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Autore Discussione: Fiorenza SARZANINI.  (Letto 171652 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Maggio 07, 2010, 10:55:31 am »

L’inchiesta -

Alcune compravendite di case passavano da «Propaganda fide»

Il superteste racconta: portavo il costruttore dal cerimoniere del Papa

Gli incontri di Anemone con monsignor Camaldo.

E Don Evaldo rivela: altri sacerdoti sapevano dei soldi


Appartamenti trasformati in dimore di lusso grazie alle ristrutturazioni compiute dalle imprese di Diego Anemone. A beneficiarne erano «politici e prelati», così come ha raccontato Laid Ben Hidri Fathi, l’autista di Angelo Balducci, che del costruttore era diventato collaboratore. Di fronte ai magistrati di Perugia l’uomo ha cominciato a fornire dettagli e identità.

E ha svelato: «Ero io ad accompagnare Diego agli incontri con queste persone. Ricordo in particolare che era in rapporti con monsignor Francesco Camaldo». Si tratta del cerimoniere del Papa, per quindici anni segretario particolare del vicario di Roma cardinal Ugo Poletti. I legami con il Vaticano sono uno dei filoni principali dell’indagine sugli appalti dei Grandi eventi, soprattutto dopo la scoperta che una delle «casseforti» dell’imprenditore era gestita da don Evaldo Biasini, 83 anni.Ma anche perché alcune compravendite di case passavano proprio da enti religiosi come «Propaganda Fide», di cui Balducci era consigliere. Dimore che sarebbero state acquistate seguendo la procedura già scoperta nel caso del ministro Claudio Scajola. L’attenzione della Guardia di finanza si concentra su 15 operazioni sospette: trasferimenti di denaro dai conti di Anemone a quelli dei suoi prestanome— in particolare il geometra Zampolini e la segretaria Alida Lucci—e poi trasformati in assegni circolari da versare al momento del rogito.

Gli incontri
Il testimone—che aveva ricevuto il compito di gestire una serie di conti correnti di Anemone e per questo aveva ottenuto anche la delega ai prelevamenti per contanti—non fornisce dettagli sui contenuti dei colloqui. Ma è preciso nel riferire in quali occasioni portò Anemone da monsignor Camaldo. Sinora l’inchiesta aveva fatto emergere una buona conoscenza tra il prelato e Balducci. Tanto che quando il provveditore è stato arrestato, monsignor Camaldo ha commentato: «Sono molto addolorato, è una persona di assoluta limpidezza morale, conosciuta e stimata in Vaticano da tanti anni, sono certo che dimostrerà la sua completa estraneità alle accuse». Adesso si intravede una rete più ampia. Anche perché nel 2008 lo stesso prelato finì nell’inchiesta avviata dal pm Henry John Woodcock su Vittorio Emanuele di Savoia, sospettato di complicità con alcuni faccendieri inseriti nella massoneria. Per quale motivo incontrava Anemone? Tra gli interessi comuni c’erano soltanto acquisiti e ristrutturazioni di appartamenti, come racconta Hidri Fathi? È presumibile che monsignor Camaldo venga ascoltato dai magistrati di Perugia quando saranno terminati gli accertamenti sulle 15 operazioni sospette emerse nell’indagine.

Rogiti e assegni
Nell’elenco delle persone da interrogare c’è anche il notaio Gianluca Napoleone che ha stipulato tutti i rogiti delle operazioni immobiliari gestite dall’architetto Angelo Zampolini. E sono proprio quelle «anomale » movimentazioni di denaro scoperte sui suoi conti presso la Deutsche Bank e su quelli della Lucci a celare — secondo i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi— l’acquisto di case che Anemone avrebbe poi intestato ai politici, ai funzionari statali e a quei religiosi che lo avrebbero agevolato nella concessione degli appalti pubblici, ma anche nei lavori di ristrutturazione di interi stabili. Per questo, oltre alle verifiche effettuate presso istituti di credito e banche dati finanziarie, l’interesse degli investigatori si concentra sulle mappe catastali per rintracciare eventuali cambi di destinazione d’uso e verificare i proprietari degli appartamenti che spesso risultano intestati a società.

I sacerdoti
In questo vorticoso giro di case si inseriscono gli affari gestiti da Balducci e Anemone attraverso «Propaganda Fide» e soprattutto la Congregazione del preziosissimo sangue di cui era economo don Evaldo Biasini, che nella sua cassaforte conservava contanti messi a disposizione del costruttore in caso di emergenza. Il sacerdote, missionario in Africa, ha poi raccontato di aver messo a disposizione del costruttore i conti dell’Ente, di fatto utilizzati per depositare assegni e prelevare contanti.
Leggendo il verbale della perquisizione nella sede dell’Istituto dai Ros, si scopre che oltre a don Evaldo altri preti erano a conoscenza delle strane movimentazioni effettuate per favorire il costruttore. Afferma il sacerdote: «Sui depositi della Congregazione, intestati a me perché rivesto la carica di economo, sono autorizzati ad operare don Giuseppe Montenegro quale rappresentante legale e don Nicola Giampaolo, direttore di Primavera missionaria che ha sede ad Albano Laziale» cioè dove si trova anche la Congregazione.

Fiorenza Sarzanini
07 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/politica/10_maggio_07/sarzanini_a91d1730-5994-11df-8cbf-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #61 inserito:: Maggio 12, 2010, 10:01:59 am »

L'inchiesta sulla "Cricca"

Una casa pagata da Anemone per l'uomo delle Infrastrutture

Da Zampolini mezzo milione di euro a Ercole Incalza

   
PERUGIA — Oltre mezzo milione di euro per comprare un appartamento a Ercole Incalza, potente funzionario del dicastero delle Infrastrutture. È questa la nuova operazione immobiliare gestita nel 2004 dall’architetto Angelo Zampolini per conto di Diego Anemone. Dopo le case acquistate per il ministro Claudio Scajola e per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, l’indagine condotta dai magistrati di Perugia rivela che anche l’attuale capo della «Struttura tecnica di missione», uno dei collaboratori più stretti del ministro Altero Matteoli, ha goduto dei favori del costruttore ora indagato per corruzione. E l’ha fatto sei anni fa, quando era consulente di Pietro Lunardi, che all’epoca occupava la stessa poltrona.

L’affare per il genero
L’operazione sospetta segnalata dalla Banca d’Italia porta la data del 7 luglio 2004. Per il professionista deve essere stato un periodo di lavoro intenso, visto che neanche 24 ore prima ha chiuso la compravendita per Scajola. Quel giorno, così come risulta dai documenti contabili, Zampolini versa sul proprio conto presso l’agenzia Deutsche Bank 520.000 euro in contanti messi a disposizione da Anemone e preleva subito dopo 52 assegni circolari da 10.000 euro l’uno intestati a Maurizio De Carolis. L’uomo viene rintracciato qualche settimana fa e racconta di aver venduto un appartamento al centro di Roma ad un certo Alberto Donati, per 390.000 euro. Il rogito è stato stipulato di fronte al solito notaio, quel Gianluca Napoleone che si è occupato anche delle altre compravendite chiuse con la stessa procedura. E pure in questo caso la cifra appare davvero troppo bassa per una dimora lussuosa che si trova al centro di Roma — in via Emanuele Gianturco 5 — ed è composta da cinque camere e servizi. E infatti il prezzo finale, tenendo conto della cifra versata «in nero» da Zampolini, supera i 900.000 euro. Manca però il tassello successivo e cioè verificare come mai Anemone abbia deciso di mettere a disposizione il denaro. La risposta la fornisce lo stesso Donati: «Ho fatto l’affare grazie a mio suocero Ercole Incalza. Fu lui a dirmi di mettermi in contatto con Zampolini che mi avrebbe aiutato per l’acquisto dell’appartamento». Per chi indaga quello di Incalza è un nome noto visto che nel febbraio 1998, quando era amministratore delegato della Tav, fu arrestato proprio dai magistrati di Perugia. L’inchiesta era quella sugli appalti delle Ferrovie che portò in carcere anche l’allora presidente Lorenzo Necci e il finanziere Francesco Pacini Battaglia. L’identità del beneficiario viene comunicata ai pm Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, titolari dell’indagine, che adesso dovranno decidere la data di convocazione per l’interrogatorio. Incalza dovrà infatti chiarire come mai Anemone decise di elargire in suo favore una somma tanto ingente mentre lui era consigliere del ministro delle Infrastrutture Lunardi. Spiegare che rapporti aveva il costruttore con il dicastero, quali appalti ottenne in quel periodo. Il resto lo sta facendo Zampolini che — come hanno confermato i magistrati perugini davanti al tribunale del Riesame — «sta ricostruendo i flussi finanziari che arrivavano dall’imprenditore». Una collaborazione preziosa per l’indagine perché consente di ricostruire il percorso dei soldi, e dunque il nome di chi ne ha beneficiato, che gli ha evitato la richiesta di arresto.

Le bugie del generale
Lo aveva già fatto nei casi che riguardano Scajola e Pittorru. La scorsa settimana il generale è stato interrogato dai pm. Ha ammesso di aver ricevuto da Anemone, sempre tramite Zampolini, 800.000 euro per l’acquisto di due case. «Ma era un prestito — ha cercato di giustificarsi —sono pronto a fornirvi le prove. I documenti sono conservati in Sardegna e ve li consegnerò entro una settimana». Una versione ritenuta non credibile dagli inquirenti che hanno comunque concesso all’alto ufficiale indagato per corruzione la possibilità di mantenere il suo impegno. Ma dopo sette giorni Pittorru ha fatto sapere che quelle carte gli erano state rubate e dunque non sarebbe stato in grado di dimostrare quanto aveva sostenuto. Anche al commercialista Stefano Gazzani e al commissario per i mondiali di nuoto Claudio Rinaldi viene contestato di aver fornito versioni false rispetto ai propri rapporti con Anemone. E per questo Sottani e Tavernesi hanno ribadito la necessità che entrambi vengano arrestati. «La competenza è della Procura di Perugia, qui deve rimanere l’inchiesta», hanno dichiarato di fronte al tribunale che deve pronunciarsi sulla decisione del gip secondo il quale il fascicolo dovrebbe essere trasmesso a Roma e sulla richiesta degli avvocati difensori Bruno Assummma e Titta Madia che sostengono la completa estraneità dei propri assistiti alle attività illecite della «cricca».

Fiorenza Sarzanini

12 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_12/una-casa-pagata-da-anemone-per-l-uomo-delle-nfrastrutture-fiorenza-sarzanini_c50c416c-5d88-11df-8e28-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #62 inserito:: Maggio 15, 2010, 12:23:34 pm »

L’inchiesta - Le carte

Il balzo di Anemone: da otto a 65 milioni in soli quattro anni

Le verifiche fiscali svelano la rete per i lavori Le operazioni sospette sui conti della Igit


PERUGIA — Operazioni sospette sui conti della Igit, l’azienda che faceva affari con il Gruppo Anemone. La segnalazione della Banca d’Italia è stata trasmessa alla Guardia di Finanza. E adesso si indaga per scoprire i beneficiari dei passaggi di denaro disposti da Bruno Ciolfi, l’imprenditore che in società con Diego Anemone si è aggiudicato appalti milionari come il Parco della Musica di Firenze, l’aeroporto di Perugia, il carcere di Sassari. Il sospetto è che dietro quei transiti «anomali» si celino compravendite immobiliari. Acquisti di appartamenti o ristrutturazioni per soddisfare le richieste di politici e potenti funzionari statali e rimanere privilegiati nell’affidamento dei lavori pubblici. Un business che ha subìto un balzo improvviso a partire dal 2006. Basti pensare che —come risulta dalla documentazione finanziaria acquisita dagli investigatori— in soli quattro anni il fatturato della «Anemone Costruzioni» è passato da otto milioni di euro a quasi 70 milioni.

Gli atti acquisiti negli uffici del costruttore, compresa la lista con le «commesse» effettuate tra il 2003 e il 2008, dimostrano come Anemone abbia sempre annoverato tra i suoi clienti personaggi di primo piano delle istituzioni e del Vaticano, che gli aveva commissionato persino il rifacimento di alcune chiese. Basti pensare che nel 2004 fu proprio lui ad occuparsi dell’adattamento di un intero palazzo in piazza Zama come sede del Sisde, il servizio segreto civile. Da allora il suo legame con il Provveditore Angelo Balducci diventa sempre più stretto e gli consente il salto di qualità. Proprio su questa crescita vertiginosa del fatturato si stanno concentrando gli accertamenti disposti dai pubblici ministeri di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Secondo la documentazione contabile che i finanzieri stanno analizzando, nel 2006 la ditta ha un volume d’affari pari a 8 milioni 324 mila euro. Nella contabilità sono iscritti gli incarichi per il carcere di Sassari e la manutenzione del palazzo del Sisde di piazza Zama, che certamente portano «entrate» di alti importi. L’anno successivo il fatturato sale così a 14 milioni e 800 mila euro.

Le fatture emesse dimostrano come l’azienda beneficia di numerosi incarichi provenienti dal Provveditorato, compresi i lavori al ministero delle Scienze, le dotazioni tecniche e di sicurezza della sede della Guardia di Finanza a Fiumicino, alcune ristrutturazioni per conto del Viminale. Il 2008 rappresenta certamente l’anno della svolta. «Anemone Costruzioni » muove 34 milioni e 466 euro. I contatti tra l’imprenditore e Balducci sono frenetici come dimostrano le intercettazioni telefoniche effettuate dai carabinieri del Ros. Il 21 settembre del 2007 un decreto del governo ha dichiarato la presidenza italiana del G8 «Grande Evento », dunque bisogna tenersi pronti per i lavori che arriveranno in vista dei vertici internazionali previsti per l’estate dell’anno successivo. E poi ci sono gli altri appalti concessi con procedura d’urgenza: ci si deve preparare per i Mondiali di Nuoto e per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, cercare di ottenere la maggior parte delle «commesse». Si infittisce dunque la rete delle relazioni istituzionali.

In passato sono numerose le persone che avrebbero beneficiato della generosità di Anemone. Finora si è scoperto che appartamenti sono stati regalati allo stesso Balducci, al ministro Claudio Scajola, al generale dei servizi segreti Francesco Pittorru, ma gli investigatori sono convinti che la lista sia destinata ad allungarsi viste le modalità seguite per le operazioni bancarie finite sotto osservazione. E hanno già individuato quelle ristrutturazioni effettuate nelle case dei funzionari chiamati a gestire i «Grandi Eventi » e dei loro familiari. Favori che vengono evidentemente ricambiati visto che nel 2009 il fatturato arriva a ben 65 milioni e 319 mila euro. L’ascesa di Anemone appare inarrestabile. Stringe alleanze con altre imprese, prima fra tutte la Igit. Incrementa i versamenti su centinaia di conti segreti intestati a prestanome. Decide di utilizzare casseforti come quella di don Evaldo Biasini, convinto che serviranno a far perdere le tracce delle movimentazioni. E invece arriva l’ordine di arresto dei giudici di Firenze. Anemone e la sua «cricca» finiscono in galera.

Fiorenza Sarzanini

15 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_15/il_balzo_di_anemone_da_otto_a_sessantacinque_milioni_in_soli_quattro_anni_sarzanini_3a502132-5ff0-11df-b9ba-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #63 inserito:: Maggio 22, 2010, 10:46:08 pm »

Le notizie fanno bene, a tutti


Tra cinque giorni comincerà il processo alle maestre di Rignano Flaminio accusate di reati legati alla pedofilia. Se la legge sulle intercettazioni fosse già in vigore, soltanto adesso potremmo conoscere per quale motivo tre insegnanti, il marito di una di loro e una bidella vanno alla sbarra con il terribile sospetto di aver abusato di piccoli alunni.

Soltanto tre anni dopo il loro arresto potremmo raccontare la storia di questa indagine. Mettere a fronte le tesi dell’accusa e quelle della difesa dopo aver esaminato gli atti. Eppure tra questi documenti non c’è neanche uno straccio di intercettazione telefonica o ambientale, perché mai ne sono state disposte. Il processo di Rignano è soltanto uno dei centinaia di casi dei quali non si sarebbe saputo nulla — a parte la notizia degli arresti — se il provvedimento che porta il nome del ministro della Giustizia Angelino Alfano fosse stato approvato.

E dimostra come il divieto di pubblicare le intercettazioni sia in realtà un falso problema. Perché è vero che con queste norme si vieta ai giornalisti di informare, ma soprattutto si impedisce ai cittadini di essere informati. E si lede il diritto fondamentale degli indagati di difendersi anche davanti all’opinione pubblica. S’è detto più volte che la pubblicazione dei testi di telefonate, talvolta tra persone che nulla avevano a che fare con le inchieste, è stata eccessiva. La privacy è un bene che va certamente tutelato e dunque è sul bilanciamento di queste due esigenze che bisognerebbe lavorare per trovare un’intesa.

Per esempio limitando la possibilità di allegare alle ordinanze soltanto le trascrizioni che riguardano gli indagati e sono ritenute indispensabili per motivare un arresto o una misura di interdizione. E creando un registro segreto delle altre conversazioni, sempre tenendo conto che proprio la difesa potrebbe decidere di utilizzarle per dimostrare l’infondatezza delle accuse. Nelle ultime settimane si è discusso molto delle inchieste sulla corruzione e si è insistito su tutto quello che l’opinione pubblica avrebbe ignorato se ci fosse già la legge. Ma, come dimostra Rignano, non si tratta soltanto di questo. Perché con il via libera alle nuove norme non si parlerebbe più dei politici e dei funzionari, però non si potrebbero neanche raccontare le indagini per gli omicidi, per le violenze sessuali, per le rapine. E si vivrebbe tutti lontani dalla realtà, di fatto fuori dal mondo.

C’è un aspetto che in queste ore viene sottovalutato e riguarda il possibile utilizzo illecito degli atti processuali. Il divieto di pubblicazione non impedisce infatti la circolazione dei documenti e dunque l’eventualità che diventino merce preziosa per chi potrebbe usarli come strumento di ricatto. Molto altro si potrebbe argomentare su questo disegno di legge, ma forse basta questo per riflettere sull’opportunità di tornare a confrontarsi, rallentando una corsa che appare in questo momento senza freni. E rischia di causare disastri.

Fiorenza Sarzanini

22 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_maggio_22/le_notizie_fanno_bene_a_tutti_fiorenza_sarzanini_4bd51e06-6560-11df-89b0-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #64 inserito:: Maggio 28, 2010, 05:14:04 pm »

Il colosso pubblico

Le indagini sui «fondi neri»

Finmeccanica sotto inchiesta

Verifiche sulle attività del presidente Guarguaglini e della moglie a capo di una società partecipata


ROMA — Provviste di soldi occultate all’estero e utilizzate per ottenere commesse e appalti. Fondi «neri» che Finmeccanica avrebbe accantonato grazie all’attività di società collegate alla holding. L’inchiesta avviata dalla Procura di Roma sul colosso pubblico, di fatto considerato una delle casseforti di Stato, si concentra sulle disponibilità finanziarie. E afferra il filo che porterebbe a numerosi conti correnti aperti nelle filiali di banche che si trovano in paradisi fiscali come Singapore e Hong Kong, ma anche in alcuni Paesi europei. Il sospetto dei magistrati è che dietro l’intreccio di aziende usate per siglare contratti miliardari sia stato celato il versamento di tangenti. Soldi finiti nelle tasche di politici e funzionari, anche stranieri, per agevolare la chiusura degli accordi.

L’attività di Selex
Al centro delle verifiche ci sono le disposizioni impartite dal presidente Pierfrancesco Guarguaglini, ma c’è anche l’attività della "Selex", amministrata da sua moglie, l’ingegnere Marina Grossi e «controllata » proprio da Finmeccanica. I carabinieri del Ros, cui sono state delegate le indagini, sono entrati due giorni fa nella sede principale dell’azienda, che si trova in via Tiburtina a Roma, e hanno sequestrato numerosi documenti che riguardano appalti e forniture. Altri atti sono stati acquisiti presso gli uffici della «Elsag datamat», la consociata che ha ottenuto l’appalto per la gestione dei sistemi informatici durante il G8 che si è svolto a L’Aquila la scorsa estate.

Gli aerei americani
Gli accertamenti cominciano un paio di mesi fa. Indagando sull’organizzazione criminale che fa capo a Gennaro Mokbel, gli investigatori captano alcune conversazioni che riguardano Finmeccanica. E lo sentono mentre afferma: «Io ieri sera sono stato a cena con uno dei capoccioni di Finmeccanica, uno dei tre che comandano Finmeccanica. Lui però vive negli Usa, a Washington, è quello che ha firmato l’accordo da sei miliardi sugli aerei; Finmeccanica fa gli aerei degli Stati Uniti». In un’altra conversazione racconta di essere stato a cena con «il numero tre della terza industria militare del mondo e con due persone della Cia» e aggiunge: «Aveva una scorta de quelle che non se possono immaginare, armati. M’hanno offerto un cazzo de marchingegno. Non a me, ma tramite sempre l’avvocato Nicola (il senatore Di Girolamo, ndr), di aprire una loro agenzia per tutto il centro Asia, per la vendita di prodotti di sicurezza e prodotti militari; elicotteri Agusta e via dicendo. C’abbiamo una riunione lunedì». Nei giorni successivi, Mokbel partecipa a un incontro dove c’è tra gli altri Lorenzo Cola, ritenuto vicino proprio a Guarguaglini. Si discute dell’acquisizione della «Digint» e si lamenta perché «abbiamo tirato fuori i soldi, ma non abbiamo visto uno straccio di contratto, non abbiamo visto il futuro ». Si tratta di un investimento da 8 milioni di euro che — almeno nelle mire del gruppo — avrebbe dovuto portare appalti e commesse. Non a casoMarco Toseroni, arrestato con l’accusa di essere uno dei collaboratori più fidati di Mokbel, dice: «Con Marco (Iannilli) ci sentiamo ogni due giorni. Gli sto già procacciando lavoro per Finmeccanica... il nostro avvocato di Singapore ci ha dato delle date fra il cinque, il sei... il sette a Singapore. Oggi mi ha chiamato, quello è estremamente operativo, ha già parlato con un ex capo comandante dell’Aeronautica militare di Singapore che è stato l’attaché».

Radar e computer
Vengono disposti nuovi controlli e ci si concentra sulla Selex. Il sospetto è che l’azienda abbia pagato numerose forniture pur non avendo mai ottenuto le apparecchiature che risultano elencate nei contratti. Queste false fatturazioni, per una cifra comunque superiore a quelle di mercato, avrebbero consentito di creare provviste di denaro poi trasferite all’estero. Non solo. L’accantonamento dei fondi sarebbe avvenuto attraverso l’acquisizione di società che in realtà erano «scatole vuote» ma servivano a giustificare la movimentazione dei soldi. I risultati delle rogatorie già effettuate dai magistrati, che si sono recati personalmente a Singapore e Hong Kong proprio per prendere visione degli atti, sono stati incrociati con la documentazione contabile acquisita durante la prima fase d’indagine. E così si è deciso di far scattare le perquisizioni. Del resto oltre alla Procura di Roma, fascicoli che riguardano Finmeccanica sono stati aperti a Milano e a Napoli. In particolare si sta cercando di ricostruire l’attività della «Elsag datamat» che, dopo aver partecipato all’appalto per la videosorveglianza della cittadella della polizia nel capoluogo partenopeo, ha poi ottenuto in esclusiva quello per i sistemi informatici del G8. I magistrati napoletani procedono per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta. L’ipotesi dei colleghi romani riguarda invece episodi di corruzione e di evasione fiscale. Una tesi che Finmeccanica smentisce ufficialmente quando «nega che siano mai stati costituiti fondi neri in Italia o all’estero».

Fiorenza Sarzanini

28 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_28/fondi_neri_finmeccanica_sotto_inchiesta_fiorenza_sarzanini_4afa89aa-6a1d-11df-bd58-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #65 inserito:: Giugno 02, 2010, 04:36:05 pm »

L’inchiesta - I verbali

La casa di Bertolaso, Zampolini accusa

«Pagava Anemone. Alloggi a Di Pietro. Lavori a chi era indicato da Prodi, Veltroni, Rutelli»


ROMA —«L’affitto della casa di via Giulia di Guido Bertolaso l’ho versato io per conto di Diego Anemone. Era un piccola casa, Diego mi dava i soldi in contanti che io portavo al proprietario. Aveva anche provveduto a ristrutturarla». È il 18 maggio. Di fronte ai magistrati di Perugia parla l’architetto Angelo Zampolini. Conferma i sospetti degli inquirenti. E smentisce la versione fornita dal capo della Protezione civile che aveva negato fosse stato il costruttore a mettergli a disposizione quell’appartamento. Poi gli viene chiesto se sappia che tipo di rapporti c’erano tra l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro e Angelo Balducci. Zampolini glissa. Ma quattro giorni dopo chiede di essere nuovamente interrogato. E rivela: «Io so che Balducci fece avere al ministro due case in affitto a Roma attraverso la congregazione Propaganda Fide. La prima era in via della Vite ed è stata per un periodo una delle sedi dell’Italia dei Valori. L’altra era in via delle Quattro Fontane, credo fosse per la figlia. Anche in questo caso Anemone si occupò della ristrutturazione». Replica Di Pietro: «Escludo di aver preso quegli appartamenti, chiederò agli inquirenti di saperne di più». L’architetto Zampolini, che si era occupato dell’acquisto delle case per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il manager delle Infrastrutture Ercole Incalza — pagate in parte con i soldi di Anemone — conferma dunque la sua volontà di collaborare con i pubblici ministeri che indagano sugli appalti per i «Grandi Eventi». I carabinieri del Ros e la Guardia di Finanza stanno adesso verificando ogni dettaglio, compresi quelli che riguardano la scelta degli architetti per i lavori del G8 a La Maddalena e per le celebrazioni dell’Unità d’Italia. «Io fui estromesso, mentre lavoravano quelli indicati da Prodi, Veltroni e Rutelli», ha raccontato Zampolini.

L’affitto per Bertolaso e il ritardo dei pagamenti
Il riferimento a un appartamento di Bertolaso del quale si ignorava l’esistenza, viene rintracciato nella «lista Anemone». Accanto al cognome ci sono due indirizzi: quello di via Bellotti Bon, dove risiede con la famiglia, e quello in via Giulia. Poche ore dopo la pubblicazione dell’elenco, il Dipartimento della Protezione civile dirama un comunicato per affermare che «né lui né i suoi familiari possiedono alcun immobile in quella zona del centro della città. Per un breve periodo Bertolaso ha potuto utilizzare un appartamento in Via Giulia, posto nelle sue disponibilità da un amico — che non era il costruttore Anemone — e non ha mai notato nella sua permanenza attività di ristrutturazione, né di altre opere edili, che comunque non sarebbero state di sua competenza o responsabilità». A smentire questa versione ci pensa Zampolini. «L’amico — dichiara a verbale il 18 maggio — è proprio Anemone. Fu lui a incaricarmi di pagare l’affitto, 1.500 euro sempre in contanti. Ricordo che una volta c’era un ritardo di circa sei mesi e versai i soldi tutti insieme. Anemone si occupò anche della ristrutturazione dell’appartamento». Di tutto questo Bertolaso non aveva fatto alcun cenno durante l’interrogatorio del 12 aprile scorso, quando era stato convocato con il difensore perché indagato di corruzione. E aveva omesso di parlare anche dell’incarico ottenuto da sua moglie Gloria Piermarini per la ristrutturazione dei giardini del Salaria Sport Village, il circolo che Anemone aveva in società con il figlio di Angelo Balducci. Contratti sui quali sono stati disposti nuovi accertamenti.

Le case per il leader dell’Italia dei Valori
Quando l’interrogatorio sta per terminare i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavernesi chiedono a Zampolini se sia a conoscenza del tipo di rapporto che c’era fra Balducci e Di Pietro, quando quest’ultimo guidava le Infrastrutture. Il leader dell’Italia dei Valori è già stato ascoltato a Firenze come testimone, ha affermato di aver cacciato l’alto funzionario. Di fronte agli investigatori e al suo legale Grazia Volo, l’architetto tace. Ma il 22 maggio chiede di essere nuovamente sentito. E rivela: «Non è vero che Di Pietro ha cacciato Balducci, fu lui ad andare via perché era pressato dalle richieste del ministro che voleva essere introdotto in Vaticano. Io so che proprio Balducci gli fece avere in affitto due case di proprietà della congregazione Propaganda Fide. La prima si trova in via della Vite, nello stesso palazzo dove abita la giornalista Cesara Buonamici. Anemone si occupò della ristrutturazione e poi l’appartamento fu utilizzato come sede dell’Italia dei Valori. Non so se ha mai pagato l’affitto, comunque si trattava di una cifra molto bassa». Zampolini va avanti: «Mi risulta che Di Pietro chiese anche un’altra abitazione, era per la figlia. Si trova in via Quattro Fontane e ricordo che Anemone, oppure uno dei suoi collaboratori, mi disse che stavano facendo dei lavori di ristrutturazione per il ministro». L’architetto chiarisce che fu proprio lui a firmare alcune Dia, le «dichiarazioni di inizio lavori», poi depositate presso il Comune di Roma «anche se non ero sempre io ad occuparmene davvero».

L’Auditorium di Isernia per avere il via libera
Secondo l’architetto, Di Pietro quando era al governo «osteggiava gli appalti che erano stati programmati per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Erano lavori fortemente voluti da Romano Prodi e da Francesco Rutelli, mentre lui era contrario. Si convinse soltanto quando nel programma dei lavori fu inserito l’Auditorium di Isernia, per il quale erano stanziati oltre 20 milioni di euro. Appena fu approvato il progetto lui concesse il via libera anche a tutte le altre opere». Il 18 maggio, quando è stato interrogato dai pubblici ministeri di Firenze e Perugia, Di Pietro ha affermato di essere «un teste dell’accusa» e poi ha chiarito di non aver «mai ritenuto affidabili né Balducci, né Pietro Rinaldi», poi diventato commissario per i Mondiali di Nuoto e tuttora indagato per corruzione proprio perché accusato di aver accettato soldi e favori da Anemone. Una versione che Zampolini ha negato.

I progetti per La Maddalena
Durante il suo interrogatorio di dieci giorni fa, Zampolini si è soffermato sulle dinamiche del «sistema» messo in piedi per la gestione dei lavori e ha affermato che «durante il governo Prodi i miei progetti in vista del G8 a La Maddalena e delle opere per le celebrazioni dell’Unità d’Italia furono scartati perché venivano privilegiati altri». In particolare ha fatto due nomi. «Quelli che lavoravano erano Stefano Boeri, che era amico di Prodi e Rutelli. E l’architetto Napoletano che era amico di Walter Veltroni». Si tratta probabilmente del professionista che si è occupato anche della ristrutturazione del loft con vista sul Circo Massimo che è stato la prima sede del Partito democratico. Il nome di Boeri compare nelle carte processuali. Annotano i carabinieri del Ros: «Nella tarda serata del 31 luglio 2008 l’architetto Marco Casamonti riferisce al collega Stefano Boeri, cui è stata affidata la progettazione generale delle opere del G8 alla Maddalena, che la Giafi Costruzioni (Carducci Valerio), aggiudicataria di una di queste opere (un albergo) gli ha chiesto di predisporre la progettazione di una spa avendo verificato che il progetto predisposto dal tecnico incaricato, architetto Giovanni Facchini, è assolutamente carente... "Ti telefonavo per questo... mi ha chiamato una delle ditte che ha vinto le gare al G8... alla Maddalena... che sono quelli che han fatto con noi... sai... il concorso dell’Auditorium di Firenze. E devo venire alla Maddalena... ci hanno dato l’incarico di fargli una specie di spa per l’albergo... ma questo albergo pare che l’abbia progettato un certo Facchini... un nome così... e dice che è una cosa orrenda... ma tu l’hai visto questo progetto dell’albergo? Ma è veramente così brutto?". Boeri, dopo aver confermato che l’impresa Giafi Costruzioni è in difficoltà per l’esecuzione dei lavori a causa delle riscontrate carenze progettuali, comunica a Casamonti che provvederà ad organizzargli un incontro con l’ingegner Angelo Balducci che coordina l’intera attività edificatoria».

Fiorenza Sarzanini

02 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_02/sarzanini-bertolaso_71cba552-6e0d-11df-b855-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #66 inserito:: Giugno 03, 2010, 04:39:34 pm »

L’inchiesta -

L’attuale vertice della curia di Napoli nel 2004 gestiva gli immobili di Propaganda Fide.

Il pm: il ministro avrebbe pagato un quarto del prezzo Il vescovo e il palazzo «svenduto» a Lunardi

Parla Zampolini: Sepe convinto da Balducci. «Un altro monsignore diede le case a Di Pietro»


ROMA — C’è un monsignore che gestiva le case in affitto per conto della congregazione Propaganda Fide ed era in contatto con Angelo Balducci e Diego Anemone. A parlare di lui davanti ai magistrati di Perugia è stato l’architetto Angelo Zampolini, al quale i due avevano affidato il compito di curare le operazioni immobiliari. «Si occupava delle assegnazioni, mentre i contratti di vendita erano firmati dal cardinale Crescenzio Sepe. Nel 2004 fu proprio lui a cedere all’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi il palazzo di via dei Prefetti», ha raccontato. Uno stabile che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato acquistato a un quarto del suo valore effettivo. Un «favore» che l’alto prelato—attualmente arcivescovo di Napoli — avrebbe fatto anche su pressione dello stesso Balducci, da lui stesso inserito nel comitato dei saggi dell’istituto religioso. Lunardi ha sempre smentito di aver ottenuto sconti o trattamenti privilegiati, ma su quell’acquisto si continua a indagare visto che fu proprio Zampolini a curare la trattativa.

I prelati e gli affitti
L’inchiesta sulla gestione degli appalti per «Grandi Eventi» continua dunque a puntare verso il Vaticano. Perché è proprio da Propaganda Fide che politici e potenti funzionari statali avrebbero ottenuto appartamenti a prezzi stracciati. Dimore che Diego Anemone provvedeva poi a ristrutturare, come risulta anche dalla lista dei clienti trovata dalla Guardia di Finanza nel computer di una delle sue aziende.
In quell’elenco ci sono pure gli stabili di via della Vite e di via Quattro Fontane, lì dove, racconta l’architetto, «Antonio Di Pietro prese due appartamenti». Nel primo c’era la sede del giornale dell’Italia dei Valori e ora si sta accertando se, come emerge dai primi accertamenti, il canone versato fosse inferiore a quello dichiarato nei documenti ufficiali. Nell’altro vive il tesoriere del partito Silvana Mura. In calce al suo contratto c’è la firma di monsignor Francesco Di Muzio, capo dell’ufficio amministrativo della Congregazione. Potrebbe essere proprio lui il prelato cui ha fatto riferimento Zampolini, ma gli inquirenti vogliono verificare anche il ruolo avuto in questo tipo di trattative da monsignor Massimo Cenci, nominato proprio da Sepe sottosegretario e dunque delegato alla gestione del patrimonio da affidare in locazione.

La manutenzione delle case
Sono numerosi i contratti che Guardia di Finanza e carabinieri del Ros stanno esaminando per ricostruire la mappa dei favori concessi da Anemone e Balducci attraverso gli amici della Santa Sede. Del resto Zampolini racconta che «anche Di Pietro chiedeva al Provveditore di essere introdotto in Vaticano e so che lui andò via dal ministero proprio perché diceva di essere pressato su questo». Il leader dell’Idv è stato già interrogato come testimone nei giorni scorsi ed è possibile che venga ascoltato nuovamente quando saranno terminate le verifiche su quanto è emerso sino ad ora. Oltre alle dichiarazioni rilasciate da Zampolini, nelle sedi delle imprese di Anemone sono stati infatti acquisiti tutti i contratti ottenuti per la manutenzione degli stabili e uno degli incarichi più remunerativi era certamente quello assegnato al giovane imprenditore da Propaganda Fide. Le buone entrature di Balducci presso la Santa Sede sono note e dimostrate anche dal fatto che fosse stato nominato Gentiluomo di Sua Santità. A raccontare che anche Anemone era ben introdotto negli stessi ambienti è stato invece il suo ex autista, il tunisino Laid Ben Hidri Fathi, quando ha rivelato che «lui si occupava delle ristrutturazioni delle case di politici e prelati ed ero io ad accompagnarlo da monsignor Francesco Camaldo». L’incrocio delle testimonianze rilasciate da Fathi e da Zampolini ha consentito ai pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi di ricostruire le operazioni immobiliari che entrambi hanno gestito. A Fathi era stato infatti affidato il compito di prelevare i contanti sui conti correnti di Anemone che venivano poi consegnati a Zampolini e trasformati in assegni circolari. Titoli utilizzati per acquistare appartamenti per l’ex ministro Claudio Scajola, per il generale dei servizi segreti Francesco Pittorru e per il genero del manager delle Infrastrutture Ercole Incalza.

I nuovi conti
L’esame dei depositi bancari affidati dall’imprenditore ad alcuni prestanome — tra gli altri il suo commercialista Stefano Gazzani e la segretaria Alida Lucci — avrebbe già portato la Guardia di Finanza sulle tracce di altri «favori» concessi a chi poteva agevolare Anemone nell’assegnazione degli appalti. Le verifiche effettuate avrebbero infatti consentito di accertare il percorso dei soldi e la destinazione finale, in alcuni casi estera. In attesa di fissare l’interrogatorio dell’ex ministro Claudio Scajola, i magistrati si stanno concentrando sulla ricostruzione degli altri contratti per legare ogni «favore» concesso da Anemone alla contropartita poi ricevuta.

Fiorenza Sarzanini

03 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_03/Il-vescovo-e-il-palazzo-svenduto-a-Lunardi-fiorenza-sarzanini_9172ec7c-6ecf-11df-bfef-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #67 inserito:: Giugno 05, 2010, 05:17:39 pm »

L’indagine

Sequestrati dal suo commercialista migliaia di documenti

Gli affari e i nomi dei potenti

Trovato il grande archivio

I pm ora trattano per convincere Anemone a parlare


ROMA — Appalti pubblici, ristrutturazioni, incarichi ai consulenti: è stata trovata nell’archivio del commercialista Stefano Gazzani la nuova lista tuttora all’esame dei pubblici ministeri di Perugia. Sono 34 i faldoni sequestrati nello studio del professionista che curava gli affari di Diego Anemone, ma anche quelli del Provveditore Angelo Balducci e del funzionario Mauro Della Giovampaola. Migliaia di documenti acquisiti dai carabinieri del Ros che servono a ricostruire l’attività dell’imprenditore accusato di corruzione, l’elenco dei suoi clienti, i rapporti economici con i privati, ma soprattutto con gli enti pubblici. E uno dei «contenitori» ritenuto di maggior interesse investigativo è il numero 33, contrassegnato dalla dicitura «appunti Gazzani». Proprio per cercare di ottenere nuove conferme a quanto già emerso dalle intercettazioni telefoniche e dall’esame dei documenti contabili, i magistrati hanno proposto allo stesso Anemone una sorta di patto che preveda una linea morbida in cambio della sua collaborazione. E non escludono, nonostante le smentite ufficiale dei legali, di riuscire ad aprire una breccia.

Le due cassette
È il verbale di sequestro allegato al fascicolo processuale messo a disposizione degli indagati, a rivelare quanto è stato portato via dai militari dell’Arma: oltre al computer personale di Gazzani, quelli dei suoi collaboratori, almeno quattro chiavette Usb e le chiavi di due cassette di sicurezza che si trovano in una banca di San Marino. Poi c’è l’intero archivio con i faldoni divisi per nominativo e contenenti tutti i documenti relativi alle aziende, compresa la contabilità. E ancora: l’elenco dei clienti e quello dei consulenti utilizzati per effettuare i lavori, soprattutto quelli pubblici. Tra le carte, è stato rintracciato pure il resoconto di una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza negli anni scorsi. «Tutto è stato fatto secondo le regole - afferma l’avvocato Bruno Assumma - e lo dimostreremo proprio analizzando questa documentazione ».

Gli inquirenti sono convinti che numerosi lavori, soprattutto quelli effettuati negli appartamenti di privati, servissero ad Anemone a rafforzare la rete che gli consentiva poi di aggiudicarsi gli appalti pubblici. Il resto lo avrebbero fatto le «mazzette » versate. Nel «porto franco » di San Marino Gazzani è stato certamente svariate volte. Lì aveva accompagnato anche la madre di Claudio Rinaldi, il commissario dei Mondiali di Nuoto accusato di corruzione perché sospettato di aver preso soldi in cambio di alcune autorizzazioni concesse ad Anemone. E dunque il contenuto delle due cassette potrebbe rivelare nuovi dettagli su eventuali tangenti versate a funzionari e politici.

La trattativa
Proprio per avere chiarimenti su quanto emerso sino ad ora, i pubblici ministeri Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi avevano convocato Anemone per un interrogatorio. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere », ha spiegato lui, ma qualcosa potrebbe cambiare nel suo atteggiamento. Sono stati gli stessi magistrati a prospettargli l’ipotesi di una collaborazione nel tentativo di aprire uno spiraglio. Sul tavolo della trattativa la Procura di Perugia può mettere il ritiro dell’istanza sul commissariamento delle aziende. L’udienza è fissata per mercoledì prossimo 9 giugno, dunque i tempi sono stretti. Però basterebbe una minima apertura dell’indagato per orientare le scelte dell’accusa. Una sorta di accordo che potrebbe comprendere anche il via libera al patteggiamento.

Ufficialmente i difensori smentiscono. «Posso escludere - dichiara l’avvocato Claudio Cimato - che il mio cliente abbia intenzione di parlare. Del resto non abbiamo ancora visto le carte processuali e fino alla discovery completa non ci sarà alcun cambio di linea». Parole che ricalcano quelle pronunciate un mese fa, nonostante Anemone avesse appena accettato di rispondere alle domande di un finanziere che si era presentato nel carcere di Rieti un’ora prima del suo ritorno in libertà. In quell’occasione l’imprenditore smentì la versione fornita dal generale dei servizi segreti Francesco Pittorru sulle due case regalate. «I soldi erano un prestito», aveva messo a verbale l’alto ufficiale. Anemone spiegò che aveva detto il falso.

Fiorenza Sarzanini

05 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_giugno_05/sarzanini-trovato-archivio-nomi-potenti_cd74869e-706a-11df-aae4-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #68 inserito:: Giugno 07, 2010, 11:15:56 pm »

L'inchiesta G8

Gli appalti e i conti bancari segreti

Trovato il prestanome di Balducci

È un collaboratore del commercialista che custodiva l’archivio di più indagati


Conti correnti bancari «riconducibili alla famiglia Balducci, ma intestati a Fernando Mannoni». Il verbale di sequestro del materiale trovato nello studio del commercialista Stefano Gazzani rivela l’esistenza di un prestanome che custodiva i soldi del Provveditore ai Lavori Pubblici. E ne svela l’identità, individuandolo come uno dei collaboratori del professionista che curava anche gli affari di Diego Anemone.

Esiste dunque una provvista di denaro che Balducci aveva intenzione di far sfuggire ai controlli. Dopo la scoperta di un conto in Lussemburgo con circa 3 milioni di euro, i carabinieri del Ros afferrano la traccia di un nuovo tesoretto. L’esame dei documenti già acquisiti presso gli istituti di credito dovrà adesso accertarne la provenienza, anche se le prime verifiche hanno già fornito dettagli di interesse investigativo su passaggi che portano direttamente al costruttore privilegiato nell’assegnazione degli appalti per i «Grandi Eventi».

La perquisizione risale a circa tre mesi fa. Quando i militari dell’Arma entrano nello studio del commercialista chiedono di poter visionare tutte le carte relative a Balducci, Anemone e Mauro Della Giovampaola, il funzionario delegato alla gestione del G8 a La Maddalena arrestato per corruzione e tornato in libertà per scadenza dei termini. Trovano gli estratti relativi e centinaia di conti e si soffermano su quelli intestati agli indagati. Analizzando le movimentazioni si accorgono però di un’anomalia che riguarda le disponibilità di Balducci e dei suoi figli. C’è un nome che ricorre, pur non avendo alcun legame evidente con loro. È, appunto, quello di Mannoni. Chiedono chiarimenti e scoprono che in realtà l’uomo è uno dei collaboratori di Gazzani. Il suo computer, insieme a chiavette Usb e altro materiale informatico, è stato appena sequestrato.

La circostanza appare subito sospetta: che motivo ha, la famiglia Balducci, di intestare i propri conti a un prestanome se la provenienza dei soldi è lecita? Ma soprattutto, come mai è stato scelto un collaboratore del commercialista che il Provveditore ha in comune con Anemone? L’ipotesi degli investigatori, che avrebbe già trovato primi riscontri, è che quei depositi siano serviti a far transitare il denaro che il costruttore versava dopo aver ottenuto gli appalti. E dunque che il prezzo di quelle assegnazioni non fossero soltanto gli appartamenti, i viaggi con l’idrovolante, le vacanze e persino i domestici assunti e messi a disposizione di Balducci e di sua moglie. A fare la differenza sarebbero stati i contanti per Balducci che Gazzani avrebbe provveduto ad occultare grazie alla disponibilità di una persona che lavorava al suo fianco.

Il commercialista, a sua volta titolare di decine di depositi, è stato segnalato dalla Banca d’Italia per alcune operazioni sospette riconducibili alla «cricca». Iniziative finanziarie che potrebbero nascondere l’acquisto di beni o il passaggio di denaro da utilizzare come tangente. Del resto lui stesso ha avuto un ruolo attivo negli interventi di ristrutturazione nelle case di politici e funzionari dello Stato: è socio con Anemone della società «Tecnowood srl» che ha effettuato numerosi lavori, compresi quelli nel villino del capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. E dunque è a conoscenza di tutti i rapporti personali gestiti dall’imprenditore, delle frequentazioni che gli hanno consentito di ottenere poi una posizione privilegiata quando si trattava di aggiudicarsi appalti e commesse.

Le intercettazioni telefoniche hanno rivelato che proprio Gazzani si recava ad incontrare il generale della Guardia di Finanza, poi passato ai servizi segreti, Francesco Pittorru che prometteva rivelazioni sulle indagini in corso e per questa sua disponibilità ha ottenuto due appartamenti e l’assunzione della figlia presso il Salaria Sport Village.

Insieme all’architetto Angelo Zampolini, il commercialista è certamente uno degli uomini più fidati di Anemone. Dal suo studio i carabinieri del Ros hanno portato via anche 34 faldoni che documentano la contabilità delle aziende, l’elenco dei fornitori, quello dei consulenti. Migliaia di fogli che disegnano la rete dei contatti. E per questo fanno paura a molti.

Fiorenza Sarzanini

07 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_07/sarzanini-appalti-conti-bancari-prestanome-balducci_089f5c80-71f6-11df-9357-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #69 inserito:: Giugno 16, 2010, 02:28:21 pm »

Il G8 e gli appalti - L’inchiesta

«Patto politico per i lavori in Abruzzo Una riunione con Letta e Verdini»

Barattelli e i legami con Fusi: a Palazzo Chigi fu trovato l’accordo sulle commesse

Il G8 e gli appalti - L’inchiesta


ROMA — «Sapevamo che la Btp aveva appoggi politici e per questo abbiamo chiesto di lavorare con loro in vista dell’assegnazione dei lavori per la ricostruzione del dopo-terremoto. Ci siamo rivolti alla Carispaq, la Cassa di Risparmio dell’Aquila, ed effettivamente poi siamo stati ricevuti a Palazzo Chigi da Gianni Letta insieme all’onorevole Denis Verdini. Tre giorni dopo quella riunione è stato costituito il Consorzio Federico II». C’è un testimone prezioso che può dare una svolta all’indagine sugli appalti assegnati in Abruzzo. È Ettore Barattelli, presidente del sodalizio di imprese che poi riuscì ad aggiudicarsi l’appalto per la scuola Carducci e quello per i puntellamenti nel centro storico. Dunque, uno dei costruttori che partecipò personalmente alle trattative per la spartizione delle commesse. La scorsa settimana aveva manifestato la volontà di essere interrogato dai magistrati che indagano sulle procedure di assegnazione delle commesse. E cinque giorni fa, l’11 giugno, accompagnato dal suo legale, si è presentato davanti al procuratore Alfredo Rossini. «Le grosse entrature» Trova dunque conferma quanto era già emerso nelle conversazioni intercettate dai magistrati di Firenze che indagavano sui «Grandi Eventi». Si delinea l’accordo preso a livello politico per modulare i tempi e così scegliere le aziende da impiegare. Ed è proprio su questo che si concentrano adesso le verifiche dei pubblici ministeri.

Bisogna infatti stabilire la regolarità di quel patto che ha fornito il via libera alla costituzione del Consorzio mettendolo in una posizione privilegiata rispetto ad altre società che avrebbero potuto partecipare alle gare per l’assegnazione dei lavori. In primo piano rimane quella Btp di Riccardo Fusi finito sotto inchiesta in Toscana proprio perché sarebbe stato agevolato dal suo amico Verdini nella trattativa per la costruzione della Scuola dei marescialli. E che avrebbe sfruttato la stessa strada per lavorare a L’Aquila. Racconta Barattelli: «Noi imprenditori abruzzesi —parlo di me, ma anche della "Vittorini Emidio Costruzioni" e della "Marinelli ed Equizi" — ci siamo rivolti ai dirigenti della Carispaq perché volevamo lavorare con Btp. Sapevamo che aveva grosse entrature con il governo e dunque ci muovemmo. Ci fu un incontro presso la sede della banca alla quale partecipai io, il presidente della Btp Fusi e il procuratore della stessa azienda Liborio Fracassi. Trovammo un accordo e il 12 maggio fummo convocati a Palazzo Chigi». Quanto accaduto nelle settimane precedenti era stato ricostruito nelle informative dei carabinieri del Ros attraverso l’ascolto delle telefonate. Il 14 aprile 2009 Verdini avverte Fusi che una terza persona non specificata «mi voleva vedere per il consorzio per intervenire sul terremoto ». A questo punto l’imprenditore prende contatto con le banche per i finanziamenti. E un mese dopo, l’11 maggio, comunica a Fracassi che «ci sono concrete probabilità di successo». La sera gli invia anche un sms per confermargli un incontro per il giorno successivo: «Appuntamento a Palazzo Chigi alle ore 17.30». L’incontro da Letta Tre minuti dopo, nuovo sms per assicurare che «l’indomani all’incontro potrà partecipare il direttore della Cassa di Risparmio dell’Aquila (Rinaldo Tordera)».

Il giorno dopo, Fusi avvisa un’amica di essere «qui a Palazzo Chigi... Sono da Letta qui in sala d’attesa». È Barattelli a raccontare i dettagli. «Oltre a me e Fusi, c’erano il direttore della Carispaq Rinaldo Tordera e il vicedirettore Angelo Fracassi. Poi Letta e Verdini. Analizzammo tutti gli aspetti della vicenda e fu raggiunto l’accordo». Nelle stesse ore, come hanno accertato gli investigatori, l’amministratore della Btp Vincenzo Di Nardo incontra gli altri imprenditori e alla fine manda un sms a Fusi: «Finito ora riunione con abruzzesi e loro commercialista. Definiti e scritti tutti i testi x costituzione società che avverrà venerdì all’Aquila presso banca». Alle ore 19.19 di quello stesso giorno Fusi viene contattato dal suo collaboratore Bartolomei per sapere com’è andata la riunione e i carabinieri danno conto della telefonata: «Fusi lo informa dell’esito più che positivo degli incontri odierni, lasciando intendere che l’intervento dell’onorevole Verdini è stato determinante ». Adesso è Barattelli a confermare la procedura seguita: «Tre giorni dopo, presso la sede della Carispaq abbiamo costituito il Consorzio Federico II e poi abbiamo preso i lavori.

A noi è stata assegnata la ricostruzione della scuola Carducci e il puntellamento degli stabili pericolanti. In tutto 4milioni di euro». In realtà, secondo i calcoli fatti dai carabinieri, i lavori hanno portato nelle casse delle aziende 7 milione e 300.000 euro. Ed è soltanto l’inizio. Se si esclude l’appalto per la fornitura dei prefabbricati, altri lavori dovranno essere assegnati nelle prossime settimane e le aziende che fanno parte del Consorzio rimangono in prima fila nella spartizione. Per questo nei prossimi giorni potrebbero essere interrogati gli altri imprenditori che hanno partecipato al Filippo II, ma anche quelli che invece sono stati esclusi dalla spartizione degli appalti. Anche perché nelle carte trasmesse dai magistrati di Firenze ai colleghi dell’Aquila ci sono gli altri contatti che preludono alla ricerca di nuovi appoggi per ottenere i lavori. Come quell’sms che Fracassi invia a Fusi «la mattina del 6 giugno 2009 per informarlo che a breve saranno avviati i lavori per la ristrutturazione del Palazzo Brancomio a L’Aquila».

Fiorenza Sarzanini

16 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #70 inserito:: Giugno 21, 2010, 04:11:34 pm »

L'INCHIESTA

Il cardinale Sepe e il restauro fantasma

Le carte dell'inchiesta: 2,5 milioni ricevuti per lavori mai completati.

L'architetto Zampolini diresse il cantiere

   
ROMA - Nell’autunno del 2003 la facciata del palazzo di Propaganda Fide in piazza di Spagna viene completamente avvolta da un ponteggio esterno. «Manutenzione provvisoria e restauro» si legge sulla targa che segnala lo stato dell’opera. Il progettista è l’architetto Angelo Zampolini, che sette anni dopo diventerà noto per essere l’uomo di fiducia di Diego Anemone, il custode di molti dei suoi segreti. L’impresa a cui sono affidati i lavori è la ditta Carpineto, che in una recente informativa del Ros viene definita «vicina» ad Angelo Balducci, ex Provveditore alle Opere Pubbliche.

«Incongruo»
È solo l’inizio di quegli interventi che nel 2005 beneficeranno di un finanziamento statale da 2,5 milioni di euro, sul quale anche alcuni organi di controllo avevano sollevato molte perplessità. Il primo allarme, infatti, arrivò dalla Corte dei conti, sollecitata da una denuncia del sindacalista della Uil Gianfranco Cerasoli. L'iscrizione nel registro degli indagati del cardinale Crescenzio Sepe, presidente di Propaganda Fide del 2000 al 2006, e dell’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, è stata decisa dalla Procura di Perugia dopo l’acquisizione di una relazione della Corte dei conti nella quale si definisce «incongruo» e «non motivato» lo stanziamento della cifra, destinata a un palazzo extraterritoriale, essendo di proprietà del Vaticano. La stranezza di quella vicenda, e il fatto che i lavori non ebbero mai fine, hanno convinto i pubblici ministeri di essere in presenza di una contropartita concessa da Lunardi - firmatario del decreto insieme all’ex ministro della Cultura Rocco Buttiglione - in cambio dell’acquisto a prezzi decisamente vantaggiosi di una palazzina di Propaganda Fide in via dei Prefetti, a Roma. L’andamento di quel restauro ha sempre avuto una sorte accidentata. Il primo ponteggio venne smontato nel febbraio 2004. I lavori ripresero nell’estate del 2005, sempre con lo stesso progetto, dopo che all’interno degli «interventi in materia di spettacolo ed attività culturali» previsti per il varo di Arcus, la spa governativa che si occupa di edilizia culturale, venne deciso uno stanziamento di 2,5 milioni di euro per il restauro del palazzo. Cambiò la ditta appaltante, con l'ingresso della Italiana Costruzioni.

La Corte dei conti
Il totale delle spese previste per un secondo blocco di 26 lavori deliberato da Arcus era di 24,70 milioni di euro. La voce più alta nel capitolo riguardante gli ultimi 13 interventi previsti era proprio quella relativa alla palazzina del Vaticano. Al secondo posto, i lavori per la Metropolitana di Napoli, nelle stazioni Duomo e Municipio (1.5 milioni). In una relazione sul funzionamento generale di Arcus, la Corte dei conti critica pesantemente l’assenza di un regolamento attuativo, previsto in origine ma mai redatto. In questo modo, scrivono i giudici, le scelte non vengono mai fatte da Arcus, ma direttamente dai vertici dei ministeri, senza la necessità di alcuna spiegazione. «Il soggetto societario in mano pubblica è stato trasformato in un organismo che in concreto ha assolto prevalentemente una funzione di agenzia ministeriale per il sostegno finanziario di interventi, decisi in via autonoma dai ministri e non infrequentemente ed a volte anzi dichiaratamente, indicati come integrativi di quelli ordinari, non consentiti dalle ridotte disponibilità correnti del bilancio». La mancata esplicitazione della logica delle decisioni operate «dai ministeri e non da Arcus», scrive nel 2007 la Corte dei Conti, «avrebbe portato a decisioni apparentemente non ispirate a principi di imparzialità e trasparenza».

Il sospetto
L’episodio della palazzina di piazza di Spagna viene considerato importante perché fa emergere il contesto di presunte reciproche utilità tra il ministro e il religioso. Ma all’esame degli investigatori c’è la gestione complessiva del nutrito comparto immobiliare di Propaganda Fide ai tempi in cui la congregazione era presieduta dal cardinal Sepe. Tra il 2001 e il 2005 molti appartamenti e palazzi di Propaganda Fide vennero ristrutturati proprio da Diego Anemone. Nei giorni scorsi i carabinieri del Ros di Firenze hanno acquisito dal ministero delle Infrastrutture altri appalti e stanziamenti decisi da Lunardi, per verificare se tra quelle carte non vi sia qualche altra utilità fatta giungere tramite Balducci e il ministero a Propaganda Fide. Inoltre sarebbero in corso accertamenti sull’assunzione di un nipote del cardinal Sepe presso l’Anas, azienda pubblica dipendente dalle Infrastrutture. Candidamente, Lunardi ha raccontato che a gestire gli immobili della congregazione era Balducci insieme a Pasquale De Lise, ex presidente del Tar laziale, recentemente nominato presidente del Consiglio di Stato, e al genero di quest’ultimo, l’avvocato Patrizio Leozappa. Gli investigatori avevano già segnalato in una informativa gli «stretti contatti» tra Balducci e De Lise, senza ulteriori precisazioni. In una conversazione del 4 settembre 2009 l’alto magistrato chiama Balducci e gli accenna al fatto che, su input di Leozappa, si è anche «occupato» - le virgolette sono dei carabinieri del Ros - di un provvedimento di rigetto del Tar del Lazio che avrebbe favorito il Salaria Sport village, la struttura riconducibile a Diego Anemone dove Guido Bertolaso avrebbe usufruito di alcune prestazioni sessuali. È un provvedimento per il quale Leozappa incassa i complimenti telefonici di Anemone, per poi replicare: «Io il mio lo faccio». Neppure il nome di Leozappa è inedito. Appare nell’inchiesta fiorentina sulla presunta cricca, perché lavora spesso con l’avvocato d’affari Guido Cerruti, scelto da Balducci per aiutare l’imprenditore Riccardo Fusi in un suo contenzioso con lo Stato e arrestato lo scorso marzo.

Il magistrato
L’ultimo nome noto ricorrente in questa nuova fase dell’inchiesta perugina è quello di Mario Sancetta. Il regolamento di Arcus del quale la Corte dei conti lamenta la mancanza era stato affidato in origine proprio a lui, magistrato di quell’organismo, attuale presidente di sezione, indagato a Perugia per corruzione. Gli investigatori si stanno rileggendo alcune intercettazioni riportate in una informativa del Ros dello scorso settembre. Il 25 giugno 2009, Sancetta è al telefono con Rocco Lamino, socio del Consorzio Stabile Novus, di cui faceva parte anche Francesco Piscicelli, l’imprenditore che rideva la notte del terremoto dell’Aquila. Sancetta si lamenta dell’atteggiamento inconcludente che hanno nei suoi confronti Lunardi e «il cardinale», identificato poi come monsignor Sepe, perché «non sufficientemente solleciti al soddisfacimento di richieste di commesse» che il magistrato gli avrebbe fatto pervenire. «Non è che sia molto conclusivo, sto’ cardinale - dice -. Io spero allora di incontrarlo, così gli do sto’ depliant… perché l’altra volta gli diedi tutto quel fascicolo che non serve a niente, insomma… come pure ora devo vedere la prossima settimana a coso… Lunardi… anche lui, perché lui mi ha obbligato… ma la gente si piglia le cose degli altri e non gli fa niente… quella è una cosa indegna». Il canovaccio si ripete in altre telefonate, nelle quali Sancetta accenna alla possibilità di sfruttare il suo rapporto con Lunardi per far avere a Lamino qualche commessa da parte di Impregilo («Ma non so se dargli fiducia…») oppure nell’ambito dei lavori post terremoto, magari facendo leva sul fatto che l’ex ministro ha ancora un procedimento pendente presso la Corte dei conti. «Con Lunardi - dice - c’abbiamo una questione ancora in sospeso».

Marco Imarisio
Fiorenza Sarzanini

21 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_giugno_21/sepe-restauro-fantasma-imarisio-sarzanini_346d1810-7cf6-11df-b32f-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #71 inserito:: Luglio 08, 2010, 10:58:46 am »

IL DIRITTO A ESSERE INFORMATI

Una libertà che è di tutti

Una giornata di silenzio che in realtà serve a parlare. Una giornata senza radio, televisioni, giornali e siti Internet per far sì che siano i cittadini a rivendicare il proprio diritto a essere informati.


Una giornata di silenzio che in realtà serve a parlare. Una giornata senza radio, televisioni, giornali e siti Internet per far sì che siano i cittadini a rivendicare il proprio diritto a essere informati. Perché la protesta indetta dalla Federazione nazionale della stampa non è la difesa corporativa dei giornalisti, ma il grido di allarme di chi si preoccupa per gli effetti che avrà la nuova legge sulle intercettazioni: limiti forti alla possibilità di diffondere notizie; di fare informazione.

Decine di parlamentari, non soltanto dell’opposizione, si sono espressi sui rischi delle nuove norme. Ma è stato soprattutto il presidente della Repubblica, fatto non usuale, ad evidenziare più volte le «criticità» del provvedimento che riscrive le regole per imagistrati ancor prima di quelle per la stampa. Sullo sfondo rimane lo scontro politico che di fatto sta trasformando questa legge in un trofeo per uno degli schieramenti - ormai trasversali - che riuscirà a farla approvare oppure a farla finire su un binario morto.

Si parla di intercettazioni, ma quello che riguarda le conversazioni telefoniche e ambientali è soltanto uno dei tanti divieti di pubblicazione. Nessun colloquio registrato potrà mai più essere reso noto fino alla celebrazione del processo, così come gli atti di indagine anche non più segreti, perché ormai conosciuti dalle parti. «Bisogna salvaguardare la privacy dei cittadini », ripetono i sostenitori della legge. Principio sacrosanto, è vero, ma che va salvaguardato senza intaccare il diritto-dovere dell’informazione.

La scelta di imporre ai giornalisti di poter soltanto riassumere le carte processuali in realtà aumenta il pericolo che il contenuto di ogni documento possa essere riportato in termini lacunosi o strumentali. E priva persino gli indagati o gli arrestati della possibilità di utilizzare, per far valere le proprie ragioni, quanto affermato dal giudice o dalla pubblica accusa. Almeno fino al dibattimento. In quella sede la privacy evidentemente non si deve più tutelare, visto che anche le intercettazioni potranno comunque diventare pubbliche.

La corsa all’approvazione della legge, con la possibilità che si proroghino addirittura le sedute della Camera fino a metà agosto come se ci si trovasse di fronte ad un’emergenza, non sembra giustificata. A questo punto dovrebbe essere la stessa maggioranza, di fronte a una mobilitazione forte e a un dibattito politico tanto acceso, a comprendere che il momento di fermarsi è ormai arrivato. Nessuno deve avere paura delle regole, tantomeno i giornalisti. Ma questo non può trasformarsi in una limitazione o addirittura in una censura preventiva. Esistono già leggi che puniscono gli abusi, anche per quanto attiene agli aspetti deontologici. Nulla vieta che si possano cambiare in alcune parti per renderle ancora più efficaci. Tenendo però sempre presente che conoscere quanto sta accadendo è un diritto primario dei cittadini. Il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca possono convivere, come avviene in tante altre democrazie. Perché da noi no?

Fiorenza Sarzanini



Domani venerdì 9 luglio i giornali non usciranno per lo sciopero indetto dalla Federazione nazionale della stampa contro il disegno di legge sulle intercettazioni. Il Corriere tornerà in edicola sabato. Il sito Corriere.it oggi giovedì sarà regolarmente aggiornato, domani venerdì aderirà alla giornata del silenzio, pubblicando uno speciale sul provvedimento all'esame del Parlamento.

08 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_luglio_08/sarzanini-liberta-di-tutti_68fa2414-8a4e-11df-966e-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #72 inserito:: Luglio 17, 2010, 10:35:34 pm »

I verbali

Anche il Sismi nell’operazione Finmeccanica

Un teste: al primo incontro il capocentro di Milano


Anche il Sismi era informato della acquisizione da parte di Finmeccanica della società «Digint», poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. A rivelarlo è stato uno dei soci di «Ernst & Young», ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire «fondi neri» all’estero. ROMA — Il Sismi, il servizio segreto militare, era informato dell’acquisizione da parte di Finmeccanica della società «Digint», poi ceduta all’organizzazione criminale che farebbe capo a Gennaro Mokbel. Un alto funzionario dell’intelligence avrebbe addirittura partecipato a una delle riunioni preparatorie e poi sarebbe diventato responsabile del settore sicurezza di Alenia in America. A rivelarlo è stato uno dei soci di «Ernst & Young», che gestì l’operazione finanziaria, adesso ritenuto testimone chiave nell’inchiesta che mira a dimostrare come l’affare servisse in realtà a costituire «fondi neri» all’estero. Dopo l’arresto di Lorenzo Cola, il consulente di Finmeccanica accusato di riciclaggio proprio perché avrebbe trasferito sui propri conti correnti i proventi pari a 8 milioni e 300 mila euro, il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e i pubblici ministeri delegati alle indagini hanno interrogato numerosi manager dell’azienda specializzata nei sistemi di difesa—compreso il presidente Pierfrancersco Guarguaglini — e anche quelli che ebbero un ruolo esterno. I loro verbali mostrano le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti, ma soprattutto rivelano l’esistenza di altre operazioni riconducibili a Cola per il trasferimento di denaro su depositi stranieri.

L’incontro a Milano con il capo degli 007
Il 9 luglio scorso viene convocato al palazzo di giustizia della capitale Giuseppe Mongiello, responsabile del settore fiscale dello «Studio Legale Tributario » partnership di «Ernst & Young». Cola è stato bloccato da poche ore mentre si accingeva a partire per gli Stati Uniti. Il testimone non si sottrae alle domande dei magistrati. «I miei rapporti con Finmeccanica per quanto riguarda la Holding sono con il presidente Guarguaglini, con il responsabile delle comunicazioni Borgogni e con il responsabile del settore fiscale Correale. Ho conosciuto Lorenzo Cola in quanto mi è stato presentato circa a metà del 2006, circa sei o sette mesi prima che avesse inizio l’operazione «Digint», da Guarguaglini o da persona di Finmeccanica vicina a Guarguaglini, come consulente esterno di Finmeccanica. Posso dire però con tranquillità che successivamente ho incontrato Cola in Finmeccanica e ho avuto la conferma dei rapporti molto stretti tra i due: posso qualificare Cola, se non come il braccio destro di Guarguaglini, sicuramente come suo uomo di fiducia. Dopo qualche mese Cola mi disse che Finmeccanica era intenzionata a rilevare una tecnologia di avanguardia di cui era in possesso la società Ikon, ma con modalità riservate. Ricordo anche che la prima volta Cola mi parlò di questa cosa a casa sua a Milano alla presenza di un militare, tale Maurizio Pozzi, che si presentò come capocentro Sismi di Milano e che ora so essere capo sicurezza Alenia in nord America (società che fa parte del Gruppo Finmeccanica, ndr). Pur non avendo modo di dubitare che Cola parlasse a nome di Finmeccanica per i suoi rapporti con la dirigenza, ne parlai con Luca Manuelli che era l’amministratore di «Finmeccanica Group Services» e anche perché era uso dello studio avere documentazione che attestasse gli incarichi ricevuti e ci fu uno scambio di note scritte. I miei interlocutori per questa operazione erano Cola, Manuelli e Borgogni, però ho assistito a telefonate fatte da Manuelli a Guarguaglini per ragguagliarlo direttamente su questa operazione». Dopo poco Mongiello aggiunge: «Avevo saputo da Cola che la tecnologia Ikon, che doveva essere trasferita a Finmeccanica tramite "Digint", gli era stata segnalata proprio da Pozzi, il capocentro Sismi. Per questo ragione io ho sempre ritenuto che Cola fosse vicino o comunque collegato ai Servizi. Questa circostanza, unita al fatto che essere molto vicino ai vertici di Finmeccanica mi induceva a non fare molte domande sulle indicazioni che mi forniva di volta in volta per effettuare le operazioni che mi venivano richieste. Voglio precisare, a conferma dei rapporti di cui godeva Cola all’interno di Finmeccanica, che lo stesso dava del "tu" a tutti i massimi vertici del Gruppo, cioè a Guarguaglini, Manuelli, Zappa, Borgogni, Giordo, alla moglie di Guarguaglini che è amministratore della "Selex Sistemi Integrati", e ad altri».

Riunioni e affari con gli uomini di Mokbel
È ancora Mongiello a confermare come l’operazione sia stata gestita sin dall’inizio con i personaggi—in particolare il senatore Nicola Di Girolamo e la «mente finanziaria » Marco Toseroni — poi arrestati con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione criminale che farebbe capo a Mokbel. Circostanza che Guarguaglini e gli altri vertici della holding hanno sempre negato. L’indagine condotta dai carabinieri del Ros ha consentito di verificare che attraverso la lussemburghese «Financial Lincoln » è stata costituita la società «Digint» che ha acquisito appunto il ramo d’azienda dalla Ikon che riguardava il tracciamento dei dati. Così il fiscalista ne ricostruisce i passaggi salienti: «Al momento della proposizione dell’operazione, Cola mi disse che le quote della società che venne individuata in una società lussemburghese — ottimo strumento per garantire la riservatezza della titolarità delle quote — dovevano essere divise in modo che il 51 per cento venisse riservato a lui o società che avrebbe indicato per conto di Finmeccanica e il restante 49 per cento diviso in parti uguali tra Albini e Mugnato (soci della Ikon ndr). Il 51 per cento riservato a cola fu in via provvisoria intestato a mia moglie in attesa di indicazione di Cola e preciso che lo sollecitai più volte a fornirmi indicazioni sull’intestazione definitiva. Posso dire che tutta l’operazione finalizzata al rilievo della "Financial Lincoln" e alla costituzione di "Digint" con tecnologia "Ikon" è stata effettuata su richiesta e per conto di Finmeccanica. Tutte le cariche interne a "Digint", amministratori e collegio sindacale, sono avvenute sempre su indicazione di Finmeccanica, in particolare di Manuelli su indicazione del vertice, ritengo Guarguaglini e Borgogni che si occupa delle cariche del Gruppo. Effettivamente ricordo che Cola ci presentò all’interno dello studio di via Romagnosi l’avvocato Di Girolamo e Toseroni come soggetti interessati, io ritenevo per suo conto, all’intestazione del 51 per cento delle quote che all’epoca erano, provvisoriamente, ancora in capo a mia moglie. Non ricordo se ci sono stati altri incontri con Di Girolamo e Toseroni. Sicuramente è venuto spesso Marco Iannilli (anche lui arrestato per concorso in riciclaggio con l’organizzazione di Mokbel, ndr) che seguiva l’operazione per Cola».

Il Fondo «schermo» voluto dal presidente
Secondo il testimone i vertici erano informati passo dopo passo dell’operazione. E per dimostrarlo cita un’altra circostanza: «Cola ci disse che Guarguaglini non gradiva che risultasse che Finmeccanica partecipasse in minoranza a una società controllata da una piccola società con minimo capitale sociale e peraltro di diritto lussemburghese, per cui Cola stesso ci disse che occorreva "schermare" questa titolarità riferendo la titolarità delle quote della "Financial Lincoln" al Fondo Allianz. Di questo si occupò Corrado Prandi, ex dipendente di "Ernst & Young" che io stesso ho presentato a Cola. Economicamente ho sempre ritenuto che si trattasse di un’operazione "neutra" nel senso che avveniva tutta all’interno di Finmeccanica, senza quindi pagamenti per le intestazioni di quote. Sono rimasto pertanto sbalordito quando ho letto su internet che Cola avrebbe ricevuto in pagamento per questa società "Digint" la somma di 8 milioni e 300 mila euro ». Proprio per conoscere il grado di conoscenza dell’operazione da parte dei vertici di Finmeccanica il 12 luglio scorso viene convocato come testimone il presidente Guarguaglini. Nel suo verbale ci sono diverse parti «omissate», ma nella sostanza ribadisce la regolarità dell’operazione «che mi fu proposta nella primavera del 2007 dallo studio "Ernst & Young" e per esso da Cola e Mongiello che mi parlarono di un software molto avanzato adatto alla difesa dei sistemi informatici di Finmeccanica che avrebbe potuto avere successo sia all’interno del Gruppo che in un momento successivo, attraverso la sua commercializzazione ». Guarguaglini sembra voler prendere le distanze da Cola e infatti afferma: «L’ho conosciuto tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, ma l’ho frequentato poco». In realtà a smentire questa circostanza, oltre a Mongiello, è il direttore generale di Finmeccanica Giorgio Zappa, che viene interrogato il giorno successivo e subito nega di essersi occupato dell’affare "Digint". «Ho conosciuto Cola dopo circa un anno e mezzo dal mio arrivo nel 2004 a Finmeccanica dalla Alenia di cui ero amministratore delegato. Cola, che frequentava il 7˚ piano di piazza Montegrappa, si era presentato nel mio ufficio ma io già sapevo che era ben conosciuto dal presidente Guarguaglini con cui peraltro successivamente l’ho visto più volte. Cola mi disse di provenire da Ms, ora diventata "Selex Sistemi Integrati", settore radar, e quindi già in precedenza dal mondo Finmeccanica. Ricordo che quando lo conobbi lui mi disse che conosceva Guarguaglini e la mogli Grossi da circa sette, otto anni. Con Cola ho avuto frequentazioni che si sono concretizzate in sette, otto incontri formali e quattro, cinque pranzi o cene ad alcune delle quali ha partecipato anche l’attuale presidente della Fondazione Ansaldo di genova, Luigi Giraldi. Cola vantava frequentazioni e conoscenze di rilievo in America, anche al Congresso, tanto che io ricordo di averlo segnalato al presidente di Alenia Nordamerica qualche mese prima del giugno 2007, epoca di aggiudicazione della gara in America per l’aereo C27J per la quale potevano essergli utili le conoscenze in America di Cola». Il 9 luglio, poco dopo l’arresto di Cola, viene interrogato Corrado Prandi, l’uomo che ne avrebbe gestito almeno in parte le disponibilità finanziarie. Anche nel suo verbale ci sono svariati «omissisi».

Operazioni all’estero ordinate da Cola
«La prima volta che ho fatto ingresso in Finmeccanica - racconta - è stato nel 2006, 2007 emi ha portato Mongiello. Non avevomai saputo che Cola fosse interessato a "Digint" e quando è venuta fuori la notizia sulla stampa, Cola mi disse che era stata creata da lui per fare una cortesia ai suoi due amici Mugnato e Albini. Nel 2008 ho conosciuto Iannilli e ho saputo che era il commercialista di Cola. Io avevo due conti utilizzati per Cola: il primo si chiamava Pinefold, aperto e chiuso perché confluito in Yorkel nel 2008, e Yorkel stesso. Cola mi ha chiesto il numero di conto Yorkel per far fare dei trasferimenti a Iannilli in suo favore. Iannilli ha trasferito sul conto di Cola complessivamente due o tre milioni di euro circa: ciò è avvenuto sul conto Yorkel nel 2008». Prandi inizialmente esclude «di aver ricevuto per conto di Cola trasferimenti di denaro dalla Smi di San Marino da parte di Iannilli nel 2007 e lo escludo quasi certamente anche per il 2008. Ho invece ricevuto nel 2009 somme di denaro, complessivamente inferiori a un milione di euro da Marco Iannilli dal conto Smi per conto di Cola». Ma di fronte alle contestazioni dei magistrati ammette di «aver conosciuto Iannilli nel 2007» e a questo punto rivela anche «l’esistenza di un conto in Svizzera che Cola aveva presso il Credito Agricole di Lugano». Quattro giorni dopo torna in Procura e «sciogliendo la riserva rispetto ad alcune dichiarazioni precedenti» aggiunge dettagli ritenuti molto importanti dagli inquirenti per la ricostruzione di altre operazioni finanziarie all’estero. Racconta Prandi: «Presso la Duddley, Cola riceve la somma di 780 mila dollari nel periodo agosto-ottobre 2007. Dallo stesso conto di Lugano, nei mesi successivi, vengono trasferite somme per l’importo complessivo di quattro milioni di dollari presso il conto Pamgard di Londra, da dove poi confluiscono presso lo studio legale Pavia di New York. Il motivo di trasferimento di questa somma è il seguente: in quel momento Cola aveva pensato di acquistare un immobile in un condominio cooperativa di New York che però non andò a buon fine per cui le somme pervenute allo studio Pavia per metà sono ritornate in Svizzera presso il conto Riolite e in parte sono confluite in un Trust poi utilizzato per l’acquisto di un appartamento a New York nella (5˚. Sul conto Riolite sono pervenute al Cola altre somme. In particolare è pervenuta a Cola dal 19 luglio al 14 agosto 2007 la somma di quattro milioni e 400 mila euro e poi nel settembre 2007 la somma di 200 mila euro. La provenienza delle somme sono da "Gartime" e "Emerald" società riferibili a Iannilli».

Fiorenza Sarzanini

17 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_17/Anche-il-Sismi-nell-operazione-Finmeccanica_456171e6-916b-11df-8c13-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #73 inserito:: Luglio 27, 2010, 09:36:14 am »

Confermato l’impianto accusatorio del pm Capaldo: pericolo di reiterazione del reato

«Appoggi politici alla società segreta»

Il Riesame e l’allarme sulla rete occulta: quei rapporti tra Verdini e Carboni


ROMA — L'associazione creata da Flavio Carboni con Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino è «un'organizzazione occulta che basa la sua forza su una fittissima rete di conoscenze e amicizie con soggetti ricoprenti cariche istituzionali di alto e altissimo rilievo, pronti a intervenire in aiuto del sodalizio in cambio di favori». Il tribunale del Riesame di Roma convalida così l’impianto accusatorio delineato dalle indagini condotte dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e avverte: «Emerge dagli atti un concreto e molto allarmante pericolo di reiterazione del reato; appare assolutamente necessario impedire che la prosecuzione dell’attività delittuosa condizioni ulteriormente gli equilibri istituzionali e l’affidabilità sociale di istituzioni pubbliche, anche di livello costituzionale, fra cui importanti uffici giudiziari ».

Soldi da «canali oscuri»
Per questo la scorsa settimana il collegio ha confermato la custodia cautelare in carcere degli indagati e ha inserito nella motivazione del provvedimento considerazioni pesanti anche sulla condotta dei parlamentari coinvolti nell’inchiesta. Nel documento è scritto: «L’associazione segreta risulta essere nota solo a pochissimi soggetti che le garantivano appoggio politico come l’onorevole Denis Verdini, ovvero che ad essa si rivolgevano per chiederne l’intervento o per aiutarla a portare a termine le azioni programmate in nome di interessi comuni come nel caso dell’onorevole Marcello Dell’Utri ». E ancora: «Per la realizzazione dei propri fini, l’associazione criminale risulta disporre di mezzi finanziari che Carboni reperisce da canali oscuri e che in parte destina ad operazioni atte a favorire Verdini». Il riferimento è al Credito Cooperativo Toscano e ai versamenti effettuati presso l’istituto di credito del quale il coordinatore del Pdl è stato presidente fino a ieri, con un’attenzione particolare all’investimento da quattro milioni di euro degli imprenditori di Forlì che secondo l’accusa doveva servire all’ingresso dell’affare riguardante gli impianti eolici in Sardegna e ai due milioni e 600 mila euro "negoziati" sempre da lui nel 2004. Ma non solo. I giudici analizzano una dopo l’altra le «interferenze» della presunta società segreta ed evidenziano come «il gruppo ha operato in un complesso intreccio di interessi condivisi, minacce, benefici procurati o promessi, il quale generava un potere di fatto che consentiva ai membri del gruppo di proporsi — perfino a personalità di alto livello—quali efficaci elementi di pressione e di intervento presso i più diversi organi dello Stato». Non a caso i giudici escludono che gli indagati «abbiano svolto attività di lobby», essendo invece «un gruppo di potere occulto e autonomo rispetto a quanti costituiscono l’ambiente nel quale esso si muove e con il quale pure instaura dinamiche complesse».

I sei giudici costituzionali
Un intero capitolo è dedicato alle pressioni sulla Consulta per la decisione sul Lodo Alfano. «Non si comprende— si sottolinea nell’ordinanza— come Lombardi potesse pensare di acquisire meriti agli occhi del capo del suo partito, che è anche presidente del Consiglio, svolgendo un’azione manifestamente illecita come il richiedere a giudici della Corte Costituzionale di esprimere a lui anticipatamente la decisione che avrebbero adottato il 6 ottobre 2009. Resta il fatto che tale ingerenza ci fu e venne esercitata su almeno sei giudici costituzionali che anticiparono a un soggetto come Lombardi la loro decisione, che tale operazione fu seguita con lamassima attenzione da Carboni e che l’intera operazione venne programmata nel corso della riunione del 23 settembre 2009 svoltasi presso l’abitazione romana di Verdini ». Gli indagati e alcuni partecipanti hanno sostenuto che quell’incontro serviva in realtà a proporre la candidatura a governatore della Campania al magistrato Arcibaldo Miller, attuale capo degli ispettori del ministero della Giustizia, presente insieme al collega Antonio Martone. Ma i giudici scrivono: «Si tratta di affermazioni palesemente false in quanto l’unico candidato sostenuto dall’associazione criminale era l’onorevole Nicola Cosentino e proprio della sua candidatura si discusse in quella riunione ».

Pressioni e depistaggi
Secondo i giudici del Riesame «lascia esterrefatti che un personaggio come Lombardi si sia potuto rivolgere con le sue volgari modalità al presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli e addirittura il primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone si premura di comunicare personalmente a Lombardi la data dell’udienza (relativa al ricordo di Cosentino; ndr) e riceve olio e promesse per il suo futuro. Con le stesse modalità Lombardi si rivolge a sottosegretari in carica nel presente governo come Giacomo Caliendo e Nicola Cosentino per ottenere aiuti nella realizzazione dei progetti del sodalizio ». In questo quadro i giudici inseriscono anche il dossieraggio contro il presidente della Campania Stefano Caldoro. «Ernesto Sica (l’assessore; ndr) — affermano — risulta essere la persona che ha fatto predisporre i dossier, mentre Cosentino segue la vicenda giorno per giorno, venendo informato da martino di ogni passo compiuto e concordando con questi cosa riferire a Verdini». I giudici evidenziano anche la volontà di depistaggio sottolineando come «gli associati disponevano di numerosissime utenze cellulari, spesso intestate a soggetti stranieri, al fine di poter comunicare riservatamente evitando il pericolo di essere intercettati». Una cautela che comunque non è bastata visto che sono state proprio le intercettazioni telefoniche e le successive verifiche a consentire di ricostruire «la metodica attività di interferenza del sodalizio e il suo fine di personale arricchimento e rafforzamento del proprio potere».

Fiorenza Sarzanini

27 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_27/sarzanini-verdini-carboni_83f9b672-9943-11df-882f-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #74 inserito:: Luglio 28, 2010, 10:58:13 am »

«Fogli anonimi contro Caldoro Ma ci giurò che erano falsità»

«Gli incontri su Lodo Alfano e soldi. Fu Marcello a organizzare tutto»

Il coordinatore del Pdl Verdini ai pm: «Non ho mai fatto pressioni su nessuno»


ROMA - «Non conoscevo né Lombardi, né Martino. Fu Marcello Dell’Utri a portarli a pranzo a casa mia. Con lui siamo amici da una vita, è una persona carismatica. Se lui viene con qualcuno che cosa dovrei fare? Non posso certo chiedere i documenti alle persone che lo accompagnano». Così, di fronte al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli, l’onorevole Denis Verdini— indagato per partecipazione all’associazione segreta e corruzione — ricostruisce i suoi incontri con le persone che avrebbero creato un’associazione segreta per pilotare nomine e affari e cerca di scrollare da sé ogni responsabilità. È il 26 luglio, due giorni fa. La verbalizzazione— come evidenzia il suo avvocato Franco Coppi — viene effettuata a mano «e soltanto per questo motivo l’interrogatorio dura circa 9 ore».

Via libera a Farris
Il coordinatore del Pdl risponde a tutte le domande e assicura di essere estraneo a illeciti e organizzazioni occulte. Lo fa con i suoi modi esuberanti, lasciandosi andare anche a espressioni colorite e a qualche battuta. E la sua linea di difesa non sembra convincere affatto imagistrati, soprattutto quando affronta il capitolo che riguarda i soldi che sarebbero arrivati da Flavio Carboni. Non a caso il professor Coppi anticipa «la consegna di una memoria che potrà chiarire quei passaggi apparentemente incongrui». È soprattutto su un punto che Verdini si mostra categorico: «Nonostante le manovre messe in atto contro Stefano Caldoro, io e Berlusconi abbiamo deciso di credere alla sua buona fede e lo abbiamo confermato candidato a governatore della Campania». Il verbale è lungo circa dieci pagine, i punti salienti sono sostanzialmente quattro: soldi, pressioni sui giudici, dossier Caldoro e affare eolico. Su questo ultimo punto Verdini dichiara di «non essere mai stato interessato perché non ci capivo niente». Ma sulla nomina di Ignazio Farris a direttore dell’Arpas ammette: «Carboni mi disse che aveva fatto una promessa e io gli dissi che andava bene. Per me non c’era nulla di illecito nel favorirlo».

I versamenti sospetti sul Credito
I pubblici ministeri gli contestano di aver preso 2 milioni e 600 mila euro dai conti insieme al coordinatore del Pdl in Toscana Massimo Parisi dalla «Ste, Società Toscana Edizioni» senza una causale credibile. Denaro che sarebbe stato versato dalla convivente di Flavio Carboni e ciò alimenta il sospetto che possa trattarsi del pagamento mascherato di una tangente. Verdini ribatte: «Nel 2004 il Giornale della Toscana aveva problemi e si fecero avanti un paio di imprenditori per rilevare alcune quote. Entrambi non erano però nelle condizioni di poter risolvere la questione. All’epoca riuscimmo comunque a salvare la situazione. Ultimamente ci sono stati altri problemi e nel maggio del 2009 uno di loro mi presentò Flavio Carboni. Mi disse che avendo quasi 80 anni voleva creare una voce per la Sardegna, voleva usare il mio giornale e creare un inserto. Parlava anche di aprire una radio e una televisione. Di lui sapevo che era stato coinvolto nella vicenda di Calvi, ma che era stato assolto. In ogni caso in quel momento era utile perché portava soldi, quindi cominciai a riflettere sulla possibilità di una sua proposta. Mentre stavo decidendo, Dell’Utri organizzò un pranzo all’Hotel Eden e quando arrivai trovai anche Carboni. Marcello mi disse che dovevo accettare e alla fine cedetti il 30 per cento delle quote. Fu versata la prima rata da 800 mila euro ma poi cominciò l’indagine della procura di Firenze e io decisi di bloccare tutto». I magistrati gli chiedono che cosa ci ha guadagnato Carboni da questa operazione, ma Verdini esita, dice che l’affare è rimasto in sospeso perché ci sono state difficoltà. Per quanto riguarda l’operazione con Parisi sostiene invece che «si tratta di una "partita di giro" che chiarirò con una memoria».

La riunione a casa sul Lodo Alfano
Dichiara Verdini: «Nel settembre scorso c’era un attacco mediatico contro Nicola Cosentino ma Silvio Berlusconi era convinto a fare fronte. Quando però arrivò la richiesta d’arresto si cominciò a pensare a un’alternativa e mi fecero il nome di Arcibaldo Miller. Fu dell’Utri a organizzare un pranzo che doveva svolgersi a casa mia. Gli chiesi quanti saremmo stati e mi rispose quattro, cinque persone. In realtà alla fine quel 23 settembre eravamo almeno sette, otto. Dell’Utri portò Carboni e si presentò con Lombardi e Martino che io non avevo mai visto prima. C’erano anche Miller, Giacomo Caliendo e il giudice Antonio Martone. Miller diceva di essere lusingato, ma non mi sembrava convinto e infatti quando lo presi da parte per capire che cosa pensava mi resi conto che era perplesso e questo lo rendeva un candidato non affidabile. In quell’occasione si parlò effettivamente del Lodo Alfano, ma come avveniva in tutta Italia, visto che mancavano dieci giorni alla decisione. Facevamo pronostici, cercavamo di capire come avrebbe votato ogni giudice e ricordo che Martone disse che non conta come sono stati eletti i giudici della Consulta perché alla fine votano in maniera autonoma. Io non ho mai effettuato pressioni su nessuno. Martino e Lombardi li avrò visti altre due o tre volte, ma certo non avevo bisogno che loro mi dicessero che cosa fare. Sono persone che valgono poco».

Il dossier Caldoro e l’incontro a Roma
Un lungo capitolo del verbale è dedicato alle pressioni per eliminare Caldoro dalla partita delle elezioni in Campania facendo credere che avesse frequentazioni con transessuali. Verdini ricostruisce così quanto accade in quei giorni: «Quando sfuma la candidatura di Cosentino per la richiesta di arresto arrivata in parlamento e si capisce che anche Miller non può andare bene, Berlusconi decide di puntare su Caldoro. Mi arriva in forma anonima un foglio che lo riguarda dove sono annotati alcuni alberghi, un elenco di nomi maschili e le date in cui li avrebbe incontrati. Chiedo informazioni a Cosentino e lui mi dice che si tratta di roba vecchia. Dopo un po’ però torna alla carica Ernesto Sica e mi consegna un foglio simile al precedente, con qualche dettaglio in più. A questo punto informo Berlusconi e siamo d’accordo di parlarne direttamente con Caldoro per capire che cosa stia accadendo. Lo chiamo e poi lo incontro a Roma in Parlamento. Lui giura su sua moglie e sui suoi figli che sono tutte falsità, mi assicura che non ci può essere niente di simile contro di lui. Io lo riferisco a Berlusconi e decidiamo di credergli e dargli fiducia confermando la sua candidatura». In realtà fuori verbale Verdini aggiunge anche un dettaglio per dare forza a quanto ha appena raccontato: «Caldoro mi disse che semmai il suo problema potevano essere le donne e io gli risposi "Non lo dire a Berlusconi, altrimenti ti fa ministro"».

Fiorenza Sarzanini

28 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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