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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 194401 volte)
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« Risposta #195 inserito:: Giugno 28, 2014, 11:48:11 am »

L’ipotesi

Ai funerali di Esposito il debutto degli agenti con la videocamera
Il Viminale ha già emanato il regolamento per l’uso dei dispositivi elettronici in caso di manifestazioni pubbliche a rischio incidenti: piazza filmata solo se la tensione cresce


Di FIORENZA SARZANINI

Il dispositivo di sicurezza predisposto dalla questura di Napoli è di massima allerta. Ed è possibile che gli agenti in servizio di ordine pubblico possano attivare le telecamere montate sui giubbotti. La sperimentazione è partita ieri, con l’emissione della circolare dei vertici del Dipartimento guidato dal prefetto Alessandro Pansa. Ufficialmente si comincia il 1° luglio, ma già da settimane sono state effettuate alcune «prove» per testare il funzionamento delle apparecchiature.

Video in quattro città
Il «disciplinare di utilizzo» fissa le 10 regole da rispettare, le modalità da seguire per evitare abusi. Sono 160 le apparecchiature messe a disposizione dei Reparti Mobili di Roma, Napoli, Torino e Milano che potranno utilizzarle durante le manifestazioni, nel corso dell’attività fuori e dentro gli stadi, ma anche in occasione di particolari momenti di tensione come può essere appunto il funerale di Ciro Esposito, vittima della follia ultrà prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, giocata all’Olimpico di Roma il 3 maggio scorso. L’obiettivo è specificato nel documento: «Utilizzare le videoriprese come strumento di prevenzione a tutela delle persone e del regolare svolgimento della manifestazione».

I «capisquadra»
Il decalogo prevede che «l’apparecchio, montato sul gilet tattico del “caposquadra” e di un altro componente dell’unità organica dei Reparti Mobili, venga attivato nei momenti di criticità per ordine di un funzionario che potrà disporre la cessazione e poi riattivarlo se ce ne sia la necessità. Al termine dovrà essere compilato un foglio di consegna e tutta la documentazione dovrà essere consegnata alla polizia Scientifica».

Il regolamento assegna al consegnatario del Reparto il compito di «verificare lo stato di efficienza dei dispositivi prima dell’utilizzo e all’atto della riconsegna. Deve poi provvedere al mantenimento della piena efficienza delle batterie, controllando la corrispondenza dell’orario, e della data presenti sul display . Tutti i dispositivi dovranno essere sincronizzati sulla stessa data e sullo stesso orario».

Le schede di memoria
La decisione di filmare la piazza è stata presa nelle scorse settimane, dopo gli scontri avvenuti durante il corteo di metà aprile a Roma segnato dal poliziotto che calpestava una manifestante. E ha come priorità quella di «cristallizzare» i momenti più complessi proprio per poter poi stabilire che cosa sia effettivamente accaduto. E così assegnare responsabilità certe ai responsabili. Anche per questo è previsto che al momento della consegna al caposquadra «la scheda di memoria non dovrà contenere alcun dato archiviato. Le videocamere e le schede di memoria sono contraddistinte da un numero seriale che dovrà essere annotato in un apposito registro recante il giorno, l’orario, i dati indicativi del servizio, la qualifica e il nominativo del dipendente che firmerà la presa in carico e la restituzione».

Proprio per garantire la genuinità delle riprese «l’operatore, dopo aver verificato il funzionamento, l’assenza di dati archiviati nella memoria e la corrispondenza di data e orario, posizionerà la videocamera sul gilet tattico e dovrà tenerlo, pronto per l’utilizzo, per tutta la durata del servizio».

La «tutela» per le indagini
I primi a sollecitare la possibilità di utilizzare le telecamere erano stati i vertici dell’Associazione funzionari di polizia e il Siap «per tutelare gli operatori ed evitare assurde strumentalizzazioni», come ha più volte sottolineato il segretario Lorena La Spina. Una posizione condivisa dal Sap guidata da Gianni Tonelli e dalla Silp Cgil rappresentata da Daniele Tissone, concordi nel chiedere «strumenti efficaci di prevenzione e soprattutto di protezione». Un’istanza accolta anche perché, come viene specificato nella circolare, «è stata rilevata l’esigenza di implementare le dotazioni degli operatori dei Reparti Mobili con strumenti tecnologico dedicati, in grado di ampliare le aree di controllo visivo dell’evento che consentano, in via prioritaria di assicurare una maggiore tutela agli stessi operatori mediante l’acquisizione di materiale video-fotografico utile per l’eventuale supporto probatorio».

La sperimentazione durerà sei mesi e «per monitorare la funzionalità della soluzione adottata e verificarne la rispondenza operativa», ogni mese dovrà essere trasmesso un «report» alla segreteria del capo della polizia in modo da poter effettuare eventuali interventi correttivi.

27 giugno 2014 | 08:19
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_giugno_27/ai-funerali-esposito-debutto-agenti-la-videocamera-fcf88fe6-fdbf-11e3-8c6c-322f702c0f79.shtml
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« Risposta #196 inserito:: Luglio 03, 2014, 07:02:22 pm »



Di FIORENZA SARZANINI

Era accusata di aver sfruttato la figlia minorenne agevolando la sua attività di prostituta e adesso pagherà per quanto ha fatto. Oltre la condanna a sei anni, che rispecchia le richieste dei pubblici ministeri, è condivisibile la scelta fatta dal giudice di privarla della potestà genitoriale e di obbligarla a risarcire i danni alla giovane. Perché è contro natura che una madre possa utilizzare il corpo della sua bambina per sbarcare il lunario. Soprattutto se poi non mostra alcun pentimento e addirittura nega di averlo fatto. Sono state inflitte pene severe anche a chi aveva organizzato il «giro» d’affari facendo incontrare Azzurra e Aurora con uomini adulti in un appartamento in zona Parioli, a Roma, oppure in alcuni alberghi e addirittura in macchina.

E ai clienti consapevoli della minore età delle due, forse attratti proprio dalla perversione di pagare due ragazzine per avere con loro rapporti sessuali. «Il giudice ha condiviso il nostro impianto», commentano con soddisfazione il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Cristina Macchiusi. Hanno ragione, l’inchiesta ha trovato riscontro nell’esito del processo. E proprio sulla base di questa sentenza sarebbe opportuno che adesso rifiutassero la richiesta di patteggiamento presentata dagli altri clienti, soprattutto se - come era stato ipotizzato - lo sconto di pena porta la condanna a sei mesi, convertibile in 40mila euro. L’indagine ha consentito di individuare oltre sessanta uomini che almeno una volta hanno fatto sesso a pagamento con Azzurra e Aurora sapendo che erano minorenni. Persone note e sconosciute, clienti abituali oppure insospettabili uniti dalla stessa «deviazione». Qualcuno aveva figlie o nipoti della stessa età. La maggior parte di loro è già stata «graziata» visto che è riuscita a rimanere nell’anonimato. Ora non ci devono essere scorciatoie, nessuna indulgenza può essere prevista nei confronti di queste persone. «Pedofili» li ha definiti papa Francesco. In ogni caso indegni di ottenere qualsiasi beneficio da chi ha il potere di giudicarli «in nome del popolo italiano».

2 luglio 2014 | 07:34
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_luglio_02/parioli-ragazzina-sfruttatata-severi-chi-non-da-segni-pentimento-49fee964-01aa-11e4-b194-79c20406c0ad.shtml
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« Risposta #197 inserito:: Settembre 06, 2014, 05:00:58 pm »

La sfida degli estremisti
Adesso cresce l’allerta anche per gli italiani rapiti
Diventa più difficile per la diplomazia mantenere aperti i negoziati.
Si riunisce il Comitato per la sicurezza

di FIORENZA SARZANINI

L’ultimo contatto è avvenuto una decina di giorni fa ed era servito a rassicurare sulla «buona salute delle ragazze». Il «canale» per riportare a casa Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due cooperanti rapite in Siria la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto scorso, rimane aperto. Ma nessuno può negare che la decapitazione del giornalista statunitense Steven Joel Sotloff e soprattutto la minaccia di riservare lo stesso destino all’ostaggio britannico David Cawthorne Haines, abbiano ulteriormente aggravato una situazione già delicatissima. E fatto salire i timori per la sorte di tutti gli occidentali tuttora nelle mani dei jihadisti.

A far paura adesso è la scansione dei tempi scelti dai terroristi con l’uccisione di un prigioniero ogni dieci giorni e soprattutto con l’avvertimento «ai governi che entrano nella malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico» affinché «si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». L’Italia è inserita in questo elenco, soprattutto dopo la decisione di inviare armi direttamente ai Peshmerga schierandosi ufficialmente con Washington e dunque contro l’avanzata del Califfato. E ciò la espone come bersaglio anche per quanto riguarda possibili attacchi che potrebbero essere pianificati in questa «guerra santa» che i massimi rappresentanti dell’Isis hanno detto più volte di voler combattere nei video trasmessi nelle ultime settimane.

È una situazione di altissima tensione che rende naturalmente irta di ostacoli l’attività condotta dalla diplomazia e dall’intelligence per mantenere aperto il negoziato con i rapitori delle due giovani. Anche tenendo conto che il conflitto siriano è in una fase acuta e gli scontri tra le varie fazioni si sono fatti più intensi.

Ieri sera, dopo la conferma dell’assassinio di Sotloff con la gesta dei fondamentalisti di «postare» sul web le immagini girate nel deserto, è scattata un’ulteriore allerta a questori e prefetti per la protezione dei possibili «obiettivi». Nei prossimi giorni il ministro Angelino Alfano riunirà nuovamente il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Non c’è alcun rischio specifico, nulla di concreto è stato finora segnalato dagli 007 italiani, né dai servizi segreti stranieri su pericoli imminenti che possano riguardare il nostro Paese. Il monitoraggio effettuato dall’Antiterrorismo del Viminale e dagli specialisti del Ros dei carabinieri non fornisce alcuna indicazione di minaccia. Ma gli analisti sono concordi nel ritenere che il livello di attenzione debba rimanere alto non potendo escludere un’azione isolata o comunque un possibile attacco nei confronti dei cittadini italiani, in particolare contingenti militari, che si trovano all’estero.



In questo quadro si inserisce come priorità il negoziato per il rilascio delle cooperanti catturate un mese fa ad Aleppo. Le rassicurazioni fornite dai «mediatori» sulla sorte di Greta e Vanessa accreditano l’ipotesi che le due ragazze siano state affidate a un gruppo di connotazione «politica» ma che non siano gestite direttamente dall’Isis. Proprio per questo la Farnesina ha più volte evidenziato la necessità di mantenere il «massimo riserbo» sulle trattative avviate per evitare di far salire il prezzo degli ostaggi e soprattutto per impedire che possano essere cedute a un’altra formazione intenzionata a utilizzarle per la propaganda dei fondamentalisti. Una precauzione che vale anche per padre Paolo Dall’Oglio, catturato in Siria un anno fa e del quale da tempo non si hanno notizie, tanto che i suoi familiari si sono appellati ai rapitori affinché facciano almeno sapere se è ancora vivo.

La gestione dei precedenti sequestri di italiani in Siria ha consentito all’Aise, l’Agenzia di informazione e sicurezza esterna, di creare una «rete» di contatti efficienti, canali di dialogo che sinora hanno mostrato di funzionare. E proprio questo alimenta la speranza che, con tempi che naturalmente non potranno essere brevi, si possa ottenere la liberazione delle cooperanti, evidenziando il loro impegno nei confronti della popolazione e la scelta di recarsi in Siria, sia pur senza avere alcuna esperienza di quelle zone e del «teatro di guerra», esclusivamente per aiutare la popolazione e in particolare i bambini.

3 settembre 2014 | 07:00
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Da - http://www.corriere.it/
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« Risposta #198 inserito:: Settembre 07, 2014, 05:54:35 pm »

Il commento
Polizia: quella minaccia di sciopero non è ricatto
Serve una strategia chiara sulla sicurezza

Di FIORENZA SARZANINI

Ci sono uomini e donne in divisa che lavorano fino a 15 ore al giorno pur sapendo di non poter percepire lo straordinario, altri che partono in missione senza alcuna certezza di ottenere il rimborso spese. Sono le stesse persone che adesso chiedono al governo di poter avere ciò che spetta loro. Perché, è bene chiarirlo subito, lo sciopero minacciato da forze dell’ordine e forze armate non mira ad ottenere il rinnovo del contratto oppure un aumento dello stipendio. La protesta è contro la scelta di non sbloccare il tetto degli stipendi imposto nel 2010 e dunque impedire il versamento delle somme dovute all’avanzamento di carriera.

Ha ragione il presidente Matteo Renzi quando dice che non bisogna piegarsi ai ricatti. Uno Stato funziona bene quando le istituzioni sono in grado di confrontarsi e di trovare soluzioni evitando esasperazioni e scontri. Cinque forze di polizia - soprattutto in un momento di grave crisi economica - possono causare sovrapposizioni e sprechi che invece sarebbe bene eliminare. Ma per arrivare a questo risultato occorre mettere a punto una seria strategia di interventi, individuando gli obiettivi e pianificando il percorso. Se ne parla da mesi, si stilano elenchi di «tagli», poi tutto viene rinviato.

Il tempo delle decisioni adesso è arrivato. La mobilitazione minacciata in maniera così eclatante non è un ricatto, è il campanello di un’esasperazione che non può e non deve essere sottovalutata. Perché riguarda un bene prezioso come quello della sicurezza e chi ha il compito di garantirla si sente invece «insicuro», addirittura «abbandonato», come lamentano migliaia di carabinieri, poliziotti, finanzieri, militari della Marina, dell’Aeronautica. Il malessere riguarda agenti e funzionari, appuntati e colonnelli, marescialli e generali. L’Italia è un Paese ad alto tasso delinquenziale, che è stato segnato dal terrorismo e ora si trova esposto a imponenti flussi migratori. Sono tante le emergenze da affrontare e bisogna farlo con apparati efficienti e motivati. Non si può consentire che l’età media dei poliziotti e dei carabinieri in servizio sfiori i 40 anni. Non si può consentire che un capo guadagni meno di un sottoposto non perché esiste una contrattazione individuale, ma perché non ci sono soldi per retribuire la sua promozione.

Sarebbe bene che all’incontro promesso con i rappresentanti di forze dell’ordine e forze armate, il capo del governo arrivasse con una strategia chiara per confermare che il tema della sicurezza è una priorità e non soltanto un tema da spendere nelle campagne elettorali.

6 settembre 2014 | 07:32
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_06/polizia-quella-minaccia-sciopero-non-ricatto-3f61be78-3585-11e4-bdcf-fc2cde10119c.shtml
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« Risposta #199 inserito:: Settembre 13, 2014, 06:42:20 pm »

L’inchiesta La perizia sui suoi spostamenti fino a pochi minuti dall’uscita della ragazza da ginnastica
«Bossetti non andò in cantiere il giorno dell’omicidio di Yara»
Gli investigatori: furgone vicino alla palestra prima della scomparsa

di FIORENZA SARZANINI

ROMA -- Il giorno della scomparsa di Yara Gambirasio, Massimo Giuseppe Bossetti non andò a lavorare. Quel pomeriggio, pochi minuti prima che la tredicenne fosse portata via, il suo furgone girava intorno alla palestra dove la giovane era andata a portare uno stereo. È l’ultimo tassello inserito dagli investigatori nell’inchiesta contro il muratore accusato di aver sequestrato e poi ucciso la ragazzina. E rappresenta una clamorosa smentita al racconto fatto dall’indagato durante gli interrogatori davanti al giudice, quando ha negato di essere l’assassino e poi ha ricostruito i propri movimenti del 26 novembre 2010, affermando senza esitazione: «Passavo dalla zona del centro sportivo perché tornavo dal cantiere di Palazzago e andavo a casa».

Il tragitto dal cantiere
È il 19 giugno scorso, tre giorni dopo il fermo. L’uomo risponde alle domande del gip Ezia Maccora che deve decidere sulla convalida del provvedimento di cattura e si dichiara «innocente» pur ammettendo di non poter spiegare come mai il suo Dna sia stato trovato sui leggins e sugli slip della vittima. Quel giorno, racconta, «sono andato al lavoro e la sera sono rimasto a casa con mia moglie e i miei figli». Lo dice con sicurezza, tanto che il giudice gli chiede come faccia a ricordare i dettagli. Lui non si scompone: «Faccio sempre le stesse cose, sono un abitudinario». In realtà le verifiche effettuate successivamente avrebbero dimostrato che la vita del muratore non era proprio così metodica. Più volte si sarebbe assentato dal lavoro. E, dettaglio fondamentale per l’indagine, anche quel pomeriggio non risulta essere stato in cantiere.

Sono stati i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco a ricostruire gli spostamenti dell’uomo il giorno della scomparsa di Yara proprio per verificare l’attendibilità delle dichiarazioni difensive. Hanno acquisito i tracciati lasciati dal telefono cellulare, che disegnano il percorso compiuto dal muratore. Ma la svolta è arrivata incrociando le testimonianze dei colleghi di Bossetti, concordi nel ricordare che lui quel pomeriggio non c’era. E dunque utili a smontare quanto affermato dall’indagato. Il resto lo hanno fatto le telecamere piazzate nella zona della palestra.

Il furgone passa alle 18,30
I controlli effettuati subito dopo la sparizione della ragazzina consentono di affermare che le sue tracce si perdono alle 18,49 quando riceve un sms da una sua amica al quale non risponde. In quel momento il suo cellulare aggancia la stessa cella agganciata dal telefonino di Bossetti circa un’ora prima, esattamente alle 17,45. Le verifiche stabiliscono che l’uomo parlava con il cognato, lui aggiunge che l’ha fatto mentre stava tornando a casa. Ma questa volta a smentire la sua versione sono i filmati registrati da più postazioni.
La relazione dei carabinieri del Racis guidati dal generale Pasquale Angelosanto è di fatto terminata. E fornisce elementi precisi sul tragitto di quel furgone, individuato grazie a un particolare accessorio: un catarifrangente non di serie che Bossetti aveva montato sul retro del mezzo. Il primo passaggio viene «registrato» dalla telecamera piazzata su una banca. Alle 18,01 lo inquadra poi quella che si trova sul pilone del distributore di benzina a pochi metri dalla palestra. Ma non è finita: mezz’ora dopo è ancora lì, ripreso dalla telecamera di una società privata che ha la sede di fronte al centro sportivo.

Gli appostamenti e i controlli
Quanto basta per rafforzare la convinzione degli investigatori che stesse aspettando proprio la ragazzina, che - come sarebbe accaduto anche nei giorni precedenti - l’abbia pedinata, controllata, forse addirittura avvicinata prima di decidere di farla salire sul furgone e portarla verso il campo di Chignolo d’Isola dove il suo corpo straziato è stato ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011. Sono le testimonianze di commercianti e residenti della zona, incrociate con il tracciato dal suo telefonino, a dimostrare come il muratore fosse spesso nei pressi del centro sportivo frequentato da Yara.
«Andavo da mio fratello e dal commercialista», si è difeso Bossetti. Ma le verifiche compiute dagli investigatori hanno stabilito che le «visite» erano rare e saltuarie, mentre la sua presenza nella zona risulta costante, soprattutto nelle settimane precedenti la sparizione della ragazzina.

L’istanza e l’errore di notifica
«Non sono io, dimostrerò l’errore», ripete l’indagato dal carcere di Bergamo. Nei giorni scorsi i suoi avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni avevano presentato istanza di scarcerazione per mancanza di indizi, ma ieri il giudice non ha potuto pronunciarsi: i legali non l’hanno infatti notificata ai genitori di Yara, come prevede il codice, dunque è stata dichiarata inammissibile.

La presenteranno nuovamente, intanto la procura valuta la possibilità di stringere i tempi e andare al giudizio immediato entro i 180 giorni dall’arresto, quindi saltando l’udienza preliminare. È una procedura che può essere sollecitata quando l’indagato è detenuto, il pubblico ministero Letizia Ruggeri attende il deposito di tutte le relazioni tecniche che dovrebbe avvenire entro la fine di novembre e poi comunicherà la sua decisione.

12 settembre 2014 | 07:31
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_12/bossetti-non-ando-cantiere-giorno-dell-omicidio-yara-d2caf376-3a3c-11e4-8035-a6258e36319b.shtml
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« Risposta #200 inserito:: Settembre 14, 2014, 06:27:20 pm »

Il caso
Berlusconi convoca i poliziotti e spiazza il governo sulla protesta
Mercoledì l’incontro. Esecutivo a caccia di fondi per gli stipendi.
I sindacati saranno ricevuti a Palazzo Grazioli. Dal 23 sono previste le mobilitazioni

Di FIORENZA SARZANINI 138

ROMA - La convocazione è fissata per il 17 settembre «presso il parlamentino di Palazzo Grazioli». Quel giorno alle ore 16 i rappresentanti di forze dell’ordine e forze armate saranno ricevuti da Silvio Berlusconi. In attesa che il presidente del Consiglio Matteo Renzi trovi una soluzione per eliminare i tetti stipendiali di agenti e militari e fissi l’incontro che aveva promesso la scorsa settimana, il leader di Forza Italia entra nella partita. E lo fa, come viene sottolineato nella lettera tramessa ieri ai sindacati, «per intervenire nei confronti del governo con una presa di posizione decisa».

È una mossa inaspettata che spiazza Palazzo Chigi. La procedura sembra quella utilizzata quando a guidare l’esecutivo era proprio Berlusconi: un’«apertura» forte che mira anche a ottenere consenso. E arriva mentre i tecnici del ministero della Difesa e dell’Interno si affannano per trovare le «coperture» finanziarie necessarie a sbloccare gli stipendi entro la fine del 2014 e così consentire di ottenere l’adeguamento per il 2015. In realtà i soldi per l’anno in corso sono già stati accantonati e una parte sono a disposizione anche per il successivo. Rimangono però alcune «voci» scoperte e il rischio forte è che non si riesca a far quadrare i conti entro il 23 settembre, quando cominceranno le mobilitazioni.

Per quella data alcuni sindacati di polizia - primo fra tutti il Sap - hanno indetto «l’astensione dal lavoro per tre ore». Il giorno successivo scenderanno invece in piazza accanto ad alcuni «gruppi» che attraverso i social net-work hanno deciso di schierarsi dietro lo slogan «sblocchiamo i nostri stipendi». Alcuni rappresentanti dei Cocer hanno deciso di schierarsi «a titolo personale», ma questo non attenua la portata della protesta. Una mobilitazione eclatante e senza precedenti, soprattutto tenendo conto che è stata annunciata chiedendo anche le dimissioni dei ministri competenti il giorno dopo le dichiarazioni di una settimana fa della responsabile del dicastero Pubblica amministrazione, Marianna Madia, per annunciare l’estensione del blocco degli stipendi in vigore dal 2010 anche per il 2015 nonostante l’impegno preso nel luglio scorso di ripristinare gli aumenti sulla base delle promozioni ottenute.

Daniele Tissone, segretario della Silp Cgil, è chiaro: «Attendiamo la convocazione del presidente del Consiglio, se questa non ci sarà vedremo le iniziative da mettere in campo. Ad oggi a noi interessa sottolineare il valore della nostra vertenza sindacale, rifiutando le strumentalizzazioni politiche che si vogliono fare sulla pelle dei poliziotti». Gianni Tonelli del Sap ha una linea più dura: «Siamo a Montecitorio da oltre un mese e centinaia di cittadini hanno già firmato la nostra petizione per ridurre il numero di forze dell’ordine e per riformare l’apparato della sicurezza italiano».

Due giorni fa il Cocer della Guardia di Finanza guidato dal generale Bruno Bartoloni è stato ricevuto dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta e ha ribadito come «la specifica dinamica di funzionamento delle amministrazioni di polizia, militari e dei vigili dei fuoco, è inconciliabile con il blocco del tetto salariale poiché fissa per ciascun dipendente come limite massimo di retribuzione quello percepito nel 2010, senza tenere conto delle progressioni di carriera, delle maggiori mansioni svolte o della maggiore quantità di lavoro prestato». E soprattutto il fatto che i fondi sono stati accantonati utilizzando voci di bilancio riservate al personale e dunque soldi che sono comunque destinati a chi invece non riesce a ottenerli.

Una posizione che vorrebbero illustrare a Renzi, ma la convocazione tanto attesa non è arrivata e Berlusconi ha deciso di giocare d’anticipo. A organizzare la riunione sono stati Maurizio Gasparri e Paolo Romani. Adesso nel Pd c’è chi cerca di convincere il premier a sbloccare la situazione prima di mercoledì, consapevoli di quanto importante sia rispondere alle istanze di poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari. Soprattutto per mantenere l’impegno che era stato preso appena un mese e mezzo fa.

13 settembre 2014 | 07:10
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_13/berlusconi-convoca-poliziotti-spiazza-governo-protesta-be9db75c-3b00-11e4-9b9b-3ef80c141cfc.shtml
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« Risposta #201 inserito:: Settembre 23, 2014, 04:42:51 pm »

Ucraina: sanzioni all’amico di Putin
Congelati i beni italiani dell’oligarca
L’imprenditore Arkadij Rotenberg, amico di judo del presidente russo, colpito dalle sanzioni contro il Cremlino. Sequestrate ville in Sardegna e un albergo a Roma

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA - Nella «black list» compilata dalle autorità degli Stati Uniti sui soggetti da sanzionare è al quinto posto. Perché Arkadij Romanovich Rotenberg, 63 anni, è il compagno di judo di Vladimir Putin, ma soprattutto è l’imprenditore che si è aggiudicato numerosi appalti per le Olimpiadi invernali di Sochi dello scorso febbraio. E dunque nei suoi confronti è scattato il «congelamento dei beni», misura prevista dall’Unione Europea contro i «fedelissimi» del presidente russo dopo la guerra scatenata in Ucraina.

In Italia è la prima volta che accade. Sigilli sono stati messi a ville e appartamenti in Sardegna, altri immobili nel Lazio, quote societarie, conti correnti bancari e un lussuoso albergo a Roma, a due passi da via Veneto. L’operazione del Nucleo valutario della Guardia di Finanza è scattata ieri mattina. Gli specialisti guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno eseguito il provvedimento - così come stabilito dalla procedura prevista in caso di «misure previste per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale» - notificandolo allo stesso Rotenberg anche per quanto riguarda le sue società: la «Olpon Investment Limited» che ha sede a Cipro e la «Aurora 31» che possiede l’hotel “Berg Luxury” nella capitale.

L’elenco degli immobili «sigillati» comprende un appartamento a Cagliari, una villa a Villasimius, una villa a Tarquinia, due ville ad Arzachena, l’albergo in pieno centro di Roma. In tutto fanno 30 milioni di euro di beni che l’imprenditore russo risulta aver acquistato attraverso le aziende che possiede all’estero.

È un colpo durissimo che certamente non mancherà di sollevare polemiche visto che alla fine di agosto, pochi giorni prima che i presidenti della Commissione europea, José Manuel Barroso, e del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy rendessero nota la decisione di nuove sanzioni, lo stesso Putin aveva dichiarato: «Se Usa e Ue insisteranno con le sanzioni in relazione alla crisi ucraina, la Russia dovrà rivedere la presenza delle aziende americane ed europee nei settori strategici» della sua economia e in particolare dell’energia.

La minaccia non ha fermato la Ue visto che il 6 settembre scorso proprio Barroso ha annunciato la scelta di «estendere la lista dei cittadini russi che andranno incontro al congelamento dei beni in Europa e al divieto di viaggio, tra cui la nuova leadership a Donbass, il governo di Crimea, oligarchi e altre figure di rilievo». E proprio tra queste figure di rilievo c’è Rotenberg, ma non solo. Nell’aprile scorso analoga misura era stata infatti presa nei confronti di Oleksii Mykolayovych Azarov, figlio dell’ex primo ministro ucraino, risultato titolare di una società con sede a Milano che gestisce una villa con annessi terreni sempre in Sardegna, esattamente nel golfo di Marinella a Olbia, altri immobili nella zona, oltre a numerosi conti correnti bancari, azioni, titoli e partecipazioni societarie.



I provvedimenti hanno valore retroattivo e, come viene specificato nel decreto notificato dagli investigatori del Nucleo valutario, sono efficaci a partire dal 30 luglio scorso, come prevede il Regolamento sul congelamento dei beni e «comporta la indisponibilità da parte del titolare». L’obiettivo è chiaro, indicato nello stesso accordo stipulato in sede di Unione che fa proprie le linee imposte prima dagli Stati Uniti: impedire qualsiasi genere di affari con gli uomini vicini a Putin individuati anche come i suoi principali finanziatori, ma anche bloccare l’accesso delle banche russe ai capitali europei e vietare l’import ed export di tecnologie ritenute strategiche.

Nella lista trasmessa al Valutario, oltre a Rotenberg figurano le persone che gravitano intorno a lui, parenti o semplici prestanome sui quali sono ancora in corso verifiche e che potrebbero diventare destinatari di analoghe misure proprio per evitare che attraverso una «rete» occulta le persone ritenute più vicine al presidente Putin possano continuare ad operare finanziariamente fuori dai confini russi.

23 settembre 2014 | 07:15
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_23/ucraina-sanzioni-all-amico-putin-congelati-beni-italiani-dell-oligarca-732a371c-42dc-11e4-9734-3f5cd619d2f5.shtml
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« Risposta #202 inserito:: Ottobre 07, 2014, 05:37:27 pm »

Il dossier
Risparmiatori truffati per 400 milioni
Rapporto della Guardia di finanza sui primi nove mesi del 2014: guadagni illeciti tra il 5 e l’8%.
Tra i nuovi Madoff italiani anche bancari e docenti universitari

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA Hanno il volto rassicurante del funzionario di banca, del direttore dell’ufficio postale, addirittura del docente universitario. In realtà si sono trasformati in aguzzini dei piccoli risparmiatori. E nei primi nove mesi del 2014 sono riusciti a far sparire circa 400 milioni di euro. Denaro che ignari cittadini, molti pensionati, avevano messo da parte e speravano di far fruttare, specialmente in tempo di crisi. Invece si sono ritrovati a secco, con il capitale iniziale sparito, in molti casi occultato all’estero e praticamente impossibile da recuperare. È il rapporto della Guardia di Finanza sulla «tutela del risparmio» a delineare un fenomeno che desta sempre più allarme sociale. L’attività di contrasto delle Fiamme gialle ha consentito di individuare una ventina di «Madoff» italiani e su molti altri sono in corso accertamenti. Ma evidentemente il miraggio di facili guadagni continua a tentare centinaia e centinaia di cittadini. Caso eclatante è stato quello di Alberto Micalizzi, docente di economia aziendale alla Bocconi di Milano, che lo scorso anno è riuscito a far sparire 300 milioni di euro potendo contare sulla disponibilità nel portafoglio clienti anche di alcune banche d’affari. Più modesti appaiono i suoi seguaci che comunque hanno occultato cifre mai inferiori al milione di euro.

Il meccanismo a piramide
Il dossier lo evidenzia in maniera esplicita: «Non si tratta, al contrario di quanto comunemente percepito, di fenomeni isolati e limitati a ristretti ambiti provinciali. Il numero dei risparmiatori coinvolti e l’entità delle somme di denaro interessate da queste forme di truffa costituiscono gli indici per comprenderne la diffusione».

Si chiama «schema Ponzi» dal nome di un immigrato italiano negli Stati Uniti che negli anni Venti coinvolse circa 40 mila persone in una sorta di catena secondo la quale un investitore per guadagnare ne deve a sua volta coinvolgere un altro. La Guardia di Finanza avverte: «Al malcapitato vengono promessi altissimi rendimenti, in realtà corrisposti in minima parte e solo all’inizio del rapporto con le somme nel frattempo raccolte presso nuovi clienti. Il meccanismo procede spedito fino a quando non vengono avanzate richieste di restituzione dei capitali investiti svelando l’esistenza della truffa».

Il promotore e i soldi dei frati
Ha fatto scalpore, nel giugno scorso, la truffa studiata dal promotore finanziario calabrese Massimo Cedolia che aveva avuto l’incarico di gestire il fondo alimentato con i soldi dei fedeli raccolti al Santuario di San Francesco di Paola.


In realtà li ha usati per giocare in Borsa attraverso «una dissennata attività di trading online ad altissimo rischio, condotta contravvenendo alle prudenziali direttive dei frati e senza autorizzazione». Peccato che i guadagni li tenesse per sé: al momento dell’arresto gli sono stati sequestrati «28 fabbricati, 8 terreni, 10 automezzi per un totale di due milioni e 300 mila euro». Ma per ottenere la restituzione dei soldi i religiosi dovranno attendere la fine del processo in Cassazione.

Nel dossier è citato anche il caso di Benvenuto Morandi, ex direttore della Banca Intesa Sanpaolo di Fiorano al Serio ed ex sindaco del Comune Valbondione, arrestato il 9 maggio scorso per ordine del giudice di Bergamo. «Abusando del doppio ruolo di direttore e primo cittadino - è scritto nella relazione - ha sottratto 20 milioni di euro dai rapporti di conto riconducibili a diversi clienti». In questo caso i correntisti erano ignari di quanto accadeva, non avevano dato alcun assenso a investimenti spericolati: «L’indagato predisponeva false contabilità bancarie relative all’emissione di assegni circolari, alla disposizione di bonifici e prelevamenti in contanti a nome degli ignari titolari dei conti correnti». Alcuni suoi colleghi hanno invece fatto leva sulla propria professione di dipendenti di istituti di credito per invogliare i correntisti a tentare la fortuna con investimenti in titoli. Peccato che la documentazione fosse contraffatta e il denaro non sia stato ancora rintracciato.

I broker e i certificati
Lo «schema Ponzi» è quello più in voga tra i promotori finanziari. A Ferrara è stato arrestato un broker che «attraverso la produzione di falsi certificati di investimento riferiti a operazioni remunerate apparentemente con alti tassi di interesse, ha tratto in inganno oltre 100 risparmiatori sottraendo loro un patrimonio complessivo che supera gli 11 milioni di euro». Ingegnoso anche il sistema messo in piedi da un suo collega di Varese che «trasferiva dai conti dei clienti a quelli di alcuni sodali ingenti somme di denaro, carpendo la fiducia delle sue vittime e di alcuni funzionari di banca attraverso l’uso di documenti e contratti falsificati».

Una truffa da ben 4 milioni di euro è stata contestata a Pierpaolo Visintin, promotore di Pordenone che investiva in fantastici viaggi i soldi a lui affidati da commercianti e pensionati. Ne ha raggirati 40 riuscendo a portarsi via almeno quattro milioni di euro.

6 ottobre 2014 | 07:58
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_ottobre_06/risparmiatori-truffati-400-milioni-9b137988-4d1c-11e4-a2e1-2c9bacd0f304.shtml
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« Risposta #203 inserito:: Novembre 02, 2014, 12:02:44 pm »

Il commento
Il volto tumefatto e la resa dello Stato incapace di giustizia

Di FIORENZA SARZANINI

Si devono guardare i suoi occhi pesti, il suo viso tumefatto, il suo corpo straziato. Si deve sapere che nessuno si è occupato del suo dolore fisico, né si è preoccupato che quel ragazzo, arrestato per possesso di droga, avesse smesso di bere e di mangiare. Nessuno ha dato importanza al fatto che non riuscisse più a reggersi in piedi tanto da non poter essere trasferito in carcere e dunque dovesse essere ricoverato nel centro di detenzione dell’ospedale Pertini.

E ci si deve interrogare su come sia possibile che nessuno pagherà per questo. Era nelle mani dello Stato Stefano Cucchi ma ieri lo Stato si è arreso e ha mostrato l’incapacità di rendere giustizia. La scelta di sua sorella Ilaria di far vedere ancora una volta in televisione la foto di quel volto devastato dalle botte sul lettino dell’obitorio è la nuova ennesima umiliazione che questa famiglia è costretta a subire pur di conoscere la verità. Un inammissibile sopruso che la mamma e il papà di Stefano hanno dovuto nuovamente sopportare. Sembra assurdo che in una vicenda dove ci sono decine di persone coinvolte, testimoni o protagonisti, non ci sia nessuno che decida di raccontare davvero che cosa è accaduto dal momento dell’arresto fino al ricovero.

Ma ancor più difficile da comprendere è che di fronte agli elementi forti già contenuti negli atti processuali i giudici non riescano a trovare i colpevoli. Stefano è stato ucciso. Lo Stato che non lo ha protetto adesso è chiamato a dire chi lo ha ammazzato. Ci sono stati tanti errori, omissioni e bugie commessi da chi era incaricato di indagare. Ma il verdetto di ieri, che ci lascia senza risposte e rende l’omicidio insoluto, è una sconfitta per tutti.

1 novembre 2014 | 08:35
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_01/volto-tumefatto-resa-stato-incapace-giustizia-04feb99a-6193-11e4-8446-549e7515ac85.shtml
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« Risposta #204 inserito:: Novembre 09, 2014, 12:08:48 pm »

Il caso
Valigette piene di soldi e affitti gonfiati, la rete del deputato pd
Accuse a Di Stefano, coordinava un tavolo alla Leopolda. Al telefono: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli, ma ora li tiro dentro tutti»


Di Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

ROMA - Quelle valigette piene di «documenti e valuta» occultate nel bagagliaio dell’auto che viaggiava dalla Francia all’Italia sembrano essere il simbolo dell’inchiesta che sta imbarazzando il Partito democratico. Perché l’accusa di corruzione contestata dai magistrati romani al deputato Marco Di Stefano potrebbe essere soltanto il primo passo di un’indagine che coinvolge ben altri nomi della politica romana.

I «contatti»
Parlamentari della sinistra e della destra accomunati dall’amicizia e soprattutto dagli affari conclusi da Antonio e Daniele Pulcini, imprenditori immobiliari dai mille interessi finiti agli arresti domiciliari per aver pagato il direttore del Demanio del Lazio per «pilotare» un’assegnazione. Costruttori capaci di tessere una rete che partiva da Di Stefano quando era assessore al Demanio della Giunta regionale guidata da Piero Marrazzo, passava per Antonio Lucarelli capo della segreteria del sindaco Gianni Alemanno, arrivava a Fabio De Lillo, ora alla Regione Lazio per il Nuovo centrodestra, ma anche al senatore udc Mario Baccini, ai parlamentari eletti con il Pdl Basilio Giordano e Antonino Foti. Nel gennaio 2013, Pulcini racconta al telefono a un amico di essere «appena uscito dal Campidoglio, ho concordato un posto nella lista civica». Poi fa il conto delle migliaia di voti che può spostare.

Gli affari e le minacce
La tangente da un milione e 880 mila euro (oltre a 300 mila euro per il suo collaboratore) che Di Stefano avrebbe preso per far affittare alla «Lazio Service» (società controllata dalla Regione) due palazzi dei Pulcini al prezzo stellare di 3 milioni e 725 mila euro ciascuno, appare già sufficiente per comprendere quale fosse il modus operandi degli imprenditori. Anche perché quel contratto consentì poi la vendita degli immobili all’Enpam con una plusvalenza che superava il 50% dell’effettivo valore.
Le carte processuali messe a disposizione della difesa mostrano con quale disinvoltura Di Stefano svolgesse il proprio incarico, modificando atti pubblici e rendendo così indispensabile - pur consapevole che invece non c’era alcuna necessità - la locazione degli stabili. Ma rendono chiari anche i suoi movimenti all’interno del partito per ottenere il posto in Parlamento.
Intercettazioni e verifiche compiute dagli specialisti del Nucleo valutario della Guardia di finanza danno conto di quanto accadde dopo le primarie del Pd per la Camera dei deputati quando Di Stefano, primo dei non eletti, al telefono minacciava «la guerra nucleare, comincia da Zingaretti e li tiro tutti dentro», li accusava di essere «maiali, non è che puoi l’ultimo giorno, l’ultima notte buttar dentro la gente, dopo che dici che stai dentro» e candidamente affermava: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli».

È approdato alla Camera quando il sindaco di Roma Ignazio Marino ha nominato assessore Marta Leonori, che ha così liberato il posto e forse tacitato le minacce. Alla Leopolda era coordinatore del tavolo sui pagamenti elettronici.

Fondi esteri e mazzette
Chiedeva soldi Di Stefano, ma forse non era l’unico. L’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Nello Rossi mira a verificare il ruolo di un faccendiere che avrebbe trasferito soldi in Lussemburgo, probabilmente provviste da destinare al pagamento di tangenti. Ma anche a chi fosse destinato il denaro fatto rientrare dall’estero nel febbraio 2013 da Daniele Pulcini. L’imprenditore ne parla al telefono con un’amica, fornisce dettagli su un viaggio in Francia che insospettisce i pm. Scrive il giudice nel provvedimento che autorizza le intercettazioni: «Pulcini, inizialmente intenzionato a recarsi a Nizza a mezzo aereo, ha poi optato per la soluzione stradale incaricando due soggetti. Appaiono emblematici i termini della tentata prenotazione aerea verosimilmente finalizzati a evitare, nella fase di rientro, possibili controlli aeroportuali, talvolta innescati sui bagagli. Non ultimo il fatto di voler evitare la collocazione in stiva di qualcosa di valore, comunque non trasportabile a mano. Potrebbe così spiegarsi la volontà di ricorrere al mezzo stradale nella fase di passaggio di confine tra Francia e Italia, verosimilmente attraversato con materiale e documenti di sicura importanza per Pulcini, probabilmente valuta».

Case, permessi e regali
In occasione delle elezioni la famiglia Pulcini metteva a disposizione dei politici amici i locali da usare come uffici. Secondo i controlli degli investigatori «uno degli utilizzatori potrebbe essere Fabio De Lillo». Agli atti è allegata la trascrizione di una conversazione con uno dei dirigenti del gruppo imprenditoriale.
De Lillo: «Mi diceva il geometra che erano pronti quel...».
Catitti: «Sì, ho tutto. Ho i due contrattini fatti uno per il primo mese e uno per il secondo in modo tale che non li andiamo a registrare e la letterina per l’Acea».
De Lillo: «Perfetto, sto mandando un collaboratore da voi alla reception, ritira lui il plico, me lo porta indietro, io lo firmo e da qui a lunedì vi rimando indietro i comodati d’uso».
Catitti: «Allora lo lascio in busta chiusa, a che nome?».
De Lillo: «De Lillo, sta arrivando, sarà lì in 10 minuti».
Nel provvedimento del giudice vengono annotati anche «svariati contatti di Daniele Pulcini con l’onorevole Mario Baccini dai quali emerge un rapporto piuttosto confidenziale. Le conversazioni oltre ad appuntamenti e incontri riguardano la richiesta a Baccini di interventi finalizzati a caldeggiare certe pratiche burocratiche riguardanti la posizione di una donna, evidentemente amica di Antonio Pulcini, nonché adempimenti aeroportuali nel territorio del Marocco ove lo stesso Pulcini progettava di recarsi in compagnia femminile».

7 novembre 2014 | 07:18
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_07/valigette-piene-soldi-affitti-gonfiati-rete-deputato-pd-e32a96b8-6642-11e4-a5a4-2fa60354234f.shtml
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« Risposta #205 inserito:: Novembre 11, 2014, 06:08:29 pm »

La ricostruzione
Salvini, l’assalto e la polizia
Ecco come è andata
La questura di Bologna: c’erano 80 poliziotti al campo rom ma il leader leghista ha cambiato il programma. Lo staff del segretario non avrebbe avvisato la Digos
Di FIORENZA SARZANINI

Esisteva un dispositivo di sicurezza per proteggere Matteo Salvini, ma il segretario della Lega avrebbe preferito evitarlo. Sabato mattina non avrebbe avvisato la questura di Milano della partenza e quella di Bologna del suo arrivo, come invece si era impegnato a fare. E questo nonostante le norme prevedano che la «personalità» sotto tutela sia sempre obbligata a comunicare costantemente i propri spostamenti, i mezzi utilizzati e soprattutto i luoghi di sosta e di soggiorno.

Il giorno dopo l’aggressione avvenuta a oltre un chilometro dal campo rom del capoluogo emiliano, gli ordini di servizio della polizia ricostruiscono quanto accaduto e smentiscono la versione del leader del Carroccio quando ha dichiarato che gli era stato «impedito di entrare». Dimostrano infatti come l’attacco violento degli appartenenti ai centri sociali poteva essere evitato se Salvini avesse rispettato il programma messo a punto dal questore Vincenzo Stingone proprio per evitare qualsiasi tipo di contatto con gli estremisti. E oggi si rischia la replica visto che ci sarà una nuova visita.

La tutela a Milano
Si torna dunque al 6 novembre, quando i funzionari dell’ufficio scorte di Milano confermano ai colleghi di Bologna la scelta di Salvini di visitare il campo nomadi la mattina dell’8 novembre. La Digos prende accordi con la consigliera leghista Lucia Bergonzoni - incaricata di organizzare la trasferta - per avere comunicazione di tutti gli spostamenti. In particolare si stabilisce che prima di arrivare al casello autostradale avviseranno il capo della polizia di prevenzione per attivare la «staffetta» di auto, in modo che la vettura del segretario abbia la scorta fino a destinazione. Si decide anche di predisporre un presidio fisso in servizio di ordine pubblico in via Erbosa, di fronte all’ingresso dell’accampamento rom.

Vengono impiegati 80 uomini, la maggior parte a protezione dell’entrata secondaria che, questo aveva detto Bergonzoni, sarebbe stata utilizzata per l’accesso. Nelle prime ore di sabato la questura di Bologna contatta la «tutela» di Salvini e apprende che lui ha rifiutato di essere accompagnato nel viaggio. Si decide così di contattare Bergonzoni per avere aggiornamenti. Sono le 11 quando la consigliera viene chiamata e conferma di essere in autostrada con il segretario, ma in ritardo a causa del traffico. Ribadisce che chiamerà una volta arrivata nei pressi di Bologna.

L’arrivo all’Hippobingo
Alle 11,50, non ricevendo alcuna notizia, il capo della Digos di Bologna invia un sms a Bergonzoni per sapere a che punto del viaggio siano. Scopre così che non solo non c’è stato alcun avviso al momento di entrare in città, ma che Salvini è già nel piazzale dell’Hippobingo, dunque a poco più di un chilometro dall’ingresso del campo. Lo dice lei stessa al telefono al capo della Digos e spiega che il segretario del Carroccio sta parlando con i giornalisti. È un inaspettato cambio di programma anche perché la stampa era stata inizialmente convocata di fronte al campo rom e invece a cronisti e telecamere è stato chiesto di spostarsi. Una modifica che evidentemente viene appresa anche dagli estremisti che aspettavano il leader leghista all’ingresso.

Il funzionario comunica a Bergonzoni di attendere perché invierà immediatamente la «staffetta» sul piazzale e le raccomanda di non far muovere la vettura di Salvini. Neanche due minuti dopo è lei a richiamare per chiedere aiuto «perché siamo stati aggrediti».

L’accusa dei sindacati
Sono sei le persone già identificate e denunciate. E a difesa dei colleghi della questura di Bologna si schierano numerosi sindacati. «Va bene chiedere le dimissioni del ministro Angelino Alfano - dichiara Daniele Tissone della Silp Cgil - ma prendersela con i poliziotti è inaccettabile. Non si comprende perché si sia voluto creare a tutti i costi un caso da scaricare poi su funzionari e agenti». In linea Lorena La Spina dell’Associazione Funzionari e Felice Romano del Siulp: «Il servizio di ordine pubblico c’era ma se lo staff del leader della Lega non comunica che ha organizzato la conferenza stampa in un posto diverso da quello previsto, non si può pensare che i poliziotti abbiano la sfera di cristallo. Per questo chiediamo a Salvini di accertare perché il suo staff è stato disattento esponendolo a quel rischio, oppure c’è dell’altro».

10 novembre 2014 | 08:19
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_10/salvini-l-assalto-polizia-ecco-come-andata-d608a8b8-68a8-11e4-aa33-bc752730e772.shtml
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« Risposta #206 inserito:: Novembre 22, 2014, 05:40:42 pm »

IL CASO
I pm sul deputato pd: «Soldi a Ginevra scortato da poliziotti»
Ricostruiti i movimenti di Marco Di Stefano che nega le accuse: denuncerà la ex moglie, testimone nell’inchiesta

Di FIORENZA SARZANINI

Soldi nascosti in alcune valigette, portati in Svizzera e depositati su due conti presso la Ubs di Ginevra. Centinaia di migliaia di euro occultati da Marco Di Stefano, il deputato del Partito Democratico accusato di aver preso tangenti in cambio di appalti tra il 2008 e il 2009 quando era assessore al Demanio e Patrimonio della Regione Lazio. I magistrati di Roma hanno dunque scoperto la pista che porta al denaro grazie alla collaborazione delle autorità elvetiche. E l’inchiesta sui lavori affidati agli imprenditori Antonio e Daniele Pulcini, ma anche ad altri costruttori capitolini, entra nella fase decisiva. Entro un mese il fascicolo potrebbe essere chiuso con la richiesta di rinvio a giudizio, svelando nuovi e inediti retroscena. Uno è già noto: nei suoi viaggi per arrivare oltreconfine il parlamentare, ex poliziotto, si faceva scortare dai suoi amici delle forze dell’ordine.

La rogatoria
La richiesta di rogatoria del procuratore aggiunto Nello Rossi e del sostituto Corrado Fasanelli parte svariati mesi fa. Si chiede di verificare l’esistenza di rapporti bancari tra Di Stefano e le società che fanno capo alla famiglia Pulcini. Le verifiche affidate al Nucleo di Polizia Valutaria hanno infatti già ricostruito i «trucchi» utilizzati dall’allora assessore per consentire agli imprenditori amici di affittare alla «Lazio Service» (società controllata dalla Regione) due palazzi per 3 milioni e 725 mila euro ciascuno. Una cifra fuori mercato che aveva fatto salire alle stelle il valore degli immobili e consentì di venderli all’Enpam a un prezzo che superava di almeno il 50 per cento il loro valore.
I testimoni assicurano che per quell’affare Di Stefano ha preso un milione e 800 mila euro, oltre a 300 mila euro incassati dal suo collaboratore Alfredo Guagnelli. Dunque è necessario scoprire dove sia finito il denaro.

Il saldo zero
Sono i finanzieri guidati dal generale Giuseppe Bottillo a ricostruire i viaggi all’estero effettuati dal parlamentare. Documentano i suoi spostamenti, identificano le persone che lo accompagnano, arrivano alla banca. E lì un funzionario accetta di collaborare consegnando le movimentazioni dei conti tra il 2010 e il 2012. Spostamenti di denaro che certamente non sono congrui rispetto al patrimonio di Di Stefano. È la svolta. Perché avvalorano l’ipotesi che quei contanti trasportati in auto siano il prezzo della corruzione. Anche tenendo conto che all’improvviso entrambi i depositi vengono completamente svuotati.
Nuovi accertamenti sono in corso per stabilire se il trasferimento finale coincida con l’entrata di Di Stefano in Parlamento, nell’agosto del 2013. Alcuni mesi prima l’esponente del Pd partecipa infatti alle primarie per essere tra i candidati alla Camera ma risulta il primo dei non eletti e al telefono minaccia di «far scoppiare la guerra nucleare a cominciare da Zingaretti», accusa «i maiali che mi hanno fatto fare le primarie con gli imbrogli».

La sua ira ha evidentemente effetto: entra a Montecitorio al posto di Marta Leonori, nominata assessore dal sindaco di Roma Ignazio Marino. E subito si schiera tanto da diventare uno degli oratori all’ultima Leopolda, esperto dei «pagamenti digitali».

L’amico sparito

Lui giura di non aver mai preso un euro illecitamente, accusa la sua ex moglie, testimone dell’inchiesta, di averlo rovinato per vendetta, annuncia che la denuncerà per stalking. In realtà sono diverse le circostanze che dovrà chiarire. Perché il ritrovamento dei conti svizzeri apre scenari nuovi rispetto alla sua difesa che si basava sulla mancanza di tracce dei soldi. Ma non è l’unico mistero da risolvere.
Dall’8 ottobre 2009 Guagnelli è sparito, potrebbe addirittura essere morto. Questo almeno sostiene il fratello Bruno, il primo a raccontare della tangente presa da Di Stefano e ad avvalorare la tesi dell’omicidio. Di Stefano sostiene che Guagnelli «era un buon amico», ma nega «che fosse stato coinvolto in vicende riguardanti la Regione Lazio».
Troppo poco per convincere i magistrati sulla sua completa estraneità.

21 novembre 2014 | 08:49
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_novembre_21/i-pm-deputato-pd-soldi-ginevra-scortato-poliziotti-f2e5273a-7150-11e4-b9c7-dbbe3ea603eb.shtml
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« Risposta #207 inserito:: Dicembre 07, 2014, 05:33:56 pm »

Tangenti a Roma, Le carte dell’indagine
«Ti servono i contanti?» La segretaria di Buzzi svela il «libro nero»
Dal carcere Nadia Cerrito conferma tutto: decine e decine di dazioni, che la banda usava per controllare il Campidoglio. La donna ha ammesso di aver preparato le buste

Di FIORENZA SARZANINI

È accusata di essere la «cassiera» della banda guidata da Massimo Carminati ed è la prima a crollare. Da una cella del carcere di Rebibbia dove è stata rinchiusa martedì scorso, parla Nadia Cerrito e conferma le dazioni «in nero» a politici e funzionari. Collabora la segretaria di Salvatore Buzzi, il socio dell’ex estremista dei Nar. Ammette di essere stata lei «a preparare le buste con i contanti». E nell’indagine dei pm si registra il primo punto di svolta. Le carte processuali le assegnano un ruolo strategico nell’organizzazione. Lei dice di averlo fatto «per non essere licenziata». Ma ad accusarla c’è il «libro nero» sequestrato nel suo appartamento con l’elenco delle somme pagate e l’iniziale di chi le ha percepite. Decine e decine di dazioni, al massimo 15 mila euro, servite alla banda per controllare il Campidoglio e forse ottenere appalti anche dalla Regione Lazio. Un tariffario al quale si aggiungevano gli extra che il «capo», d’accordo con Carminati, avrebbe versato in occasioni particolari come le cene elettorali del sindaco Gianni Alemanno.

«Fondi riservati»
Non esita Cerrito di fronte al giudice che ha ordinato la sua cattura. E assistita dall’avvocato Bruno Andreozzi, dichiara: «Intendo rispondere all’interrogatorio». Spiega di essere «impiegata della “Cooperativa 29 giugno” da quindici anni e ho uno stipendio da ragioniera. In realtà sono cinque cooperative, abbiamo circa 1.200 dipendenti». Al gip Flavia Costantini che le chiede come mai il “libro nero” sia stato trovato nel suo appartamento e non in ufficio dice: «Lo tenevo sempre nella borsa perché Salvatore Buzzi mi aveva detto che riguardava pagamenti riservati e dunque non volevo che altri lo vedessero».
I dettagli fanno la differenza. Lei li racconta, anche se nel primo interrogatorio mostra di non voler cedere completamente. E conferma: «Buzzi portava i soldi in contanti e io provvedevo a preparare le buste con le sue indicazioni. La “B” che vedete per me equivale a Buzzi. Io non sapevo quale fosse la destinazione finale di soldi, chi fossero i percettori».

«Era illegale»
Il giudice la incalza, lei cede: «Sapevo che si trattava di cose illegali visto che era una contabilità parallela che quindi non doveva essere registrata in alcun modo, ma io non mi potevo sottrarre. Mi dicevano di preparare i soldi in contanti e mi dicevano che dovevano essere messi nelle buste. Io non potevo dire di no. Ho una famiglia, un padre malato, avevo paura di perdere il lavoro. Le buste hanno cominciato a chiedermele due o tre anni fa».

L’elenco dei politici finiti nell’inchiesta va da Alemanno, al capo della sua segretaria Antonio Lucarelli, al capogruppo del Pdl alla Regione Lazio Luca Gramazio. E poi ci sono gli uomini del Partito Democratico: il consigliere regionale Luca Odevaine, il suo collega Eugenio Patanè, il presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti. E poi ci sono gli “amici” come l’ex segretario della federazione romana Lionello Cosentino; il capo della segreteria di Ignazio Marino, Mattia Stella; il vicesindaco Luigi Nieri; il deputato Umberto Marroni; l’assessore comunale alla casa Daniele Ozzimo, marito della parlamentare Michela Campana, responsabile Welfare del partito, destinataria di una richiesta di un’interrogazione parlamentare di Buzzi che nell’sms di risposta scrive: “bacio grande Capo”.


«Vidi Panzironi»
Cerrito conferma di aver saputo dei soldi dati da Buzzi a Carminati, ma quando le chiedono se conosca l’ex estremista dei Nar la donna sembra vacillare. I carabinieri del Ros guidati dal generale Mario Parente hanno filmato e registrato incontri e conversazioni avvenuti nella sede della cooperativa. Il giudice le contesta una riunione del 29 gennaio scorso quando «Paolo Di Ninno, alla presenza di Nadia Cerrito, faceva un resoconto a Buzzi e Carminati della contabilità, ufficiale e parallela, delle cooperative dagli stessi gestite, interloquisce con Carminati circa il modo per fargli pervenire un flusso economico» e durante la quale lei «menziona il “libro nero” e Carminati chiede di “tirar fuori un po’ di soldi”». Lei dice di non averlo visto.

Le fanno ascoltare un’altra intercettazione ambientale del 16 maggio 2013 su 15 mila euro dati a Franco Panzironi, ex amministratore dell’Ama.
Buzzi: «C’avemo i soldi oggi?».
Cerrito: «Sì, te servono?».
Buzzi: «Sempre i 15 mila, oggi è l’ultima settimana e ho finito».
Cerrito: «Te li porto?».

Lei conferma che Panzironi «veniva in ufficio», mentre Riccardo Mancini e il direttore del servizio Giardini del Campidoglio Claudio Turella «li ho sentiti nominare», mentre Gramazio «non l’ho mai sentito». Nei prossimi giorni sarà nuovamente interrogata dai pm Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli e continuerà a parlare. Il difensore di Buzzi, l’avvocato Alessandro Diddi, annuncia: «Solleciterò un interrogatorio per la prossima settimana per rispondere alle domande degli inquirenti. Leggeremo le carte e decideremo quale atteggiamento tenere nei confronti della procura». Di più non dice. Ma di fronte alle possibili crepe nel muro di silenzio finora eretto dagli indagati, sono in molti a tremare.

5 dicembre 2014 | 07:14
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_05/ti-servono-contanti-te-li-porto-segretaria-svela-libro-nero-c9050dba-7c43-11e4-813c-f943a4c58546.shtml
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« Risposta #208 inserito:: Dicembre 07, 2014, 05:40:35 pm »

Roma, ecco gli altri politici nella rete
«Diamo soldi a una deputata del Pd» Marino: «I dirigenti ruoteranno tutti»
Buzzi: «Mo se me compro la Campana...» Il nome della deputata della segreteria dem
E poi si vanta anche di aver conosciuto Berlusconi a una cena elettorale di Alemanno

Di FIORENZA SARZANINI

Nella sequenza fotografica gli investigatori testimoniano l’incontro tra Fabrizio Franco Testa, uno degli arrestati di martedì scorso, e Massimo carminati che arriva all’appuntamento con una Smart bianca. Testa esulta, poi i due si abbracciano. Al gruppo si aggrega il braccio destro di Carminati Salvatore Buzzi Nella sequenza fotografica gli investigatori testimoniano l’incontro tra Fabrizio Franco Testa, uno degli arrestati di martedì scorso, e Massimo carminati che arriva all’appuntamento con una Smart bianca. Testa esulta, poi i due si abbracciano. Al gruppo si aggrega il braccio destro di Carminati Salvatore Buzzi

ROMA Nella rete tessuta da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi potrebbero essere coinvolti altri politici e funzionari pubblici. Persone che l’organizzazione riteneva strategiche per continuare ad accaparrarsi gli appalti del Comune e controllare anche la Regione. Pagavano bene, soldi contanti, elargizioni mensili. Ma c’era anche chi chiedeva come contropartita l’assunzione di un parente o di un amico. Richieste prontamente soddisfatte. I nomi sono nelle carte processuali che raccontano il lavoro svolto dai carabinieri del Ros e dai magistrati romani.

«Ce fai aprì sta cosa»
Il 5 maggio 2013 Buzzi parla nel suo ufficio con Carminati e con altri soci. E dice: «Allora te sto a di, no...riguardo a Michela e Bubbico stanno allo stesso partito no? se glie dicessi... io domani siccome la devo vede’ prima de Gasbarra e siccome dovemo dagli pure 20 mila euro per sta cazzo de campagna elettorale “ce fai aprì sta cosa te damo 1 euro a persona per la campagna elettorale”». E poco dopo aggiunge: «mo se me compro la Campana...». Annotano gli investigatori: «Buzzi sembra riferirsi a Micaela Campana, deputata eletta nelle file del Pd, compagna di Daniele Ozzimo, assessore del Comune di Roma», che lo stesso Buzzi definiva «un amico». Il nome della parlamentare, responsabile Welfare del Pd, era già emerso nei giorni scorsi per un sms di risposta a Buzzi - «un bacio grande capo» - che le aveva chiesto di presentare una interrogazione alla Camera. Il riferimento a Bubbico riguarda invece una ricerca di incontro con il viceministro dell’Interno. Il 5 maggio scorso parlano di un appuntamento «con il suo capo segreteria», ma «non c’è riscontro che sia avvenuto».

«Votate Gasbarra»
Il 16 maggio 2014, alla vigilia delle Europee «Buzzi ricordava l’importanza di far votare Enrico Gasbarra». E diceva: «Devi capì, noi il nostro mondo è Gasbarra, non è Bettini. Noi nell’ambito de ste cose, nell’ambito di questa monnezza, pe tenè i voti già semo arrivati a 43 mila euro, eh...Tassone 30, Alemanno 40...europee e questi i 3mila e 550, questo se chiama D’Ausilio perché noi pagamo paghiamo tutti come vedi... fai il bonifico poi io te porto la fattura». Gasbarra smentisce: «Non conosco, non ho mai avuto incontri con Buzzi, o altre persone di quel “sistema”. Non so perché si dice che mi avrebbero dato qualche voto, di sicuro io non gli ho mai chiesto voti né contributi o finanziamenti, che infatti non ho ricevuto».
Una riunione con il candidato sindaco Alfio Marchini è stata invece organizzata proprio da Carminati per il 28 novembre 2013 e questo dimostra, secondo i magistrati «il suo ruolo di “ponte” e “trait d’union” tra “mondi politici” opposti» grazie «alla fitta rete di relazioni che mostrava di aver intrecciato nel tempo a tutti i livelli, sfruttata dall’organizzazione». All’appuntamento manda Luca Gramazio accompagnato da altri «amici» e Marchini adesso conferma che l’obiettivo «era di esporre il progetto politico al quale stavo lavorando, ma poi non si fece nulla e certamente ignoravo che dietro ci fosse Carminati, anche perché vorrei ricordare che la mia famiglia era obiettivo per i rapimenti della banda della Magliana». Di un altro incontro si vanta Buzzi ed è quello con Berlusconi avvenuto durante la cena elettorale di Gianni Alemanno del 16 maggio 2013: «M’ha presentato a Silvio, dicendo “ti presento il capo della cooperative rosse di Roma”». Alemanno è indagato per associazione mafiosa per essersi messo a disposizione insieme ai suoi più stretti collaboratori.

I sindaci
Sulla gestione del Campidoglio prima dell’arrivo di Alemanno, Buzzi non sembra essere soddisfatto, anche se poi si lascia andare a considerazioni che al momento gli inquirenti ritengono essere millanterie. Il 17 novembre 2013, parlando in macchina con un’amica, rammenta il passato e afferma: «Non c’era niente e quindi quali problemi c’avevamo? C’avevamo il vento a favore, c’era Rutelli davvero tu ce pensi, c’avevamo Rutelli, la De Petris assessore, all’Ama stavamo ‘na favola stavamo». La donna però lo prende in giro: «Vabbè nel 1995? Nel 1999, otto nove milioni delle vecchie lire. Mo’ da due milioni a 56, de che stamo a parla’». Buzzi e i suoi sodali si lamentano anche di Veltroni: «Col cazzo ti riceveva così, ti mandava qualche scagnozzo della segreteria e stai bene così». Poi però parlando dei soldi dati al suo ex vicecapo di gabinetto Luca Odevaine, arrestato proprio con l’accusa di far parte dell’organizzazione, Buzzi dice: «Ma se Odevaine c’ha tutta sta roba, c’ha mezzo Venezuela, ma Veltroni quanta roba c’ha?».

L’organizzazione ha contatti ovunque. Il 13 giugno 2013 Carminati trascorre oltre un’ora con l’ex direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzessere. Discutono dei rapporti di Berlusconi con il consulente della holding Lorenzo Cola, del ruolo di La Russa e della sua «fissazione per le donne». Poi riferendosi al neosindaco Marino, l’ex Nar dice: «Peggio di Alemanno non po’ fa’». In un’altra occasione Carminati parla di Fabio Panetta, il vicedirettore di Bankitalia: «Stavamo insieme a fare politica da ragazzini. Ci ho fatto le vacanze insieme per tutta la vita è uno dei miei migliori amici, ogni tanto mi chiama».

fsarzanini@corriere.it

6 dicembre 2014 | 07:31
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_dicembre_06/mafia-roma-ecco-altri-politici-rete-diamo-soldi-una-deputata-pd-13d11e70-7d10-11e4-878f-3e2fb7c8ce61.shtml
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Buzzi: “A noi ci manda Goffredo” Trovati anche conti in Svizzera
Le carte processuali svelano quanto invasiva fosse ormai la sua presenza all’interno delle istituzioni capitoline

Di FIORENZA SARZANINI

ROMA I soldi delle tangenti venivano nascosti in Svizzera oppure su conti correnti intestati a parenti e amici. Fedeli prestanome disposti a «coprire» il malaffare dei politici locali e nazionali che - secondo i magistrati romani - si erano messi al servizio dell’organizzazione guidata da Massimo Carminati e dal suo socio Salvatore Buzzi. Era lui a gestire la «rete» all’interno della pubblica amministrazione. Aveva referenti ovunque. Si vantava di poter trovare anche la sponsorizzazione di Goffredo Bettini, europarlamentare del Pd e gran tessitore del partito a Roma. Le carte processuali svelano quanto invasiva fosse ormai la sua presenza all’interno delle istituzioni capitoline. E gli scontri nel centrodestra per spartirsi la «torta» con la minaccia di un consigliere contro l’allora sindaco Gianni Alemanno, ora indagato per associazione mafiosa: «È un tangentaro, io ve faccio arresta’ tutti».

Bettini sponsor
Il 17 marzo scorso Buzzi valuta con Luca Odevaine - anche lui ora in carcere - la possibilità di ottenere appalti all’interno del Centro per i rifugiati di Mineo, in Sicilia. Quello stesso giorno deve incontrare Gianni Letta proprio per affrontare la questione relativa ai centri per immigrati e vuole consigli.
Buzzi: «Che gli chiedo a Letta?».
Odevaine: «Secondo me a Letta je se potrebbe parla’ de quell’altra questione, quella della Regione Lazio».
Buzzi: «Ma lì servono, non è alla nostra portata, capito qual è il problema! A noi ce manda Goffredo con una precisa indicazione. (Annotano i carabinieri del Ros: “Si tratta di Goffredo Bettini” e poi allegano l’intera biografia)».
Odevaine: «No certo, alla portata nostra... mi hanno chiesto pure questi de “La Cascina” però non è che noi, la potremo fare con un partner».

La banca
Ci sono svariati «spalloni» al servizio di Carminati ma il viaggio documentato nella primavera scorsa potrebbe essere servito a trasportare in un istituto elvetico i soldi delle tangenti. Lo spiegano gli specialisti dell’Arma quando evidenziano come «nel corso degli accertamenti è emerso che alcuni sodali si recheranno in Svizzera per pianificare le successive attività di riciclaggio degli illeciti cespiti» e danno conto delle verifiche effettuate sul commercialista Stefano Bravo, uno degli indagati, che al telefono svela i suoi programmi. Si tratta, sottolineano i carabinieri, di una trasferta «per il 10 aprile a Milano, città di transito verso la destinazione finale in territorio elvetico, finalizzata al compimento di operazioni bancarie di significativo interesse per l’indagine». Scatta il pedinamento e viene individuata la banca dove sarebbe stata portata parte dei soldi. Passo fondamentale per chiedere la collaborazione delle autorità locali e accedere alla movimentazione.

La mamma di Odevaine

I proventi illeciti che sarebbero stati percepiti da Odevaine sono stati invece rintracciati. Il politico del Pd ha investito parte del suo patrimonio in Venezuela, ma per nascondere il denaro in Italia si è servito dei conti di madre e figli, tanto che alla fine neanche lui sapeva bene dove fossero finiti. In una telefonata intercettata il 14 marzo 2014 dà disposizioni al commercialista Marco Bruera: «Intanto a mia madre gli facciamo le ritenute, 3.200 a Maribelita, ce l’hai l’Iban?, 800 per cui gli fai una roba di rimborso spese poi dopo quando c’abbiamo la scheda carburante. Qui metti un trasferimento di fondi... L’iban di mia madre ce l’hai?». Scattano i controlli e si scopre che l’anziana signora gestisce svariati conti. Non è l’unica. Quattro giorni dopo, sempre parlando con il professionista, Odevaine dice: «È un casino per me capito? Perché io c’ho conti che uso io ma che sono di mia figlia, di mio figlio, Alessandra, Maribelita». Scrivono i carabinieri: «Con la complicità di alcuni collaboratori Odevaine organizzava operazioni finanziarie che transitavano su conti intestati ai suoi congiunti con la finalità di occultare le dazioni in suo favore».

«A Ozzimo 2 milioni»
Il 23 gennaio 2014 c’è una riunione negli uffici di Buzzi alla quale partecipa anche Carminati. Si fa un bilancio delle attività e Buzzi afferma: «Ieri sono stato da Marini che m’ha stampato le delibere dei 7 milioni e 2 al Comune di Roma. Bisogna anda’ da Ozzimo, io c’ho preso appuntamento per mercoledì perché dovremmo fa’ un progettino quindi Ozzimo ce ne da 5, noi gliene avemo portati 7 lui ce guadagna 2 milioni». Da pochi giorni è finito in carcere Luca Fegatelli, il direttore dell’Agenzia regionale per i beni confiscati. Buzzi lancia l’idea: «I beni passano a Ozzimo, stavamo a studia’ ieri un’ipotesi che lui vole fa... prende i beni della mafia, prenderli e mettece dentro gli immigrati». Ozzimo lo chiamano «il padrone».

«Rovino Alemanno»
I finanziamenti a pioggia che arrivano al centrodestra provocano un durissimo scontro tra Luca Gramazio e il consigliere comunale pdl Patrizio Bianconi che nel gennaio 2013 si lamenta perché non gli arrivano i soldi per la campagna elettorale: «Io vado a San Vitale e a quel tangentaro di Alemanno gli rompo il culo... le gambe tendono ad andare verso la questura, sono state date tangenti a destra e a manca, l’unico pulito sono io e adesso mi sono rotto».

7 dicembre 2014 | 08:38
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Da - http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_07/buzzi-a-noi-ci-manda-goffredo-trovati-anche-conti-svizzera-07b4cbcc-7de3-11e4-9639-7f4a30c624ee.shtml
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