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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 194587 volte)
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« Risposta #135 inserito:: Marzo 04, 2012, 11:10:20 am »

Val di susa

Sei mesi di consultazioni sui progetti

Cambiano le regole per le Grandi opere.

Il governo adotta il modello francese che punta alla «democrazia partecipativa»


ROMA - Per costruire una grande opera dovrà essere effettuata una consultazione preventiva con tutti i soggetti interessati. Il governo Monti decide di cambiare le regole in materia di lavori pubblici e studia un provvedimento simile a quello introdotto in Francia nel 1995 che, assicurano gli esperti, ha ridotto dell'80 per cento la conflittualità riguardo alla realizzazione di progetti che hanno un impatto ambientale. Il piano è in fase avanzata, già entro la fine del mese potrebbe arrivare il testo del disegno di legge da sottoporre all'esame del Parlamento.

Il via libera definitivo è arrivato durante la riunione convocata due giorni fa a Palazzo Chigi per affrontare l'emergenza delle contestazioni del movimento No Tav. E i componenti dell'esecutivo si sono trovati d'accordo sulla necessità di accelerare i tempi perché, come ha sottolineato il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri «prima si fa, meno tensioni di piazza si rischia di generare».
Era stato il responsabile dello Sviluppo economico Corrado Passera, qualche settimana dopo la sua nomina a ministro, ad avviare la procedura per arrivare a una modifica dell'attuale normativa. La pratica era stata affidata al presidente dell'Osservatorio della Torino-Lione Mario Virano che in questi mesi ha effettuato numerose audizioni e due settimane fa ha incontrato i sindaci di tutta Italia proprio per illustrare il programma e ottenere suggerimenti. La sua relazione è nella fase della stesura finale, poi spetterà ai tecnici ministeriali mettere a punto l'articolato.

Il modello è quello del Débat Public, procedura in vigore in Francia grazie alla legge Barnier, che da 17 anni garantisce la cosiddetta «democrazia partecipativa». Al momento di avviare l'iter per la costruzione di un'opera pubblica, «il promotore deve presentare uno studio di fattibilità che tenga conto di tutti i fattori relativi alla realizzazione visto che presentano forti sfide socioeconomiche oppure hanno un impatto significativo sull'ambiente e sull'assetto del territorio». Oltre a questi fattori, si devono indicare i costi, i tempi, le conseguenze sull'occupazione e sull'economia del luogo scelto. A quel punto spetta a una sorta di Autorità di controllo - in Francia è una Commissione nazionale - convocare tutte le parti che possono avere un interesse e dunque i sindaci, gli abitanti dell'area, le associazioni ambientaliste e chiunque altro sia in grado di fornire elementi positivi o negativi. Ci sono sei mesi di tempo per effettuare le consultazioni, poi deve essere resa pubblica la valutazione finale indicando ogni parere espresso nel corso dell'istruttoria.

La parola torna così al promotore che non è obbligato ad accettare i suggerimenti, ma ha la consapevolezza - qualora decida di non tenerne conto - che in caso di conflittualità o contestazioni non avrà alcuna tutela o collaborazione da parte delle istituzioni, visto che aveva ricevuto una sorta di avviso preventivo. È prevista anche la rinuncia, se si ritiene che il progetto sia troppo complicato da portare a termine. Ma gli analisti assicurano che l'esperienza francese dimostra come in realtà si decida sempre di seguire le indicazioni ottenute dall'Autorità di controllo, proprio per avere la strada spianata al momento di dare il via ai lavori.

Durante la riunione di due giorni fa il ministro Passera ha illustrato questa procedura, evidenziando come il progetto iniziale sulla Tav sia stato modificato più volte il progetto e specificando che molti problemi - soprattutto con i cittadini e gli amministratori locali - sarebbero stati evitati se le consultazioni fossero avvenute prima dell'approvazione. Una linea sposata in pieno dal premier Mario Monti, che ha ricevuto il consenso dei ministri e in particolare della responsabile del Viminale. Del resto è stata proprio lei, in questi ultimi giorni, a sollecitare l'avvio di una nuova trattativa con i sindaci della Val di Susa per concedere privilegi a chi si schiererà a favore della Torino-Lione. In Italia esiste infatti una normativa che prevede la «partecipazione del pubblico» ma in realtà si riduce ad un annuncio a pagamento da pubblicare su due giornali per annunciare il progetto che nessuno legge e soprattutto che nessuno è in grado di far modificare visto che non esiste alcun organismo specifico al quale rivolgersi per contestarne la validità.

Fiorenza Sarzanini

4 marzo 2012 | 9:53© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_04/sei-mesi-di-consultazioni-sui-progetti-fiorenza-sarzanini_036e0c10-65cf-11e1-be51-f4b5d3e60e3d.shtml
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« Risposta #136 inserito:: Marzo 11, 2012, 03:55:27 pm »

La scelta di Monti di non nominare un responsabile per i servizi suscita perplessità

«Buchi» nella rete estera, agenti in retrovia

I servizi segreti sul banco degli imputati

Lunedì il generale Santini al Copasir. Si apre la partita per il rinnovo dei vertici


ROMA - Lo scontro diplomatico tra Roma e Londra apre la partita sul cambio al vertice dei servizi segreti. E sul banco degli imputati finisce Adriano Santini, il direttore dell'Aise. La sua audizione già fissata per domani di fronte al Copasir, il comitato parlamentare di controllo, rischia di trasformarsi nella resa dei conti sull'operatività della struttura di intelligence che ha competenza sull'estero. Perché - è questa la contestazione che viene mossa a livello politico - avrebbe dovuto essere in prima linea per riportare a casa Franco Lamolinara, l'ingegnere rapito in Nigeria e rimasto ucciso durante il blitz delle teste di cuoio britanniche. E invece - almeno secondo quanto è stato accertato sino ad ora - nonostante la presenza di 007 italiani ad Abuja, la guida dell'operazione è sempre stata britannica e anche le informazioni trasmesse al vertice della struttura sono arrivate dai servizi collegati, raramente da fonte diretta. È stato il presidente del Copasir Massimo D'Alema, neanche un'ora dopo la notizia del raid fallito, a evidenziare la necessità di «chiarire il ruolo dei nostri servizi segreti e valutare le iniziative svolte in questo lungo periodo in relazione alla tragica vicenda». Lo ha fatto nella consapevolezza che altri italiani sono tuttora nelle mani dei sequestratori, altre vite sono sospese in attesa di una trattativa che non si chiude. Negoziati spesso condotti da altri. E allora nella partita entra anche la nomina del sottosegretario delegato, autorità politica e figura indispensabile per cercare di ribaltare una situazione che sta esponendo sullo scenario internazionale la debolezza del nostro Paese. Perché bisogna riportare a casa i due marò detenuti in India, salvare Rossella Urru, liberare i marinai sequestrati dai pirati somali, conoscere la sorte di Giovanni Lo Porto rapito in Pakistan e di Maria Sandra Mariani sparita mentre era nel Sahara algerino.

I «buchi» nella rete estera
Sono oltre 2.500 gli agenti in servizio all'Aise. Tra loro ci sono almeno 1.500 «operativi». I numeri non possono essere precisi, però sono circa 200 gli 007 dislocati all'estero e distribuiti in una cinquantina di sedi. Uffici che dovrebbero rivelarsi strategici nel controllo delle aree di crisi o comunque ritenute a rischio. E invece nell'ultimo periodo si sarebbero aperte alcune «falle» nella linea di intervento, lasciando spesso gli italiani in retrovia anche quando si trattava di gestire casi che coinvolgono i nostri connazionali.
E dunque sarà Santini a dover confermare se la sua linea - già emersa nelle precedenti audizioni di fronte al Copasir - sia rimasta quella di privilegiare l'attività di analisi rispetto a quella operativa. Un lavoro di approfondimento che mette in primo piano l'acquisizione di informazioni anche con l'utilizzo di una tecnologia sofisticata, ma poi evidenzia carenze gravi quando si tratta di operare sul territorio. Perché è vero che rimane forte la presenza in Afghanistan - favorita anche dal fatto che il contingente militare è ancora impiegato - e in altre zone dell'Asia, ma in Africa solo pochissime aree sono «coperte» e questo ci costringe ad appoggiarci ai servizi di intelligence locale oppure a quelli degli Stati alleati.

Il canale con la Difesa
Ed è proprio il fallito blitz ordinato dagli inglesi che si è concluso con la morte degli ostaggi ad aver mostrato queste crepe, evidenziando nello stesso tempo una debolezza di gestione da parte dell'autorità politica. Perché è vero che le comunicazioni trasmesse erano prevalentemente di seconda mano, ma a questo punto l'inchiesta condotta dal Copasir dovrà accertare quale uso sia stato fatto delle informazioni acquisite e soprattutto quali fossero le reali intenzioni del governo per concludere la vicenda. Appare accertato che almeno una settimana prima del blitz, un appunto trasmesso dagli 007 al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola confermasse la presenza degli incursori britannici nella zona del sequestro, evidenziando la linea interventista degli inglesi. Non c'è alcuna dipendenza gerarchica dell'Aise dal dicastero della Difesa. E dunque il primo interrogativo da chiarire riguarda il canale di comunicazione: è stato diretto oppure l'informazione è passata prima da Palazzo Chigi? In ogni caso, quando l'autorità politica ha avuto certezza che i militari inglesi erano stati schierati, ci sono stati contatti tra i governi? Oppure il rapporto è rimasto a livello tecnico?
Si tratta di una questione cruciale per stabilire la correttezza dell'operato degli 007, ma anche per comprendere la capacità di intervento di Palazzo Chigi e di pressione nei confronti di Stati con i quali vantiamo ottimi rapporti. Anche tenendo conto che la Nigeria è uno Stato sovrano e al momento - al di là di una telefonata di cordoglio del presidente Goodluck Jonathan arrivata nella serata di giovedì al presidente del Consiglio Mario Monti, seguita da una lettera che sottolinea «stima e amicizia» - non risulta che abbia consultato le autorità italiane prima di dare il via al blitz condotto con gli inglesi.

Il sottosegretario delegato
Che cosa avrebbe fatto l'Italia se fosse stata preventivamente avvisata? Nessuno al momento appare in grado di rispondere a questa domanda. Anche perché la questione non sembra essere stata neanche affrontata prima che si aprisse lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna. La scelta di Monti di non assegnare la delega ai servizi segreti comincia a suscitare perplessità, tanto che già la prossima settimana i partiti che sostengono il governo potrebbero aprire la discussione su una rosa di nomi. Il primo nodo da sciogliere riguarda però il metodo da seguire perché si dovrà decidere se nominare un nuovo componente di governo oppure designare uno dei sottosegretari già in carica. Sulla necessità di procedere i partiti non sembrano comunque avere ormai più dubbi, anche per non venire meno a una prassi che si era consolidata negli anni scorsi quando il ruolo era ricoperto da Gianni Letta.
Quali siano i motivi di urgenza li spiega bene Emanuele Fiano, responsabile del settore sicurezza del Pd e per molto tempo componente del Copasir, che ha contribuito alla stesura della legge di riforma sui servizi: «Poter contare su un'autorità delegata garantisce una connessione più veloce e più continua tra apparati di intelligence e governo. Il presidente del Consiglio non può, ovviamente, garantire una conoscenza costante di tutti i dossier aperti e per questo la normativa ha previsto una figura di sua fiducia che a lui risponde, ma che sia in grado di occuparsi costantemente dell'analisi delle vicende e della risposta da fornire sia a livello tecnico, sia a livello politico interno e internazionale».

I vertici in scadenza
Non sono poche le questioni da dover affrontare, tenendo conto che a giugno scade il mandato del direttore del Dis Gianni De Gennaro e di quello dell'Aisi, il servizio segreto interno, Giorgio Piccirillo. Il dibattito politico non si è ancora ufficialmente aperto, ma già da settimane si accreditava la possibilità che entrambi fossero prorogati per non mettere il governo tecnico nelle condizioni di dover compiere scelte politiche e dunque dover trattare un tema tanto delicato con tutte le forze che lo sostengono, ma anche con l'opposizione, come sempre avviene quando si tratta di rinnovare i responsabili degli apparati di sicurezza.
L'esito della partita adesso non appare più così scontato, anche tenendo conto che - al di là dei pubblici attestati di stima - sembra affievolita la fiducia proprio nei confronti di Adriano Santini, l'unico che invece potrebbe rimanere al proprio posto senza che debba essere firmato alcun provvedimento. In realtà il suo nome era già finito al centro di polemiche la scorsa estate, quando si era scoperto che si era fatto sponsorizzare dal faccendiere Luigi Bisignani proprio per arrivare al vertice dell'Aise. Il governo guidato da Silvio Berlusconi non diede seguito agli attacchi, ma ora la sua posizione appare nuovamente indebolita. E i motivi riguardano non i suoi sponsor, ma la gestione delle vicende che all'estero convolgono i nostri connazionali.

Da Rossella ai marò
Nei giorni scorsi l'Aise si era rivolto proprio ai colleghi dell'intelligence inglese, con i quali c'è una collaborazione costante e consolidata, per trovare un canale di trattativa con gli indiani che si mostri più efficace di quelli utilizzati sinora dalla diplomazia per ottenere la scarcerazione dei due marò. Se in questo caso ad apparire debole è stata soprattutto la Farnesina, tutt'altra valutazione viene fatta per quanto riguarda il sequestro di Rossella Urru.
La liberazione della cooperante sarda portata via da un campo profughi in Algeria la notte tra il 22 e 23 ottobre scorso era stata annunciata una settimana fa dalla televisione araba Al Jazeera e aveva sorpreso tutti, tanto che per ore il ministero degli Esteri non era stato in grado di smentire o confermare la notizia. Anche in quel caso si è avuta la sensazione che l'Italia non fosse in prima linea nella trattativa per ottenere il rilascio della donna e che ci fosse una evidente difficoltà nella gestione di una informazione falsa che probabilmente serviva soltanto a far alzare il prezzo del riscatto.

Fiorenza Sarzanini

11 marzo 2012 | 9:52© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_marzo_11/sarzanini-buchi-nella-rete-estera_4875cec0-6b4b-11e1-a02c-63a438fc3a4e.shtml
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« Risposta #137 inserito:: Marzo 27, 2012, 07:15:13 pm »

Il direttore del Tg4 si è presentato con una valigetta piena di contanti

Fede, la Svizzera respinge 2,5 milioni di euro

No al deposito. La Finanza indaga un accompagnatore


ROMA - Voleva depositare su un conto svizzero due milioni e mezzo in contanti. Ma i funzionari di banca avrebbero rifiutato di accettare l'operazione, non avendo garanzie sulla provenienza dei soldi. Una vicenda che appare senza precedenti e sulla quale hanno avviato verifiche l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza. Protagonista è il direttore del Tg4 Emilio Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell'ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l'agente dello spettacolo Lele Mora, tuttora detenuto proprio per l'inchiesta sul fallimento della sua società «Lm management» che per anni ha gestito l'immagine di numerosi personaggi dello spettacolo. E, si è scoperto poi, serviva a reclutare le ragazze da portare ad Arcore e a Villa Certosa.

La segnalazione è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio. A chiedere l'intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca che evidenzia un episodio risalente alla fine di dicembre, circa tre mesi fa. Nella denuncia racconta che Emilio Fede, accompagnato in macchina da un'altra persona, si è presentato presso la filiale dell'istituto di credito di Lugano con la valigetta piena di contanti, ma che è dovuto rientrare in Italia perché i responsabili della banca non hanno ritenuto opportuno accettare la somma. Una decisione presa, presumibilmente, tenendo conto dei problemi avuti in precedenza con i magistrati italiani e della necessità di fornire spiegazioni.

Nonostante le autorità svizzere abbiano sempre assicurato la massima collaborazione in ambito giudiziario, gli istituti di credito preferiscono mantenere alto il livello di riservatezza per proteggere i propri clienti. Dunque è possibile che dopo il clamore mediatico suscitato dalle vicende che hanno coinvolto Fede nei mesi scorsi abbiano deciso di respingere le sue richieste. Pur di fronte a un investimento molto alto.
La scorsa estate, dopo una richiesta di rogatoria sollecitata dai pubblici ministeri lombardi Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci era stato infatti interrogato il funzionario della Bsi di Lugano Patrick Albisetti, l'uomo che si era occupato di gestire i depositi di Mora e le richieste di contanti dello stesso Fede.

In quell'indagine il giornalista è stato accusato di aver trattenuto per sé un milione e duecentomila euro dei 2 milioni e ottocentomila che Berlusconi avrebbe fatto avere a Mora attraverso il suo tesoriere Giuseppe Spinelli. Una «cresta» che il direttore del telegiornale di Rete4 ha sempre cercato di negare, sia pur con scarso successo di essere creduto.
Albisetti aveva rivelato che nell'aprile 2010 Fede si presentò in banca e chiese di prelevare 500 mila euro, ma gliene furono consegnati soltanto 300 mila e fu costretto ad aprire un conto dove depositare gli altri 200 mila che lui avrebbe poi provveduto a ritirare dopo qualche settimana.

Quel deposito era stato denominato «Succo d'agave» e quando i pubblici ministeri gli chiesero spiegazioni su quel deposito Fede fornì una versione poco comprensibile: «Io non avrei voluto aprirlo perché per me avere un conto all'estero era un rischio e un fastidio». Qualcuno lo aveva obbligato? Ora ci sono questi altri soldi comparsi in Svizzera. Dopo aver ricevuto la segnalazione sono stati avviati i controlli sugli spostamenti del giornalista per verificare che fosse proprio lui ad aver chiesto di effettuare l'operazione, ma soprattutto per scoprire l'origine del denaro. Da chi li ha avuti? E ne ha denunciato il possesso al fisco? Chi c'era con lui in quell'auto nel viaggio da Milano a Lugano? A questi interrogativi dovranno rispondere gli investigatori delle Fiamme Gialle che poi, in caso di mancata dichiarazione, dovranno inoltrare gli atti alla magistratura per i reati di evasione fiscale e tentata esportazione di capitali all'estero visto che la somma supera la soglia consentita per la semplice segnalazione amministrativa.

In passato Emilio Fede aveva sostenuto che ad occuparsi del suo conto era una sua amante cubana che era stata incaricata di prelevare la somma e portarla in Italia. Una versione ritenuta «non credibile» dai magistrati.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

27 marzo 2012 | 9:56© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_marzo_27/sarzanini-fede-svizzera_735d5576-77cc-11e1-978e-bf07217c4d25.shtml
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« Risposta #138 inserito:: Aprile 04, 2012, 05:19:04 pm »

Reggio Calabria

Girardelli, l'«ammiraglio» della cosca: «Il sottosegretario mio socio»

L'uomo vicino alla 'ndrangheta si sfoga contro Belsito in un'intercettazione: «Si abbuffa e raschia tutto»



ROMA - C'è un uomo che secondo i magistrati rappresenta l'anello di congiunzione tra il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e la 'ndrangheta. Si chiama Romolo Girardelli, ma per tutti è «l'ammiraglio». È genovese, ha 53 anni. Nel 2002 finì sotto inchiesta con Paolo Martino e Antonio Vittorio Canale «soggetti al vertice della cosca De Stefano di Reggio Calabria». L'accusa era di associazione a delinquere di stampo mafioso «per aver messo a disposizione del clan le proprie competenze finalizzate - oltre che a fornire supporto logistico alla latitanza di Salvatore Fazzalari, esponente di spicco della 'ndrangheta calabrese attraverso la messa a disposizione di somme di denaro - alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di "strumenti finanziari atipici" di illecita provenienza». Dunque, un procacciatore d'affari per la criminalità organizzata. Proprio il ruolo che svolgeva anche per Belsito, al quale risulta legato da almeno dieci anni. Era tanto stretto il loro rapporto che alla fine decisero di mettersi in società e crearono la «Effebiimmobiliare» con sede a Genova, che si occupa di mediazioni nel settore immobiliare e commerciale, ma anche di consulenza e amministrazione di stabili. Insieme procuravano commesse alle società dell'imprenditore Stefano Bonet - che oltre ai guadagni otteneva anche i crediti d'imposta - e poi reinvestivano i soldi. E dunque, come sottolineano i magistrati di Reggio Calabria «l'ufficio genovese della Polare Scart e affidato a Girardelli è stato aperto al fine di sfruttare l'operatività del gruppo riconducibile a Belsito per accaparrarsi commesse da parte delle più grandi realtà societarie genovesi, in particolare Fincantieri - del quale Belsito era consigliere di amministrazione - e Grandi Navi Veloci».

«Il mio socio è il sottosegretario»
I magistrati reggini arrivano al tesoriere leghista indagando sulle attività di Girardelli ma anche dell'avvocato Bruno Mafrici, calabrese con studio a Milano, che cura la parte legale e i ricorsi amministrativi relativi a questi affari. E così motivano il provvedimento di perquisizione: «Ampiamente accertata appare la presenza di un gruppo di soggetti, variamente inseriti in contesti imprenditoriali, professionali ed istituzionali - in cui operano Stefano Bonet, Paolo Scala, Francesco Belsito e Bruno Mafrici - dipendenti o collegati alla figura di Girardelli. Si ritiene sostanzialmente certa l'esistenza e l'operatività di un gruppo di soggetti protagonisti di un complesso sistema di "esterovestizione" e di "filtrazione", e quindi di riciclaggio o reimpiego, di capitali di provenienza illecita, almeno in parte verosimilmente riconducibili alle attività criminali poste in essere dalla cosca De Stefano a cui il Girardelli risulta collegato sulla base di pregressi accertamenti».

Per evidenziare il legame tra Girardelli e Belsito gli inquirenti allegano il brogliaccio di un'intercettazione telefonica del 10 settembre scorso tra lo stesso Girardelli e una donna durante la quale lui racconta le proprie mansioni nell'impresa di Bonet: «Girardelli dice che è stato assunto da quel gruppo di San Donà del Piave che gli hanno fatto un contratto come manager perché gli ha portato due risultati che non si aspettavano e hanno aperto uno "sportello" a Genova nei suoi uffici e lo hanno nominato reggente... La donna chiede se è stata una cosa improvvisa, lui dice che è stata una promozione per il risultato ottenuto anche perché lui non voleva essere contrattualizzato ma gli hanno fatto un contratto importante e poi ha avuto dei risultati importanti... poi fa un accenno al suo socio che è il sottosegretario» (Belsito ha ricoperto l'incarico dal febbraio 2010 al novembre 2011).

I soldi, gli orologi e il Sol Levante
Fino all'autunno scorso i rapporti tra Belsito e Girardelli appaiono idilliaci. I due si parlano spesso al telefono, pianificano gli incontri per ottenere i lavori. Ma alla fine dell'anno c'è uno scontro violento. Al centro della disputa proprio le elargizioni che sarebbero arrivate da Bonet, che i due chiamano «lo shampato», e dall'avvocato Mafrici. Accade il 23 dicembre scorso. E così è raccontato nel brogliaccio: «Litigano al telefono e si insultano reciprocamente con particolare riferimento alle scorrettezze sul piano del lavoro. Girardelli gli esterna la sua rabbia per il comportamento tenuto da Belsito in questi dieci anni di collaborazione ... l'avvocato ti ha regalato gli orologi e non me ne hai dato neanche mezzo a me e i soldi che ti sei pigliato da shampato ... se vuoi te li faccio vedere i numeri e poi ti faccio vedere pure le quote del Sol Levante». Il riferimento è allo «stabilimento balneare più bello della Liguria» che il tesoriere della Lega risulta aver preso in gestione grazie al denaro ricevuto da Bonet. È scritto ancora nel brogliaccio della telefonata: «Belsito nega di aver preso gli orologi da Bruno e i soldi da shampato mentre sulle quote del Sol Levante dice che è roba sua... i finanziamenti li fa a nome suo. Belsito minaccia Girardelli e gli dice che gliela farà vedere lui». Al termine della telefonata Belsito sembra però essersi calmato e gli spiega che «hai preso un abbaglio».

In realtà in una telefonata del giorno dopo con un amico comune è proprio Girardelli a scagliarsi contro Belsito dicendo che «adesso farà fare tabula rasa, senza pietà, userà tutti i suoi mezzi e le sue conoscenze». I due, annotano gli investigatori «sono concordi nel dire che Belsito è bastardo dentro» e poi Girardelli aggiunge: «Lui si è abbuffato, perché si vede che sente il fiato corto e allora ha detto raschio più che posso... a un certo punto si dovrà rendere conto di quello che fa, cioè bisognerà stringerlo un attimino e dirgli: senti amico... bisognerà distruggerlo su tutti i fronti e poi andare all'attacco, prendere shampato e dirgli cosa ha messo nel piatto... una volta che shampato lo molla, lui rimane con una mano nel culo... bisognerà distruggerlo». Un mese dopo, il 23 gennaio scorso, «Bonet parla al telefono con Girardelli e gli chiede notizie di Belsito. Girardelli gli fa presente che ha subito duri attacchi all'interno del movimento, tanto da rischiare una possibile rimozione dall'incarico e un successivo commissariamento della gestione amministrativa del partito».

Fiorenza Sarzanini

4 aprile 2012 | 9:48© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_04/ammiraglio-della-cosca-sottosegretario-mio-socio-fiorenza-sarzanini_8f2e7c18-7e15-11e1-b61a-22df94744509.shtml
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« Risposta #139 inserito:: Aprile 06, 2012, 04:35:02 pm »

Le intercettazioni

«I soldi a Calderoli come faccio a giustificarli?»

Somme a Brancher, mazzette a Belsito.

Gli affari in Vaticano: «Mi posso far mandare in Eni, però meglio alla Rai, alle Poste»


ROMA - Nella ragnatela di rapporti che aveva tessuto negli ultimi anni, Francesco Belsito si muoveva con disinvoltura grazie alla gestione dei soldi. E nella sua lista di beneficiari il tesoriere della Lega aveva inserito anche Roberto Calderoli. Le telefonate intercettate e i riscontri effettuati dai carabinieri del Noe per conto dei pubblici ministeri di Napoli - Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - svelano quanto fitta fosse questa rete. E consentono di scoprire che Stefano Bonet, l'imprenditore in affari con Belsito e adesso finito sotto inchiesta con lui per riciclaggio, aveva ottenuto commesse anche dal Vaticano mentre il tesoriere trattava un affare con Selex, società controllata da Finmeccanica. Nella lista dei politici in contatto con i due ci sono il parlamentare del Pdl Aldo Brancher che avrebbe ricevuto un contributo di 150 mila euro «per la festa del Garda» e il suo collega di partito Filippo Ascierto, «referente per i problemi con le forze dell'ordine», il leghista Francesco Speroni «che ha fatto il fondo che hai fatto tu con la Tanzania» e Gianpiero Stiffoni, componente del comitato amministrativo del Carroccio indicato dagli investigatori come uno dei destinatari «di rilevanti somme di denaro». Sono le carte processuali a rivelare che cosa sia accaduto all'interno della Lega dopo la scoperta degli investimenti all'estero decisi da Belsito e agevolati da Bonet, la preoccupazione dello stesso Belsito che precisa di poter giustificare «soltanto il 70 per cento delle spese», il ruolo di Roberto Castelli che prima chiede di poter visionare l'intera documentazione contabile e poi avvia un'indagine privata per scoprire come sia stata gestita la cassa.

«Pronto a restituire 4,5 milioni» Annotano i carabinieri: «Dopo le polemiche sui media per l'investimento in Tanzania s'è creato fermento nel partito e tutti vogliono avere contezza dell'operazione e più in generale della gestione delle risorse del partito, tra questi proprio gli altri due componenti del comitato amministrativo, Castelli e Stiffoni. Proprio Castelli, di fatto, si è fatto portavoce di iniziative volte a "verificare" la regolarità degli investimenti e più in generale dei conti e del bilancio del partito. In questo senso ha avuto diversi contatti - anche riservati - e incontri proprio con Bonet per adottare strategie e acquisire informazioni sull'operazione. In questo Castelli, si è avvalso anche di Lubiana Restaini, già impiegata al ministero dello Sviluppo, e attualmente all'Ufficio legislativo della Pcm. È "vicina" al deputato Pdl Filippo Ascierto, ma soprattutto importanti sono i suoi rapporti con alcuni leghisti (Calderoli, Castelli, Galli, Rivolta) con cui ha un'assidua frequentazione. Ed è proprio la Lusiana che ha creato una serie di incontri, a Como, Milano, Roma, tra Bonet e Castelli per carpire informazioni sull'operato di Belsito e acquisire documentazione e dossier al riguardo dell'operato di Belsito».

È un'attività che il tesoriere del Carroccio cerca di fermare. Al telefono con la segretaria amministrativa Nadia Dagrada li definisce «i due scemi», ma poi è proprio la donna a esortarlo «a parlare con il "capo" Bossi per far allontanare Castelli dal comitato amministrativo ed evitare così controlli sui conti e sulle uscite fatte a favore della famiglia». Belsito non immagina che a tradirlo è stato proprio Bonet. Lo scopre l'8 febbraio scorso quando viene contattato da Dagrada.
Dagrada: Ti sto continuando a chiamare perché è arrivata una raccomandata di Bonet alla Lega Nord Consiglio federale, alla tua attenzione.
È stata inviata anche a Castelli e Stiffoni
Belsito: Aprila
Dagrada: iio sottoscritto Stefano Bonet, codice, riferimento all'operazione finanziaria che ha portato al trasferimento di fondi appartenenti al partito Lega Nord sul mio conto corrente personale per la somma di 4 milioni e mezzo, nonché sul conto della società di consulenza cipriota Kris Enterprise per la somma di 1.200.000, con la presente dichiaro, la piena volontà e disponibilità nel collaborare a far rientrare i soldi nei conti del partito e in tal senso mi faccio portavoce della medesima volontà dell'avvocato Scala, amministratore della Krispa. Dichiaro inoltre la sospensione del predetto importo pari a euro 4 milioni e mezzo, non accreditato sul mio conto, ma appunto in sospeso presso la banca di Nicosia».

«Come giustifico Calderoli?»
Belsito capisce che la situazione sta precipitando e cerca di correre ai ripari. Ma pianifica anche una serie di richieste e ricatti per assicurarsi il futuro: «Mi posso far mandare in Eni, però meglio alla Rai, alle Poste». In realtà è preoccupato di non riuscire a ricostruire ogni spesa e il 26 febbraio si sfoga con Dagrada.
Belsito: Quelli di Cald (Calderoli), come faccio? Come li giustifico quelli?
Dagrada: Ma quello è un... nella cosa che c'hai, quello non è un grosso problema! Nell'arco dell'anno non è un problema quello, è un problema quello di tutto il resto! Però t'ho detto, bisogna fare i conti precisi!
Già da settimane Bonet ha accettato di incontrare alcuni esponenti della Lega, in particolare Castelli. Il primo appuntamento risale al 3 febbraio scorso quando i carabinieri registrano una telefonata tra i due.
Castelli: Signor Bonet, buongiorno è Castelli.
Bonet: Onorevole buongiorno.
Castelli: Senta per l'appuntamento di oggi io le proponevo la sala vip della Sea, potrebbe andarle bene?
Bonet: La Sea, cioè aeroporti
Castelli: Lì a Linate?
Bonet: Linate va bene.

A Bonet viene proposto di incontrare anche Roberto Maroni, ma non se ne fa nulla e lui continua a dialogare con Castelli. E il 22 marzo scorso, parlando con Romolo Girardelli (il procacciatore d'affari indicato come referente della cosca De Stefano che era socio di Belsito), gli racconta l'esito dei colloqui. Annotano i carabinieri: «Bonet riferisce che il partito dopo aver ricevuto la restituzione dei residui dei fondi Tanzania e gli altri soldi da Bonet, vuole coprire Belsito. Bonet poi precisa che farà una denuncia contro Belsito per le tangenti prese da Fincantieri». Effettivamente per anni i tre hanno avuto contatti con numerose aziende per ottenere commesse. Nella lista degli intermediari era stato indicato anche il geometra Marcello Ferraina, candidato per la Lega all'europarlamento, che però precisa «di non aver mai incontrato, né conosciuto Belsito».

Affari in Vaticano e con Fincantieri

Tra i filoni che saranno approfonditi c'è quello che porta direttamente alla Santa Sede. Nell'informativa i carabinieri svelano che «Bonet e la Restaini collaborano con Andromeda, l'associazione per la sicurezza di Filippo Ascierto, sede anche dell'unità locale di "Polare" (una delle società di Bonet) a Roma. Insieme stanno costituendo a Roma un osservatorio per la pubblica amministrazione da affiancare a "Polare". Dopo vari incontri, insieme a don Pino Esposito, l'arcivescovo Zygmunt Zimoswki e altri soggetti, hanno in atto trattative per vari progetti con le strutture sanitarie del Vaticano e per alcuni investimenti in Paesi dell'Est Europa da realizzare con "Polare". In una telefonata intercettata Bonet dice: "Quello che stiamo facendo sul Vaticano, centoventitremila cliniche nel mondo sotto il controllo del Vaticano che oggi non controlla niente" e dice "facci l'Osservatorio sull'innovazione" e da domani parte"». Un altro affare trattato dal gruppo fa emergere «il ruolo strategico di Belsito in Fincantieri, il quale per agevolare la società "Santarossa Spa" che produce arredamenti per la casa ed anche per il settore navale veniva pagato regolarmente da questi con la copertura di un contratto di lavoro (ieri con una nota Fincantieri ha smentito di aver mai pagato commesse o tangenti, ndr ). Infatti qualche giorno prima Belsito aveva ricevuto altri 15.000 euro da questi. E Santarossa ha riferito di aver tirato fuori più di 1.500.000, di euro nell'ultimo anno per Belsito e per l'amministratore di Fincantieri Giuseppe Bono».

Fiorenza Sarzanini

6 aprile 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_06/sarzanini-ora-i-soldi-a-calderoli_ad49dee4-7fab-11e1-8090-7ef417050996.shtml
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« Risposta #140 inserito:: Aprile 07, 2012, 11:57:22 am »

I verbali

«Soldi in nero presi da Bossi»

«Sapeva delle irregolarità»

La contabile: lauree pagate in Svizzera a Rosy Mauro e all'amico Saldate le fatture degli avvocati di Riccardo, difeso per un assegno


ROMA - Venti milioni di lire «in nero» presi da Bossi e consegnati al partito. Una sospetta tangente che il Senatur avrebbe accettato oltre dieci anni fa emerge dai verbali dell'inchiesta sui falsi bilanci della Lega Nord. A rivelarlo è Nadia Dagrada, la segretaria amministrativa che con le sue telefonate notturne con il tesoriere Francesco Belsito ha svelato come veniva gestita la cassa del partito. E quattro giorni fa, davanti ai pubblici ministeri di Napoli e Milano, ha confermato come i rimborsi elettorali fossero diventati la cassa privata del leader e della sua famiglia allargata alla vicepresidente Rosy Mauro e al suo amante poliziotto. È stata lei ad elencare a quanto ammontano gli esborsi per le spese mediche e legali, le auto di piccola e grossa cilindrata, le vacanze, ma anche i diplomi e le lauree ottenuti sborsando centinaia di migliaia di euro. Una girandola di fatture false, bonifici e assegni che fa dire a Daniela Cantamessa, assistente particolare di Bossi, durante la verbalizzazione: «Lo avevo avvisato delle irregolarità di Belsito, o meglio della sua superficialità ed incompetenza e del fatto che Rosy Mauro era un pericolo sia politicamente e sia per i suoi rapporti con la famiglia Bossi. Non nominai a Bossi la moglie perché mi sembrava indelicato».

Contanti in «nero» e bilanci falsi
Sono le 10.30 di martedì scorso quando Dagrada comincia l'interrogatorio che andrà avanti per circa tredici ore. Le fanno ascoltare le conversazioni intercettate. Sollecitano chiarimenti. E lei non si sottrae. «Mi si chiede se siano entrati nelle casse della Lega Nord soldi in contante "in nero". Sì, mi ricordo che alcuni anni fa l'ex amministratore della Lega Balocchi, portò in cassa venti milioni di lire in contanti dopo essersi recato nell'ufficio di Bossi. Anni fa sapevo che c'era il "nero" che finanziava il partito, ma io ho assistito solo a questo episodio». Riguardo a una telefonata con Belsito spiega: «Castelli stava insistendo, anche con me, per vedere i conti del partito e quindi io consiglio a Belsito di riferire al "capo" Umberto Bossi, vista la consistenza delle spese sostenute per la famiglia Bossi, di non permettere a Castelli di fare questi controlli e che quindi per poter continuare a pagare le spese della famiglia. Bisognava fare ricorso al "nero", cioè a incassarli senza registrazione contabile alcuna, così come ha fatto in passato Balocchi quando è andato nell'ufficio di Bossi ed è uscito subito dopo con delle mazzette di soldi per 20 milioni di lire. Balocchi venne da me mi consegnò i 20 milioni di lire dicendomi di non registrarli e di metterli in cassaforte che poi ci avrebbe pensato lui».


«Quando c'era Balocchi io avevo accesso a tutti i dati. Per il bilancio del 2010 dissi al Belsito, poiché non avevo la disponibilità della documentazione che giustificava le spese caricate sui conti del Banco di Napoli e della Banca Aletti, che avevo difficoltà a redigere il bilancio poiché non avevo una visione chiara delle cose. Tuttavia, la mancata redazione dei bilanci nei termini di legge avrebbe impedito alla Lega Nord di incassare i contributi o i rimborsi elettorali erogati dalla Camera dei Deputati, anche se la documentazione non era completa e non avevo tutte le pezze giustificative, decisi comunque di procedere alla stesura del bilancio consapevole del fatto che responsabilità non era mia ma di Belsito che era ben consapevole di queste criticità e di cui si assumeva la piena responsabilità. A seguito della presentazione del bilancio 2010, la Lega incassò circa 18.000.000 di euro per il 2011... Belsito non aveva e non ha una gestione trasparente delle spese che vengono caricate sulla Lega, cioè lui ci diceva di effettuare pagamenti senza che io e le mie colleghe dell'amministrazione vedessimo le fatture o comunque i documenti giustificativi...».

Dottori, auto e diplomi
«Gli unici soldi della Lega Nord sono quelli del contributo pubblico che vengono destinati per le finalità istituzionali previste dalla legge. Effettivamente vi sono una serie di spese e somme di denaro provenienti dai finanziamenti pubblici erogati dallo Stato al partito che nulla hanno a che vedere con le finalità e l'attività del partito politico. Mi risulta, ad esempio, che con i soldi pubblici sia stata comprata l'auto Audi A6 acquistata a Renzo Bossi e poi passata a Belsito, ancora sono stati usati soldi pubblici per pagare i conti dei medici, anche per cure ricevute dalla famiglia Bossi. Belsito mi ha riferito di aver pagato con i soldi della Lega provenienti dal finanziamento pubblico cartelle esattoriali e conti vari di Riccardo Bossi... mi spiegò Belsito che ha fatto comprare una Smart per Renzo Bossi che è intestata alla Lega e che ad oggi, dopo essere stata usata da Renzo per qualche mese è rientrata nella nostra disponibilità; analoga cosa è successa per il Bmw X5 in uso a Riccardo Bossi a cui abbiamo pagato il riscatto del leasing perché non era in grado di affrontarne gli oneri, pari a euro 12 o 21.000 euro. Svolgo attività di contabile dal 1998, ho immediatamente notato che con la gestione Belsito c'è stato un incremento sostanziale delle spese che gravano sulle casse del partito».

«Effettivamente e con dolore dico che sono stati utilizzati soldi del finanziamento pubblico destinati al partito della Lega per pagare conti e per effettuare pagamenti personali in particolare della famiglia Bossi. Posso dire che la situazione è precipitata dopo la malattia del segretario federale Umberto Bossi, nell'anno 2004. Dopo il 2004 c'è stato «l'inizio della fine»: si è cominciato con il primo errore consistito nel fare un contratto di consulenza a Bruxelles a Riccardo Bossi, se non ricordo male da parte dell'onorevole Speroni; dopo di che si sono cominciate a pagare, sempre con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico, una serie di spese personali a vantaggio di Riccardo Bossi e degli altri familiari dell'onorevole Bossi; in particolare con i soldi della Lega venivano pagati i conti personali di Riccardo Bossi per migliaia di euro e degli altri familiari, come per esempio i conti dei medici sia per le cure dell'onorevole Bossi sia dei suoi figli. Tornando su Bossi Riccardo, so che Belsito ha pagato alcune fatture per gli avvocati difensori di Riccardo, perché aveva un assegno protestato di circa 12.000 euro. Renzo Bossi dal 2010 sta "prendendo" una laurea ad un'università privata di Londra e so che ogni tanto ci va a frequentare e chiaramente le spese sono tutte a carico della Lega, ed anche qui credo che il costo sia sui 130.000 euro».

Manuela, le vacanze e la terrazza
Si arriva così alla casa di Gemonio. Dichiara Dagrada: «Per quanto riguardo la ristrutturazione del terrazzo so che nel 2010 sono stati pagati 25.000 euro con bonifico bancario della Lega. Ci sono da pagare ancora 60.000 euro e so che la ditta voleva fare causa per il mancato pagamento. Belsito ha pagato al segretario Bossi ed alla sua famiglia, con i soldi della Lega provenienti dai contributi pubblici, un soggiorno estivo nel 2011 ad Alassio, ma non è stato fatto dai Bossi perché il segretario ebbe un infortunio al braccio qualche giorno prima».

Poi passa alla moglie del leader Manuela Marrone: «Sono stati versati dal conto corrente della Lega del Banco di Napoli di Roma, "contributi diversi" almeno 80-100.000 euro per sostenere la "scuola Bosina" di Varese, dove penso che la signora Marrone riveste il ruolo di preside. Mi risulta che ulteriori versamenti per un ammontare di 800.000 euro sono stati erogati a favore della stesso istituto scolastico dal conto dei fondi della cosiddetta legge Mancia. Ho appreso circa un mese fa da Belsito, che nel 2010-2011 gli era stato chiesto da Marrone Manuela di accantonare, per cassa, una cifra per il sostegno della scuola Bosina, pari a circa 900.000 o l milione di euro per esigenze della scuola bosina. Lui si mostrava disponibile ad accettare questa richiesta, io gli manifestai il mio disappunto e la mia netta contrarietà perché ritenevo e ritengo che l'accantonamento deve essere trasparente e dette operazioni devono essere regolarmente iscritto nel bilancio e che non c'era motivo di farlo in maniera nascosta come chiedeva la Marrone al Belsito. Chiarendo nel merito con Belsito che questa richiesta aveva una doppia valenza, una per Belsito di avere sempre più una forte ascesa nei confronti dei Bossi e l'altra la spregiudicatezza della Marrone nel richiedere la complicità del Belsito per attingere ai fondi del partito. Non volevo che i fondi pubblici del partito venissero utilizzate per le esigenze personali, pertanto lo consigliavo di fare dei bonifici tracciabili sui versamenti a favore della "scuola Bosina"».

Rosy e l'«amante» poliziotto
«A proposito di Rosy Mauro, mi risulta per avermelo detto sempre il Belsito che anche a suo favore siano state erogate somme e la fatture relativa ad una visita cardiologica effettuata dalla Rosy Mauro, per un ammontare di alcune centinaia di euro, pagata con i soldi della Lega; Belsito mi ha raccontato e rappresentato di altre somme della Lega di cui la Rosy Mauro si sarebbe appropriata, di cui, tuttavia, io non ho visto le carte». Poco dopo parla però di «un prelievo bancario 29,150 franchi svizzeri». Nella lista dei "beneficiati" c'è anche «l'amante di Rosy Mauro, Belsito mi ha riferito che Pier Giuramosca, poliziotto, attualmente suo segretario particolare, è stato da lei aiutato ad ottenere un mutuo agevolato e gli sono stati pagati soldi per conseguire un titolo di studio. Il poliziotto è attualmente in aspettativa ed ha un contratto con la Vicepresidenza del Senato, dove la Rosy è Vicepresidente dello stesso organo. Nel 2011 sono stati versati circa 60.000 al Sinpa. Belsito mi ha poi riferito che sono stati dati altri soldi in contanti al Pier Giuramosca, compagno della Rosy Mauro, affinché pagasse le rate per le spese della scuola privata e conseguire il diploma e poi la laurea, credo "ottenuti" entrambi in Svizzera. Inoltre Belsito mi ha detto anche di aver pagato le rate per il diploma e poi la laurea della stessa Rosy Mauro, pagando con i soldi della Lega. Per quanto riferitomi da Belsito i titoli di studio menzionati sono costati circa 120.000 euro prelevati dalla cassa della Lega. Credo che i titoli sono stati conseguiti in Svizzera».

«Belsito mi ha sicuramente detto di aver registrato un suo colloquio con l'onorevole Bossi - colloquio nel quale aveva "ricordato" al segretario tutte le spese sostenute nell'interesse personale della famiglia Bossi. Non so se Belsito abbia effettuato tale registrazione. Belsito mi disse di volerla utilizzare come strumento di pressione dal momento che volevano farlo fuori». Poi spiega perché voleva evitare i controlli chiesti da Roberto Castelli: «Ritenevo che attraverso lui Rosy Mauro avrebbe potuto utilizzare la conoscenza dei fatti contro gli interessi del mio segretario e del mio "movimento"».

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it7 aprile 2012 | 8:00© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_07/sarzanini-soldi-nero-bossi-sapeva-irregolarita_ea2bba90-8072-11e1-97af-a2f25e79a811.shtml
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« Risposta #141 inserito:: Aprile 08, 2012, 05:18:13 pm »

I verbali

Ristoranti, hotel, camioncini: il bilancio parallelo a casa della contabile cacciata

Varie spese alberghiere venivano sopportate dal partito.

Nella fattura CC Hotels di Vicenza vi sono nomi sconosciuti


ROMA - Esiste una documentazione finanziaria della Lega che i responsabili amministrativi avevano chiesto agli impiegati di non inserire nei bilanci. Una contabilità «occulta» che dovrà essere adesso analizzata e quantificata. Una parte di queste carte segrete sono state sequestrate a casa di Helga Giordano, contabile di via Bellerio per circa sette anni. Nel febbraio scorso la donna - che fino a qualche mese fa era assessore al Bilancio del Comune di Sedriano (Milano) - è stata licenziata perché accusata di aver truffato un'imprenditrice spacciandosi come la segretaria particolare di Bossi. Lei sostiene di essere stata in realtà «mobbizzata dal tesoriere Francesco Belsito, che mi costrinse anche a lasciare l'incarico politico». Il 3 aprile, dopo le perquisizioni scattate in tutta Italia nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rimborsi elettorali, è stata interrogata dai pubblici ministeri. E si è trasformata in una testimone chiave per ricostruire l'origine di fatture e pagamenti «anomali».

Non solo. L'ex dipendente ha rivelato come i rapporti tra la Lega e il procacciatore d'affari della 'ndrangheta Romolo Girardelli siano iniziati ben prima dell'arrivo di Belsito. «Ho conosciuto Girardelli - ha verbalizzato la donna - perché accompagnava talora in ufficio Maurizio Balocchi» il tesoriere morto nel 2010. «I due sembravano legati da forte amicizia, pur essendo Girardelli del tutto estraneo al partito».
In realtà i magistrati sono convinti che proprio Girardelli, attraverso le casse della Lega, riciclasse i soldi della criminalità organizzata. In questo quadro inseriscono il trasferimento dei cinque milioni e 700 mila euro a Cipro e in Tanzania. E infatti nel decreto di perquisizione firmato dal giudice di Reggio Calabria è scritto: «Si tratta di complesse operazioni bancarie di "esterovestizione" e "filtrazione" in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Condotta posta in essere da Girardelli per agevolare l'attività dell'associazione mafiosa e in particolare della "cosca De Stefano"».

I CONTI DI RISTORANTI E ALBERGHI - Sono decine i documenti che Helga Giordano nascondeva nel suo appartamento. E lei così ha spiegato il proprio comportamento: «Nadia Dagrada selezionava specie negli ultimi tempi una serie di fatture che, anziché passarmi affinché le contabilizzassi, se le tratteneva lei. Proprio perché mi ero accorta che vi erano delle anomalie in questa attività di contabilizzazione decisi di portarmi a casa copia dei prospetti dei bonifici da me compilati. Si tratta della documentazione che è stata sequestrata in data odierna nel corso della perquisizione. Per ciò che riguarda la cartellina che mi è stata sequestrata, contenente documentazione varia, in particolare fatture e rendiconto di carte di credito, si tratta per quel poco che sono riuscita a fotocopiarmi, di alcune spese che la Dagrada non voleva che annotassi o di spese che mi sembravano anomale».
I sospetti della donna si concentrano fra l'altro su «varie spese alberghiere che venivano sopportate dal partito in base alla scelta discrezionale di Nadia Dagrada. Nella fattura CC Hotels di Vicenza, oltre a Bossi e ad altri militanti a me noti, vi sono nomi totalmente sconosciuti».
E ancora: «Le fatture emesse da Paola Prada, Andrea Calvi e Luigi Pisoni, ad esempio, le avevo sulla scrivania perché recapitatemi direttamente dal postino e mi furono tolte dalla Dagrada dicendomi che non andavano inserite nel prospetto ufficiale delle spese/bonifici. Tra tutte le spese indicate nei prospetti di bonifico non vi sono voci "sospette" nel senso che almeno da una prima visione mi sembrano spese inerenti l'attività di partito. Vi sono significative spese di rappresentanza in ristoranti, che potranno essere discutibili dal punto di vista del contribuente con i cui soldi vengono finanziati i partiti, ma si tratta di prassi consolidata e normale in tutte le formazioni politiche. Dove si vede la voce "asilo" nella colonna "Manifestazioni/Riferimento", si tratta dell'asilo che si trova all'interno della sede della Lega Nord che svolge appunto un'attività di asilo per bambini a pagamento, anche per persone che non appartengono al partito».

RISTRUTTURAZIONI E CAMIONCINI - Le dichiarazioni della Giordano confermano l'accusa che numerose spese accreditate alla Lega fossero in realtà spese personali della famiglia di Umberto Bossi o comunque di persone inserite nel «cerchio magico» del leader. Ma anche affari gestiti per proprio interesse da Belsito. Afferma la testimone: «Tra le spese anomale inserisco le fatture della "Cori.cal service" che erano singolari perché, tenuto conto che si tratta di una ditta di pulizie, avevano oggetti anche diversi dalla semplice pulizia e lo stesso importo delle fatture mensili era oscillante mentre invece ragionevolmente poteva ritenersi che dovesse essere più o meno fisso, o comunque non discostarsi troppo da un importo stabile. Indubbiamente sono molte le fatture della "Cori.cal service" con importo variabile e spesso con reiterazione di lavori tinteggiatura. Sembra che sia una ditta che lavori spesso in tandem con la "G&A soluzioni edili". Mi si chiede se questi lavori di rifacimento facciate, pulizia straordinaria, manovalanza, siano stati effettivamente svolti e io rispondo che non sono in grado di stabilirlo. Tutta la questione della manutenzione della sede di via Bellerio veniva seguita da un nostro dipendente, il signor Luca Canavesi».
Ci sono poi altri pagamenti «anomali». Afferma la Giordano: «La fattura della "Italtrade", oltre ad essere indubbiamente assai elevata per la prestazione fornita, richiamò la mia attenzione perché il fornitore mi chiamò per essere rassicurato sul pagamento. Si tratta di 1.000 euro al mese per il parcheggio di un camioncino con la vela pubblicitaria sopra, per complessivi 43.000 euro ed oltre, per sei camion in un semestre. E la fattura della "Boniardi Grafiche" perché non è emessa alla Lega, bensì a Massimiliano Orsatti».

LA LISTA DELLE MACCHINE - Tra i fogli inseriti nella cartellina di Helga Giordano ci sono quelli relativi alla macchina di Daniela Cantamessa, la segretaria di Umberto Bossi. Lei spiega di averli presi perché l'auto era nella lista della Dagrada «sulle spese da non annotare». Su questo viene interrogata il giorno dopo la stessa Cantamessa che così spiega il possesso dell'auto: «Circa l'autovettura Focus che uso in via esclusiva, si tratta di vettura presa in leasing o comunque con un finanziamento con riscatto finale da parte della Lega. Le spese di riparazione dell'autovettura sono a carico del partito».
Anche nella sua abitazione sono stati sequestrati documenti contabili, in particolare «una copia del bilancio 2010 e i tabulati relativi alle autovetture del partito». E lei, per giustificare la scelta di portare via le carte dalla sede di via Bellerio, ha dichiarato: «Avevo redatto delle note critiche sulle spese e volevo darle a Roberto Castelli affinché svolgesse un accurato controllo».

Fiorenza Sarzanini

8 aprile 2012 | 8:49© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_08/i-verbali-inchiesta-lega-conti-ristoranti-aleberghi-sarzanini_36_dfc8e5d6-8145-11e1-9393-421c9ec39659.shtml
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« Risposta #142 inserito:: Aprile 14, 2012, 11:43:09 pm »

Le intercettazioni

Calderoli e la versione concordata per difendere l'ex tesoriere leghista

Dopo i malumori e i contrasti, l'ex tesoriere commentava: «Il capo si vuole dimettere, vuole fare un altro partito»


ROMA - Firme false e versioni concordate per cercare di «coprire» Francesco Belsito e le sue operazioni finanziarie illecite. Sono le intercettazioni telefoniche a svelare come lo «stato maggiore» della Lega fosse mobilitato per evitare che la magistratura avviasse indagini sull'attività del tesoriere e scoprire l'uso privato dei fondi provenienti dai rimborsi elettorali. In prima linea, in quelli che a volte appaiono veri e propri «depistaggi», ci sono l'onorevole Roberto Calderoli - appena nominato «reggente» del partito insieme a Roberto Maroni e Manuela Dal Lago - e Piergiorgio Stiffoni membro del comitato amministrativo insieme a Roberto Castelli. Ma anche Giancarlo Giorgetti. Uno si fa dettare dall'avvocato di Belsito la linea pubblica da tenere, l'altro accetta di siglare un documento retrodatato per dimostrare la regolarità degli investimenti. Il terzo è indicato tra i partecipanti agli incontri con l'imprenditore Stefano Bonet, ora indagato per riciclaggio, che ha messo a disposizione i propri conti esteri. Quello delle «coperture» è un capitolo che i magistrati di Milano, Napoli e Reggio Calabria stanno adesso esplorando per valutare le ulteriori responsabilità penali. Anche perché era stato proprio Belsito, parlando di soldi con Rosi Mauro, a chiedere: «Come li giustifico quelli di Calderoli?».

Calderoli e l'intervista
È il 24 febbraio, lo scandalo dei soldi investiti in Tanzania, a Cipro e in Norvegia è ormai esploso. All'interno del Carroccio si cerca una soluzione. Annotano gli investigatori della Dia nella loro informativa: «Si registra una conversazione tra l'avvocato Scovazzi e l'onorevole Calderoli, il quale dovendo rilasciare una intervista al Secolo XIX concorda con il legale di Belsito gli argomenti da utilizzare per difendere lo stesso Belsito dagli articoli di stampa che lo attaccano». Il brogliaccio dà conto del colloquio: «Calderoli dice che questa mattina il giornalista ha preteso un'intervista sulla questione, in un primo momento il suo addetto stampa aveva cercato di mediare, dicendo che sono due mesi che non rilascia dichiarazioni a nessun quotidiano nazionale, ma poi sempre Calderoli dice di aver riflettuto perché non usare l'intervista cercando di vendere le nostre buone ragioni. Scovazzi dice che secondo lui questa intervista che gli vogliono fare non la vogliono realizzare per sentire le loro buone ragioni, ma lo fanno solo per attaccarli, anzi gli chiederanno come mai la Lega non prende delle posizioni forti contro questo tale (Belsito). L'avvocato aggiunge che l'unica cosa che lui gli può dire e che in buona sostanza su tutte le vicende che riguardano Francesco (Belsito) hanno fatto dei processi dopo che i processi erano già stati fatti, perché relativamente ai fatti dei giorni scorsi, si tratta di due indagini archiviate». Calderoli propone possibili titoli da sottoporre al giornalista: «Fallimento, e non c'è mai stato un fallimento; per il titolo di studio è stato assolto in primo grado e successivamente è intervenuta comunque una prescrizione su una assoluzione; sul discorso della Tanzania l'operazione è già rientrata, i consulenti erano persone completamente a titolo gratuito». In realtà Calderoli sa perfettamente che Stefano Bonet, l'imprenditore che ha gestito il trasferimento dei fondi, sta chiedendo una percentuale proprio alla Lega.

Quali potessero essere i suoi timori, li aveva spiegati poco prima Belsito parlando con un'amica, come si legge nella trascrizione della conversazione: «Belsito dice che prima lo ha chiamato il segretario di Calderoli dicendogli che hanno appena mandato a fare in culo Mari (giornalista del Secolo XIX ), in quanto lo stesso Mari aveva detto che voleva parlare urgentemente con Calderoli e che se non fosse riuscito a parlargli, lo avrebbe sputtanato». In quei giorni i contatti tra l'onorevole e il tesoriere sono frequenti. È proprio Calderoli a cercarlo quando Umberto Bossi vuole vederlo. Il 6 febbraio viene intercettata una telefonata tra Belsito e Romolo Girardelli, il procacciatore d'affari legato alla «cosca De Stefano» della 'ndrangheta. «Belsito dice che sono 9 giorni, anche il capo voleva incontrarlo oggi e lo ha cercato anche Calderoli per dirglielo ma che lui non ci è andato perché non sa cosa deve dire. Calderoli gli ha detto che il capo vuol sapere quando è tutto a posto. Castelli gli ha scritto una raccomandata nella quale ha scritto che di tutto quello che gli chiede ogni volta non gli dà mai niente, Belsito dice che Castelli vuol fare il Giustiziere. Belsito dice che domani dovrà andare a Roma a parlare col Capo e che gli dirà che è ancora tutto fermo».

Rosi e l'atto falsificato
Tra gennaio e febbraio gli uomini di vertice della Lega si attivano per cercare una soluzione che salvi Belsito e dunque l'intero partito. Il 7 febbraio il tesoriere chiama Rosi Mauro. È scritto nell'informativa: «Belsito le riferiva che la sera precedente si era visto a cena con l'onorevole Piergiorgio Stiffoni, con il quale commentava la vicenda relativa al trasferimento dei soldi della Lega all'estero. In particolare Stiffoni esternava il timore che la vicenda in questione, qualora non gestita con le dovute cautele, avrebbe potuto scatenare un terremoto all'interno del Movimento pregiudizievole alla leadership di Bossi. Il timore appalesato dallo Stiffoni, a dire di Belsito, poteva essere evitato qualora i membri del comitato amministrativo (Stiffoni e Castelli) avessero firmato il documento mandatogli da Belsito inerente l'istituzione dei fondi. È evidente che il documento a cui faceva riferimento Belsito era l'autorizzazione affinché Belsito avesse potuto disporre l'operazione in essere. Rosi Mauro, riscontrando le difficoltà appalesate da Belsito lo consigliava di parlare del comportamento tenuto dai suddetti parlamentari, direttamente con Bossi».

L'8 febbraio i due affrontano nuovamente la questione e «Belsito comunicava che era sua intenzione scrivere una lettera ai due parlamentari invitandoli a sottoscrivere "l'autentica delle firme"». E poi, riferendosi a un'altra vicenda, evidentemente sempre economica aggiungeva che «"la tua operazione" riferita alla Mauro, l'avrebbe fatta dal Banco di Napoli poiché in tale istituto non si correva alcun rischio di controllo essendo di fatto sotto i riflettori la Banca Aletti ove, peraltro, a dire del Belsito non avrebbero trovato nulla». Due giorni Rosi Mauro «contattava nuovamente Belsito per avere informazioni circa l'avvenuta firma di Stiffoni e Castelli di un atto verosimilmente da identificare nell'autentica delle firme. Belsito affermava che ciò era stato fatto da Stiffoni mentre non aveva riscontro dell'operato di Castelli».

Il Vaticano, i dossier e le banche
La vicenda sembra aver creato numerosi problemi e contrasti all'interno del Carroccio tanto che, secondo Belsito, «il "capo" si vuole dimettere, vuole fare un altro partito». Ma anche gli altri personaggi coinvolti nella vicenda raccontano di avere problemi. Il 25 gennaio l'imprenditore Bonet si lamenta con un amico per le conseguenze che può avere sui propri affari. E cita in particolare la Santa Sede spiegando che «gli sta facendo recapitare il dossier che stanno preparando per il Vaticano, nel quale, tra l'altro, inseriranno delle controdeduzioni alle accuse "infamanti" di questi ultimi giorni, in modo che gli dia uno sguardo ed esprima un suo parere, soprattutto su "una posizione politica" che deve decidere come metterla. Bonet spiega il motivo di tale memoriale dicendo che lo sta preparando per evitare problemi in futuro (con il Vaticano) considerato l'incarico che gli stanno per dare e per il quale è possibile che gli venga richiesta qualche spiegazione circa il coinvolgimento di Bonet nella vicenda con Belsito e i fondi della Lega».

Un ruolo chiave in questa partita lo riveste, secondo gli inquirenti, l'avvocato calabrese con studio a Milano Bruno Mafrici. Secondo alcuni atti pubblicati dal Corriere della Calabria il professionista - indagato per riciclaggio in questa inchiesta - «ha rapporti con i big della politica calabrese come il governatore Giuseppe Scopelliti e l'assessore regionale Mario Caligiuri. Nel suo studio nel capoluogo lombardo, nella centralissima via Durini a pochi passi dal Duomo, gli inquirenti identificano la base operativa dove la politica incontrava gli ambasciatori finanziari della 'ndrangheta e con loro stendeva accordi e faceva affari». Sarebbe stato proprio Mafrici, in un'intercettazione con Belsito e Bonet, a valutare la possibilità di spostare i soldi già trasferiti a Cipro e in Tanzania, su un conto della banca Arner, l'istituto di credito diventato famoso perché il conto numero 1 è intestato a Silvio Berlusconi.

Fiorenza Sarzanini

13 aprile 2012 | 8:51© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_13/calderoli-versione-concordata-sarzanini_811ab7b2-8528-11e1-8bd9-25a08dbe0046.shtml
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« Risposta #143 inserito:: Aprile 19, 2012, 04:50:01 pm »

POLITICA E GIUSTIZIA - Lavitola parla con i pm

Caso Tarantini, Berlusconi indagato a Bari «Lo indusse a mentire».

La difesa: atto dovuto


NAPOLI - Nell'inchiesta sugli affari illeciti di Valter Lavitola entra ufficialmente Silvio Berlusconi. L'ex capo del governo è indagato dai magistrati di Bari insieme al faccendiere, entrambi sono accusati di aver indotto Gianpaolo Tarantini a mentire sulle feste che si svolgevano nelle residenze presidenziali. La svolta arriva nel giorno del primo interrogatorio da detenuto dello stesso Lavitola, quando gli viene notificato in carcere un provvedimento di proroga delle indagini pugliesi, identico a quello già consegnato all'ex premier. E adesso l'intera vicenda potrebbe avere esiti inattesi. Perché ieri, di fronte al giudice, Lavitola ha affermato di voler rispondere alle domande degli inquirenti, ha tenuto un atteggiamento che potrebbe addirittura preludere a una futura collaborazione.
Il suo comportamento finora non è mai stato limpido, dunque c'è bisogno di riscontri e verifiche alle sue parole e di un esame attento dei documenti che ha già consegnato. Ma la scelta di rientrare in Italia e costituirsi fa ipotizzare che su alcune questioni sia disposto a raccontare la verità, dunque i suoi rapporti con Tarantini potrebbero essere proprio uno dei capitoli da esplorare. E forse non è un caso che questo avvenga subito dopo il suo trasferimento a Napoli. Perché proprio qui, la scorsa estate, tutto era cominciato.

L'arresto di Tarantini
Era il 30 agosto quando l'imprenditore pugliese e sua moglie Nicla furono arrestati dai giudici di Napoli con l'accusa di aver ricattato Berlusconi. Lavitola - che al telefono con un'amica ammise di essere stato avvisato - era all'estero e sfuggì alla cattura. Secondo i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - confortati dal giudice che aveva accolto la richiesta di cattura - i tre avrebbero estorto 500 mila euro al Cavaliere: in cambio del denaro, Tarantini doveva dichiarare che Berlusconi era all'oscuro che le ragazze portate alle sue feste erano escort, così confermando la tesi sempre sostenuta dallo stesso Cavaliere. Le indagini successive dimostrarono che in realtà l'imprenditore veniva stipendiato con 20 mila euro al mese, che gli venivano pagate le vacanze e le scuole dei figli.
«Ho aiutato una famiglia in difficoltà», affermò Berlusconi. Ma nulla disse quando si scoprì che i 500 mila euro promessi a Tarantini per consentirgli di avviare una nuova attività imprenditoriale li aveva intascati Lavitola. In realtà fu proprio questa circostanza, insieme all'ascolto delle telefonate intercettate tra il presidente e il faccendiere, a convincere i giudici del tribunale del Riesame di Napoli - ai quali si erano rivolti Tarantini e la moglie sollecitando la scarcerazione - che lo scenario fosse diverso. E nel provvedimento che concedeva la libertà ai coniugi scrissero: «Silvio Berlusconi aveva piena e indiscutibile consapevolezza della qualità di "escort" delle ragazze che gli erano state presentate da Gianpaolo Tarantini. E dunque non c'è dubbio che le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Tarantini davanti ai magistrati di Bari nel luglio 2009», quando ha negato che il Presidente sapesse che le donne venivano pagate, «risultano reticenti relativamente al coinvolgimento del premier e a tratti addirittura mendaci, determinando la consumazione del reato 377 bis posto in essere da Silvio Berlusconi».

Le tre procure
Il collegio decise poi di inviare il fascicolo nel capoluogo pugliese per competenza, ritenendo sbagliata la decisione del giudice per le indagini preliminari che qualche settimana prima aveva invece individuato come titolari dell'indagine i magistrati della Capitale. Un pasticcio giuridico che ha portato a un risultato paradossale: a Bari Berlusconi e Lavitola sono indagati e Tarantini è parte lesa; a Roma Berlusconi è parte lesa, mentre Lavitola e Tarantini sono indagati. «Non abbiamo ricevuto alcun provvedimento - commenta Niccolò Ghedini, difensore dell'ex premier - ma secondo il pronunciamento del tribunale del Riesame e gli atti di indagine conosciuti, l'iscrizione è un atto dovuto. A questo punto possiamo soltanto auspicare che si arrivi al più presto all'archiviazione».

L'interrogatorio di Lavitola
Nei prossimi giorni i capi delle procure Antonio Laudati e Giuseppe Pignatone decideranno insieme come procedere, ma è probabile che lo facciano dopo aver interrogato Lavitola per sapere che cosa ha da dire sulla vicenda. Ieri, durante le cinque ore trascorse davanti al giudice di Napoli che ne ha ordinato l'arresto per corruzione internazionale e bancarotta, il faccendiere ha parlato di tutte le circostanze che gli vengono contestate. E ha consegnato una serie di documenti sugli affari chiusi a Panama e in Brasile, ma anche sui finanziamenti ottenuti in Italia. Carte che dovranno essere esaminate anche per «testare» la sua volontà di collaborare o quantomeno di non cercare di depistare le indagini in corso.

Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

19 aprile 2012 | 8:58© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_19/caso-tarantini-berlusconi-indagato-bari-tarantini-fiorenza-sarzanini_67bad344-89e0-11e1-a379-94571f4a698e.shtml
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« Risposta #144 inserito:: Aprile 26, 2012, 03:44:10 pm »

INCHIESTA FINMECCANICA

Le accuse dell'ex dirigente a Orsi

«Sei Maserati in cambio di appalti»

«Oltre alla Lega pagata anche Cl». I pm verificano le dichiarazioni


NAPOLI - Auto di lusso, lavori di ristrutturazione di una villa in Liguria e soldi che sarebbero stati incassati gonfiando il valore degli appalti. Nell'inchiesta sulle commesse ottenute all'estero da Finmeccanica ci sono nuove accuse che i magistrati devono verificare. Sospetti sull'amministratore delegato Giuseppe Orsi - indagato per corruzione internazionale e riciclaggio - e sulla sua gestione di AgustaWestland, alimentati dalle dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, l'ex responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo che da mesi collabora con i pubblici ministeri di Napoli. E nuovi possibili beneficiari dei suoi finanziamenti: oltre alla Lega Nord Borgogni ha indicato Comunione e Liberazione. Più volte si è parlato del rapporto stretto tra lo stesso Orsi e il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, indicato come uno dei suoi sponsor. E adesso si scopre che nel verbale del manager si parla proprio di questi contatti e di possibili passaggi di denaro. Ulteriori accertamenti sono stati disposti dai sostituti partenopei - Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - che hanno delegato indagini ai carabinieri del Noe, ma hanno anche deciso di affidare una consulenza su tutti i contratti stipulati dall'azienda specializzata nella costruzione di elicotteri fino al maggio scorso, quando Orsi fu chiamato alla guida della holding al posto di Pier Francesco Guarguaglini. E quando Borgogni, travolto dalle accuse di false fatturazioni e finanziamento illecito ai partiti, fu costretto a farsi da parte. Qualche settimana dopo ha fatto sapere ai magistrati di essere disposto a parlare.

Il «sistema»dei fondi
Quello dell'accantonamento di «provviste» di denaro da utilizzare per pagare manager e politici è un sistema che Borgogni conosce bene, visto che anche lui è accusato di averlo applicato. Nel caso dei 12 elicotteri venduti al governo indiano nel 2010 si sta cercando di stabilire quante persone abbiano beneficiato dei «fondi neri» che sarebbero stati creati grazie al sistema delle sovraffatturazioni. Si tratta di un meccanismo neanche troppo sofisticato, già emerso in tutte le altre indagini che riguardano le aziende controllate da Finmeccanica. Il trucco è nella scelta di un mediatore di affari che deve essere disponibile a far figurare compensi molto più alti di quelli che effettivamente percepirà al momento della sigla del contratto. Ed è proprio una parte di questa somma aggiuntiva che, dice Borgogni, sarebbe stata versata in parte alla Lega e in parte a Comunione e Liberazione.
Per gestire la commessa indiana il negoziatore con le autorità di New Dehli è stato Guido Ralph Haschke, ingegnere di Lugano ora indagato per corruzione internazionale e riciclaggio perché sospettato di aver distribuito «mazzette» all'estero per conto di Orsi. Dei partiti italiani si sarebbe occupato invece un intermediario britannico conosciuto con un'identità probabilmente falsa: Christian Mitchell. Si tratta di un uomo che i testimoni d'accusa descrivono come legatissimo ad Orsi. E il sospetto è che Mitchell abbia gestito, oltre ai soldi che sarebbero finiti ai politici, anche una «cresta» da destinare ai manager. Soldi che un investigatore non esita a definire come una sorta di «pensione integrativa» messa da parte e poi intascata da chi ha gestito l'appalto.

Le Maserati e la villa
Sono sei le Maserati che sarebbero entrate nella disponibilità di Giuseppe Orsi, ma intestate al suo autista. Vetture di grande valore che il manager avrebbe ottenuto dai proprietari di alcune società che lavoravano con AgustaWestland quando lui ne era amministratore. Tre auto sarebbero rimaste in Italia, una risulta spedita a Londra e altre due negli Stati Uniti. La circostanza, emersa qualche anno fa in un'indagine milanese, è stata avvalorata ultimamente con nuovi dettagli proprio da Borgogni e per questo si è deciso di verificare sia l'effettiva proprietà delle macchine, sia la loro provenienza. Ma pure di scoprire se davvero rappresentino la contropartita di un affare da milioni di euro che Orsi avrebbe concluso con un'altra azienda italiana.
Nuovi accertamenti saranno effettuati anche sui lavori di ristrutturazione di una villa che si trova a Moneglia, in Liguria, ed è intestata alla moglie di Orsi. I controlli dovranno stabilire se davvero - come risulta dai verbali in mano all'accusa - siano stati effettuati da società assegnatarie di appalti gestiti da Agusta nel settore delle opere civili. Aziende che in questo modo avrebbero restituito al manager i favori ottenuti al momento della scelta delle ditte da impiegare.

Fiorenza Sarzanini

26 aprile 2012 | 7:25© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_26/accuse-orsi-maserati-appalti-finmeccanica-lega_33d31a72-8f5e-11e1-b563-5183986f349a.shtml
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« Risposta #145 inserito:: Maggio 09, 2012, 03:03:02 pm »

LAVITOLA - IL VERBALE

Lavitola: «Da Berlusconi un milione per comprare il senatore De Gregorio»

Il faccendiere: «Per Finmeccanica ho stipulato i contratti su elicotteri e radar. Sponsorizzai il generale Spaziante»


NAPOLI - Per «controllare» la commissione Difesa sottraendola al centrosinistra Silvio Berlusconi nel 2006 «versò un milione di euro al senatore Sergio De Gregorio» e questi passò dall'Idv a Forza Italia. È il 25 aprile scorso, nel carcere di Poggioreale a Napoli parla Valter Lavitola, assistito dall'avvocato Gaetano Balice. Il faccendiere svela i retroscena della «compravendita» dei parlamentari, coinvolge Clemente Mastella e Lamberto Dini nelle trattative con il centrodestra per la caduta del governo Prodi in quella che definisce «Operazione Libertà». Poi si sofferma sui suoi rapporti con uomini della dirigenza di Finmeccanica rivendicando il ruolo di mediatore per i contratti in Centroamerica. E racconta di aver fatto incontrare «il presidente Berlusconi al generale Spaziante», per farlo diventare «numero due della Guardia di Finanza». È l'inizio di quella che lui stesso definisce una «collaborazione» con i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio che ne hanno chiesto e ottenuto la cattura per le false fatture emesse dal suo quotidiano l' Avanti! e per corruzione internazionale. Un atteggiamento che i magistrati stanno valutando, non escludendo che in realtà le dichiarazioni verbalizzate servano a Lavitola anche a saldare alcuni conti rimasti aperti durante la sua lunga latitanza.

L'acquisto del senatore
La prima parte del verbale riguarda proprio la «migrazione» dei parlamentari.

Lavitola: «Era stata candidata dalla sinistra una senatrice, notoriamente pacifista (Lidia Menapace ndr ), ed era uscito anche sui giornali che gran parte, diciamo così, delle forze armate erano contrarie a questa cosa. Non ricordo se io chiamai De Gregorio o De Gregorio chiamò me, e De Gregorio nel frattempo che, però, è uno intraprendente che mica aspettava me per fare le cose, si era già messo in contatto con alcuni del gruppo di Forza Italia dell'epoca, e precisamente, non perché ora è morto, pace all'anima sua, e quindi non può dirlo, con il senatore Romano Comincioli, se non sbaglio, il quale era uno dei fedelissimi del presidente Berlusconi, e andò a negoziarsi la nomina a presidente della commissione. Io lo chiamai la mattina... e De Gregorio votò con il centrodestra e fu eletto presidente alla commissione Difesa, e in quel caso sicuramente io, ma ritengo anche il senatore Comincioli, gli creammo un link con il presidente Berlusconi, link che poi fu determinante per il suo passaggio a Forza Italia».

Pm: «Ma un link finanziario o un link...».

Lavitola: «No, un link personale, nel senso che io l'ho preso e l'ho portato da Berlusconi...».

Pm: «E quanto gli è costata a Berlusconi questa cosa?».

Lavitola: «Allora in termini economici gli è costato quel contratto che lui aveva con... allora, De Gregorio prima è passato con Forza Italia... e ricordo come se fosse ora che De Gregorio disse a Berlusconi che lui non intendeva entrare in Forza Italia, ma intendeva fare un suo movimento politico soprattutto all'estero; il presidente gli disse: non ti preoccupare, non ci sono problemi; ma non si entrò nei dettagli».

Pm: «E quanto gli è costato a Berlusconi?».

Lavitola: «In termini economici, a De Gregorio il contratto, come dico pure sui giornali, non so... un milione».

«Dini, Pallaro e Mastella»
Dichiara Lavitola: «Questo fu uno dei miei meriti... il senatore Comincioli era l'uomo principale che al Senato si occupava di tentare di avvicinare i parlamentari del centrosinistra per passare con il centrodestra, e io in quel senso svolgevo una funzione di consigliere del senatore Comincioli...». Poi cita gli altri casi: «Tenga presente che gli altri soldi li avrebbero dovuti dare a Dini, a Mastella e a Pallaro, che stiamo parlando, insomma, seppure glieli avesse dati non glieli ha dati per tramite... Sono persone che si sono trovate messe al margine dal centrosinistra nonostante si dica... Berlusconi che è uno che sa tra virgolette vendersi e gli ha garantito l'economia del movimento, ognuno di loro ha fatto un movimento, quando si è fatta la fondazione del Pdl insieme a Fini, ci stavano pure, alla pari, De Gregorio, Caldoro, Dini, insomma, là ci sta la fotografia con tutti questi qua magari con voti più degli altri...». Lavitola ammette anche di aver avuto un ruolo nella costruzione del dossier sulla casa del cognato di Gianfranco Fini a Montecarlo e spiega: «L'obiettivo più che la ricompensa era quello di riuscire a ritagliarmi uno spazio politico all'interno del partito».

L'incontro con Guarguaglini
I magistrati gli chiedono degli affari e Lavitola risponde: «Ho fatto innanzitutto il consulente di Finmeccanica a Panama... Abbiamo stipulato quei contratti noti, quello dei sei elicotteri e quello dei radar e quello del telerilevamento della mappatura del territorio di Panama, e sostanzialmente il mio ruolo si sarebbe esaurito avendo io un contratto di un anno... la mia idea era di mettere assieme cinque o sei contratti di valore intorno ai 100 mila euro...». Il suo sponsor era il dirigente Paolo Pozzessere «ma incontrai pure Guarguaglini una volta e tutti quanti dicevano sì, ma poi non si faceva niente».

Sulla mediazione per far incontrare Berlusconi con il generale Spaziante afferma invece: «Ci incontrammo per parlare della legge e io dissi al presidente Berlusconi: guardi che, a mio avviso, nel momento in cui passa la legge per la nomina interna alla Guardia di Finanza, per la nomina del comandante generale interno alla Guardia di Finanza, Spaziante potrebbe correre per fare il numero due e non il numero uno, in quanto per anzianità lui potrebbe fare il vicecomandante, punto... questo fu la cosa che io dissi a Berlusconi e Berlusconi sinceramente mi rispose e disse: chi se ne frega, tanto...».

«Latitante per Berlusconi»
I pubblici ministeri lo incalzano per sapere a che titolo voleva cinque milioni da Berlusconi e Lavitola risponde: «Io stavo latitante per aver dato dei soldi di Berlusconi a quel giovane genio di Tarantini, punto, dopo che, come si vede dalle intercettazioni, c'è stata una piccola cosa positiva in quel rapporto, credo voi sappiate di che si tratta...».

Pm: «E anche i soldini che si è portato giù».

Lavitola: «No, aspetti, i soldini che mi sono portato via anche lì, voglio dire, ci vorrebbe... Lo abbiamo già spiegato più volte a Bari».

Pm: «Dico perché lei ha ritenuto che Berlusconi potesse essere così...».

Lavitola: «Perché numero uno io lo conosco e molto bene, e quando uno sta nei guai soprattutto a causa sua se lui può lo aiuta, e io le ribadisco che io ero latitante solo per aver aiutato Tarantini e neanche per indurlo a mentire, perché nessuno ci potrà credere mai...».

Poi, riferendosi a una telefonata intercettata la scorsa estate nella quale Berlusconi lo rassicurava afferma: «Nel momento in cui Berlusconi mi dice: io al limite del possibile vi scagiono a tutti quanti... lì mi sono sentito tranquillo perché il mio dubbio era stato quello che Ghedini, per dire la verità, o Letta, si fosse inventato qualche altra cosa per farmi diventare addirittura l'estorsore di Berlusconi». Poi ammette di avere avuto cinquecentomila euro dall'allora premier e sostiene che erano per l' Avanti! «perché avevamo una situazione economica difficile, eravamo un giornale fiancheggiatore di Forza Italia e gli siamo andati a chiedere se ci stava un sostegno economico a fronte di un servizio che gli potevamo fare».

Fulvio Bufi

Fiorenza Sarzanini

9 maggio 2012 | 9:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_09/lavitola-da-berlusconi-un-milione-per-comprare-il-senatore-de-gregorio-fulvio-bufi-fiorenza-sarzanini_602aa8a2-9999-11e1-85ab-3c2c8bfb44fd.shtml
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« Risposta #146 inserito:: Maggio 17, 2012, 05:11:20 pm »

Il Viminale: 1.500 soldati. La nuova mappa dei rischi

Nuovo piano antiterrorismo

Quattrocento obiettivi sotto protezione

Un volantino della Fai contro Monti, ma è un falso. Previste «ronde dedicate» nelle aree più sensibili


ROMA - Circa 400 nuovi obiettivi fissi da proteggere, almeno 1.500 soldati da redistribuire sul territorio. Al ministero dell'Interno si fanno i conti delle forze disponibili per sorvegliare le sedi e garantire la sicurezza delle personalità dopo il ferimento dell'amministratore delegato di «Ansaldo Nucleare» Roberto Adinolfi. La lista dei possibili bersagli è stata riscritta ed è stato messo a punto un nuovo dispositivo di controllo del territorio.
Oltre alle aziende di Finmeccanica che i terroristi della Fai hanno definito nel volantino di rivendicazione recapitato venerdì scorso al Corriere della Sera «una mostruosa piovra artificiale», l'elenco comprende gli uffici di Equitalia, quelli di numerose aziende statali che hanno i dipendenti in cassa integrazione, alcuni organismi istituzionali che si occupano di nucleare. E poi ci sono i manager, i funzionari addetti al personale, ma anche alcuni professionisti che potrebbero essere stati presi di mira per la propria attività di consulenti.


La mappa aggiornata dei rischi e delle misure di intervento è stata sottoposta ieri sera dal ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri al vertice di Palazzo Chigi, durante un incontro al quale era presente anche il neosottosegretario Gianni De Gennaro. Questa mattina le nuove linee saranno ulteriormente discusse durante il Comitato nazionale e poi il piano sarà operativo. Complessivamente i militari già impiegati in ordine pubblico - compresi quelli che presidiano i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati e partecipano all'operazione «strade sicure» - sono 4.250.


L'indicazione fornita dal ministro ai prefetti è di utilizzare per i nuovi controlli quelli già inseriti nel contingente dislocandoli in altre aree rispetto a quelle già occupate. Ci sono infatti alcuni edifici e istituzioni per cui potrebbe non essere più necessario mantenere servizi di vigilanza fissa perché diventati di minor interesse per quanto riguarda la minaccia terroristica. Del resto la linea imposta prevede di non arrivare a una «militarizzazione» delle città e dunque di predisporre una distribuzione razionalizzata delle camionette. In alcune aree si è invece deciso di effettuare le cosiddette «ronde dedicate» vale a dire il giro di pattuglia di carabinieri e polizia che comprenda il controllo di diversi obiettivi. «Attenzione sia dal punto di vista investigativo che di prevenzione» è stata raccomandata dal ministro anche in relazione a possibili nuove manifestazioni dei «No Tav» pur ribadendo che non c'è alcun possibile legame tra i contestatori e chi ha agito a Genova la scorsa settimana.


Gli analisti continuano a ritenere altamente probabile che nuove azioni possano essere state già pianificate per le prossime settimane, non escludendo che le modalità possano essere diverse da quelle di Genova. Ma nessuna valenza viene data al volantino recapitato ieri ad un quotidiano calabrese per minacciare il presidente di Equitalia Sud e il premier Mario Monti «uno dei sette rimasti». La sigla è quella della Fai, Federazione anarchica informale «cellula Olga», esattamente la stessa che ha rivendicato il ferimento di Adinolfi. Ma secondo l'esame degli esperti si tratta di un clamoroso falso. Oltre al linguaggio utilizzato e ai concetti espressi - totalmente diversi da quelli contenuti nel documento ritenuto invece «attendibile» - la contraffazione riguarda il «logo» inserito nella lettera. Il simbolo è infatti quello della Fai greca che si può rintracciare su un qualsiasi sito Internet ed è soltanto la brutta copia di quello che «marca» il documento di venerdì.

Fiorenza Sarzanini

17 maggio 2012 | 10:13© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_17/piano-antiterrorismo-Sarzanini_b694ae4a-9fe3-11e1-bef4-97346b368e73.shtml
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« Risposta #147 inserito:: Luglio 22, 2012, 11:24:56 am »

La relazione ai pm

Prestanome e 20 società

Così Dell'Utri ha smistato i soldi del Cavaliere

Gli inquirenti valutano se contestare il reato di riciclaggio viste le centinaia operazioni per il frazionamento del capitale

Dal nostro inviato FIORENZA SARZANINI

PALERMO - Ci sono almeno venti società utilizzate da Marcello Dell'Utri per movimentare le decine di milioni di euro ricevute negli ultimi dieci anni da Silvio Berlusconi. E alcuni prestanome che lo avrebbero aiutato a veicolare i capitali all'estero. Secondo i magistrati di Palermo - il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo - quei soldi sono il frutto di un'estorsione, il prezzo della mediazione condotta dal senatore con gli uomini di Cosa Nostra per garantire la protezione all'ex premier e alla sua famiglia. Dunque, dopo aver individuato l'entità e le date dei versamenti, ci si concentra sulle «uscite» e si valuta la possibilità di procedere anche per riciclaggio. Per questo si cerca di identificare gli altri beneficiari dei versamenti. E per farlo si riparte dalle verifiche già effettuate nel corso dell'inchiesta sulla cosiddetta «P3» dove Dell'Utri è indagato insieme ad altri politici e al faccendiere Flavio Carboni.
Erano stati gli investigatori del nucleo Valutario, circa due anni fa, a scoprire versamenti da Berlusconi a Dell'Utri per circa 10 milioni di euro oltre all'acquisto della villa sul lago di Como che il leader del Pdl avrebbe pagato almeno il doppio del valore. L'esito di quelle prime verifiche fu trasmesso dai magistrati romani ai colleghi siciliani per competenza e da allora sono stati individuati numerosi canali per il reimpiego dei fondi.

La pista che porta all'estero. Oltre agli undici milioni trasferiti a Santo Domingo un paio di mesi fa, ci sono tracce di spostamenti verso la Svizzera e su alcuni depositi che si trovano a Cipro. Si tratta di un canale investigativo aperto grazie alle segnalazioni dell'Uif, l'Unità di analisi finanziaria della Banca d'Italia che da allora ha continuato a «monitorare» le movimentazioni disposte dal senatore su conti aperti in svariate banche e i collegamenti con circa settanta depositi. Una rete fitta che, questo emerge dal rapporto degli investigatori già consegnato ai magistrati, può contare anche su alcuni manager italiani e stranieri.
L'attenzione degli inquirenti si è concentrata sulla «Tome Advertising» una società spagnola che fa capo a Giuseppe Donaldo Nicosia e che nel 2009 ha disposto svariati bonifici in favore di Dell'Utri per circa 400 mila euro. Si tratta di un uomo d'affari che possiede diverse aziende, anche in Svizzera, e gli accertamenti riguardano possibili operazioni disposte per riportare in Italia denaro precedentemente trasferito all'estero in modo da mascherarne l'origine.

I controlli riguardano anche movimentazioni in entrata e in uscita con i titolari di una società segnalata dalla Deutsche Bank per una triangolazione finanziaria transitata su un conto corrente aperto presso un istituto di credito di Nicosia. Ufficialmente si trattava di affari legati al mondo dell'arte, ma la scelta di utilizzare depositi esteri ha convinto gli investigatori della necessità di continuare il monitoraggio, ampliando poi le verifiche anche ad altri soggetti risultati in contatto con il senatore e ai suoi familiari. Anche perché nel corso degli ultimi anni il politico ha disposto centinaia di operazioni per il frazionamento del capitale e firmato decine e decine di assegni per i quali non si riesce a individuare il beneficiario. Modalità finanziarie che sembrano avere come scopo principale il non superamento della soglia di tracciabilità e dunque potrebbero far scattare la contestazione di riciclaggio.

Il silenzio dei testimoni. Su tutto questo i magistrati ritengono indispensabile chiedere spiegazioni a Silvio Berlusconi visto che è stato lui a disporre i bonifici dai propri conti personali motivandoli come «prestito infruttifero» e da un altro deposito a firma congiunta con sua figlia Marina. L'ipotesi dell'accusa è che Dell'Utri abbia ottenuto i soldi in cambio del silenzio su alcune circostanze che riguardano la vita di Berlusconi e che possa averlo fatto anche rivestendo il ruolo di «mediatore» soprattutto dopo la morte di Vittorio Mangano e Gaetano Cinà, entrambi ritenuti «esattori» delle cosche. Dovrebbero essere l'ex presidente del Consiglio e sua figlia a chiarire se ci siano altri motivi che possano giustificare le generose elargizioni, ma al momento non sembrano intenzionati a rispondere alle domande dei pubblici ministeri.
Negli ambienti della Procura viene notato come Berlusconi abbia finora deciso di rimanere in silenzio dopo la contestazione di un reato grave come l'estorsione a quello che viene ritenuto uno dei suoi amici storici, l'uomo che ha contribuito alla nascita di Forza Italia e con il quale ha continuato ad avere un legame personale e - visto quanto accertato dalla Guardia di Finanza sugli ultimi bonifici che risalgono a pochi mesi fa - stretti rapporti economici.

22 luglio 2012 | 9:00

da - http://www.corriere.it/cronache/12_luglio_22/prestanome-e-venti-societa-cosi-dellutri-ha-smistato-soldi-cavaliere_ad6e693e-d3c6-11e1-83bd-0877fdcd1621.shtml
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« Risposta #148 inserito:: Agosto 05, 2012, 07:37:18 pm »

La nuova ordinanza di arresto per estorsione

«Ritorno in Italia e ti spacco il c...»

Le minacce di Lavitola a Berlusconi

NAPOLI - La fotocopia del biglietto aereo per il ritorno in Italia e un messaggio minatorio spediti via mail. Così, dalla latitanza, il faccendiere Valter Lavitola avrebbe ricattato Silvio Berlusconi per convincerlo a consegnargli cinque milioni di euro in cambio del silenzio su vicende che riguardavano la sua vita privata e i suoi affari. A rivelarlo è stato uno dei legali di Lavitola e durante le perquisizioni compiute dai magistrati di Napoli è stata trovata anche la copia di una lettera indirizzata all'ex premier, nella quale si indica tra l'altro la versione «concordata» in caso di interrogatorio. Estorsione: è questo il reato contestato all'ex direttore dell 'Avanti! con una nuova ordinanza che gli è stata notificata nel carcere di Poggioreale. E in galera è finito anche Carmelo Pintabona, candidato del Pdl per gli italiani all'estero alle ultime elezioni, che avrebbe accettato di fare da tramite fra i due, ma avrebbe anche aiutato Lavitola durante la latitanza di sette mesi tra Panama e l'Argentina.

INDAGATO L'AVVOCATO SAMMARCO - Le carte processuali svelano pure che uno dei legali del leader del Pdl, l'avvocato Alessandro Sammarco, è indagato per aver cercato di convincere Lavitola a rendere false dichiarazioni ai pubblici ministeri in concorso con Eleonora Moiraghi, uno dei difensori del faccendiere. L'inchiesta dei pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio comincia lo scorso anno e riguarda il presunto ricatto a Berlusconi compiuto da Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore pugliese che portava donne a pagamento alle feste del presidente. Le verifiche sul suo comportamento e di sua moglie Nicla, fanno emergere il ruolo di Lavitola che si occupava di mediare con Berlusconi e nella primavera del 2011 si appropria di 500 mila euro destinati alla coppia. È la sorella del faccendiere, nel febbraio scorso, a raccontare che l'uomo continua a pretendere soldi da Berlusconi. E indica in uno dei difensori, l'avvocato Gennaro Fredella, la persona che è a conoscenza dei dettagli della vicenda. Dichiara a verbale Maria Lavitola: «Il 28 marzo scorso il legale ha chiesto di vedermi. Nella circostanza l'avvocato mi disse che mio fratello aveva spedito una mail o un fax all'onorevole Berlusconi con il quale mostrava il biglietto aereo di rientro in Italia con sotto scritto: "Torno e ti spacco il culo". L'avvocato era molto contrariato e mi disse che mio fratello era veramente pazzo e lui non sapeva che cosa fare».

Il professionista viene convocato in Procura a Napoli l'11 maggio scorso. Conferma questa versione e aggiunge altri particolari. «Nell'ultima decade di marzo io e l'avvocato Gaetano Balice fummo contattati dall'avvocato Sammarco per chiedere se poteva fare un interrogatorio nell'interesse di Berlusconi. Lo incontrai nello studio di Eleonora Moiraghi, un altro legale di Lavitola con la quale si davano del tu. Presi tempo e poi comunicai che io e Balice eravamo contrari, ma parlai con Lavitola e lui mi parse assolutamente favorevole... Intanto Sammarco aveva comprato i biglietti per l'Argentina per lui e per la Moiraghi. Alla fine comunicammo a Sammarco la nostra contrarietà all'interrogatorio e Moiraghi si adeguò. Lavitola era molto contrariato». Secondo Maria Lavitola durante l'incontro Sammarco avrebbe così cercato di convincere Fredella: «La salvezza di Valter Lavitola è la salvezza del mio cliente».

LA LETTERA PER GLI ACCORDI - Quali siano gli argomenti che Lavitola intendeva usare per convincere Berlusconi a pagarlo sono ben illustrati in una lettera che il faccendiere aveva incaricato la sorella di recapitargli. La donna nega di averlo fatto ma i magistrati sono convinti che della consegna si sia occupato Pintabona che in una telefonata intercettata precisa di avere «ancora aperta una partita a briscola con il nano maggiore» secondo gli inquirenti «intendendo appunto Berlusconi».
Dopo aver confermato «la mia amicizia e lealtà come sempre», Lavitola scrive a Berlusconi: «La prego solo, nei limiti di quanto le sarà possibile, di tutelare la mia onorabilità. Le ricordo che il 9 agosto scorso, quando sono stato da lei con i due ragazzi (i coniugi Tarantini ndr ), le hanno confermato la mia correttezza e lei ha confermato loro la disposizione che mi aveva dato di consegnar loro una somma solo per avere un'attività all'estero. L'unica cosa che non consentirò è che, anziché essere considerato un amico disposto a sacrificarsi senza aver mai ottenuto nulla, venga qualificato come un piccolo truffatore che approfittava della sua fiducia». Poi quello che sembra un avvertimento: «Dalla lettura delle carte sarà impossibile sostenere che non ho ricevuto i 500 mila euro in contanti».

GLI APPALTI DELL'ENI - Erano state alcune intercettazioni, poi confermate dallo stesso Tarantini durante il suo interrogatorio, a rivelare come nella primavere del 2011 l'imprenditore pugliese stesse cercando di ottenere un appalto dall'Eni sfruttando l'amicizia con Berlusconi. Il faccendiere indica all'ex premier la linea da tenere: «Sarà necessario spiegare la questione dell'Eni. Considerato che Tarantini sta parlando a ruota libera, l'unica cosa sostenibile è che lui le ha chiesto di far inserire nell'albo dei fornitori di una società dell'Eni un suo amico che a sua volta lo avrebbe aiuto a reinserisi. Lei ha sollecitato Scaroni (il presidente ndr ) a far valutare la richiesta ma poi non se ne è fatto nulla. In effetti è la verità. Ho affidato questa nota a una persona di mia assoluta fiducia. È venuto lì e ritorna. Se vuole farmi pervenire qualche messaggio per variare qualcosa di quanto sopra riportato, potrà farlo comunicare verbalmente al latore, che me lo riporterà fedelmente. Un fraterno saluto. Valter».

Fiorenza Sarzanini
fsarzanini@corriere.it4 agosto 2012 | 8:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/12_agosto_04/torno-e-ti-spacco-sarzanini_b0a39352-ddf5-11e1-9fa2-bd6cbdd1a02d.shtml
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« Risposta #149 inserito:: Settembre 20, 2012, 05:02:08 pm »

SCANDALO FONDI PDL

Le carte di Fiorito ai pm: i ladri sono otto

Dall'ex capogruppo accuse alla presidente e ai vertici. C'era chi andava a donne, chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini.

Due casse di documenti, 109 bonifici


ROMA - La linea di difesa è quella dell'attacco frontale contro i colleghi di partito. Così Franco Fiorito cerca di tirarsi fuori dall'inchiesta sulle ruberie da milioni di euro alla Regione Lazio. E di fronte ai magistrati che gli contestano il reato di peculato per aver usato a fini personali i fondi destinati al Pdl, afferma: «Se ho sbagliato pagherò per gli errori, ma io non ho rubato. I ladri sono altri».

Poi consegna due scatoloni di documenti su otto consiglieri del suo stesso partito e un memoriale che serve a rilanciare su di loro accuse pesantissime sulla destinazione del denaro. Ma punta anche ai vertici e quando parla del «sistema» che aveva fissato le regole per la spartizione dei fondi si concentra sul presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese, sul segretario Nazzareno Cecinelli e sulla stessa governatrice Renata Polverini.

Nel dossier che rischia di provocare conseguenze devastanti sulla Regione, sulla giunta e sull'intero consiglio regionale, Fiorito ha inserito lettere e mail ricevute dai consiglieri, richieste di soldi e raccomandazioni. E poi decine e decine di fatture che ha saldato quando era tesoriere e, dice adesso, «erano per la maggior parte false».

Con sé ha portato casse di documenti per giustificare le elargizioni a pioggia che secondo il suo legale Carlo Taormina «servivano a soddisfare gli appetiti di chi viveva in quel porcile». Spese folli con cene da migliaia di euro, viaggi e vacanze, compensi altissimi per assistenti personali, consulenti, portaborse.

Dunque, la strategia è chiara: tutti dentro per spartirsi le responsabilità. O più probabilmente per consumare l'ultimo atto di una faida interna che va avanti da mesi. Non a caso prima di sedersi davanti ai magistrati l'ex capogruppo alla Pisana rilascia dichiarazioni pubbliche che suonano come un avvertimento a tutti i componenti del Consiglio regionale. E si concentra sui «nemici» interni al Pdl - il suo successore Francesco Battistoni; il presidente della Commissione sviluppo economico, innovazione, ricerca e turismo Giancarlo Miele; il vicepresidente della commissione Bilancio Andrea Bernaudo; il consigliere Carlo De Romanis - indicandoli come coloro che «davvero rubavano». Nomi che conferma, insieme ad altri, di fronte ai pm.

Quando alle 16 di ieri risponde all'interrogatorio del procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Alberto Pioletti, Fiorito però sa che deve difendersi. Spiegare perché ha dirottato oltre 800mila euro dai conti correnti del Pdl a quelli intestati a lui e ai suoi familiari. Ricostruire quei 109 bonifici a se stesso tutti per gli stessi importi: 4.180 euro oppure 8.360 euro. E soprattutto svelare che fine abbiano fatto gli altri soldi se è vero, come ha sostenuto Battistoni che dai depositi del gruppo consiliare sono spariti circa 6 milioni di euro.

Lo fa a suo modo, affermando che c'era «chi andava a donne e chi si faceva pagare le vacanze, chi organizzava festini e chi mangiava a sbafo, mentre io ho trasferito alcuni soldi sui miei conti perché pensavo fosse regolare e se ho sbagliato pagherò». Ma poi gli chiedono come ha vinto l'asta per l'assegnazione di una casa in affitto da 200 metri quadri a 4.000 euro al mese dell'Ipab in via Margutta - una delle strade più belle di Roma - e anche come ha acquistato gli altri immobili.
Lui ribadisce che tutto è stato regolare. Le sue parole certamente non serviranno a scagionarlo. Ma aprono scenari nuovi che rischiano di travolgere l'intero governo della Regione.

Fiorenza Sarzanini

20 settembre 2012 | 8:14© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_settembre_20/sarzanini-le-carte-di-fiorito-ai-pm-2111892902396.shtml
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