervento dell’Onu che gli affidi un ruolo primario, ma nella consapevolezza che i tempi potrebbero non essere brevi si stanno valutando anche altre possibilità non esclusa quella di un intervento armato in ambito Nato. L’ipotesi è quella di ricorrere alle intese siglate nel settembre scorso a Cardiff e poi a Parigi proprio per fare fronte comune contro i fondamentalisti guidati da Abu Bakr al-Baghdadi. Sei mesi fa erano circa 25 gli Stati che avevano aderito, adesso è in corso una nuova consultazione diplomatica proprio per misurare l’eventuale capacità operativa. Si tratta comunque di una missione con numerose incognite come è stato ribadito più volte in queste ore in ambito militare sottolineando la necessità di mettere a punto «la copertura giuridica internazionale per uno schieramento di almeno 20 mila uomini».

L’attacco agli impianti
La convinzione rimane comunque quella legata a tempi di azione strettissimi, proprio per evitare che si alzi ulteriormente il livello di minaccia contro l’Italia dopo il proclama che puntava al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ed è stato interpretato come una chiamata alle armi per chiunque sia in grado di passare all’azione. C’è la consapevolezza che l’incitamento a colpire l’Italia per i terroristi potrebbe voler dire nell’immediato anche assaltare le sue postazioni locali con un danno che potrebbe rivelarsi enorme. Le relazioni degli 007 ribadiscono il pericolo di attentati contro i giacimenti petroliferi e del gas, le sedi delle aziende che — nonostante il richiamo della Farnesina — sono costrette a tenere personale sul posto per far funzionare gli impianti. Gli interessi del nostro Paese in Libia sono molteplici, primi fra tutti quelli legati all’attività dell’Eni, con lo stabilimento di Mellitah tra i suoi impianti strategici, Finmeccanica, numerose aziende controllate e altre private.

I campi profughi
Grande preoccupazione anche per l’esodo che la crisi libica potrebbe provocare. Sono cinque i campi di raccolta dei profughi dove i trafficanti stanno ammassando chi vuole partire: oltre al porto di Zwara, Sabrata, Janzur, Tripoli e Garabulli. Le ultime stime parlano di circa 600 mila stranieri che vivono nel Paese, di cui 200 mila intenzionati a lasciarlo. Il rischio altissimo è che una guerra civile possa far salire il numero di chi si trova costretto ad andare via. E diventi così preda dei miliziani che guadagnano milioni di dollari con il traffico dei barconi. Già nelle prossime ore approderanno in Sicilia almeno un migliaio di stranieri. Moltissimi altri potrebbero arrivare nel giro di pochi giorni.

16 febbraio 2015 | 07:07
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_febbraio_16/minacce-isis-italia-007-avvertono-doppio-fronte-mai-cosi-esposti-c9bb887e-b5a0-11e4-bb5e-b90de9daadbe.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’Eni fa rientrare il personale italiano Libia, allerta ...
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2015, 04:38:00 pm
Lo scenario
L’Eni fa rientrare il personale italiano Libia, allerta difesa aerea
Non ritenuta credibile la minaccia dei terroristi «infiltrati in Europa dai barconi»

Di FIORENZA SARZANINI

La decisione è stata presa dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di fine gennaio, ma era nell’aria già da settimane. L’Eni ha ritirato tutto il personale italiano dalla Libia per motivi di sicurezza e lo stesso hanno fatto le altre aziende che continuano a operare nello Stato africano, affidandosi però a dipendenti locali e addetti alla vigilanza stranieri. Tra i possibili obiettivi dei terroristi dell’Isis gli impianti petroliferi ed energetici sono inseriti in cima alla lista, dunque la scelta di alleggerire le presenze rientra in una strategia che mira a ridurre al minimo il rischio nella consapevolezza che riuscire a uccidere gli italiani, sia pur all’estero, sarebbe comunque una vittoria dei fondamentalisti. Soprattutto nel pieno di una campagna mediatica scatenata dai jihadisti che continua a salire di livello e punta a Roma come bersaglio costante.

La difesa aerea
Quale sia il clima lo si è ben compreso qualche giorno fa, quando il sistema di difesa aerea è entrato in stato di massima allerta per un avviso trasmesso dai servizi segreti. La segnalazione parlava di alcuni aerei pronti a decollare da Sirte per colpire il nostro Paese. Non c’è stato alcun riscontro, ma la tensione rimane altissima perché forte continua ad essere il rischio di un attentato compiuto da «lupi solitari» proprio come già accaduto a Parigi e poi a Copenaghen. È questa la vera preoccupazione dei responsabili della sicurezza e lo conferma il sottosegretario alla presidenza con delega ai Servizi, Marco Minniti, quando parla di «massima imprevedibilità della minaccia che per questo non ha precedenti e tiene insieme la capacità simmetrica e asimmetrica in quanto può fare sia campagne militari sia terroristiche», rilancia la necessità di «avere una raccolta dati capillare» e insiste sull’urgenza di introdurre a livello europeo il Pnr, il codice passeggeri che fornisce notizie su tutti i voli incrociando informazioni preziose sui «sospetti», perché «non va sospeso Schengen, ma è indispensabile il controllo di chi si sposta verso i teatri di guerra» e talvolta decide poi di tornare indietro.

Il flusso dei migranti
Nessuna attendibilità viene data dagli analisti alla notizia rilanciata dal quotidiano britannico Daily Telegraph che pubblica documenti compilati da Abu Arhim al Libim, ritenuto uno dei leader dell’Isis secondo il quale «grazie alla vicinanza della Libia con gli Stati crociati» i jihadisti potrebbero «utilizzare e sfruttare in modo strategico i tanti barconi di immigrati per colpire le compagnie marittime e le navi dei Crociati». Gli esperti ritengono che si tratti di pura propaganda, escludono che i terroristi possano confondersi tra i disperati che tentano di raggiungere l’Europa, mentre continuano ad avvalorare l’ipotesi che i fondamentalisti utilizzino i flussi proprio per mettere in ginocchio l’Europa anche provocando divisioni tra gli Stati della Ue che devono gestire l’emergenza. Nelle ultime ore c’è stata una riduzione degli sbarchi, ma nessuno si fa illusioni sulla possibilità che questa situazione possa durare più di un paio di giorni.

Militari e scorte
Di fronte alla possibilità che l’azione diplomatica per trovare una situazione alla crisi libica vada avanti per settimane, sembra indispensabile prevedere un dispositivo di protezione più snello, soprattutto non concentrato soltanto su quelli che sono i bersagli più prevedibili. E dunque si è deciso di dislocare le camionette dei militari anche in luoghi apparentemente più defilati non escludendo che possano essere ritenuti più facili da attaccare. E questo naturalmente costringe a rivedere l’elenco delle personalità scortate, tenendo conto delle carenze in organico delle forze dell’ordine, come denunciano da mesi i sindacati di polizia come Sap e Silp Cgil che chiedono l’assunzione di almeno mille agenti. Ma anche a rimodulare i piani di intervento sul territorio con la vigilanza dinamica molto più frequente soprattutto nei centri storici delle città.

19 febbraio 2015 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_19/eni-fa-rientrare-personale-italiano-allerta-difesa-aerea-a32c37ee-b7fd-11e4-8ec8-87480054a31d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Alta velocità e Grandi opere in carcere il burocrate Incalza
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2015, 11:48:23 pm
Alta velocità e Grandi opere, in carcere il burocrate Ercole Incalza
Dirigente del ministero dei Lavori pubblici per 14 anni, ha attraversato sette governi
Il gip: «Procurati incarichi di lavoro al figlio del ministro Lupi»

Di FIORENZA SARZANINI

In carcere Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici. Su richiesta della Procura di Firenze sono stati eseguiti quattro arresti e oltre cento perquisizioni su appalti pubblici. Arrestati anche il funzionario del ministero e collaboratore di Incalza, Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. I reati contestati sono corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti e altre violazioni relative alla pubblica amministrazione. Gli appalti finiti nell’indagine riguardano la linea Alta velocità e numerosi lavori legati alle Grandi opere. Gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri del Ros.

Lupi, il figlio, l’intercettazione
L’inchiesta condotta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo coinvolge cinquantuno indagati. Tra loro anche politici, incluso l’europarlamentare Vito Bonsignore (membro del gruppo del Partito popolare europeo - Democratici-cristiani - e dei Democratici europei). Tra i politici citati negli atti processuali, il ministro Lupi. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip di Firenze scrive che «Stefano Perotti ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», figlio del ministro. Dalla stessa ordinanza, si apprende che - in base a un’intercettazione del 16 dicembre 2014 tra il responsabile dei Trasporti e lo stesso Incalza -, «il ministro Lupi, a fronte della proposta di soppressione» della Struttura di Missione «o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo».

Dal 2001 a oggi
Ingegnere, nato nel Brindisino il 15 agosto del 1944, Ercole Incalza è arrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi) ed è rimasto al ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, fino allo scorso dicembre, attraversando sette governi. È passato attraverso Antonio Di Pietro (governo Prodi), quindi è stato promosso capo struttura di missione da Altero Matteoli (di nuovo Berlusconi), confermato da Corrado Passera (governo Monti), Lupi (governo Letta) e poi ancora Lupi (governo Renzi). Fonti dell’esecutivo precisano che è andato in pensione nel dicembre 2014 e che attualmente non riveste nessun ruolo o funzione neanche a titolo gratuito. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza — definito «potentissimo dirigente» del ministero dei Lavori pubblici — il principale artefice del «sistema corruttivo» scoperto dalla Procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di «dominus» della Struttura tecnica di missione del ministero, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati.

«Consulenze in cambio di lavori»
Più in dettaglio, nella conferenza stampa sull’inchiesta si è svolta lunedì mattina a Firenze, il procuratore Creazzo ha spiegato che «per l’accusa la direzione dei lavori veniva affidata all’ingegner Stefano Perotti per un accordo illecito»: Perotti affidava incarichi di consulenza o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza (peraltro destinatario anch’egli di incarichi «lautamente retribuiti» conferiti dalla Green Field System srl, una società affidataria di direzioni lavori)». A Perotti, responsabile della società Ingegneria Spm e ritenuto dagli inquirenti «figura centrale dell’indagine», sono stati affidati tra gli altri i lavori per la linea ferroviaria A/V Milano-Verona (tratta Brescia - Verona); il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città; la tratta ferroviaria A/V Firenze Bologna; la tratta ferroviaria A/V Genova-Milano Terzo Valico di Giovi; l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre; l’autostrada Reggiolo Rolo-Ferrara; l’Autostrada Eas Ejdyer-Emssad in Libia.

«I costi lievitavano del 40 per cento»
Il procuratore Creazzo ha spiegato che «sono stati arrestati due stretti collaboratori» di Incalza e Perotti. A uno di loro, Francesco Cavallo, sempre secondo l’accusa, veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7 mila euro «come compenso per la sua illecita mediazione». «Il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 milioni di euro» ha fatto sapere il procuratore, precisando che «il Gip non ha comunque ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere e l’ha rigettata». «Questo tipo di direzione dei lavori consentiva modifiche, con opere che lievitavano anche del 40 per cento» ha aggiunto il comandante del Ros, Mario Parente. Tutte le principali Grandi opere sarebbero state oggetto dell’«articolato sistema corruttivo» messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate.

«Illeciti per aggiudicare i lavori di Palazzo Italia Expo»
L’inchiesta, chiamata «Sistema», è stata coordinata dalla Procura di Firenze perché tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sottoattraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi opere, compresi alcuni relativi all’Expo. Secondo il procuratore Creazzo «dall’indagine è emerso come l’ingegner Stefano Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo». Così come sull’assegnazione di quelli per la costruzione del nuovo terminal del porto di Olbia, di molatura delle rotaie da parte dalla società Ferrovie del Sud Est e sempre di molatura delle rotaie in favore della società Speno International a lui riconducibile. Perotti ha ottenuto anche, in favore di società a lui riconducibili, l’incarico di direttore dei lavori di un appalto Anas relativo a un macro lotto dell’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria e il conferimento dell’incarico di progettazione del nuovo centro direzionale Eni di San Donato Milanese.

Da Milano a Crotone
Gli arresti sono stati eseguiti a Roma e a Milano. Le perquisizioni - nelle province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia -, sono avvenute nei domicili degli indagati, negli ambienti della Struttura di Missione del ministero delle Infrastrutture, negli uffici di diverse società, tra cui tra cui Rfi, Anas international Enterprise, Ferrovie del Sud Est Srl, Consorzio Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre, Autostrada regionale Cispadana Spa e Autorità portuale Nord Sardegna. Alcuni provvedimenti sono stati eseguiti con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti di natura fiscale.

16 marzo 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_16/appalti-pubblici-arresti-c8baf4b6-cbab-11e4-990c-2fbc94e76fc2.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le chiamate di Lupi per il figlio e i manager con le ...
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2015, 10:47:41 pm
Le chiamate di Lupi per il figlio e i manager con le tangenti dell’1%
Almeno in un caso Lupi si sarebbe interessato per garantire un appalto all’imprenditore

Di FIORENZA SARZANINI

FIRENZE Pressioni, interventi, richieste. Sono decine le telefonate del ministro Maurizio Lupi allegate agli atti dell’inchiesta di Firenze che ha portato in carcere l’alto funzionario Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti. E dimostrano come sia stato proprio il titolare delle Infrastrutture a chiedere di trovare un lavoro al figlio Luca, da poco laureato in Ingegneria. Non solo. Almeno in un’occasione lo stesso Lupi si sarebbe speso direttamente per garantire a Perotti un incarico per un appalto pubblico.

Il sistema
È un vero e proprio sistema di potere quello svelato dall’indagine dei pubblici ministeri, coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo, che hanno accertato l’esistenza di una maggiorazione sui lavori assegnati dalla Struttura guidata da Incalza. Secondo l’accusa almeno per essere favorite le aziende dovevano riconoscere ai due manager almeno l’1 per cento della somma incassata. Tenendo conto che Perotti ha gestito appalti per 25 miliardi di euro, si parla di tangenti per almeno 250 milioni di euro. Per questo gli ulteriori accertamenti si concentrano sulla società «Green Field System», ritenuta la «cassaforte» di entrambi. E su quei conti esteri che la famiglia Perotti risulta aver movimentato negli ultimi anni.

«Incontra mio figlio»
I contatti per trovare una sistemazione a Luca Lupi cominciano i primi giorni di gennaio 2014. Le numerose conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros guidati dal generale Mario Parente, dimostrano che è stato proprio il ministro a chiedere a Incalza di avere un incontro con il ragazzo e poco dopo il funzionario si è attivato con Perotti. Alla fine del mese, tutto è risolto. Il giovane ottiene un incarico in un cantiere dell’Eni dove anche Perotti ha ottenuto la direzione dei lavori. Evidentemente però non è sufficiente. Scrive il giudice nell’ordinanza di cattura: «L’aiuto fornito da Stefano Perotti a Luca Lupi non è limitato al conferimento dell’incarico sopra descritto. Il 4 febbraio 2015 Perotti chiede all’amico Tommaso Boralevi che lavora negli Stati Uniti, di dare assistenza ad un loro ingegnere che al momento lavora presso lo studio Mor e verrà impiegato a New York. E dice: “Lavorerà in una prima fase per lo studio Mor come commerciale per cercargli delle opportunità eccetera. Gli abbiamo dato anche noi un incarico collegato per le nostre attività di direzione lavori, management, te lo volevo mettere in contatto che sicuramente tu che sei una specie di motore acceso qualche dritta gliela puoi dare no?».

L’amico di Luca
Il «sistema» viene evidentemente utilizzato da Luca Lupi anche per aiutare i suoi amici. Si scopre intercettando l’account di Franco Cavallo, definito nelle conversazioni «l’uomo di Lupi», ma collaboratore stretto anche di Perotti e molto legato ai proprietari della cooperativa «La Cascina». Il 10 novembre 2013 riceve una mail con la seguente nota: «Ciao Franco, sono Paolo, l’amico di Luca Lupi, in allegato il mio CV domani ti scrivo, grazie mille ciao. Paolo Androni». Tre giorni dopo lui la gira a un amico imprenditore Rizzani de Eccher: «Claudio ti inoltro il CV di un amico del figlio di Mauri interessato a lavorare in Russia/Ucraina. È un bravo ragazzo. Se puoi valutarlo te ne sarei grato. Nel frattempo lo farò conoscere a Giovanni Come sempre grazie Frank». E dopo altri quattro giorni lo stesso testo viene mandato a Giovanni Li Calzi, anche lui indagato con l’accusa di far parte dell’entourage di Incalza e Perotti.

«Ho sentito il ministro»
Nell’ottobre 2013 Perotti e i suoi amici mirano ad ottenere un incarico per la costruzione del terminal del porto di Olbia. Quando capiscono di avere almeno una ditta concorrente si attivano presso il ministero. Le intercettazioni dimostrano che Lupi interviene direttamente contattando Fedele Sanciu, Commissario dell’Autorità Portuale. Ad occuparsi della pratica è Cavallo. Cosi il giudice ricostruisce la vicenda: «Il 21 ottobre 2013 Cavallo chiede un appuntamento ad Emanuele Forlani della segreteria del Ministro Lupi. Dieci giorni dopo Perotti anticipa a Bastiano Deledda (responsabile unico del procedimento) che il 12 novembre 2013 sarà in Sardegna con Cavallo per incontrare il capo, alludendo a Sanciu: “Abbiamo deciso di intervenire perché sennò qua...”. Cavallo telefona a Sanciu, e, presentandosi come “l’amico di Maurizio”. Dice: “È impegnato? Sono Cavallo l’amico di Maurizio quello che l’ha telefonato ieri sera... Lupi... la richiamo dopo, non si preoccupi ci sentiamo dopo perché vengo a trovarla grazie”. Lo stesso giorno Cavallo ritelefona a Sanciu il quale subito fa presente che è stato già telefonato dal ministro: “Mi ha telefonato il ministro”. Cavallo, nel riferire che ha presenziato a questa telefonata, anticipa a Sanciu che il 12 novembre andrà in Sardegna a trovarlo: “Sì sì so tutto ero con lui, ma noi ci siamo visti, ci siamo già conosciuti sulla sua barca, ero con Maurizio qualche volta. Senta io vorrei venire da lei a trovarla se fosse possibile. Martedì 12, allora mi arrangio io e poi, diciamo che verso mezzogiorno le va bene?”». L’accordo viene trovato, l’incarico a Perotti però rimane in sospeso perché nel marzo 2014 Sanciu risulta indagato proprio con Lupi in un’inchiesta avviata in Sardegna e viene sostituito.

I conti svizzeri
Scrive il giudice: «Nel caso in esame una direzione dei lavori ha assunto, grazie a un collaudato sodalizio criminale, la funzione di mero strumento per far transitare su società e soggetti privati enormi somme di denaro (per compensi non inferiori all’1 per cento dell’importo dei lavori appaltati, ma in molti casi fino addirittura al 3 per cento), prive di sostanziale giustificazione quanto alle prestazioni professionali realmente rese, ed inquadrabili piuttosto nel prezzo di una dazione corruttiva, ossia di utilità illecite in favore del sodalizio medesimo, costituite dallo stesso conferimento dell’incarico professionale di direzione lavori, e spesso anche da una miriade di assunzioni od incarichi di consulenza collaterali alla gestione dell’appalto, del tutto fittizi, in favore “di amici degli amici” del pubblico ufficiale o di suoi prestanome o accoliti».

Proprio per rintracciare questi soldi che, dice l’accusa, sono finiti a Incalza e Perotti, si continua a battere due piste. La prima si concentra sugli affari della società «Green Field System». L’altra porta in Svizzera e in particolare alla Banca Julius Baer & Co. Sa con sede in Lugano, dove Christine Mor, moglie di Perotti, risulta avere un conto movimentato con un trasferimenti di denaro in Italia nel febbraio 2014, tanto da essere indagata per riciclaggio. I carabinieri del Ros hanno documentato alcuni viaggi in territorio elvetico della coppia e adesso si concentrano proprio su queste trasferte.

18 marzo 2015 | 09:00
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_18/chiamate-lupi-il-figlio-manager-le-tangenti-dell-1percento-1fd4698c-cd44-11e4-a39d-eedcf01ca586.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Procurati incarichi di lavoro al figlio del ministro LUPI...
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2015, 06:02:03 pm
Alta velocità e Grandi opere, in carcere il burocrate Ercole Incalza
Dirigente del ministero dei Lavori pubblici per 14 anni, ha attraversato sette governi
Il gip: «Procurati incarichi di lavoro al figlio del ministro Lupi»

Di FIORENZA SARZANINI

In carcere Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici. Su richiesta della Procura di Firenze sono stati eseguiti quattro arresti e oltre cento perquisizioni su appalti pubblici. Arrestati anche il funzionario del ministero e collaboratore di Incalza, Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. I reati contestati sono corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti e altre violazioni relative alla pubblica amministrazione. Gli appalti finiti nell’indagine riguardano la linea Alta velocità e numerosi lavori legati alle Grandi opere. Gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri del Ros.

Lupi, il figlio, l’intercettazione
L’inchiesta condotta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo coinvolge cinquantuno indagati. Tra loro anche politici, incluso l’europarlamentare Vito Bonsignore (membro del gruppo del Partito popolare europeo - Democratici-cristiani - e dei Democratici europei). Tra i politici citati negli atti processuali, il ministro Lupi. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip di Firenze scrive che «Stefano Perotti ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», figlio del ministro. Dalla stessa ordinanza, si apprende che - in base a un’intercettazione del 16 dicembre 2014 tra il responsabile dei Trasporti e lo stesso Incalza -, «il ministro Lupi, a fronte della proposta di soppressione» della Struttura di Missione «o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo».

Dal 2001 a oggi
Ingegnere, nato nel Brindisino il 15 agosto del 1944, Ercole Incalza è arrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi) ed è rimasto al ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, fino allo scorso dicembre, attraversando sette governi. È passato attraverso Antonio Di Pietro (governo Prodi), quindi è stato promosso capo struttura di missione da Altero Matteoli (di nuovo Berlusconi), confermato da Corrado Passera (governo Monti), Lupi (governo Letta) e poi ancora Lupi (governo Renzi). Fonti dell’esecutivo precisano che è andato in pensione nel dicembre 2014 e che attualmente non riveste nessun ruolo o funzione neanche a titolo gratuito. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza — definito «potentissimo dirigente» del ministero dei Lavori pubblici — il principale artefice del «sistema corruttivo» scoperto dalla Procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di «dominus» della Struttura tecnica di missione del ministero, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati.

«Consulenze in cambio di lavori»
Più in dettaglio, nella conferenza stampa sull’inchiesta si è svolta lunedì mattina a Firenze, il procuratore Creazzo ha spiegato che «per l’accusa la direzione dei lavori veniva affidata all’ingegner Stefano Perotti per un accordo illecito»: Perotti affidava incarichi di consulenza o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza (peraltro destinatario anch’egli di incarichi «lautamente retribuiti» conferiti dalla Green Field System srl, una società affidataria di direzioni lavori)». A Perotti, responsabile della società Ingegneria Spm e ritenuto dagli inquirenti «figura centrale dell’indagine», sono stati affidati tra gli altri i lavori per la linea ferroviaria A/V Milano-Verona (tratta Brescia - Verona); il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città; la tratta ferroviaria A/V Firenze Bologna; la tratta ferroviaria A/V Genova-Milano Terzo Valico di Giovi; l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre; l’autostrada Reggiolo Rolo-Ferrara; l’Autostrada Eas Ejdyer-Emssad in Libia.

«I costi lievitavano del 40 per cento»
Il procuratore Creazzo ha spiegato che «sono stati arrestati due stretti collaboratori» di Incalza e Perotti. A uno di loro, Francesco Cavallo, sempre secondo l’accusa, veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7 mila euro «come compenso per la sua illecita mediazione». «Il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 milioni di euro» ha fatto sapere il procuratore, precisando che «il Gip non ha comunque ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere e l’ha rigettata». «Questo tipo di direzione dei lavori consentiva modifiche, con opere che lievitavano anche del 40 per cento» ha aggiunto il comandante del Ros, Mario Parente. Tutte le principali Grandi opere sarebbero state oggetto dell’«articolato sistema corruttivo» messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate.

«Illeciti per aggiudicare i lavori di Palazzo Italia Expo»
L’inchiesta, chiamata «Sistema», è stata coordinata dalla Procura di Firenze perché tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sottoattraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi opere, compresi alcuni relativi all’Expo. Secondo il procuratore Creazzo «dall’indagine è emerso come l’ingegner Stefano Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo». Così come sull’assegnazione di quelli per la costruzione del nuovo terminal del porto di Olbia, di molatura delle rotaie da parte dalla società Ferrovie del Sud Est e sempre di molatura delle rotaie in favore della società Speno International a lui riconducibile. Perotti ha ottenuto anche, in favore di società a lui riconducibili, l’incarico di direttore dei lavori di un appalto Anas relativo a un macro lotto dell’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria e il conferimento dell’incarico di progettazione del nuovo centro direzionale Eni di San Donato Milanese.

Da Milano a Crotone
Gli arresti sono stati eseguiti a Roma e a Milano. Le perquisizioni - nelle province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia -, sono avvenute nei domicili degli indagati, negli ambienti della Struttura di Missione del ministero delle Infrastrutture, negli uffici di diverse società, tra cui tra cui Rfi, Anas international Enterprise, Ferrovie del Sud Est Srl, Consorzio Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre, Autostrada regionale Cispadana Spa e Autorità portuale Nord Sardegna. Alcuni provvedimenti sono stati eseguiti con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti di natura fiscale.

16 marzo 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_16/appalti-pubblici-arresti-c8baf4b6-cbab-11e4-990c-2fbc94e76fc2.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI La lettera di Perotti a Lotti su carta intestata del ministro
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2015, 11:10:30 am
L’INCHIESTA: I DOCUMENTI

La lettera di Perotti a Lotti su carta intestata del ministro
Le pressioni per i fondi. Burchi a Sposetti: a quella nomina ci penso io. Nelle intercettazioni anche un colloquio con Pacini Battaglia

Di FIORENZA SARZANINI

DALLA NOSTRA INVIATA FIRENZE Una lettera su carta intestata del ministro Maurizio Lupi indirizzata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. I carabinieri del Ros l’hanno trovata nel trolley di Stefano Perotti nella perquisizione dopo l’arresto dell’imprenditore, in una cartellina della Struttura tecnica di missione. È una sollecitazione affinché Palazzo Chigi chieda al Cipe lo sblocco dei finanziamenti per la costruzione di numerose opere. In tutto 9 miliardi di euro per l’apertura di diversi cantieri, indicati in un elenco allegato alla missiva. «Caro Luca», si legge all’inizio della lettera e poi si elencano i motivi che rendono indispensabile un intervento per ottenere i soldi necessari all’avvio dei lavori. Quanto basta, secondo l’accusa, per confermare che erano proprio Perotti e Incalza a gestire tutti gli affari del titolare delle Infrastrutture, occupandosi di preparare anche le comunicazioni ufficiali con il vertice del governo.

Del resto sono le stesse telefonate intercettate a dimostrare il ruolo chiave di Incalza all’interno del ministero anche diverse settimane dopo essere andato in pensione. Facendo riemergere personaggi che erano stati coinvolti in passato in inchieste sull’Alta velocità come il faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia e l’ex ministro dei Trasporti Claudio Signorile.

«Che devo fare?»
Il 22 dicembre scorso Lupi «chiede a Incalza che cosa deve fare una volta che è stato approvato nella Legge di stabilità l’emendamento che conferma i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: “Cioè operativamente cosa devo fare? Ma devo spostarla? Devo metterla? Ma voglio dire, come facciamo a dire che pro tempore il responsabile ...?”». Un aiuto per i rapporti con il Cipe Lupi lo sollecita anche il 24 gennaio, quando Incalza è ormai fuori dal ministero.
Lupi : non è che puoi stare in vacanza tu... Senti una cosa ma per il Cipe del 27 pare che ci sia... Noi abbiamo tutto dentro? La 106,tutto?
Incalza : no, abbiamo soltanto le cose che erano andate al pre Cipe il 10 dicembre... un mese fa...
I due continuano ad esaminare tutte le pratiche. Lupi chiede chiarimenti, suggerimenti. Lo stesso accade qualche giorno dopo quando «Marco Lezzi della segreteria del ministro chiede a Incalza, per conto dei ministro, di confermargli i nomi dei commissari di 14 Grandi Opere». E incalza risponde: «Se me li leggi tutti io confermo uno per uno, dai!»

Le nomine di Sposetti

A leggere le intercettazioni si comprende come il ministero sia terra di conquista. Il 14 febbraio 2014 l’ex presidente Italferr Giulio Burchi dice all’ex tesoriere ds Ugo Sposetti: «Senti magari cercati un posto in un ministero che ci andiamo a riposare». Annotano i carabinieri: «Parlano di “nomine che dobbiamo fare” e si riservano di esaminare una lista che deve essere consegnata a Burchi da un avvocato. Burchi rappresenta al senatore Sposetti i problemi per il conferimento dell’incarico a Massimo Marchignoli specificando di non poterlo inserire in un collegio sindacale in mancanza della laurea ed aggiunge: “boh, adesso gli trovo un’altra roba”. Il giorno dopo Sposetti dice a Burchi “ lì dove ci vuole la laurea perché non ci mettiamo Luciano”. E Burchi: “No, ma a Luciano gli voglio trovare un’altra roba, ma a Marchignoli comunque qualcosa gli trovo”».

Gli amici socialisti
Quanto potere abbia Incalza si comprende anche dalla rete di relazioni che continua a gestire. Scrivono i carabinieri del Ros: «Dall’attività di indagine è emerso che l’ex ministro Claudio Signorile e il figlio Jacopo Benedetto, sono tuttora in rapporti, per vicende riguardanti appalti pubblici, sia con Incalza e Pacella (ora ai domiciliari) che con Perotti. In particolare sono state rilevate comunicazioni, circa l’interesse di Jacopo Benedetto Signorile di entrare, insieme a Perotti, nella direzione lavori per la realizzazione dell’autostrada Roma Latina (opera da 2,8 miliardi di euro, di cui 970 di contributo pubblico, progetto preliminare approvato dal Cipe nel 2004) su cui l’Anac presieduta dal dottor Raffaele Cantone, nel novembre 2014, ha accolto i rilievi segnalati da Ance Lazio e Acer (costruttori di Roma) in quanto limitativa per la concorrenza delle piccole imprese». Non solo. Annotano ancora gli investigatori: «Il 26 gennaio 2015 Pacini Battaglia contatta Perotti. Dal tenore della conversazione si trae che fra i due interlocutori vi è un rapporto di pregressa conoscenza se non di amicizia».

Le ville di Perotti
Per i pm il «sistema» prevede che Incalza individui le gare da «pilotare» assegnandole a quelle aziende che accettano una maggiorazione almeno dell’1% e la nomina di Perotti come direttore dei lavori. Incarichi che avrebbero fruttato al manager milioni di euro. È la moglie ad elencare in una telefonata con il figlio l’entità dei beni di famiglia. Annotano i carabinieri: «Christine Mor riferisce al figlio che la loro casa fiorentina non ha prezzo, “casa nostra non ha prezzo amore, non ha prezzo veramente. È una cosa fuori da (ride). Anche casetta tua, sai però aspetta, Firenze sente di più la crisi delle altre città quindi casa di Corinne a Roma con la crisi adesso che c’è puoi chiedere 2, senza crisi si può arrivare a 3 , 2 e mezzo, la tua oggi a Firenze sta a uno e mezzo, c’è un milione di differenza secondo me”». Al figlio dice poi che «l’altra casa fiorentina a lui intestata è stata comprata per un milione e 100mila euro cui sono stati aggiunti 200mila euro di lavori, mentre la casa romana dell’altra figlia Corinne è stata acquistata per un milione e 300 mila euro e che la tenuta di Montepulciano è costata 2 milioni e 600 mila».

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21 marzo 2015 | 09:44

Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_21/lupi-lettera-perotti-984f8d30-cfa4-11e4-b8b8-da1e3618cfb1.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Omicidio Meredith, riscritta la verità «Guede solo sul luogo
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2015, 04:36:16 pm
L’analisi
Omicidio Meredith, riscritta la verità «Guede solo sul luogo del delitto»
L’esito delle indagini è stato cancellato. Ora si rischia una battaglia sui risarcimenti
Testimoni smentiti
Vengono smentiti anche i testimoni che dissero di aver visto i due fuggire dalla casa

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - È il verdetto clamoroso, quello su cui nessuno avrebbe scommesso. Perché la sentenza della Corte di cassazione cancella l’esito delle indagini, ma soprattutto sconfessa la sentenza che due anni fa altri giudici della stessa Corte suprema avevano pronunciato ritenendo che Amanda Knox e Raffaele Sollecito fossero certamente sulla scena del delitto. Assassini, questo era stato stabilito.
La scelta di «annullare senza rinvio» quelle condanne inflitte poco più di un anno fa dalla Corte d’assise d’appello di Firenze (28 anni e sei mesi a lei, 25 a lui) smentisce invece in maniera sorprendente l’accusa, consegna alle difese una vittoria schiacciante. E soprattutto nega la validità di un’altra sentenza definitiva che ha ritenuto Rudy Guede colpevole del delitto «in concorso con altri».

I punti oscuri
Il giovane ivoriano, questa è la conclusione, era solo sulla scena del delitto. Uccise Meredith Kercher dopo aver tentato di violentarla in quella villetta di via della Pergola la sera del primo novembre. Cercò di ripulire la stanza, di cancellare le tracce. Nessuno entrò nella casa, come invece lui aveva sostenuto in una ricostruzione certamente fantasiosa e poco credibile. Non c’era un giovane che lo aveva minacciato né una ragazza che lo accompagnava, come aveva messo a verbale pur non facendo mai esplicitamente i nomi di Amanda e Raffaele. Smentiti anche i testimoni che avevano detto di aver visto i due fuggire dalla villetta.
Molti punti rimangono oscuri, soltanto leggendo la motivazione si scoprirà come i giudici abbiano superato tutti gli indizi raccolti, per primo il memoriale che Amanda scrisse in una stanza della questura pochi giorni dopo l’omicidio descrivendo i momenti del delitto ma sostituendo Rudy con Patrick Lumumba. Ma già adesso si può dire che non è stata ritenuta «sufficientemente provata» la ricostruzione dell’accusa secondo la quale «entrambi erano gli assassini, insieme a Rudy Guede».

La mancanza di prove

Il quadro disegnato da chi aveva indagato e da chi li aveva poi condannati «non è sorretto da indizi sufficienti», questo hanno detto venerdì 27 marzo i giudici della quinta sezione penale presieduti da Gennaro Marasca. Ingiusta, secondo loro, è stata la sentenza di colpevolezza, evidentemente ancor più ingiusta la detenzione preventiva. E anche su questo adesso si discuterà a lungo perché è vero che dopo la lettura del dispositivo l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Sollecito insieme al collega Luca Maori assicura che «non ci sarà alcun atteggiamento vendicativo», ma una richiesta di risarcimento allo Stato appare quasi scontata.

Caso chiuso
Finito, chiuso, il processo termina qui. Molti punti rimangono oscuri, molti interrogativi non avranno mai risposta, ma sembra impossibile che le indagini possano essere riaperte. Interrogatori, perizie, accertamenti: tutto annullato, cancellato, non valido. Nullo anche il verdetto di un’altra sezione della Cassazione che il 26 marzo del 2013 aveva dichiarato non valida la sentenza di assoluzione emessa in appello a Perugia ordinando un nuovo processo a Firenze. Allora i supremi giudici avevano scritto che bisognava «porre rimedio a una decisione segnata da molteplici profili di manchevolezza, contraddittorietà e illogicità» delineando «la posizione soggettiva dei concorrenti di Rudy Guede».

Meredith senza giustizia
Questo erano dunque per il collegio di Cassazione che per primo si è pronunciato, Amanda e Raffaele: «Concorrenti nell’omicidio». Altri giudici hanno ora stabilito che non è così. Hanno cancellato la ricostruzione del delitto che vedeva Meredith «aggredita contestualmente da tutti e tre, per immobilizzarla e usarle violenza». Rudy ha tentato di violentarla, ma non è vero che Amanda e Raffaele hanno infierito su di lei con due coltelli, non è provato che fossero lì e volessero «prevaricarla e umiliarla». Questa è la sentenza definitiva, questa è la verità parziale che arriva otto anni dopo il delitto. Perché la decisione di assolvere per mancanza di prove è comunque la sconfitta per la famiglia di Meredith che continua a non avere giustizia.

28 marzo 2015 | 07:46
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_28/riscritta-verita-quella-notte-guede-solo-luogo-delitto-c907f5dc-d514-11e4-ac8b-ead84921270e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Strage migranti: missione di terra in Libia per ...
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2015, 05:45:37 pm
Il retroscena
Strage migranti: missione di terra in Libia per controllare spiagge e porti
L’idea di un’operazione di polizia internazionale autorizzata da Bruxelles e Onu.
Per le caratteristiche dell’azione si segue lo schema utilizzato in Libano nel 2006

Di FIORENZA SARZANINI

Un’operazione di polizia internazionale per mettere sotto controllo le spiagge e i porti della Libia. Un contingente militare autorizzato dall’Unione Europea - possibilmente anche dalle Nazioni Unite - per fermare l’attività criminale degli scafisti e così cercare di stroncare il traffico di esseri umani. È questa la proposta che l’Italia potrebbe mettere già oggi sul tavolo dei ministri degli Esteri riuniti in Lussemburgo e del Consiglio europeo. È l’opzione più efficace, diventata oggetto di trattativa con gli altri Stati membri, per arrivare a un intervento comune e così tentare di bloccare il flusso delle partenze che rischia di avere dimensioni sempre più grandi, dunque di diventare sempre più rischioso.

I tempi non possono essere brevissimi, ma quanto accaduto ieri mostra la necessità di fare in fretta a trovare una soluzione che consenta di assistere le migliaia di disperati che cercano di salvarsi fuggendo dalla Libia. Non a caso si tornerà ad insistere con le organizzazioni umanitarie e naturalmente con l’Unione Europea, per la creazione urgente di campi profughi in nord Africa in modo da smistare le istanze per il riconoscimento dello status di rifugiato politico.

Guerra agli scafisti
Tutte le opzioni vengono analizzate prima della riunione convocata a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. E quella subito scartata riguarda il possibile blocco navale da attuare a poche decine di miglia dalla Libia. Un dispositivo del genere funziona infatti soltanto se accompagnato dai respingimenti. Vuol dire che ogni imbarcazione viene fermata e scortata fino all’imbocco di uno dei porti di partenza in Libia. Ma questo comporta pericoli altissimi e soprattutto non servirebbe affatto a fermare i trafficanti, disposti a tutto pur di lucrare sulla disperazione di chi paga centinaia di dinari pur di salire a bordo di un’imbarcazione. Impossibile anche il ripristino di una missione umanitaria sul modello di «Mare Nostrum» proprio perché agevolerebbe l’attività criminale di chi sa che alle persone imbarcate anche su mezzi di fortuna basterà lanciare un Sos poco dopo la partenza per essere soccorse e salvate. «Se questa fosse la volontà - spiegano gli esperti - sarebbe più efficace creare un corridoio umanitario e portare i profughi direttamente sulle nostre coste».

L’unica strada ritenuta percorribile in questo momento è quella di un intervento che miri a stroncare le organizzazioni criminali. La situazione attuale non consente di avviare alcuna trattativa con le autorità libiche, anche perché ci sono due governi che rivendicano la propria titolarità e soprattutto bisogna tenere conto dei miliziani che tentano di impedire qualsiasi negoziato.

Qualcosa potrebbe cambiare se davvero, come sostiene da un paio di giorni il mediatore dell’Onu Bernardino León si riuscirà, «entro breve a creare un governo di unità nazionale». Ed è proprio questa la «cornice» entro la quale ci si vuole muovere.

L’intervento
Già nel febbraio scorso, di fronte all’avanzata dei terroristi dell’Isis, il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva dichiarato come l’Italia fosse pronta «a fare la propria parte guidando una coalizione internazionale per un intervento militare». A questo adesso si pensa, avendo come obiettivo quelli che Renzi ha definito «gli schiavisti del XXI secolo», evidenziando poi come il controllo del mare non possa essere la soluzione per impedire i naufragi e quindi la morte di migliaia di persone.

L’ipotesi esplorata in queste ore prevede un intervento nella parte settentrionale della Libia, coinvolgendo, se possibile, anche gli altri Stati africani. Il via libera dell’Unione Europea, ancora meglio dell’Onu, si rende necessario perché altrimenti si tratterebbe di un vero e proprio atto di guerra, impensabile anche nei confronti di uno Stato che attualmente ha una situazione totalmente fuori controllo. Una missione di terra alla quale l’Italia parteciperebbe con l’Esercito, con la Marina Militare e con l’Aeronautica seguendo uno schema che ricalca in parte quello applicato in Libano nel 2006. Le condizioni in quel caso erano completamente diverse sia per quanto riguarda la realtà territoriale, sia per la presenza di interlocutori validi con i quali avviare un confronto diplomatico. Ma gli aspetti tecnici sarebbero comunque molti simili.

I campi profughi
L’opzione militare prevede comunque l’avvio di un intervento umanitario per garantire alle migliaia di persone in fuga di avere assistenza in Africa e accoglienza in Europa. Per questo si è deciso di accelerare quel progetto seguito dal ministero dell’Interno che prevede la creazione di almeno tre campi profughi. Veri e propri punti di raccolta in Niger, Tunisia e Sudan dove esaminare le istanze di asilo in modo da poter avviare la procedura con i Paesi indicati dai richiedenti.
L’organizzazione dovrebbe essere affidata all’Alto commissariato per i rifugiati e all’Oim, l’Organizzazione di assistenza ai migranti che proprio in Africa - ma anche in Libia - vanta un’esperienza decennale e ha già seguito numerosi progetti, compreso il rimpatrio assistito. In questo caso ogni Paese metterebbe a disposizione personale che possa lavorare in collaborazione con le autorità locali. Tutto in una corsa contro il tempo per salvare migliaia di persone.

20 aprile 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_aprile_20/strage-migranti-missione-terra-libia-controllare-spiagge-porti-51d42f90-e71f-11e4-95de-75f89e715407.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Migranti e soccorsi Un Paese che deve fare da solo
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2015, 06:10:33 pm
Migranti e soccorsi
Un Paese che deve fare da solo
L’Italia davanti all’emergenza degli sbarchi e il ruolo dell’Europa

Di FIORENZA SARZANINI

Le parole del prefetto di Bologna riassumono bene quanto sta accadendo, in questi giorni, nel nostro Paese. «Noi salviamo vite», ha risposto il rappresentante del governo a chi mostrava preoccupazione per l’arrivo di centinaia di migranti in Emilia-Romagna. È vero. Salviamo vite e assistiamo donne, uomini e bambini approdati in Italia per sfuggire alla guerra e alla miseria. Accogliamo migliaia di disperati pur non avendo le strutture adatte per farlo, né un piano strutturale adeguato, visto che bisogna fare i conti con le resistenze di alcuni governatori regionali e numerosi sindaci determinati a respingere l’arrivo degli stranieri sul proprio territorio.

La temuta invasione sembra essere cominciata. I diecimila stranieri giunti in Italia negli ultimi sette giorni sono il segnale di una situazione che, entro poche settimane, rischia di diventare difficilmente gestibile. Anche perché è salito in maniera pericolosa il livello di aggressività degli scafisti, fino a trasformare il Mediterraneo in un teatro di battaglia. I colpi sparati lunedì scorso da quattro uomini a bordo di una motovedetta libica, che così sono riusciti ad ottenere dal comandante del rimorchiatore «Asso 21» la restituzione del barcone utilizzato per traghettare centinaia di persone, sono stati il primo, gravissimo, segnale di allarme. La rissa scoppiata a bordo di un gommone con alcuni giovani cristiani che hanno raccontato di aver visto i loro amici picchiati e poi gettati in mare dai musulmani mostra la ferocia che può scatenarsi quando si vive in condizioni disumane. L’ assalto di ieri al peschereccio siciliano trainato fino alle acque libiche è la conferma che ormai nulla si può escludere, perché i gruppi criminali sono disposti a tutto pur di incrementare il traffico di esseri umani.

Molto altro può accadere: la determinazione di questi scafisti rischia di avere conseguenze ancora peggiori. Eppure nulla si muove. L’Italia rimane sola a fronteggiare la minaccia e soprattutto l’emergenza. Qualche giorno fa, di fronte all’ultima ondata di sbarchi, un portavoce dell’Onu ha riconosciuto al nostro Paese il merito di affrontare questi eventi portando interamente il peso dell’Europa. Poteva essere l’occasione per uno sforzo comune che coinvolgesse tutti gli Stati membri di fronte a un’emergenza umanitaria ormai innegabile. È accaduto esattamente il contrario. Da Bruxelles si sono affrettati a precisare che nessuna iniziativa sarà presa. Anzi, è stato specificato che «non c’è alcuna volontà di rafforzare l’operazione marittima, pur nella consapevolezza dei limiti della missione Triton». Quella nota ufficiale dei ministri degli Affari europei di Francia, Germania, Italia e Slovacchia per sollecitare «una reazione forte e comune dell’Europa, una risposta risoluta e una politica migratoria comune e coerente di fronte agli ultimi tragici eventi nel Mediterraneo» appare tanto retorica quanto inutile. Soprattutto incoerente, visto che proviene da coloro che dovrebbero essere parte attiva di questa «politica», promotori di iniziative concrete e urgenti.

Il nostro rappresentante non avrebbe dovuto neanche firmarla, proprio perché non ha alcun valore effettivo, anzi rappresenta la prova che ogni tentativo di ottenere collaborazione dagli altri Paesi è ormai miseramente fallito. Come fallita è la speranza di poter fermare gli arrivi dei migranti mettendo qualche decina di mezzi navali a trenta miglia dalle coste siciliane. A questo punto è necessario varare nuove regole che proteggano gli uomini impegnati nelle operazioni di soccorso e salvataggio in mare. E l’Italia deve farlo in piena autonomia, per prevenire conseguenze che possono essere drammatiche. La Libia è ormai fuori controllo, siamo esposti a un pericolo sempre più tangibile. Restare inerti e isolati rischia di avere esiti tragici. È inutile illudersi di riuscire a trovare collaborazione internazionale. Bisogna agire da soli e farlo prima che sia troppo tardi.

18 aprile 2015 | 07:58
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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-04-09/lavoratori-low-cost-contratti-rumeni-ministero-e-vietato-173222.shtml?cmpid=outbrain_prima_pagina


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Lotta agli scafisti “modello Somalia” Droni per distruggere
Inserito da: Admin - Aprile 25, 2015, 05:03:48 pm

Il retroscena
Lotta agli scafisti “modello Somalia”
Droni per distruggere le barche
L’idea: copiare l’operazione «Atalanta» varata nel 2008 per combattere i pirati.
Utilizzando mezzi aerei (droni) per azioni mirate ad annientare la flotta dei trafficanti

Di FIORENZA SARZANINI

Scafisti libici come i pirati somali. L’Unione Europea si mostra disponibile ad accogliere le richieste presentate dall’Italia e contro i trafficanti di uomini decide di colpire le postazioni e distruggere le barche utilizzate per trasportare i migranti. Il modello è quello dell’operazione «Atalanta» varata nel 2008 e rifinanziata nel novembre scorso. In attesa di un via libera dell’Onu all’intervento che consenta di svolgere operazioni di polizia sul suolo libico, i ministri degli Esteri e dell’Interno scelgono comunque di intervenire. La «linea dura» dovrà essere confermata durante il vertice straordinario di giovedì, ma l’intesa appare raggiunta e l’assenso da parte di alcuni Paesi ad accogliere una parte dei profughi, sia pur minima, dimostra che qualcosa effettivamente potrebbe cambiare nella politica comunitaria. Anche perché per il governo di Roma sono proprio queste le condizioni non negoziabili per tentare di governare il flusso di stranieri che certamente continueranno ad arrivare sulle nostre coste.

Modello Somalia
Lo schema dovrà essere messo a punto dai vertici militari, l’ipotesi rimanda a quello già sperimentato in Somalia, anche se dovranno essere rimodulati gli interventi. La missione avviata sette anni fa e tuttora attiva nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano, si svolge infatti in sintonia con il governo di Mogadiscio, mentre al momento appare impossibile trovare interlocutori in Libia. Dunque si procederà utilizzando soprattutto i mezzi aerei, in particolare i droni, in modo da poter compiere azioni mirate e annientare la flotta dei trafficanti. L’operazione coinvolgerà gli Stati membri e potrebbe richiedere anche la collaborazione di alcuni Paesi africani disponibili a cooperare con l’Europa.

Triton e Poseidon
L’attività compiuta dall’alto sarà naturalmente affiancata dai pattugliamenti marittimi. Da qui la scelta di potenziare «Triton» con ulteriori finanziamenti e soprattutto prevedendo l’impiego di un numero maggiore di mezzi navali rispetto a quelli attualmente schierati a 30 miglia dalle coste siciliane. La «copertura» dell’area di intervento sarà ampliata prevedendo anche una sinergia tra «Triton» e «Poseidon», l’operazione svolta nel tratto di mare di fronte alla Grecia, una delle nuove rotte battute dagli scafisti, come dimostra la tragedia di ieri di fronte a Rodi. Il timore, in vista dell’estate, è che il massiccio afflusso di profughi provenienti dall’Africa, ma anche dal Medio Oriente possa infatti convincere i trafficanti ad aprire nuove piste. Già nei mesi scorsi la Capitaneria di Porto e il Servizio Immigrazione del ministero dell’Interno avevano segnalato la presenza di numerosi mercantili nei porti della Turchia pronti a salpare e l’arrivo dei siriani nelle scorse settimane aveva confermato la necessità di avviare subito una trattativa con il governo di Ankara. Il negoziato ha dato al momento buoni risultati, ma non è possibile escludere che la pressione migratoria torni a farsi sentire e dunque appare necessario un pattugliamento più esteso.

Il trattato di Dublino
Molto importante viene giudicata dal governo italiano anche la disponibilità degli Stati membri ad accogliere 5.000 profughi sbarcati in Italia. Si tratta di un numero irrisorio rispetto alle 70.000 persone attualmente assistite e a quelle che presumibilmente saranno accolte entro breve, ma il risultato politico appare evidente perché per la prima volta viene superato - almeno nei fatti - il regolamento di Dublino secondo il quale il richiedente asilo deve rimanere nello Stato dove ha presentato istanza fino al completamente della procedura. Più volte era stata sollecitata, e sempre negata, una revisione dell’accordo per consentire una circolazione più libera tra i Paesi dell’Unione. Adesso uno spiraglio sembra aprirsi, già la prossima settimana potrebbero essere stabilite le «quote». Sempre che non si tratti delle promesse fatte sull’onda dell’emozione che, come in passato, tali rimangono.

21 aprile 2015 | 08:07
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_21/lotta-scafisti-modello-somalia-droni-distruggere-barche-7a61282a-e7ea-11e4-97a5-c3fccabca8f9.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il piano per affondare i gommoni Motovedette veloci ...
Inserito da: Admin - Aprile 25, 2015, 05:06:38 pm
Il dossier
Il piano per affondare i gommoni Motovedette veloci (con esplosivo)
Alfano rilancia: «Soluzione utile». Ma no ad ampliare il raggio d’azione di Triton.
Vertice con gli enti locali: in caso di rifiuto, i centri di accoglienza verranno sequestrati.
L’Europa mette sul piatto 120 milioni, dettagli saranno decisi in settimana a Varsavia

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Motovedette in operazioni di soccorso per affondare il barcone appena terminato il salvataggio dei migranti. Il giorno dopo la riunione di Bruxelles durante la quale è stato deciso il potenziamento di Tritonma non si è trovato un accordo sugli altri provvedimenti, l’Italia mette a punto il piano per fronteggiare l’emergenza. Mentre sbarcano sulle nostre coste altri 300 stranieri e le Regioni continuano a fare muro sull’accoglienza, il punto prioritario rimane la distruzione di gommoni e pescherecci utilizzati dagli scafisti. Ma anche la scelta di rimanere con il dispositivo navale a 30 miglia dalla Sicilia perché, come spiegano i tecnici del Viminale, «tornare a Mare Nostrum servirebbe solo a incrementare ancor di più l’attività dei trafficanti».

I mezzi veloci
Il primo incontro tecnico è stato convocato per lunedì. Gli esperti del Dipartimento immigrazione della polizia lavorano a stretto contatto con i responsabili di Frontex.
Molti Stati hanno dato la propria disponibilità a inviare navi nel Mediterraneo per partecipare alle operazioni di pattugliamento. Ad alcuni si chiederà però di sostituirle con mezzi veloci, motovedette che possano essere attivate appena ricevuto l’sos oppure la segnalazione di una barca che sta arrivando. La nave delegata al salvataggio sarà dunque affiancata da un’imbarcazione più piccola che dovrà occuparsi della distruzione del gommone o del peschereccio dei trafficanti. Nel primo caso si provvederà a tagliarlo, nel secondo si potrà utilizzare una piccola carica esplosiva che in un tempo breve lo fa colare a picco. Il piano prevede che si rimanga fino al completo affondamento, proprio per evitare, come più volte accaduto nell’ultimo anno che i trafficanti tornino a prenderlo e lo utilizzino per altri viaggi.

120 milioni l’anno
L’Ue si è impegnata a triplicare mezzi e risorse arrivando a una spesa che dovrebbe superare i 120 milioni annui. Attualmente la Finlandia e la Francia partecipano ognuna con un aereo; l’Islanda, il Portogallo e la Spagna con una nave; la Lettonia con un elicottero; Malta con un aereo, una motovedetta grande e una piccola; l’Olanda una motovedetta piccola. Il piano prevede uno spiegamento molto più imponente, la Germania manderebbe addirittura dieci navi standard, oltre a una da guerra; la Francia due aerei da ricognizione e una nave pattugliatore; la Gran Bretagna una porta elicotteri e due pattugliatori. Dai Paesi del nord come Norvegia e Svezia potrebbero arrivare anche aerei dotati di sistemi di sorveglianza satellitare. Ogni dettaglio dovrà essere deciso a Varsavia, sede di Frontex, entro la fine della settimana. Dopo le dichiarazioni ufficiali del portavoce della Commissione Bertaud - «L’area operativa di Triton sarà estesa» - l’Italia chiederà di non effettuare alcuna modifica rispetto al limite dalle coste. Il rischio paventato dagli esperti del Viminale è quello di un ritorno al modello Mare Nostrum perché, evidenziano, «ha incrementato le partenze per la consapevolezza degli scafisti che, una volta lanciata la richiesta di aiuto, saremmo arrivati fin davanti alla Libia per salvare le persone». Il soccorso e i salvataggi continueranno naturalmente a essere garantiti, «ma le navi dovranno stare in acque italiane».

L’azione militare
L’Ue ha preso tempo, affidando un mandato esplorativo alla rappresentante Federica Mogherini sulla possibilità di agire in Libia con azioni mirate contro le postazioni degli scafisti. Eppure l’Italia continuerà a insistere su questa linea come ribadisce il ministro dell’Interno Alfano quando definisce gli scafisti «la più macabra agenzia di viaggi del mondo» e, prima alla trasmissione di Raitre «Agorà» poi in numerose interviste e dichiarazioni, aggiunge: «Sarebbe utile affondare i barconi prima della partenza, ovviamente nell’ambito di un’operazione di polizia e in quadro di legalità internazionale». Una soluzione di questo tipo non potrà arrivare entro breve, anche perché l’Ue non l’ha posta come prioritaria. Dunque bisognerà fare comunque i conti con il costante flusso di arrivi che, questa è la previsione, aumenterà con l’avanzata della bella stagione.
Per la prossima settimana è stato deciso un nuovo incontro con i rappresentanti dei Comuni e delle Regioni. Nella consapevolezza che, di fronte ad altri rifiuti sull’accoglienza degli stranieri, l’unico rimedio è requisire le strutture.

fsarzanini@corriere.it
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25 aprile 2015 | 08:00

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_25/piano-affondare-gommoni-motovedette-veloci-con-esplosivo-24d267f8-eb0e-11e4-aaae-29597682dafd.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Tra i Black Bloc anche persone venute dall’estero
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2015, 05:08:35 pm
Scontri no Expo, 500 tra italiani e stranieri, timori che vadano alla Scala
I responsabili di sicurezza preoccupati per nuovi attacchi alla prima della Turandot.
Tra i Black Bloc anche persone venute dall’estero

Di Fiorenza Sarzanini

Adesso il timore dei responsabili della sicurezza è che questo blocco più violento si frantumi in gruppi piccoli e colpisca in varie zone della città. La preoccupazione è che compiano azioni estemporanee, attacchi contro i bersagli già indicati nei giorni scorsi - sedi di banche, multinazionali ma anche punti vendita delle catene internazionali - e vadano avanti fino in serata. E poi arrivino fino alla Scala dove è in programma la Turandot e dove sono attese decine di personalità.

Circa 500
Gli analisti di polizia e carabinieri ritengano si tratti di italiani e stranieri, la frangia più estrema degli anarcoinsurrezionalisti che si erano dati appuntamento all’Expo a da giorni sono arrivati in città, alloggiati in alcuni appartamenti occupati oppure in magazzini in disuso. Sono migliaia gli uomini e donne delle forze dell’ordine a presidio della città e le disposizioni sono quelle di tentare di evitare lo scontro diretto cercando di disperdere i “Black block” per poi riuscire a bloccarli. Secondo le stime degli analisti potrebbero essere circa 500 e non è escluso che altri si aggiungano per contribuire allo “sfascio” più volte annunciato nelle scorse settimane. L’ordine per i reparti impegnati naturalmente è quello di proteggere tutte le sedi istituzionali, impedire in ogni modo che possano essere occupati uffici e interi edifici.

1 maggio 2015 | 17:42
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Da - http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_01/scontri-no-expo-500-italiani-stranieri-timori-che-vadano-scala-c214dfce-f017-11e4-ab0f-6f7d8bd494ab.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Milano, patto tra gruppi antagonisti durante l’assalto ...
Inserito da: Admin - Maggio 11, 2015, 10:24:45 am
Il dossier
Milano, patto tra gruppi antagonisti durante l’assalto contro la Bce Turandot blindata alla Scala
In vista dell’avvio dell’Expo, il primo maggio a Milano, sono attesi duecento attivisti da vari Paesi europei.
Le misure: il Viminale invia altri 2.000 rinforzi (2.600 già schierati)


Di Fiorenza Sarzanini

L’accordo è stato siglato il 18 marzo scorso a Francoforte, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Banca centrale europea. È stato allora che i gruppi antagonisti più violenti si sarebbero dati appuntamento a Milano, «tappa numero 2» della loro guerra contro le multinazionali, gli istituti di credito, il potere finanziario mondiale.

E già questa mattina la loro settimana di protesta potrebbe avere inizio con azioni mirate e assalti contro obiettivi nel centro della città e in periferia in un’escalation che - almeno questo sarebbe l’obiettivo dei contestatori - dovrebbe sfociare venerdì 1 maggio in una vera e propria guerriglia.

Non c’è allarmismo nella pianificazione che l’ufficio Ordine pubblico della polizia aggiorna ormai ogni ora in piena sintonia con la questura e il comando provinciale dei carabinieri di Milano. Ma i timori sono altissimi perché il temuto arrivo degli stranieri è cominciato e già oggi potrebbero giungere in città circa duecento persone tra tedeschi, francesi e greci. Molti hanno occupato appartamenti, magazzini dismessi, capannoni alla periferia. Hanno fatto tappa in Piemonte e in Emilia-Romagna, hanno trovato appoggi logistici e saldato legami creati in passato. Molti di loro sono gli stessi che un mese e mezzo fa in Germania hanno scatenato l’inferno e adesso sembrano intenzionati a fare lo stesso sfruttando la vetrina internazionale dell’Expo.

Secondo i dati raccolti dagli specialisti di polizia e carabinieri i primi problemi potrebbero sorgere oggi con la consueta manifestazione che ricorda l’omicidio di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù assassinato nel 1975 da esponenti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia operaia. E poi ancora dall’alba dell’1 maggio, quando si creerà il corteo di protesta organizzato dai Cobas e da numerosi gruppi di contestatori pacifici che però, almeno ad analizzare le relazioni trasmesse in queste ore ai vertici degli apparati di sicurezza, avrebbero perso il controllo della situazione, sopraffatti dai contestatori più violenti. La strategia di chi protesta, almeno quella intuita attraverso l’attività di prevenzione, è compiere azioni contemporanee in zone diverse proprio per cercare di sfuggire ai controlli della polizia e fare i maggiori danni possibili.

Uno degli obiettivi più volte indicati da chi sta pianificando gli assalti è la Scala dove la sera di venerdì va in scena la Turandot. Lo spiegamento di forze dell’ordine sarà imponente perché si ritiene che possa essere uno degli eventi clou, naturalmente se non ci sarà stata battaglia nelle ore precedenti.

Sono 2.600 le persone di rinforzo ai reparti già schierati che il Viminale ha deciso di inviare per i sei mesi dell’Expo, almeno 2.000 si aggiungeranno in questi giorni per presidiare e, se necessario, militarizzare la città. Il rischio è che vengano prese di mira le sedi di banche, multinazionali e «tutto quello che interessa Expo» come più volte è stato annunciato sui siti antagonisti. Ma non è escluso che anche la Borsa possa diventare un bersaglio e a vedere l’arsenale sequestrato ieri dai poliziotti si comprende la preoccupazione dei responsabili della sicurezza per un livello di scontro che potrebbe essere molto elevato.

29 aprile 2015 | 08:44
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_29/patto-gruppi-antagonisti-l-assalto-contro-bce-turandot-blindata-scala-0f2393ae-ee39-11e4-b322-fe8a05b45a01.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Cortei, divieti come per gli ultras»
Inserito da: Admin - Maggio 11, 2015, 10:39:06 am
L’intervista
«Cortei, divieti come per gli ultras»
Il ministro dell’Interno Alfano: più poteri ai prefetti per evitare manifestazioni a rischio nei centri storici.
Fermi per i violenti a volto scoperto.
Anche lo Stato pronto a risarcire i cittadini fino all’ultimo euro

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA -Ci sono state auto in fiamme e vetrine spaccate, ragazzi incappucciati all’assalto delle forze dell’ordine con le bottiglie molotov. «Il peggio è stato evitato», ribadisce il ministro dell’Interno Angelino Alfano mentre si contano danni per milioni di euro.

Possibile che si debba essere soddisfatti solo perché non ci sono stati feriti gravi o addirittura vittime?
«Secondo le notizie che avevamo raccolto da tempo, la manifestazione del 1° maggio poteva essere un nuovo G8. Abbiamo troppi esempi, anche recenti, in grandi Paesi come la Germania, per non sapere che questi cortei possono trasformarsi in veri e propri saccheggi delle città. Nel caso specifico, i contestatori avevano deciso di assaltare l’Expo gate di piazza Cadorna e poi arrivare fino alla Scala. Questo era il peggio».

Il premier Renzi dice che erano teppistelli figli di papà.
«È proprio così, mi pare anche che ciò emerga addirittura dalla dichiarazione di qualche genitore. Oltre che dai video girati dalla polizia, in cui si vedono giovani con i Rolex ai polsi. Poi, ovviamente, c’erano anche i farabutti che certamente non erano alla prima esperienza e infatti hanno messo in atto un diversivo per tentare di violare zone simbolicamente più rappresentative».

Agli italiani si sono aggiunti numerosi stranieri, perché non li avete fermati prima?
«C’è stata una robusta attività di prevenzione con 2 arresti, 52 denunce, 32 espulsi e tantissimo materiale sequestrato. Oltre la metà erano stranieri. Il lavoro è andato avanti dopo il corteo, con 5 arresti, 17 denunce e 32 persone portate in questura per controlli. Certamente il bilancio sarà ulteriormente positivo per chi indaga».

Perché non avete disposto la sospensione di Schengen in modo da evitare l’arrivo degli stranieri?
«Perché si erano dati appuntamento dopo la devastazione di Francoforte durante il vertice della Bce un mese e mezzo fa. Non potevamo chiudere le frontiere per settimane. Ma soprattutto non volevamo creare difficoltà ai visitatori di Expo. Sarebbe stato un successo per i black bloc. Le forze dell’ordine hanno saputo gestire la piazza in modo egregio pur senza arrivare a provvedimenti tanto drastici».

Un giudice di Milano ha ritenuto di non convalidare alcuni provvedimenti di espulsione di cittadini stranieri. Questo ha creato un danno nell’attività di prevenzione?
«Noi facciamo il nostro dovere. Preferisco non commentare le scelte dei magistrati».

Il capo della polizia Alessandro Pansa dice che la scelta di non caricare è servita a tenere i violenti sotto controllo.
«Ha ragione. Sono stati messi a disposizione uomini e mezzi adeguati all’evento, ma la gestione della piazza compete ai tecnici. Mentre esplodono le bombe carta, uomini e donne delle forze dell’ordine devono prendere decisioni. E io posso dire che hanno fatto una scelta intelligente perché i manifestanti volevano essere inseguiti in modo che si scoprissero i presidi che impedivano ai manifestanti l’accesso al centro storico della città. Hanno lanciato le molotov per distrarre gli agenti e pianificare attacchi altrove, invece si è riusciti a impedirlo».

Ci sarà qualcosa che si può fare per evitare la guerriglia?
«Nel nuovo disegno di legge sulla sicurezza urbana abbiamo previsto l’arresto differito per i manifestanti in modo da avere ancora più poteri per bloccarli e inaspriremo il trattamento sanzionatorio per chi porta un casco o altri indumenti per celare la sua identità».

Non crede ci siano i presupposti per procedere per decreto?
«Sono più favorevole al disegno di legge con corsia preferenziale, in ogni caso ne discuteremo nelle prossime ore. Intanto daremo uno strumento più efficace ai prefetti».

Quale?
«Stiamo lavorando per i divieti preventivi come avviene per le partite di calcio. Quando c’è un alto indice di pericolosità sarà proibito sfilare nel centro delle città, proprio come già avviene quando si impedisce ai tifosi di andare in trasferta».

Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha annunciato lo stanziamento di un milione e mezzo di euro per risarcire i danni subiti dai cittadini. Non toccava al governo?
«Siamo pronti a fare la nostra parte, la proprietà è sacra. Per questo siamo pronti ad aggiungere ai soldi della Regione le risorse statali. I cittadini devono recuperare fino all’ultimo euro».

Che cosa bisogna aspettarsi nei prossimi sei mesi di Expo?
«Abbiamo predisposto 25 piani di sicurezza, ci sono migliaia di uomini impegnati, 490 siti sotto stretta sorveglianza. Purtroppo quello dell’ordine pubblico è un tema che investe tutte le grandi democrazie. Basta vedere quello che succede con la polizia negli Stati Uniti oppure negli stadi in altri Paesi europei».

Questa non può essere una giustificazione.
«Sicuramente no. Però quanto è accaduto venerdì con le maschere antigas e le tute nere abbandonate appena mezz’ora dopo gli scontri per me rappresenta la resa dei violenti. Se poi vogliamo affrontare alla radice il problema di questi giovani così violenti, allora dobbiamo parlare di prevenzione precoce, di scuola, di famiglia».

Lega e Movimento 5 Stelle chiedono le sue dimissioni.
«Strano, sono in ritardo, negli ultimi 15 giorni non le avevano mai chieste».

3 maggio 2015 | 08:58
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_maggio_03/milano-no-expo-alfano-cortei-divieti-come-gli-ultras-0c9b5f24-f15c-11e4-a8c9-e054974d005e.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. La trattativa per distribuire i migranti
Inserito da: Admin - Maggio 16, 2015, 04:13:01 pm
La trattativa per distribuire i migranti
Migranti, cosa chiede l’Ue all’Italia: le condizioni che ci penalizzano
Le clausole per iniziare l’esame del testo che obbliga tutti i Paesi all’accoglienza.
Squadre di tecnici stranieri e centri di raccolta per identificare i profughi.
La proposta è valutata dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA C’è una vera e propria clausola che l’Italia dovrà accettare prima del via libera alla distribuzione dei profughi in tutti gli Stati europei. Una condizione preliminare contenuta nel piano messo a punto dai tecnici dell’Unione Europea che dovrà essere discusso mercoledì. Prevede l’invio in Italia di commissioni internazionali per il fotosegnalamento degli stranieri e la creazione sul nostro territorio di centri di smistamento dove i migranti dovranno rimanere fino al completamento della procedura per l’accertamento dell’identità. Solo se questa parte del progetto diventerà operativa, verrà avviato l’esame della proposta per far diventare obbligatoria e non volontaria l’accoglienza da parte dei 28 Paesi e per una revisione del Trattato di Dublino.

I team misti
La possibilità che la cooperazione dell’Ue fosse condizionata era apparsa chiara già durante il vertice del 23 aprile scorso convocato dopo il naufragio che aveva provocato la morte di oltre 700 persone. Eloquenti furono le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel: «Siamo pronti a sostenere l’Italia ma la registrazione dei rifugiati deve essere fatta in modo adeguato secondo le regole Ue». Nella proposta messa a punto a Bruxelles e trasmessa adesso a tutti gli Stati per le valutazioni preliminari il vincolo appare chiaro. È infatti previsto l’arrivo di team stranieri composti da funzionari di Frontex, Europol ed Easo (l’Ufficio europeo per i richiedenti asilo) che si affiancheranno ai poliziotti italiani per effettuare l’identificazione di chi sbarca sulle nostre coste e per collaborare alle indagini sugli scafisti. Già durante la riunione convocata d’urgenza si era parlato di questa eventualità, valutata però dai tecnici del Viminale come una sorta di commissariamento.

Non a caso nei giorni scorsi il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno, di fronte alla commissione parlamentare sui centri di accoglienza aveva messo in guardia circa il rischio di «accettare impegni immediati in cambio di promesse future». E adesso che l’invio delle squadre è contenuto nella relazione ufficiale, l’Italia risponderà con controdeduzioni.


60 milioni di euro
C’è un altro aspetto sul quale si dovrà discutere. Riguarda quelli che nel testo preparato a Bruxelles vengono definiti «punti di difficoltà». Sono veri e propri centri di accoglienza che l’Italia dovrà impegnarsi a creare e dove i migranti dovranno rimanere fino al termine della procedura per l’accertamento dell’identità o, nel caso dei richiedenti asilo, fino a che non sarà verificata l’esistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Si tratta evidentemente di una proposta che di fatto prevede lo stato di custodia di queste persone in modo che non lascino l’Italia per spostarsi in altri Stati. Nella relazione i tecnici impegnano l’Unione Europea a uno stanziamento di 60 milioni di euro per contribuire all’allestimento delle strutture e al mantenimento degli stranieri. Al di là della congruità della cifra, il piano messo a punto dal ministro Angelino Alfano la scorsa settimana al termine dell’incontro con governatori e sindaci già prevede l’allestimento di centri di smistamento in ogni Regione, ma le regole non sono così rigide e soprattutto non è prevista alcuna supervisione straniera. E dunque anche in questo caso bisognerà vedere quale sarà la controproposta messa a punto dagli sherpa italiani.

Le quote e il Pil
Soltanto se questi due punti otterranno il via libera, comincerà la discussione in sede Ue per modificare le attuali regole e prevedere l’obbligo per tutti gli Stati ad accogliere i profughi anziché la disponibilità come avviene ora. Qualora passasse la linea, le quote saranno fissate in base al Pil, il prodotto interno lordo, e al Fondo sociale. Si tratta del primo passo, tutt’altro che scontato, per la revisione del trattato di Dublino che impone la permanenza dei richiedenti asilo nel Paese del primo ingresso, ma appare evidente che i tempi non potranno essere brevi mentre il flusso degli arrivi dall’Africa continua inarrestabile. Non a caso gli stessi funzionari di Bruxelles riconoscono la necessità di stanziare aiuti per lo sviluppo in Africa con un’attenzione particolare all’Eritrea e al Niger, lì dove è maggiore il numero di persone che si mette in viaggio per fuggire da guerra e miseria. In attesa delle decisioni dell’Onu, nulla viene specificato sulla distruzione dei barconi ma si propone una collaborazione dell’Europol nelle indagini sugli scafisti.
E anche su questo il sì dell’Italia potrebbe non essere scontato.

fsarzanini@corriere.it

11 maggio 2015 | 07:46
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_maggio_11/migranti-cosa-chiede-l-ue-all-italia-condizioni-che-ci-penalizzano-b11b7662-f79f-11e4-821b-143ba0c0ef75.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Strage al Bardo, da armiere a uomo del commando: tutti i ...
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2015, 05:44:31 pm
Strage al Bardo, da armiere a uomo del commando: tutti i buchi nelle accuse dalla Tunisia
Il giallo su un’omonimia sostenuta da un giornale nord africano.
Le trattative sulla consegna del ragazzo: l’ipotesi che possa essere processato nel nostro Paese

Di Fiorenza Sarzanini

Due settimane dopo l’attentato al Bardo le autorità tunisine chiesero collaborazione ai servizi di intelligence italiana. E indicarono Abdel Majid Touil come l’armiere della cellula terroristica che aveva attaccato il museo. Dopo il fermo eseguito tre giorni fa hanno invece fatto sapere che il marocchino era uno dei componenti del commando che entrò in azione uccidendo 24 persone tra cui 4 italiani. Una circostanza smentita dalle verifiche effettuate dai poliziotti della Digos e dai carabinieri del Ros che invece ritengono di poter dimostrare la sua presenza a Gaggiano il 18 marzo scorso, giorno della strage. E su questo continuano a ruotare i misteri che ancora avvolgono la vicenda, alimentati da nuovi dettagli, altre circostanze che certamente peseranno al momento di decidere se estradare il giovane a Tunisi.

Si torna dunque agli interrogativi ancora aperti, in attesa che venga messo a disposizione dei giudici italiani il fascicolo con le accuse formali e la ricostruzione delle indagini svolte dalla magistratura tunisina. Dubbi alimentati anche da una fotografia pubblicata dal quotidiano Akher Khabar Online che mostra Abdel Majid Touil molto più anziano, con un paio di baffi neri. Possibile che ci sia stato un errore di identità? Gli investigatori italiani tendono ad escluderlo «perché la data di nascita indicata dai tunisini coincide con quella dello straniero fotosegnalato a Porto Empedocle il 17 febbraio scorso, poche ore dopo il suo arrivo in Italia a bordo di un barcone». E allora come mai le contestazioni al giovane che vive con la madre in provincia di Milano appaiono così infondate? Che cosa è davvero accaduto in questi due mesi dopo l’attentato?

La segnalazione giunta a metà aprile ai Servizi Segreti italiani parla di Touil come del terrorista che ha procurato i kalashnikov per l’attacco. L’allerta girato alle forze dell’ordine è invece generico, nel documento c’è un elenco di nominativi indicati come «sospetti» fondamentalisti ma senza fornire ulteriori informazioni. Al Bardo sono morti quattro italiani, la procura di Roma ha avviato un’inchiesta. Se c’era il dubbio che uno dei terroristi fosse giunto nel nostro Paese perché non sono stati sollecitati controlli urgenti? Come mai si è corso il rischio di lasciare libero un personaggio tanto pericoloso? Gli investigatori avrebbero potuto compiere accertamenti, pedinarlo e tenerlo sotto controllo per scoprire se davvero aveva strane frequentazioni, se aveva contatti con la Tunisia o addirittura che prima di imbarcarsi alla volta dell’Italia avesse trascorso due settimane in un campo di addestramento in Libia come assicuravano alcune indiscrezioni circolate ieri e rimaste senza riscontro. E invece nulla accade fino a martedì scorso quando le autorità tunisine sollecitano il fermo riservandosi di chiedere il trasferimento per poterlo giudicare.
 
La consegna dello straniero appare tutt’altro che scontata, anche tenendo conto che in Tunisia c’è la pena di morte e secondo il nostro ordinamento è possibile chiedere l’inserimento di una clausola che condizioni l’estradizione alla certezza che l’imputato non possa essere sottoposto a pena capitale. E comunque bisognerà verificare la fondatezza delle contestazioni, stabilire se sia davvero un componente della cellula, se si tratti di un fiancheggiatore o se possa essere addirittura estraneo. In ogni caso, proprio perché esiste un fascicolo aperto anche dagli inquirenti della Capitale, non è escluso che alla fine si decida di trattenerlo per motivi di giustizia, di processarlo qui e, in caso di condanna, di mandarlo nel suo Paese d’origine, il Marocco, per scontare la pena. Molto dipenderà anche dalle trattative diplomatiche già avviate tra Roma e Tunisi. I due Paesi hanno ottimi rapporti, esistono trattati bilaterali di cooperazione in materia di immigrazione e terrorismo e anche le forze di polizia hanno lavorato insieme dopo l’attentato proprio per scambiarsi informazioni. Un’intesa che in queste ore viene messa duramente alla prova.

22 maggio 2015 | 10:25
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Da - http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_22/strage-bardo-armiere-uomo-commando-tutti-buchi-accuse-tunisia-3a00ab48-0059-11e5-9620-f7b479d580d7.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Charter per i rimpatri in Africa
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2015, 05:00:56 pm
Il dossier
Permessi a tempo e stretta sulle navi Cosa prevede il «piano B» di Renzi
Chi soccorre i migranti dovrà portarli nel proprio Paese.
Charter per i rimpatri in Africa
L’ipotesi di interventi «meno convenzionali» in Libia trova la contrarietà del Colle

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Permessi temporanei ai richiedenti asilo per consentire loro di varcare la frontiera e circolare in Europa. Avvio di una trattativa con alcuni Stati dell’Unione per un’operazione di polizia contro gli scafisti in Libia provando anche a coinvolgere l’Egitto. Obbligo per le navi straniere che soccorrono i migranti in acque internazionali di trasferirli nei propri Paesi, vietando l’attracco nei nostri porti. Quello che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha definito nell’intervista di ieri al Corriere della Sera «il “piano B” se l’Europa non sceglierà la strada della solidarietà», è in realtà un ventaglio di possibili interventi, qualora l’Italia non ottenesse cooperazione effettiva da parte della Ue nella gestione dei migranti. Azioni dure di diplomazia internazionale da affiancare agli interventi tecnici già pianificati per fronteggiare l’emergenza negli scali ferroviari e ai valichi, causata dalla decisione della Germania di sospendere Schengen per il G7 e della Francia di bloccare la «porta» di Ventimiglia. Ma anche in vista di possibili nuovi sbarchi nei prossimi giorni. Palazzo Chigi esclude «atteggiamenti ritorsivi» su altri dossier come era stato ipotizzato riferendosi alle sanzioni contro la Russia di Putin. Ma all’attività già avviata per siglare accordi di polizia con Paesi africani e Bangladesh e ottenere rimpatri veloci e per allestire subito i centri di smistamento dove sistemare i profughi, si affianca un negoziato più riservato che si spera possa essere più efficace.

I charter
Se la Francia continuerà a tenere il valico chiuso, l’ipotesi è quella di concedere i permessi provvisori d’identità anche consentendo il transito su altre rotte. Più strutturata invece l’azione dei funzionari che si muoveranno sul modello dell’intesa siglata con il Gambia due settimane fa dal capo della polizia Alessandro Pansa. Prevede la concessione di mezzi e apparecchiature (fuoristrada, computer), l’organizzazione di corsi di formazione per le forze dell’ordine locali in cambio dei rimpatri effettuati con i voli charter e con procedura d’urgenza. Gia pronta la lista dei Paesi con i quali avviare i negoziati: Costa D’Avorio, Senegal e Bangladesh, Mali e Sudan, tenendo conto che questi ultimi due Paesi hanno già fatto sapere di non essere disponibili, dunque servirà un’azione diplomatica per provare a sbloccare la situazione. La scelta di percorrere con gli altri la strada dell’intesa tecnica serve non soltanto ad accelerare la procedura, ma anche ad evitare implicazioni di tipo politico per gli Stati esteri. I rimpatri verrebbero così effettuati seguendo lo schema già attuato con Egitto, Tunisia e Marocco, dunque facendo partire dall’Italia i charter con gli stranieri “irregolari” identificati grazie alla collaborazione con i consolati.

La Libia
La convinzione è che difficilmente l’Onu autorizzerà un intervento in Libia, ancor più difficile che l’inviato Bernardino Leon riesca a formare un governo. Ecco perché torna a farsi strada l’ipotesi di intervenire in maniera meno convenzionale. Su questo pesa però il giudizio del capo dello Stato Sergio Mattarella che ha sempre escluso l’ipotesi che l’Italia si sganci dalle Nazioni Unite. Più plausibile l’eventualità di impedire alle navi straniere che soccorrono i migranti in acque internazionali di approdare sulle nostre coste visto che il diritto della navigazione equipara il natante al territorio dello Stato di bandiera.

Le caserme
Urgente è riuscire a trovare un’intesa con le Regioni: alla riunione convocata per questa mattina con i prefetti del Veneto e con il governatore Luca Zaia parteciperà anche il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale. Di fronte a un atteggiamento di resistenza, la linea è quella di utilizzare almeno tre caserme al nord e due al sud. Per il settentrione oltre a due in Veneto, la scelta potrebbe cadere su quella di Montichiari, nel bresciano. Nel meridione si punta invece su Civitavecchia e Messina. I lavori di ristrutturazione sono avviati, in attesa del completamento si pensa di allestire le tendopoli in modo da garantire assistenza ai profughi e soprattutto prepararsi all’accoglienza di chi arriverà nelle prossime settimane. Molto più avanzati sono i lavori per i centri di smistamento che dovrebbero contenere massimo 400 persone. A quelli di Settimo Torinese e Bologna, si pensa di affiancare Civitavecchia e Messina. Il timore dei responsabili dell’Ordine Pubblico del Viminale è che la situazione ai valichi e nelle stazioni possa degenerare anche tenendo conto della convivenza forzata di stranieri di diversa nazionalità. Per questo sono stati inviati 100 uomini in più a Roma e Milano, 60 a Ventimiglia e 50 al Brennero.

15 giugno 2015 | 08:06
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Da  -http://www.corriere.it/cronache/15_giugno_15/migranti-piano-b-renzi-cosi-li-manderemo-in-ue-34402790-1320-11e5-8f7b-8677cfd62f52.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Perché rischiamo di perdere tutti
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2015, 06:10:48 pm
Perché rischiamo di perdere tutti
Escalation di violenza che potrebbe ancora degenerare.
Emergenza da gestire

Di Fiorenza Sarzanini

Prima Treviso, poi Roma in un’escalation di violenza che potrebbe degenerare ulteriormente. Italiani contro stranieri, in una guerra che alla fine rischiamo di perdere tutti. Perché sono poche decine i profughi ospitati in Veneto e nel Lazio che tante proteste hanno provocato, ma molti altri ne arriveranno e non si può rischiare di perdere il controllo. Soprattutto non si possono accettare manifestazioni di intolleranza che rasentano il razzismo. Da settimane i residenti di Casale San Ni-cola, periferia Nord di Roma, si oppongono all’apertura della struttura. Ieri il trasferimento di 19 migranti è avvenuto, e puntuale è esplosa la rivolta nel timore che il loro numero possa aumentare. Lo stesso è accaduto in provincia di Treviso, dove i cittadini hanno addirittura impedito la consegna dei pasti a un centinaio di persone e hanno dato fuoco ad alcuni materassi sperando di ottenere lo sgombero dello stabile, senza luce, dove erano state ospitate.

Clima pericoloso
Un clima tanto pericoloso da convincere i responsabili del Dipartimento Immigrazione del Viminale a trasferirli in una ex struttura militare. Tutto questo dimostra che l’emergenza legata all’immigrazione deve essere gestita, non subita. Per troppo tempo il governo si è illuso che l’Europa ci aiutasse a risolvere il problema e non si è adoperato per mettere a disposizione quelle strutture - caserme, ma anche centri di accoglienza più moderni e adatti ognuno a contenere almeno 300 persone - come più volte era stato promesso.

La richiesta di aiuto a Bruxelles
Fa bene l’esecutivo a chiedere di nuovo il contributo di Bruxelles, ma ormai è chiaro che l’unico aiuto potrebbe essere economico e dunque si deve fare tutto il resto. Bisogna accelerare i negoziati per siglare gli accordi di polizia e fare i rimpatri nei Paesi d’origine, individuare luoghi controllati e ben attrezzati dove sistemare chi richiede asilo, aumentare il numero delle commissioni in modo da accelerare l’iter delle pratiche per il riconoscimento dello status di rifugiato in modo che gli stranieri possano raggiungere quegli Stati dove hanno scelto di vivere. Sottovalutare quel che sta accadendo sarebbe un errore gravissimo. Soprattutto perché la rabbia dei cittadini è fomentata da formazioni di estrema destra come CasaPound e Forza Nuova e da esponenti politici che sulla lotta ai migranti fondano la loro propaganda. Un atteggiamento irresponsabile. Altre sono le strade che si possono percorrere per arrivare alla soluzione e la principale passa proprio per chiedere e pretendere dal governo un piano serio e urgente di interventi.

18 luglio 2015 (modifica il 18 luglio 2015 | 08:54)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_18/perche-rischiamo-perdere-tutti-224f8922-2d15-11e5-ab2f-03a10057a764.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. IL CASO DEL Comando Generale Telefonate, sms e riunioni ...
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2015, 06:23:43 pm
Retroscena
IL CASO DEL Comando Generale
Telefonate, sms e riunioni segrete
La guerra per i vertici della Finanza
I contatti del generale Adinolfi con ministri e parlamentari, dalla proroga del suo superiore Capolupo alla prossima designazione del suo successore

Di Fiorenza Sarzanini
«Non è che sto lì a fare il comandante in seconda. Io mi vado a incatenare davanti a via XX Settembre»: così parlava il 28 gennaio 2014 il generale Michele Adinolfi. E invece un anno e mezzo dopo, esattamente lunedì 6 luglio, è diventato comandante in seconda, vice di Saverio Capolupo. Cioè l’uomo che aveva cercato in ogni modo di ostacolare rivolgendosi a politici e ministri - come lui stesso racconta - per impedire che rimanesse al vertice della Guardia di finanza. È l’effetto paradossale di una legge che impone la nomina automatica del generale più anziano. E tanto basta per comprendere quale sia il clima che si respira in queste ore all’interno delle Fiamme gialle. Quanto alto sia il livello di tensione che segna le decisioni di un comandante consapevole di potersi ormai fidare di pochissime persone. Alla scadenza del suo mandato mancano nove mesi, ma quel che potrà accadere sino ad allora nessuno è in grado di prevederlo. Perché i giochi si sono riaperti, le rivalità interne appaiono ora più che mai evidenti e il rischio forte è quello di una lacerazione dei rapporti tra i vertici che può avere effetti negativi sull’intero Corpo. Svariate nomine sono state decise nelle ultime settimane, ma per comprendere davvero che cosa stia accadendo bisogna tornare a tre mesi fa, e sviluppare la trama emersa in un’inchiesta penale che coinvolgeva Adinolfi soltanto marginalmente e invece l’ha fatto tornare, suo malgrado, protagonista.

La visita al Pd
È il 3 aprile quando i giornali pubblicano stralci dell’informativa dei carabinieri del Noe depositata dai magistrati di Napoli dopo gli arresti dei responsabili della Cpl Concordia. Nel documento si evidenzia «la reazione del generale Michele Adinolfi rispetto alla proposta di proroga del generale Saverio Capolupo come comandante della Finanza, manifestando il proposito di non rassegnarsi così facilmente». Ma anche «il fatto che, alla vigilia della proposta di nomina in Consiglio dei ministri del comandante generale della Finanza, Adinolfi si sia recato nella sede di un partito politico (il Pd, ndr) entrando, peraltro, volutamente dalla porta laterale e secondaria». Si fa cenno a «conversazioni del generale con Matteo Renzi e con Luca Lotti» - compreso l’invio di numerosi sms - ma i colloqui sono coperti da omissis e dunque non se ne conosce il dettaglio. Ufficialmente Capolupo non ha alcuna reazione, Adinolfi invece smentisce pubblicamente di aver ordito qualsiasi manovra. Non basta. I rapporti già tesi tra i due diventano gelidi, ai vertici di via XX Settembre appare chiaro quel che fino ad allora si era soltanto sospettato. La «manovra» che qualcuno aveva ipotizzato per evitare che Capolupo ottenesse una proroga del suo mandato adesso si mostra nella sua evidenza, anche se mancano dettagli e non si sa con precisione chi abbia aiutato Adinolfi a tessere la tela dei rapporti politici. C’è soddisfazione per il fatto che Renzi non abbia comunque ceduto alle «pressioni», rimane il problema per il comandante di individuare di chi potersi davvero fidare.

Il capo di stato maggiore
La tensione si riverbera anche in altri settori. Capolupo conta su alcuni fedelissimi, ma appare indebolito. Ci sono numerosi dossier aperti, la squadra che lo affianca talvolta non sembra assecondare pienamente le sue direttive. Il generale capisce che forse è arrivato il momento di effettuare alcuni avvicendamenti. Il capo di stato maggiore Fabrizio Cuneo viene destinato al comando aeronavale centrale - dove intanto era andato Adinolfi - e lascia il posto a Giancarlo Pezzuto che con Capolupo ha già collaborato a Milano ai tempi di Mani Pulite. La nomina a vicecapo dell’Aisi, una delle due agenzie dei servizi segreti, di Vincenzo Delle Femmine consente invece di far tornare a Roma in un ruolo strategico come la guida dei Reparti speciali, Luciano Carta, generale apprezzato e stimato da tutti. Altri incarichi ritenuti importanti per la tenuta e la stabilità della Guardia di finanza - ad esempio il comando Regionale del Lazio affidato a Bruno Buratti - sono stati già decisi. Ma la partita non è chiusa, come del resto dimostra quanto emerso proprio dalle carte processuali di Napoli. La scorsa settimana, quando il Fatto Quotidiano pubblica l’intercettazione di Adinolfi che parla con Renzi del governo guidato all’epoca da Enrico Letta e quelle in cui si raccomanda agli uomini del suo entourage per diventare comandante generale, si svela che cosa è accaduto un anno fa. E si conferma la solidità di rapporti e amicizie consolidati nel corso degli anni sul quale il generale continua a contare. Le nuove carte depositate a Napoli, questa volta senza omissis delineano i contorni della trama e i suoi protagonisti.

«Ci vediamo all’ispettorato»
Ci sono dettagli che spiegano più di mille parole. E sono in molti tra gli ufficiali di vertice ad aver notato quanto si sia impegnato per Adinolfi, il generale ora in pensione Vito Bardi, finito due volte sotto inchiesta a Napoli e poi uscito indenne dalle accuse. Ma anche la familiarità con il generale Giorgio Toschi, il comandante dell’ispettorato istituti di istruzione, fratello di Andrea Toschi, l’ex presidente della banca Arner arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla holding di partecipazione finanziaria Sopaf. Il 17 gennaio, proprio nei giorni di massima agitazione per l’imminente proroga di Capolupo, i carabinieri intercettano una telefonata e annotano: «Bardi chiama Adinolfi e gli dice: “Mi diceva coso che alle 6 sei lì all’ispettorato... poi alle 8 andiamo a prendere le signore”. Dicono che andranno alla Taverna Flavia “tanto per stare un po’ insieme”. Adinolfi dice che sarà “all’ispettorato alle 5.30”». Gli investigatori accertano che la riunione all’ispettorato avviene proprio nell’ufficio di Toschi e la sera i tre vanno a cena con le mogli. Nel ristorante viene piazzata una microspia, l’argomento affrontato è sempre lo stesso: la rimozione di Capolupo. Del resto appena qualche giorno prima Adinolfi lo aveva detto chiaramente anche a Dario Nardella, uno degli uomini più vicini a Renzi e all’ex capo di gabinetto del ministero dell’Economia Vincenzo Fortunato. E se l’era presa con l’allora ministro Fabrizio Saccomanni: «Io non ci vado più, voglio che il ministro lo ascolti, mi sono fatto sentire da ben altri ministri e lui lo sa». Ancor più esplicito era stato in un sms inviato a Luca Lotti: «Siamo tutti senza parole, un ministro che non si sa se resta, che sei mesi prima porta in consiglio una nomina di questa portata».

Adinolfi e Capolupo ora convivono sullo stesso piano al comando generale. I loro uffici sono divisi da un lungo corridoio. La partita per la successione appare ancora tutta da giocare.

fsarzanini@corriere.it
13 luglio 2015 | 07:51
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Da -http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_13/telefonate-sms-riunioni-segrete-guerra-vertici-finanza-52ae0456-2921-11e5-8a16-f989e7f12ffa.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Fiumicino, secondo allarme in due mesi e il timore di una...
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2015, 10:12:52 pm
L’inchiesta
Fiumicino, secondo allarme in due mesi e il timore di una strategia per sabotare l’hub (e il turismo)
La nota che Palazzo Chigi dirama nel pomeriggio per far sapere che il presidente del Consiglio Renzi «ha chiesto chiarimenti» al ministro dell’Interno Alfano

Di Fiorenza Sarzanini

La situazione dell’aeroporto di Fiumicino adesso è un problema di ordine pubblico. La nota che Palazzo Chigi dirama nel pomeriggio per far sapere che il presidente del Consiglio Matteo Renzi «ha chiesto chiarimenti» al ministro dell’Interno Angelino Alfano fa ben comprendere quanto alta sia la tensione nel governo dopo il nuovo episodio che paralizza lo scalo romano e continua a mettere la capitale al centro della ribalta. Il tono usato sembra quello di un «richiamo», inizialmente al Viminale c’è sorpresa e poi anche rabbia per una sortita «così forte che sembra voler dimostrare quasi uno scarico di responsabilità».

In realtà in serata sono gli stessi collaboratori del presidente del Consiglio a chiarire che la richiesta è quella di «trovare una soluzione, lavorare insieme per evitare nuovi gravissimi danni causati da episodi come questi». Lo ripetono più volte: «Piena sintonia con il ministro Alfano, importante è capire che cosa sta davvero succedendo». Nessuno vuole dirlo esplicitamente, ma il problema è verificare se quello che sta accadendo al “Leonardo da Vinci” sia il risultato di una strategia che mira a far danno, a provocare conseguenze gravi all’aeroporto.

A far scattare l’allarme e alzare il livello di preoccupazione è il comunicato diffuso dal Corpo Forestale per sottolineare l’impegno «nelle operazioni di spegnimento dell’incendio», ma soprattutto per evidenziare che la scoperta di «tre differenti focolai farebbe pensare all’origine dolosa». Dolo, e così Renzi parla di «azione criminale» per intendere un sabotaggio che avrebbe evidentemente come obiettivo quello di mettere in difficoltà il settore del turismo, dunque l’economia italiana. Sarà la magistratura di Civitavecchia - che ha già aperto un fascicolo sulla vicenda - a dover verificare se effettivamente qualcuno abbia appiccato il rogo alla pineta di Coccia di Morto o se invece la causa possa derivare dal gran caldo di questi giorni, come del resto è accaduto in altre zone d’Italia, anche vicine a Fiumicino.

Il fatto che ci siano diversi punti di innesco fa sospettare che effettivamente qualcuno possa aver deciso di agire con un preciso obiettivo: mandare in tilt lo scalo. Il fumo provocato dal rogo in quella parte di boscaglia ha fatto in fretta ad invadere l’area riservata ai decolli provocando gravi ritardi alle partenze e un caos generale che si è riusciti a far rientrare soltanto a tarda sera. E in un giorno di massima affluenza come quello di ieri - fine luglio - le conseguenze sono gravi sia per quanto riguarda l’immagine, sia a livello economico. Anche tenendo conto che in serata un altro focolaio, sia pur senza conseguenze sull’operatività di Fiumicino, è scoppiato in un altra parte dello scalo: «Cancello 12», testata Nord della pista 3 zona di Maccarese. In linea d’aria sono circa 5 chilometri dalla pineta di Coccia di Morto e anche su questo adesso saranno svolti accertamenti.

Alfano si mostra prudente: «C’è un’inchiesta della magistratura e quindi aspettiamo i risultati. Sappiamo che il rogo scoppiato all’interno dell’aeroporto il 7 maggio scorso non fu doloso e dunque speriamo che gli accertamenti della magistratura anche su quanto accaduto ieri siano rapidi proprio per arrivare in fretta alla verità e così fare chiarezza su tutto».

Effettivamente le indagini condotte dal procuratore Gianfranco Amendola - confortate anche da alcuni filmati delle telecamere interne e dalle prime relazioni dei periti - hanno escluso che qualcuno possa aver appiccato l’incendio che due mesi fa provocò la chiusura del terminal 3 e conseguenze gravi sia per quanto riguarda i rischi per la salute di passeggeri e dipendenti, sia per l’efficienza delle compagnie aeree.

Il fascicolo è aperto per stabilire eventuali responsabilità dei dirigenti addetti alla sicurezza e adesso si ricomincia su quanto accaduto ieri. Il magistrato ha chiesto informative urgenti alla Forestale e ai Vigili del Fuoco, soltanto dopo aver letto i primi atti deciderà quale reato ipotizzare, ma appare scontato che si proceda per l’ipotesi dolosa. Oggi si deciderà invece se sia necessario potenziare la vigilanza esterna dello scalo, soprattutto per quanto riguarda quei cancelli che confinano con le zone boschive e che sono più esposte al rischio di sabotaggio, ma anche di semplici incidenti. Una decisione che dovrà essere presa con il capo della polizia Alessandro Pansa.

30 luglio 2015 | 07:45
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_luglio_30/secondo-allarme-due-mesi-timore-una-strategia-sabotare-l-hub-turismo-ef8f316a-367c-11e5-99b2-a9bd80205abf.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Libia, la polveriera che non si può ignorare
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2015, 04:13:05 pm
Libia, la polveriera che non si può ignorare
I rischi Lasciare un Paese così vicino a noi senza controllo è un’omissione grave

Di Fiorenza Sarzanini

Quando affonda un barcone con decine di migranti, oppure quando uno o più italiani vengono sequestrati, la questione libica torna in primo piano nell’agenda politica. «Bisogna affrontare la crisi e risolvere il problema», si affannano a sottolineare ministri ed esperti. Poi, passata l’emozione, non accade nulla. Va avanti così ormai da mesi con l’apparente urgenza di trovare una soluzione, senza che poi si presenti una proposta concreta e fattibile a livello internazionale. Il massimo impegno era stato promesso a febbraio, quando l’Isis aveva annunciato di aver «conquistato la Libia» e in uno dei video di propaganda uno dei leader avvisava: «Marceremo su Roma». Erano state annunciate missioni di terra e di mare, operazioni di polizia internazionale e una risoluzione dell’Onu per autorizzare l’uso della forza. Nessuna iniziativa concreta è stata invece adottata.

La Libia è una polveriera che rischia di esplodere con tutte le conseguenze che ciò comporta per l’Europa e soprattutto per l’Italia. Lasciare un Paese così vicino a noi senza controllo è un’omissione grave che può avere terribili conseguenze. Oggi sarà in Italia Bernardino Leon, l’inviato delle Nazioni Unite incaricato di trovare un accordo tra le varie autorità politiche che si contendono il governo dello Stato. Nessuno è ancora in grado di dire se i suoi tentativi possano portare a un risultato concreto, ma certo tanti mesi sono trascorsi dalla sua discesa in campo e il tempo appare davvero scaduto.

Stiamo pagando un prezzo altissimo soltanto per il fatto di trovarci dall’altra parte del Mediterraneo e ciò ha trasformato le nostre coste meridionali nella meta principale per i trafficanti di uomini. Ma un costo ben più alto rischiamo di pagarlo se non si riuscirà a fermare la rivalità tra le bande dei miliziani e soprattutto l’avanzata dei fondamentalisti. Anche tenendo conto che in Libia lavorano centinaia e centinaia di nostri connazionali. Una situazione che sarebbe davvero grave continuare a sottovalutare.

21 luglio 2015 (modifica il 21 luglio 2015 | 07:33)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_luglio_21/libia-polveriera-che-non-si-puo-ignorare-90ff3754-2f69-11e5-882b-b3496f35c4c0.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Hacking Team, tutte le indagini sui terroristi bruciate...
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2015, 04:16:24 pm
Non sono escluse in futuro aggressioni alla rete ferroviaria o ricatti industriali
Hacking Team, tutte le indagini sui terroristi bruciate dai pirati
Nell’elenco l’inchiesta sulla Jihad a Brescia. I dati rubati hanno vanificato le intercettazioni

Di Fiorenza Sarzanini

L’arresto dei due stranieri residenti a Brescia e accusati di terrorismo è scattato il 22 luglio, prima che l’indagine fosse «svelata». Le intercettazioni sui computer del tunisino Lassad Briki e del pachistano Muhammad Waqase - sospettati di voler colpire la base militare di Ghedi e compiere altre azioni in nome dell’Isis - erano infatti effettuate con le apparecchiature di «Hacking Team srl», l’azienda milanese finita sotto attacco due settimane fa. E dunque si è deciso di far scattare i provvedimenti prima che fosse troppo tardi e dunque per scongiurare il rischio che potessero scoprire di essere «pedinati» e fuggire. Altre inchieste, «alcune proprio sui fondamentalisti islamici, sono state invece bloccate quando è stato svelato su internet il “codice sorgente” del sistema utilizzato oppure hanno subito gravi danni». A rivelarlo è stato il capo della polizia Alessandro Pansa al comitato parlamentare di controllo. E ha così confermato il danno pesantissimo provocato dall’intrusione dei «pirati» nel sistema della società milanese. In realtà le conseguenze rischiano di essere ben più serie - con attacchi che in futuro potrebbero riguardare le reti elettriche e ferroviarie, ma anche possibili ricatti industriali portati avanti grazie ai dati «rubati» -, però quanto emerso già dimostra quali interessi si muovano dietro l’azione, che non ha ancora un colpevole né un movente preciso.

L’audizione
Il prefetto viene convocato proprio per analizzare che cosa sia accaduto e soprattutto che cosa stia provocando l’attività di hackeraggio contro l’azienda. Lo accompagna il capo della polizia postale Roberto Di Legami, cui sono delegate le verifiche disposte dalla magistratura di Milano. Sia pur rispettando il riserbo sugli accertamenti tuttora in corso e soprattutto quello sui fascicoli che si è stati costretti a chiudere, Pansa lancia l’allarme: «Abbiamo dovuto sospendere l’attività di intercettazione». Il «Remote control system» della «Hacking consentiva di introdursi nei sistemi informativi degli indagati - dunque anche negli smartphone - e in alcuni casi si trasformava in una vera e propria microspia per captare le conversazioni ambientali. Un’attività investigativa preziosa che si è stati costretti ad interrompere perché con il codice sorgente i sospettati avrebbero potuto facilmente scoprire di essere sotto controllo. E in effetti sembra che qualcuno lo abbia appreso proprio azionando l’antivirus, dunque sarebbe stato inutile continuare, se non addirittura dannoso perché sapendo di essere «ascoltati» gli indagati avrebbero anche potuto fornire false piste. Oltre alle inchieste per terrorismo, le intercettazioni in corso riguardavano reati contro la pubblica amministrazione e relativi alla criminalità organizzata.

La prevenzione
In tema di fondamentalismo il grave danno riguarda soprattutto le attività di prevenzione. I controlli vengono infatti effettuati monitorando ciò che gli stranieri residenti tra Roma, Milano, Torino e altre importanti città postano via web, i siti che frequentano, i contatti che hanno, con un’attenzione particolare a quelli nelle zone di guerra o comunque dominate dall’Isis. L’azzeramento del software «Galileo» ha di fatto annullato questa possibilità di intervento e i timori del capo della polizia - condiviso dagli inquirenti - adesso si concentrano su quanto potrà accadere in futuro. Il prefetto ha infatti ribadito che «al momento nessuna azienda italiana è in grado di fornire un servizio simile a quello che “Hacking Team” metteva a disposizione della polizia e delle altre forze dell’ordine». Non solo. E sarà il ministro della Giustizia Andrea Orlando, convocato per la prossima settimana, a dover chiarire quali Procure e quante inchieste abbiano subito danni.

Il movente
Pansa ha rassicurato i parlamentari escludendo che «i computer della polizia possano essere stati violati, perché l’azienda non aveva accesso diretto, ci forniva i suoi programmi sin dal 2004, quando fu firmato un contratto in esclusiva della durata di tre anni. Accordo che fu poi rinnovato senza però prevedere l’esclusiva». E infatti «Hacking Team» lavorava anche con i carabinieri e con l’Aise, il servizio segreto che si occupa di estero. Le verifiche per stabilire quanti e quali dati siano stati trafugati sono tuttora in corso. Rimane privilegiata la pista che qualcuno sia riuscito a rubare i «codici» grazie a complicità interne, ma la convinzione è che si tratti di un’organizzazione legata a uno Stato estero, non necessariamente «nemico». Qualcuno che potrebbe usarli in futuro contro enti, istituzioni o grandi aziende private.

31 luglio 2015 (modifica il 31 luglio 2015 | 12:06)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_luglio_31/terrorismo-ecco-indagini-bruciate-dall-hacking-team-7fceefa0-373f-11e5-88ac-a32ff5fc69d6.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Intercettazioni, altro pasticcio
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2015, 04:22:52 pm
Il commento
Intercettazioni, altro pasticcio

Di Fiorenza Sarzanini

La materia è complessa, sempre foriera di scontri. Perché quando si discute di intercettazioni il dibattito diventa rovente, c’è sempre il sospetto che alla fine il vero intento sia la censura. E così capita che anche quando il Parlamento è chiamato a discutere di materia analoga, ma molto diversa da quella degli ascolti effettuati per ordine dei giudici, si crei confusione, rischiando di combinare pasticci. Proprio come accaduto due giorni fa, al momento di approvare in commissione alla Camera l’intero pacchetto di riforma del processo penale. Può darsi che sia giusto, oltre che lecito, prevedere il nuovo reato di «registrazione fraudolenta». E ovviamente il Parlamento ne ha tutto il diritto.

Ma se nel giro di un giorno per un emendamento presentato da qualche settimana, licenziato e dunque evidentemente ritenuto giusto, viene poi specificato che dovrà essere cambiato in due punti al momento della discussione nell’Aula di Montecitorio, evidentemente qualcosa non va. E forse quelle «migliorie» che rendono più chiara la norma potevano essere introdotte prima. Evitando polemiche e confusioni che non fanno bene al dibattito parlamentare e nemmeno a quello pubblico. Tanto più in un settore che - grazie a trasmissioni televisive, radiofoniche e online di grande successo - ha ormai a che fare con il diritto di cronaca e di essere informati. Specificare che dalla punibilità potranno essere esclusi i giornalisti e tutti gli altri professionisti può aiutare a chiarire gli intenti del legislatore; così come l’aggiunta che saranno colpiti i comportamenti tesi «soltanto» a danneggiare la reputazione o l’immagine altri. Ma suona comunque stonata una previsione di pena fino a 4 anni di carcere. Addirittura intimidatoria, dopo che - al momento di discutere sulla pubblicazione delle intercettazioni - la maggioranza dei politici si era detta contraria a una misura così drastica e aveva promesso una «battaglia di libertà». Non servono eroismi per affrontare materie tanto spinose, basterebbe la coerenza.

25 luglio 2015 (modifica il 25 luglio 2015 | 07:16)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/15_luglio_25/intercettazioni-altro-pasticcio-2adfcdb6-328a-11e5-9218-89280186e97d.shtml


Titolo: SARZANINI. Il piano del presidente della commissione Juncker: il nodo delle...
Inserito da: Arlecchino - Settembre 08, 2015, 04:35:25 pm
Lo scenario
Migranti, le condizioni dell’Ue all’Italia: «Road map sull’accoglienza o niente partenze per 3 mesi»
Il piano del presidente della commissione Juncker: il nodo delle sanzioni


Di Fiorenza Sarzanini

Ci sono precise condizioni che l’Italia dovrà rispettare per poter distribuire i profughi negli altri Stati. E la più importante riguarda l’obbligo di trasmettere alla Commissione europea una «road map» su quanto è stato fatto e si farà sull’accoglienza. Se la relazione non sarà consegnata nei termini previsti, per tre mesi verrà sospeso il trasferimento dei migranti. Il piano messo a punto dallo staff di Jean-Claude Juncker certamente penalizza il nostro Paese rispetto a Grecia e Ungheria, che con noi sono inserite nella lista di chi viene inizialmente esentato dalla divisione degli stranieri da accogliere visto che ha già abbondantemente superato le quote fissate. La linea stabilita dal governo è quella di accettare le imposizioni purché si raggiunga l’intesa che porti effettivamente a un sistema «permanente e obbligatorio per tutti». Ma su un punto non si torna indietro: nulla sarà fatto - soprattutto non saranno aperti i centri di smistamento - sino a quando l’accordo non sarà operativo. E dunque, in vista della riunione del 14 settembre, si analizzano i nuovi capitoli contenuti nel testo, le regole sulle quali avviare comunque una mediazione.

Percentuale su 8 mesi
Inizialmente si pensava di poter far andare via circa 80 mila migranti. E invece siamo fermi a poco più di 15 mila, che sommati a quelli già calcolati nel luglio scorso portano la cifra a poco meno di 40 mila (su un totale di 115 mila persone al momento in accoglienza). Rispetto a Ungheria e Grecia si tratta di cifre notevolmente inferiori e il motivo è semplice: si è fissata una percentuale al 36 per cento ma riguarda soltanto gli stranieri giunti tra gennaio e agosto del 2015 e non quelli giunti precedentemente. Un criterio che si mira a far modificare sul lungo periodo, quando si andrà a regime e si potrà avere un quadro più preciso sui numeri nei vari paesi.

La sanzione dello 0,1
I Paesi che decidono di avvalersi dell’«opt-out» dovranno versare una sanzione legata al Pil. Nel testo si parla di una percentuale che può arrivare fino allo 0,1 ma qualcuno pensa che non si andrà oltre lo 0,002. In questo caso si tratterebbe di una somma irrisoria e non «gravemente onerosa» come si era stabilito inizialmente. In realtà la Commissione - al termine di negoziati andati avanti per tutta la settimana e tuttora in corso - ritiene più efficace limitare al massimo le possibilità di chiamarsi fuori. Per questo si è deciso di accogliere soltanto le «giustificazioni» davvero fondate e comunque legate a impedimenti reali (ad esempio la necessità di tempo per costruire un campo di accoglienza). In ogni caso l’opzione non potrà mai valere più di un anno.

Il trattato di Dublino
Non sarà una revisione completa, ma la bozza già prevede emendamenti a quel trattato che si è dimostrato inefficace rispetto all’ondata migratoria che ha coinvolto l’intera Europa. L’obbligo di rimanere nel Paese di primo ingresso fino al termine della procedura per ottenere lo status di rifugiato ha infatti convinto la maggior parte dei profughi siriani ed eritrei a non farsi identificare in modo da poter fuggire dall’Italia, dalla Grecia e dall’Ungheria per raggiungere le destinazioni finali negli Stati del Nord. Ma soprattutto ha costretto questi tre governi a provvedere all’accoglienza senza poter destinare subito una parte dei richiedenti asilo lì dove avevano già manifestato l’intenzione di andare.

I rimpatri assistiti
La parte più debole e confusa appare quella che riguarda i migranti economici. Perché è vero che nella bozza della Commissione si parla esplicitamente di «rafforzare la direttiva sui rimpatri e migliorare la collaborazione con gli Stati terzi», ma non c’è un progetto concreto che preveda aiuti e investimenti nelle aree dalle quali partono queste persone e quindi non sembra facile riuscire a ottenere il via libera al ritorno a casa. Per questo l’obiettivo dell’Italia è la riapertura del negoziato per costruire dei campi di accoglienza in NordAfrica.

8 settembre 2015 (modifica il 8 settembre 2015 | 07:55)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_settembre_08/migranti-condizioni-dell-ue-all-italia-road-map-sull-accoglienza-o-niente-partenze-3-mesi-338fe57a-55e6-11e5-b0d4-d84dfde2e290.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Funzionari pubblici, tutti gli illeciti ...
Inserito da: Arlecchino - Settembre 22, 2015, 06:31:57 pm
IL DOSSIER L’ERARIO
Funzionari pubblici, tutti gli illeciti
Il caso degli affitti a sette euro
Il rapporto della Guardia di Finanza sui primi sei mesi del 2015: un buco da oltre tre miliardi di euro su sanità, Ferrovie e corsi di formazione

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA In appena sei mesi hanno sottratto allo Stato oltre tre miliardi di euro. Sono 4.835 dipendenti pubblici che hanno rubato o sperperato i soldi della collettività. Funzionari, medici, politici, impiegati di primo livello: tutti citati adesso in giudizio dalla Corte dei conti, chiamati a restituire il maltolto. È il rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2015 a rivelare quanto profondo sia il «buco» nei conti causato dai lavoratori infedeli. Con un dato che fa impressione: più di un miliardo di euro è stato perso con la cattiva gestione del patrimonio immobiliare. Case concesse in affitto a prezzi stracciati, terreni mai utilizzati, edifici svenduti rappresentano la voce più consistente della relazione.

Corrotti e truffatori
Sono 1.290 le segnalazioni inviate dalla magistratura ordinaria o direttamente dagli stessi finanzieri ai giudici contabili. I numeri dimostrano come nei primi sei mesi di quest’anno ci sia stata una vera e propria impennata con contestazioni pari a un miliardo e 357 milioni di euro, il 13 per cento in più di tutto il 2014. Vuol dire che aumenta il malaffare, ma anche che l’attività di controllo delle Fiamme gialle diventa più incisiva, si concentra in quei settori ritenuti maggiormente a rischio rispetto alla possibilità di un arricchimento personale. Le accuse per i dipendenti pubblici sono corruzione, concussione, truffa, ma anche turbativa d’asta, appropriazione indebita, abuso d’ufficio. Nell’elenco compare anche chi, per inerzia o incapacità ha provocato un disservizio e quindi deve essere sanzionato.

Appartamenti a 7 euro
Sono migliaia gli immobili dai quali lo Stato potrebbe ricavare guadagno e invece si trasformano addirittura in un costo. Un capitolo a parte riguarda le case popolari. Da Lecce ad Aosta i finanzieri sono impegnati in indagini e verifiche per stanare i morosi e tutti i privati che versano canoni irrisori. Perché in questi casi bisogna accertare se si tratti esclusivamente di cattiva gestione o se, come è stato scoperto in Puglia, la concessione dell’immobile sia in realtà una contropartita, ad esempio per ottenere voti alle elezioni. I casi sono diversi, la somma provoca una voragine nei conti. C’è il Comune in provincia di Bolzano che non riscuote l’affitto per l’occupazione di suolo pubblico e perde 350 mila euro, ma c’è anche il direttore dell’Agenzia territoriale di Asti noto per l’accusa di aver sperperato 9 milioni di euro. È ancora in corso la verifica sulle case del Comune di Roma affittate a sette euro al mese, e quella sul patrimonio dell’Inps, ma è già finita l’indagine sul Comune di Nepi, in provincia di Viterbo, dove «reiterati episodi di “mala gestio” tramite una serie di artifizi, raggiri e ammanchi di cassa al patrimonio» avrebbero causato un danno di un milione e 200 milioni di euro».

I manager della sanità
Quello della sanità si conferma un settore dove continuano sprechi e abusi, non a caso in appena sei mesi il danno contestato supera gli 800 milioni di euro. Gli investigatori delle Fiamme gialle hanno aperto 264 pratiche, 2.325 sono le persone denunciate o arrestate. Un accertamento svolto in 18 Regioni dal «Nucleo speciale spesa pubblica» della Finanza ha consentito di individuare 83 dirigenti medici che hanno provocato un danno al servizio sanitario di 6 milioni di euro. Due le contestazioni principali: «Mancato rispetto degli obblighi di esclusività delle prestazioni da parte dei dirigenti medici per aver accettato incarichi extraprofessionali non autorizzati preventivamente dall’ente di appartenenza e impiego presso altre strutture private convenzionate». All’ospedale di Gallarate, in provincia di Varese, è stato raddoppiato il valore di un appalto a una società esterna incaricata della manutenzione passando da 15 milioni e mezzo di euro a ben 36 milioni per poter - questa è l’accusa per i manager dell’azienda sanitaria - ricavare una sostanziosa «cresta».

I corsi di formazione
La creatività nel settore della Pubblica amministrazione evidentemente non ha limiti. E così è diventato un caso da manuale quello del dipendente di un ente di Catanzaro che per sette anni ha percepito stipendio e pensione. Pochi giorni dopo essere stato congedato per limiti d’età e aver cominciato a incassare l’assegno dell’Inps «ha presentato domanda di riammissione in servizio presso la sua azienda confidando che le esigenze di organico gli avrebbero consentito di tornare immediatamente al proprio posto, cosa che è effettivamente accaduta». Il problema è che nessuno tra i dirigenti si è preoccupato di segnalare la nuova assunzione all’Istituto previdenziale e l’uomo ha incassato illecitamente ben 700 mila euro. Quello dei mancati controlli è uno dei problemi che emerge con evidenza nel dossier della Guardia di Finanza perché provoca danni immensi. Basti pensare a quanto accaduto in Sicilia con 47 milioni di euro sprecati tra il 2006 e il 2011 per corsi di formazione finanziati con soldi pubblici e in realtà mai svolti.

La Polonia e i treni
Emblematico è il caso scoperto a Bari dove i manager delle Ferrovie Sudest hanno speso 912 mila euro per l’acquisto di 25 carrozze passeggeri, le hanno rivendute a una società polacca «incaricata di eseguire interventi di ristrutturazione per 7 milioni di euro» e qualche tempo dopo hanno deciso di riacquistarle a 22 milioni e mezzo di euro provocando un danno alla società pubblica che la Corte dei conti ha stimato in oltre 11 milioni di euro.

21 settembre 2015 (modifica il 21 settembre 2015 | 08:32)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_settembre_21/funzionari-pubblici-tutti-illeciti-caso-affitti-sette-euro-8c75708e-601c-11e5-9acb-71d039ed2d70.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Roma, nei quaderni del sindaco Marino date e nomi cerchiati
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 14, 2015, 03:13:49 pm
Il retroscena
Roma, nei quaderni del sindaco Marino date e nomi cerchiati in verde
L’ultima sfida di Ignazio Marino: con la fascia tricolore al processo di Mafia capitale


Di Ernesto Menicucci e Fiorenza Sarzanini

Roma Ci sono quelli sistemati in ordine alfabetico e dedicati ad ogni assessore e quelli dove ha annotato incontri e telefonate. Sono tutti rigorosamente con la copertina nera e rigida, hanno date e nomi scritti o cerchiati con la penna verde. Ogni tanto c’è anche un post it giallo, forse ad evidenziare meglio le informazioni importanti. Eccoli i tanto temuti quaderni del sindaco Ignazio Marino, le pagine utilizzate negli ultimi mesi per annotare ogni appuntamento, segnalazione, proposta, raccomandazione. Alcuni li conserva a casa, altri in ufficio, ma c’è chi è sicuro che abbia anche un posto più segreto dove custodirli.

Materiale prezioso per il libro che avrebbe quasi finito di scrivere o forse per quella resa dei conti alla quale prima ha minacciato e poi smentito di voler arrivare. Del resto in queste settimane vissute sotto assedio li ha portati con sé anche in televisione, forse a voler dimostrare che di ogni momento ha memoria scritta. È un’abitudine che con il trascorrere del tempo si è trasformata in una sorta di mania. Nel corso dei colloqui il sindaco prende appunti e poi li trascrive sui suoi quaderni, fa veri e propri schemini, evidenzia i punti che ritiene fondamentali.

E forse su una di queste pagine ha sottolineato quella che per lui sembra essere diventata l’ultima sfida: presentarsi in Tribunale il 5 novembre, con la fascia tricolore ancora al collo, per l’inizio del processo su Mafia Capitale, nel quale il Comune si è costituito parte civile. Sarebbe, per Marino, quella «resa onorevole» che tante volte, in queste ore, ha provato ad ottenere dal Nazareno. Un atto pubblico - da parte di Renzi o dei vertici del Pd - per riconoscerli almeno l’«onestà», il fatto di essere stato magari un sindaco un po’ pasticcione con le note spese ma che si è battuto contro il malaffare romano. Una via stretta, però. E anche molto complicata.

Palazzo Chigi preme per avviare la procedura di commissariamento, gli stessi collaboratori più fidati lo sconsigliano, spiegando che avrebbe dovuto porla come condizione al momento di annunciare le dimissioni, non dopo. Nulla ancora si può escludere, neanche una forzatura per protocollare le dimissioni il 16 ottobre in modo che i venti giorni cadano proprio all’avvio del dibattimento. Senza escludere che prima di allora Marino potrebbe essere convocato in Procura per l’indagine sui suoi scontrini. La prima bozza di difesa è quanto dichiarato in questi giorni: «Non faccio io le note spese».

Ci pensano gli uffici, oppure Silvia Pelliccia, la segretaria che ha la delega sul conto intestato al sindaco, dove è «appoggiata» la carta di credito comunale. Lui dovrà comunque ricostruire date e circostanze, facendo ricorso proprio ai quaderni. L’utilizzo dei soldi pubblici a fini privati fa scattare automaticamente l’accusa di peculato. Una via d’uscita potrebbe essere quella della tenuità del reato, ma su questo c’è ancora molto da lavorare.

10 ottobre 2015 | 07:24
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_ottobre_09/nei-quaderni-sindaco-marino-roma-date-nomi-cerchiati-verde-8b46f5c4-6ebe-11e5-aad2-b4771ca274f3.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’inchiesta sull’ANAS «Usiamo i soldi dalla cassa nostra.
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 24, 2015, 12:11:57 pm
L’inchiesta sull’ANAS
«Usiamo i soldi dalla cassa nostra. Si deve smuovere tutto il mondo».
Parlamentari e ministri nell’agenda della «Dama nera».
Il caso di Delrio
I contatti politici della Accroglianò: il ministro dei Trasporti citato in un dialogo.
Lui replica: «Meduri l’ho visto solo in Transatlantico»

Di Fiorenza Sarzanini

Per ottenere tangenti e favori dagli imprenditori che aiutava a sbloccare le pratiche, la «Dama nera» dell’Anas sfruttava ogni canale, soprattutto politico. Per questo Antonella Accroglianò - arrestata due giorni fa insieme ad altre nove persone - caldeggiava l’interessamento di parlamentari e ministri ai quali sollecitava raccomandazioni proprio per poter passare all’incasso con i titolari delle aziende. L’indagine della Guardia di Finanza si concentra sui soldi che la donna e i suoi sodali avrebbero ottenuto, ma anche sul ruolo dell’ex presidente Pietro Ciucci.
Perché bisogna capire come mai, in numerose intercettazioni, la donna facesse riferimento a quello che «il presidente deve fare». E soprattutto che effetto abbiano avuto le sue insistenze presso alcuni membri dello staff di vertice. Su questo si stanno concentrando le indagini affidate agli investigatori della Guardia di Finanza guidati dai colonnelli Cosimo Di Gesù e Gerardo Mastrodomenico, che potrebbero avere nuovi e clamorosi sviluppi grazie all’esame di tutte le pratiche che il suo ufficio gestiva.

Matteoli e la Fondazione Formiche
Tra i casi gestiti da Accroglianò c’è quello dell’imprenditore Giuseppe Ricciardello che deve ottenere lo sblocco di una penale. I due si incontrano il 5 maggio scorso e, annota la Finanza, «la dirigente Anas gli suggeriva di recarsi presso una Fondazione, da identificarsi, con ragionevole certezza, nella Formiche Onlus (vicina alla rivista fondata da Paolo Messa, oggi nel cda della Rai) dove avrebbe dovuto incontrare l’onorevole Marco Martinelli, il quale si sarebbe attivato attraverso il “direttore generale della Sicilia” e un “assessore”, per la risoluzione di una vicenda, non meglio specificata, riguardante il Ricciardello». La donna spiega che «la questione avrebbe dovuto essere risolta prima che Ciucci lasciasse l’incarico di Presidente». Durante il colloquio «Accroglianò veniva contattata dalla dirigente Anas Elisabetta Parise, Responsabile Giovani della Fondazione, con la quale usa termini in codice per annunciare che Ricciardello sarebbe arrivato. Accroglianò asseriva che Martinelli, con cui l’imprenditore si era incontrato presso Formiche, avrebbe provveduto a contattare Ciucci per la risoluzione di tale vicenda e che anche il senatore Altero Matteoli, si sarebbe interessato alla questione: “Ho detto fai chiamare Ciucci, gli devi dire che i soldi devono uscire dalla cassa nostra noi li anticipiamo e poi glieli ridiamo Cavaliere, qua deve smuovere tutto il mondo, si deve smuovere”». Matteoli dice di «cadere dalle nuvole, mai chiesto a Ciucci di bloccare pratiche».

Le richieste a Delrio e Alfano
La «dama nera» conta molto sulla rete di relazioni. Per questo il 10 giugno scorso, durante un nuovo incontro «chiede a Ricciardello di attivarsi attraverso le sue conoscenze politiche, facendo un chiaro riferimento al Ministro dell’Interno Angelino Alfano, e di essere accreditata, unitamente a Elisabetta Parise, presso i nuovi membri del CdA dell’Anas Cristina Alicata e Francesca Moraci». L’obiettivo lo racconta lei stessa: «Essere nominata dopo la nomina del nuovo Presidente Gianni Vittorio Armani, responsabile dell’Ufficio Gare e Appalti». Secondo gli inquirenti «è ragionevole ritenere che l’interesse della Accroglianò nei confronti del Ricciardello non scaturisca da promesse o dazioni di denaro e altre utilità, piuttosto da legami di conoscenza tra costui e ambienti della politica». In questa ottica si inquadra l’incontro organizzato dall’ex sottosegretario Luigi Giuseppe Meduri tra gli imprenditori catanesi Concetto Bosco e Francesco Domenico Costanzo con «un non meglio individuato ministro». In realtà secondo il contesto investigativo si tratta del titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio al quale sarebbe stato sottoposto un progetto; Delrio ha già detto di aver incontrato Meduri «soltanto in Transatlantico».

La diffida a Ciucci
L’inchiesta condotta dai pubblici ministeri Francesca Loy e Maria Calabretta mira anche ad accertare come mai il presidente Ciucci decise di non dare seguito alla diffida del 17 aprile scorso dell’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone «sulla decisione di Bosco e Costanzo di cedere il ramo d’azienda (in realtà l’appalto), relativo alla realizzazione della Variante di Morbegno, in favore di Cossi Costruzioni». Le verifiche hanno infatti accertato che «gli imprenditori catanesi, grazie all’interessamento dei funzionari di riferimento, siano riusciti nel loro intento di ottenere l’autorizzazione richiesta». Per quella pratica sarebbe stata versata alla «dama nera» una tangente da almeno 150mila euro e adesso bisognerà scoprire la donna con chi l’abbia divisa. Del resto i controlli effettuati negli ultimi mesi hanno dimostrato «la prassi diffusa all’interno di Anas di gestire i rapporti con gli imprenditori basandosi più su relazioni personali che su procedimenti e protocolli amministrativi. L’assenza di rigore e formalità costituisce terreno paludoso, la cui rilevanza penale, peraltro, presuppone l’acquisizione di ulteriori elementi di riscontro».

(fsarzanini@corriere.it)

24 ottobre 2015 (modifica il 24 ottobre 2015 | 07:47)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_24/inchiesta-anas-intercettazioni-dama-nera-politici-ministri-delrio-5ca65a9e-7a11-11e5-9874-7180d07bb3bf.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Palenzona, cene e incontri Così aiutò l’imprenditore»
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 28, 2015, 05:51:22 pm
L’INCHIESTA per mafia
«Palenzona, cene e incontri Così aiutò l’imprenditore»
L’avvocato del vicepresidente di Unicredit: «Aria fritta». E il gruppo bancario replica: «Nessun finanziamento erogato». Un’indagine interna evidenziò le criticità nel rapporto con Bulgarella.
Il 19 agosto a Rapallo per pianificare una riunione milanese

Di Fiorenza Sarzanini

Nel dicembre 2014 Unicredit rese noti i risultati dell’indagine interna sulle società del gruppo che fa capo a Andrea Bulgarella, imprenditore ritenuto vicino al boss mafioso Matteo Messina Denaro, che evidenziavano «diverse carenze nella gestione, considerata non conforme al dettato normativo interno». Nonostante questo il vicepresidente Fabrizio Palenzona si sarebbe adoperato per far «accogliere il piano di rientro della sua notevole esposizione debitoria che prevedeva un abbattimento degli interessi di mora per un ammontare di 5 milioni di euro e il finanziamento pari a 17 milioni e mezzo di euro per due cantieri aperti a Pisa». È quanto emerge dagli atti processuali depositati dai magistrati della Procura di Firenze che la scorsa settimana hanno perquisito lo stesso Palenzona accusandolo di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e ad altri reati, con l’aggravante di aver favorito il clan del ricercato di Cosa Nostra. Migliaia di pagine per ricostruire le indagini svolte dai carabinieri del Ros e documentare incontri, contatti, cene organizzate da Bulgarella e dai suoi soci con i manager che dovevano aiutarlo. Compreso un appuntamento proprio con Palenzona.

«È soltanto aria fritta, niente di nuovo. Davanti al tribunale del Riesame ribadiremo l’assoluta infondatezza dell’ipotesi accusatoria», commenta il difensore Massimo Dinoia, mentre Unicredit ribadisce quanto già dichiarato in una nota del 15 ottobre, al termine del consiglio di amministrazione quando è stato «preso atto che dall’esame effettuato dall’Audit limitatamente ai documenti e delibere per evitare ogni interferenza con le indagini in corso, non sono emerse anomalie nei processi, delibere e comportamenti degli esponenti aziendali coinvolti nonché del fatto che ad oggi la Banca non ha assunto deliberazioni definitive e, in particolare, che non risulta approvato alcun progetto di ristrutturazione del debito del Gruppo Bulgarella».

Le richieste ai funzionari
Secondo le informative degli investigatori guidati dal colonnello Domenico Strada «Bulgarella si attiva per sbloccare i finanziamenti da parte dell’Unicredit attraverso incontri coi vertici dell’istituto, attività che sembra abbia superato le perplessità dei quadri intermedi dello stesso istituto, verso il quale il Gruppo risulta avere uno scoperto di oltre 66 milioni di euro a fronte di un credito concordato di poco più di 36 milioni». E dunque, annotano, «si rivolge a Federico Tumbiolo, che con l’intermediazione di Giuseppe Sereni riesce ad ottenere il primo incontro a Milano per le ore 15.00 del 3 luglio 2014 con il vicepresidente Unicredit». Al telefono «Tumbiolo conferma l’appuntamento facendo espressamente il nome di Palenzona e rassicura Bulgarella dicendogli che “Palenzona non è un fesso ma un furbo e che già sa tutto, conosce bene la situazione”». Secondo il Ros «particolare rilievo per il raggiungimento degli obiettivi economici ha avuto l’incontro avvenuto a Milano l’11 settembre 2014 quando Sereni e Tumbiolo, in rappresentanza di Bulgarella, si sono incontrati con Roberto Mercuri (uomo di fiducia di Palenzona) e con gli altri referenti della banca Alessandro Cataldo, capo corporate dell’istituto di credito. E Vincenzo Minchiotti da cui dipende il funzionario non gradito, Verardi».


L’appuntamento in banca
In realtà, secondo quanto emerso incrociando telefonate e controlli, questa riunione sarebbe stata pianificata durante una cena avvenuta a Rapallo il 19 agosto precedente e alla quale avrebbero partecipato Sereni, Tumiolo, Mercuri e Palenzona, tutti ora indagati. Scrivono i carabinieri: «Dalle più recenti conversazioni intercettate sull’utenza in uso a Palenzona emerge lo stretto legame che costui ha con Mercuri al quale, oltre ad assicurargli nella sua qualità di Presidente della società “Aeroporti di Roma” uno stipendio annuo pari a circa 230mila euro come dipendente della medesima società s’interessa anche per trovare il modo, intervenendo personalmente presso Vito Mangano e Lorenzo Lo Presti, rispettivamente direttore risorse umane ed amministratore delegato della società Adr, di fargli ottenere un ulteriore emolumento pari a circa 46mila euro. Nella medesima società lavora anche l’attuale fidanzata del Mercuri, la cittadina romena Talida Stroie».

Secondo le indagini coordinate dal procuratore Giuseppe Creazzo, Mercuri ha un ruolo chiave nella vicenda: «Le conversazioni intercettate sulla sua utenza documentano il costante interessamento per l’approvazione del piano e infatti sollecita un intervento presso Verardi, che lo sta esaminando, affinché Bulgarella possa avere al più presto la disponibilità dei 17 milioni di euro». Non solo. Dalle verifiche del Ros «emerge anche che Bulgarella, intorno a metà gennaio, si è recato direttamente a Milano presso la sede dell’Unicredit dove, come lascia intendere a Leporino, ha incontrato direttamente Palenzona: “ho parlato pure con il vice presidente nazionale della tua banca che abita al trentesimo piano delle vostra sede di Milano”». Conclude l’accusa: «In effetti, grazie all’incessante interessamento di Mercuri, che come tutti sanno, agisce sotto le direttive di Palenzona, il piano di ristrutturazione è stato approvato il 23 aprile 2015».

21 ottobre 2015 (modifica il 21 ottobre 2015 | 09:25)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_21/palenzona-cene-incontri-cosi-aiuto-l-imprenditore-50f5895e-77b9-11e5-95d8-a1e2a86e0e17.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Vaticano, le altre carte rubate
Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2015, 05:43:02 pm
L’indagine nella santa sede
Vaticano, le altre carte rubate
Nel computer del prelato anche lo Ior
Gli inquirenti della Santa Sede proseguono negli interrogatori alla ricerca di spie.
Anche alcuni hacker potrebbero aver collaborato al furto delle carte riservate

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA Ci sono documenti riservati trafugati e non ancora utilizzati. Carte segrete che raccontano quanto accaduto negli ultimi anni allo Ior, l’Istituto finanziario di fatto forziere della Santa Sede. Documenti che in parte sono finiti nei due libri sul Vaticano in uscita domani e in parte hanno preso strade che gli uomini della gendarmeria hanno cominciato a esplorare e che potrebbero portare a nuovi e clamorosi sviluppi. Per questo le verifiche avviate dagli investigatori si concentrano adesso sulle persone che potrebbero aver aiutato monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Chaouqui a individuare e copiare gli atti veicolati all’esterno. Persone esperte di computer, addirittura in grado di svolgere attività di hackeraggio, con cui i due indagati avevano rapporti. La gendarmeria vaticana li tiene sotto controllo da tempo. Ulteriori riscontri sarebbero arrivati analizzando il computer e il cellulare di monsignor Vallejo Balda. L’analisi dei contatti dell’alto prelato consente di ricostruire la rete dei suoi rapporti degli ultimi mesi. I dati custoditi su pc e cellulare servono infatti a fornire riscontri a quanto è stato acquisito grazie alle intercettazioni e alle verifiche svolte a partire dal maggio scorso. Tenendo conto che già qualche settimana fa monsignor Vallejo Balda avrebbe avuto il sospetto di essere sotto inchiesta e avrebbe effettuato mosse che lo hanno definitivamente tradito. Anche Chaouqui, dopo essere stata convocata in Vaticano, avrebbe avuto la netta percezione di essere stata incastrata e per questo avrebbe deciso di collaborare.

Lei giura di essere una vittima, di non aver fatto nulla. Le indiscrezioni assicurano che l’interesse di chi indaga si concentra pure sul ruolo avuto da suo marito, esperto informatico che ha lavorato a lungo per il sistema di ultimo livello della Santa Sede.

La strategia prevede che i nuovi potenziali protagonisti vengano convocati come persone informate dei fatti, in modo da poter contare sulla loro disponibilità a collaborare. Alcuni avrebbero infatti incarichi in Vaticano e al rischio di subire conseguenze giudiziarie si aggiunge quello di essere allontanati dagli uffici dove lavorano tuttora. Il copione è simile a quello di tre anni e mezzo fa, quando si scoprì che le «spie» erano più d’una, ma l’unico a pagare - almeno ufficialmente - è stato il segretario di papa Benedetto XVI, Paolo Gabriele. Adesso la partita appare addirittura più grande perché colpisce direttamente l’opera di rinnovamento portata avanti dal pontefice, ma soprattutto perché ha come obiettivo principale il settore economico e finanziario della Santa Sede.

Lo Ior rimane lo snodo cruciale di questa nuova indagine sui «corvi» del Vaticano perché, nonostante gli impegni per una collaborazione reale con la magistratura italiana, molte reticenze hanno segnato il rapporto con i pubblici ministeri titolari di inchieste che hanno riguardato conti aperti presso l’Istituto o comunque depositi collegati in altri istituiti di credito, prima fra tutti Deutsche Bank. E questo avvalora il sospetto che la nuova fuga di notizie possa in realtà riguardare anche l’identità dei titolari, le movimentazioni degli ultimi anni effettuate anche per sfuggire ai controlli. E dunque diventare arma di ricatto visto che si tratta di documenti rimasti riservati.

L’esistenza di questi conti, almeno un centinaio nella maggior parte cifrati proprio per nascondere il nome di chi li ha aperti e gestiti, era stata confermata dai nuovi vertici dello Ior pur con la precisazione che sarebbero stati chiusi entro breve. I titolari sono infatti «laici» ma lo statuto dello Ior vieta che si possano avere clienti non religiosi e, proprio sulla base della trasparenza che avrebbe dovuto caratterizzare il nuovo corso, era stato annunciato un provvedimento di blocco. Non è andata così. Svariati depositi, anche quelli utilizzati per il transito di proventi illeciti come è stato documentato da indagini svolte dall’autorità giudiziaria italiana, sono tuttora attivi. E proprio questo potrebbe aver alimentato l’interesse di chi ha trafugato le carte dal sistema informatico, ma anche dai fascicoli custoditi nell’archivio della Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi, di cui Balda e Chaouqui facevano parte.

4 novembre 2015 | 07:11
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_04/vaticano-vatileaks-corvi-altre-carte-rubate-ior-c2ef50f4-82b7-11e5-a218-19a04df8a451.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI Vaticano, violato il secondo livello del sistema di sicurezza
Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2015, 06:20:49 pm
L’indagine
Vaticano, violato il secondo livello del sistema di sicurezza
La pista di una vendetta
L’analisi del pc e del telefono di Vallejo è servita per fornire gli ultimi riscontri investigativi.
Caccia al movente

Di Fiorenza Sarzanini

Qualche giorno fa monsignor Lucio Angel Vallejo Balda si è rivolto a un avvocato. La gendarmeria vaticana gli aveva appena sequestrato computer e cellulare, evidentemente l’alto prelato ha capito di essere ormai in trappola. Del resto l’indagine avviata sei mesi fa sulle intrusioni nel sistema informatico della Santa Sede aveva già consentito di individuare i canali di accesso e i destinatari dei documenti riservati degli uffici finanziari della Santa Sede, compresi alcuni atti della Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi, di cui lui e la sua presunta complice Francesca Chaouqui facevano parte. L’analisi del pc e del telefono di Vallejo è servita per fornire gli ultimi riscontri investigativi a un quadro già delineato. E subito dopo sono scattati gli arresti.

I vecchi «corvi»
La sensazione è che i «corvi» non abbiano mai smesso di volare. Perché è vero che il monsignore e Chaouqui sono espressione del nuovo corso in quanto scelti da papa Francesco. Ma le verifiche svolte in questi mesi avrebbero individuato legami con personaggi già emersi nell’inchiesta sulla fuga di notizie che tre anni fa fece finire in carcere il maggiordomo di papa Benedetto XVI Paolo Gabriele con l’accusa di aver trafugato carte riservate dall’ufficio del pontefice, lasciando però nell’ombra coloro che lo avrebbero «coperto» e aiutato a veicolarli all’esterno. Una vera e propria «rete» di traditori, alcuni dei quali sono adesso sotto controllo e nei cui confronti potrebbero scattare provvedimenti. E forse non è un caso che l’avvocato Giulia Bongiorno, difensore della Chaouqui, voglia precisare che «la mia cliente non ha ammesso alcuna responsabilità, sta semplicemente raccontando alcuni fatti di cui è a conoscenza e altri che la riguardano direttamente».

Altri sotto controllo
Il sistema informatico della Santa Sede ha tre livelli di sicurezza chiamati in codice come gli arcangeli. Il primo, denominato Michele, è quello più alto e protegge le comunicazioni papali e quelle della Segreteria di Stato. Il secondo, Raffaele, riguarda gli uffici ritenuti di media segretezza e comprende proprio quelli violati: la Cosea e il computer del revisore generale delle finanze del Vaticano, Libero Milone, che ha il compito di sovrintendere i conti e i bilanci delle società della Santa Sede. Il suo è un ruolo estremamente delicato visto che ha completa autonomia per quanto riguarda i controlli da effettuare e risponde direttamente ed esclusivamente al pontefice. Il terzo, Gabriele, è invece connesso agli uffici più bassi, compresi quelli aperti al pubblico. Nel corso degli accertamenti affidati agli uomini guidati dal capo della gendarmeria Domenico Giani sarebbe emerso che fino a qualche tempo fa il web master di questo terzo livello era il marito di Chaouqui, ora passato con lo stesso ruolo alla clinica Santa Lucia. Un aiuto fondamentale all’indagine sarebbe arrivato dalle suore americane di Borgo Sant’Angelo, massime esperte di attività contro le azioni di hackeraggio. E adesso si attende quello che potrà accadere perché tra i documenti veicolati ci sarebbe anche qualche «esca». Carte false inserite nel sistema proprio per scoprire l’identità delle spie e i loro contatti esterni.

I nuovi verbali
Nei prossimi giorni Chaouqui dovrà essere nuovamente interrogata dal promotore di giustizia Gian Piero Milano e dal suo aggiunto Roberto Zannotti. Dopo aver ricostruito il percorso degli atti, si sta infatti cercando di scoprire il movente della nuova e clamorosa fuga di notizie. Una delle ipotesi riguarda la vendetta contro papa Francesco da parte di chi si è sentito messo da parte. Quando la Cosea ha concluso i lavori sono stati istituiti la Segreteria e il Consiglio per l’Economia. Alla guida della Segreteria è stato nominato il cardinale australiano George Pell e il suo vice designato era proprio Vallejo Balda, che nella primavera scorsa aveva anche rilasciato interviste proprio per anticipare il suo programma di lavoro. Salvo scoprire qualche giorno dopo di essere stato scartato e al suo posto era stato scelto il maltese Alfred Xuereb. Fuori dai giochi anche Chaouqui, alla quale da qualche tempo era stato addirittura vietato l’ingresso nella città del Vaticano. Vendetta dunque, senza però escludere che sullo sfondo si continuino a muovere coloro che vogliono impedire una revisione vera dello Ior, l’operazione trasparenza che potrebbe svelare davvero chi ha utilizzato e continua ad usare i conti cifrati dell’Istituto. Soprattutto ricostruire il percorso del denaro trasferito su depositi segreti in Italia e all’estero facendo rimanere riservata l’identità dei titolari.

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3 novembre 2015 | 07:18

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_03/vaticano-violato-secondo-livello-sistema-sicurezza-pista-una-vendetta-95455750-81f1-11e5-aea2-6c39fc84b136.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Vaticano, nell’inchiesta sui corvi spunta anche un ex ...
Inserito da: Arlecchino - Novembre 07, 2015, 09:57:35 pm
Le carte
Vaticano, nell’inchiesta sui corvi spunta anche un ex giornalista Rai
Già responsabile di Rai International, ora è funzionario a Palazzo Chigi.
Lavora nella segreteria di Gozi ed è consulente di Nardella


Di Fiorenza Sarzanini

Ci sono altri nomi nell’indagine sui «corvi» del Vaticano. Persone che avevano un legame stretto con Francesca Chaouqui e suo marito Corrado Lanino. Ma anche con numerosi alti prelati finiti al centro degli accertamenti sui documenti trafugati, primo fra tutti monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, tuttora in stato d’arresto per ordine delle autorità giudiziarie della Santa Sede. Sono sospettati di aver avuto un ruolo proprio nella veicolazione delle carte segrete. Tra loro, il giornalista Mario Benotti, ex responsabile di Rai International e adesso funzionario di Palazzo Chigi perché nominato capo della segreteria del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Non solo. Da maggio è stato scelto come consulente del sindaco di Firenze Dario Nardella per i rapporti con le confessioni per il dialogo interreligioso. È coinvolto nell’inchiesta della procura di Terni che procede per i reati di intrusione informatica ed estorsione. Ed è sotto controllo nell’ambito degli accertamenti affidati alla gendarmeria vaticana. Si allargano dunque le verifiche sulle «spie» e sui ricatti che sarebbero stati compiuti grazie alla conoscenza di informazioni riservate. E si allunga l’elenco dei casi finiti «sotto osservazione». Uno riguarda i lavori di ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Tarcisio Bertone che, si è scoperto, sono stati pagati due volte.

Intrusioni abusive
Chaouqui si conferma figura chiave dell’inchiesta che sta facendo tremare le gerarchie vaticane. Perché l’indagine sulla tela tessuta nel corso degli anni coinvolgendo politici, imprenditori, giornalisti, alti prelati dimostra che i rapporti servivano soprattutto a ottenere vantaggi professionali ed economici. Proprio in questo quadro si inserisce Benotti che, questa è l’accusa, sarebbe stato al corrente dell’acquisizione abusiva di alcuni atti grazie alle intrusioni nei sistemi informatici. Le intercettazioni tra i due fanno emergere un legame stretto e l’utilizzo dei documenti e delle informazioni per fare «pressioni» e così avere incarichi e favori. Il fascicolo di Terni sarà trasmesso a Roma per competenza la prossima settimana, ma numerosi elementi sono già a disposizione della gendarmeria, anche perché sul dissesto della Curia della cittadina umbra, all’epoca guidata da monsignor Vincenzo Paglia, era stata avviata un’inchiesta amministrativa. Adesso bisognerà però scoprire in quali ambiti siano stati sfruttati gli atti segreti, tenendo conto che il giornalista lavora a Palazzo Chigi, ma collabora anche con l ‘Osservatore Romano , è docente a la Sapienza e alla Temple University di Filadelfia. E in passato è stato consigliere della banca popolare di Spoleto.

I ricatti sullo Ior
Dopo la nomina alla Cosea, la Commissione referente per lo studio dei problemi economici e amministrativi voluta da papa Francesco, Chaouqui aveva a disposizione i dossier sulla gestione economica e finanziaria della Santa Sede, compresi quelli sullo Ior e sui conti cifrati. Le verifiche svolte finora hanno accertato che non tutte le carte trafugate sono contenute nei libri pubblicati nei giorni scorsi. Che uso ne è stato fatto? Nella girandola di contatti Chaouqui millantava di aver una soluzione per ogni problema, come quando si è proposta a monsignor Paglia proprio per aiutarlo a risanare i conti della Curia. Con il prelato aveva contatti assidui. Ieri, dopo aver respinto le accuse della magistratura di Terni «perché non ho mai compiuto un’intrusione abusiva in 15 anni di professione», il marito si è detto «pronto a spiegare ogni cosa». E tra le circostanze da chiarire ci sono proprio i rapporti con Benotti, le richieste e gli accordi presi attraverso sua moglie.

La casa di Bertone
Uno dei dossier rubati e poi «venduti» riguarda la ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Bertone, il prezzo altissimo dei lavori che alla fine ha superato i 300mila euro. Nei giorni scorsi l’alto prelato ha smentito che i costi siano stati addebitati all’ospedale Bambin Gesù dichiarando di aver pagato di tasca propria la ditta Castelli dopo aver ricevuto la richiesta del Governatorato. L’indagine svolta dalle autorità della Santa Sede rivela invece che l’impresa ha recapitato due fatture: una al Governatorato e una all’ospedale. Entrambe risultano pagate per un totale che supera i 500mila euro.

7 novembre 2015 | 09:29
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_novembre_07/vaticano-nell-inchiesta-corvi-spunta-anche-ex-giornalista-rai-81a70916-8528-11e5-8384-eb7cd0191544.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. COME CAMBIA IL TRATTATO DI SCHENGEN
Inserito da: Arlecchino - Novembre 24, 2015, 06:45:04 pm
COME CAMBIA IL TRATTATO DI SCHENGEN
L’Unione si blinda, verrà schedato ogni cittadino che rientra in Europa
Alfano: serve un approccio comune tra Stati in modo che si sia sempre interconnessi.
Le esitazioni Il ministro francese Cazeneuve: dobbiamo uscire dagli indugi o l’Europa si perderà

Di Fiorenza Sarzanini

DALLA NOSTRA INVIATA A BRUXELLES Al momento di annunciare l’accordo raggiunto il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve lancia la sfida: «Dobbiamo essere in grado di uscire dagli indugi, altrimenti l’Europa si perderà». Parigi non torna indietro, conferma di voler tenere chiuse le frontiere e costringe l’Unione Europea a fare altrettanto. Non c’è alcuna dichiarazione ufficiale, ma il trattato di Schengen è sospeso di fatto. Controlli ai valichi già attivi e nel prossimo mese molto altro si farà. Perché saranno schedati tutti i cittadini che rientreranno negli Stati europei - anche se sono comunitari - e saranno inseriti in banca dati tutte le informazioni su chi viaggia in aereo, con l’archiviazione del Pnr (il codice passeggeri) per almeno un anno.

Controlli «sistematici»
Finora le verifiche venivano fatte a campione, soltanto in casi sporadici. Il consiglio dei ministri europei ha invece chiesto alla commissione di modificare l’articolo 7 e questo vuol dire, come conferma il vice premier e ministro dell’Interno del Lussemburgo Etienne Schneide, che «ai confini esterni dell’Unione devono essere effettuati immediatamente controlli sistematici e coordinati, anche su cittadini europei che godono della libertà di movimento». Vuol dire che sarà registrato il passaporto di chi va all’estero e poi rientra, come finora avveniva solo per gli extracomunitari. Una misura restrittiva, ancor più drastica nei confronti dei migranti «che dovranno essere tutti registrati e fotosegnalati». Il progetto è a lungo termine, ma non è stato escluso di poter creare squadre di polizia di intervento rapido che si occupino esclusivamente di questo.

Banca dati per un anno
Entro la fine dell’anno dovrebbe essere invece operativa la registrazione del Pnr che consente l’accesso anche ai dati sensibili: stato di salute, religione e poi notizie personali sui compagni di viaggio, sui luoghi frequentati a destinazione, sui metodi di pagamento. La novità riguarda sia la durata del periodo di archiviazione delle informazioni che passa da un mese a un anno e soprattutto il fatto che l’accesso sarà possibile anche per i voli interni all’Unione consentendo la creazione di una vera e propria «banca» per le forze di polizia e intelligence che potranno così avere ogni notizia in tempo reale. Finora la direttiva era stata bloccata dalle resistenze di numerosi europarlamentari preoccupati per la violazione della privacy. Adesso, come ribadisce il capogruppo dei socialisti Gianni Pittella «l’impegno è di votare i provvedimenti nel più breve tempo possibile, per rispondere a esigenze non più rinviabili».

Scambio d’informazioni
L’Europa si «blinda» e cerca di mettere a punto la strategia di prevenzione sui traffici illeciti, primo fra tutti quello delle armi. Nel Sis, il sistema informativo di Schengen, saranno inseriti tutti gli esiti delle investigazioni effettuate e i dati relativi ai «foreign fighters», cittadini che vanno a combattere oppure ad addestrarsi in Medio Oriente e poi rientrano in patria. Per il traffico di armi e sul tema del controllo del commercio di armi da fuoco il Consiglio accoglie positivamente le proposte presentate mercoledì dalla Commissione Ue e invita Frontex ed Europol ad assistere gli Stati membri che confinano con i Balcani occidentali «nei maggiori controlli per individuare il traffico illegale di armi».

Sulla necessità di avere un continuo scambio informativo insiste il ministro dell’Interno Angelino Alfano ribadendo che «gli Stati Ue daranno istruzioni alle autorità nazionali di condividere le informazioni e definire un approccio comune in modo che si sia sempre interconnessi, come impone la gravità della situazione». Le premesse ci sono, il rischio è che passata l’emozione per il massacro di Parigi, l’intero «pacchetto» venga rinviato a data da destinarsi. Proprio come accadde dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e al supermercato Kosher.

fsarzanini@corriere.it
21 novembre 2015 (modifica il 21 novembre 2015 | 12:43)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_21/unione-si-blinda-verra-schedato-ogni-cittadino-che-rientra-europa-f403261e-901f-11e5-ac55-c4604cf0fb92.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Banca dell’Etruria, ex vertici indagati per il dissesto.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2015, 07:21:17 pm
L’INCHIESTA
Banca dell’Etruria, ex vertici indagati per il dissesto.
«Conflitto d’interessi»
Le accuse dei pm e la relazione di Palazzo Koch su finanziamenti per 185 milioni

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Sono accusati di aver sfruttato a fini personali il ruolo che avevano all’interno dell’Istituto. E di averlo fatto per godere di finanziamenti che altrimenti non avrebbero potuto ottenere. Per questo l’ex presidente di Banca Etruria Lorenzo Rosi e l’ex membro del Cda Luciano Nataloni sono accusati dalla procura di Arezzo di «omessa comunicazione di conflitto d’interessi». L’indagine avviata dai magistrati toscani compie dunque il salto di qualità e punta direttamente ai vertici, individuando possibili responsabilità nel dissesto.

È il primo passo, le verifiche affidate al nucleo Tributario della Guardia di Finanza sono tuttora in corso. E la lista degli indagati potrebbe presto allungarsi, puntando direttamente al management e agli altri componenti del Consiglio di amministrazione. Ma i controlli dovranno anche stabilire come mai né Palazzo Koch, né la Consob misero in guardia dai rischi legati alle emissioni obbligazionarie, e questo nonostante siano state effettuate ben tre ispezioni tra dicembre 2012 e febbraio 2015.

Le contestazioni del procuratore Roberto Rossi a Rosi e Nataloni si rifanno alla relazione di Bankitalia che nel febbraio scorso decise il commissariamento di Etruria. E si riferiscono al periodo che va dal 2013 al 2014, quando vicepresidente era Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena. In particolare nel dossier degli ispettori di Bankitalia veniva evidenziato come pratiche di finanziamento per 185 milioni si siano svolte in situazioni di «conflitto d’interesse» generando 18 milioni di perdite. E subito dopo si parlava del ruolo di Rosi e di due pratiche di finanziamento intestate a Nataloni: una da 5,6 milioni di euro riguardante la società «Td Group» finita in sofferenza, una da 3,4 milioni di euro senza però l’indicazione dell’azienda. Quanto basta — secondo l’accusa — per procedere per «omessa comunicazione del conflitto di interessi» in relazione all’articolo 2391 del codice civile che riguarda proprio gli «interessi degli amministratori».

Proprio in questi giorni il nome di Rosi è finito al centro di una polemica tra il consigliere di Fratelli d’Italia e la famiglia Renzi. Il politico toscano sostiene che, dopo il commissariamento, l’ex presidente di Etruria con la sua Nikila Invest è diventato socio della Party srl, l’azienda che fa capo a Tiziano Renzi, padre del presidente del Consiglio, ed è impegnata nella costruzione di outlet. Un’attività alla quale si dedica anche Nataloni ed è proprio questo ad avere suscitato interesse negli investigatori. I Renzi hanno smentito, ma ieri il politico toscano ha reso note le visure camerali confermando l’intreccio societario.

La relazione di Bankitalia contestava un «buco» di circa tre miliardi di euro. E proprio per cercare di ripianare le perdite sarebbero state emesse le obbligazioni subordinate diventate carta straccia dopo il decreto firmato due settimane fa dal governo proprio per salvare Etruria e altre quattro banche. Bankitalia ha fatto sapere, pur specificando di non aver alcun potere di veto, di aver sconsigliato la vendita ai piccoli risparmiatori. Per questo l’inchiesta dovrà accertare se davvero questa raccomandazione fosse arrivata ai vertici di Etruria e quali siano state invece le indicazioni fornite dai vertici ai responsabili delle varie filiali.

Anche perché si deve tenere comunque conto che è alla Consob che spetta la vigilanza sull’emissione dei titoli di debito destinati agli investitori istituzionali e soprattutto ai risparmiatori, ma non risulta che siano stati mossi rilievi né tantomeno che ci siano state segnalazioni alla magistratura. E anche di questo si cercherà adesso di scoprire le cause.

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15 dicembre 2015 (modifica il 15 dicembre 2015 | 10:02)

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_15/banca-dell-etruria-indagine-conflitto-d-interessi-e07a3038-a2ad-11e5-bc29-364a59bfeed9.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Di Bankitalia: in arrivo nuovi indagati
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 26, 2015, 11:37:40 pm
Banca Etruria, ai pm la relazione
Di Bankitalia: in arrivo nuovi indagati
Un pool di quattro magistrati dovrà esaminare le oltre cento denunce di correntisti. 3 miliardi il buco nel bilancio dell’istituto di credito toscano, poi commissariato

Di Fiorenza Sarzanini

Un pool di quattro magistrati di Arezzo per esaminare oltre cento denunce di risparmiatori che sostengono di essere stati truffati dai vertici di Banca Etruria. Saranno al lavoro da questa mattina e si occuperanno dei vari filoni investigativi avviati, ma soprattutto dei nuovi esposti che si sono moltiplicati nelle ultime ore. L’inchiesta sul dissesto dell’istituto di credito toscano entra nella fase cruciale. Già questa mattina la Guardia di Finanza potrebbe consegnare al procuratore Roberto Rossi la relazione di Bankitalia con l’esito del procedimento disciplinare aperto nei confronti dell’ex presidente Lorenzo Rosi, del suo vice Pierluigi Boschi - padre della ministra per le Riforme Maria Elena - e dai componenti del consiglio di amministrazione in carica prima del commissariamento avvenuto nel febbraio scorso.

La valutazione degli illeciti
Si tratta dell’esito dell’ultima ispezione che prelude all’emissione delle sanzioni. Il magistrato dovrà valutare se gli illeciti amministrativi abbiano anche un profilo penale, come del resto è già accaduto per lo stesso Rosi e per il consigliere Luciano Nataloni, indagati per conflitto di interessi sulla base delle contestazioni di Palazzo Koch. L’attenzione degli inquirenti di Arezzo rimane concentrata sui vertici della Banca e sul management. La valutazione su eventuali omissioni commesse da Bankitalia e dalla Consob è invece competenza della Procura di Roma che già da tempo ha aperto un fascicolo sulla vicenda, ma finora non ha formulato alcuna ipotesi di reato.

Peggior rating
Si parte dalle operazioni spericolate che hanno provocato un «buco» di tre miliardi di euro e si arriva all’emissione delle obbligazioni. I magistrati dovranno valutare se i piccoli risparmiatori fossero stati adeguatamente informati dei rischi che correvano. Secondo l’agenzia Fitch - che nel febbraio 2012 assegnò a Etruria un rating (speculativo) di BB+, il peggiore tra tutte le medie banche italiane - già a fine 2011 i crediti «malati» erano il doppio rispetto alla media delle altre banche. Una situazione nota agli investitori professionali che erano restii a comprare se il rendimento era inferiore al 7 per cento e questo avrebbe provocato la decisione di spostare l’interesse sui piccoli risparmiatori che invece erano nella maggior parte dei casi ignari della situazione reale.

21 dicembre 2015 | 07:27
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_dicembre_21/banca-etruria-pm-relazione-bankitalia-arrivo-nuovi-indagati-2684cad8-a7aa-11e5-927a-42330030613b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. PopEtruria, i verbali manipolati per nascondere le ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 29, 2015, 12:21:32 pm
L’indagine

PopEtruria, i verbali manipolati per nascondere le maxiperdite
Dati falsi per nascondere le perdite, e conflitti d’interessi non dichiarati.
Così i consiglieri aggiustavano le decisioni. L’ispezione di Bankitalia nell’istituto: «Il consiglio ha per lo più ratificato scelte e decisioni assunte in altre sedi»

Di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Verbali contenenti dati falsi per nascondere le perdite. Resoconti delle riunioni del consiglio di amministrazione, poi commissariato nel febbraio scorso, «omissate» per occultare i possibili conflitti di interesse. Le accuse degli ispettori della Vigilanza ai vertici di Banca Etruria evidenziano irregolarità che dovranno essere adesso valutate dai magistrati titolari delle due inchieste già aperte: il procuratore di Arezzo Roberto Rossi che indaga sul dissesto e il pubblico ministero di Civitavecchia Alessandra D’Amore che si occupa delle obbligazioni dopo il suicidio di Luigi D’Angelo, pensionato che aveva perso 110mila euro. Illeciti elencati nel procedimento disciplinare che potrebbero essere contestati anche penalmente. Perché, evidenziano i funzionari di Bankitalia, «ci sono stati ben cinque verbali di rilievo dell’Internal audit tra dicembre 2013 e maggio 2014 ma insufficiente attenzione è stata prestata dagli organi aziendali alle indicazioni scaturenti dalle verifiche effettuate dallo stesso organismo».

Numeri falsi sulle «sofferenze»
La relazione prende in esame ogni aspetto patrimoniale dell’Istituto di credito e naturalmente si sofferma sulle cause del «buco» nei bilanci che ha raggiunto quota tre miliardi di euro, ma anche su quello che si sarebbe dovuto fare per tentare di arginare le perdite. Ma soprattutto evidenzia quello che è stato fatto per nascondere la situazione reale. Scrivono gli ispettori: «Le analisi ispettive hanno posto in luce significative carenze nella gestione documentale delle partite deteriorate. L’ Internal audit ha sottoposto a verifica un campione di «sofferenze» di importo inferiore a 50mila euro e di «incagli». È emerso che: con riferimento alle «sofferenze» il 57 per cento dei rapporti (307 posizioni su 539) non risultava allineato alla policy aziendale di svalutazione vigente fino al 29 dicembre 2014; per quel che riguarda gli «incagli», il 20 per cento dei rapporto (53 su 264) era da riclassificare a sofferenza mentre, con riguardo alle rettifiche di valore, il 37 per cento (98 posizioni) non risultava allineato alle regole interne.

Le «omissioni» nei verbali
Secondo i funzionari della Vigilanza «il consiglio di amministrazione ha per lo più ratificato scelte e decisioni che sono state assunte in altre sedi». Per questo evidenziano come la «Commissione consiliare informale» composta dal presidente Lorenzo Rosi, dai vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi - padre della ministra per le Riforme Maria Elena - e dai consiglieri Felice Santonastaso, Luciano Nataloni e Claudio Salini - presidente anche della «controllata» Banca Federico Del Vecchio - che «insieme ai consulenti ha determinato i percorsi da intraprendere in merito al processo di integrazione e le condizioni alle quali esso si sarebbe potuto realizzare. L’assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale “Commissione” ha concorso a rendere poco trasparente il percorso decisionale». Non solo. Nel capitolo relativo al conflitto di interessi già contestato anche in sede penale a Rosi e Nataloni per aver «omesso di dichiarare che alcune società destinatarie dei finanziamenti concessi da Etruria erano a loro riconducibili», i funzionari della Vigilanza paventano la possibilità che in realtà i vertici fossero perfettamente a conoscenza della situazione. E infatti nel dossier sottolineano: «In alcune sedute del Cda e del Comitato esecutivo si è riscontrata una generica enunciazione nella parte del verbale di “fattispecie ex art.2391) (che appunto punisce chi ha un doppio ruolo e non lo rende noto ndr ), priva tuttavia dei necessari elementi informativi, in particolare la natura, i termini, le origini e la portata degli interessi». Inoltre in tutti i casi in cui le deliberazioni venivano assunte a una livello decisionale inferiore (ad esempio nel Comitato crediti), la possibilità di esercitare ogni forma di controllo era esclusa ex ante».

28 dicembre 2015 (modifica il 28 dicembre 2015 | 12:25)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_28/popetruria-verbali-manipolati-nascondere-maxiperdite-e5be8c68-ad2c-11e5-9cdb-e2ca218c6ee2.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’emergenza migranti
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 25, 2016, 11:30:14 am
L’emergenza migranti
L’intesa Roma-Berlino su Schengen «Per sospenderlo servirà il sì di tutti»
La proposta al vertice dei ministri dell’Interno Ue ad Amsterdam: chi vorrà sospenderlo dovrà concordare l’iniziativa con gli altri Paesi. L’alternativa, gradita alle nazioni del Nord Europa, è la sospensione di 2 anni dell’accordo sulla libera circolazione

Di Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

Lo Stato che vuole ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere dovrà concordare l’iniziativa con gli altri Paesi dell’Unione. In questo modo si creerà un tavolo di coordinamento per evitare iniziative estemporanee che mettono in difficoltà gli altri partner e rischiano di far saltare l’intero sistema. L’ultimo tentativo per tenere in vita il Trattato di Schengen passa dalla proposta, informale, che sarà formulata oggi da Italia e Germania. Al Consiglio dei ministri dell’Interno che si svolge ad Amsterdam, si cercherà una mediazione con chi difende la «linea dura» ponendo come priorità la «blindatura» dei confini esterni. L’alternativa, se non si riuscirà a trovare una soluzione, è la sospensione per due anni dell’accordo sulla libera circolazione. Una possibilità che Roma cerca in ogni modo di contrastare fidando proprio sull’appoggio di Berlino, visto che due giorni fa è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, a dire che «distruggere il sistema Schengen vuol dire mettere l’Europa drammaticamente in pericolo, dal punto di vista politico ed economico». Il pericolo è fin troppo evidente: un’invasione sulle nostre coste con l’apertura di nuove rotte dall’Albania e dal Montenegro e una nuova impennata dalla Libia. I segnali sono già inquietanti: negli ultimi tre giorni sono sbarcati più di mille migranti. Anche il 2016 si annuncia come un anno drammatico per la gestione dei flussi migratori e il blocco di alcuni Stati può stringere l’Italia in una vera e propria morsa.


L’asse del Nord
Danimarca, Austria e Svezia hanno già chiuso i confini con un provvedimento unilaterale provvisorio e, con l’appoggio di Polonia e Ungheria, insisteranno per una sospensione di Schengen per almeno due anni. A maggio i controlli alle loro frontiere dovranno infatti essere interrotti e questo ha alimentato l’ipotesi che vogliano creare una sorta di mini Schengen alla quale parteciperebbero la Germania (che ha preso un provvedimento analogo giustificandolo come necessario di fronte alle iniziative dei Paesi confinanti) e il Belgio, anche se gli analisti sono scettici e ritengono si tratti esclusivamente di una forma di pressione nei confronti di Italia e Grecia affinché rendano operativi i centri di identificazione, i cosiddetti «hotspot» sui quali la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di voler «prestare attenzione». Domenica il commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha smentito in maniera categorica - «non esiste alcun piano di questo tipo» - l’ipotesi anticipata dal Financial Times di una estromissione di Atene dall’area Schengen e il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha rincarato la dose: «Le soluzioni come l’esclusione di alcuni Stati non risolvono nulla». Una posizione sostenuta dai socialisti europei con il presidente del gruppo al Parlamento europeo, Gianni Pittella, che sottolinea come «qualsiasi ipotesi di mini Schengen o di isolamento della Grecia è assolutamente inaccettabile. Invece di velleitarie scorciatoie solitarie gli Stati membri mettano in pratica le decisioni del Consiglio. È l’unico modo per salvare l’Europa da se stessa».

L’appoggio dell’Onu
Sono diverse le questioni all’ordine del giorno di lunedì e tra le principali c’è quella riguardante l’accordo di Dublino con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che chiederà nuovamente la modifica di quella norma che obbliga i richiedenti asilo a registrarsi nel Paese di primo ingresso. L’obiettivo è infatti una distribuzione equa all’interno dell’Unione e uno snellimento delle procedure di registrazione. «Noi stiamo facendo la nostra parte - sottolinea il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico - e per questo ci auguriamo che non prevalgano gli egoismi nazionali. Se dovesse cadere il trattato di Schengen saremmo costretti a rivolgerci all’Onu visto che noi abbiamo la responsabilità della difesa del Mediterraneo. Importante è trovare un’intesa su tutti i punti in discussione, tenendo conto che anche sugli hotspot abbiamo rispettato tutte le richieste». Con il via libera alle sue istanze, l’Italia potrebbe a sua volta versare la propria quota per il finanziamento di tre miliardi alla Turchia dove, dall’inizio del conflitto, sono già transitati due milioni di siriani. Si tratta di 280 milioni di euro che dovrebbero però essere scomputati dalla legge di Stabilità, come si è impegnato a fare la scorsa settimana il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, nel pieno dello scontro tra Italia e Ue sui migranti, ma anche su tutti gli altri temi in agenda, con un’attenzione particolare ai provvedimenti sulle banche, e sulla flessibilità.

25 gennaio 2016 (modifica il 25 gennaio 2016 | 08:55)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_gennaio_25/intesa-roma-berlino-schengen-per-sospenderlo-servira-si-tutti-3f85a48e-c330-11e5-b326-365a9a1e3b10.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Intercettazioni, Guidi al compagno: «Metteremo quella ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 02, 2016, 11:04:40 am
Le carte dell’inchiesta

Intercettazioni, Guidi al compagno: «Metteremo quella norma al Senato se Maria Elena è d’accordo»
E lui avvisa il dirigente Total: le confermo, Tempa Rossa inserita come emendamento
Parla anche del governatore Pittella: tramite il fratello, ha contatti fortissimi con Renzi


Di Fiorenza Sarzanini

La chiave della storia è nell’sms che Gianluca Gemelli invia al dirigente della Total Giuseppe Cobianchi il 13 dicembre 2014: «Le confermo che Tempa Rossa è stata definitivamente inserita come emendamento del governo nella legge di stabilità. Buon we. Gianluca». Il governo ha dunque dato il via libera, l’affare si può concludere.

Il decreto del governo
Per i magistrati di Potenza è la prova che l’imprenditore «riusciva, per il proprio tornaconto personale e per la buona riuscita dei propri affari, ad utilizzare il ruolo istituzionale ricoperto dalla propria compagna, il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi». Ma non solo. Perché l’ordinanza di arresto dei dirigenti dell’Eni svela come il progetto da realizzare in Puglia fosse in realtà finito all’attenzione di vari membri del governo, tanto che Guidi parla di un accordo con la responsabile per le Riforme Maria Elena Boschi. E negli atti processuali emerge anche il ruolo del sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, che si mette a disposizione di uno degli imprenditori indagati e di alcuni amministratori locali promettendo assunzioni.

«Passa l’emendamento»
Entrare nel progetto «Tempa Rossa» per Gemelli — titolare della società «Its Srl» e «Ponterosso Engeneering» — è di vitale importanza. La sua compagna lo sa bene, ma nonostante il suo interessamento, l’emendamento al decreto «Sblocca Italia» che può fornire il via libera, viene bocciato il 17 ottobre 2014. Lei comunque non si arrende. E il 5 novembre, in una telefonata intercettata, lo rassicura: «Dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Mariaelena (il ministro Boschi, specificano gli investigatori) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte». Lui si informa se riguarda i suoi amici della Total: «Quindi anche coso, vabbè i clienti di Broggi». Lei conferma: «Eh certo, capito? Te l’ho detto per quello».

«Boschi ha accettato»
Gemelli a questo punto informa i suoi interlocutori, i dirigenti della Total che devono concedergli i subappalti, e all’ingegner Cobianchi dice: «La chiamo per darle una buona notizia... si ricorda che tempo fa c’è stato casino, che avevano ritirato un emendamento... pare che oggi riescano ad inserirlo nuovamente al Senato, pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni... che pare... siano d’accordo tutti...perché la Boschi ha accettato di inserirlo... è tutto sbloccato! (ride, ndr)...volevo che lo sapesse in anticipo! mi hanno chiamato adesso... e quindi siamo a posto!». Cobianchi mostra soddisfazione: «Mi sta parlando di Taranto? Vabbè intanto la ringrazio dell’anticipazione, speriamo vada a finire così». Anche nei giorni successivi Gemelli «dimostra una conoscenza approfondita delle dinamiche che regolavano le decisioni che avrebbero dovuto essere assunte in seno al Parlamento perché afferma: “Ci stanno provando, ci stanno provando, mi creda, c’è da leggere, ci sarà da leggere lo Sblocca Italia che dovrebbe andare oggi alle sei. Hanno messo la fiducia e quindi speriamo che esce fuori, perché ci sono le correzioni fino all’ultimo secondo. Non si sta capendo niente, mi creda, non si sta capendo nulla”».

Riunione dal ministro
Le trattative politiche e imprenditoriali sono evidentemente serrate. Il 19 novembre Cobianchi informa un amico di quanto è accaduto. Annotano gli investigatori: «Fa cenno ad una riunione presso il Ministero per lo Sviluppo Economico (rilevano i chiari riferimenti, alla presenza oltre che del Ministro, anche del sottosegretario Simona Vicari). Nel corso della conversazione, Cobianchi rappresentava che Nathalie (Nathalie Limet, amministratore delegato Total ndr) aveva rappresentato al Ministro il problema su Taranto, e che quest’ultimo aveva riferito che avrebbe convocato le Regioni Basilicata e Puglia per risolvere il problema. Il 26 novembre successivo, commentavano ancora i due, si sarebbero tenute due distinte riunioni, prima con Eni e poi con Total. Cobianchi affermava che il Ministro avrebbe detto che li avrebbe messi ad un tavolo e li avrebbe “stanati”. A tal proposito Cobianchi aggiungeva che Pittella era favorevole alle estrazioni».

Renzi e Pittella
Il riferimento è al presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella. Del suo ruolo Gemelli parla in una conversazione con Cobianchi. È scritto nell’ordinanza: «Gemelli si soffermava sul ruolo politico assunto da Pittella, e sui contatti “forti” che il fratello di questi, europarlamentare (Gianni ndr), aveva con l’attuale Premier Renzi. E affermava: “ma lui tramite il fratello che è al Parlamento europeo, eccetera, ha dei contatti fortissimi con Renzi e quindi riesce a bloccare cose che ...(ride ndr)... che altri non ci arriverebbero, ma comunque...! Speriamo che comunque funzioni questo Sblocca Italia, si sblocca un pochettino tutto, perché guarda che... gli ultimi investimenti che ci sono in Italia sono i vostri, cioè è inutile che stanno andando a guardare a destra e a sinistra... cioè, gli unici investimenti sono quelli sul petrolio e ce li avete voi... poi se vogliamo far fallire il nostro Paese, andiamo avanti così...”. Un cenno ai due fratelli Pittella, Gemelli lo avrebbe fatto a distanza di tempo anche insieme alla propria compagna, il Ministro Guidi Federica, allorché i due avevano appreso da terze fonti la notizia delle indagini in corso da parte della Procura che potevano in qualche modo interessare pure Gemelli proprio in relazione ai lavori da costui ottenuti in Basilicata)».

31 marzo 2016 (modifica il 1 aprile 2016 | 12:11)
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Da - http://www.corriere.it/politica/16_marzo_31/intercettazioni-guidi-compagno-metteremo-quella-norma-senato-se-maria-elena-d-accordo-2276479c-f77c-11e5-bb62-9cf2392b520a.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le indagini Le carte Veleni e tensioni dentro il governo
Inserito da: Arlecchino - Aprile 08, 2016, 08:57:37 pm
Le indagini Le carte
Veleni e tensioni dentro il governo
Un dossier con foto contro Delrio
Le guerre interne all’esecutivo per la gestione degli affari.
Le mosse di Guidi per agevolare le aziende del compagno e le lamentele per le «pressioni» che deve subire dai colleghi.
E in alcune sfuriate si scaglia contro De Vincenti e Lotti

Di Fiorenza Sarzanini

Veleni e ricatti all’interno del governo. Fino alla creazione di un dossier contro il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Gli atti dell’inchiesta della procura di Potenza rivelano. E delineano il ruolo del ministro per lo Sviluppo Economico Federica Guidi che si muove per agevolare le aziende del compagno Gianluca Gemelli, ma si lamenta anche delle «pressioni» che deve subire dai colleghi. E in alcune sfuriate si scaglia contro il suo ex vice Claudio De Vincenti, contro il sottosegretario alla presidenza Luca Lotti, dà giudizi poco lusinghieri anche su come è stato scelto il titolare dell’Economia Piercarlo Padoan. Attacca quei componenti del comitato d’affari che definisce il «quartierino». È il 29 gennaio 2015. Gemelli parla con Walter Pastena, prima funzionario della Ragioneria e poi consulente allo Sviluppo Economico, collaboratore di Guidi, dell’imminente nomina del capo dello Stato e di un possibile rimpasto di governo. Annotano gli investigatori della squadra mobile: «Gemelli e Pastena commentano inizialmente la possibile nomina a Presidente della Repubblica di Mattarella.

Gemelli domanda se all’esito di tutto ci sarà un rimpasto

Gemelli domanda se all’esito di tutto ci sarà un rimpasto pesante e se si faccia già il nome di Federica (Guidi). Pastena dice che l’intenzione è quella di fare un’unica infornata delle persone che non sono sottomesse a Renzi». La conversazione continua su interessi personali. Fino a svelare l’esistenza di un dossier con foto contro Delrio.

Gemelli: Io vengo mercoledì e sto fino a venerdì, giovedì, venerdì, quindi problemi non ce n’è però dobbiamo organizzare in fretta quella cosa!

Pastena: allora ci organizziamo...intanto la andiamo a trovare... io ti devo parlare da vicino, molto da vicino... addirittura ti puoi togliere pure qualche sfizio... ma serio ti puoi togliere qualche sfizio ... eh? tieni conto che i Carabinieri prima che tu venissi là, sono venuti a portarmi il regalo in ufficio, perché tu non stai attento. Hai visto il caso di Reggio Emilia? Finito sto casino usciranno le foto di Delrio Cutro con i mafiosi... Tu non ti ricordi quello che io ti dissi, che c’era un’indagine, quelli che hanno arrestato a Mantova, a Reggio Emilia, i Cutresi, quelli della ‘ndrangheta no, te l’ho detto, perché chi ha fatto le indagine è il mio migliore amico, e adesso ci stanno le foto di Delrio con questi.

Gemelli parla dei contrasti interni al governo

Pochi giorni prima, il 14 gennaio 2015, parlando con Franco Broggi, capo ufficio appalti della Tecnimont, Gemelli parla dei contrasti interni al governo. Scrivono i poliziotti: «Gemelli continuava a spiegare di aver messo “in croce” Federica (Guidi), dicendole di fregarsene di tutti (e vedremo come con “tutti” Gemelli intendeva riferirsi ai vari Andrea Guerra, Luca Lotti, ecc.) e di pensare solo ad una persona (riferendosi ovviamente allo stesso Broggi); ed un riferimento lo faceva pure ai vari Montante (Montante Antonello, Presidente Confindustria Sicilia) e Quinto Paolo (capo segretaria della senatrice Anna Finocchiaro)».

«Allora, Federica l’ho messa in croce»

Dice Gemelli: «Ti volevo solo dire quello che sto facendo... Allora, Federica l’ho messa in croce, gli ho detto “senti, figlia mia”, ma io non perché anche l’hanno fatta incazzare Renzi, poi c’è ‘sto testa di c... di questo qua di Luxottica, come si chiama, Andrea Guerra che glielo hanno messo a controllare la cosa dell’acciaieria e l’Ilva! E le stanno rompendo...ho detto “senti tu mollali”, ora c’è Montezemolo che vuole prendersi l’Ice però sotto la Presidenza del Consiglio, no sotto il Ministero dello Sviluppo Economico, voleva fare la guerra di crociate, gli ho detto “senti fammi ‘na cortesia , sta cosa, guarda, se tu metti una combinazione, Renzi - Montezemolo, due che mezzora di lavoro nella loro vita non l’hanno mai fatta e che devono... Non solo questo, però m’ha detto: “Gianlu io c’ho Luca Lotti che mi sta massacrando su ogni cosa di queste ci mette il becco”. Dico, “tu non ti preoccupare».

«Tu pensi sempre che qui le cose si facciano perché c’è...»

Il sedici giugno 2015 Guidi cerca di rassicurare il compagno su altri affari che potrebbe sloccare. E lo informa: «Tu pensi sempre che qui le cose si facciano perché c’è... Allora, io se riesco a mantenerlo, perché domani Renzi ha convocato una riunione alle otto a Palazzo Chigi, quella con Lotti di domani la devo riprogrammare, sperando di riuscire a metterla fra domani e giovedì, prima di andare via... quella roba lì, di cui abbiamo parlato, passa attraverso un’impostazione che finché non riesco a parlare con loro, con lui e con Claudio, non so che piega prenderà, di tutto il mondo che ruota attorno alle società Gse».

«Guidi ribadiva che De Vincenti era la sua rovina»

L’indagine «ha accertato che Gemelli nel gestire (in maniera più o meno lecita) i propri affari, curava gli interessi di un intero, determinato “gruppo” di soggetti stabilmente dediti e decisi a “manovrare” decisioni e procedure che Guidi definisce “combriccola”, “clan”,” quartierino”. Scrivono i poliziotti: «Guidi ribadiva che De Vincenti era la sua rovina, che doveva stare molto attenta a lui, perché sapeva tutto, ed aggiungeva “però siccome è diciamo amico di quel tuo clan lì... prova a prenderci le misure anche tu Gianluca. Gemelli affermava che il soggetto non aveva niente a che dividere con lui. Guidi gli rispondeva “... no, non ha niente a che dividere, ma te e la fida amica Finocchiaro». E ancora: «Sai chi lo ha messo lì Padoan; Innocenti, l’hai capito chi glielo ha messo Padoan? Sempre quel quartierino lì. Oltre al fatto che si conoscono perché andavano a scalare insieme da vent’anni, lui De Vincenti e Padoan... ma glielo ha messo sempre quel quartierino lì... Quelle pedine, cioè De Vincenti da me, non è un caso, non è per farmi un favore, perché De Vincenti è bravo, capito? Come non hanno messo lì Piercarlo per fare un favore a Matteo, perché Piercarlo è bravo”».

6 aprile 2016 (modifica il 7 aprile 2016 | 10:05)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_aprile_07/tempra-rossa-potenza-nuove-carte-veleni-tensioni-dentro-governo-2262f674-fc3b-11e5-a926-0cdda7cf8be3.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Popolare di Vicenza: la Finanza passa al setaccio la sede
Inserito da: Arlecchino - Giugno 26, 2016, 05:01:02 pm
Terremoto Popolare di Vicenza: la Finanza passa al setaccio la sede
Indagati i vertici.
Nel mirino i finanziamenti concessi tra il 2012 e il 2014 e i fondi concessi al gruppo che fa capo al candidato sindaco di Roma, Alfio Marchini

Di Fiorenza Sarzanini

Acquisizione di tutta la documentazione relativa ai finanziamenti concessi tra il 2012 e il 2014. È questa la delega concessa alla Guardia di Finanza dai magistrati di Vicenza che indagano sul dissesto della Popolare di Vicenza. Le perquisizioni sono scattate questa mattina e nel provvedimento viene specificato che «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato». Il riferimento è ai manager della vecchia gestione finiti nel registro degli indagati: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta.

Le indagini affidate agli specialisti del Nucleo valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo e quelli del Tributario coordinati dal colonnello Fabio Dametto hanno già consentito di ricostruire il flusso dei finanziamenti concentrandosi su quelli particolarmente onerosi. Sono così emersi i fondi concessi al Gruppo che fa capo all’imprenditore Alfio Marchini, candidato sindaco a Roma alle ultime due tornate elettorali, al gruppo Fusillo e al gruppo Degennaro. In particolare Marchini, così come risulta anche dalle ispezioni effettuate dalla Bce ha ottenuto alla fine del 2014 un totale di € 76,2 milioni di euro; i fratelli Emanuele, Giovanni e Vito Fusillo hanno avuto 10, 3 milioni di euro; i Degennaro sono stati invece finanziati con 27,75 milioni di euro.

Le ispezioni avevano anche evidenziato come «per tutte le operazioni di investimento in titoli di debito sarebbe stata necessaria l’approvazione del Cda»; da un punto di vista creditizio, invece, l’effetto combinato dell’esposizione in essere e della nuova esposizione assunta tramite il titolo di debito avrebbe innalzato il livello di approvazione richiesto. Gli investimenti in azioni avrebbero dovuto seguire l’iter ordinario previsto per gli acquisti di partecipazioni, i.e. la delibera del cda previo parere del Comitato Partecipazioni (nonché del Comitato degli amministratori indipendenti, in caso di conflitto di interessi).

21 giugno 2016 (modifica il 21 giugno 2016 | 10:32)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_giugno_21/terremoto-popolare-vicenza-finanza-passa-setaccio-sede-850cb1d0-377c-11e6-ad05-6c8e02b5840c.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’ondata di migranti dalla Sicilia alla Liguria e il ...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 09, 2016, 06:16:55 pm
IL DOSSIER SICUREZZA
L’ondata di migranti dalla Sicilia alla Liguria e il sospetto di una «regia»
Il Viminale: gli antagonisti stanno sfruttando il caos.
Agli stranieri avrebbero suggerito di dirigersi subito alla frontiera italo-francese.
Il rischio è che la situazione possa degenerare


  Di Fiorenza Sarzanini

Potrebbe esserci una strategia dietro il continuo arrivo di migranti a Ventimiglia. Le verifiche effettuate dalla polizia sull’aumento delle presenze nell’area del valico con la Francia fanno emergere un flusso che dalla Sicilia porta direttamente in Liguria. Anche per questo si è deciso di intensificare i controlli, e soprattutto la vigilanza, in tutta la zona dove ormai da oltre un mese stazionano gli stranieri. E di farlo con pattuglie miste italo-francesi proprio per poter garantire un maggiore controllo del territorio con un sistema simile a quello applicato per i tifosi in occasione delle partite ad alto rischio. Il rischio è che la situazione possa degenerare, soprattutto dopo la decisione della Svizzera di applicare le norme sui respingimenti che di fatto stringe l’Italia in una morsa, visto che l’Austria ha già da tempo sospeso il trattato di Schengen.

Cento uomini al giorno
Tra gli stranieri accampati sugli scogli — molti sono sudanesi — c’è chi avrebbe addirittura ammesso di aver ricevuto il suggerimento di dirigersi direttamente alla frontiera con la rassicurazione che non ci sarebbero stati problemi per attraversarla. Le indagini avviate riguardano sia i terminali delle organizzazioni criminali che gestiscono gli spostamenti di chi ha pagato per arrivare in Italia e spesso per raggiungere altri Stati dell’Europa, sia i «No borders» che avrebbero deciso di sfruttare questi movimenti proprio per la loro protesta. Il potenziamento del dispositivo di sicurezza prevede anche un incremento dell’attività di prevenzione antiterrorismo. I responsabili dell’ordine pubblico hanno pianificato un presidio di 100 agenti al giorno, che ieri sono diventati 200 in occasione della prevista manifestazione dei «No borders».

Il doppio filtraggio
Uno spiegamento eccezionale nel timore che la situazione possa all’improvviso degenerare, ma anche che l’affollamento possa consentire a qualcuno determinato a compiere un’azione eclatante di mescolarsi tra la folla e poi agire. Un’eventualità che si è dimostrata più che possibile analizzando il video girato il 4 ottobre 2015 che mostrava l’attentatore di Nizza Mohamed Lahaouiej Bouhlel mentre protesta insieme ad altri migranti nel corso di una manifestazione organizzata proprio dai «No borders». Del resto sono state proprio le indagini sulla strage della Promenade ad aver dimostrato i continui passaggi dello stesso Bouhlel e dei suoi presunti complici tra la Francia e l’Italia. I poliziotti italiani e francesi si muovono dunque in maniera coordinata. Il sistema applicato è quello del doppio filtraggio, che prevede un primo controllo nelle stazioni dove i manifestanti e i migranti arrivano. E una seconda verifica prima che si avvicinino all’area del confine. Alcuni riescono a passare la frontiera a bordo dei treni che vanno verso nord e poi tornano indietro a piedi o in macchina proprio nella speranza di sfuggire all’identificazione. Ma sono davvero pochi quelli che riescono nell’impresa. Altri arrivano direttamente in pullman o in auto.

La protesta violenta
Una segnalazione ha consentito domenica di bloccare tredici persone (tra cui due italiani) che si accingevano a partecipare alla protesta. I sei fermati (cinque francesi e un’italiana) armati di mazze e armi da taglio facevano parte proprio di questo gruppo. Ieri la manifestazione è stata sospesa, la sensazione dei responsabili della sicurezza è che l’emergenza sia però tutt’altro che conclusa. Anche perché la chiusura di tutti i valichi che consentono il transito verso i Paesi del Nord sta facendo salire la tensione tra quei migranti che avevano ricevuto l’assicurazione di poter raggiungere i propri parenti fuori dall’Italia. Accade a Ventimiglia, ma accade anche a Como e nelle zone vicine con una tensione che cresce di ora in ora. La polizia sta organizzando «sfollamenti» di 50 migranti al giorno — soprattutto quelli che vengono «riconsegnati» dalle autorità francesi — in modo da trasferirli al Sud in attesa del rimpatrio o reinserirli nel circuito dell’accoglienza. Con un impegno straordinario che alla fine coinvolge migliaia di agenti.

7 agosto 2016 (modifica il 7 agosto 2016 | 23:56)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/16_agosto_08/gli-arrivi-migranti-sicilia-liguria-sospetto-una-regia-bdb864d8-5cdf-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Breve e chiara cronistoria del caso Muraro
Inserito da: Arlecchino - Settembre 07, 2016, 11:58:23 am
Breve e chiara cronistoria del caso Muraro

Corriere della Sera, martedì 6 settembre 2016

Il 2 agosto scorso, mentre infuriava la polemica sul «caso Muraro», Virginia Raggi partecipò a una cena con il «direttorio» del Movimento 5 stelle. Tra gli argomenti affrontati, come fu specificato all’epoca, c’era proprio il ruolo del neoassessore all’Ambiente. Paola Muraro era infatti sotto attacco per la consulenza da oltre un milione di euro ottenuta dall’Ama, municipalizzata dei rifiuti a Roma, e soprattutto per i suoi rapporti con gli ex vertici Franco Panzironi e Giovanni Fiscon, imputati nel processo di «Mafia Capitale». Ma anche per i legami con l’ex ras dei rifiuti a Roma Manlio Cerroni, pure lui sotto processo e indagato nel nuovo filone d’inchiesta avviato dalla Procura di Roma. Ecco perché appare incredibile che Raggi non abbia informato i vertici del partito, come invece sostengono loro, che Muraro era indagata. Anche tenendo conto che Raggi avrebbe confidato a qualcuno di avere una mail che avvalora la sua versione. Ed ecco perché appare importante, per sapere chi mente, ricostruire quanto accaduto a partire dal 18 luglio.

L’istanza alla procura
Quel giorno Muraro presenta una richiesta formale alla procura di Roma, come previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale, per conoscere la propria posizione processuale. E scopre di essere indagata per «gestione illecita di rifiuti» nel fascicolo del pubblico ministero Alberto Galanti sull’attività di Ama e delle ditte che fanno capo a Cerroni. I filoni di inchiesta sono tre, riguardano la gestione degli impianti per lo smaltimento della spazzatura, gli appalti concessi, i contratti stilati da Ama negli ultimi anni. Subito dopo Muraro informa la sindaca, che evidentemente le rinnova la propria fiducia.
Alle 15.30 di quel giorno in Campidoglio inizia una riunione tra Raggi e il cosiddetto «minidirettorio». Partecipano la senatrice Paola Taverna, l’eurodeputato Fabio Massimo Castaldo e il consigliere regionale del Lazio Gianluca Perilli. All’ordine del giorno c’è la discussione sulla prima riunione operativa della giunta prevista per il giorno successivo.

Il Campidoglio
Nei giorni successivi il «caso Muraro» monta. Il 26 luglio l’assessore compie infatti un blitz in Ama con telecamere al seguito e arriva allo scontro diretto con il presidente Daniele Fortini, che poche ore dopo annuncia le proprie dimissioni. Si scopre che la donna è stata consulente dell’azienda per dodici anni, collaboratrice fidata di Panzironi e Fiscon.
Il 31 luglio la sindaca rinnova pubblicamente la propria fiducia all’assessore: «Sta facendo un ottimo lavoro». Entrambe, incalzate più volte sulla possibilità che Muraro sia indagata, negano categoricamente. Eppure all’interno del Campidoglio hanno già informato almeno il capo di gabinetto Carla Raineri «per decidere che cosa fare», come ammette adesso la stessa Raggi. L’indagine prosegue, viene fuori che agli atti di «Mafia Capitale» ci sono tre telefonate tra Muraro e Salvatore Buzzi, ritenuto il capo dell’organizzazione mafiosa insieme con Massimo Carminati.

I vertici a cena
Il 2 agosto viene organizzata una cena. Raggi viene accompagnata dal suo vice Daniele Frongia. Per il Movimento ci sono Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. Il «caso Muraro» è l’argomento che monopolizza l’attenzione di tutti. Se davvero Raggi non ha informato gli altri dell’iscrizione nel registro degli indagati rischia di essere espulsa, visto che le regole dei 5 Stelle prevedono la trasparenza totale in materia di procedimenti giudiziari. Se invece l’ha fatto bisognerà sapere perché si è deciso di mantenere la notizia segreta.
Resta il fatto che il 4 agosto, Beppe Grillo, Di Battista, Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia lanciano un «hashtag» ed un post sul blog dello stesso Grillo «per difendere il sindaco di Roma da retroscena e notizie false sui rapporti con Virginia e assessori nel tentativo di screditare l’operato del sindaco e nella speranza (vana) di spaccarci». Il titolo scelto per «fare squadra» è eloquente: «Siamo tutti con Virginia». Difficile credere che non fossero tutti d’accordo.

Fiorenza Sarzanini

http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=57ce676824165


Titolo: Fiorenza SARZANINI. L’operazione “Eye pyramid”
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 12, 2017, 12:37:26 pm

L’operazione “Eye pyramid”
Cyberspionaggio, spiati politici e istituzioni: la Polizia arresta ingegnere nucleare e la sorella
Smantellata una centrale che per anni ha raccolto notizie riservate e dati sensibili

Di Fiorenza Sarzanini

Erano riusciti a introdursi nella casella di posta personale di Matteo Renzi e del partito democratico, Giulio Occhionero e la sorella Francesca, arrestati dalla polizia per aver effettuato attività di spionaggio e dossieraggio. Anche Mario Draghi risulta tra le personalità finite sotto intercettazione abusiva. Personaggi della finanza e politici e spiati, sistemi informatici violati, attività di dossieraggi nei confronti di cariche istituzionali: sono le accuse della magistratura romana nei confronti di Occhionero, un ingegnere informatico e di sua sorella arrestati lunedì per procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico aggravato ed intercettazione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche. L’indagine svolta dagli specialisti della polizia postale denominata “Eye Pyramid” ha consentito di «individuare una centrale di cyberspionaggio».

Nei confronti di Occhionero e della sorella, entrambi noti personaggi dell’alta finanza capitolina, gli investigatori «hanno acquisito - come viene specificato nella nota della polizia - concreti elementi probatori in merito ad attività criminali da loro pianificate e condotte, consistenti nella gestione di una botnet con finalità di cyber spionaggio in danno di Istituzioni e Pubbliche Amministrazioni, politici di spicco, studi professionali e soggetti di rilievo nazionale».

Secondo l’accusa i due hanno utilizzato «una estesa rete di computer preliminarmente infettati tramite la diffusione di un malware denominato EYEPYRAMID (dal quale prende anche il nome l’operazione), e per anni acquisito dalle numerosissime vittime prescelte notizie riservate, dati sensibili, informazioni, gelosamente custodite su impianti informatici statunitensi, ora sequestrati dagli operatori della Polizia Postale, grazie al prezioso ausilio dei colleghi della Cyber Division dell’F.B.I. statunitense e che consentiranno di accertare quali e quanti dati siano stati illecitamente sottratti.

Le complesse indagini condotte dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, protrattesi per diversi mesi, hanno consentito di individuare una rete botnet molto ben strutturata, frutto di un attacco informatico del tipo APT (Advanced Persistent Threat), ingegnerizzato ad hoc sfruttando un malware particolarmente insidioso, capace di far acquisire da remoto il controllo del sistema informatico bersaglio, e consentire la massiva sottrazione dei contenuti dei pc colpiti. Si legge nel comunicato della polizia: «Tra gli osservati dall’ “Occhio della Piramide” gli appartenenti ad una loggia massonica, archiviati sotto la sigla “BROS” (fratelli) in una cartella piazzata in una delle numerose drop zone all’estero. Con la sigla “POBU” (Politicians Business), invece, venivano catalogati gli esponenti politici target del sodalizio criminale».

10 gennaio 2017 (modifica il 10 gennaio 2017 | 11:43)
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DA - http://www.corriere.it/cronache/17_gennaio_10/politici-spiati-eye-pyramid-polizia-eec9fdb0-d715-11e6-94ea-40cbfa45096b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Ora anche Romeo è sotto inchiesta Accusa di abuso d’ufficio
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 07, 2017, 06:31:40 pm
Ora anche Romeo è sotto inchiesta
Accusa di abuso d’ufficio con Raggi
Mercoledì l’interrogatorio: al centro delle verifiche la sua nomina e quella di Renato Marra

Di Fiorenza Sarzanini

Concorso in abuso d’ufficio con la sindaca. Dopo Virginia Raggi e Raffaele Marra, finisce sotto inchiesta Salvatore Romeo, il terzo degli «amici al bar». E ancora una volta al centro della contestazione ci sono le nomine decise dalla sindaca di Roma. L’interrogatorio è fissato per mercoledì mattina, come risulta dall’avviso a comparire che gli è stato notificato ieri. In attesa di ascoltare Marra, detenuto per corruzione nel carcere di Regina Coeli, l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo fa dunque un nuovo passo in avanti. Evidenziando nuove irregolarità in quello schema che la sindaca aveva concordato proprio con i suoi fedelissimi, tutti sistemati nei posti chiave prima che il «verdetto» dell’Anac di Raffaele Cantone la costringesse a trovare loro una nuova sistemazione.

Nomine e polizze
Nell’atto consegnato ieri sono indicati i reati, ma non i fatti. Sono due i filoni al centro delle verifiche. Uno riguarda la procedura seguita per la scelta delle persone, l’altro l’ingiusto profitto che sarebbe stato procurato. Nel caso di Romeo il passaggio da semplice dipendente a capo della segreteria di Raggi gli aveva fatto triplicare lo stipendio da 39 mila euro l’anno a 110 mila, ridotti a 90 mila dopo i rilievi dell’Anticorruzione e infine tornati a 39 mila. Proprio verificando la sua attività i magistrati hanno avviato verifiche patrimoniali nei suoi confronti e hanno scoperto che aveva accumulato 130 mila euro investiti in polizze vita a partire dal 2013. Due erano intestate alla sindaca, che di fronte ai magistrati ha dichiarato di non averlo mai saputo. Di questo si parlerà nell’interrogatorio di domani, ma pure della designazione di Renato Marra a capo del dipartimento Turismo, per la quale Romeo ha certamente avuto un ruolo.

«Pentito per Marra»
Proprio ieri, un mese e mezzo dopo l’arresto per corruzione del capo del Personale, Romeo ha dichiarato ad Agorà: «Ho conosciuto Marra nel 2013 e ho lavorato con lui bene per un periodo, producendo qualche risultato. In ragione di questo rapporto fiduciario, l’ho presentato a vari esponenti del Movimento 5 Stelle». E quando gli hanno chiesto se fosse pentito ha risposto sicuro: «Pentito è un eufemismo...». Eppure i rapporti che emergono dalle chat rintracciate sul telefonino di Marra raccontano tutt’altra storia, soprattutto dimostrano che era lui il loro punto di riferimento, tanto che subito dopo essere arrivati in Campidoglio furono proprio Raggi e Romeo a scrivergli: «Ci serve la macrostruttura, mandacela come l’hai fatta anche non implementata. Ci serve per parlarne».

L’incontro con Di Maio
È stato l’ex capo dell’avvocatura Rodolfo Murra a raccontare il ruolo di Marra con l’arrivo del Movimento 5 Stelle e il suo potere, tanto che a lui aveva più volte confidato: «Se parlo io viene giù tutto». L’ex funzionario del Campidoglio ha più volte fatto sapere di essere pronto a rivelare ai magistrati quanto accaduto al Comune di Roma negli ultimi mesi, compresi gli interventi esterni di avvocati e giornalisti che cercavano di aiutare Raggi a formare la giunta. Soprattutto quel che successe l’estate scorsa quando Marra sostiene di aver deciso di lasciare l’incarico in Campidoglio e di essere stato convinto a rimanere durante l’incontro con Luigi Di Maio. Che cosa gli disse il parlamentare grillino per fargli cambiare idea? Quali garanzie gli offrì, visto che lui stesso ha detto di averlo ricevuto alla Camera su richiesta della sindaca? Marra ha fatto sapere di essere pronto a rispondere a questi interrogativi. Ricostruendo l’iter di tutte le nomine poi firmate da Raggi, «ma dimostrando che io non ho commesso alcun abuso».

6 febbraio 2017 (modifica il 7 febbraio 2017 | 15:38)
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Da - http://www.corriere.it/politica/17_febbraio_07/ora-anche-romeo-sotto-inchiesta-dae3e822-ecb1-11e6-b0dc-72bd53481b5d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Il ministro dell’Interno Minniti: con l’Islam abbiamo un...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 04:25:50 pm
IL COLLOQUIO

Il ministro dell’Interno Minniti: con l’Islam abbiamo un patto, chi vive nel nostro Paese deve rispettare le leggi
Il ministro dell’Interno dopo il caso della ragazzina che, a Bologna, sarebbe stata rasata a zero dalla madre per punizione per non aver voluto portare il velo: «Lo Stato italiano non può tollerare alcuna imposizione per motivi religiosi»

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA — «Due mesi fa abbiamo siglato l’intesa per un Islam italiano. Indietro non si torna: chi vive nel nostro Paese deve rispettare le leggi e la Costituzione». Ripercorre la strada già tracciata nelle ultime settimane il ministro dell’Interno Marco Minniti, convinto che «la vera integrazione, non consente alcuna imposizione». Per questo, il giorno dopo la decisione della magistratura bolognese di allontanare dalla famiglia la quattordicenne che ha raccontato di essere stata «rasata perché non voglio portare il velo», dichiara: «Se davvero questa ragazzina ha subito una simile umiliazione, bene ha fatto la scuola a segnalare il caso e ancor di più i giudici a decidere di trasferirla altrove, per fermare possibili nuove violenze».

Interlocutori privilegiati del titolare del Viminale sono stati, sin dal giorno del suo insediamento, i leader delle comunità islamiche. E quindi adesso esprime la propria soddisfazione per «la loro denuncia forte arrivata per difendere questa ragazza, perché la presa di distanza dalla sua famiglia è un segnale molto importante rispetto agli obiettivi che ci siamo prefissati. Significa che stiamo andando nella giusta direzione. Quando abbiamo firmato il patto nazionale, abbiamo specificato che chi vuole vivere in Italia deve accettare esplicitamente i valori e i principi dell’ordinamento statale».

Vuol dire che «nessuna violenza fisica o psicologica potrà mai essere tollerata». Vuol dire che «qualsiasi gesto che miri a obbligare qualcuno a fare ciò che non vuole, si trasforma in un atto inaccettabile e come tale deve essere trattato e condannato».

Sarà la magistratura a ricostruire ogni passaggio di questa vicenda, il ministro affronta il problema in termini generali, mette in guardia da tutte le «possibili derive che possano convincere chi professa la fede islamica ad avere comportamenti che da noi sono ritenuti fuorilegge». E lo fa sottolineando che «a differenza di altri Stati, l’Italia non ha mai neanche ipotizzato di poter vietare il velo o qualsiasi altro simbolo dell’Islam. Anzi, siamo convinti che il rispetto passi proprio dalla tolleranza degli usi e delle abitudini degli altri e quindi non abbiamo stabilito alcun limitazione ritenendo che la nostra libertà passi dalla concessione della libertà agli altri. Ma proprio per questo motivo pretendiamo che ciò avvenga nei confronti delle nostre leggi».

«Tolleranza e rispetto», sono le parole che Minniti utilizza più spesso per far comprendere quale deve essere il livello di relazione tra italiani e stranieri, che cosa non può essere consentito a chi tenta di imporre le proprie convinzioni e in particolare se lo fa perché ciò è dettato da motivi religiosi. Non a caso al momento di siglare il patto con le comunità islamiche il ministro aveva evidenziato i quattro punti di accordo: «La formazione di imam e guide religiose; l’ impegno delle associazioni a rendere pubblici nomi e recapiti di imam, guide religiose e personalità in grado di svolgere efficacemente un ruolo di mediazione tra la loro comunità e la realtà sociale e civile circostante; la celebrazione delle funzioni recitando il sermone del venerdì in italiano; la gestione seguendo la massima trasparenza della documentazione dei finanziamenti».

Ecco perché adesso — mentre il caso bolognese ripropone in maniera fin troppo evidente quali possano essere gli ostacoli a un’integrazione completa anche quando gli stranieri hanno un lavoro e i loro figli frequentano la scuola italiana — il titolare del Viminale sottolinea come «il patto che abbiamo firmato due mesi fa serve a fornire un perfetto equilibrio tra diritti e doveri di tutti, proprio perché questa è la linea giusta quando si deve ripudiare ogni forma di violenza. Un principio che applichiamo nella nostra attività di prevenzione al terrorismo, quando decidiamo di espellere persone potenzialmente pericolose. E che deve cominciare proprio all’ interno delle famiglie».
2 aprile 2017 (modifica il 2 aprile 2017 | 07:56)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/17_aprile_02/ministro-dell-interno-minniti-l-islam-abbiamo-patto-chi-vive-nostro-paese-deve-rispettare-leggi-ab124766-1767-11e7-99e2-7e57c7b2999b.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Minniti: Così proteggeremo le città Espulsioni a chi si ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 09, 2017, 04:45:56 pm

L’intervista

Minniti: «Così proteggeremo le città Espulsioni a chi si radicalizza»
Il ministro dell’Interno alla luce dell’attentato a Stoccolma: «L’equazione terrorismo e immigrazione è sbagliata, è sempre più evidente il rapporto tra terrorismo e mancata integrazione»

Di Fiorenza Sarzanini

ROMA «L’Italia ha un sistema di difesa di massimo livello, ma l’allerta è altissima e dunque dobbiamo intensificare le misure di protezione. Abbiamo bisogno di tenere insieme tre importanti attività: intelligence, prevenzione e controllo del territorio». Il giorno dopo l’attacco di Stoccolma, il ministro dell’Interno Marco Minniti fa i conti con un’emergenza sempre più elevata. L’analisi del titolare del Viminale parte dalle ultime notizie che arrivano dalla Svezia. «Perché se è vero che si tratta di un cittadino uzbeko, da tempo residente nel Paese, si conferma quanto abbiamo rilevato dall’attacco di Charlie Hebdo in poi, cioè che i terroristi sono persone che vivevano negli Stati dove hanno poi colpito. Si conferma che l’equazione terrorismo e immigrazione è sbagliata e invece è sempre più evidente il rapporto tra terrorismo e mancata integrazione. Proprio per questo è importante ribadire che l’accoglienza ha un limite nella capacità di integrazione». Dall’inizio dell’anno sono state decretate 32 espulsioni preventive per ragioni di sicurezza nazionale. «Si tratta di uno strumento di prevenzione preziosissimo perché consente di “colpire” la radicalizzazione prima che possa trasformarsi in compiuta progettualità terroristica».

Minniti ribadisce che «sarebbe sciocco credere che ci sia qualcuno al riparo dalla minaccia jihadista», ma rivendica di aver «messo in campo tutte le forze a disposizione e continuiamo a farlo visto che il nostro sistema si è rivelato finora efficace e quindi bisogna potenziare le misure già in atto». Coordinamento, è questa la parola chiave: «L’integrazione tra pattuglie e difesa passiva è fondamentale, ma senza far venire meno per i cittadini la fruibilità dei luoghi. L’Italia ha tra le sue industrie principali il turismo, ha città d’arte che tutto il mondo ci invidia. Non cederemo alla paura, ma metteremo in campo strategie di sorveglianza e protezione in accordo pieno con gli amministratori locali».

Il governo punta molto sull’approvazione in Parlamento del decreto legge sulla sicurezza urbana, tanto da aver già ottenuto una prima fiducia. Minniti lo conferma: «Finora la convergenza su quelle norme è stata ampia, non credo possano esserci problemi. L’alleanza tra Stato e sindaci è fondamentale per individuare i punti deboli e intervenire. Può sembrare una banalità, ma in questo sistema integrato anche i vigili urbani hanno un ruolo fondamentale. Si chiama gioco di squadra e certamente tutti ne possono beneficiare». Esclude comunque di arrivare a una militarizzazione delle città perché «gli attacchi di Nizza, Berlino, Londra e Stoccolma hanno mostrato analoghe modalità e allo stesso tempo totale imprevedibilità dell’azione. Per questo ho detto quali sono le tre linee di intervento contro chi inneggia alla jihad o fa proselitismo. Esattamente ciò che stiamo facendo da mesi, mettendo comunque tra le priorità il fatto che i cittadini italiani si sentano liberi, non abbiano mai la sensazione di vivere in una fortezza».

Numerosi analisti ritengono che il bombardamento ordinato dagli Stati Uniti in Siria, possa indebolire la lotta contro l’Isis. Esprimono il timore che la crisi internazionale possa avere conseguenze gravi proprio nel fronteggiare i terroristi. Un’eventualità che Minniti invece esclude, convinto che «in questo modo si è dimostrato che nessuna prepotenza sarà tollerata ed è innegabile che l’uso di armi chimiche fatto da Assad contro la propria gente, i propri bambini, sia un atto intollerabile». E comunque si è trattato di una «scelta giustificata tenendo conto che «i veti incrociati hanno impedito una reazione delle Nazioni Unite e non era ipotizzabile restare fermi, o addirittura voltarsi dall’altra parte, di fronte a un crimine contro l’umanità. Adesso è giusto restituire il ruolo di guida dei negoziati alla comunità internazionale e all’Onu».

La scorsa settimana, il giorno dopo l’attacco a San Pietroburgo, il ministro è volato a Mosca. Una visita programmata da tempo, ma confermata nonostante l’attentato appena subito e questo, sottolinea adesso «dimostra che tipo di relazione esiste tra noi. Abbiamo interessi comuni nella lotta al terrorismo e non solo. Questa cooperazione risulta oggi cruciale. Con la caduta di città come Mosul e Raqqa, assisteremo entro breve alla fuga dei combattenti dell’Isis verso l’Occidente e dunque la Russia sarà strategica nella protezione dei confini per fermare i foreign fighter di ritorno, così come noi lo siamo nel Mediterraneo. Agiremo insieme per l’interesse comune, su questo non ho dubbi. Ci sono numerosi appuntamenti importanti che si svolgeranno in Russia nei prossimi mesi, compresi i mondiali di Calcio. Li affronteremo seguendo una strategia comune».

8 aprile 2017 | 23:21
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/politica/17_aprile_08/minniti-cosi-proteggeremo-citta-espulsioni-chi-si-radicalizza-692d3a42-1c9c-11e7-a92d-71d01d371297.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Le intercettazioni su Tiziano Renzi Omissioni e nuovi ...
Inserito da: Arlecchino - Maggio 16, 2017, 02:13:16 pm

L’inchiesta

Le intercettazioni su Tiziano Renzi Omissioni e nuovi sospetti
Il capitano Scafarto accusato di aver falsificato la parte degli atti sulla Consip che riguarda l’attività del padre dell’ex premier, non riportò una frase sulla fuga di notizie

Di Fiorenza Sarzanini

Anche alcune intercettazioni di Tiziano Renzi potrebbero essere state manipolate. Il sospetto emerge dopo l’interrogatorio di Gianpaolo Scafarto, il capitano del Noe accusato di aver falsificato la parte degli atti sulla Consip che riguarda proprio l’attività del padre dell’ex premier Matteo, ma anche di aver accreditato un ruolo dei servizi segreti in realtà risultato finora inesistente. L’ufficiale avrebbe infatti omesso di riportare nella sua informativa finale alcune circostanze emerse proprio ascoltando quei colloqui, accreditando invece la possibilità che ad avvisare Renzi senior delle verifiche disposte nei suoi confronti fosse stato Palazzo Chigi. Il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi hanno delegato i carabinieri del comando provinciale di Roma guidati dal generale Antonio De Vita a rileggere il fascicolo e ascoltare nuovamente le conversazioni. Ma numerosi dettagli già emersi confermano che la maggior parte delle circostanze contenute nel capitolo 17 — quello sui rapporti istituzionali dell’imprenditore Alfredo Romeo — potrebbero essere state contraffatte. Scafarto sostiene che si tratta soltanto di «errori», ma poi ribadisce di aver «sempre condiviso tutto con il pubblico ministero Henry John Woodcock».

La «soffiata» di Tiziano

L’utenza di Tiziano Renzi viene intercettata a partire dal 5 dicembre. Sono i giorni più caldi dell’inchiesta. Due settimane dopo si scopre infatti che sono inquisiti per fuga di notizie il ministro per lo Sport Luca Lotti, il comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e quello della Toscana Emanuele Saltalamacchia, accusati di aver avvisato i vertici Consip dell’indagine in corso. Il 7 dicembre Roberto Bargilli, l’autista del camper di Matteo Renzi, telefona a Carlo Russo, il faccendiere amico di Tiziano Renzi. «Sono Billy... scusami, ti telefonavo... per conto di babbo... mi ha detto di dirti di non lo chiamare e non mandargli messaggi».

L’accusa al premier

Scrive Scafarto nell’informativa: «La domanda più ovvia da farsi è quella relativa ai motivi per cui una persona come Renzi Tiziano venga avvisato di essere intercettato, ma la risposta, altrettanto scontata, appare solo una, ovvero che il figlio Matteo Renzi, Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, abbia messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia e quindi anche il padre». In realtà nelle telefonate intercettate è lo stesso Tiziano Renzi a raccontare di essere stato avvertito dell’inchiesta in corso «da un giornalista del Fatto Quotidiano». I controlli sui tabulati confermano che effettivamente ci sono stati scambi di sms con il giornalista sin da novembre. Quando a Scafarto è stato chiesto come mai non avesse riportato questa circostanza lui ha risposto: «Nulla so dire. Non ricordo di essere stato informato di questa telefonata», così accreditando l’ipotesi che i suoi sottoposti non l’avessero informato.

«Avvisai Woodstock»

L’ufficiale continua ad accreditare l’ipotesi di aver sempre «condiviso con il pm di Napoli Woodcock» ogni mossa. Quando i magistrati romani gli chiedono come mai, nonostante fosse stato scoperto che il presunto agente dei servizi segreti che «spiava» l’inchiesta era un privato cittadino, non riportò la circostanza nell’informativa, lui risponde che l’aveva ritenuto «irrilevante». Non sa che i pm — dopo averlo indagato — hanno intercettato le sue conversazioni. In tre telefonate diverse con colleghi e amici Scafarto spiega che quella omissione «è stata una scelta investigativa». L’ufficiale sbianca e poi dichiara: «La Procura di Napoli fu immediatamente avvertita del cessato allarme» sulla presenza di persone sospette.

13 maggio 2017 | 00:09
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_maggio_13/telefonate-intercettatedi-tiziano-renzi-omissioni-nuovi-sospetti-51f5eb68-375d-11e7-91e3-ae024e503e5d.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Migranti, «no a trasbordi e luci»: ecco il codice per le Ong
Inserito da: Arlecchino - Luglio 04, 2017, 05:13:07 pm
Migranti, «no a trasbordi e luci»: ecco il codice per le Ong
Regole rigide che se non saranno rispettate faranno scattare il divieto di approdo nei porti italiani. La bozza sarà condivisa con gli altri Stati dell’Unione

  Di Fiorenza Sarzanini
Proibito spegnere i trasponder e segnalare la propria presenza in mare alle barche che salpano dalla Libia, indispensabile fornire l’elenco degli equipaggi e le liste dei finanziamenti ottenuti. Ci sono divieti e obblighi nel codice per le Ong che l’Italia porterà giovedì mattina al vertice dei ministri dell’Interno europei di Tallin. Compresa l’ipotesi di impedire il trasbordo delle persone sulle navi della Guardia Costiera e di Frontex. Regole rigide che se non saranno rispettate faranno scattare il divieto di approdo nei porti italiani. La bozza che si sta mettendo a punto in queste ore sarà condivisa con gli altri Stati dell’Unione, dopo l’accordo siglato due giorni fa a Parigi dal titolare del Viminale Marco Minniti con i colleghi di Francia e Germania. E tiene conto delle indicazioni giunte dal Parlamento al termine del lavoro della commissione Difesa del Senato guidata da Nicola Latorre che ha svolto un’inchiesta sull’attività delle Ong.

Per il governo italiano si tratta di un passo fondamentale per governare il soccorso dei migranti e gestire direttamente l’attività di quelle organizzazioni che si occupano dei salvataggi in mare. Ma soprattutto per coinvolgere tutti i membri dell’Ue nell’affrontare un’emergenza che, come ha ribadito Minniti, «non può prescindere dagli aiuti alla Libia per bloccare le partenze». Obiettivo del codice di comportamento è quello di impedire che le Ong vadano a prelevare i migranti spingendosi in acque libiche o comunque al limite del confine marittimo. Ecco perché sarà fissata una distanza minima dalla costa che non potrà essere mai superata. Le verifiche effettuate da magistratura e Parlamento, ma anche il rapporto stilato da Frontex due mesi fa, hanno dimostrato che spesso gli equipaggi decidono di spegnere i transponder per non essere identificati dalla guardia costiera libica. Una procedura che sarà vietata, così come non sarà più possibile segnalare la propria presenza con i razzi luminosi agli scafisti

La Guardia Costiera
Il coordinamento di tutte le operazioni sarà affidato alla Guardia costiera, che per il 13 luglio ha già convocato i rappresentanti delle Ong proprio per fornire le prime indicazioni. In caso di emergenza le Ong dovranno avvisare l’autorità e ottenere il via libera a muoversi per andare a soccorrere i migranti, agendo quindi sotto il controllo diretto del comando marittimo di Roma. Non potranno, come invece accade ora, avvisare soltanto dopo aver effettuato i salvataggi e dunque muoversi in piena autonomia. Tra le ipotesi c’è anche quella di vietare il trasbordo dei naufraghi dalle navi delle Ong a quelle dei soccorsi ufficiali. Vuol dire che chi si occupa di recuperare gli stranieri dovrà effettuare l’intera traversata e arrivare sino ai porti italiani e non — come accade attualmente — limitarsi a percorrere soltanto poche miglia prima di trasferire le persone e tornare così in alto mare. «Si rende necessaria — aveva evidenziato la commissione Latorre — una razionalizzazione della presenza delle Ong che potrebbe portare a un aumento dell’efficienza dei soccorsi e dei margini per salvare vite con la contestuale riduzione delle relative imbarcazioni nell’area».

Equipaggi e soldi
I controlli hanno finora smentito quanto aveva dichiarato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro su «commistioni tra organizzazioni di trafficanti e Ong». È emerso invece che in molti casi sulle navi delle organizzazioni sono imbarcati membri dell’equipaggio che provengono dagli Stati dell’Est e dal Medio Oriente e di cui gli stessi vertici non conoscono le generalità. Per questo sarà obbligatorio fornire l’elenco completo degli equipaggi e anche rendere nota la lista dei finanziatori. Sulla gestione ha insistito la commissione Difesa del Senato quando ha sottolineato la necessità di sottoporsi a «forme di accreditamento e certificazioni che escludano alla radice ogni sospetto di scarsa trasparenza organizzativa e operativa». Anche perché alcune Ong prendono a noleggio le imbarcazioni che utilizzano per il pattugliamento del mare e dunque dovranno fornire alle autorità italiane tutte le indicazioni sullo svolgimento delle propria attività. Per impedire — come ha decretato il Parlamento italiano — «la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti primati».

3 luglio 2017 | 20:57
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_luglio_03/no-trasbordi-luci-ecco-codice-le-ong-3cbd7b12-6020-11e7-89db-f0df40559f50.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Migranti, le «consegne concordate» tra i trafficanti e la...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2017, 05:38:24 pm
L’INCHIESTA

Migranti, le «consegne concordate» tra i trafficanti e la Ong tedesca. Che restituiva i barconi agli scafisti
«Save the Children» ha segnalato le irregolarità: l’imbarcazione tedesca, sequestrata, è tra le più piccole impegnate nei soccorsi. Gli interventi avvenivano in assenza di pericolo immediato per i migranti

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA — I trafficanti libici hanno effettuato almeno tre «consegne controllate» di migranti all’equipaggio della nave «Iuventa» con la complicità di alcuni ufficiali della guardia costiera di Tripoli. I barconi utilizzati sono stati poi restituiti agli scafisti per organizzare altri viaggi verso l’Italia. L’ordine di sequestro del peschereccio della Ong tedesca Jugend Rettet racconta che cosa accade al largo della Libia. Il provvedimento firmato dal giudice di Trapani dà conto delle indagini effettuate dai poliziotti dello Sco, il servizio centrale operativo guidato da Alessandro Giuliano, andate avanti oltre un anno. E svela gli accordi illeciti con altre organizzazioni, ma anche il ruolo di Save the Children che ha «segnalato» le irregolarità commesse da alcune associazioni. Ora si va avanti: il prefetto Vittorio Rizzi, capo della Direzione anticrimine della polizia, si muove in coordinamento con tutte le Procure titolari delle inchieste proprio per individuare i possibili collegamenti con le organizzazioni criminali.

La «consegna» dei profughi
Sono le 6.15 del 18 giugno 2017. Gli agenti specializzati che si muovono sotto la supervisione della Direzione anticrimine guidata dal prefetto Vittorio Rizzi sono in mare e documentano con foto e video che cosa accade. Scrive il giudice: «Una imbarcazione non identificata ed una motovedetta della Guardia Costiera libica hanno scortato 3 barconi pieni di migranti nella zona di mare al largo della località di Zwara ove stazionava la Iuventa per poi allontanarsi immediatamente dopo l’inizio delle operazioni di imbarco dei migranti a bordo della motonave battente bandiera olandese, modalità che dimostrano inequivocabilmente l’effettuazione di una vera e propria “consegna concordata” di migranti e l’assenza di una situazione di pericolo immediato per i migranti che avrebbe reso necessario un intervento di soccorso in alto mare». L’informativa della polizia dà conto di quel che accade alle 11 dello stesso giorno: «Il gommone della Iuventa si è diretto verso le coste libiche e da quei luoghi è sopraggiunta una imbarcazione verosimilmente con trafficanti a bordo; il gommone e il barchino con i presunti trafficanti, dopo essersi incontrati, sono restati affiancati per qualche minuto; dopo qualche istante il gommone si è diretto verso la Iuventa mentre l’altro natante ha proceduto verso le coste libiche; successivamente quest’ultima imbarcazione è riapparsa sullo scenario, “scortando” un gommone carico di migranti ed arrestando la navigazione solo in prossimità della Iuventa. Proprio la dinamica con la quale avveniva questo secondo “viaggio” del barchino consentiva di acquisire piena contezza che le persone a bordo fossero dei trafficanti».


I barconi restituiti
Tra le contestazioni del giudice c’è anche quella di aver restituito le barche ai trafficanti. In particolare «due barconi in legno sono stati “legati” tra loro con una cima e gli operatori che si trovavano a bordo del gommone della Iuventa li hanno trainati verso le coste libiche, lasciandoli poi alla deriva. Alcuni barchini, verosimilmente in uso ai trafficanti, stazionavano in quello specchio acqueo in stato di attesa. Poi è stato riportato anche il terzo barcone». I primi a denunciare le «irregolarità» di Jugend Rittet sono stati alcuni membri dell’equipaggio della «Vos Hestia», la nave di Save the Children — una delle tre Ong che ha firmato il codice di comportamento del Viminale approvato anche dall’Ue — a bordo della quale c’era un agente sotto copertura. Uno di loro ha tra l’altro dichiarato a verbale: «Tra le organizzazioni la più temeraria era sicuramente la Iuventa. Da quello che ho potuto vedere sul radar, avendo io accesso al ponte, arrivava anche a 13 miglia dalle coste libiche, circostanza anche pericolosa. La Iuventa è un’imbarcazione piccola e vetusta, fungeva da “piattaforma” ed era sempre necessario l’intervento di una nave più grande sulla quale trasbordare i migranti soccorsi dal piccolo natante».
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Un’ondata senza precedenti
«Non collaboriamo»
Un mese fa, mentre infuriava la polemica sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo, «sull’albero a poppa della Iuventa, battente bandiera olandese, è stata issata la bandiera libica». Ma «l’ostilità verso il centro di coordinamento marittimo italiano è dimostrata — secondo il gip — dal cartello con la scritta “Fuck Imrcc” (quest’ultimo è l’acronimo che indica il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, ndr) posizionato a prua». Così come «l’atteggiamento di scarsa collaborazione verso le direttive impartite da Imrcc, confermando la volontà di voler effettuare esclusivamente trasbordi su altri assetti navali verosimilmente al fine di non attraccare in porti italiani». Una posizione confermata da una delle «dirigenti» Katrin, che non sapendo di essere intercettata grazie a una microspia piazzata a bordo dice: «In ogni caso non diamo alcuna fotografia dove in qualche modo si possano vedere persone che potrebbero venire identificate, non c’è motivo, a questo non contribuiamo».
2 agosto 2017 (modifica il 2 agosto 2017 | 23:54)

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Da corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. «Gara Consip, l’appalto era truccato» ...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:16:57 pm
L’INCHIESTA

«Gara Consip, l’appalto era truccato»
Tre aziende si sono spartite 2,7 miliardi
L’appalto per la gestione dei servizi nella pubblica amministrazione potrebbe essere truccato: questa la clamorosa conclusione contenuta nella relazione dell’Anac, l’autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone

Di Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini

L’appalto Consip da 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi nella pubblica amministrazione potrebbe essere stato truccato. C’è il fondato sospetto di un «accordo di cartello» fra tre imprese concorrenti per spartirsi i lotti principali escludendo così le altre aziende. Quattro mesi dopo l’avvio dell’istruttoria, è questa la clamorosa conclusione contenuta nella relazione dell’Anac, l’autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone.
Il dossier
Il dossier è stato trasmesso alla Procura di Roma, titolare dell’inchiesta sull’aggiudicazione di quei lavori che ha fatto finire in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo per corruzione, mentre Tiziano Renzi e il suo amico Carlo Russo sono indagati per traffico di influenze illecite; nell’ambito della stessa indagine sono coinvolti anche il ministro Luca Lotti, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e il generale Emanuele Saltalamacchia, inquisiti per la fuga di notizie che mise sull’avviso i vertici Consip degli accertamenti della magistratura. Ma adesso si apre un altro filone nel quale si dovrà verificare l’operato dei vertici della «centrale acquisti», per stabilire che ruolo abbiano avuto rispetto alla divisione tra le aziende delle commesse per la manutenzione e la ristrutturazione di centinaia di edifici pubblici.
La richiesta degli atti
L’indagine di Cantone viene avviata nel marzo scorso con una richiesta di trasmissione di atti alla Consip proprio per valutare l’esistenza di eventuali irregolarità nella procedura. Si scopre così che nell’elenco di chi ha presentato offerte ci sono le stesse aziende sanzionate dall’Antitrust per aver siglato un patto illecito nella gestione dei servizi di facility management per gli istituti di istruzione. È il famoso appalto «belle scuole» assegnato nel 2015 che per questo si è stati poi costretti ad annullare. La delibera dell’Antitrust era infatti perentoria: «Il consorzio Cns, Manutencoop, Kuadra spa e Roma Multiservizi spa hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara con Consip, attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla legge». Le sanzioni inflitte andavano dai 56 milioni di euro per l’assegnazione dei lotti maggiori a quasi 6 milioni di euro per quelli più piccoli. Su questo la Procura di Roma ha terminato qualche settimana fa gli accertamenti, ipotizzando il reato di turbativa d’asta, e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio degli amministratori delle ditte coinvolte.
L’azienda esclusa
Nel corso delle verifiche sull’appalto Fm4, Anac analizza la posizione delle aziende finite sotto accusa, ma anche quella di Manital, esclusa dalla gara dopo aver vinto quattro lotti per una contestazione di tipo fiscale, e che per questo aveva presentato ricorso al Tar. Secondo Anac la decisione di Consip di non consentire la partecipazione «presenta ripetute omissioni in materia di verifica», e l’avvio della procedura che determinò l’esclusione viene definito «irrituale». Inoltre, si sottolinea come il successivo ricorso al Consiglio di Stato da parte di Consip, che annullò la riammissione di Manital decisa dal Tar, avvenne dopo la scoperta che l’offerta di Manital era risultata vincente con un risparmio per le casse dello Stato di 25 milioni. Tra le «anomalie» contestate ai vertici Consip ci sono anche quelle relative alle offerte tecniche ed economiche per la «mancata allegazione ai verbali della Commissione delle valutazioni effettuate nelle sedute riservate e in quelle pubbliche» ma anche «la scelta di assegnare a tutti i concorrenti il medesimo punteggio vanificando l’incidenza di tali elementi sulla valutazione complessiva e quindi riducendo il peso dell’offerta».
La divisione dei lavori
Elementi sufficienti per decidere di analizzare le offerte presentate da ogni azienda già sanzionata per precedenti accordi di «cartello». Si è così scoperto che «l’Ati Cns ha presentato offerta per sette lotti di gara mentre Manutencoop ha presentato offerta per cinque lotti di gara senza mai sovrapporre le proprie offerte». Ed ecco le conclusioni di Anac: «La probabilità del verificarsi di tale evento risulta essere evidentemente assolutamente marginale. Tale probabilità scende ulteriormente allorché si osservi la distribuzione geografica delle istanze dei due concorrenti nella quale si rileva una disposizione a scacchiera, con l’Ati Cns e Manutencoop che si sono spartite tutte le Regioni escludendo Campania, Calabria e Sicilia.
Il patto illecito
Quanto basta per convincere Anac sull’esistenza di «possibili intese fra Cns, Manutencoop e Kuadra, che fa parte dell’Ati Cns». E infatti nella relazione trasmessa ai magistrati di Roma è scritto: «Appare ragionevole pensare che per la gara Fm4 siano state adottate intese restrittive della concorrenza. A rafforzare tale ipotesi contribuisce il ritiro delle proprie offerte per tutti i sette lotti da parte dell’Ati Cns alla vigilia dell’apertura delle offerte economiche». Gli «investigatori» dell’Anac sottolineano anche altre criticità a riscontro del possibile accordo illecito, con una vera e propria spartizione preventiva degli appalti: «Per Manital non risultano mai sovrapposte le quattro offerte con le sette di Cns e solo per un lotto è in competizione con Manutencoop; la Romeo Gestione non si sovrappone mai con Manutencoop e solo per un lotto è in competizione con Cns».
L’avviso alle imprese
La relazione è stata notificata alle aziende coinvolte che adesso potranno presentare le proprie controdeduzioni per evitare le sanzioni dell’Anticorruzione. I magistrati dovranno invece stabilire se — proprio come accaduto per l’appalto delle «belle scuole» — per l’accordo tra le imprese ci siano anche contestazioni penali per i responsabili delle imprese coinvolte.

5 agosto 2017 | 23:48
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_agosto_05/consip-cartello-tre-aziende-bfb2133c-7a1c-11e7-9488-fb4c3ebc9cd4.shtml


Titolo: Fiorenza SARZANINI. Emanuela Orlandi: «Il Vaticano spese 500 milioni per lei...
Inserito da: Arlecchino - Settembre 20, 2017, 10:27:05 pm
Emanuela Orlandi: «Il Vaticano spese 500 milioni per lei fino al 1997»: è giallo sul dossier

Verifiche sull'autenticità di un carteggio che circola nella Santa Sede

  Di Fiorenza Sarzanini

ROMA - Un nuovo, inquietante mistero segna la ricerca della verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. E avvalora l’ipotesi che i «corvi» siano tornati in Vaticano. Perché un dossier che circola negli uffici della Santa Sede chiama in causa le gerarchie ecclesiastiche sulla fine della giovane sparita a 15 anni nel 1983 e sembra voler accreditare la possibilità che sia morta nel 1997. Elenca le spese che sarebbero state sostenute Oltretevere proprio per gestire la vicenda. L’esame del carteggio non fornisce alcun riscontro che si tratti di un documento originale perché non contiene timbri ufficiali, ma appare verosimile che venga utilizzato nell’ambito dei ricatti incrociati che hanno segnato la vicenda Vatileaks ed evidentemente non sono ancora terminati. Per questo la famiglia Orlandi torna a chiedere alla Segreteria di Stato di «sgomberare il campo da ogni dubbio» e attraverso le avvocatesse Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò insiste «per avere accesso a tutti i documenti e comunque poter incontrare il segretario di Stato Pietro Parolin: il caso non è e non può essere chiuso».
L’appello di Karol Wojtyla all’Angelus del 3 luglio 1983
Si torna alla notte tra il 29 e il 30 marzo 2014 quando viene scassinata la cassaforte che si trova nella Prefettura vaticana e contiene l’archivio della commissione Cosea, della quale facevano parte monsignor Balda e Francesca Chaouqui, entrambi finiti sotto processo con l’accusa di aver divulgato documenti segreti relativi alle finanze vaticane. Nel libro Via Crucis di Gianluigi Nuzzi, che svela una parte di quelle carte segrete, vengono pubblicate le fotografie della misteriosa irruzione.
Durante le indagini su Vatileaks il promotore di giustizia della Santa Sede interroga il capo ufficio monsignor Alfredo Abondi che a verbale dichiara: «Nella sezione riservata della Prefettura venivano conservati i documenti sulla sicurezza e sulle situazioni rilevanti relative all’Amministrazione. Nei giorni successivi al furto nel dicastero ci fu recapitato un plico con i documenti sottratti». Non entra nel dettaglio ma specifica che «si tratta di materiale che riguarda pratiche risalenti a 10 o anche 20 anni fa». Poco dopo comincia a circolare l’indiscrezione che tra quei dossier ce ne sia anche uno sulla scomparsa della ragazza.
 

Sei mesi fa Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, rilancia questa possibilità, entra nel dettaglio parlando di «cinque fogli, mostrati anche a Papa Francesco che proverebbero che non sarebbe morta subito, perché datati fino al 1997». È il plico che viene adesso fatto circolare. Si intitola «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi».
È datato 28 marzo 1998, firmato dal cardinale Lorenzo Antonetti, all’epoca presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della sede Apostolica, e indirizzato al sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato il cardinale Giovanni Battista Re e al sottosegretario Jean Louis Tauran. Elenca spese per circa 500 milioni di lire sostenute tra gennaio 1983 e luglio 1997. Si chiude con il pagamento di 21 milioni di lire per «attività generale e trasferimento presso città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali».
Le «voci» e i relativi pagamenti accreditano la possibilità che la giovane sia stata ospitata in alcuni conventi e appartamenti in Italia e all’estero, ricoverata in almeno due strutture sanitarie in Gran Bretagna, trasferita più volte. Specifica che una parte dei soldi è stata versata a «fonti investigative», e cita il pagamento per l’attività relativa a un episodio di «depistaggio».

Il documento — dattiloscritto con un carattere risalente a vent’anni fa — contiene nomi e luoghi realmente esistenti, parla dell’attività investigativa svolta anche dall’allora responsabile della gendarmeria, si riferisce ad «allegati» su «quantità di denaro autorizzate e prelevate per spese non fatturate». Il fatto che la prima data sia gennaio 1983, cioè sei mesi prima della sparizione, sembra voler avvalorare la possibilità che Emanuela fosse sotto il controllo di autorità vaticane già da quel periodo. Potrebbe trattarsi di un documento che contiene circostanze vere, fatto circolare proprio da chi continua ad esercitare il proprio potere di ricatto contro le gerarchie ecclesiastiche, visto che mai è stato fugato il sospetto sul loro ruolo in questa vicenda. Oppure un depistaggio. «In ogni caso — chiariscono le due avvocatesse — la famiglia ha diritto a ottenere chiarimenti e per questo torniamo ad appellarci direttamente a papa Francesco affinché voglia ascoltare la loro supplica. Lui stesso ha detto che “la verità non si negozia”».

17 settembre 2017 | 23:47
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_settembre_18/spese-vaticano-fino-1997e-giallo-dossier-emanuela-f2bb45ae-9bd8-11e7-99a4-e70f8a929b5c.shtml


Titolo: Fiorenza Sarzanini. I 400 profili falsi
Inserito da: Arlecchino - Agosto 10, 2018, 01:36:00 pm
Quirinale, dallo «snodo» di Milano l’account falso per l’attacco web a Mattarella

I 400 profili falsi
L’azione di una società esperta che ha utilizzato un sistema di comunicazione anonimo.

Oggi il dossier di Pansa al Copasir: il direttore del Dis ricostruirà il tweet storm contro il capo dello Stato che si era rifiutato di nominare Paolo Savona ministro dell’Economia

  Di Fiorenza Sarzanini

Alcuni profili twitter utilizzati nel maggio scorso per l’attacco contro il Quirinale risultano ancora attivi. L’analisi del traffico e dei contenuti effettuata in queste ore dagli specialisti della polizia Postale e dell’intelligence dimostra che questi account continuano a «monitorare» quanto accade nel dibattito politico e spesso utilizzano lo stesso hashtag #mattarelladimettiti, come strumento di pressione. Sono i falsi profili sui quali indaga la Procura di Roma per scoprire chi abbia pianificato e attuato l’operazione politica contro il capo dello Stato dopo il suo rifiuto a nominare ministro dell’Economia Paolo Savona. procura ipotizza i reati di offese al Capo dello Stato e sostituzione di persona. Oggi ne parlerà al Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, il direttore del Dis Alessandro Pansa. La sua audizione era stata programmata da tempo per un aggiornamento sui temi più caldi — immigrazione, terrorismo internazionale, controllo dei siti strategici, eventuali interferenze sull’economia — ma tre giorni fa si è deciso di ampliare l’ordine del giorno.

La pressione politica
Al Parlamento il capo dell’intelligence consegnerà un dossier che ricostruisce quanto accaduto la notte tra il 27 e il 28 maggio (qui, la ricostruzione dell’attacco e i 400 profili falsi contro Mattarella). Evidenziando come quel bombardamento di tweet non abbia nulla a che fare con il Russiagate, cioè con i troll di Mosca che sarebbero stati utilizzati per influenzare la campagna negli Stati Uniti che ha portato all’elezione di Donald Trump. Del resto la prima traccia utile trovata dagli specialisti avvalora la possibilità che a generare l’operazione sia stato un account creato sullo «snodo dati» di Milano.

L’obiettivo dell’assalto era fin troppo evidente: rilanciare le dichiarazioni pronunciate in quelle ore da Luigi Di Maio che aveva accusato Mattarella di «alto tradimento» per aver causato — escludendo la designazione di Savona — la rinuncia di Giuseppe Conte a formare il governo di M5S e Lega. E così dimostrare come l’opinione pubblica fosse tutta schierata con il capo politico dei grillini, forse nella speranza di convincere il presidente a fare marcia indietro. Un tentativo andato a vuoto, che però non cancella la «pressione» politica esercitata sulla più alta carica istituzionale e dunque consente ai magistrati del pool antiterrorismo di Roma coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale di procedere nell’ipotesi che dietro il tweet storm ci fosse un disegno eversivo.

Il Tor
I primi risultati dell’analisi tecnica hanno già consentito di raccogliere alcuni elementi utili. Il primo profilo sarebbe stato creato con un’iscrizione avvenuta in Italia — quella dello «snodo dati» che si trova a Milano — ma in maniera schermata in modo da far figurare che provenisse dall’estero. Per gli altri account, almeno 150 nei primi minuti, sarebbero stati utilizzati server stranieri: in Estonia o in Israele. Ad agire, è questa la convinzione degli investigatori, sarebbe stata un’unica mano. Si tratta quasi certamente di una società specializzata in questo tipo di attività, al momento i tecnici escludono che tutto ciò sia stato fatto da privati. L’ipotesi più probabile è che abbiano utilizzato il Tor. Si tratta di un sistema di comunicazione anonima per internet che consente di navigare in maniera criptata e dunque di non rendere individuabili i soggetti che lo usano.

Il fatto che si tratti di mani esperte sarebbe dimostrato anche dalla scoperta che hanno usato un indirizzo Ip dinamico, cioè che cambia a intervalli di tempo prestabiliti e soprattutto consente di far «rimbalzare» la connessione su server diversi. In questo modo dà vita ai cosiddetti Bot, programmi autonomi che fanno credere di comunicare con un’altra persona umana. Questi finti profili, sottolinea uno degli investigatori, «hanno pochissimi seguaci, twittano soltanto su uno o due argomenti, in alcuni casi vengono chiusi per poi ricomparire nei momenti ritenuti utili da chi lancia le campagne di assalto contro gli obiettivi istituzionali».

5 agosto 2018 | 22:24
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Da – corriere.it


Titolo: Fiorenza SARZANINI. I pm all’Unicef: denunciate i parenti di Renzi o non potrete
Inserito da: Arlecchino - Marzo 04, 2019, 04:50:29 pm
I pm all’Unicef: denunciate i parenti di Renzi o non potrete avere i soldi

Secondo l’accusa parte dei fondi finì alla società amministra dalla madre dell’ex segretario PD

  Di Fiorenza Sarzanini

La richiesta di rogatoria è partita tre giorni fa. Si tratta di un vero e proprio avviso alle organizzazioni umanitarie che avevano donato alla società di Alessandro Conticini denaro da destinare ai bimbi africani. L’uomo è accusato di appropriazione indebita con il fratello Luca, mentre il terzo fratello Andrea, cognato di Matteo Renzi perché marito di sua sorella Matilde, deve rispondere del reimpiego illecito di capitali. Il messaggio dei magistrati di Firenze alle organizzazioni internazionali è chiaro: «In Italia la legge è cambiata, se non presenterete una denuncia non potremo proseguire l’inchiesta per appropriazione indebita. E dunque non avrete alcuna possibilità di reclamare i soldi elargiti».

Sono 10 milioni di dollari versati tra il 2008 e il 2013 per sostenere progetti in favore dell’infanzia in difficoltà. Di questi, 6 milioni e 600mila dollari sarebbero però finiti sui conti personali degli imprenditori, e in parte anche nelle casse della «Eventi6», società amministrata dalla mamma di Renzi, Tiziana Bovoli. L’ex premier dichiara con una nota di voler «procedere in sede civile e penale contro chiunque accosti il suo nome a una vicenda giudiziaria che riguarderebbe un fratello del marito di una sorella di Renzi». Due giorni fa era stato proprio lui ad annunciare con un video su Facebook la fine dell’attuale governo perché «ci sarà da divertirsi con le inchieste sui fondi della Lega a Genova e sull’attacco via Twitter al presidente Mattarella». Adesso Renzi dice che «i processi si fanno in aula, non sui media. Al termine del processo si fanno le sentenze. E le sentenze si rispettano. Anche quelle sui risarcimenti».

La rogatoria alle autorità statunitensi ha come destinatari «l’Unicef, fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia; la Fondazione Pulitzer» e sei associazioni australiane e statunitensi che avevano elargito alla “Play Therapy Africa Limited” e ad altre due organizzazioni no profit di Alessandro Conticini, che è stato per anni direttore Unicef di Addis Abeba e poi è rientrato in Italia. Tutte queste organizzazioni internazionali sono informate dell’inchiesta avviata a Firenze dai magistrati coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo e nei mesi scorsi hanno messo a disposizione i propri bilanci proprio per consentire agli investigatori di ricostruire il percorso dei soldi. Gli amministratori non sono però informati che per procedere dovranno presentare formale denuncia — dopo la riforma varata lo scorso aprile dall’allora ministro Andrea Orlando — e per questo si è deciso di trasmettere formale avviso. Altrimenti si dovrà procedere solo per riciclaggio e reimpiego illecito di fondi.

I pubblici ministeri hanno già rintracciato le somme e accusano Andrea Conticini di aver «agito come procuratore speciale del fratello» Alessandro: «Impiegava parte del denaro provento del delitto in attività economiche, procedendo all’acquisto di partecipazioni societarie e all’esecuzione di finanziamenti in conto soci» prelevando 267mila e 800 euro dai conti e dividendoli così: alla «Eventi6» di Rignano — finita in un’altra indagine per false fatturazioni dove sono indagati la madre e il padre di Renzi — 133.900 euro nel 2011; alla Quality Press Italia, 129.900 euro; alla Dot Media di Firenze, 4.000 euro. I fratelli Alessandro e Luca avrebbero invece reimpiegato il resto tra l’altro con un «investimento immobiliare in Portogallo» da quasi 2 milioni di euro.

9 agosto 2018 (modifica il 9 agosto 2018 | 22:24)
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Da - https://www.corriere.it/politica/18_agosto_10/i-pm-all-unicef-denunciate-parenti-renzi-o-non-potrete-avere-soldi-c0ea9d3e-9c10-11e8-928f-aca0fa0687aa.shtml