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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 194904 volte)
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« Risposta #210 inserito:: Dicembre 09, 2014, 03:13:55 pm »

Ricostruiti i movimenti del commercialista che spostava il frutto delle tangenti a Lugano
«Alemanno porta soldi in Argentina In aeroporto passa al varco riservato»
L’ex sindaco: millanterie. Indagato un collaboratore della Kyenge avvicinato dalla banda


Di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA - Valigette piene di contanti trasportate in Argentina dal sindaco Gianni Alemanno. Denaro portato all’estero evitando i controlli all’aeroporto. Ne parlano gli arrestati dell’inchiesta «Mafia capitale» in una conversazione intercettata e i controlli dei carabinieri del Ros si concentrano su una vacanza di qualche anno fa.

Il percorso dei soldi porta in Sudamerica, ma anche a una fiduciaria di Lugano dove gli «spalloni» dell’organizzazione - capeggiata dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati e dall’imprenditore Salvatore Buzzi - avrebbero trasferito i soldi delle tangenti versate ai politici. Nella strategia di infiltrazione del Campidoglio e delle istituzioni romane Luca Gramazio, consigliere regionale del Pdl, avrebbe tentato di truccare le Regionali del 2013 proprio per continuare a comandare e gestire gli affari. Ma si sarebbero mossi anche a più alto livello riuscendo ad agganciare un collaboratore dell’ex ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge per tentare di entrare nel Centro di accoglienza di Mineo, in Sicilia. Un dirigente della presidenza del Consiglio che per questo è finito sotto inchiesta.

I viaggi del sindaco
Il 31 gennaio scorso Luca Odevaine parla con altri due presunti complici di una lite che Alemanno avrebbe avuto con un uomo che però non viene citato.

Odevaine: «Abita in questo palazzo, che figlio di m... ha litigato con Alemanno... per soldi se so’ scannati... ma sai che Alemanno si è portato via, ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valige piene de’ soldi in Argentina, se so’ portati con le valige piene de contanti, ma te sembra normale che un sindaco... me l’ha detto questi de Polaria».

Schina: «E nessuno lo ha controllato?».
Odevaine: «No è passato al varco riservato... poi ad un certo punto deve essere successo qualche casino, ad Alemanno gli hanno fatto uno strano furto a casa».
Schina: «Cercavano qualche pezzo de carta».
Odevaine: «Credo hanno litigato perché Alemanno ha pensato che ce li ha mandati questo».
Le verifiche effettuate dagli specialisti hanno individuato un viaggio fatto da Alemanno in occasione di un Capodanno. Lui smentisce: «Millanteria totalmente infondata. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina. Il furto di cui si parla è avvenuto ad ottobre 2013 e basta aprire Google per constatare che è stato ampiamente pubblicizzato. Per quanto riguarda il viaggio in Argentina ci sono stato per pochi giorni con la mia famiglia e un folto gruppo di amici a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia».

Riciclaggio a Lugano
È in una fiduciaria di Lugano che Stefano Bravo, commercialista ora indagato per riciclaggio, avrebbe trasferito parte dei soldi delle tangenti. Gli investigatori lo hanno scoperto ascoltando le sue conversazioni con Odevaine e adesso indagano per scoprire quanti fossero i suoi clienti e soprattutto per ricostruire la tela dei conti esteri svizzeri, ma anche quelli aperti in vari paradisi fiscali, compresa Panama. Nello stabile della città svizzera dove è entrato il 10 aprile scorso si trovano numerose società di investimento, ma la sua destinazione è stata individuata e su questo è già in corso una rogatoria con le autorità elvetiche per ottenere l’elenco dei depositi e delle operazioni effettuate dai personaggi inseriti nell’organizzazione.

Le carte processuali fanno emergere numerosi contatti tra l’Honduras e il Costa Rica che proprio Odevaine, probabilmente per conto dell’organizzazione, aveva attivato per intraprendere attività di commercializzazione di prodotti italiani e reimpiegare il denaro ottenuto grazie al pagamento delle «mazzette». Gli stessi canali sarebbero stati utilizzati anche da altri politici foraggiati negli ultimi anni.

I brogli alla Regione
È il 21 febbraio 2013, Gramazio chiama un amico e intanto dice: «Finite le operazioni di voto, le urne vanno in alcune sedi dove vengono contate, non si tratta della classica operazione di controllo delle schede, quello c’abbiamo ancora tempo per fare gli inserimenti. Ce provo, se stiamo in tempo la metto». Annotano i carabinieri: «Luca Gramazio era candidato alle elezioni regionali. Da un’altra conversazione telefonica risulta che dispone di una rete di scrutatori impegnata nelle operazioni di scrutinio dei voti». La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta e l’esponente del Pdl è indagato per «aver posto in essere atti diretti alla produzione di schede elettorali false».

8 dicembre 2014 | 08:13
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_08/alemanno-soldi-argentina-4f8db8b0-7ea5-11e4-bf8b-faa9d359f85b.shtml
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« Risposta #211 inserito:: Dicembre 14, 2014, 11:23:08 pm »

L’inchiesta
Mafia a Roma, la nuova scoperta: un altro libro nero delle tangenti
Nelle intercettazioni Odevaine cita anche incontri in parlamento, fra i politici nominati c’è Anna Finocchiaro che smentisce: «Mai parlato con Buzzi»

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Il quaderno era nascosto a casa di un collaboratore di Salvatore Buzzi. E potrebbe fornire nuove tracce utili per individuare altri politici e funzionari pubblici messi a «libro paga» dal titolare della Cooperativa 29 Giugno e dall’ex estremista dei Nar Massimo Carminati, ritenuti dai magistrati al vertice di quell’organizzazione che era riuscita a infiltrarsi in Campidoglio e in altre istituzioni. Contiene infatti annotazioni sulla contabilità occulta delle numerose strutture controllate dal gruppo e segue lo stesso metodo già verificato analizzando il «libro nero» sequestrato alla segretaria Nadia Cerriti con l’iniziale del nome di chi ha percepito la tangente e accanto la cifra versata. Procede spedita l’indagine dei carabinieri del Ros e le migliaia di carte processuali svelano i tentativi per accaparrarsi ulteriori appalti in materia di immigrazione, potendo contare su una figura chiave come quella di Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupava proprio di questa materia. Compresi incontri di alto livello con parlamentari. Una di loro, secondo lo stesso Odevaine, sarebbe la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, che però smentisce: «Qualcuno ha tirato in ballo il mio nome per presunti incontri o colloqui con Salvatore Buzzi. Non ho mai incontrato, né ho tanto meno parlato con questa persona, non so chi sia e sono pronta a querelare chiunque accosti il mio nome ad una così triste e grave vicenda».

«Gara già assegnata»
Dopo aver ottenuto la gestione del campo nomadi di Castel Romano, Buzzi e i suoi sodali pensavano di allargare la propria influenza e avevano messo in campo svariati tentativi per «entrare» a Mineo, la struttura siciliana che rappresentava un grande affare. E dunque, se da una parte erano consapevoli dei propri limiti, dall’altra cercavano sponsor. Il 16 giugno scorso Odevaine parla con Carmelo Parabita e gli riferisce di aver risposto ad un «avviso pubblico di selezione» per essere assunto dal Consorzio Calatino in modo da acquisire i titoli necessari a poter fare il membro della commissione incaricata della valutazione delle offerte per quella gara. Poi entrano nel merito dell’assegnazione.
Parabita: «Non ci saranno altre offerte cioè, con chi stanno parlando, si sono tenuti tutti alla larga da Mineo perché è troppo complessa, cioè non è venuto nessuno venerdì».
Odevaine: «A me m’ha detto Salvatore Buzzi che è andato a parlare dalla Finocchiaro».
Parabita: «Se».
Odevaine: «E la Finocchiaro gli ha detto “lascia perdere quella gara è già assegnata”».
In realtà la ricerca di interlocutori continua e Odevaine si concentra sulla procedura del Viminale che potrebbe consentirgli di manovrare le assegnazioni anche tentando di orientare le scelte dei prefetti.
«Li voglio a stipendio»

La fedeltà retribuita
La scoperta di un nuovo libro contabile fornisce elementi molto significativi per l’inchiesta e conferma un meccanismo che i magistrati avevano già evidenziato nelle contestazioni contro gli arrestati. Anche perché la strategia di controllo della pubblica amministrazione prevedeva il versamento periodico agli uomini da utilizzare in modo di poter contare sulla loro fedeltà. E infatti, di fronte al sindaco di Morlupo che non chiede soldi e tuttavia assegna lavori decide di retribuirlo in maniera fissa. Per questo manda un sms a Carminati, «il sindaco di Morlupo l’ho messo a stipendio», e lui risponde: «Ah perfetto».

Le annotazioni sul libro nero
Scrivono i magistrati: «La retribuzione sia di alcuni esponenti delle strutture politico-amministrative interessate sia dei membri del sodalizio era possibile grazie all’emissione di fatture per operazioni inesistenti che, a seconda delle società emittenti, determinava diversificate modalità di remunerazione, puntualmente annotate in un cosiddetto “libro nero”, e in particolare: le società riconducibili a soggetti esterni al sodalizio, a fronte dei pagamenti ricevuti, retrocedevano all’organizzazione criminale denaro contante per la creazione di fondi extracontabili, necessari al pagamento dei politici, degli amministratori pubblici, dei dirigenti amministrativi e dei membri del sodalizio; le società direttamente controllate dall’organizzazione criminale, gestite anche con l’utilizzo di prestanomi, attraverso transazioni infragruppo riuscivano a canalizzare le quote illecite verso gli stessi membri ed a soddisfare le esigenze di reimpiego dei capitali illecitamente acquisiti».

I ricorsi al Riesame
Giovedì 11 dicembre i giudici del Riesame cominceranno ad esaminare i ricorsi degli arrestati contro le ordinanze di cattura. Il primo a depositare l’istanza è stato proprio Carminati. Nei prossimi giorni saranno invece interrogati arrestati e indagati e in cima alla lista c’è il sindaco Gianni Alemanno, accusato di associazione mafiosa, che sostiene di «poter chiarire la mia posizione e smentire numerose millanterie compresa quella delle valigette piene di soldi portate in Argentina su cui fonti della Procura hanno specificato che non ci sono riscontri». L’elenco delle persone da sentire è lungo, qualcuno sta già pensando di cominciare a collaborare.

10 dicembre 2014 | 08:10
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Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_10/mafia-roma-nuova-scoperta-altro-libro-nero-tangenti-8dcd17da-8038-11e4-bf7c-95a1b87351f5.shtml
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« Risposta #212 inserito:: Dicembre 14, 2014, 11:41:11 pm »

MAFIA CAPITALE, IL TESORO TRASFERITO all’estero
Lo spallone che riciclava i soldi creò la fondazione di Melandri
Il complesso sistema dei commercialisti incaricati di riciclare il denaro, facendo perdere le tracce delle «mazzette» versate a politici e funzionari. Stefano Bravo, specializzato nel trasferire capitali all’estero, è uno dei soci fondatori di «Human Foundation»

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Avevano tentacoli ovunque, erano capaci di infiltrarsi in ogni affare, di sfruttare qualsiasi occasione pur di avvicinarsi al potere e così continuare ad arricchirsi. E lo facevano anche attraverso i commercialisti incaricati di riciclare il denaro, facendo perdere le tracce delle «mazzette» versate a politici e funzionari pubblici. Un «sistema» messo in piedi, secondo i magistrati romani, da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Si scopre così che Stefano Bravo, specializzato nel trasferimento dei capitali all’estero per conto dell’organizzazione, è uno dei soci fondatori di «Human Foundation», l’organizzazione che fa capo a Giovanna Melandri, ex ministro dei Beni culturali e dello Sport per il Partito democratico e ora presidente del Museo Maxxi di Roma.

De Angelis «il banchiere» dei boss
Filippo De Angelis, che i boss chiamavano «il banchiere» per la sua capacità di muoversi tra le fiduciarie di San Marino, aveva invece favorito in un affare immobiliare l’amministratore delegato di «Hera spa», gruppo specializzato nella fornitura di energia che opera soprattutto in Emilia. Nuovi dettagli stanno emergendo dall’agenda sequestrata durante le perquisizioni a uno dei collaboratori di Buzzi: nomi dei percettori e importo delle dazioni sono infatti annotati in chiaro. E proprio su questo si concentrano adesso i controlli dei carabinieri del Ros.

Melandri: «Sono addolorata ma anche furiosa»
I magistrati assegnano a Bravo un ruolo chiave e gli contestano l’accusa di riciclaggio. Il commercialista ha contatti costanti con Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupa di immigrazione anche lui finito in carcere. Gestisce i suoi conti, porta i soldi in Svizzera, fa altri viaggi per conto dell’organizzazione. Adesso si scopre che aveva un incarico importante anche nella «Human» visto che ha contribuito a farla nascere. Ieri, improvvisamente, la sua foto e il suo curriculum sono stati rimossi dal sito Internet ufficiale. Ma nessuno può negare quanta importanza abbia avuto e infatti Melandri chiarisce: «È il mio commercialista da quindici anni. Sono addolorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo. L’8 dicembre gli abbiamo inviato una lettera per chiedergli di lasciare ogni incarico, sia pur nella speranza che possa chiarire la propria posizione. Gli abbiamo scritto che la nostra principale preoccupazione è il danno per la fondazione che nasce sul presupposto della totale trasparenza e innovazione nelle politiche sociali». Nega invece che abbia svolto attività per il Maxxi: «Nessun contatto, mai».

L’Ad di «Hera spa» usò De Angelis come prestanome
Pure l’interesse di De Angelis, anche lui strategico per gli investimenti dell’organizzazione, si indirizza su livelli alti. Una traccia interessante arriva da una segnalazione di operazione sospetta trasmessa da Bankitalia nel 2013 che coinvolge l’amministratore delegato di «Hera spa» Stefano Lappi, accusato dagli ispettori di via Nazionale di aver utilizzato De Angelis come prestanome. L’operazione risale al 2009 quando la società «Sil srl» chiede un finanziamento per comprare uno stabile di «Hera spa». La relazione tecnica di Bankitalia denuncia: «Emergeva come la stessa “Sil srl” fosse stata costituita poco prima dell’acquisizione dell’immobile Hera (agosto 2009) e che al momento dell’accensione del finanziamento, e quindi dell’acquisizione della proprietà immobiliare, il capitale sociale era detenuto formalmente da Filippo De Angelis e Filippo Donati, ma di fatto era controllato indirettamente dalla fiduciaria Fidens Project Finance, in quanto ne possedeva le quote in pegno. Successivamente all’acquisto dell’immobile le quote della “Sil srl” venivano cedute a nuovi soci: il 20 per cento a Lappi, all’epoca presidente della Hera Energie di Bologna e l’80 per cento alla Eco Termo Logic srl». «Hera spa» non cambia sede, preferisce pagare un canone di affitto trimestrale di 53 mila euro che, dunque, finiscono proprio nelle tasche dell’amministratore delegato.

Carminati controllava i flussi finanziari
A leggere le trascrizioni delle conversazioni, emerge come Carminati controllasse personalmente con Buzzi i flussi finanziari e la gestione degli affari. Questa mattina il tribunale del Riesame dovrà decidere sul suo ricorso contro l’ordinanza di cattura. Gli avvocati Bruno e Ippolita Naso contestano la fondatezza del reato di 416 bis «ma - dicono - non abbiano nessuna fiducia, i giudici non hanno avuto neanche il tempo di leggere gli atti. Andremo a processo, nessuno si illuda sul patteggiamento». Protesta il legale di Buzzi, Alessandro Diddi: «Il mio cliente è stato trasferito nel carcere di Nuoro, una misura afflittiva sinceramente ingiustificata, soprattutto in questa fase dell’indagine». La battaglia tra accusa e difesa è appena cominciata.
11 dicembre 2014 | 07:37
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Da -http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_11/spallone-che-riciclava-soldi-creo-fondazione-melandri-384de3cc-80fe-11e4-98b8-fc3cd6b38980.shtml
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« Risposta #213 inserito:: Dicembre 16, 2014, 06:50:21 am »

Fare in fretta e cominciare la fase due

15/12/2014
Elisabetta Gualmini

Immaginiamo per un momento di ritrovarci all’inizio della prossima legislatura avendo di nuovo ai primi punti dell’agenda la riforma del bicameralismo e della legge elettorale. Poniamo che alle elezioni ci siamo andati con la legge scritta dai giudici della Consulta, identica a quella abolita a furor di popolo con un paio di referendum all’inizio degli anni Novanta: puramente proporzionale con voto di preferenza. E che quindi non c’è una maggioranza che sia una, né per il governo né per una qualunque ragionevole riforma istituzionale. Nel frattempo il Pil non avrà ripreso miracolosamente a galoppare. Saremo ancora nella più nera delle recessioni che il Paese abbia mai sperimentato. La gran parte delle imprese continueranno ad arrancare e le famiglie a impoverirsi. Qualsiasi spiffero su scontrini per spese di rappresentanza improbabili, per non parlare di qualche altro tsunami su mafie che lambiscono o infiltrano la politica, non potrà che scatenare reazioni imprevedibili anche da parte dei cittadini più moderati. 

Il Pd, nonostante il ritmo di Renzi, fa finta di non vedere su quale vulcano sta seduto. Nonostante Renzi e il renzismo, ricomincia a dare la stessa sensazione dei partiti che l’hanno preceduto. 

Balla sul Titanic baloccandosi con le sue liturgie di posizionamento interno. In realtà il paese continua ad affondare ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, mentre il distacco verso tutto il ceto politico, là fuori, sta velocemente aumentando. 

Fa bene Renzi, per ora, a inscenare a ogni riunione del Pd lo stesso copione, in vista degli scogli già registrati dal suo radar. Approvato il Jobs Act, il prossimo, si è capito, è l’elezione del Presidente della Repubblica. Le frasi su Napolitano sono rispettose, piene di gratitudine ma inequivoche nell’assumere che potrebbe lasciare il Quirinale «prima della prossima assemblea». Quindi meglio prevenire piuttosto che ripetere il disastro del 2013.

Però, una volta per tutte, diciamoci cosa è vero e cosa è falso in questa ormai ricorrente pantomima del leader visionario che corre e incita all’ottimismo, e delle minoranze che lo trattengono, garantendogli così agli occhi del pubblico il beneficio del dubbio: sarà lui che non riesce a fare i miracoli promessi o è colpa di chi lo frena e non gli fa spiccare il volo?

L’eterna minaccia di Civati di uscire dal Pd, con strizzate d’occhio ora alla piazza di Camusso ora alla rivoluzione naif e noiosissima di Pizzarotti fa sorridere: non sembra che oggi la gente fugga dalle urne per un «insoddisfatto bisogno di sinistra». Dello sconcerto di Fassina per la nuova rotta, rispetto a quando al timone c’era Bersani, con lui stesso a dettare la «filosofia economica» del partito, gli italiani si faranno una ragione. Però entrambi, Fassina e Civati, convincono quando chiedono a Renzi dove pensa d’arrivare. Davvero pensa d’andare avanti così fino al 2018?

 

Se veramente Renzi crede che per soddisfare all’infinito il pubblico bastino i dribbling con i D’Alema e i D’Attorre, giocatori senza fisico o ormai senza fiato, o che per tirare fuori il Paese dal baratro bastino le bellissime idee di cui ha discusso per qualche mezz’ora con Marianna e Andrea, Ernesto e Luca, Debora e Lorenzo, stiamo freschi.

Fa bene a serrare le fila sulle riforme istituzionali e la legge elettorale, e a produrre in fretta i decreti delegati sul Jobs Act. Se porta a casa questo, passando attraverso l’elezione del Capo dello Stato, il Paese gli dovrà essere riconoscente. 

Purché sia chiaro che su tutto il resto l’esecutivo riuscirà a fare poco. Il pin unico, la dichiarazione autocompilata e altre belle cose non cambieranno la vita ai cittadini. La riforma della pubblica amministrazione va avanti con gli stessi slogan di Bassanini e di Brunetta, quando si tratterebbe di modificare in profondità i comportamenti, le conoscenze e la formazione di un personale pubblico addestrato alla procedura e alla liturgia dell’adempimento, e di ristrutturare interi settori (dai cinque corpi di polizia agli enti locali, lasciati nel limbo dalla legge Delrio), di fare veramente la spending review, senza dire che saranno i ministeri ad auto-riformarsi (come se qualcuno ci credesse). Per di più, mentre servirebbe un pensiero robusto, applicato con determinazione al cambiamento, l’attacco perenne alle competenze è diventato stucchevole, ripetitivo, inascoltabile. Come se la politica degli autodidatti, nati nelle segreterie di partito e cresciuti all’ombra dei capibastone, a pane, tweet, comunicati stampa e congressi, avesse brillato e fosse stata esemplare nel risolvere i problemi. 

Insomma Matto Renzi acceleri, chiuda le partite complesse che ha in corso e si prepari per bene alla fase due. Che chiede idee più solide e un più nitido mandato elettorale. 

twitter@gualminielisa 

DA - http://www.lastampa.it/2014/12/15/cultura/opinioni/editoriali/fare-in-fretta-e-cominciare-la-fase-due-5jSDjDU2ETcT0sjWBKhUWI/pagina.html
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« Risposta #214 inserito:: Dicembre 17, 2014, 06:07:07 pm »

L’ultima rivelazione sull’omicidio della tredicenne di Brembate sopra getta ulteriori ombre sul carpentiere
Bossetti attorno alla palestra per un’ora fino alla scomparsa di Yara
Il suo furgone compare più volte nelle telecamere della zona tra le 18 e 19 del 26 novembre 2010. Poi, sparisce. L’esperto di Iveco Daily: «È il suo»

Di Fiorenza Sarzanini e Giuliana Ubbiali


La telecamera del distributore di fronte alla palestra di Brembate Sopra ha «catturato» un furgone compatibile a quello di Bossetti almeno una volta il 26 novembre 2010, alle 18.01. Ora, dagli inquirenti trapela la notizia di nuovi fotogrammi sospetti. Non è chiaro per il momento da quali obiettivi siano stati ripresi La telecamera del distributore di fronte alla palestra di Brembate Sopra ha «catturato» un furgone compatibile a quello di Bossetti almeno una volta il 26 novembre 2010, alle 18.01. Ora, dagli inquirenti trapela la notizia di nuovi fotogrammi sospetti. Non è chiaro per il momento da quali obiettivi siano stati ripresi

Il furgone di Massimo Giuseppe Bossetti è stato ripreso più volte attorno alla palestra di Brembate Sopra nell’ora precedente la scomparsa di Yara Gambirasio, il 26 novembre 2010. È l’ultimo, pesantissimo dettaglio che emerge dall’indagine che il 16 giugno scorso ha portato in carcere il carpentiere di Mapello, 44 anni, moglie e tre figli. Gli inquirenti sono sicuri che si tratti del suo Iveco Daily, perché i fotogrammi sono stati fatti analizzare a un esperto della casa automobilistica, che, in base alle caratteristiche del mezzo, ha confermato: «Quello è il furgone di Bossetti».

Per l’indagato è una tegola, anche perché dopo le 19, cioè quando la tredicenne viene rapita nel tragitto tra la palestra e la casa, il furgone non compare più nelle inquadrature. Sparisce. Fino a oggi si era parlato delle immagini catturate della telecamera del distributore Shell, che si trova di fronte al centro sportivo e che aveva registrato il giorno del delitto un furgone compatibile con quello di Bossetti alle 18.01. «Passavo sempre di lì quando tornavo dal lavoro», si era difeso lui, anche se poi era emerso che quel pomeriggio non era stato in cantiere.

17 dicembre 2014 | 08:49
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Da - http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_17/bossetti-piu-volte-alla-palestra-un-ora-prima-scomparsa-yara-b67f3ac0-85bd-11e4-a2bf-0fba46a30b83.shtml
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« Risposta #215 inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:22:30 pm »

Il dossier
«L’evacuazione non è riuscita»
Gli errori dell’equipaggio nell’atto d’accusa della Procura
Una famiglia denuncia il Rina affidandosi ai legali dei naufraghi della Costa Concordia

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Ritardi, omissioni, negligenze: con il trascorrere delle ore il naufragio del Norman Atlantic assume sempre più i contorni di una tragedia che poteva essere evitata, almeno per quanto riguarda il numero delle vittime. La conferma emerge dal decreto di sequestro firmato dai magistrati di Bari che ieri hanno disposto il trasferimento del relitto nel porto di Brindisi mentre era già in viaggio verso Valona, in Albania, trainato dai mezzi di un’impresa contattata dall’armatore Carlo Visentini, indagato assieme al comandante. Il provvedimento evidenzia proprio le carenze che ci sarebbero state al momento di far scattare l’allarme per mettere in salvo i passeggeri. E poi la necessità di verificare il corretto funzionamento dei dispositivi che, almeno secondo quanto testimoniato da chi era a bordo, in parte non hanno funzionato.

Il decreto dei pm
Nell’atto notificato alla Visemar viene sottolineata l’urgenza di avere a disposizione il relitto «per ricostruire l’esatta dinamica dell’incendio e dell’evacuazione non riuscita secondo quanto doveva essere previsto». È il passaggio chiave che rende espliciti i dubbi degli inquirenti sulla gestione delle fasi più delicate: il rogo e l’assistenza alle persone.
Non a caso nel decreto si parla esplicitamente delle verifiche da effettuare sulle dotazioni di bordo. Oltre ai sistemi di sicurezza, bisognerà infatti stabilire come mai non si sia riusciti a calare una parte delle scialuppe ritardando così di molte ore l’abbandono della nave e mettendo a rischio la vita delle persone o addirittura provocando la morte di alcuni.

L’allarme e il May Day
La scansione degli orari rappresenta la chiave per capire che cosa è accaduto. Un aiuto potrà arrivare da fotografie e filmati archiviati nei telefonini dei passeggeri con la registrazione dell’ora in cui sono stati effettuati. Al momento si sa che l’incendio è divampato nel garage alle 4.30 di domenica, circa dodici ore prima dell’arrivo previsto nel porto di Ancona. Dopo poco il comandante Argilio Giacomazzi ha lanciato il May Day.
Numerosi passeggeri già interrogati hanno raccontato di non aver sentito alcuna sirena. Qualcuno ha sostenuto di essere rimasto in cabina addirittura fino alle 5.20 prima di essere svegliato dal trambusto e dal fumo che a quel punto saliva dal garage. E questo avvalora l’ipotesi che l’allarme sia scattato in ritardo, pregiudicando per molti la possibilità di mettersi in salvo.



Mezzi e passeggeri
Secondo la lista ufficiale a bordo del Norman Atlantic c’erano 128 camion, di cui almeno quattro pieni di olii, 90 auto, 2 autobus e una moto. Ma si tratta appunto di quanto registrato al momento dell’imbarco, è possibile che i mezzi fossero di più. La perizia già disposta dai magistrati dovrà stabilire se il peso del carico fosse adeguato, ma soprattutto se è vero - come raccontato da alcuni passeggeri - che il tetto di alcuni camion sfiorava il soffitto del garage e con il movimento causato dal mare in tempesta, lo sfregamento tra le due superfici potrebbe aver causato le scintille all’origine del rogo.

Su questo tutte le ipotesi rimangono aperte, compresa quella dell’incendio scatenato involontariamente da uno dei clandestini nascosti proprio nella stiva.

Nel decreto si parla di «dotazioni di bordo» e nell’elenco sono comprese le scialuppe che non hanno funzionato, impedendo a numerosi passeggeri di mettersi subito in salvo.

Ma anche delle verifiche da effettuare sull’impianto antincendio, visto che le fiamme si sono propagate velocemente dal garage fino ai ponti superiori e nel giro di pochissimo tempo il traghetto è diventato rovente e ingovernabile.

Il team legale
Una famiglia di tre persone sopravvissute alla tragedia ha deciso di presentare una denuncia affidandosi al team di legali che già assistono un gruppo di circa cento naufraghi della Costa Concordia. L’esposto sarà depositato nelle prossime ore e, come anticipa l’avvocato Alessandra Guarini, «chiederà la verifica delle dotazioni di bordo e della funzionalità di tutti i sistemi di sicurezza, ma riguarderà anche l’attività del Rina, il registro navale italiano».

Aggiunge il legale: «Come abbiamo già segnalato alla magistratura di Grosseto sarebbe opportuno mettere fine a questo mercato delle certificazioni a scapito dell’incolumità dei passeggeri. Le ispezioni in realtà sono una farsa, anche di fronte a palesi violazioni le imbarcazioni non vengono fermate. E di fronte a ogni naufragio torniamo a interrogarci su come vengano effettuati i controlli».

fsarzanini@rcs.it

31 dicembre 2014 | 08:05
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« Risposta #216 inserito:: Gennaio 08, 2015, 04:57:00 pm »

DOPO LA STRAGE IN FRANCIA
Rischio terrorismo, allarme in Italia
Alzata l’attenzione in aeroporti e stazioni. Il pericolo è la capacità di attacco che può arrivare sia dai cosiddetti “lupi solitari”, sia da gruppi organizzati.

Di Fiorenza Sarzanini e Redazione Online

Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane». Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane».

L’allarme è scattato immediato anche in Italia. Massima allerta per gli apparati di sicurezza e già nel pomeriggio il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato per le 16.30 il Comitato di analisi strategica (CASA) per una verifica del dispositivo di sorveglianza che era già stato adeguato dopo gli attentati delle ultime settimane in Canada e in Australia.

Analisti dell’Antiterrorismo e 007 ripetono che non ci sono segnalazioni specifiche riguardo a particolari situazioni di rischio, ma il pericolo riguarda ormai la capacità di attacco che - come dimostra proprio quanto accaduto a Parigi - può arrivare sia dai cosiddetti «lupi solitari», sia da gruppi organizzati.

Il «salto di qualità» negli attacchi
Ed è proprio sulla presenza in Europa di questi uomini perfettamente addestrati che si concentra l’attenzione investigativa. Anche tenendo conto che svariate segnalazioni di possibili attacchi sono state esaminate negli ultimi mesi e in particolare nel periodo delle festività natalizie. La strategia di prevenzione che si applica in questi casi prevede l’aumento immediato dei controlli negli aeroporti e nelle stazioni, la verifica di tutti quegli ambienti di aggregazione che potrebbero fornire «coperture», ma anche l’intensificarsi dei contatti di intelligence tra Stati alleati.
In questi momenti non viene esclusa anche la convocazione di un vertice europeo proprio per mostrare compattezza una reazione comune di fronte a un offensiva terroristica che mostra di aver fatto un ulteriore salto di qualità nei confronti di obiettivi occidentali.

La Gran Bretagna invita i turisti alla prudenza
Quasi immediate le reazioni internazionali all'attentato. A Madrid la sede della casa editrice spagnola Prisa a Madrid, che pubblica tra l'altro, il quotidiano El Pais, è stata evacuata per un pacco sospetto. Il premier inglese David Cameron ha twittato raggelato, e i turisti britannici a Parigi sono stati invitati a una particolare prudenza: «fate particolarmente attenzione e seguite i consigli per la sicurezza delle autorità francesi», ha scritto il Foreign and Commonwealth Office. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel, tra l'altro in visita ufficiale a Londra, ha sottolineato: «Questo atto abominevole» «è anche un attacco alla libertà di parola e di stampa, elementi fondamentali della nostra cultura libera e democratica. Non lo si può giustificare in nessuna maniera». Dagli Stati Uniti Barack Obama ha condannato l'attentato: «sappiamo che la Francia non si farà spaventare da questo atto tremendo».

La Commissione europea: «Attacco contro noi tutti»
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha ribadito: «atti intollerabile, una barbarie», parlando di «attacco brutale e inumano», mentre il suo vice Frans Timmermans ha parlato di un attacco «contro noi tutti, contro i nostri valori fondamentali, contro le libertà su cui le nostre società europee sono costruite».

7 gennaio 2015 | 13:19
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_07/rischio-terrorismo-allarme-italia-aa54a1c8-9665-11e4-9ec2-c9b18eab1a93.shtml
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« Risposta #217 inserito:: Gennaio 08, 2015, 05:16:19 pm »

Rischio terrorismo, allarme in Italia Alfano: «Livello allerta elevatissimo»
Nel prossimo consiglio dei ministri, annunciato un «giro di vite» nella lotta al terrorismo. Alzata l’attenzione in aeroporti e stazioni

Di Fiorenza Sarzanini e Redazione Online

Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane». Due uomini incappucciati e vestiti di nero fanno strage a colpi di kalashnikov nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Hollande: «Atto barbaro, sventati diversi attentati nelle scorse settimane».

L’allarme è scattato immediato anche in Italia. Massima allerta per gli apparati di sicurezza e già nel pomeriggio il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato il Comitato di analisi strategica (CASA) per una verifica del dispositivo di sorveglianza che era già stato adeguato dopo gli attentati delle ultime settimane in Canada e in Australia. «Abbiamo un livello di allerta elevatissimo benché non ci sia nessuna traccia concreta di un segnale specifico organizzativo di eventuali attentati» ha detto il ministro Alfano intervenendo al programma Tv «Porta a Porta». «Abbiamo rafforzato le misure di protezione - ha ricordato Alfano - tutti gli obiettivi possibili sono presidiati, in particolare quelli francesi, americani ed ebraici. Stiamo dando il meglio di noi stessi». Analisti dell’Antiterrorismo e 007 ripetono che non ci sono segnalazioni specifiche riguardo a particolari situazioni di rischio, ma il pericolo riguarda ormai la capacità di attacco che - come dimostra proprio quanto accaduto a Parigi - può arrivare sia dai cosiddetti «lupi solitari», sia da gruppi organizzati.

Giro di vite contro il terrorismo
Così, si profila un giro di vite contro il terrorismo al prossimo Consiglio dei ministri. A quanto si apprende da fonti del Viminale, verrà approvato un provvedimento che mira a colpire in particolare i cosiddetti foreign fighters: termine usato per chi va a combattere nei teatri di guerra e poi potrebbe rientrare in Italia con progetti ostili. Alla misura lavorano da tempo i tecnici del ministero. Dopo l’attentato a Parigi si stringe sui tempi. La misura introdurrebbe la possibilità di punire penalmente i combattenti e non solo i reclutatori, come oggi prevede l’ordinamento. Si punta poi - analogamente a quanto avviene con i mafiosi - ad adottare uno stretto controllo di polizia su soggetti a rischio radicalizzazione con possibilità di allontanarli dall’Itala. Il bersaglio, le parole utilizzate da Alfano, è l’«aspirante combattente. Lo scopo è quello di neutralizzarne alla radice la pericolosità, applicandogli la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza che lo priverebbe di ogni capacità di nuocere».

Il «salto di qualità» negli attacchi
Proprio sulla presenza in Europa di questi uomini, perfettamente addestrati, che si concentra l’attenzione investigativa. Anche tenendo conto che svariate segnalazioni di possibili attacchi sono state esaminate negli ultimi mesi e in particolare nel periodo delle festività natalizie. La strategia di prevenzione che si applica in questi casi prevede l’aumento immediato dei controlli negli aeroporti e nelle stazioni, la verifica di tutti quegli ambienti di aggregazione che potrebbero fornire «coperture», ma anche l’intensificarsi dei contatti di intelligence tra Stati alleati.
In questi momenti non viene esclusa anche la convocazione di un vertice europeo proprio per mostrare compattezza una reazione comune di fronte a un offensiva terroristica che mostra di aver fatto un ulteriore salto di qualità nei confronti di obiettivi occidentali.

La Gran Bretagna invita i turisti alla prudenza
Quasi immediate le reazioni internazionali all'attentato. A Madrid la sede della casa editrice spagnola Prisa a Madrid, che pubblica tra l'altro, il quotidiano El Pais, è stata evacuata per un pacco sospetto. Il premier inglese David Cameron ha twittato raggelato, e i turisti britannici a Parigi sono stati invitati a una particolare prudenza: «fate particolarmente attenzione e seguite i consigli per la sicurezza delle autorità francesi», ha scritto il Foreign and Commonwealth Office. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel, tra l'altro in visita ufficiale a Londra, ha sottolineato: «Questo atto abominevole» «è anche un attacco alla libertà di parola e di stampa, elementi fondamentali della nostra cultura libera e democratica. Non lo si può giustificare in nessuna maniera». Dagli Stati Uniti Barack Obama ha condannato l'attentato: «sappiamo che la Francia non si farà spaventare da questo atto tremendo».

La Commissione europea: «Attacco contro noi tutti»
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha ribadito: «atti intollerabile, una barbarie», parlando di «attacco brutale e inumano», mentre il suo vice Frans Timmermans ha parlato di un attacco «contro noi tutti, contro i nostri valori fondamentali, contro le libertà su cui le nostre società europee sono costruite».

7 gennaio 2015 | 13:19
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_07/rischio-terrorismo-allarme-italia-aa54a1c8-9665-11e4-9ec2-c9b18eab1a93.shtml
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« Risposta #218 inserito:: Gennaio 12, 2015, 10:31:52 pm »

Dopo la strage
Stretta sui controlli alle frontiere
La misura divide i governi europei
Francia e Spagna vogliono rivedere Schengen, l’Italia è contro. Il punto di incontro tra i governi potrebbe essere l’adozione di controlli a campione

Di FIORENZA SARZANINI

Le linee guida sono stabilite, adesso toccherà all’Ue prendere una decisione. Ma non sarà semplice. Perché la possibilità di sospendere o quantomeno rivedere l’accordo di Schengen, ripristinando i controlli alle frontiere interne, divide i governi e rischia di vanificare il clima di grande condivisione che si respira dopo l’attacco dei terroristi islamici a Parigi. E invece per prevenire la minaccia di nuovi attacchi imminenti che i servizi segreti di mezzo mondo continuano a ritenere «altamente probabile», è necessario «rispondere con una sola voce», come viene ribadito al vertice dei ministri dell’Interno che si svolge nella capitale francese. E come accadrà da oggi in Italia con questori e prefetti chiamati dal capo della polizia Alessandro Pansa a riformulare la lista dei possibili obiettivi sulla base delle indicazioni fornite.

Misure urgenti
Sono tre le «misure» ritenute urgenti nella lotta internazionale al fondamentalismo: oltre al ripristino dei controlli ai confini, c’è l’approvazione della direttiva Ue che obbliga le compagnie aeree a fornire tutti i dati sui passeggeri e un coinvolgimento dei gestori della Rete web per limitare la pubblicazione dei messaggi che incitano all’odio e soprattutto una vera campagna di controinformazione come sollecitato dal ministro dell’Interno spagnolo Jorge Fernández Díaz. Tutto questo passando per un Centro di analisi europeo.

Le liste passeggeri
L’accesso immediato al Pnr (Passenger name record) che l’Italia ha più volte sollecitato durante il semestre europeo ma che non è stato varato per una resistenza trasversale all’interno dei vari schieramenti politici legata alle possibili violazioni della privacy, sembra adesso mettere tutti d’accordo. Anche Germania, Francia e Spagna - oltre a Stati Uniti, Canada e Australia che già lo hanno reso obbligatorio - spingono perché si faccia in fretta. E già la prossima settimana, in un nuovo vertice che si svolgerà a Bruxelles, si potrebbe arrivare a un risultato concreto superando le perplessità sull’accesso ai dati sensibili. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano lo dice chiaramente: «Il punto di equilibrio tra privacy e sicurezza deve variare a seconda dei momenti storici che si attraversano. In questo momento storico occorre un nuovo punto di equilibrio. Il limite di 3 anni per la conservazione delle informazioni è un compromesso che può sbloccare la situazione». Schierato anche il francese Bernard Cazeneuve che lo definisce «uno strumento fondamentale» e la britannica Theresa May.

Controlli alle frontiere
Più complesso il nodo legato al trattato di Schengen con Francia e Spagna che spingono per una revisione degli accordi, mentre l’Italia si oppone con Alfano «perché si tratta di una grande conquista di libertà che non può essere regalata ai terroristi e dunque va bene rafforzare il sistema di informazione, ma senza arretrare» e il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni che parla di «regalo ai terroristi se si decidesse di limitare la libera circolazione». Ora comincia il lavoro di mediazione, su qualcosa certamente bisognerà cedere perché Parigi e Madrid appaiono unite nel chiedere quantomeno controlli «a campione» e pare difficile che Roma possa sganciarsi dalla linea comune che sta prevalendo. E infatti ha trovato ampio consenso la proposta di convocare riunioni ristrette «tecniche» e politiche in sede europea per esaminare le informazioni prima che avvengano gli eventi perché, spiega Alfano, «occorre scambiarsi opinioni, notizie, rappresentarsi il rischio reale che ognuno avverte nel proprio Paese».

12 gennaio 2015 | 07:36
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_12/stretta-controlli-frontiere-misura-divide-governi-europei-cccdcd22-9a22-11e4-806b-2b4cc98e1f17.shtml
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« Risposta #219 inserito:: Gennaio 16, 2015, 11:13:42 pm »

Il retroscena
Due video «cifrati» in 15 giorni Così i rapitori hanno alzato il prezzo
I ribelli: «Pagati 12 milioni di dollari». La banda di terroristi non è legata all’Isis.
Le stragi di Parigi usate per alzare la posta. La cifra diffusa sembra comunque esagerata


Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Lo scambio sarebbe avvenuto tra domenica e lunedì, dopo l’arrivo di un video che forniva la nuova prova in vita delle due ragazze rimaste prigioniere in Siria quasi sei mesi. Un filmato per sbloccare definitivamente la trattativa, con la consegna della contropartita ai sequestratori. Sembra esagerata la cifra di dodici milioni di dollari indicata dai ribelli al regime di Assad, ma un riscatto è stato certamente pagato, forse la metà. E tanto basta a scatenare la polemica, alimentata da chi sottolinea come il versamento sarebbe avvenuto proprio nei giorni degli attentati a Parigi.
È l’ultimo capitolo di una vicenda a fasi alterne, con momenti di grande preoccupazione, proprio come accaduto dopo la strage di Charlie Hebdo e del supermercato kosher, quando i mediatori avrebbero tentato di alzare ulteriormente la posta.

La cattura
Saranno Greta Ramelli e Vanessa Marzullo a fornire ai magistrati i dettagli della lunga prigionia, compreso il numero delle case in cui sono state tenute. Ieri sera, dopo essere arrivate in un luogo sicuro - probabilmente in Turchia - e prima di essere imbarcate sull’aereo per l’Italia, sono state sottoposte al «debriefing» da parte degli uomini dell’intelligence, come prevede la procedura che mira a ottenere notizie preziose sul gruppo che le ha catturate il 31 luglio scorso e su quelli che le hanno poi gestite nei mesi seguenti.

Attivare i primi contatti per il negoziato non è stato semplice, anche se si è avuta presto la certezza che a rapirle era stata una banda di criminali, sia pur islamici, e non i jihadisti dell’Isis. A metà agosto, quando il Guardian ha rilanciato l’ipotesi che fossero tra gli ostaggi internazionali del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, i mediatori italiani si sono affrettati a smentire proprio nel timore che la trattativa potesse fermarsi. Circa un mese dopo è arrivata la prima prova per dimostrare che le ragazze stavano bene. E da quel momento è partita la trattativa degli 007, coordinata da Farnesina e Palazzo Chigi.

I passaggi di mano
Secondo le notizie iniziali a organizzare il sequestro è il «Free Syrian Army», l’esercito di liberazione della Siria. Ma la gestione delle prigioniere avrebbe avuto fasi alterne, con svariati cambi di «covo» e nell’ultima fase ci sarebbe stata un’interferenza politica di «Jabat al-Nusra», gruppo della galassia di Al Qaeda che avrebbe preteso un riconoscimento del proprio ruolo da far valere soprattutto rispetto alle altre fazioni e contro l’Isis. Non a caso, poco dopo la conferma dell’avvenuto rilascio delle due giovani, un uomo che dice di chiamarsi Muahhed al Khilafa e si firma sulla piattaforma Twitter con l’hashtag dell’Isis posta un messaggio per attaccare «questi cani del fronte al-Nusra che rilasciano le donne crociate italiane e uccidono i simpatizzanti dello Stato Islamico».

I contatti mediati
Del resto è proprio la situazione complessa della Siria ad alimentare sin da subito la sensazione che il sequestro non possa avere tempi brevi. E infatti la «rete» attivata per dialogare con i sequestratori ha a che fare con diversi interlocutori, non tutti affidabili. Con il trascorrere del tempo le richieste diventano sempre più alte, viene accreditata la possibilità che i soldi non siano sufficienti per chiudere la partita, che possa essere necessario concedere anche altro.
A novembre si sparge la voce che una delle due ragazze ha problemi di salute, si parla di un’infezione e della necessità che le vengano dati farmaci non facilmente reperibili in una zona così segnata dalla guerra. Qualche giorno dopo arrivano invece buone notizie, un emissario assicura che Greta e Vanessa sono in una casa gestita esclusivamente da donne. Informazioni controverse che evidentemente servono a far salire la tensione e dunque il valore della contropartita per la liberazione.

Rilancio e ultimo video
A fine novembre c’è il momento più complicato. I rapitori cambiano infatti uno dei mediatori facendo sapere di non ritenerlo più «attendibile». Si cerca un canale alternativo e alla fine si riesce a riattivare il contatto, anche se in scena compare «Jabat al-Nusra» e la trattativa assume una connotazione più politica.
La dimostrazione arriva quando si sollecita un’altra prova in vita di Greta e Vanessa e il 31 dicembre compare su YouTube il video che le mostra vestite di nero, mentre chiedono aiuto e dicono di essere in pericolo. È la mossa che mira ad alzare il prezzo rispetto ai due milioni di dollari di cui si era parlato all’inizio. Quel filmato serve a chiedere di più, ma pure a lanciare il segnale che la trattativa può ormai entrare nella fase finale. Anche perché contiene una serie di messaggi occulti che soltanto chi sta negoziando può comprendere, come il foglietto con la data «17-12-14 wednesday» che Vanessa tiene in mano mentre Greta legge il messaggio, che sembra fornire indicazioni precise.
Si rincorre la voce che entro qualche giorno possa avvenire il rilascio. Ma poi c’è una nuova complicazione.
Il 7 gennaio i terroristi entrano in azione a Parigi, quattro giorni dopo arriva un nuovo video. Questa volta viaggia però su canali riservati. L’intenzione dei sequestratori sembra quella di alzare ulteriormente la posta, la replica dell’Italia è negativa. Si deve chiudere e bisogna farlo in fretta.
L’ intelligence di Ankara fornisce copertura per il trasferimento oltre i confini siriani delle due prigioniere. Ieri mattina gli 007 avvisano il governo: è fatta, tornano a casa.

16 gennaio 2015 | 07:34
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_16/due-video-cifrati-15-giorni-cosi-rapitori-hanno-alzato-prezzo-b09e4888-9d48-11e4-b018-4c3d521e395a.shtml
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« Risposta #220 inserito:: Gennaio 19, 2015, 06:59:19 am »

Terrorismo IN ITALIA

Roma, venti jihadisti indagati «5 mila combattenti europei»
Nel mirino del Ros i «lupi solitari», immigrati o italiani di seconda generazione
Lo zar antiterrorismo dell’Unione Europea: non possiamo prevenire nuovi attentati

Di FIORENZA SARZANINI 146

Dialogano via Internet, parlano di «onorare la jihad », dicono che «bisogna colpire presto». Sono sotto controllo da mesi, non sembrano avere capacità operative immediate. Però fanno paura perché quanto accaduto a Parigi potrebbe averli esaltati convincendoli ad emulare le stragi compiute nella capitale francese dai fratelli Kouachi e da Amedy Coulibaly. Si concentra su un gruppo di stranieri residenti in Italia collegati con fondamentalisti che si trovano in Europa, ma anche arruolati dalle organizzazioni fondamentaliste in Siria e in Iraq, l’indagine dei carabinieri del Ros coordinata dai pubblici ministeri di Roma. In tutto, una ventina le persone che si muovono tra il nostro Paese e l’estero, con «basi» nella capitale, ma anche in Lombardia e Veneto dove altre indagini collegate sono tuttora in corso.

Sono i «lupi solitari» dei quali ha parlato davanti al comitato parlamentare sui servizi segreti il sottosegretario alla presidenza Marco Minniti, evidenziando la necessità di «tenere altissima l’attenzione degli apparati di sicurezza, ma anche dei cittadini perché queste persone si uniscono in piccole cellule e tentano di ottenere il massimo sforzo anche senza pianificare atti imponenti». Quanto accaduto a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato Kosher dimostra come si possano provocare vittime e tenere in scacco il mondo intero anche senza un’organizzazione perfetta dell’attentato.

Non a caso il capo dell’antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kechove mette in guardia: «Non possiamo prevenire nuovi attacchi, sappiamo che è in atto una massiccia radicalizzazione, soprattutto nelle prigioni». I numeri fanno spavento. Li fornisce il direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico, spiega che ci sono «tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per addestrarsi e partecipare alla guerra santa, che potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati». La «rete» italiana sarebbe composta da giovani tra i 20 e i 30 anni, immigrati, ma soprattutto stranieri di seconda generazione nati nel nostro Paese che si sono radicalizzati proprio grazie all’indottrinamento avvenuto attraverso la rete Internet, la frequentazione di luoghi di culto, i contatti con alcuni «arruolatori».

Le verifiche compiute al nord identificano tra i reclutatori personaggi provenienti dall’area del Maghreb e dai Balcani. Nella maggior parte dei casi si tratta di insospettabili esaltati dai richiami provenienti da Al Qaeda e dai leader dell’Isis che incitano i propri seguaci a «colpire con ogni mezzo e in ogni modo» e quindi «investire, sparare, decapitare» perché così si devono «uccidere gli infedeli». L’indagine partita proprio dal controllo del web, è poi andata avanti mettendo sotto controllo alcuni «sospetti», cercando di seguirne le mosse in modo da ricostruire contatti e strategie. «Se avessimo avuto la sensazione di un pericolo imminente li avremmo già fermati», spiegano gli investigatori lasciando intendere che sviluppi potrebbero arrivare a breve proprio per fermare il possibile processo emulativo.

14 gennaio 2015 | 07:23
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_14/roma-venti-jihadisti-indagati-5-mila-combattenti-europei-305dc7d2-9bb5-11e4-96e6-24b467c58d7f.shtml
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« Risposta #221 inserito:: Gennaio 24, 2015, 10:24:46 am »

La strategia

Accertamenti su 40 stranieri Si valutano nuove espulsioni
Limitato Schengen: l’Italia ripristina i controlli alle frontiere e chiede la lista dei passeggeri dei voli. La «blindatura» dimostra quanto alto sia il livello di preoccupazione

Di FIORENZA SARZANINI

L’Italia ripristina i controlli alle frontiere e chiede la lista passeggeri dei voli che arrivano da tratte a rischio. Mentre scattano accertamenti su una quarantina di stranieri ritenuti «sospetti» - residenti nel Lazio, in Lombardia e in Campania - per valutare nuove espulsioni, il prefetto Alessandro Pansa potenzia l’attività della polizia di frontiera per realizzare «la piena efficacia dei dispositivi e delle misure». Decisione che provoca la protesta dei sindacati con il Sap che evidenzia «la mancanza grave di risorse».

Accessi limitati
La «blindatura» dimostra quanto alto sia il livello di preoccupazione per la minaccia jihadista e la conferma è contenuta proprio nella circolare trasmessa ieri dal Dipartimento dell’Immigrazione del Viminale nella quale si sottolineano le «recenti segnalazioni concernenti un incremento dell’utilizzo fraudolento di documenti e titoli di viaggio sottratti in bianco e le diversificate procedure di falsificazione degli stessi».
Non è una sospensione del trattato di Schengen, ma il risultato è un’attenuazione forte visto che ad essere controllati ai confini potranno essere non solo i cittadini extracomunitari ma tutti coloro che sono ritenuti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale.

I voli a rischio
Il provvedimento del Viminale prevede anche «il sistematico accesso alle banche dati per migliorare il processo di gestione dei rischi e contrastare adeguatamente l’immigrazione irregolare e il terrorismo internazionale» soprattutto potenziando «l’utilizzo del sistema Bcs per l’acquisizione anticipata delle liste dei vettori provenienti da tratte a rischio». Più volte in questi giorni il ministro dell’Interno Angelino Alfano, d’accordo con i colleghi di Francia, Germania e Spagna ha insistito sulla necessità che in sede europea si sblocchi la direttiva per l’accesso al Pnr, il codice di prenotazione dei passeggeri, che fornisce informazioni dettagliate su tutti coloro che si trovano a bordo di un aereo e consente di effettuare pure verifiche incrociate. In attesa che si superino le resistenza legate a problemi di privacy, l’Italia decide così di potenziare quantomeno l’accesso alle liste in modo da poter effettuare comunque controlli su chi entra nel nostro Paese.

Quaranta «sospetti»
Dopo le dieci espulsioni decise nei giorni scorsi, poliziotti dell’Antiterrorismo e carabinieri del Ros continuano il monitoraggio di quegli stranieri nei confronti dei quali non ci sono elementi per un provvedimento giudiziario ma si deve valutare l’opportunità di farli rimanere in Italia.
Sono 43 le persone controllate ieri perché finite «sotto osservazione» per aver inneggiato alla jihad su internet oppure nei luoghi di incontro, visionato siti web ritenuti pericolosi, programmato viaggi verso il Medio Oriente. Nei prossimi giorni sarà il capo della polizia Pansa, d’accordo con il ministro Alfano, a valutare se tra loro ci sia chi deve essere espulso.

Le richieste degli 007
Di scenari internazionali ha parlato di fronte al Parlamento il capo dei servizi segreti, il direttore del Dis Giampiero Massolo, che dopo aver sollecitato poteri maggiori - dunque garanzie funzionali - per gli agenti sotto copertura, ha chiesto che si varino nuove norme per gli italiani che vanno all’estero, sottolineando la necessità che chi sceglie di andare senza alcuna protezione nelle zone di massima pericolosità sia poi responsabile delle conseguenze.

22 gennaio 2015 | 08:29
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_gennaio_22/accertamenti-40-stranieri-si-valutano-nuove-espulsioni-c32f3796-a207-11e4-8580-33f724099eb6.shtml
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« Risposta #222 inserito:: Febbraio 18, 2015, 07:50:14 am »

Rapporto dell’intelligence
Minacce Isis a Italia, 007 avvertono: «Doppio fronte, mai così esposti»
Secondo i servizi segreti, flussi migratori e minacce jihadiste in Libia formano una miscela che costituisce un unico pericolo per il nostro Paese


Di FIORENZA SARZANINI

È il momento di crisi peggiore da quando i fondamentalisti dell’Isis hanno messo nel mirino l’Europa e ora in un video che mostra la decapitazione di 21 ostaggi annunciano: «Siamo a sud di Roma». Perché per l’Italia si apre in maniera drammatica un doppio fronte di emergenza: da una parte i flussi migratori, dall’altra i jihadisti in una miscela che in Libia rischia di fondersi in un unico pericolo visto che molti miliziani, dopo la caduta del regime di Gheddafi, gestiscono i traffici illeciti primo fra tutti proprio quello che riguarda i clandestini. E quale sia il livello di rischio si è capito ieri pomeriggio quando alcuni uomini armati di kalashnikov hanno minacciato i marinai di una motovedetta della Guardia costiera italiana che si era spinta davanti alla costa di Tripoli per soccorrere migranti che avevano lanciato l’Sos. E hanno costretto il capitano a restituire il barcone vuoto che invece era già stato sequestrato. Le ultime stime parlano di 600 mila stranieri presenti in Libia, 200 mila già sistemati in cinque campi di raccolta e pronti a imbarcarsi. Ma parlano soprattutto di circa 7 mila combattenti di Ansar Al Sharia che hanno aderito all’appello del Califfo e stanno marciando per conquistare il Paese. A loro potrebbero aggiungersi i seguaci di altri gruppi fondamentalisti determinati a far prevalere l’Islam impedendo l’occupazione di una coalizione occidentale. Gli analisti sono concordi nel ritenere che mai il nostro Paese è stato così esposto.

Il vertice urgente
I report degli apparati di intelligence e di sicurezza confermano che in poche settimane la situazione può degenerare visto che dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di Tripoli del 27 gennaio scorso l’Isis ha mostrato di voler avanzare rapidamente ed è già riuscita ad ottenere il controllo di molte aree principali del Paese. Il governo di Roma preme per un intervento dell’Onu che gli affidi un ruolo primario, ma nella consapevolezza che i tempi potrebbero non essere brevi si stanno valutando anche altre possibilità non esclusa quella di un intervento armato in ambito Nato. L’ipotesi è quella di ricorrere alle intese siglate nel settembre scorso a Cardiff e poi a Parigi proprio per fare fronte comune contro i fondamentalisti guidati da Abu Bakr al-Baghdadi. Sei mesi fa erano circa 25 gli Stati che avevano aderito, adesso è in corso una nuova consultazione diplomatica proprio per misurare l’eventuale capacità operativa. Si tratta comunque di una missione con numerose incognite come è stato ribadito più volte in queste ore in ambito militare sottolineando la necessità di mettere a punto «la copertura giuridica internazionale per uno schieramento di almeno 20 mila uomini».

L’attacco agli impianti
La convinzione rimane comunque quella legata a tempi di azione strettissimi, proprio per evitare che si alzi ulteriormente il livello di minaccia contro l’Italia dopo il proclama che puntava al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ed è stato interpretato come una chiamata alle armi per chiunque sia in grado di passare all’azione. C’è la consapevolezza che l’incitamento a colpire l’Italia per i terroristi potrebbe voler dire nell’immediato anche assaltare le sue postazioni locali con un danno che potrebbe rivelarsi enorme. Le relazioni degli 007 ribadiscono il pericolo di attentati contro i giacimenti petroliferi e del gas, le sedi delle aziende che — nonostante il richiamo della Farnesina — sono costrette a tenere personale sul posto per far funzionare gli impianti. Gli interessi del nostro Paese in Libia sono molteplici, primi fra tutti quelli legati all’attività dell’Eni, con lo stabilimento di Mellitah tra i suoi impianti strategici, Finmeccanica, numerose aziende controllate e altre private.

I campi profughi
Grande preoccupazione anche per l’esodo che la crisi libica potrebbe provocare. Sono cinque i campi di raccolta dei profughi dove i trafficanti stanno ammassando chi vuole partire: oltre al porto di Zwara, Sabrata, Janzur, Tripoli e Garabulli. Le ultime stime parlano di circa 600 mila stranieri che vivono nel Paese, di cui 200 mila intenzionati a lasciarlo. Il rischio altissimo è che una guerra civile possa far salire il numero di chi si trova costretto ad andare via. E diventi così preda dei miliziani che guadagnano milioni di dollari con il traffico dei barconi. Già nelle prossime ore approderanno in Sicilia almeno un migliaio di stranieri. Moltissimi altri potrebbero arrivare nel giro di pochi giorni.

16 febbraio 2015 | 07:07
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_febbraio_16/minacce-isis-italia-007-avvertono-doppio-fronte-mai-cosi-esposti-c9bb887e-b5a0-11e4-bb5e-b90de9daadbe.shtml
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« Risposta #223 inserito:: Febbraio 20, 2015, 04:38:00 pm »

Lo scenario
L’Eni fa rientrare il personale italiano Libia, allerta difesa aerea
Non ritenuta credibile la minaccia dei terroristi «infiltrati in Europa dai barconi»

Di FIORENZA SARZANINI

La decisione è stata presa dopo l’attentato all’Hotel Corinthia di fine gennaio, ma era nell’aria già da settimane. L’Eni ha ritirato tutto il personale italiano dalla Libia per motivi di sicurezza e lo stesso hanno fatto le altre aziende che continuano a operare nello Stato africano, affidandosi però a dipendenti locali e addetti alla vigilanza stranieri. Tra i possibili obiettivi dei terroristi dell’Isis gli impianti petroliferi ed energetici sono inseriti in cima alla lista, dunque la scelta di alleggerire le presenze rientra in una strategia che mira a ridurre al minimo il rischio nella consapevolezza che riuscire a uccidere gli italiani, sia pur all’estero, sarebbe comunque una vittoria dei fondamentalisti. Soprattutto nel pieno di una campagna mediatica scatenata dai jihadisti che continua a salire di livello e punta a Roma come bersaglio costante.

La difesa aerea
Quale sia il clima lo si è ben compreso qualche giorno fa, quando il sistema di difesa aerea è entrato in stato di massima allerta per un avviso trasmesso dai servizi segreti. La segnalazione parlava di alcuni aerei pronti a decollare da Sirte per colpire il nostro Paese. Non c’è stato alcun riscontro, ma la tensione rimane altissima perché forte continua ad essere il rischio di un attentato compiuto da «lupi solitari» proprio come già accaduto a Parigi e poi a Copenaghen. È questa la vera preoccupazione dei responsabili della sicurezza e lo conferma il sottosegretario alla presidenza con delega ai Servizi, Marco Minniti, quando parla di «massima imprevedibilità della minaccia che per questo non ha precedenti e tiene insieme la capacità simmetrica e asimmetrica in quanto può fare sia campagne militari sia terroristiche», rilancia la necessità di «avere una raccolta dati capillare» e insiste sull’urgenza di introdurre a livello europeo il Pnr, il codice passeggeri che fornisce notizie su tutti i voli incrociando informazioni preziose sui «sospetti», perché «non va sospeso Schengen, ma è indispensabile il controllo di chi si sposta verso i teatri di guerra» e talvolta decide poi di tornare indietro.

Il flusso dei migranti
Nessuna attendibilità viene data dagli analisti alla notizia rilanciata dal quotidiano britannico Daily Telegraph che pubblica documenti compilati da Abu Arhim al Libim, ritenuto uno dei leader dell’Isis secondo il quale «grazie alla vicinanza della Libia con gli Stati crociati» i jihadisti potrebbero «utilizzare e sfruttare in modo strategico i tanti barconi di immigrati per colpire le compagnie marittime e le navi dei Crociati». Gli esperti ritengono che si tratti di pura propaganda, escludono che i terroristi possano confondersi tra i disperati che tentano di raggiungere l’Europa, mentre continuano ad avvalorare l’ipotesi che i fondamentalisti utilizzino i flussi proprio per mettere in ginocchio l’Europa anche provocando divisioni tra gli Stati della Ue che devono gestire l’emergenza. Nelle ultime ore c’è stata una riduzione degli sbarchi, ma nessuno si fa illusioni sulla possibilità che questa situazione possa durare più di un paio di giorni.

Militari e scorte
Di fronte alla possibilità che l’azione diplomatica per trovare una situazione alla crisi libica vada avanti per settimane, sembra indispensabile prevedere un dispositivo di protezione più snello, soprattutto non concentrato soltanto su quelli che sono i bersagli più prevedibili. E dunque si è deciso di dislocare le camionette dei militari anche in luoghi apparentemente più defilati non escludendo che possano essere ritenuti più facili da attaccare. E questo naturalmente costringe a rivedere l’elenco delle personalità scortate, tenendo conto delle carenze in organico delle forze dell’ordine, come denunciano da mesi i sindacati di polizia come Sap e Silp Cgil che chiedono l’assunzione di almeno mille agenti. Ma anche a rimodulare i piani di intervento sul territorio con la vigilanza dinamica molto più frequente soprattutto nei centri storici delle città.

19 febbraio 2015 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_19/eni-fa-rientrare-personale-italiano-allerta-difesa-aerea-a32c37ee-b7fd-11e4-8ec8-87480054a31d.shtml
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« Risposta #224 inserito:: Marzo 16, 2015, 11:48:23 pm »

Alta velocità e Grandi opere, in carcere il burocrate Ercole Incalza
Dirigente del ministero dei Lavori pubblici per 14 anni, ha attraversato sette governi
Il gip: «Procurati incarichi di lavoro al figlio del ministro Lupi»

Di FIORENZA SARZANINI

In carcere Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici. Su richiesta della Procura di Firenze sono stati eseguiti quattro arresti e oltre cento perquisizioni su appalti pubblici. Arrestati anche il funzionario del ministero e collaboratore di Incalza, Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. I reati contestati sono corruzione, induzione indebita, turbata libertà degli incanti e altre violazioni relative alla pubblica amministrazione. Gli appalti finiti nell’indagine riguardano la linea Alta velocità e numerosi lavori legati alle Grandi opere. Gli arresti sono stati eseguiti dai carabinieri del Ros.

Lupi, il figlio, l’intercettazione
L’inchiesta condotta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo coinvolge cinquantuno indagati. Tra loro anche politici, incluso l’europarlamentare Vito Bonsignore (membro del gruppo del Partito popolare europeo - Democratici-cristiani - e dei Democratici europei). Tra i politici citati negli atti processuali, il ministro Lupi. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip di Firenze scrive che «Stefano Perotti ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi», figlio del ministro. Dalla stessa ordinanza, si apprende che - in base a un’intercettazione del 16 dicembre 2014 tra il responsabile dei Trasporti e lo stesso Incalza -, «il ministro Lupi, a fronte della proposta di soppressione» della Struttura di Missione «o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo».

Dal 2001 a oggi
Ingegnere, nato nel Brindisino il 15 agosto del 1944, Ercole Incalza è arrivato nel 2001 come capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi (governo Berlusconi) ed è rimasto al ministero delle Infrastrutture per quattordici anni, fino allo scorso dicembre, attraversando sette governi. È passato attraverso Antonio Di Pietro (governo Prodi), quindi è stato promosso capo struttura di missione da Altero Matteoli (di nuovo Berlusconi), confermato da Corrado Passera (governo Monti), Lupi (governo Letta) e poi ancora Lupi (governo Renzi). Fonti dell’esecutivo precisano che è andato in pensione nel dicembre 2014 e che attualmente non riveste nessun ruolo o funzione neanche a titolo gratuito. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza — definito «potentissimo dirigente» del ministero dei Lavori pubblici — il principale artefice del «sistema corruttivo» scoperto dalla Procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di «dominus» della Struttura tecnica di missione del ministero, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati.

«Consulenze in cambio di lavori»
Più in dettaglio, nella conferenza stampa sull’inchiesta si è svolta lunedì mattina a Firenze, il procuratore Creazzo ha spiegato che «per l’accusa la direzione dei lavori veniva affidata all’ingegner Stefano Perotti per un accordo illecito»: Perotti affidava incarichi di consulenza o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza (peraltro destinatario anch’egli di incarichi «lautamente retribuiti» conferiti dalla Green Field System srl, una società affidataria di direzioni lavori)». A Perotti, responsabile della società Ingegneria Spm e ritenuto dagli inquirenti «figura centrale dell’indagine», sono stati affidati tra gli altri i lavori per la linea ferroviaria A/V Milano-Verona (tratta Brescia - Verona); il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città; la tratta ferroviaria A/V Firenze Bologna; la tratta ferroviaria A/V Genova-Milano Terzo Valico di Giovi; l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre; l’autostrada Reggiolo Rolo-Ferrara; l’Autostrada Eas Ejdyer-Emssad in Libia.

«I costi lievitavano del 40 per cento»
Il procuratore Creazzo ha spiegato che «sono stati arrestati due stretti collaboratori» di Incalza e Perotti. A uno di loro, Francesco Cavallo, sempre secondo l’accusa, veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7 mila euro «come compenso per la sua illecita mediazione». «Il totale degli appalti affidati a società legate a Perotti è di 25 milioni di euro» ha fatto sapere il procuratore, precisando che «il Gip non ha comunque ritenuto che sussistessero gli elementi di gravità per contestare l’associazione per delinquere e l’ha rigettata». «Questo tipo di direzione dei lavori consentiva modifiche, con opere che lievitavano anche del 40 per cento» ha aggiunto il comandante del Ros, Mario Parente. Tutte le principali Grandi opere sarebbero state oggetto dell’«articolato sistema corruttivo» messo in piedi dalle persone arrestate ed indagate.

«Illeciti per aggiudicare i lavori di Palazzo Italia Expo»
L’inchiesta, chiamata «Sistema», è stata coordinata dalla Procura di Firenze perché tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sottoattraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi opere, compresi alcuni relativi all’Expo. Secondo il procuratore Creazzo «dall’indagine è emerso come l’ingegner Stefano Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo». Così come sull’assegnazione di quelli per la costruzione del nuovo terminal del porto di Olbia, di molatura delle rotaie da parte dalla società Ferrovie del Sud Est e sempre di molatura delle rotaie in favore della società Speno International a lui riconducibile. Perotti ha ottenuto anche, in favore di società a lui riconducibili, l’incarico di direttore dei lavori di un appalto Anas relativo a un macro lotto dell’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria e il conferimento dell’incarico di progettazione del nuovo centro direzionale Eni di San Donato Milanese.

Da Milano a Crotone
Gli arresti sono stati eseguiti a Roma e a Milano. Le perquisizioni - nelle province di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova, Torino, Padova, Brescia, Perugia, Bari, Modena, Ravenna, Crotone e Olbia -, sono avvenute nei domicili degli indagati, negli ambienti della Struttura di Missione del ministero delle Infrastrutture, negli uffici di diverse società, tra cui tra cui Rfi, Anas international Enterprise, Ferrovie del Sud Est Srl, Consorzio Autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre, Autostrada regionale Cispadana Spa e Autorità portuale Nord Sardegna. Alcuni provvedimenti sono stati eseguiti con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti di natura fiscale.

16 marzo 2015 | 08:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_16/appalti-pubblici-arresti-c8baf4b6-cbab-11e4-990c-2fbc94e76fc2.shtml
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