LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 02:22:43 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1] 2 3
  Stampa  
Autore Discussione: GIOVANNA CASADIO. -  (Letto 19353 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Novembre 26, 2008, 03:58:04 pm »

POLITICA

Il leader di An: nei partiti serve democrazia.

La replica di Tremonti "Forza Italia è una monarchia ottemperata dall'anarchia"

Fini, messaggio a Berlusconi "No al cesarismo nel Pdl"

di GIOVANNA CASADIO

 

ROMA - L'accusa è di Gianfranco Fini: "C'è il rischio di cesarismo" nel partito unico del centrodestra.
In quel Pdl - annunciato da Silvio Berlusconi dal predellino di un'auto e che ora dovrebbe muovere i primi passi dopo la convention di scioglimento rapido di Forza Italia, venerdì scorso, e in vista del congresso di An - il pericolo "di cesarismo" è reale, concreto. Visto il modo con cui il Cavaliere si comporta, di solito. Non poteva essere più schietto, il presidente della Camera ed ex leader di An. Un riferimento esplicito a quanto si muove nella metà campo del centrodestra: "Ci vogliono paletti contro il cesarismo e questi sono rappresentati dalla garanzia di democrazia interna ai partiti".

In generale, Fini si dice "ottimista" sul futuro di quel partito e anche della vita politica italiana però, mani avanti: "Il Pd è nato, il Pdl sta nascendo. Se nei partiti per quanto carismatici, leggeri, fluidi c'è un metodo democratico allora c'è il paletto per evitare che il cesarismo prevalga. Del resto oggi un partito leggero deve porsi il problema di selezionare la classe dirigente e di guidare la pubblica opinione, non si può limitare a inseguirla che è poi la differenza tra leadership e followship...".

Parla Fini avendo accanto Giulio Tremonti, il ministro dell'Economia e Anna Finocchiaro la capogruppo dei senatori del Pd. L'occasione è la presentazione del libro del dipietrista Pino Pisicchio sui parti politici, appunto. Finocchiaro apprezza: "Nel Pdl c'è un rischio di cesarismo, ed è preoccupante che il Pdl enfatizzi il presidenzialismo di Berlusconi. Bene ha fatto Fini, anche perché il Pdl nasce dalla fusione di Forza Italia un partito mediatico e costruito attorno alla figura del suo leader, mentre An ha una struttura tradizionale, fatta di sezioni e confronti tra militanti".

Tremonti invece se la cava con una battuta sul fatto che "Forza Italia è una monarchia ottemperata dal più grande quadro di libertà anarchica". Un certo anarchismo, c'è. Sulla Vigilanza Rai per esempio, nonostante l'appello di Berlusconi affinché Riccardo Villari - il presidente della commissione eletto con un blitz del centrodestra - si dimetta, le cose vanno avanti. I membri del Pdl ieri si presentano in commissione come se nulla fosse, prendono parte all'ufficio di presidenza disertato dal Pd. È presente il centrista Roberto Rao che ha chiesto a Villari di fare un passo indietro, non avendo avuto risposta, si è alzato e se n'è andato.

Villari, supportato dall'assist del Pdl, pensa a un nuovo blitz: procedere in commissione al rinnovo del Cda della Rai, la vera posta in gioco. Nel Pd il clima è teso: scorretto è quanto avvenuto, sottolinea Fabrizio Morri, cioè l'approvazione del regolamento per la par condicio in Abruzzo, dove si vota il 15 dicembre; l'annuncio delle audizioni del direttore Claudio Cappon e del presidente della Rai, Claudio Petruccioli.

Nel coordinamento del Pd, si è parlato anche di Vigilanza, miccia dello scontro interno. Veltroni ha ripetuto: "Il premier dice di essere in grado di risolvere la crisi economica più difficile, troverà una soluzione per il "caso Villari"". Farlo dimettere cioè, lasciando lo spazio per l'elezione di Sergio Zavoli, il quale preferisce tacere: "Vediamo che piega prende...".

Villari, che ha avuto un colloquio con Piero Martino del Pd, convocherà forse martedì prossimo la commissione. Sempre sul cesarismo, allarme di Di Pietro ieri alla Camera: "Troppi decreti, attenti al cesarismo".


(26 novembre 2008)
da repubblica.it
« Ultima modifica: Settembre 09, 2010, 09:29:55 am da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Luglio 26, 2010, 10:27:11 am »

ENERGIA

Nucleare, Bersani frena Veronesi "Non dia alibi a piani pericolosi"

Il leader del Pd: governo velleitario, altro che scelta bipartisan.

Lo scienziato: "Non ho ancora deciso"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Ce n'è da fare di cose sull'energia, ma la strada è un'altra da quella che il governo sta prendendo. Quindi a Umberto Veronesi ho detto: professore, massimo rispetto per le sue scelte e la nostra stima lei ce l'ha tutta, senza meno, ma il rischio è di fornire alibi a un piano velleitario e inconcludente". Pier Luigi Bersani squaderna la questione del nucleare smontando il progetto del governo e, ammette, "a Veronesi ho spiegato tutto ciò che penso e temo, la mia è stata un'avvertenza".

Un suggerimento, anche, a non diventare la foglia di fico del Pdl e dell'esecutivo. Lo scienziato, e senatore pd, è tentato infatti di accettare la presidenza dell'Agenzia per la sicurezza del nucleare che gli è stata offerta da Stefania Prestigiacomo. Anche se ha ribadito che "sta ancora valutando". E soprattutto ha posto alcune condizioni per accettare: niente spartizioni partitiche dei componenti dell'Agenzia; avere completa libertà d'iniziativa. Una scelta "bipartisan" è quanto rivendica il ministro dell'Ambiente Prestigiacomo, ma pure una mossa per spaccare il centrosinistra sul nucleare.

Tant'è che la prima contromossa di Pd e Radicali è stata quella di porre la questione dell'incompatibilità tra il ruolo di parlamentare e quello di arbitro. Problema istituzionale, cioè di regole di funzionamento della democrazia - spiega Bersani - e non politico. "Mai stata in discussione la questione di una compatibilità o incompatibilità politica del senatore Veronesi con l'Agenzia, o quella sciocchezza, che ho letto, che gli avremmo chiesto disciplina di partito. Il problema non esistite, dal momento che Veronesi stesso afferma che il compito di parlamentare non è compatibile con quello di una authority. Questo è principio-base e generale che lui condivide".

Tuttavia, una separazione tra Veronesi e il Pd avverrà. Anche se Bersani ridimensiona: "Macché separazioni. Semplicemente valuterà lui.
Mi sono limitato a dare il quadro della situazione". Un quadro allarmante per il leader Pd, che la vacatio al ministero dello Sviluppo economico - dal momento che Scajola non è stato ancora rimpiazzato - non fa che peggiorare. "Un conto è se c'è un ministro in sella, ora la credibilità di ciò che nel governo stanno dicendo è ancora minore. Non ho mica idea di quali saranno i criteri di questa Agenzia, chi la comporrà".

Né vuole sentire parlare, Bersani, di scelta "bipartisan" a cui i democratici starebbero reagendo con un irrigidimento ideologico.
"Al ministro Prestigiacomo desidero dire che il nucleare è un sistema. In discussione non è una centrale, una Agenzia o un presidente dell'Agenzia: pensare di rientrare nel nucleare in questi modi abborracciati, non va. Non stiamo facendo pressioni sul professore Veronesi, però il Pd non può certo cambiare opinione: il piano del governo è sbagliato, velleitario e propagandistico".

Un problema energia in Italia però c'è. Aggirarlo sarebbe altrettanto velleitario, lo sanno bene i democratici e il segretario, i quali hanno dedicato al tema dibattiti accesi nel partito. Diviso il Pd? Bersani, che è stato ministro dello Sviluppo economico, ha una traiettoria: "È giusto che l'Italia si infili nella prospettiva e nella tecnologia della ricerca sul nucleare. Ma il programma del governo Berlusconi è di approssimazione totale. Noi dovremmo diventare il paese che passa dall'essere fuori dal nucleare al club dei quattro, tra cui Giappone e Usa, che fanno il 25% di produzione elettrica con il nucleare. Non abbiamo ancora chiuso la vecchia vicenda del nucleare, né siano riusciti a localizzare un deposito temporaneo per le scorie del nucleare precedente. Saremmo totalmente dipendenti dalla tecnologia importata".

Non solo. "Oscuro il metodo delle localizzazioni delle centrali, con procedure approssimative e da definire". E poi i costi. "I prezzi delle centrali che ha in mente il governo, se paragonati con quella che si sta formando in Finlandia, ti danno la misura di quanto sia illusorio il risparmio. È del tutto ipotetico". In definitiva, la bandiera-nucleare del governo "ci distrae dalle priorità di oggi che sono in primo luogo l'efficienza energetica e uno sviluppo razionale delle fonti rinnovabili: nella manovra di Tremonti entrambe le cose sono state assolutamente colpite". La direzione per il leader del Pd dovrebbe essere quella di "interventi subito per migliorare la resa energetica", di proseguire, perfezionandoli, con gli incentivi, e di posizionarsi nell'evoluzione di tutte le tecnologie, "non prendendone un pacco fatto totalmente da altri". Perché in futuro - osserva - "in tutto il mondo una quota di nucleare ci sarà ma neppure negli Usa pensano che sarà quella di oggi". Sul ministero dello Sviluppo economico Bersani attacca: "Ci ho passato anni ed ho un dispiacere personale. È una vergogna. Il ministero è stato smontato come un giocattolo e i pezzi buttati da tutte le parti. Chi arriva non so cosa trova".

(26 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/26/news/nucleare_bersani_frena_veronesi_non_dia_alibi_a_piani_pericolosi-5828520/?ref=HREC1-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Agosto 27, 2010, 09:04:12 pm »

LEGGE ELETTORALE

Ora i democratici sognano il blitz

Bersani vuole affossare il "Porcellum"

Il segretario Pd cerca i numeri per cambiare l'attuale sistema di voto.

In pista il "Mattarellum", in vigore dal 1994 al 2006, o il sistema tedesco.

Bocchino: "Se salta il governo, non per colpa nostra, valuteremo anche la riforma"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il ragionamento è semplice: se c'è uno showdown del berlusconismo, anche la Lega potrebbe essere interessata al cambiamento della legge elettorale. Nella partita politica vera che tra poco riprenderà ("Al chiacchiericcio d'agosto io ho voluto sottrarmi, altro che "rapito"...", scherza Bersani) il "pallino" sta qui. L'obiettivo di coalizzare una maggioranza solo sulla legge elettorale è forse meno remoto di quanto non si creda. Questo sarà il tentativo del Pd. Anche se per ora il segretario si mantiene sulle generali, però ha chiesto ai suoi approfondimenti e di studiare nuove ipotesi di riforma che presto metterà sul tappeto e sottoporrà a tutti. I messaggi e i colloqui di ieri - con il leader dell'Udc, Casini; con Tabacci dell'Api; con Di Pietro e soprattutto con Prodi - dopo la strategia democratica annunciata nella lettera a Repubblica vanno tutti in questa direzione. Per chiudere un'epoca, si deve cominciare riscrivendo le regole della rappresentanza.

 Lo sa benissimo Fini. E Italo Bocchino infatti ammette: "Per noi c'è una maggioranza e un impegno di legislatura a favore del governo Berlusconi. Ma se qualcuno vuole far saltare la legislatura contro la nostra volontà, allora si potrebbe valutare una convergenza non di tipo politico ma mirata a realizzare regole condivise a partire dalla legge elettorale". Insomma, la "sveglia" suonata da Bersani con la proposta di alleanza larga per sconfiggere Berlusconi - "coinvolgendo anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto normale sarebbero collocate altrove" - ha il suo punto di caduta nel cambiamento della legge elettorale. Il leader Udc, Casini lo ha detto e ribadito ieri: "Bene Bersani sul cambiamento della legge elettorale". Luca Montezemolo, aprendo a un governo istituzionale, aveva insistito: "Niente urne adesso ma un governo di scopo che faccia prima la riforma elettorale". Anche Raffaele Lombardo, il "governatore" della Sicilia ieri torna sul tema: "Il sistema è ingessato auspico una vera riforma elettorale".

Il nodo è certo quello di mettersi d'accordo su come cambiare la "legge porcata", secondo la definizione sincera del suo ideatore, il leghista Roberto Calderoli. Bruno Tabacci, portavoce dell'Api, il movimento fondato con Rutelli, l'ha ribadito nella telefonata con Bersani: "Caro Pier Luigi le tue proposte mi sembrano serie e valide quanto più si allontanano da quell'idea dell'autosufficienza del Pd. Se a qualcuno piace questo sistema elettorale forzatamente bipolare, in cui non funziona niente, fonte di leaderismo esasperato, si accomodi... ma è come andare avanti con la testa rivolta all'indietro.

Il "modello tedesco" è la via d'uscita. Sarebbe un patto di pacificazione, con uno sbarramento al 5%". Proporzionalista è Nichi Vendola. Il leader di "Sinistra ecologia e libertà", pronto alle primarie e a sparigliare nel centrosinistra, non gradisce di essere trascinato in "una disputa oziosa" e rileva soprattutto la rissosità del Pd sull'argomento. Walter Veltroni, si sa, ha lanciato l'allarme proprio sul rischio di abbandonare il bipolarismo. L'uscita ieri di Bersani su Repubblica sancisce il punto di massima distanza con Veltroni. Per tagliare la testa ai contrasti, Pierluigi Castagnetti ha ricordato che la soluzione c'è già ed è il ritorno al Mattarellum. E Di Pietro in un'intervista: "Se sono troppe le proposte di legge elettorale meglio tornare al Mattarellum. Se però c'è una convergenza sul sistema tedesco con sbarramento andiamo a vedere di cosa si tratta".

(27 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/27/news/ora_i_democratici_sognano_il_blitz_bersani_vuole_affossare_il_porcellum-6539931/?ref=HREC1-2
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Settembre 09, 2010, 09:27:07 am »

GOVERNO

Crisi, Berlusconi frena Bossi "Abbiamo i numeri, avanti tranquilli"

Il Senatur: "Pronti alla sfiducia".

Il Quirinale: "E' un problema puramente politico per cui non mi pronuncio"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il duo Bossi-Berlusconi stona. I due alleati di ferro hanno visioni opposte su come uscire dall'impasse in cui si trova il governo dopo lo "strappo" di Fini. Il leader della Lega vuole le elezioni anticipate, anzi il prima possibile: pur di andare al voto è disposto a sfiduciare Berlusconi. L'altra ipotesi leghista è che il Cavaliere si dimetta. Il premier invece, riunito l'ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli, frena e garantisce: "Noi andiamo avanti, dobbiamo governare. Serve responsabilità e stabilità, andremo avanti per il bene del Paese. Se poi ci sarà qualcuno che si assume la responsabilità di far cadere il governo, vuol dire che ora sta bluffando. Lavoriamo non per le elezioni ma per proseguire la legislatura, vogliamo garantire il governo del fare, io non vengo meno ai miei impegni e convincerò Bossi".

È una smentita secca di quanto Bossi aveva sostenuto appena poche ore prima conversando con i cronisti alla Camera. Il Senatùr si mostra di ottimo umore e improvvisa a Montecitorio una specie di show, con tanto di pernacchia rivolta a Fini. Dice che di "governo tecnico" proprio non se ne parla perché "abbiamo vinto noi le elezioni... abbiamo già in giro dei cornuti, la via d'uscita resta il voto, e se Berlusconi le vuole si fanno". L'invito-previsione è accompagnato da una minaccia: se è vero che spetta al presidente Napolitano decidere il da farsi davanti a una crisi di governo, "le forze politiche hanno una massa d'urto - sostiene - Pensate se io e Berlusconi portassimo dieci milioni di persone a Roma". Insomma, la Lega non teme nulla. "Ad avere troppa paura delle urne è la sinistra - afferma - l'ho detto pure a Violante. Farebbero di tutto pur di evitarle". E se Fini non si dimette da presidente della Camera, ebbene... una pernacchia è la risposta di Bossi. Per il quale certamente bisogna andare al Quirinale a parlare dell'incompatibilità di Fini con il ruolo di terza carica dello Stato. Anche su questo Berlusconi fa retromarcia: "Non è necessario andare da Napolitano". Un errore da matita blu nella grammatica istituzionale.

Al Colle il presidente del Consiglio andrà ma non per affrontare l'argomento-Fini.
In questa clima il presidente della Repubblica tiene la barra dritta. Napolitano gela Bossi: "Sfiducia? È un problema puramente politico su cui non mi pronuncio. È un annuncio, una scelta di cui non posso non prendere atto". E comunque, nessun incontro nell'agenda del capo dello Stato: "Gli incontri li prevedo quando mi vengono richiesti e finora non ho ricevuto nessuna richiesta di incontro". Quel che è certo è che Berlusconi andrà a fine settembre (tra il 28 e il 30) alla Camera per vedere se sui cinque punti programmatici già pronti gli sarà rinnovata la fiducia. Ne ha parlato il premier ieri anche con Raffaele Lombardo, il "governatore" della Sicilia e leader di Mpa, ricevuto a Palazzo Grazioli, e ne ha incassato l'appoggio. "Sono musica per noi le parole di Lombardo", sostiene Italo Bocchino il capogruppo di "Futuro e Libertà", il movimento di Fini, che continua a dichiarare la lealtà al governo.

Il presidente della Camera si è iscritto al gruppo di Fli, sfidando gli anatemi del Pdl. E in conferenza dei capigruppo Fabrizio Cicchitto lo attacca: "È incompatibile; Fini non è più super partes". "Sull'incompatibilità non rispondo in capigruppo", è la replica di Fini.
Di questa maggioranza - denuncia l'opposizione - non rimangono che brandelli. "Ci sono i resti, ormai sono tutti contro tutti", è la sintesi del pd Dario Franceschini. Pier Ferdinando Casini ironizza sulla disinvoltura con cui il Carroccio parla di sfiducia e di elezioni: "Elementare Watson. Tutto come previsto. La Lega si prepara a staccare la spina. Del resto vuole andare alle urne solo per guadagnare voti, il bene del paese non conta nulla". E Di Pietro apre al governo tecnico di scopo, per cambiare la legge elettorale, della durata di novanta giorni e incalza Fini: "Sfiduci il premier o è suo complice". "Bossi minaccia la sommossa, questa è sovversione", avverte Luigi Zanda, vice capogruppo Pd al Senato.

(09 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/09/news/berlusconi_no_voto-6887920/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #4 inserito:: Novembre 17, 2010, 09:07:01 am »

L'OPPOSIZIONE

Bersani e Casini: follia andare al voto

"Draghi premier? Valuterà il Colle"

Il leader pd insiste: governo di transizione, ma pronti anche alle urne.

Franceschini all'assemblea dei gruppi democratici: "Mai si era visto un premier così attaccato alla poltrona"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Di nomi non se ne fanno a voce alta. Ma è Mario Draghi, governatore di Bankitalia, il più gettonato nel Pd per la guida di un governo di transizione. Pier Luigi Bersani, il segretario, si schermisce: "Un governo Draghi? Lascio la valutazione su nomi e incarichi nella fase giusta al presidente Napolitano". È durante la riunione con Emma Marcegaglia, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil - Camusso, Bonanni e Angeletti - e le altre parti sociali, che al leader pd arriva la notizia della decisione del capo dello Stato e di Fini e Schifani sul voto di fiducia il 14 dicembre. Ma la preoccupazione politica del Pd - e dell'Udc di Casini - è una sola: evitare le urne, come invece Berlusconi minaccia appoggiato dalla Lega.

"Non abbiamo certo paura delle elezioni - commenta Bersani - ma sarebbe una cosa esiziale che ci farebbe perdere mesi e ci metterebbe in una situazione che non ci consente di guardare avanti con sicurezza". Mente c'è bisogno di affrontare l'emergenza economica e il segretario teme "la controffensiva di Berlusconi" e "una tattica dilatoria" del Pdl. Casini rincara: "Vedo un'irresponsabilità diffusa. Irlanda e Portogallo rischiano di fare la fine della Grecia e noi siamo dietro l'angolo. Bisogna che tutte le forze responsabili, tutte le persone, compreso il premier facciano un passo indietro nell'interesse generale. Perché il ricatto delle elezioni anticipate è pura follia".
I Democratici riuniscono ieri sera i gruppi parlamentari di Camera e Senato. Un'assemblea nella Sala della Regina a Montecitorio affollata come non si vedeva da tempo per parlare della spallata a Berlusconi; della necessità di un governo di transizione come "unica soluzione positiva"; di legge elettorale. Bersani ripete ai parlamentari: "La crisi va formalizzata subito. Se andiamo avanti con questo sistema elettorale del "ghe pensi mi" avremo sempre una democrazia che non decide; ci sarà un sistema populistico che tende al plebiscitario".

Il capogruppo alla Camera Dario Franceschini denuncia il tentativo del Pdl di fare melina sulla legge di bilancio. "Mai nella Seconda Repubblica si era visto un premier così incollato alla poltrona". Proprio per evitare gli espedienti del centrodestra, i capigruppo delle opposizioni (Franceschini e Finocchiaro per il Pd; Casini e D'Alia dell'Udc; Donadi e Belisario di Idv; Tabacci e Russo dell'Api; Melchiorre di Ld) avevano ieri mattina inviato una lettera a Fini e Schifani per ottenere che la legge di bilancio fosse approvata entro novembre. È però sul dopo-crisi, e se si dovesse andare alle urne, che tra i Democratici la maretta è forte. Ventroni, Fioroni e Gentiloni riuniscono i Modem e attaccano: "Non resteremo al capezzale di un malato la cui morte è annunciata, bisogna avere la cura". Sul tavolo c'è la scelta delle alleanze e la sconfitta alle primarie di Milano. Fioroni, sarcastico: "Ora si perdono pure le primarie, non solo le elezioni". Polemica Pd-Radicali che avevano chiesto di invitare Pannella. La risposta è no. Rita Bernardini ricorda le volte in cui il Pr è stato discriminato. Follini avverte: "Sì al governo di transizione, che però ha poche possibilità. Ma voglio capire quale è la rotta del Pd".

(17 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/opposizioni_e_crisi-9190849/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #5 inserito:: Dicembre 06, 2010, 09:12:48 am »

L'INTERVISTA

Bocchino: possibile bis del Cavaliere ma deve dimettersi entro il 14 dicembre

Il capogruppo Fli accusa di "terrorismo" la campagna di Libero contro i dissidenti della maggioranza.

"Più degli insulti di Berlusconi preoccupa il clima di odio che creano certi giornali vicini a lui"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Onorevole Bocchino, Berlusconi vi ha definiti "traditori, maneggioni, ammucchiata di reduci ". Vi preoccupa l'ira del premier su Fli e Udc?
"Il premier è in piena tempesta emotiva. Del resto Berlusconi è abituato a comandare, come ogni imprenditore, e si accorge di essere finito in minoranza, da qui la reazione. Il resto è propaganda. Sperando di andare al voto vuole fare la campagna elettorale sul tradimento, senza rendersi conto che i nostri sondaggi, come del resto i suoi, dimostrano in modo evidente che questa operazione porta voti proprio a noi, poiché tutti sanno che è stato lui a cacciare Fini. Più delle parole di Berlusconi ci preoccupa il clima che il Pdl e le sue propaggini giornalistiche vogliono creare. Un clima di odio, di contrapposizione che, come è accaduto in altro periodi della storia, rischia di armare le mani di estremisti o di pazzi".

La campagna di "Libero" contro di voi quali conseguenze ha?
"Il "metodo Belpietro" è quello terroristico di sbattere nome e indirizzo (ora quello mail) in prima pagina, per additarlo agli elettori, si dice, ma l'obiettivo è intimorire e minacciare. Dovevamo fare la rivoluzione liberale e siamo riusciti a fare quella sudamericana, con Verdini per il quale "chissenfrega" delle istituzioni e gli avversari politici additati così che qualcuno possa colpirli".

Lei è stato minacciato?
"Essendo il primo della lista, ho ricevuto 500-600 mail: due terzi di insulti e minacce, il resto di persone indignate per questa operazione. Numeri esigui, in definitiva".

Cosa si aspetta in questa settimana di passione che manca alla sfiducia?
"Il posizionamento è finito: da una parte ci sono 317 deputati per la sfiducia e 308-309 dall'altra. Non ci saranno sorprese. Sarà una settimana politicamente tesa, ma di scontri verbali. Berlusconi non ha più la maggioranza. Il consiglio è che vada a dimettersi e poi si sieda attorno a un tavolo con Fini e Casini".

Ritenete ancora possibili le dimissioni di Berlusconi?
"È probabile che si dimetta. Non c'è ragione per farsi sfiduciare. Può continuare a mostrare i muscoli per rabbia o perché qualche consigliere "scienziato" gli fa credere di avere i voti in tasca. Ma il 14 mattina immagino si dimetterà, avendo così la possibilità, per prassi costituzionale, di riassumere l'incarico. Da quel momento si apre un'altra fase politica".

Quindi Fli non chiude a un Berlusconi-bis?
"Se Berlusconi viene sfiduciato, non ci sono più margini. In un nuovo governo per noi è importante in primo luogo il programma".

E quali sarebbero i vostri punti-cardine?
"Sarebbero due. Una nuova agenda economico-sociale partendo dall'accordo che Confindustria e parti sociali hanno recentemente firmato; la riforma della legge elettorale non punitiva nei confronti di nessuno, ma che cambi il meccanismo del premio di maggioranza e che preveda almeno la metà dei deputati scelti attraverso i collegi uninominali. Poi è importante la coalizione: vogliamo si torni a quella del 1994. La foto è Berlusconi, Fini, Casini e Bossi: il premier ha espulso l'anima moderata e valorizzato quelli con la bava alla bocca. Chi guiderà questo governo, si vedrà".

La partita vera è quella del 15 dicembre, del "dopo"?
"È Berlusconi stesso che può precludersi il bis se si fa sfiduciare. Noi non vogliamo elezioni perché la crisi economica è grave. E non vogliamo ribaltoni: no a un governo di responsabilità che mandi all'opposizione chi ha vinto le elezioni; sì, se è con Pdl e Lega. Se Berlusconi indica un suo nome - Letta, Tremonti o Alfano - va benissimo".

E un governo Schifani per cambiare la legge elettorale?
"Non me vedo le condizioni politiche, ma da parte nostra nessuna preclusione".

(06 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/06/news/bocchino-9870350/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #6 inserito:: Dicembre 15, 2010, 05:21:38 pm »

L'OPPOSIZIONE

Bersani tira dritto: "La linea è giusta" ma la minoranza chiede una riscossa

Nel Pd, critiche al leader per la gestione della sfiducia. Il segretario: "Il governicchio cadrà".

Ma i veltroniani chiedono di cambiare linea: "Pensare meno alle alleanze".

Anche Renzi attacca

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Fino all'ultimo il Pd ha sperato di vincere la partita. Bersani lo ammette: eravamo a un passo dalla nuova fase. Invece, la doccia fredda. "Eccoci nel governo Scilipoti-Razzi", che svela la fragile vittoria di Berlusconi, "una vittoria di Pirro, una scandalosa compravendita dei voti che consegna al Paese un governo più debole e un'opposizione più ampia e un esecutivo nell'impossibilità di dare una rotta". Pochi minuti dopo la fiducia a Berlusconi, il segretario democratico riunisce i big nel suo ufficio a Montecitorio. "Grazie a noi la maggioranza non c'è più - esordisce - ci siamo mossi bene, l'opposizione si è allargata".

 E la strategia Pd resta la stessa: no alle elezioni-iattura per il Paese ("Chi pensa al voto è irresponsabile"); prestissimo il "governicchio" cadrà, la battaglia ora si fa dura; ci vuole "un governo di transizione". Ma, al di là delle rassicurazioni, per i Democratici, delusi e preoccupati, comincia una difficile scommessa: da un lato, ritrovare un'unità non di facciata come è stata la tregua in attesa della spallata; dall'altro attrezzarsi per affrontare le elezioni che restano uno spauracchio. Matteo Renzi, il "rottamatore" (messo sotto accusa nel partito per essere andato una settimana fa ad Arcore da Berlusconi), si toglie la soddisfazione di dire su Facebook quel che pensa di Fini e di chi si è fidato di lui: "Fini in trent'anni non ha mai azzeccato una
mossa, neanche per sbaglio", e c'è stato chi "lo ha osannato in questi sei mesi, convinto fosse un compagno solido per il futuro".

Walter Veltroni e gli altri Modem chiedono al segretario di "cambiare linea", di "tornare a dare le carte e pensare meno alle alleanze". Rischia di essere il Pd troppo a rimorchio di Fini, in pratica. Lo dice Beppe Fioroni, l'ex popolare, che fa pesare la sua forza contando gli aderenti (48) alla Fondazione appena creata. Torna il mantra della scissione dei Modem e della creazione di gruppi autonomi. Smentita indignata: tutte balle. "I gruppi separati non li faranno mai - commenta Franco Marini, leader storico dei Popolari e bersaniano - Ma dove vanno? Rompono, anche se non hanno tutti i torti". Amara considerazione di Arturo Parisi, braccio destro di Prodi quando quel governo fu sfiduciato la prima volta: "Nel 1998 dissi che avevamo perso, ma non ci eravamo perduti; ora abbiamo perso e ci siamo perduti.
Avrei preferito avessimo perso nel voto con le nostre ragioni e non all'inseguimento di un inesistente Terzo Polo. Quanto ci vuole prima che il Pd riveda la sua condotta?".

I Democratici non vogliono sentire parlare di resa dei conti. Già oggi dovrebbe tenersi un nuovo coordinamento; questa sera, assemblea di Modem. C'è irritazione per l'Opa lanciata da Berlusconi sui "democristiani" del Pd. Rosy Bindi, cattolico- democratica e presidente del partito, reagisce: "Berlusconi non punti le sue carte su chi viene dalla storia della sinistra dc. Lui è solo un'anatra azzoppata". Si apre un fronte di aspra polemica con i dipietristi. Dario Franceschini accusa: "Se non ci fossero stati due traditori dell'Idv, Scilipoti e Razzi, avremmo vinto: il Pd è stato compattissimo". Per Idv sono "affermazione sciacallesche". Il Pd sa che la battaglia per fare cadere il governo ora inizia davvero: ci sarà il Vietnam delle commissioni; il decreto-rifiuti; la mozione di sfiducia a Bondi. Nichi Vendola in Transatlantico ieri rilancia: "Se si vota, e le elezioni sono più vicine, sono pronto alla premiership del centrosinistra".
 

(15 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/15/news/bersani_tira_dritto_la_linea_giusta_ma_la_minoranza_chiede_una_riscossa-10212953/?ref=HREA-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #7 inserito:: Dicembre 17, 2010, 09:02:35 pm »

LE ALLEANZE

"Vendola subito con noi".

No del Pd a Di Pietro

Il leader dell'Idv: sposiamoci entro Natale. Letta: provocazione distruttiva.

Gli ex popolari del Pd smentiscono la voce di una loro uscita.

Colloquio D'Alema-Fioroni

di GIOVANNA CASADIO


 
ROMA - "Il Pd fa come l'asino di Buridano che, non sapendo scegliere tra il mucchio di fieno a destra e quello a sinistra, alla fine muore di fame". Antonio Di Pietro forza la mano a Bersani: "Si decida, è inutile che ci giriamo intorno. Il matrimonio è pronto, sposiamoci entro Natale. Tanto alla fine saremo noi tre: i Democratici, noi di Italia dei valori e Vendola".

Giornata di iniziative per Di Pietro che incontra Pier Luigi Bersani a Montecitorio e telefona a Nichi Vendola. Si è ripreso dalla "botta" dei due traditori Scilipoti e Razzi, l'ex pm. A due giorni dal "day after" della fiducia incassata da Berlusconi alla Camera per tre voti, il leader di Idv dice che non ci si può permettere di aspettare, che se "il Pd vuole fare altre scelte, è libero ovviamente ma è tempo di dire sì o no, di uscire allo scoperto. Ma ho impressione che i Democratici vogliono vedere prima se ci sia qualcosa di meglio di Di Pietro... aspettare le decisioni dell'Udc è come rincorrere la luna". Le elezioni sembrano sempre più vicine, la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento l'11 gennaio scriverà anche la deadline dell'incertezza di Berlusconi. Ragiona l'ex pm: "E allora? Il centrosinistra dovrà trovare un candidato leader in fretta e furia".

Dal fronte democratico piomba il gelo sull'offerta dipietrista. Enrico Letta gli dà del provocatore: "Non c'è nessun matrimonio alle viste perché non c'è stato
nessun fidanzamento. La provocazione di Di Pietro sembra fatta per destabilizzare più che per costruire ed è basata su elementi della fantasia più che della realtà". L'irritazione è forte anche tra i Modem, la minoranza di Veltroni, Gentiloni e Fioroni. "Sposare Di Pietro non è la nostra bussola", avverte Gentiloni. Stesso invito da Follini per il quale quel matrimonio non s'ha da fare: "Sconsiglio vivamente Bersani. Non mi metto nei panni di don Rodrigo ma fatico molto a vedere Vendola e Di Pietro insieme a noi nella parte di Renzo e Lucia". In tutt'altra direzione si muove Nicola Latorre, il vice capogruppo dalemiano al Senato che immagina una "rifondazione" del Pd con Vendola. Lo dice in un'intervista a "Gli altri", il settimanale di Sansonetti ed è come buttare benzina sul fuoco delle tensioni con i Popolari. Non proprio il giorno adatto.
L'addio di Fioroni e di un gruppetto di altri democratici cattolici torna in un tam-tam insistente al punto da insinuare che sarebbero "acquistabili" da Berlusconi. Fioroni ha un colloquio con D'Alema: "Forse do fastidio ma basta mettermi di mezzo".

Lo stesso segretario Bersani si sfoga: "È iniziata la stagione dei veleni; questi irresponsabili non si rendono conto del deterioramento micidiale che si aggrava tra società e istituzioni?". I parlamentari popolari di cui si sono fatti i nomi - Giaretta, Baio, Bosone D'Ubaldo ma anche Graziano e Andria, tutti con un curriculum politico di rispetto - smentiscono indignati. Ma contrattaccano: "Queste voci vengono alimentate dall'interno del partito, prima si qualifica come "cretini e mentecatti" chi come noi pensa che l'attuale linea del partito vada corretta, poi si accreditano voci di uscita di parlamentari di area cattolica". Al di là delle acque agitate, resta la scelta di alleanze a cui i Democratici e che nella direzione del 23 il partito dovrà fare. Di Pietro dal canto suo rincara: "Faremo ogni sforzo per fare capire al Pd che sta snaturando se stesso. Casini, cosa pensano che faccia? Diventerebbe il concubino subito dopo il voto. Tuttavia ci facciano sapere in fretta. Si sono presi ventiquattr'ore. Vogliono andare appresso all'Udc? Grazie, e buona fortuna, però noi ci organizziamo. Il progetto di Nuovo Ulivo di Bersani dov'è finito?". Gennaro Migliore di Sel: "La coalizione è il minimo sindacale". 

(17 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/17/news/vendola_subito_con_noi_no_del_pd_a_di_pietro-10302799/?ref=HREA-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #8 inserito:: Gennaio 06, 2011, 05:29:30 pm »

LA POLEMICA

Veltroni e l'offensiva del Lingotto "Se non si vota congresso anticipato"

Pd, i rottamatori lanciano la direzione "parallela". Fassino difende le primarie: "Autolesionistico metterle in discussione"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Il Pd va alle grandi manovre. La partita politica si riapre nel partito con la direzione di giovedì 13. Che sarà preceduta da una provocatoria "direzione parallela" convocata dai "rottamatori" Matteo Renzi e Pippo Civati, il 12, sempre a Roma. E poi c'è la data-clou, a cui Veltroni sta lavorando da mesi, ovvero il "Lingotto 2", a Torino, il 22 gennaio. È lì che i veltroniani giocheranno le loro carte. Giurano che non vogliono una conta, né battaglie per la leadership. Però avvisano: se non si va alle elezioni, se insomma non c'è l'emergenza che richiede il serrate le file e di "mettersi l'elmetto per andare in combattimento", allora "ci vuole un congresso anticipato".

È un'analisi dettagliata quella di Veltroni e della corrente di minoranza, che muove da cinque idee-chiave per modernizzare il paese: un esempio è la posizione dell'ex segretario su Mirafiori, ovvero le condizioni per il sì a Marchionne, illustrata ieri sulla Stampa, e che si smarca dal "compromesso" di Bersani. Dalle questioni concrete all'offensiva politica nel Pd il passo è breve: la strategia dei Democratici va ripensata. "I nodi riemergono tutti, perché siamo finiti spostati a sinistra per fare un accordo con Casini che non lo vuole, e pensa piuttosto al dialogo nel centrodestra", osserva Stefano Ceccanti. La direzione della prossima settimana non sarà forse il luogo dei chiarimenti. "È stretta
tra date cruciali, la decisione della Consulta sul legittimo impedimento e il referendum a Mirafiori. Finiranno giocoforza per tenere banco. Però - sottolinea sempre Ceccanti - Bersani non potrà a maggior ragione parlare di alleanze in astratto". Ma è Giorgio Tonini, senatore, cattolico, veltroniano doc, a incalzare: "Il 14 dicembre, il giorno della fiducia per tre voti a Berlusconi, ha segnato il fallimento della linea tutti-contro Berlusconi, l'idea cioè di un cartello di tutte le opposizioni è una non-strategia. Va ripresa la strada maestra. Vendola appare sempre più in continuità con il bertinottismo. O si rilancia o non c'è soluzione. E un congresso sta in questo quadro".

Per ora Walter Verini, braccio destro e amico personale di lunga data di Veltroni, dice che "il "tagliando" non va fatto alle primarie ma al partito" e che il tempo del "partito di sinistra che si allea al centro ha tutta l'aria di essere una stagione finita". Il tam-tam del congresso è sempre più forte. Veltroni ha riconquistato un formidabile attivismo, deciso a lasciarsi alle spalle anche rancori consolidati, come quello con D'Alema, che ha incontrato e vedrà lunedì a Brescia in un'iniziativa per la strage di piazza della Loggia. Ancora più netto è Beppe Fioroni, che con un gruppo di Popolari sarebbe pronto alla scissione. Lui nega decisamente però ammette: "La linea politica del Pd va riplasmata, elezioni o non elezioni. Se si va al voto rapidamente e i Democratici fanno un'alleanza con Vendola e Di Pietro è chiaro che noi siamo in sofferenza. Un partito che incontra Landini, come fa Bersani, non ci sta bene". La carta del congresso insomma è quella che la minoranza di Modem vuole giocarsi. A tempo debito. Veltroni intende così contrastare Vendola. Fioroni spera che, se la frattura non si potrà evitare, a quel punto sarà l'ala sinistra a mettersi fuori. Da quel lato, il movimento da registrare è l'associazione "Lavoro e libertà" che vede insieme Cofferati e Bertinotti, Nerozzi e Rossanda, Rodotà, contro la deriva di Marchionne e a sostegno della Fiom. Bersani dovrà fronteggiare l'offensiva provocatoria dei "rottamatori" (che difendono le primarie e lanciano una petizione) e la carta a sorpresa dei veltroniani. Aperto è il fronte-primarie: sono da congelare? Fassino, candidato sindaco di Torino e in corsa alle primarie, avverte: "È autolesionistico metterle in discussione adesso". Gozi ritiene che abbandonarle sia "snaturare il partito".

(06 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/06/news/veltroni_e_l_offensiva_del_lingotto_se_non_si_vota_congresso_anticipato-10896197/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #9 inserito:: Gennaio 07, 2011, 12:11:12 pm »

PD

Bersani risponde a Veltroni: non è tempo di congressi

Il segretario: ai cancelli Fiat vi inseguirebbero coi forconi.

Ma andrà ospite al Lingotto dall'ex leader il 22 gennaio

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - "Un congresso anticipato per ridefinire la strategia del Pd? Lo vadano a dire davanti ai cancelli della Fiat, li inseguiranno con i forconi". Pier Luigi Bersani stoppa ogni discussione. Non è disposto a prendere in considerazione l'ipotesi, sintomo casomai dell'eterno "tafazzismo" della sinistra. O meglio del "narcisismo" di chi la avanza, ovvero Veltroni e la sua minoranza: come dice Stefano Fassina, responsabile economico dei Democratici e collaboratore del segretario. "E comunque, se congresso anticipato ci fosse, Bersani stravincerebbe". Ma i veltroniani - che lanceranno la loro offensiva al Lingotto il 22 gennaio - non rinunciano all'idea. Neppure vogliono tensioni alla vigilia di tanti appuntamenti politici cruciali per la partita politica del nostro paese: l'11 la Consulta decide sul legittimo impedimento; il 13 e il 14 c'è il referendum a Mirafiori; poi inizia il risiko parlamentare. Perciò precisano: "L'idea resta ma oggi è prematura". Se c'è insomma un un'interruzione traumatica della legislatura, allora bisogna solo "serrare i ranghi e definire con Bersani le soluzioni migliori". Ma se la legislatura va avanti, se l'Udc di Casini privilegia il dialogo nel centrodestra, allora "ci vuole un congresso anticipato". Per rimettere a punto la strategia dei Democratici.

Per il momento nessuna resa dei conti, però. Bersani ribadisce che andrà ospite al Lingotto, da Veltroni. Invitato anche D'Alema. Tempo di fair play. Tranne che con "i rottamatori" di Pippo Civati e del sindaco di Firenze Matteo Renzi. La "direzione parallela" da loro organizzata il 12 (il giorno prima della direzione del partito) a Roma, ha irritato la segreteria: "In altri tempi di sarebbero aperte procedure disciplinari... ". Civati sul suo blog rilancia. Pubblica il documento della fine del 2008 con le firme per chiedere "primarie vere, primarie sempre": ci sono quelle di Bersani, D'Alema, Marini, Bindi, Finocchiaro, Gentiloni, Epifani. Didascalia: "Il manoscritto rinvenuto nelle catacombe di Sant'Andrea delle Fratte... ", cioè la sede del Pd. Cesare Damiano, l'ex ministro del Lavoro, avverte. "Concentriamoci sui contenuti, perché se il partito continua così siamo alla frutta".

La querelle sulle primarie è il fronte aperto. La linea di Bersani è quella di non congelarle per le amministrative di Torino, Bologna e Napoli. Ma una revisione va fatta. Spiega Fassina: "Buonsenso dice che prima si affrontano i problemi del paese, poi si decidono gli schieramenti e quindi le leadership. Altrimenti abbiamo smarrito il senso della politica". Nel "parlamentino" di giovedì prossimo il segretario rivolgerà un appello a tutte le forze dell'opposizione di centro e di centrosinistra per una "riscossa repubblicana". E inviterà all'unità il Pd e a non perdersi in chiacchiere. Beppe Fioroni attacca: "Non si può dire: non si fanno le primarie perché le perdiamo. Non possiamo avere paura delle primarie". Indispensabili sono anche per Sandra Zampa, deputato, portavoce di Prodi: "È assurdo e grottesco congelarle proprio mentre sono già in corso in alcune città italiane come Torino e Bologna". C'è poi il "caso" Cosenza, dove il sindaco uscente Salvatore Perugini contesta la decisione del coordinamento provinciale di non ricandidarlo.
Da oggi a domenica, i Radicali hanno riunito il comitato nazionale con il segretario Mario Staderini, i leader Marco Pannella e Emma Bonino. Sul tavolo tutte le questioni politiche e l'organizzazione del prossimo congresso che sarà uno spartiacque. I radicali sono stati eletti nel 2008 nelle liste del Pd. 

(07 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/07/news/bersani_veltroni-10932789/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #10 inserito:: Gennaio 10, 2011, 03:58:17 pm »


CENTROSINISTRA

Vendola: "Il Terzo polo non vuole allearsi con il Pd"

Ancora tensione tra i democratici. D'Alema lancia la sfida a Casini e Fini: "Voglio vedere sino a che punto saranno coerenti".

La minoranza di Veltroni si prepara a dare battaglia al Lingotto. Giovedì la direzione

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Vendola boccia la strategia di Bersani: mettere insieme tutte le opposizioni - dalla sinistra a Casini fino a Fini - in un patto repubblicano, è "come parlare del sesso degli angeli". Oltretutto il Terzo Polo alla proposta del segretario del Pd ha dato "una risposta secca: no grazie". Segno che "sta lavorando a un'altra ipotesi". E insomma, per il governatore della Puglia e leader di Sel, bisogna rimboccarsi le maniche nel centrosinistra ma per fare altro, cioè costruire "una coalizione riformatrice che voglia mettere al centro l'Italia".

Non può però Vendola nascondersi le distanze di merito con il Pd su tante questioni. La Fiat, ad esempio. Oggi Bersani vede il segretario Fiom, Maurizio Landini (e questo già aveva suscitato i malumori dei Popolari capitanati da Beppe Fioroni) ma incontrerà anche le sigle metalmeccaniche di Cisl e Uil. Il governatore pugliese invece il 12 sarà ai cancelli di Mirafiori a sostegno della Fiom. Il leader Pd insiste sulla "risposta straordinaria" davanti all'emergenza italiana che richiede "l'alleanza strategica". C'è una situazione più che critica, un governo che "non ha più fiato". Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria Pd, attacca: "Non sono riunisti a fare riforme quando avevano oltre 100 deputati di maggioranza, figuriamoci ora". Tra i Democratici resta sempre alta la tensione tra Bersani e la minoranza. Veltroni darà battaglia al Lingotto (il 22 gennaio) sulla linea. I "rottamatori" di Renzi sono iper critici.

A segnare il tempo a Casini è Massimo D'Alema. "Non capisco dove porta la tattica dell'Udc che non vuole andare con Berlusconi ma non vuole lo scontro". Il presidente del Copasir lancia l'affondo dalle pagine del Riformista: "Serve un governo costituente, Casini deve scegliere. Voglio vedere fino a che punto lui e Fini saranno coerenti". Ma la sfida bersaniana per ora non viene raccolta dai centristi. Il segretario Udc, Lorenza Cesa replica a D'Alema: "Vogliamo rimanere equidistanti da centrosinistra e centrodestra. La nostra posizione è netta; il nostro obiettivo quello di costruire un'alternativa a questo sistema che così com'è non funziona; le alleanze si costruiscono su obiettivi programmatici e valori comuni non per vincere solo le elezioni". Con Fini e Rutelli lavori in corso per definire il Terzo Polo. A corteggiare l'Udc è anche Berlusconi e il Pdl. Fabrizio Cicchitto, il capogruppo Pdl, liquida le idee democratiche e accusa D'Alema: "Non è una proposta politica ma una brusca intimazione a Casini e una rappresentazione teatrale ispirata al tempo che fu". Con D'Alema Berlusconi era stato sarcastico definendolo un comunista in cachemire in vacanza a Sankt Moritz. "A Sankt Moritz sono andato un giorno in gita, nessun cachemire, scarpe comprate a 29 euro". Ad accettare la proposta di Bersani sono i Radicali ma Pannella chiede chiarezza sulle riforme. Anche Di Pietro rimprovera al Pd di perdersi in chiacchiere e afferma: se si vota in primavera, meglio non fare le primarie. "Impossibile cancellarle" per Vendola. Cruciale la direzione Pd di giovedì.
 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/10/news/vendola_il_terzo_polo_non_vuole_allearsi_con_il_pd-11033994/?ref=HREC1-3
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #11 inserito:: Marzo 22, 2011, 10:28:28 pm »

LIBIA

"Né guerra né tiranno", si muovono i pacifisti

Ma nel movimento voci contro l'"inerzia"

Sabato corteo. Strada: armi mai umanitarie.

Pax Christi: atti bellici fuori dalla razionalità.

In piazza anche esponenti del Pd

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Una bandiera della pace macchiata di sangue. Sul web parte la mobilitazione pacifista per la Libia (sul sito perlapace. it, ma anche su facebook) e c'è subito un appuntamento in piazza: sabato, a Roma, la manifestazione per l'acqua pubblica e contro il nucleare (corteo alle 14,30 da piazza della Repubblica fino a piazza San Giovanni) sarà anche mobilitazione per la pace.

Ma l'arcipelago pacifista è diviso: il no alla guerra "senza se e senza ma" questa volta non basta, perché c'è anche la necessità di fermare la repressione contro gli insorti e di schierarsi contro il tiranno Gheddafi. Flavio Lotti della Tavola della pace, il cartello di sigle che ogni anno organizza la marcia Perugia-Assisi, ha messo online l'appello ("L'Italia ripudia la guerra"), invita ad esporre la bandiera della pace alle finestre, però chiarisce in dieci punti una posizione in cui si ritrovano molte delle associazioni per la pace: "Una cosa è la risoluzione dell'Onu, un'altra è la sua applicazione. Una cosa è difendere i diritti umani, un'altra è scatenare la guerra". Insomma, stop alle bombe ma, ribadisce, "tra l'inerzia e la guerra altre strade sono possibili e l'Italia ha una sola missione da compiere: togliere rapidamente la parola alle armi e ridare la parola alla politica, promuovere il negoziato politico a tutti i livelli". E non c'è solo la Libia, ovviamente, ma anche Bahrein e Yemen.

Il "cessate il fuoco-parlino le diplomazie" viene anche dalla Cgil, dall'Arci, dalle Acli, dall'Anpi, da Libera, da Pax Christi, da Emergency. Gino Strada - ieri sera sul palco dell'Ambra Jovinelli per presentare la nuova rivista di Emergency in un dibattito al quale hanno partecipato tra gli altri don Luigi Ciotti, il direttore di Repubblica Ezio Mauro, lo scrittore Erri De Luca, la cantante Fiorella Mannoia e il disegnatore satirico Vauro - attacca: "Nessuna guerra può essere umanitaria, ed è questa la più disgustosa menzogna per giustificare la guerra che è sempre un crimine contro l'umanità". E ribadisce che "i nostri governanti, gli stessi che ora indicano la guerra come necessità, fino a poche settimane fa hanno finanziato armato e sostenuto il dittatore Gheddafi e le sue continue violazioni dei diritti umani". L'Anpi chiede rapidità nelle decisioni, perché "siamo contrari alla guerra, ripudiamo le armi, però dobbiamo porre il problema di come rispondere ai libici che nelle piazze ci chiedono di sostenerli". Un tam-tam parte dal "Movimento non violento" e viene rilanciato online con la parola d'ordine "Fermate la guerra". La Cgil è tra i primi a schierarsi per "dare la priorità alla soluzione diplomatica" e a denunciare "l'inadeguatezza" del governo italiano. In piazza sabato ci sarà la Fiom-Cgil con lo slogan "Fermare i bombardamenti, serve la soluzione negoziata". E "Libera" di don Ciotti indica "la debolezza della politica dietro il degenerare della situazione: la guerra non risolve i problemi ma finisce per moltiplicarli e aggravarli".

Tra le voci cattoliche contro l'intervento in Libia c'è il vescovo di Pavia monsignor Giovanni Giudici, presidente di Pax Christi: "Le operazioni contro la Libia costituiscono un'uscita dalla razionalità. Mentre parlano solo le armi si resta senza parole, ammutoliti, sconcertati. Gheddafi era già in guerra con la sua gente quando era nostro alleato e amico". Il vescovo constata in questa situazione "la fretta della guerra e l'assenza della politica". In piazza sabato a Roma ci saranno molti politici, dai "rossi" Diliberto a Ferrero al gruppo democratico dei popolari di Fioroni, molta sinistra Pd (Vita, Nerozzi, Amati, Della Seta) e la sinistra di Vendola. Ma presidi e sit-in "no war" ci sono già stati e ci saranno davanti alla basi militari; all'università di Roma "La Sapienza", lo striscione ieri "Not in my name"; contestazioni dei sindacati di base. Giovedì assemblea alla sede Acli su "No guerra, no a Gheddafi".

(22 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/esteri
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #12 inserito:: Maggio 12, 2011, 11:02:49 pm »

IL CASO

D'Alema: "L'alleanza con Fini ci serve"

Ma Futuro e libertà si spacca

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Non ci sta a passare per uno che spara "eresie" alla vigilia del voto per le amministrative. Massimo D'Alema apre al Terzo Polo e anche a Fini, però spiega subito che non si tratta di un allargamento scandaloso: "Con il gruppo di "Futuro e libertà" noi votiamo insieme tutti i giorni in Parlamento. Non è una novità, quello che dico non è un'eresia. Anche perché è evidente che le forze dell'opposizione condividono alcuni valori". Altrettanto chiaro che "lavoriamo per unire le opposizioni le quali rappresentano in questo momento oltre il 60% degli italiani". Quindi, si può fare ed è la strada per battere Berlusconi.

L'offerta di alleanza costituzionale, Fini incluso, suscita tuttavia un secco "no, grazie" di Fli, riaccendendo lo scontro interno. Andrea Ronchi liquida D'Alema con una battuta: "Probabilmente ha avuto un colpo di sole... il nostro compito è quello di ricostruire il centrodestra". Ronchi marca in modo netto le distanze dal centrosinistra e anche da Rutelli, il leader dell'Api con cui pure Fli è alleata insieme con l'Udc nel Terzo Polo: "Il dibattito nel centrosinistra mi è assolutamente indifferente nei suoi esiti". Il contrario sarebbe "un ribaltonismo mascherato". E anche Adolfo Urso, altro finiano moderato, boccia ogni possibilità di incontro: "Sarebbe un abbraccio mortale: Fli non andrà mai con la sinistra". Da Carmelo Briguglio invece via libera a patto che si tratti di un confronto sulle regole: "Fli può e deve dialogare con chi ci sta sulle regole del sistema, e quindi anche con il Pd, non trovo nulla di scandaloso". Ovvio che il Pdl ne approfitti accusando Fini e il suo progetto di essere stati smascherati. Sandro Bondi osserva che D'Alema ha ragione e che sarà "inevitabile assistere alle prove di un'alleanza tra una sinistra e una destra che hanno in comune l'avversione verso i principi liberali". Altero Matteoli rincara: "D'Alema ha gettato la maschera e ha detto quello che la pubblica opinione già intuiva".

A sinistra, più volte Bersani (che ribadisce l'importanza del segnale che può venire da Milano e definisce Napolitano "una delle poche risorse rimaste all'Italia") ha indicato l'alleanza costituzionale come la strada maestra per battere il berlusconismo. Un tema su cui torna Enzo Bianco, ma sollecitando, insieme all'alleanza costituzionale, un premier "esterno". Un richiamo a confrontarsi sui problemi del paese e ad ascoltare Napolitano viene da Anna Finocchiaro. Bersani a Radio radicale appoggia Pannella in sciopero della fame per il diritto all'informazione: "Penso che abbia buone ragioni; ne ho io, figuriamoci lui". 

(12 maggio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/05/12/news/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #13 inserito:: Settembre 27, 2012, 02:41:35 pm »

PRIMARIE PD

La battaglia sulle regole "Ballottaggio se nessuno supera il 50%"

Gli sherpa del partito riuniti per decidere come organizzare la consultazione.

Doppio turno, sedicenni al voto, bassa soglia minima di supporter. Ma le decisioni dovranno essere approvate dall'assemblea del 6 ottobre.

E si preannuncia battaglia

di GIOVANNA CASADIO


ROMA  -  Marta Vincenzi è stata fatta fuori alle primarie di Genova, dopo una lotta fratricida con Roberta Pinotti. Entrambe del Pd, entrambe sconfitte nella gara per Palazzo Tursi, hanno dovuto lasciare il passo a Marco Doria, di Sel, che è poi diventato sindaco. Il segretario democratico, Pier Luigi Bersani, riunendo i sindaci nella sede del partito per parlare di tagli e enti locali, la saluta: "Vorrei salutarvi a uno a uno, ne saluto una per tutti, Marta...". Quindi la Vincenzi, uscita pestata dalle primarie, ora un paio di cose da dire riguardo alle regole ce le ha. Afferma: sono incise sulla pelle viva. "Un registro anagrafico dei votanti ci vuole, è indispensabile: per evitare inquinamenti vari".

Di nuovo si sono riuniti gli sherpa del partito coordinati da Migliavacca. Poche questioni sul tavolo, ma importanti. Intanto per avere primarie aperte per la premiership occorre modificare la norma dello statuto che assegna automaticamente al segretario del partito il ruolo di candidato premier. Ci sarà una norma transitoria che però va votata da 500 delegati più uno dei mille che costituiscono l'Assemblea. Inoltre. Soglia bassa di supporter (il 10 per cento dei delegati dell'Assemblea oppure 10 mila firme in 10 regioni) per consentire candidature molteplici. Le primarie saranno in due turni, a meno che uno sfidante non raggiunga il 50%. Al secondo turno passano i primi due. Sedicenni al voto. Immigrati forse. Obolo 3 o 5 euro. E appunto, registro degli elettori.

Alla riunione degli amministratori al Nazareno c'è anche Laura Puppato, la quasi-certa terza candidata del Pd, oltre Bersani e Renzi. Il segretario si scalda: "Ma noi perché facciamo le primarie? Le facciamo per questo, per riconnettere la politica con la società, perché c'è troppo distacco tra la politica e il paese". Chiede una mano ai sindaci, avvia la discussione sulla carta d'intenti: "Se ci date una mano, possiamo avere il coraggio di governare".

Renzi, sceso in camper ormai da una settimana, è alla tappa napoletana. Alla sua convention sono segnalati anche giovani del centrodestra del think tank "Giovani in corsa". Lui continua a promettere rottamazioni: "Se vinco non finisce il centrosinistra, ma la carriera parlamentare di D'Alema".

E mentre Vendola si dà ancora qualche giorno per sciogliere la riserva se candidarsi o meno, Bruno Tabacci, portavoce di Api, inizia la campagna organizzando 140 comitati "Noi per Tabacci". Essendo primarie di coalizione, è con gli altri partiti della coalizione che occorrerà infine mettere a punto le regole.

(27 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/27/news/primarie-43382299/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #14 inserito:: Gennaio 05, 2013, 11:32:47 pm »

Pd, battaglia sulle candidature: il braccio destro di Renzi rischia

Assalto al "listino Bersani": Reggi in bilico. Ci sarà la filosofa Michela Marzano. Polemiche in Sicilia: troppi "paracadutati"

di GIOVANNA CASADIO


ROMA - Roberto Reggi, il coordinatore della sfida di Renzi per la premiership, rischia di restare fuori. Era dato per certo nel "listino" dei garantiti, tra i 17 nomi a disposizione del sindaco "rottamatore". Alle nove di sera, Maurizio Migliavacca ammette che è "in forse". Fuori è Stefano Ceccanti, costituzionalista, senatore. Lo chiama Walter Veltroni per annunciargli che le possibilità sono scarse, benché non sia stato ricandidato nessuno della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, e lui rappresenterebbe la continuità.

Sono ore di tensioni, trattative, ribellioni: nel Pd si fanno e si disfano le liste e gli elenchi dei capilista. Parte l'assalto al "listino", che Bersani sta completando e dove ha reclutato anche il numero due di Confcommercio, Luigi Taranto e la filosofa Michela Marzano.

Ma le bordate si sprecano. In quasi tutte le regioni, il Pd riunisce le direzioni, che invitano a mettere in testa di lista i vincitori delle primarie per i parlamentari e a ridurre al minimo i paracadutati. In Sicilia è rivolta: stamani il segretario Giuseppe Lupo sarà a Roma. Per una volta all'unanimità, i democratici siciliani sono sul piede di guerra per gli undici catapultati da Roma. E soprattutto, Lupo contesta la scelta di dare a Giuseppe Lumia, in lista con Crocetta, il ruolo di capolista al Senato. "Si sta lavorando alacremente, lunedì sera tutto sarà a posto", rassicura il vice segretario Enrico Letta.

Letta
è anche presidente del "comitatone" elettorale che si è riunito ieri mattina, ma si è concluso con un nulla di fatto. Aggiornato a lunedì. Minniti, Franceschini e Marino hanno chiesto un vertice politico. Alla fine si è deciso che ci sarebbero stati incontri faccia a faccia tra i leader e Bersani, con Migliavacca e Errani. Malumori circolano tra i renziani, soprattutto tra quelli come Andrea Sarubbi, Fausto Recchia che sembrano ormai esclusi, avrebbero dovuto essere nel "listino" non avendo corso alle primarie.

Renzi non ha in realtà ancora dato formalmente i nomi dei suoi 17, ricorda che proprio Reggi aveva criticato il "listino", però è convinto che l'ex sindaco di Piacenza tornare in gioco. Tra i nomi renziani, l'ambientalista Ermete Realacci e Ivan Scalfarotto dovrebbero essere testa di lista. Dei veltroniani, l'unico certo è Giorgio Tonini. Ma ce la farebbero anche i parlamentari uscenti Verini , Martella, Causi. Franceschini ha "blindato" Marina Sereni, Antonello Giacomelli, Francesca Pugliesi.

In Piemonte spunta a sorpresa una capolista che vedrebbe passare al secondo posto l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano: è la presidente di Confindustria Piemonte Mariella Enoc. Non ha ancora sciolto la riserva. Bersani vuole dare l'immagine del Pd partito plurale, non scompensato a "gauche", così dando maggiore efficacia alla sfida con Monti.

In Puglia dovrebbe essere candidato l'intellettuale Franco Cassano; al Senato Anna Finocchiaro. Molti di quelli che hanno ottenuto ottimi piazzamenti alle primarie (Fassina nel Lazio; Boccia in Puglia) e che erano dati come capilista, sono in testa ma dietro personalità scelte dal segretario. Letta potrebbe guidare la lista democratica non in Veneto (dove Laura Puppato è candidata o al Senato o a Venezia per la Camera) bensì in Campania riequilibrando sul fronte moderato la candidatura dell'ex segretario Cgil, Epifani.

Da sciogliere il caso di alcuni recuperi di bocciati alle primarie: la modenese Manuela Ghizzoni e il veneto Marco Stradiotto. I sindaci vicentini hanno rivolto un appello a Bersani per Stradiotto. La mappa-liste è un cantiere.
 

(05 gennaio 2013) © Riproduzione riservata


da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/05/news/pd_battaglia_sulle_candidature_il_braccio_destro_di_renzi_rischia-49933318/
« Ultima modifica: Gennaio 06, 2013, 11:26:31 pm da Admin » Registrato
Pagine: [1] 2 3
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!