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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 194550 volte)
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« Risposta #150 inserito:: Ottobre 02, 2012, 11:22:59 am »

L'ex fidanzata ai pm: i bonifici? Curavo gli elettori ciociari

Nell'indagine su Fiorito i vertici del Pdl laziale

La faida Fiorito trascina nell'inchiesta alcuni colleghi sospettati di aver modificato con lui le fatture presentate dal successore


ROMA - L'indagine sugli sperperi alla Regione Lazio travolge l'ufficio di coordinamento del Pdl e il suo responsabile Vincenzo Piso. L'ex capogruppo Franco Fiorito - ora accusato anche di falso e calunnia - trascina nell'inchiesta alcuni colleghi di partito che adesso sono sospettati di aver modificato d'accordo con lui le fatture presentate da Francesco Battistoni, il suo successore nella carica di capogruppo alla Regione. Una faida interna che potrebbe avere come conseguenza immediata l'azzeramento del vertice, ma che nei prossimi giorni potrebbe portare a nuove e clamorose iniziative giudiziarie. Una svolta sull'asse Roma-Viterbo con i pubblici ministeri delle due città che si muovono in parallelo e continuano ad interrogare testimoni e indagati. L'ultima è stata Samantha Veruska Reali, l'ex fidanzata di Fiorito, beneficiata all'epoca della relazione con una collaborazione e tre bonifici per un totale di circa 7.000 euro.

La guerra interna al Pdl
Tra i documenti acquisiti dalla magistratura di Viterbo ci sono una decina di fatture presentate da Battistoni evidentemente «taroccate». Solo per fare un esempio: su una richiesta di rimborso da 3.000 euro è stato aggiunto un «1» in modo che la cifra finale fosse 13.000 euro. I documenti furono pubblicati da un sito internet locale e Battistoni denunciò per diffamazione il giornalista che aveva firmato l'articolo e il direttore. Vengono disposte alcune verifiche affidate alla Guardia di Finanza e l'ipotesi più accreditata è che la diffusione di quelle carte si inserirebbe in una campagna messa in piedi dall'assessore regionale all'Agricoltura Angela Birindelli proprio per screditare il suo collega di partito.

La Birindelli finisce sotto inchiesta per corruzione e tentata estorsione, insieme ai giornalisti Paolo Giallombardoe Viviana Tartaglini. Sospettata di aver pagato 18 mila euro al quotidiano - sotto forma di inserzioni pubblicitarie - proprio per essere appoggiata in questa «operazione» contro Battistoni. Quando viene convocato dai pubblici ministeri, Giallombardo nega di aver falsificato i documenti e racconta ulteriori dettagli. «Quelle fatture - accusa - le ho avute da Fiorito. Se qualcuno ha modificato gli importi, certamente non sono stato io». E pubblicamente aggiunge: «Se confrontate le fatture che ho pubblicato con quelle che ha acquisito Piso, vedrete che sono uguali».

La riunione del 12 settembre
L'indicazione è precisa, svela la trama di guerra interna al partito. E consente ai magistrati di imboccare una buona pista. Si scopre che effettivamente tutta la documentazione contabile del Pdl è stata consegnata da Fiorito al coordinatore Piso il 12 settembre scorso. A verbale Er Batman la racconta così: «Quel giorno arrivai da lui nell'ufficio della Camera e gli consegnai i documenti. Si chiuse nella stanza per fare le fotocopie e rimase lì almeno un'ora. Io aspettavo fuori, non so chi ci fosse con lui Mentre andavo via incontrai la Birindelli che mi chiese le fatture. Le risposi di parlarne con Piso che aveva tutto l'incartamento».

I magistrati dispongono nuovi accertamenti per scoprire chi fosse con Piso nella stanza e allargano l'inchiesta a tutti i presenti. Lui nega di aver commesso illeciti, assicura di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia. E spiega: «Non capisco su che base dovrei essere indagato, mi sembra una situazione kafkiana. C'era una guerra interna e io ho cercato di capire che cosa stesse accadendo». Poi Piso scarica ogni responsabilità sull'ex capogruppo: «È un delitto fare fotocopie? Fiorito mi ha portato quella documentazione, è vero. Ma poi se lui fa quello che ha fatto, io cosa c'entro? Insomma: io cerco di capire e alla fine il colpevole sarei io? Lo sanno tutti che il mio rapporto con Fiorito è pessimo».

I soldi per Samantha
A quanto pare sono in molti ad avere rapporti pessimi all'interno del partito, ma quando si è trattato di ottenere rimborsi per spese che tutto erano tranne che esborsi per l'attività politica, nessuno sembra essersi tirato indietro. Prendevano i consiglieri e prendevano i loro collaboratori, prendevano anche parenti e amici. Proprio in quest'ultima lista è inserita Samantha Veruska Reali, «Sissi» per gli amici, che di Fiorito è stata la fidanzata per sette anni.

Ora la storia è finita, ma rimane il sospetto che una parte dei soldi a lei arrivati attraverso quattro bonifici fossero soltanto uno dei tanti escamotage studiati da «Er Batman» per appropriarsi illecitamente dei fondi del partito.
Lei, interrogata ieri come testimone dai finanzieri del Nucleo valutario, ha negato qualsiasi complicità. «Non avevo il contratto, ma lavoravo. Ero il collegamento tra Franco e i suoi elettori in Ciociaria, per questo sono stata pagata: tre bonifici e un rimborso spese». Nega anche di aver mai saputo che la vacanza da sogno trascorsa nel 2010 in Sardegna fosse stata pagata con il denaro destinato al Pdl. «Non mi sono chiesta da dove arrivassero i soldi, ma certo non potevo immaginare che fossero quelli della Regione». Un'aria ingenua che non sembra aver convinto investigatori e magistrati.

Fiorenza Sarzanini

2 ottobre 2012 | 9:45
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da - http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_02/fiorito-bonifici-pdl-sarzanini_c4379214-0c4f-11e2-a61b-cf706c012f27.shtml
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« Risposta #151 inserito:: Ottobre 22, 2012, 05:37:45 pm »

Il rapporto della Guardia di Finanza: Tangenti e finti poveri costano 3 miliardi

 Il caso dell'imprenditore col sussidio nonostante il reddito milionario


ROMA - Hanno affinato la tecnica e così sono riusciti ad aumentare i guadagni. Illeciti, naturalmente. Perché in tempi di crisi economica le frodi sulla spesa pubblica hanno subito un'ulteriore impennata. Basti pensare che nei primi nove mesi del 2012 sono stati erogati ben 3 miliardi di euro a cittadini che non avevano i requisiti, quasi mezzo miliardo in più di quanto era stato percepito abusivamente nello stesso periodo dello scorso anno.

I funzionari tra falsi e «mazzette»
Veri ricchi che si fingono poveri, persone sane che denunciano gravi malattie e grazie ai falsi certificati riescono a percepire le indennità, figli o fratelli che continuano per anni ad incassare la pensione del parente morto: ogni escamotage è stato sfruttato pur di strappare qualcosa allo Stato. Ma la «voce» più consistente rimane quella dei danni erariali causati dai pubblici dipendenti con oltre un miliardo e mezzo di danni contestati a quei funzionari e impiegati che hanno contribuito a prosciugare le casse di enti e società commettendo falsi e abusi, ma soprattutto intascando «mazzette».

È l'ultimo rapporto della Guardia di Finanza sugli «sprechi» a fotografare un settore che - nonostante l'impegno - continua ad essere in gravissima sofferenza. Nell'ultimo anno i controlli delle Fiamme Gialle sono diventati più mirati e questo ha consentito di individuare le «maggiori uscite» che in alcuni settori si trasformano in una vera e propria emorragia di fondi. Con casi eclatanti come quel signore lombardo che pur guadagnando milioni di euro è riuscito ad ottenere l'assistenza dovuta a chi è indigente. Ma azioni più incisive sono già state programmate per prevenire e soprattutto recuperare le somme.

Le truffe all'Inps e il buco nel bilancio
Quella delle truffe all'Inps rimane la «voce» più critica con un buco nei bilanci che continua ad aggravarsi proprio in conseguenza di queste erogazioni concesse a chi non ha alcun titolo per ottenerle. Tra il primo gennaio e il 30 settembre scorsi sono state controllate 9.643 famiglie e sono stati scoperti ben 2.324 illeciti - la media di uno su quattro - con un esborso non dovuto che supera i 65 milioni di euro. Sono gli ormai famosi «falsi poveri», liberi professionisti e imprenditori che riescono a nascondere i propri guadagni e così finiscono ai primi posti delle graduatorie comunali quando si tratta di ottenere agevolazioni per mense scolastiche, per l'acquisto dei libri, per l'iscrizione dei più piccoli negli asili nido, ma anche sgravi su medicine e assistenza domiciliare.

Incredibile appare la vicenda dell'imprenditore con ditta a Busto Arsizio che dal 2007 guadagnava oltre due milioni di euro l'anno, ma percepiva un «contributo di sostegno al nucleo familiare» pari a 800 euro. Una cifra che gli è stata concessa dal comune di Cassano Magnago - dove risiede - nonostante avesse presentato una dichiarazione dei redditi mai inferiore ai 58mila euro annui.

In Veneto record di «esenti»
Obiettivo dei controlli, come viene specificato nella relazione che illustra i risultati di questi primi nove mesi è quello di «evitare che preziose risorse vadano disperse o diventino preda di truffatori ed associazioni criminali, a svantaggio delle politiche di sostegno alle imprese ed alle famiglie che si trovano in difficoltà, proprio a causa della crisi economica e della recessione internazionale». I dati nazionali confermano infatti che in questo settore le mancate verifiche portano danni gravissimi alle casse dello Stato. Basti pensare che su 1.277 accertamenti effettuati, sono state presentate 1.505 denunce per un illecito esborso complessivo di oltre 65 milioni di euro. Ed è proprio sulla base di questo criterio che in Veneto sono stati effettuati i controlli sulla spesa sanitaria.

Le Fiamme Gialle hanno effettuato uno screening su undici Asl in tutta la Regione e hanno scoperto ben 8.377 casi di persone che, pur avendo un reddito alto, erano riuscite a ottenere l'esenzione dal pagamento dei ticket. Situazione analoga a Scafati, in provincia di Salerno. In questo caso ad essere denunciati sono stati undici funzionari del Comune che avevano fatto ottenere il «contributo assistenziale» a 153 persone «mediante falsi Isee, l'indicatore di situazione economica equivalente necessario per fornire i giusti parametri di reddito, che certificavano entrate pari a zero euro nonostante i cittadini avessero redditi di gran lunga superiori».

Le pensioni dei parenti morti
Nei primi nove mesi del 2012 sono state 278 le persone che hanno percepito la pensione di un genitore o di un fratello deceduto. Uomini e donne che hanno occultato il certificato di morte e si sono regolarmente presentati agli sportelli per ritirare le somme. In alcuni casi hanno potuto godere della complicità dei funzionari, in altri hanno semplicemente sfruttato l'assenza di controlli da parte delle amministrazioni pubbliche. E così il danno per l'Inps è stato superiore ai 10 milioni di euro che si aggiungono agli oltre 2 milioni di indennità concesse nello stesso periodo del 2011.

Una procedura simile seguita da chi si finge invalido e riesce a ottenere altissime indennità. Quest'anno ne sono stati scoperti 358 (57 sostenevano di essere ciechi) che erano riusciti a ottenere complessivamente sette milioni e 600mila euro con una media di 21mila euro l'anno ciascuno. Entrata ben più alta di quella registrata nel 2011 quando furono scoperti 474 finti malati per un esborso di circa 5 milioni di euro, vale a dire 10mila euro ottenuti da ognuno.

Snack e patatine per gli anziani
Quello della sanità si rivela un vero e proprio «buco nero» con frodi e sprechi che si dimostrano clamorosi. Nel 2011 un servizio «mirato» in Puglia aveva consentito di individuare una truffa da 125 milioni di euro. E anche quest'anno numerose verifiche sono state effettuate negli stessi luoghi.

Tra i casi più «remunerativi» c'è quello degli amministratori di un ospedale che «per ottenere finanziamenti dalla Regione hanno inserito nei bilanci voci di costo insussistenti rappresentando l'utilizzazione totale dei fondi assegnati». Ma l'aspetto più inquietante riguarda le forniture. Nonostante uno dei reparti fosse adibito all'assistenza per gli anziani, è stato chiesto il rimborso di derrate alimentari come snack, patate fritte e bibite gassate che i dipendenti, anziché fornire agli ospiti, avevano provveduto a rivendersi privatamente. E di aver anche ottenuto il rimborso per lavori di manutenzione degli immobili che in realtà non sono mai stati effettuati. La denuncia finale parla di un danno economico per le casse pubbliche pari a oltre due milioni di euro e di beni sequestrati per un valore complessivo di 2 milioni e 150mila euro.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it22 ottobre 2012 | 14:47© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_22/tangenti-finti-poveri-3-miliardi-sarzanini_1c0cb8de-1c09-11e2-b6da-b1ba2a76be41.shtml
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« Risposta #152 inserito:: Ottobre 26, 2012, 09:26:52 am »

L'inchiesta

Finmeccanica, la versione del dirigente : così il Cavaliere mi chiese la percentuale per Lavitola

L'interrogatorio di Giuseppe Bono, direttore generale di Fincantieri


NAPOLI - Ogni commessa di Finmeccanica che veniva trattata a livello internazionale prevedeva una «tangente» per i mediatori. Le dichiarazioni dell'ex responsabile Relazioni istituzionali Lorenzo Borgogni, trovano conferma nei verbali di interrogatorio di altri manager che hanno partecipato in questi anni alle trattative con i governi stranieri. E svelano come anche Silvio Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, abbia sollecitato il pagamento di una percentuale sugli appalti per i suoi «emissari». Lo racconta Giuseppe Bono, direttore generale di Fincantieri, nel suo interrogatorio di fronte ai pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock del 26 settembre scorso.

«Convocato a palazzo Grazioli»
Borgogni già ha svelato la richiesta presentata dal ministro Claudio Scajola «di una percentuale dell'11 per cento per la vendita di undici fregate al governo brasiliano». A Bono viene dunque chiesto di chiarire che cosa accadde. E lui dichiara: «Dopo le intese che c'erano state a livello governativo, Valter Lavitola venne in Fincantieri e sostanzialmente mi disse esplicitamente che riteneva di meritare un compenso per l'attività svolta nella firma degli accordi governativi dove, a suo dire, Berlusconi si era determinato grazie al suo intervento. Io gli feci osservare che l'intervento del presidente del Consiglio era doveroso, data la sua posizione istituzionale e quindi non ritenevo che l'azienda dovesse alcunché a Lavitola, anche perché non aveva mai ricevuto alcun incarico in tal senso. Successivamente fui convocato telefonicamente da Berlusconi a palazzo Grazioli nel 2011. Lavitola mi aveva preannunciato che mi avrebbe chiamato Berlusconi e quando mi arrivò questa telefonata pensai di recarmi accompagnato dall'avvocato Ioannucci. Quest'ultima, per la verità, aveva ricevuto da Fincantieri un incarico per studiare la questione delle navi alla Guardia costiera di cui parlerò da qui a un attimo. Mi recai con Ioannucci a palazzo Grazioli e lì venivo ricevuto da Berlusconi e Lavitola. In quell'occasione Berlusconi mi disse, alla presenza di Lavitola, di tenere ben presente che Lavitola era il suo fiduciario per il Brasile. In quell'occasione ebbi la netta sensazione che Berlusconi era pressato da Lavitola. L'incontro non ebbe altro contenuto che quello ora descritto, a parte gli «sfoghi» di Berlusconi sulle vicende giudiziarie che lo coinvolgevano. Mi riservo, consultando le mie agende di far conoscere con precisione la data dell'incontro avvenuto tra febbraio e marzo 2011. A partire da questo incontro non ho poi avuto più occasione di incontrarmi con il Lavitola per la questione del Brasile».

I 17 milioni alla Capitaneria
È lo stesso Bono a rivelare ai pubblici ministeri le procedure simili seguite per un altro affare che coinvolgeva Finmeccanica: la fornitura di navi alla Guardia costiera italiana. Racconta il manager: «Il bando - indipendentemente dal prezzo a cui si sarebbe aggiudicata la gara - prevedeva che nella determinazione del prezzo bisognava tenere conto di due navi usate della Guardia costiera che sarebbero state consegnate all'aggiudicataria. Il valore stimato dalla stessa Guardia costiera italiana era di 17 milioni di euro per tutte e due. Insomma nel prezzo bisognava tenere conto che per 17 milioni di euro avrebbero dato le navi e la differenza sarebbe stata pagata in monete. Devo aggiungere che in questo stesso periodo (siamo sempre nel 2011) Lavitola riprese contatto con me per comunicarmi che le due navi che avremmo dovuto ritirare Berlusconi le aveva promesse al presidente del Panama Ricardo Martinelli all'interno dell'accordo stipulato dall'Italia con quel governo. Io risposi che le predette navi usate facevano parte del prezzo che la Guardia costiera avrebbe dovuto pagare per la nuova fornitura a Fincantieri e quindi se la Guardia costiera italiana non ce le avesse dato indietro avrebbe dovuto corrisponderci i 17 milioni. In quel contesto dissi a Lavitola che se Berlusconi aveva promesso al governo di Panama le suddette navi, si sarebbe dovuto impegnare a far comunque confluire nella disponibilità della Guardia costiera i 17 milioni. In effetti così accadde, tant'è che di lì a poco vi fu un intervento normativo con il quale furono stanziati 17 milioni di euro alla Guardia costiera che la stessa Guardia costiera destinò a Fincantieri».

La tangente al 10 per cento
Il 4 giugno scorso viene interrogato Emilio Dalmasso, responsabile della vendita di elicotteri civili per AgustaWestland sin da quando l'azienda era guidata dall'attuale amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi. E dunque si è occupato della fornitura al governo di Panama nell'ambito dell'accordo più ampio firmato dal governo italiano. I magistrati gli chiedono se è al corrente del «contratto collaterale con una società di diritto panamense». Si riferiscono alla Agafia che, dice l'accusa, è riconducibile a Lavitola e al presidente Ricardo Martinelli ed è il veicolo che sarebbe stato utilizzato per il pagamento di «mazzette». Il manager annuisce e svela i dettagli: «Fu Camillo Pirozzi, collaboratore di Paolo Pozzessere, con una mail inviatami qualche giorno prima della conclusione del contratto con Panama a segnalarmi che bisognava concludere anche il collaterale contratto con l'agente straniero che aveva favorito la conclusione degli accordi. Pirozzi mi comunicò i dati relativi alla percentuale concordata del 10 per cento». È la cifra stabilita anche per tutti gli altri affari esteri. Soltanto Scajola avrebbe chiesto un rialzo di un punto arrivando all'11 per cento.
fsarzanini@corriere.it

Fiorenza Sarzanini

25 ottobre 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_ottobre_25/sarzanini-versione-del-dirigente_83f14486-1e63-11e2-83ec-606b68a0023b.shtml
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« Risposta #153 inserito:: Novembre 15, 2012, 04:52:59 pm »

i cortei

Contestatori-agenti, la sfida dei video

La preoccupazione del Viminale: prova generale per azioni ancora più violente


ROMA - La guerra dei filmati scoppia in serata quando comincia a montare la polemica sugli episodi di guerriglia che hanno segnato questa giornata di protesta nelle città italiane. Televisioni e siti internet trasmettono i video girati durante le manifestazioni, mostrano studenti trascinati via dal corteo, buttati per terra, presi a manganellate dagli agenti, alcuni in borghese e con il casco in testa. Al Viminale c'è grande preoccupazione, l'immagine della polizia può subire un altro durissimo colpo. Il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri è ad Algeri per un incontro bilaterale. Rimane in contatto costante con il prefetto Antonio Manganelli che la aggiorna sulla situazione. E alla fine si decide di far partire la "controinformazione" con la trasmissione delle immagini girate «dalle forze dell'ordine» per «far vedere i giovani armati di bastoni e scudi che si sono chiusi "a testuggine" e hanno attaccato la polizia e i carabinieri».

I responsabili degli apparati di sicurezza sono convinti che quella di ieri sia stata soltanto una prova generale. Altri cortei saranno organizzati nelle prossime settimane, nuove manifestazioni per esprimere un disagio che sempre più spesso si trasforma in violenza. Perché è questo il punto cruciale evidenziato dagli analisti: il malcontento che viene sfruttato da chi vuole fomentare il clima e far prevalere il dissenso da esprimere in maniera forte e aggressiva. La rabbia di chi protesta si confonde allora con quella degli agenti, costretti a turni massacranti per cercare di far filare tutto liscio.

«Chi ha sbagliato sarà punito», fanno sapere in serata dal Dipartimento di pubblica sicurezza. Ma poi sottolineano come «l'impegno delle forze dell'ordine abbia scongiurato pericoli ben più seri e conseguenze ben più gravi». Una posizione che il ministro Cancellieri fa propria quando, di ritorno da Algeri, emette un comunicato per «esprimere la più ferma condanna per i gravi episodi di violenza e manifestare vicinanza e solidarietà agli operatori di polizia rimasti feriti nel corso degli incidenti» e «apprezzamento al prefetto Manganelli per l'operato delle forze di polizia».

Ci sono vari fronti sindacali aperti, molte aree del Paese in fermento. Gli studenti si mescolano con i professori e gli operai in serpentoni che sembrano avere più anime, ma l'unico obiettivo di mostrarsi uniti nella protesta contro il governo e misure economiche giudicate troppo pesanti, soprattutto dalle fasce più deboli. Una compattezza che evidentemente preoccupa i responsabili della sicurezza e li spinge, talvolta, a reagire in maniera più pesante di come era accaduto in passato.

Il dispositivo di sicurezza utilizzato ieri a Roma per cercare di evitare che i manifestanti si avvicinassero ai palazzi del potere e delle istituzioni è stato molto più "stretto" che durante i precedenti cortei organizzati nella capitale. E più repressivo. Non sembra affatto causale che i manifestanti siano stati dirottati verso Lungotevere in modo da evitare che "occupassero" le piazze, come era accaduto il 15 ottobre dello scorso anno con gli "Indignati" a San Giovanni. Un canovaccio seguito pure in altre città, soprattutto al nord. La scelta di affidare agli investigatori della Scientifica il compito di filmare ogni "intervento" per «documentare la situazione prima di ogni "carica"», fa ben comprendere quale sia il clima che si respira.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

15 novembre 2012 | 11:41© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_15/agenti-contestatori-viminale-cancellieri-Sarzanini_b23c3002-2f0d-11e2-8b0e-23b645a7417c.shtml
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« Risposta #154 inserito:: Novembre 28, 2012, 11:18:51 pm »

Il verdetto

Salesiani, persa la lite sull'eredità

In ballo un conto da 130 milioni

Il caso sui beni lasciati alla Fondazione del marchese Gerini.

Il giudice: nessuna truffa. I religiosi: valuteremo ulteriori passi


ROMA - Non c'è stata truffa, l'accordo sulla spartizione dei beni dei Salesiani è valido. Il giudice di Roma Adele Rando archivia la denuncia della Fondazione Gerini contro i «mediatori» che avevano concluso un accordo per la spartizione dell'eredità del marchese Alessandro Gerini. E dunque il faccendiere Carlo Moisè Silvera ha diritto ad ottenere oltre 100 milioni di euro proprio per il suo ruolo di negoziatore tra le parti. Il sequestro cautelativo dei beni per 130 milioni, disposto dal tribunale di Milano, potrebbe diventare operativo.
Perde la Fondazione, ma perdono soprattutto le alte gerarchie vaticane che negli ultimi mesi hanno cercato di far dichiarare nullo quel patto. Esce sconfitto il segretario di Stato Tarcisio Bertone che in una lettera depositata agli atti il 24 settembre aveva dichiarato: «Ho dato il consenso alla soluzione negoziale, ma ho scoperto solo dopo il modo fraudolento di comportarsi verso il sottoscritto».

La vicenda comincia nel 1990 quando il nobiluomo lascia tutti i propri beni (terreni, palazzi, opere d'arte) alla Fondazione che porta il suo nome e che, dopo essere stata riconosciuta ente ecclesiastico, era stata posta sotto il controllo della Congregazione Salesiana. I nipoti impugnano il testamento e aprono una controversia che va avanti per 22 anni. Nel 2007 compare sulla scena Silvera come rappresentante degli eredi e propone un accordo che riconosca il 15 per cento del valore complessivo all'economo dei Salesiani don Giovanni Battista Mazzali. Per arrivare al perfezionamento di questo patto vengono coinvolti alcuni professionisti, tra i quali l'avvocato milanese Riccardo Zanfagna.

Il patrimonio viene stimato in 658 milioni, dunque Silvera fissa il suo prezzo a 99 milioni. Don Mazzali accetta, confortato dal parere di Bertone che caldeggia la chiusura di ogni controversia. L'8 giugno 2007 arriva la firma, la questione sembra conclusa. E invece la Congregazione rifiuta di pagare la cifra pattuita, Silvera fa ricorso al tribunale di Milano e ottiene il sequestro dei beni dei Salesiani per 130 milioni di euro. Una decisione clamorosa: per la prima volta vengono messi i sigilli a beni ecclesiastici come la sede della direzione generale di Roma e il fondo Polaris aperto in Lussemburgo.
Mentre si attende l'esito di quella controversia, c'è un nuovo colpo di scena: don Mazzali presenta una denuncia contro Silvera e l'avvocato Zanfagna alla Procura di Roma. «Mi hanno truffato, l'accordo non è valido», afferma davanti ai magistrati. Una tesi avvalorata dal cardinal Bertone che però non convince affatto i magistrati. Il pubblico ministero ritiene che non ci sia stato alcun raggiro. E ieri questa sua impostazione viene confermata dal giudice secondo la quale «emerge una gestione concordata degli interessi in campo, alla quale si perviene dopo una transazione voluta dalle parti, certamente in grado di valutare gli operatori cui si affidavano e la portata nonché la convenienza dell'accordo».

«Rispettiamo la decisione e adesso valuteremo eventuali ulteriori passi», dichiara l'avvocato della Fondazione Michele Gentiloni. Ben diverso il commento dell'avvocato Zanfagna: «Da uomo di giustizia ho atteso con serenità la decisione della magistratura che, riconoscendo l'infondatezza della notizia di reato, ha conseguentemente accertato la linearità, professionalità, deontologia e correttezza con cui ho svolto tutti gli incarichi ricevuti. A fronte di vertenze civili in corso da 22 anni, al giudice penale sono bastati pochi mesi per rendersi conto dell'infondatezza delle affermazioni dell'Ente Ecclesiastico. Agli stessi organi di Giustizia rimetterò la tutela del mio nome e dei miei diritti, violati con tanta leggerezza e superficialità».

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it28 novembre 2012 | 14:49© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_novembre_28/salesiani-persa-lite-su-eredita_1fa3f980-3923-11e2-8eaa-1c0d12eff407.shtml
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« Risposta #155 inserito:: Dicembre 10, 2012, 07:26:00 pm »

2012
dic
09

«Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio l'ammonimento, non ha bisogno di querela e si è rivelato un ottimo deterrente»   

«Troppi interventi in ritardo dei giudici Servono più arresti»

di Fiorenza Sarzanini


«Il vero problema riguarda quello che accade tra il momento della denuncia e l’intervento del magistrato. Perché spesso i giudici non prendono provvedimenti oppure lo fanno con un ritardo che a volte può essere fatale». Mariacarla Bocchino è il direttore della Divisione Analisi del Servizio centrale operativo della polizia. Le procedure e i percorsi dell’indagine sugli atti persecutori le conosce perfettamente. E non può negare quanto gravi siano le carenze nella risposta, quando una donna implora aiuto. Proprio come è accaduto a Lisa Puzzoli, la giovane uccisa ad appena 22 anni. Aveva presentato tre denunce contro il suo ex fidanzato. Ma non era successo nulla. Non è l’unica.

Dottoressa, come è possibile?
«Purtroppo anche se le denunce sono precise e circostanziate, la scelta di intervento è affidata alla discrezionalità del magistrato. Il numero di casi da esaminare è molto alto, per questo stiamo sollecitando i responsabili dei distretti a nominare pool di pubblici ministeri “dedicati”».

Invece adesso che cosa accade?
«Ci si affida al pubblico ministero di turno che spesso si occupa di altre specializzazioni e tratta il caso allo stesso modo di una rapina o un incidente stradale. Abbiamo chiesto al ministero della Giustizia di intervenire affinché non sia vanificato il nostro lavoro».

Avete ottenuto risultati?
«Il percorso è avviato, non sarà breve. Invece bisognerebbe sfruttare al massimo gli strumenti della legge che possono essere molto efficaci. E soprattutto bisognerebbe intervenire con maggior decisione».

Per esempio facendo scattare la custodia cautelare in carcere per il persecutore?
«Esatto. Invece per questo tipo di reati avviene raramente. Quando addirittura non si arriva al paradosso di concedere gli arresti domiciliari. In alcuni casi siamo stati costretti ad allontanare la vittima e i figli perché il giudice aveva disposto l’arresto nell’abitazione familiare».

Esistono uffici giudiziari «affidabili»?
«A Roma il pool è stato costituito. In generale posso dire che le città più piccole sono quelle più sprovvedute. Sicuramente al Centro-Nord c’è maggiore difficoltà ad ottenere l’arresto degli autori, probabilmente perché si tratta di aree più tranquille dove c’è una maggiore percezione di sicurezza».

Però lo stalker è uguale in ogni parte dell’Italia.
«Nelle Procure del Sud, a Napoli in particolare, c’è molta rispondenza tra l’attività delle forze dell’ordine e quella della magistratura. Sono vicende sempre molto delicate, il fatto che la vittima ottenga risposte è fondamentale. È importante che non si scoraggi».

C’è ancora molta paura di denunciare, soprattutto quando il persecutore è il marito oppure il convivente. Lei crede che la legge offra davvero protezione alle donne?
«Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio l’ammonimento. È un atto amministrativo che viene emesso dal questore al termine di una veloce istruttoria e può essere molto efficace perché non ha le conseguenze della querela, ma si è rivelato un ottimo deterrente».

Quali conseguenze ha?
«Nel caso di recidiva, la denuncia scatta automaticamente. Se la vittima chiede aiuto ma poi rifiuta di presentare la querela si procede d’ufficio. Posso dire che soltanto nel 18 per cento dei casi siamo intervenuti per la seconda volta».

Che cos’altro manca?
«È fondamentale che i magistrati dispongano tutti quei provvedimenti — divieto di contatto, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinarsi al luogo di lavoro — che servono davvero a proteggere le vittime».

fsarzanini@corriere.it

da - http://27esimaora.corriere.it/articolo/troppi-interventi-in-ritardo-dei-giudici-servono-piu-arresti/
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« Risposta #156 inserito:: Gennaio 14, 2013, 05:58:18 pm »

Ecco perché Bankitalia ha deciso l'ispezione sul Vaticano

Vaticano, conto «sospetto» da 40 milioni dietro al blocco di bancomat e carte

Scoperta l'entità dei flussi dei Pos: Sul deposito alla Deutsche Bank non è possibile applicare la norma antiriciclaggio


ROMA - Si gioca su oltre 40 milioni di euro l'anno la partita tra Santa Sede e Banca d'Italia per l'autorizzazione a utilizzare Bancomat e carte di credito. È questa l'entità della movimentazione che risulta dai documenti contabili acquisiti dalla procura di Roma prima di segnalare quelle «anomalie» che hanno portato al blocco di tutti i Pos degli esercizi commerciali che si trovano all'interno del Vaticano. Si tratta di ben ottanta «punti vendita», dai Musei alla farmacia, passando per decine di negozi e anche per lo spaccio. Per loro il colpo subito è gravissimo visto che dall'inizio dell'anno i pagamenti possono avvenire soltanto in contanti e ciò - tenendo conto dei milioni di turisti e visitatori che arrivano costantemente - sta causando serie difficoltà e anche perdite economiche. Ma sembra assai difficile, se non impossibile, che il servizio possa essere nuovamente garantito. Anche perché quanto accaduto riporta in primo piano le «carenze» nel sistema antiriciclaggio dello Ior, l'Istituto per le opere religiose, già evidenziate dai pubblici ministeri titolari dell'inchiesta sulla correttezza delle operazioni bancarie effettuate sui conti intestati a religiosi. Sono gli atti a svelare che cosa è accaduto prima che si arrivasse a questa iniziativa senza precedenti.

Gli 80 Pos sul conto Deutsch
Secondo le relazioni dell'Uif, l'Unità di informazione finanziaria di Palazzo Koch, tutti i soldi acquisiti attraverso i Pos confluiscono su un unico conto intestato allo Ior e aperto presso una filiale della Deutsche Bank. Per l'installazione delle «macchinette» l'istituto di credito avrebbe dovuto chiedere una apposita autorizzazione, ma questo non è mai avvenuto. Un anno e mezzo fa era stato proprio il pool di magistrati guidati dal procuratore aggiunto Nello Rossi a segnalare l'anomalia e così era scattata l'ispezione di Bankitalia.
Siamo a settembre del 2011. Soltanto dopo l'avvio dei controlli l'Istituto di credito sollecita una «sanatoria». Gli accertamenti giudiziari che avevano determinato la segnalazione riguardavano un altro conto Ior sul quale erano stati depositati 23 milioni di euro dei quali si ignorava la provenienza. In questo nuovo caso bisognava stabilire se fosse invece possibile ricostruire il flusso del denaro.

Il saldo da 10 milioni
All'11 settembre 2011, giorno in cui parte la verifica, risulta un saldo di circa 10 milioni di euro. I documenti relativi alla movimentazione annuale consentono però di accertare che sono più di 40 i milioni transitati su quel conto negli ultimi dodici mesi. Soldi dei quali non si sa praticamente nulla, come ha evidenziato anche Bankitalia in una nota pubblicata due giorni fa per evidenziare i motivi che hanno indotto i vertici a sospendere i pagamenti con Bancomat e carte di credito.
I responsabili di palazzo Koch sottolineano come «per l'attività bancaria svolta dallo Ior con controparti italiane non è possibile applicare il regime di controlli semplificati previsto per i rapporti con le banche comunitarie, che consente a queste ultime di non comunicare i nomi dei clienti per conto dei quali sono effettuate le singole operazioni». Il nodo è sempre lo stesso: non si conosce l'intestatario effettivo del deposito aperto presso Deutsche e soprattutto chi ha la delega ad operare, dunque non è possibile applicare la normativa antiriciclaggio.

I conti di preti e suore
La stessa situazione era già emersa in altri casi esaminati dai magistrati di depositi intestati a religiosi che in realtà risultavano messi a disposizione di persone estranee al Vaticano. Il 6 dicembre scorso Bankitalia ha notificato la decisione di non concedere la «sanatoria», il 3 gennaio non è stato più possibile pagare con le carte.
È stato verificato che sul conto Ior affluivano ogni giorno decine di migliaia di euro, ma poiché la maggior parte dei Pos sono intestati a società con sede in Vaticano non è possibile sapere da dove arrivi effettivamente il denaro e soprattutto chi lo utilizzi poi in uscita. In particolare, nonostante i controlli disposti, non si sa che fine abbiano fatto, nel 2011, i 30 milioni di euro che risultano prelevati dal conto, né tantomeno chi abbia compiuto le operazioni di prelievo.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it 14 gennaio 2013 | 11:26© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #157 inserito:: Gennaio 28, 2013, 11:32:40 pm »

Le indagini

Il patto con Santander e Jp Morgan

Adesso spunta una lettera segreta

Tra i testimoni Cardia, figlio dell'ex presidente Consob: L'accordo per far salire il titolo e nuove speculazioni sospette


ROMA - Un patto tra acquirente e venditore per truccare i conti e far salire il prezzo di Antonveneta. Un accordo non scritto tra gli spagnoli del Santander e gli italiani di Monte Paschi per dividersi la «plusvalenza» di quell'affare. Gli atti contabili, le comunicazioni interne, le relazioni trasmesse agli organi di vigilanza sequestrate otto mesi fa per ordine della magistratura di Siena e analizzate dagli specialisti della Guardia di Finanza, hanno consentito di trovare indizi concreti su questo intreccio illecito. E di aprire una nuova fase d'indagine che si concentrerà sui testimoni da ascoltare. Personaggi che potrebbero conoscere dettagli inediti di quanto accadde nel 2007 quando Santander acquistò la banca per 6,3 miliardi di euro e appena due mesi dopo riuscì a venderla a Mps per 9,3 miliardi di euro con un'aggiunta di oneri che fecero lievitare la cifra a 10,3 miliardi. Un ulteriore miliardo che potrebbe rappresentare la «stecca» aggiuntiva e coinvolge direttamente Jp Morgan.

L'armadio dei documenti - Nell'elenco c'è anche il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior e da vent'anni responsabile di Santander per l'Italia che ha più volte incontrato l'ex presidente Giuseppe Mussari, come dimostrano le agende sequestrate a quest'ultimo. Lo scorso anno, indagando sui conti dell'Istituto opere religiose, le Fiamme gialle sequestrarono nel suo ufficio un armadio pieno di documenti sulle operazioni condotte da Santander nel nostro Paese. E contenevano i nomi di alcuni consulenti che negli anni hanno affiancato l'istituto spagnolo e potrebbero aver avuto un ruolo importante anche nella vendita di Antonveneta. Tra i nomi spicca quello di Marco Cardia, avvocato che si occupò di alcuni aspetti dell'acquisizione per conto di Mps all'epoca in cui suo padre Lamberto era presidente della Consob. Sono diverse le persone che in questi mesi avrebbero già aiutato gli uomini del Nucleo valutario a ricostruire il percorso dei soldi. Denaro trasferito all'estero e in parte fatto rientrare grazie allo scudo fiscale. Ma ancora molto ne manca all'appello e soprattutto altre speculazioni sono state effettuate negli ultimi mesi. Per questo, come viene confermato dai magistrati senesi, si continua a indagare pure per aggiotaggio. Non escludendo che anche in queste ore ci siano nuove manovre illecite sul titolo. Testimone chiave in questa fase si è dimostrato Nicola Scocca, l'ex direttore finanziario della Fondazione che sarebbe stato interrogato già quattro volte.

Il patto tra le banche - Sono gli ordini di perquisizione notificati il 9 maggio scorso a svelare quale sia il nocciolo dell'inchiesta. E per quale motivo siano finiti nel registro degli indagati l'ex direttore generale Antonio Vigni e gli ex sindaci Tommaso Di Tanno, Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti. Adesso l'indagine si è allargata coinvolgendo Mussari, il presidente della Fondazione Gabriello Mancini, l'ex direttore generale dell'ente Mario Parlangeli e l'attuale, Claudio Pieri. E con un faro acceso sull'attività di Gianluca Baldassarri, direttore dell'Area finanza fino allo scorso anno. Dopo l'esborso di oltre 10 miliardi e l'accollo dei debiti per ulteriori otto miliardi, bisogna ripianare il bilancio. Le ricapitalizzazioni e i prestiti del Tesoro non sono evidentemente sufficienti. E così i titoli Mps in portafoglio alla Fondazione finiscono in pegno a undici istituti di credito, una sorta di cordata guidata da Jp Morgan che coinvolgeva anche Mediobanca. I finanziamenti arrivano attraverso contratti di Total Rate of Return Swap (Tror) e per questo i magistrati chiedono ai finanzieri di sequestrare le «note propedeutiche agli accordi di stand still siglati con la Fondazione, la documentazione relativa alle contrattazioni che hanno determinato il rilascio di garanzie in favore delle banche o del "Term loan" da parte della Fondazione Mps, la loro novazione, documentazione concernente il ribilanciamento del debito contratto dalla Fondazione».


Le manovre speculative - L'esame dei documenti effettuato in questi otto mesi dimostra che per sanare la voragine nei conti aperta con l'acquisto di Antonveneta furono messe in piedi operazioni ad altissimo rischio come i bond fresh del 2008 e quelle sui derivati. Ma non solo. I magistrati sono convinti che il valore delle azioni sia stato gonfiato dai dirigenti di Mps e che queste manovre speculative siano andate avanti anche negli anni successivi, in particolare tra giugno 2011 e gennaio 2012.
Obiettivo: nascondere un disastro finanziario che i vertici del Monte Paschi avevano invece escluso. Non a caso nei decreti di perquisizione del maggio scorso viene evidenziato come «la documentazione acquisita e le informazioni testimoniali fanno emergere l'ostacolo all'attività di vigilanza della banca d'Italia poiché risulta che organi apicali e di controllo di Mps, contrariamente al vero rappresentavano che la complessiva operazione realizzava il pieno e definitivo trasferimento a terzi del rischio d'impresa e che la stessa non contemplava altri contratti oltre quelli già inviati».


Il falso su Jp Morgan - Agli atti c'è una lettera trasmessa il 3 ottobre 2010 dal direttore generale di Mps Vigni a Bankitalia sull'aumento di capitale da un miliardo riservato a Jp Morgan. Dieci giorni prima Palazzo Koch aveva chiesto «delucidazioni circa la computabilità della complessiva operazione di rafforzamento patrimoniale da un miliardo di euro nel core capital ». Vigni risponde che «in ordine all'assorbimento delle perdite Jp Morgan ha acquistato le proprietà delle azioni senza ricevere alcuna protezione esplicita o implicita dalla Banca». Affermazioni «non rispondenti al vero» secondo i pubblici ministeri che contestano al direttore generale di aver mentito «anche sulla flessibilità dei pagamenti riconosciuti alla stessa Jp Morgan». E di aver provocato un'ulteriore, gravissima perdita finanziaria a Mps.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

28 gennaio 2013 | 10:06© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_28/patto-santander-jpmprgan_382e3800-6914-11e2-a947-c004c7484908.shtml
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« Risposta #158 inserito:: Febbraio 04, 2013, 11:22:08 pm »

La «banda del 5 per cento» di Mps

In Procura i nastri sugli accordi

Il supertestimone Rizzo e le somme versate a Lugano

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

SIENA - Le conversazioni che proverebbero l'esistenza di una «banda del 5 per cento» all'interno del Monte dei Paschi di Siena, sono state registrate. I nastri sono nelle mani di Antonio Rizzo, il funzionario della Dresdner Bank che per primo ha accusato l'ex direttore dell'area finanza Gianluca Baldassari e il responsabile delle filiali di Londra Matteo Pontone di aver preso una «stecca» su tutti gli affari gestiti da Mps. «L'ho fatto per tutelarmi quando ho capito quale fosse la situazione - conferma - e a questo punto sono disponibile a consegnare i nastri ai magistrati di Siena». La sua convocazione è prevista per questa mattina. Già oggi gli inquirenti potrebbero dunque avere a disposizione nuovi elementi per dimostrare come il vecchio management abbia lucrato sulle operazioni finanziarie, compresa quella di Antonveneta.

Oggi è il giorno dell'ex presidente Giuseppe Mussari, che sarà interrogato dai pubblici ministeri Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso. «Parlerò» aveva annunciato nei giorni scorsi, ma non è escluso che alla fine decida di avvalersi della facoltà di non rispondere almeno fino a che l'accusa non avrà scoperto ulteriori carte. Tra le contestazioni ai responsabili della passata gestione ci sono l'associazione per delinquere, l'aggiotaggio, le false comunicazioni, la turbativa e la truffa. Tra due giorni toccherà all'ex direttore generale Antonio Vigni, anche lui indagato per gli stessi reati.

Dettagli inediti su quanto accaduto all'interno della banca senese a partire dall'estate 2007 potrebbero essere forniti proprio da Rizzo. I colloqui sono stati registrati in quello stesso anno e riguardano operazioni su pacchetti titoli Mps. Rizzo ne aveva parlato con i magistrati milanesi che l'avevano interrogato il 13 ottobre 2008 come testimone.
«A novembre 2007 - si legge nel verbale - si è svolto un incontro tra me, il mio superiore Antonio Cutolo e il responsabile londinese Massimiliano Pero durante il quale quest'ultimo caldeggiava l'operazione di riacquisto di un pacchetto titoli strutturato da Mps Londra. Nell'occasione si venne a sapere che Dresdner avrebbe pagato una somma a titolo di intermediazione a tale Lutifin di Lugano». Rizzo evidenzia il parere contrario di Cutolo che però non venne tenuto in conto visto che un mese dopo arrivò invece il via libera all'operazione. Per questo lo stesso Rizzo nel marzo successivo effettuò una segnalazione interna che diede il via a un audit.

Aggiunge il funzionario a verbale: «Il 12 marzo 2008 sono andato a cena con il responsabile della vendita di prodotti finanziari Michele Cortese e lui mi ha detto che a suo avviso, ma il fatto sembrava notorio, Pontone e Baldassarri avevano percepito una commissione indebita tramite Lutifin. Mi disse che i due erano conosciuti come la banda del 5 per cento perché su ogni operazione prendevano tale percentuale».
Conversazioni registrate e Rizzo sostiene di poter fornire anche l'elenco dei nomi di altri funzionari che sarebbero stati a conoscenza del «sovraprezzo» applicato dai manager di Mps. Gli stessi che trattarono con gli spagnoli del Santander l'acquisto di Antonveneta accettando un costo di 9 miliardi e trecento milioni di euro, oltre a un miliardo di oneri. E che poi si servirono del Fresh con Jp Morgan e degli investimenti sui «derivati» per cercare di ripianare una situazione debitoria che era ormai diventata insostenibile.

La conseguenza di una gestione spericolata che, dicono i magistrati senesi, aveva fatto guadagnare molti soldi ai vertici di Mps.

Fiorenza Sarzanini

4 febbraio 2013 | 16:21
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da - http://www.corriere.it/cronache/13_febbraio_04/la-banda-del-5-per-cento-mps-in-procura-i-nastri-sugli-accordi_69426bd4-6e99-11e2-87c0-8aef4246cdc1.shtml
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« Risposta #159 inserito:: Febbraio 09, 2013, 03:58:13 pm »

LO SCANDALO DEI DERIVATI

L'inchiesta Mps si allarga, la pista Verdini

La Procura di Firenze sente Amato e Monaci

Vertice con i magistrati di Siena

Dal nostro inviato  FIORENZA SARZANINI


SIENA - L'indagine della magistratura di Siena adesso coinvolge anche la politica. E punta ad accertare i rapporti tra banchieri e rappresentanti dei partiti che a livello locale e nazionale possano aver influito sulle scelte dei vertici del Monte dei Paschi. Le verifiche sull'acquisizione del 2007 di Antonveneta dagli spagnoli del Santander si snodano sul doppio binario: da una parte le manovre finanziarie per rastrellare i soldi necessari a chiudere l'affare, dall'altra i contatti con chi poteva aver interesse - anche personale - al buon esito. L'attenzione si concentra sui comportamenti dei consiglieri di amministrazione, in particolare sul ruolo di Andrea Pisaneschi che rappresentava il Pdl e fu poi nominato presidente dell'Istituto di credito appena acquistato. Ma anche su quanto accaduto all'interno del Pd, con i dissensi che portarono alle dimissioni l'ex sindaco Franco Ceccuzzi.

Soldi e potere, questo è l'intreccio che si cerca di dipanare per capire chi diede il via libera a quell'operazione che si rivelò disastrosa per le casse di Mps con il versamento di 9 miliardi e 300 milioni di euro, oltre a 10 milioni di euro di oneri. E che avrebbe invece portato evidenti vantaggi economici ad alcuni manager di vertice. La giornata è scandita da interrogatori, nuove acquisizioni di documenti, esame delle carte sequestrate negli ultimi giorni. Ma la novità è la missione a Firenze del pubblico ministero Natalino Nastasi per incontrare i colleghi che indagano sul Credito Cooperativo di Denis Verdini e sugli incarichi di consulenza ottenuti proprio da Pisaneschi, per questo indagato per l'emissione di fatture false. Agli atti di quell'inchiesta ci sono le intercettazioni delle telefonate del 2010 di Verdini che chiede all'allora presidente Giuseppe Mussari finanziamenti per il suo socio, l'imprenditore Riccardo Fusi.

Un pool di istituti di credito gli ha concesso un prestito da 150 milioni di euro, Mps ne ha messi 60, ma Verdini insiste perché la banca senese ne aggiunga altri 10. Sollecita più volte Mussari che alla fine nega però l'ulteriore stanziamento. Nastasi acquisisce la documentazione, poi interroga insieme ai magistrati fiorentini il senatore Paolo Amato, eletto con il Pdl e poi andato via proprio in polemica con il coordinatore. Obiettivo: conoscere i rapporti tra il partito e Mps. Subito dopo viene ascoltato come testimone il presidente del Consiglio regionale della Toscana Alberto Monaci, esponente senese del Pd, ex Margherita, accusato da Ceccuzzi di aver guidato la fronda contro di lui. Suo fratello Alfredo è stato nel cda della banca. Al termine dichiara: «L'ex direttore generale Antonio Vigni è un ottimo analista e quindi lui era in condizione di vedere le cose. Evidentemente non avrá avuto sufficiente tenuta di carattere per dire no a Mussari. Per quanto riguarda il vertice, l'accordo politico prevedeva che Leonello Mancini facesse il presidente della banca e Mussari della fondazione, ma su questo io non diedi il gradimento».

A Siena i pubblici ministeri Giuseppe Grosso e Aldo Natalini intanto sentono per oltre due ore la versione di Raffaele Ricci che, prima per Dresdner e poi per Nomura, gestì il «derivato» Alexandria. Secondo l'accusa quell'investimento - inizialmente nascosto al mercato e agli organi di vigilanza - fu pianificato per cercare di ripianare i conti e ritiene indispensabile ricostruire la sua storia. Anche perché gli specialisti che se ne sono occupati farebbero parte di quella «banda del 5%» che per i magistrati aveva al vertice Gianluca Baldassarri, capo dell'Area Finanza, adesso indagato per associazione a delinquere truffa, appropriazione indebita, turbativa del mercato, insieme al suo vice Alessandro Toccafondi e ad altri funzionari della struttura. Ma anche ai broker della società Enigma che avrebbero gestito alcune operazioni finanziarie per loro conto e ieri - dopo il blocco dei 40 milioni di euro - hanno subito un nuovo sequestro di tre milioni di euro per evasione fiscale da parte della Procura di Milano.

Gli inquirenti stanno verificando se le percentuali illecite siano state percepite sin dal 2003, quando direttore generale di Mps era ancora Vincenzo De Bustis. Non a caso tra i documenti acquisiti nelle ultime ore dagli specialisti del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo ci sono i documenti relativi alle operazioni gestite negli ultimi dieci anni e sulle quali potrebbero aver gravato «plusvalenze» proprio come accaduto per Antonveneta.

9 febbraio 2013 | 9:07

da - http://www.corriere.it/economia/13_febbraio_09/inchiesta-mps-pista-verdini-sarzanini_6a3dbbf6-7281-11e2-bdf7-bdbb424637ab.shtml
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« Risposta #160 inserito:: Maggio 11, 2013, 05:32:46 pm »

COINVOLTO anche nelle indagini sulla P4

Fondi del Viminale nascosti in Svizzera

Indagato l'ex vice capo dei servizi La Motta

Sottratti 10 milioni, erano destinati agli edifici di culto


ROMA - Dieci milioni di euro sottratti dalle casse del Viminale. Soldi del Fec, il Fondo per gli edifici del culto, che sarebbero stati investiti in una finanziaria svizzera e poi spariti. Dopo le indagini sull'Ufficio Logistico e gli appalti assegnati soltanto alle ditte «amiche», c'è una nuova inchiesta sulla gestione del denaro gestito dal ministero dell'Interno che rischia di avere sviluppi clamorosi. Perché coinvolge il prefetto Francesco La Motta, fino a qualche mese fa vicedirettore vicario dell'Aise, il servizio segreto civile. L'alto funzionario è in pensione, ma continua ad avere un incarico di consulenza con la struttura di intelligence e nei giorni scorsi i carabinieri del Ros hanno perquisito la sua abitazione e il suo ufficio all'interno della sede centrale in via Lanza. Le accuse contestate dal pubblico ministero Paolo Ielo sono corruzione e peculato.

Il nome di La Motta emerge qualche mese fa in un'indagine per riciclaggio aperta dalla Procura di Napoli sul clan Polverino. Ascoltando alcune conversazioni tra gli affiliati, i magistrati scoprono legami tra il prefetto e alcuni uomini legati ai boss. Ma soprattutto afferrano la traccia che porta ai soldi che avrebbe sottratto dalle casse dello Stato. Gli contestano l'aggravante di aver favorito i camorristi, poi decidono di trasmettere per competenza una parte del fascicolo ai colleghi della Capitale.

La Motta è stato direttore centrale del Fec dal 2003 al 2006, poi è passato ai servizi segreti. Secondo quanto risulta dal sito del ministero, obiettivo del Fondo è quello di «assicurare la tutela e la valorizzazione, la conservazione e il restauro dei beni di proprietà, costituiti per la maggior parte da edifici sacri (oltre settecentocinquanta) spesso di grande interesse storico-artistico, ma anche dalle opere d'arte e dagli arredi in essi custoditi, da immobili produttivi di rendite, da aree boschive e da un fondo librario antico». Una missione che il prefetto non deve aver rispettato, se è vero che tutti i soldi che avrebbe dovuto gestire sono stati trasferiti in Svizzera. E qui c'è la prima stranezza. Secondo le verifiche effettuate dagli investigatori dell'Arma, al ministero erano stati informati di questa scelta di trasferire una parte del denaro all'estero. Come è possibile che sia stato autorizzato? E soprattutto da chi?

La richiesta di rogatoria è già stata presentata alle autorità elvetiche e la relazione attesa nei prossimi giorni potrebbe già fornire alcune risposte. Il resto potrebbe emergere dai documenti sequestrati a casa e nell'ufficio di La Motta, ma anche dall'esposto che gli stessi responsabili degli uffici ministeriali avevano presentato qualche mese fa. Nella denuncia si parla della sparizione dei fondi a disposizione del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione. La «perdita» viene quantificata in dieci milioni di euro e si sollecitano verifiche sul percorso fatto dal denaro dal 2005 a oggi. Anche tenendo conto degli incarichi di altissimo livello ricoperti da La Motta negli ultimi anni. Dopo aver lasciato il Viminale, nel 2006 il prefetto è infatti diventato vicecapo vicario al Sisde e ha mantenuto lo stesso incarico dopo la riforma dei servizi segreti. È «gentiluomo di Sua Santità». Il suo nome era già comparso nelle indagini napoletane sulla cosiddetta P4 per alcuni contatti con Luigi Bisignani durante i quali il prefetto usava lo pseudonimo di «Imperia».

La contestazione di corruzione si riferisce invece ad alcuni vantaggi personali, anche economici, che La Motta avrebbe ottenuto durante la gestione degli edifici di culto. Ma la decisione di sottoporlo a perquisizione mira a scoprire se possa aver compiuto illeciti anche durante la sua permanenza al vertice dell' intelligence .

Fiorenza Sarzanini

11 maggio 2013 | 8:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_11/prefetto-soldi-viminale-svizzera_db5ffa8e-ba01-11e2-b7cc-15817aa8a464.shtml
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« Risposta #161 inserito:: Maggio 16, 2013, 11:10:10 am »

Il retroscena

Parlare con i pm, la nuova strategia di Berlusconi al processo Tarantini

Le inchieste di Roma e Bari


ROMA - Dopo Roma, Bari. Dopo mesi di muro contro muro con i pubblici ministeri, adesso Silvio Berlusconi sembra aver cambiato strategia processuale. Quantomeno per quanto riguarda le indagini in corso. E allora decide di presentarsi davanti ai pubblici ministeri per essere interrogato. Lo ha fatto due giorni fa, parte lesa nell'inchiesta per estorsione contro Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola. Lo farà probabilmente la prossima settimana, quando arriverà davanti ai magistrati pugliesi che invece accusano lui e Lavitola di aver indotto Tarantini a mentire nel processo per le escort e quindi a negare che lo stesso Berlusconi sapesse che le ragazze prendevano soldi in cambio della propria partecipazione a feste e vacanze. Se lo avesse invece confermato, il Cavaliere sarebbe infatti finito sotto inchiesta per sfruttamento della prostituzione. L'accordo con i pubblici ministeri pugliesi su data e luogo dell'incontro sarebbe già stato concluso.

Le due Procure indagano sugli stessi fatti: i soldi versati a Tarantini. Oltre un milione di euro consegnati tra il 2010 e il 2011, vale a dire un anno dopo le clamorose rivelazioni di Patrizia D'Addario che per prima svelò l'abitudine di pagare le donne per farle partecipare alle feste dell'allora presidente del Consiglio. I magistrati di Roma avrebbero già deciso di chiudere il fascicolo e sollecitarne l'archiviazione. Quelli di Bari sembrano invece intenzionati ad arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio di Berlusconi e Lavitola e potrebbero farlo entro la fine della prossima settimana. E proprio in questo quadro si inserirebbe il cambio di rotta della difesa, l'estremo tentativo di svicolare da quelle inchieste che per lui sono più imbarazzanti perché riguardano quanto accadeva nelle sue residenze. Non sarà facile.
«Ho dato soldi a un amico in difficoltà, non c'era alcun ricatto e dunque non avevo necessità di pagare il silenzio di Tarantini» ha sostenuto Berlusconi davanti ai magistrati capitolini e inevitabilmente ripeterà a quelli pugliesi. La stessa linea già tenuta da Lavitola, pur senza essere apparso convincente. Anche perché era stato proprio lui, nelle conversazioni telefoniche intercettate, a cercare di convincere Tarantini sulla necessità di «tenere in scacco Berlusconi per farci pagare».

L'inchiesta sulle escort è ormai entrata nella fase conclusiva. Proprio ieri, all'udienza preliminare i legali di Tarantini e di Sabina Began (per entrambi il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per l'induzione alla prostituzione) hanno chiesto per i loro assistiti il «non luogo a procedere». Nicola Quaranta, difensore dell'imprenditore, si è limitato alla richiesta formale, mentre l'avvocato Fabrizio Siggia ha confermato come «la Began avesse indubbiamente un rapporto preferenziale con Berlusconi e sarebbe stato controproducente dal suo punto di vista distrarlo dalle attenzioni nei suoi confronti presentandogli altre belle donne».

Il nuovo atteggiamento difensivo di Berlusconi sembra orientato a non aggravare ulteriormente questo quadro, cercando di liberarsi di quelle indagini tuttora in corso. E l'unica strada percorribile sembra quella di aprire una linea di dialogo con i pubblici ministeri. Del resto la necessità di abbassare i toni in materia di giustizia ed evitare lo scontro con la magistratura era una delle condizioni che sarebbero state poste dal professor Franco Coppi per accettare di assistere il Cavaliere davanti ai giudici della Corte di cassazione nel processo per le frequenze televisive dove è stato condannato a quattro anni in appello. Chissà se dopo quanto è accaduto sabato a Brescia durante la manifestazione del Pdl, l'avvocato sarà ancora disponibile.

Fiorenza Sarzanini

16 maggio 2013 | 7:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_16/berlusconi-giustizia-tarantini-nuova-strategia-escort-sarzanini_395c719a-bde9-11e2-9b45-0f0bf9d2f77b.shtml
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« Risposta #162 inserito:: Giugno 11, 2013, 05:14:27 pm »

CELLE AFFOLLATE, LE MISURE

Detenuti a casa sei mesi prima

Piano per 10 mila posti nelle carceri

La strategia di Cancellieri: progetto per Pianosa, raddoppia Gorgona. Per i piccoli reati obbligatorie le misure alternative


ROMA - Un decreto legge per limitare gli ingressi in carcere e favorire le uscite di chi sta scontando l'ultima parte della pena. Apertura di nuove strutture per poter contare su 4.000 posti entro la fine dell'anno. Il piano carceri messo a punto dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri entra nella fase operativa per fronteggiare una situazione drammatica che con l'arrivo del caldo può soltanto peggiorare. E mira a recuperare in totale almeno 10.000 posti. Sono i dati forniti dalla stessa Guardasigilli durante la sua audizione al Senato e aggiornati al 15 maggio scorso, a dimostrarlo: quasi 65.891 detenuti, vale a dire circa 20 mila in più rispetto alla capienza, anche se l'associazione Antigone ne calcola almeno 30 mila. In particolare 24.697 sono in attesa di giudizio, 40.118 condannati e 1.176 internati. Un buon terzo (circa 23 mila) sono stranieri.

Il provvedimento del governo potrebbe alleggerire i penitenziari, ma non sarà sufficiente. Per questo si sta valutando anche la riapertura di alcune strutture ormai in disuso. E in cima alla lista è stata inserita Pianosa, che può ospitare 500 persone. Già la prossima settimana Cancellieri potrebbe incontrare il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi per sondarne la disponibilità e per discutere il raddoppio della capienza di Gorgona. «Qui non si tratta di migliorare le condizioni - ha ripetuto due giorni fa il ministro durante la festa della polizia penitenziaria - ma di cambiare il sistema, riuscendo a dare piena concretezza al principio secondo cui la pena detentiva deve costituire l'extrema ratio. Il rimedio cui ricorrere quando si rivela impraticabile ogni altra sanzione. La reclusione potrebbe essere limitata ai reati più gravi, mentre per gli altri si dovrebbe fare più ampio ricorso alla detenzione domiciliare e al lavoro di pubblica utilità».

La popolazione carceraria dal 2006 a oggi - Clicca per vedere il graficoLa popolazione carceraria dal 2006 a oggi - Clicca per vedere il grafico

Il nuovo decreto «svuotacarceri». Sono proprio queste le linee guida del provvedimento che sarà portato in consiglio dei ministri entro la fine del mese. L'obiettivo è evitare il meccanismo delle cosiddette «porte girevoli» con i detenuti che entrano ed escono e, dicono gli esperti, determinano una presenza media in cella di 20 mila persone per soli tre giorni. Il decreto riguarderà i reati minori, cioè quelli che non destano allarme sociale. E si muoverà sul doppio binario.
Per quanto riguarda gli ingressi, si renderà obbligatorio il ricorso alle misure alternative: detenzione domiciliare oppure affidamento in prova, a seconda dei casi. Per chi invece attende di uscire la scelta è portare da 12 a 18 mesi il residuo pena che i condannati in via definitiva potranno scontare a casa. Calcoli esatti non sono stati ancora completati, ma i tecnici di via Arenula stimano che nei primi mesi saranno migliaia i posti che potranno essere resi disponibili grazie a questo meccanismo. Il resto dovrà arrivare con misure specifiche che sono allo studio di due commissioni appena costituite. Una, guidata dal professor Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l'Università di Firenze, dovrà mettere a punto le modifiche alla legge in tema di depenalizzazione. L'altra, affidata a Glauco Giostra, componente laico del Csm, si concentrerà invece sulle misure alternative.

Nuove strutture e padiglioni. Tra due settimane sarà inaugurato il nuovo carcere di Reggio Calabria che potrà ospitare fino a 318 detenuti. A metà luglio sarà invece la volta di Sassari con una struttura da 465 posti. Entro la fine dell'anno si interverrà poi in altre città: Biella con 200 posti, Pavia con 300, Ariano Irpino con altri 300 e Piacenza con 200. Nei giorni scorsi era stato il capo dello Stato Giorgio Napolitano a ribadire la necessità di arrivare a un «comune riconoscimento obiettivo della gravità ed estrema urgenza della questione carceraria, che rientra tra le priorità di azione del nuovo governo. Si richiedono ora decisioni non più procrastinabili per il superamento di una realtà degradante per i detenuti e per la stessa Polizia Penitenziaria». Il piano messo a punto dall'Italia nella risposta alle sollecitazioni dell'Europa, prevede che entro il 2015 si trovino almeno 12mila nuovi posti per i reclusi, ma anche questo non può bastare.

Il 24 giugno in Parlamento comincerà la discussione sul provvedimento firmato dall'ex ministro Paola Severino la discussione sulle misure alternative al carcere e la messa alla prova - che sospende il processo per chi rischia condanne inferiori ai quattro anni e opta per un percorso di rieducazione - ma la Lega ha già ufficializzato il suo ostruzionismo di fronte a quello che definisce «un indulto mascherato» e dunque appare difficile che l'approvazione definitiva possa arrivare in tempi brevi.

Pianosa e le colonie sarde. Ecco perché al ministero della Giustizia hanno deciso di intervenire con un decreto che consenta di «regolare» subito entrate e uscite dalle carceri, ma hanno già avviato le istruttoria per rimettere in funzione strutture che finora erano rimaste inutilizzate. Su Pianosa ci sono svariati nodi da sciogliere, tenuto conto che il Sappe, il maggior sindacato di polizia penitenziaria, ha già espresso la propria contrarietà, eppure il progetto appare già in fase avanzata. Del resto la struttura è in buone condizioni, quindi potrebbe essere resa agibile senza spese eccessive. Interventi sono stati programmati anche per Gorgona, che già ospita detenuti-lavoratori.

Quello di incentivare le possibilità di lavoro per chi si trova dietro le sbarre è uno dei punti chiave per Cancellieri che ha chiesto ai suoi uffici di valutare anche la possibilità di utilizzare le colonie che si trovano in Sardegna. Il problema riguarda però gli stanziamenti, visto che già adesso in molti penitenziari sono stati sospesi i programmi di impiego perché non ci sono i fondi sufficienti.

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it

10 giugno 2013 | 9:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_10/carceri-piano-anti-affollamento-sarzanini_0fe9c892-d191-11e2-810b-ca5258e522ba.shtml
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« Risposta #163 inserito:: Giugno 20, 2013, 05:20:53 pm »

DOPO IL «NO» DELLA CONSULTA AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Mediaset, la parola sul futuro di Berlusconi adesso passa ai giudici della Cassazione

La Consulta chiude lo spiraglio che avrebbe potuto portare il Cavaliere alla prescrizione.

La condanna in Appello: 4 anni di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni


La parola passa adesso alla Corte di Cassazione, ma di fronte a quei giudici Silvio Berlusconi non potrà giocare la carta del legittimo impedimento. La Consulta chiude la strada a un motivo di nullità che si basi su un errore o peggio sull’intromissione abusiva dei giudici nella sua attività di presidente del Consiglio durante il processo per diritti tv Mediaset. L’8 maggio scorso, in appello, Berlusconi è stato condannato a 4 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Se la Consulta avesse lasciato aperto uno spiraglio in motivazione, il Cavaliere poteva sperare in un nuovo processo e quindi di arrivare alla prescrizione che scadrà nel luglio 2014, esattamente fra un anno. Adesso si avvicina invece il pronunciamento dei supremi giudici, previsto per novembre prossimo. E la parola definitiva sul destino giudiziario di Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini

19 giugno 2013 | 19:20© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_giugno_19/conseguenze-%20no-legittimo-impedimento-berlusconi-sarzanini_703fe568-d903-11e2-8ffc-5f2d0b7e19c1.shtml
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« Risposta #164 inserito:: Giugno 30, 2013, 04:40:40 pm »

L'inchiesta su Scarano

I conti segreti del Vaticano «Soldi nascosti in Svizzera»

L'inchiesta dopo l'arresto di monsignor Nunzio Scarano


ROMA - Conti segreti aperti presso la banca Ubs di Lugano e utilizzati per occultare denaro proveniente dalla Santa Sede. Depositi gestiti da monsignor Nunzio Scarano, ma intestati all'Apsa, l'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica. È il capitolo ancora riservato, certamente clamoroso, dell'inchiesta avviata dai magistrati romani sulle attività finanziarie dell'alto prelato arrestato due giorni fa per corruzione e truffa insieme al funzionario dei servizi segreti Giovanni Maria Zito e al broker Giovanni Carenzio e accusato di aver versato una tangente da 400 mila euro allo 007 per fargli riportare in Italia dalla Svizzera 20 milioni di euro. Perché riguarda uno dei centri di snodo dell'economia vaticana e si collega direttamente allo Ior.

L'indagine condotta dai pubblici ministeri Stefano Pesci e Stefano Rocco Fava coordinati dall'aggiunto Nello Rossi ha già svelato quanto stretti fossero i rapporti del sacerdote con i vertici dell'Istituto per le Opere Religiose. Adesso si concentra sul denaro da lui movimentato negli ultimi anni. Anche perché nelle telefonate intercettate è lo stesso Scarano a parlare di un'operazione effettuata su un conto Ior grazie al suo amico 007. Su questo potrebbe rivelarsi determinante la testimonianza di una donna - già interrogata dai magistrati di Salerno titolari di un fascicolo su numerosi affari gestiti dal monsignore - che sarebbe stata incaricata di effettuare alcune operazioni sui conti, compilando assegni che Scarano le aveva consegnato e inserendo anche l'identità dei traenti.

«Rilevante giacenza»
I finanzieri del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo hanno scoperto che Scarano è socio di alcune imprese immobiliari salernitane, ma soprattutto che ha chiesto finanziamenti a svariati istituti di credito poi estinti, utilizzando i soldi provenienti dalla beneficenza. Sui suoi conti sono transitate centinaia di migliaia di euro e le verifiche riguardano proprio la provenienza di questo denaro, tenendo conto che fino a un mese fa il prelato era il contabile dell'Apsa. Possibile che abbia spostato fondi dell'Amministrazione sui propri conti?
Telefonate e mail intercettate negli ultimi mesi mostrano i contatti costanti di Scarano con i responsabili dell'Ubs di Lugano. In quella banca risultano depositati i 40 milioni di euro - secondo l'accusa sono degli armatori Paolo, Marcello e Cesare D'Amico - che il prelato doveva far rientrare in Italia. In un colloquio con Marcello, Scarano gli comunica di aver «chiamato in Svizzera, ed ho dato il password per lo sblocco. Ho fatto quello internazionale, che noi siamo clienti per 800 di franchi svizzeri e 1.400 di euro, hai capito?». I finanzieri hanno scoperto che presso la stessa filiale è stato aperto un altro conto intestato all'Apsa dove risulta una «rilevante giacenza». Il sospetto possa essere stato utilizzato proprio dal prelato e alimentato con denaro di provenienza illecita.

Lo 007 allo Ior
La possibilità di mescolare fondi in modo da rendere difficile l'individuazione dei beneficiari era stata evidenziata nell'ultimo rapporto sull'Apsa stilato nel luglio 2012 da Moneyval svelando come i conti aperti presso l'Amministrazione «sono intestati a prelati e laici e potrebbero essere alimentati occultamente con provviste di proprietà di soggetti diversi». In particolare veniva sottolineata «l'esistenza dei cosiddetti depositi "calderone" ove si potrebbero confondere somme di origine e destinazione diversa». Esattamente la modalità utilizzata da Scarano nel 2009 per estinguere un mutuo da 600mila euro che aveva acceso presso la filiale Unicredit di via della Conciliazione. In quell'occasione il prelato aveva utilizzato 61 assegni circolari intestati a parenti e amici emessi da 17 banche diverse.
Secondo gli specialisti del Valutario «lo scopo è da individuarsi nella sua volontà di non apparire formalmente quale effettivo detentore dei mezzi finanziari per l'estinzione del mutuo ipotecario e nascondere la sua reale e florido patrimonio, ed occultare le sue consistenze ingenti ed oscure presso lo Ior». Agli atti ci sono tracce di numerose operazioni che coinvolgono direttamente l'Istituto ed è lo stesso Scarano ad ammettere di utilizzare i depositi per trasferire soldi in maniera veloce e soprattutto esente da controlli. Al telefono con Marcello D'Amico, Scarano parla in particolare di un'operazione fatta allo Ior proprio «grazie a Zito» e poi gli chiede soldi per acquistare alcuni gioielli da regalare allo 007. La «ricompensa per l'intervento di Zito» sulle autorità spagnole che avevano avviato accertamenti su investimenti effettuati da Paolo D'Amico attraverso il broker Carenzio. L'ennesima prova, secondo l'accusa, di affari illeciti chiusi in Italia e all'estero.

Fiorenza Sarzanini

30 giugno 2013 | 9:50© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_30/i-conti-segreti-del-vaticano-soldi-nascosti-in-svizzera-fiorenza-sarzanini_ab0bfd7e-e13e-11e2-a879-533dfc673450.shtml
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