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Autore Discussione: GIORGIO BOCCA.  (Letto 132220 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Settembre 05, 2008, 10:58:46 pm »

Giorgio Bocca


Gli operai irrilevanti

Si sentono marginali, sanno che il progresso tecnologico e il capitale conteranno sempre di più e loro e il sindacato non ci possono fare niente, e meno che mai i partiti e gli intellettuali della sinistra.


Sui giornali hanno scritto che il funerale degli operai torinesi morti nell'incendio di una acciaieria sembrava un funerale dei poveri. L'irrilevanza operaia è visibile, il mito della classe operaia è scomparso, i quartieri operai venivano chiamati la cintura rossa, il voto alla sinistra comunista e socialista vi era prevedibile, massiccio; oggi a Mirafiori votano Forza Italia.

Gli operai scendevano sul centro di Torino o di Milano il primo maggio o dopo l'attentato a Togliatti armati, come al 25 aprile dell'Insurrezione. Nei primi anni del dopoguerra mi è ancora capitato di vedere gruppi di operai che fischiavano al ritorno in automobile dei borghesi dai weekend o alla prima della Scala, le squadre di calcio avevano una connotazione di classe: il Torino e il Milan erano squadre operaie, la Juventus e l'Inter squadre borghesi; c'era un modo di vestire operaio, c'erano i tram degli operai, gli orari operai di quelli che indossavano la tuta e portavano il gavettino con la schiscetta, la colazione operaia, a Torino c'era il fiume dei borghesi, che si salutavano con il Cerea, che era il nome del loro imbarcadero, e il Po dei poveri, oltre Moncalieri, dove incontravi gli scavatori di sabbia. Il quartiere torinese di San Paolo, dove erano le fabbriche Lancia, era chiamato 'el burg del fumm', la sera del sabato nei rioni operai non si accendevano le luci delle televisioni, ma risuonavano i canti degli ubriachi dopo la sbronza consolatrice.

Dove è finita la classe delle rivoluzioni, del confronto sociale, delle camicie scure per non vederci le macchie di grasso, nella sua perenne divisa da lavoro diversa da quella dei colletti bianchi?

I segni dell'irrilevanza operaia erano visibili da anni. A Torino, per dire, la Camera del lavoro era scomparsa dal centro, dalle parti della Cittadella, color rosa sbiadito, ringhiere rugginose, uffici nudi, avamposto operaio traslocato dalle parti del cimitero, irriconoscibile, come un'azienda di plastica e i 'quadri' del sindacato sembrano dei commessi viaggiatori, hanno la valigetta ventiquattrore dei manager, e il loro capo, Fausto Bertinotti, è "un intellettuale che predilige il cachemire, ma sta dalla parte degli operai".

Un amico degli anni torinesi, un amico allora e oggi, uno che la irrilevanza operaia è stato tra i primi a capirla, ricordo il colloquio in un ufficetto della nuova Camera del lavoro, "chi non lo sente", mi diceva, "il vuoto sociale che sta attorno a questa Camera del lavoro? Sociale e politico: il lavoro dipendente non ha più strutture forti materiali e mentali. Senza il lavoro dipendente le fabbriche e i servizi non funzionerebbero, ma gli occhi di tutti sono fissati al capitale. Il lavoro è diventato marginale. Gli operai si sentono marginali, sanno benissimo che il capitale ha fatto la sua scelta, che d'ora in avanti il progresso tecnologico e il capitale conteranno sempre di più e il lavoratore sempre di meno e che non ci possono proprio far niente, né loro né il sindacato, e meno che mai i partiti della sinistra. Una classe operaia che non crede più né alla rivoluzione né all'avanzamento. E non ci credono più neppure gli intellettuali di sinistra, i cantori dei miglioramenti generali che venivano dalla lotta di classe".

Oggi nella sconfitta della sinistra radicale Bertinotti dice che neppure il Partito democratico sa funzionare da opposizione al berlusconismo trionfante. Quella volta a Torino gli chiesi se il suo pessimismo era irreversibile. Mi diede una risposta che mi sembra attualissima: "L'unico conforto è che la controparte non sta meglio di noi quanto a chiarezza sull'avvenire".

Neppure il vincitore, il capitale, né interroga, né si interroga sul futuro. Non è questione di saperne di più dei padroni, ma di saperne per conto di tutti, di sapere come potrà sopravvivere la democrazia dei diritti umani.

(05 settembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #61 inserito:: Settembre 10, 2008, 07:50:39 am »

POLITICA    IL COMMENTO

Senza pudore

di GIORGIO BOCCA


GIORNALI e televisioni si occupano di una questione storica inventata, forse a scopi elettorali, dal sindaco di Roma Alemanno: se il fascismo sia condannabile in toto o da dividere in due tempi. Quello del regime modernizzatore del paese, entrato nel novero delle potenze coloniali con il consenso della maggioranza degli italiani. E quello del crepuscolo che per allinearsi con il nazismo hitleriano promulga le leggi razziali e resta fedele all'alleanza con Hitler fino alla disfatta. Diciamo una distinzione incomprensibile da parte del suo autore, il sindaco di Roma Alemanno, e del suo stretto parente Rauti, che hanno militato proprio in quel neofascismo che raccoglieva l'eredità del Mussolini filonazista, del Mussolini del male assoluto.

È vero, come dice Alemanno, che il fascismo nel corso della sua storia breve ma intensa è stato anche altro dalla politica razziale, anzi, spesso il suo contrario, dallo schieramento militare contro l'occupazione nazista dell'Austria, alla protezione che l'esercito italiano assicurò ai perseguitati ebrei in tutti i territori occupati, come ben sanno i piemontesi che dopo l'armistizio videro arrivare dalla Francia migliaia di ebrei al seguito della IV armata. La storia è già di per sé un via vai confuso che si presta alle più varie revisioni e confutazioni, ma non rendiamola più complicata di quanto già sia.

Dividere il fascismo tra imperialismo normale, accettabile storicamente, e regime del male assoluto da rifiutare in toto, andando in visita con lo zucchetto ebraico in testa al sacrario di Gerusalemme, è un'operazione politica anguillesca, che solo dei politici di normale cinismo possono praticare. Non sappiamo che cosa si riprometta di ricavarne il sindaco neofascista di Roma. Forse di far credere ai suoi elettori l'impossibile, cioè di separare il fascismo dal suo Duce. Ma si tratta di un'operazione, non solo storicamente infondata, ma politicamente rischiosa, si tratta di far passare a un tempo la tesi di un Mussolini antisemita favorevole alla Soluzione Finale, ma di mascherare la cosa certamente peggiore del suo opportunismo, del fatto cioè che era disposto ad avallare la strage degli innocenti per stare dalla parte del più forte. Un opportunismo confermato dai documenti storici che non giova certo al neofascismo.

La testimonianza del ministro degli esteri e parente di Mussolini Galeazzo Ciano è chiarissima: "Egli (Mussolini) ritiene ormai stabilita l'egemonia prussiana in Europa. È di avviso che una coalizione di tutte le altre potenze, noi compresi, potrebbe frenare l'espansione germanica, ma non respingerla, non fermarla". E aggiunge: "La sua non è una valutazione scientifica delle forze in campo, non considera un intervento anglo-francese-sovietico, che potrebbe in poche ore schiacciare la Germania rinata dalle ceneri di Compiègne. La sua è una convinzione politica e mitica, che affascina anche coloro che per scienza e professione dovrebbero conoscere i veri rapporti di forze".

Siamo all'irruzione dell'irrazionale nella storia. Ma è proprio questo modo irrazionale, contradditorio di fare la storia il lato oscuro dei movimenti autoritari, del neofascismo come del neocomunismo, questo mettere d'accordo i contrari che fu tipico di Mussolini e per cui gli Alemanno e i Fini possono fare gli elogi dei caduti della Resistenza come dei "ragazzi di Salò", che impiccavano e fucilavano i partigiani, dei soldati che difesero Roma dalle truppe naziste, come di quelli della Repubblica Sociale di cui il ministro della difesa La Russa ha detto: "Dal loro punto di vista combatterono credendo nella difesa della patria".

Con questo relativismo senza limiti e senza pudori si può discutere a non finire di potere, ma lasciando in pace la comune ragione e la sua evidenza. Quella ricordata per l'occasione da alcuni familiari delle vittime dell'Olocausto: "Non sappiamo se il fascismo fu il male assoluto. Ci basta sapere che con il fascismo alleato di Hitler i nostri parenti finirono nelle camere a gas".

(9 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #62 inserito:: Settembre 13, 2008, 12:36:54 am »

Giorgio Bocca


Un ministro di polizia


Roberto Maroni non c’entra con gli Interni: si occupa soltanto di immigrati. Ma non conosce le ragioni  che spingono questa ondata umana  Apro la televisione e c'è il Roberto Maroni, oggi nientepopodimeno che ministro di polizia, come si diceva un tempo, ed era più giusto, perché che senso ha chiamarlo degli Interni se si occupa continuamente degli stranieri che arrivano dalle nostre parti, e gli tocca spiegare l'impossibile. Cioè che alcuni possono restarci e altri essere rispediti, non si sa bene come, a casa loro, che alcuni sono regolari e altri no, ma se tu chiedi a uno che viene, per dire, dall'Africa sahariana perché è arrivato da noi rischiando la vita, lui ti mostra un rubinetto dell'acqua e ti dice: «Qui basta girarlo, con due dita, dove sono partito per avere l'acqua devo fare due ore di marcia».

Guardo il Roberto Maroni, oggi potentissimo ministro, a cui nel '93, la bellezza di quindici anni fa, per prima cosa domandai: «Scusi Maroni, ma come ha fatto in tutti questi anni a sopportare Umberto Bossi?» E mi rispose: «Non lo saprete mai perché non lo so nemmeno io». E fra le cose che non sapremo mai perché non le sa nemmeno lui ministro di polizia c'è anche questa ondata migratoria incontenibile per quanto facciano e dicano i nostri governanti passati e presenti, come nessuno ha mai saputo perché le invasioni barbariche ci furono ai tempi di Romolo Augusto, non prima e non dopo.
Il nostro tempo potrà essere vituperato per i più differenti motivi, ma non per la noia, non per il risaputo, non per il sempre eguale. Basta aprire una finestra sul mondo per rimanere basiti per l'incomprensibilità sua e degli umani che lo abitano.

Da noi ora è di moda l'imperatore Adriano per molte ragioni, in ultimo il ritrovamento di un suo busto con un orecchio solcato da una piega profonda, segno premonitore della malattia cardiaca che lo uccise. E naturalmente tutti rievocano la sua passione amorosa per il giovinetto Antinoo, a cui eresse in morte addirittura un tempio, passione per i suoi contemporanei romani per nulla scandalosa, affari suoi: figuriamoci se il signore del mondo non poteva innamorarsi di un giovinetto e portarlo a spasso dall'Egitto alla Grecia lasciando quell'arcigna della moglie nella splendida villa di Tivoli.

Ma il fatto è che questa storia imperiale di altri tempi viene ricordata sugli stessi giornali, nelle stesse televisioni dove si vedono penzolare dalla forca gli sventurati iraniani, condannati non solo per omosessualità ma per adulterio, questi ultimi lapidati nel più feroce dei modi, prima calati in una buca in modo che esca fuori solo la testa, gli uomini di faccia ai loro carnefici, le donne di nuca, come in una macabra partita a bocce con teste umane e pietre.

Giornali e televisioni ci mostrano Roberto Maroni, l'uomo che dopo aver abbandonato Bossi è tornato con lui e neanche questa volta sa il perché, e noi siamo lì a discutere di immigrati regolari e clandestini da far entrare e respingere, cioè dell'impossibile con disperati che pur di arrivare da noi attraversano il mare stipati su un gommone.

E oggi alle porte di casa nostra, nelle terre da cui l'imperatore Adriano ebbe l'accortezza di venir via, continua il massacro che neppure gli esperti dell'informazione riescono a spiegare: seguaci di un califfo ucciso secoli fa che fanno a pezzi con le bombe quelli della setta ai loro occhi ancora colpevoli, musulmani che fanno strage di cristiani o di indù, ex fondatori di "città nuove", di paradisi comunisti, che pistola alla mano danno il colpo di grazia ai condannati a morte di cui rivendicano subito gli organi, da destinare a qualche ammalato capitalista.

Apro la televisione, guardo Roberto Maroni che è un bravo tipo, di quelli che non sanno perché continuano a credere di poterlo cambiare, questo mondo.

(12 settembre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #63 inserito:: Settembre 20, 2008, 04:27:17 pm »

Giorgio Bocca


Se muore la speranza


In questa modernità mirabolante i più poveri, i più deboli hanno scoperto di avere uno strumento di terrore e di scandalo: la morte.
 
Vorrei capire perché nel 2008, nell'era del globalismo, di Internet, delle sonde mandate su Marte per scoprire la presenza di acqua, di Barack Obama, il candidato nero alla presidenza degli Stati Uniti, delle Olimpiadi in Cina e di altre meraviglie dell'umano progresso, la morte violenta, le stragi del terrorismo, i delitti d'onore, della gelosia, di religione, di razza purché coronati dalla morte altrui siano il pasto comune e insostituibile dell'informazione radiotelevisiva e cinematografica.

Vorrei capire perché, qualsiasi giornale, computer, film, documentario faunistico alpinistico, qualsiasi notizia dal mondo sia importante, richiesta dal pubblico, degna di umane passioni solo se corredata da un numero possibilmente cospicuo di morti. Perché le immagini di una processione indù in una provincia remota dell'India vengono trasmesse nel mondo intero solo se centinaia di poveracci, di bambini e di donne, sono morti calpestati.

In questa modernità mirabolante per scoperte scientifiche, dominata da giganteschi apparati militari, da correnti speculative che travolgono potentissime banche e onnipotenti economie, i più poveri, i più deboli, i più bistrattati hanno scoperto di avere a loro disposizione uno strumento irresistibile di terrore e di scandalo: la morte. Anche a costo di far uso della morte propria, anche a costo di cercare i loro improbabili paradisi dandosi la morte.

Ogni essere umano sa di possedere un dono insostituibile, la vita, e un ricatto contro cui il terrore della morte dei viventi non ha scampo. Forse l'ondata di terrorismo suicida che sta insanguinando il mondo più che dalla voglia di preda e di conquista o dalle ribellioni contro i potenti deriva da questa libertà insopprimibile che ha l'uomo, anche il più umile: la libertà di darsi la morte.


C'è stata anche per millenni la predicazione dei padroni ricchi e potenti, dei principi e dei sacerdoti per convincere i sudditi che morire per la società era onorevole e bello. Ma il terrorismo attuale si lega solo in parte alla lotta di classe, all'uso dei poveri e ignoranti da parte dei ricchi e sapienti. Forse questa esplosione mondiale di un terrorismo quasi sempre inspiegabile a fini politici, quasi sempre manifestamente esiziale più a chi lo pratica che a chi lo subisce, deriva, anche se è impossibile spiegarlo, documentarlo, da una perdita generale e irrimediabile di speranza.

Quando scrissi il mio saggio sul terrorismo italiano, assurdo e inspiegabile come il terrorismo mondiale, la risposta più convincente fu quella datami da un capo storico delle Br: "Tu mi chiedi perché la lotta armata negli anni Settanta e non prima? Credo perché la classe operaia arrivava dagli anni della ricostruzione, della grande fatica, dei bassi salari, della discriminazione e stava rendendosi conto che il suo tempo era già passato che non ci sarebbe stato nessun 'sol dell'avvenire'. Fu il suo canto del cigno, ma allora chi lo sapeva? Siamo piombati in un mutamento che non capivamo, abbiamo scambiato la nostra rabbia per una rivoluzione".

Temo che qualcosa del genere stia avvenendo a livello mondiale agli umili e diseredati della Terra. È stato detto dopo l'ultima guerra mondiale che cominciava un'era di pace e prosperità per tutti, che le guerre non erano più di conquista ma di liberazione, che il comunismo o il capitalismo della tecnologia e della scienza avrebbero fatto regnare l'abbondanza e l'eguaglianza. E invece arriva il catastrofismo, la penuria dei cibi e dell'energia, i nuovi conflitti per assicurarsi l'aria e l'acqua per vivere. Forse il vero movente del terrorismo è quello dell'eroe ebraico: 'Muoia Sansone con tutti i filistei'.

(19 settembre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #64 inserito:: Settembre 26, 2008, 06:24:41 pm »

Giorgio Bocca.


L'uovo di Silvio


Il berlusconismo ha un nome antico: populismo. Che riesce nei paesi e nei tempi in cui le promesse possono essere mantenute alle spalle degli altri, con gli imperi, le economie coloniali  Silvio BerlusconiSe ai suoi tempi ci fossero stati i sondaggi di opinione, lo spartano Licurgo, legislatore ottimo, avrebbe prescritto di evitarli come la peste perché il buon governante deve sapere che i sudditi preferiscono i comodi propri al bene dello Stato, i vantaggi individuali a quelli della collettività.

Ma cosa fa il signore che governa l'Italia? La governa, finge di governarla con i sondaggi di opinione. Seguite l'informazione al suo servizio e l'altra che finge di non esserlo, ma lo è. Sistematicamente i cittadini qualsiasi, il cosiddetto popolo sovrano, approvano ciò che il capo del governo suggerisce, e più si tratta di proposte demagogiche, illusorie e magari forcaiole, più le sottoscrivono con tendenza all'unanimità. Volete fare dei soldati dei poliziotti? Sì al 90 per cento. Volete armare le guardie municipali? Come no, e se proprio non è il caso di fornirle di mitra come se fossero gangster, almeno di pistoloni calibro 38. I governi che promettono sicurezza finiscono quasi sempre in dittatura: dura o morbida? Diamogli il voto.

C'è una ragione per cui Bettino Craxi è stato il grande protettore dell'attuale capo del governo e per cui è da lui ricambiato con rimpianto e stima? Perché la pensavano allo stesso modo: prima il potere, poi il buon governo. Fra i socialisti craxiani c'era anche un mio giovane amico, intelligente e onesto. Era il tempo delle tangenti imposte dai politici in ogni professione, in ogni affare. Gli chiesi: "Ma Craxi non si accorge che i quadri del suo partito appena possono rubano?". "Glielo ho chiesto", rispose, "e lui mi ha detto: 'Adesso voglio arrivare al governo e al governo si arriva con la maggioranza dei voti, e alla maggioranza si arriva anche con i soldi. Quando sarò stabilmente al governo penserò anche a sistemare i ladri'".

È un ragionamento che presenta a un tempo dei vantaggi pratici e dei rischi mortali, come quello di finire impiccato dagli stessi ladroni.

Il modo di governare caro a Silvio ha un nome antico: populismo. Consiste in un gioco tentatore ma spesso mortale: prometteva a tutti l'uovo subito, riservando a sé e ai propri fidi la gallina domani. Riesce nei paesi e nei tempi in cui le promesse possono essere mantenute alle spalle degli altri con gli imperi, con le economie coloniali, con il dominio finanziario. Per imporlo i governi populisti ricorrono di solito all'attivismo, all'uomo della provvidenza, che moltiplica i pani e i pesci, è onnipresente, fa in un amen ciò che gli altri non riescono a fare in anni, come far sparire la spazzatura, almeno in centro se non si può in periferia.

Governare la modernità e la globalità è difficile, spesso impossibile e i problemi del prossimo futuro - come l'acqua e l'energia per tutti in una crescita generale senza fine e senza limiti - sono spaventosi, ma il solo modo di affrontarli con ragionevole speranza di superarli è quello opposto al populismo e al governo dei sondaggi di opinione, quello diverso dall'apparire prima dell'essere, quello che non assegna o si rassegna alla guida dell'economia affidata alla pubblicità.

Il vizio dilagante dell'apparire prima dell'essere si è confermato in occasione delle Olimpiadi di Pechino. Fino all'assurdo, al grottesco degli improvvisati difensori dei diritti umani che su giornali e televisioni praticavano l'ultima trovata dei nostri neo conservatori: essere di sinistra anche essendo di destra.

(26 settembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #65 inserito:: Ottobre 04, 2008, 03:48:39 pm »

Giorgio Bocca


La fabbrica dei sogni


Preferiamo il potere alla libertà, il denaro all'onestà e soprattutto il vecchio nazionalismo colpevole delle ferocie senza nome lo preferiamo a ogni civile rivoluzione  Sono archiviate, deo gratias, le olimpiadi spettacolo a misura di uomo, meraviglioso e orrendo, la conferma che la umana storia sarà ancora per i millenni a venire meravigliosa e orrenda come è sempre stata.

Ha vinto la Cina meravigliosa e orrenda degli atleti fabbricati a costo di deformarli con gli allenamenti forzati, con l'obbedienza cieca degli aguzzini-allenatori e nell'ultimo paese comunista con i premi in denaro che ti fanno ricco per la vita.

Ha vinto lo spettacolo meraviglioso orrendo di un paese che ha fabbricato gli stadi più belli e magici, il cubo azzurro del nuoto, il nido di cemento dello stadio per nasconderli sotto la perenne nube grigia della industrializzazione forzata. La meravigliosa orrenda olimpiade che è piaciuta se non a tutti, alla stragrande maggiorana umana, ai regimi della democrazia come a quelli della condanna a morte e della censura, a quelli dei diritti umani alla vita e alla libertà. Lo si è capito da subito con tutti che sorvolano sui diritti umani.

Insomma, come sempre: il potere e il denaro prima di tutto, con gli uomini del potere e del denaro in prima fila a spiegare la ineluttabilità e la bontà del potere e del denaro che prevalgono su tutto. Cominciamo dalla abbondanza a volte ridicola dello spettacolo olimpico, del mito olimpico gonfiato, stravolto, intossicato. I giochi dell'Ellade e del mondo antico avevano l'impronta di una umanità a misura d'uomo, erano limitate nel tempo e nella quantità, erano le competizioni naturali di popoli contadini e guerrieri. Ripresentarli in età moderna e tecnica in cui tutti i valori contadini e guerrieri sono irriconoscibili rispetto al passato, la falsa idea decoubertiana della partecipazione più importante della vittoria, hanno avuto uno strepitoso successo perché il potere e il denaro hanno immediatamente riconosciuto la impostura e la sua inevitabile commercializzazione, facendone quella macchina di affari e di commerci sportivi che ricopre il mondo e prevale su tutti i vecchi, e ora persino ridicoli, distinguo dilettantistici.

Nella meravigliosa orrenda olimpiade cinese alcuni aspetti della eterna servitù umana al potere e al denaro hanno dato di sé la misura assoluta. La prevalenza eterna della cattiva moneta sulla buona. Cominciamo dalle intrusioni indecenti della industria sportiva. Che cosa ha da spartire con lo sport, con lo spirito olimpico, con la retorica sportiva, la fabbricazione di costumi da nuoto che diminuiscono la resistenza dell'acqua? L'uomo è o non è qualcosa di diverso da un siluro o da un delfino? Che cosa sono queste infinite variazioni del gioco antico della palla nel fango, nella sabbia, su una pantalera, contro un muro?

E le iperboli, le retoriche, i luoghi comuni dell'informazione sportiva che continua a mescolare lo snobismo decoubertiano con la corsa di tutti al denaro? Impagabili nella loro innocenza gli atleti italiani che in materia di tasse hanno chiesto candidamente la pura e semplice esenzione. Come fece Gino Bartali dopo un vittorioso Tour de France. Interrogato da Alcide De Gasperi su cosa il governo, il paese, potessero fare per premiarlo, rispose: "Mi tolga le tasse". E De Gasperi: "Mi spiace Gino, ma questo non si può".

La meravigliosa orrenda olimpiade di Pechino ci ha purtroppo inchiodato alla nostra condizione umana: preferiamo i sogni alla realtà, il potere alla libertà, il denaro all'onestà e soprattutto il vecchio nazionalismo, colpevole della guerra eterna e delle ferocie senza nome, lo preferiamo a ogni civile rivoluzione. Una bandiera che si alza su un pennone, un inno mal suonato ci fanno ancora piangere e delirare.

(03 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #66 inserito:: Ottobre 10, 2008, 06:51:17 pm »

Giorgio Bocca.


Una vita spesa bene


È quella del nostro esercito fermo nella difesa di una società civile, nella ripugnanza per la vita senza leggi e senza rispetti. Per la trasmissione ai figli di valori più forti di ogni ignoranza e corruzione, per la loro scelta virtuosa di rifiutare il peggio dilagante  Giovani in discotecaSpesso mi chiedo se ho speso bene la mia vita. La guerra partigiana, il giornalismo, i libri? Diciamo che non ci ho perso la faccia, che posso uscirne dignitosamente. Ma basta? Poi ci sono i figli. Anche con i figli è questione di fortuna, di combinazioni? Che una malattia non li uccida, che un ubriaco al volante non li travolga, che non si leghino a persona sbagliata, che non gli cada un mattone in testa? Certo, ma ringraziamo la fortuna e arriviamo alla fine di questa vicenda familiare: qualche merito noi genitori ce lo abbiamo? Forse sì, forse almeno per questo abbiamo speso bene la vita, abbiamo portato qualcosa alla parte buona dell'umanità, qualcosa che potrà servire alla sopravvivenza, se ci sarà.

Che cosa? Ce lo chiediamo noi genitori ancora stupiti della fortuna. Certamente non le parole, le prediche, i divieti, i consigli. Qualcosa che non aveva bisogno di parole, di gesti: una ripugnanza fisica e intellettuale per quella enorme fatica che è la pratica del male, riconoscibile in tutte le sue forme, la furbizia, la menzogna, l'infedeltà, l'inganno. Riconoscibile perché come esseri umani segnati dal peccato originale ne eravamo partecipi. Ma convinti, guardandoci indietro, che i figli questa ripugnanza la capissero, la sentissero e che si fermassero ogni volta che arrivava la tentazione di ignorarla, di violarla.

Forse la nostra è una delle tante presunzioni umane, ma che in tutti questi anni, in tutte le combinazioni della vita abbia funzionato questo confine morale insuperabile, questo segno sul terreno della nostra civitas ci pare chiaro. Stupidaggini e peccati di tutti noi molti, e anche ambizioni mal riposte, impazienze, invidie, pigrizie, egoismi, ma non un'adesione vera al male, non un cedimento vero alle grandi tentazioni del demonio. E siccome questa nostra sostanziale tenuta morale e civile è delle persone che conosciamo, delle persone che frequentiamo, siccome ci capita dopo un incontro di dirci "ma guarda che persone per bene, di persone normali ne esistono ancora", le ragioni di ottimismo ci sono ancora.


Certo non è facile: giù in città nelle strade e nelle piazze continuano a sfilare, in apparenza cuorcontento, ladri e violenti, sui giornali e alle televisioni i profittatori furbi e arrivisti occupano la scena ripetendo instancabili le loro miserabili avventure per il potere o per la ricchezza, e sembrano impunibili nella loro esibita delinquenza. Ma non sono i padroni del mondo e dell'avvenire.

C'è anche il nostro esercito fermo nella difesa di una società civile, nella ripugnanza per le fatiche del male. Piccoli segni che il potere e la ricchezza mal guadagnate e mal gestite possono avere passato il segno della sopportazione; i bagnanti della Sardegna che cacciano i gommoni dei miliardari del Billionaire.

Abbiamo speso bene la nostra vita? Credo di sì. Non tanto e non solo per le opere fatte, per le testimonianze lasciate, ma soprattutto per questa trasmissione ai figli, alle nuove generazioni dei fondamenti del viver civile e della ripugnanza per la vita senza leggi e senza rispetti, meravigliati per questa trasmissione di valori più forte di ogni ignoranza e corruzione, per questa scelta virtuosa dei figli, per questo loro rifiuto del peggio dilagante.

(10 ottobre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #67 inserito:: Ottobre 18, 2008, 12:10:30 pm »

Giorgio Bocca.


L'eterno fascismo italico


Le favole menzognere ma consolatrici sono meglio della verità. L'attivismo più apparente che reale aiuta a campare. Le paure irrazionali ma diffuse sono più importanti della realtà  Benito Mussolini assieme ad altri gerarchi fascistiIl quotidiano 'il Giornale' ha pubblicato una lunga lettera di un 'ragazzo di Salò', un professore emerito di ordinamento giudiziario dell'università di Bologna, Giuseppe di Federico, il quale racconta che a dodici anni, nel 1944, voleva arruolarsi nelle brigate nere di Salò per riparare al disonore di aver cambiato alleato, la Germania nazista, nel corso della guerra.

Il professore rivendica di aver scelto la fedeltà a un alleato razzista, imperialista, stragista, che Benedetto Croce definiva "nemico dell'umanità", come "fedeltà nelle cose in cui credo senza curarmi troppo delle convenienze". Nel caso, senza curarsi del fatto che gli alleati nazisti stessero mandando nelle camere a gas milioni di innocenti.

Sul tema del tradimento dell'alleato molti italiani a Salò e dopo Salò si rifiutarono di capire che la fedeltà a un'alleanza criminale è iniqua e che il suo tradimento è giusto e doveroso. Forse perché da millenni la cultura del potere predica la rassegnazione dei sudditi, degli 'ometti', dei cittadini comuni, dei sottoposti. Ma il diritto esiste, è un diritto naturale che non ha bisogno di essere codificato, è il diritto insopprimibile di ribellarsi al dispotismo quando esso arriva alla malvagità totale, alla rottura di ogni contratto sociale, all'ingiustizia imposta e proclamata. Chi rifiuta, come il professore emerito, il diritto degli italiani occupati dai nazisti a tradire l'alleanza voluta da Mussolini per paura e convenienza, più che per ragioni ideologiche, rifiuta il diritto umano a scegliere tra il giusto e l'iniquo.

Il professore emerito dice a sua scusa che lui non sapeva delle atrocità del nazismo, che solo "quando tornò dall'America un mio zio ci disse che le atrocità erano vere e a lui non potevamo non credere. Fu un vero shock per tutti noi".


Ma dietro al ritorno attuale di un modo di sentire, più che di pensare, neofascista, c'è qualcosa di peggio del non sapere, c'è un'affinità al fascismo eterno e in particolare al fascismo italiano che il berlusconismo rappresenta in modo spontaneo: le favole menzognere ma consolatrici sono meglio della verità, l'attivismo più apparente che reale aiuta a campare, le paure irrazionali ma diffuse sono più importanti della realtà.

Le statistiche dicono per esempio che l'Italia è uno dei paesi più sicuri del mondo, con il più basso numero di rapine e di omicidi? Non importa, la gente coltiva le sue paure; il metodo più semplice per vincerle era quello usato dal fascismo che ignorava i delitti nell'informazione, oggi invece si pecca in senso opposto, ma sono due facce della stessa falsificazione della realtà.

Il ritorno al fascismo eterno congenito degli italiani è un dato di fatto che è sotto gli occhi di tutti: tutto ciò che si lega in qualche modo a quell'archetipo, a quello stampo, a quello stile ha fortuna, tutto ciò che gli si oppone è nel migliore dei casi superato, noioso, retorico.

Fascista l'Italia di oggi? Ma dove? Ma come? Tutti o quasi pronti a negare l'evidenza: che l'informazione economica, politica, criminale è sempre più asfittica, legata ai padroni, che quella televisiva che dipende dalla pubblicità, cioè dal potere economico, è quasi inesistente, ridotta alle pillole informative incomprensibili e contraddittorie dei telegiornali, che il parlamento è esautorato, che il il governo può fare e dire tutto quello che gli fa comodo, anche di aver impedito la terza guerra mondiale, anche di aver ripulito il paese dalle sue soverchianti immondizie, anche di garantire i risparmiatori da qualsiasi crisi mondiale, e gli italiani ci stanno, come ai tempi in cui il duce sfidava il mondo stando su un mucchio di letame.

(17 ottobre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #68 inserito:: Ottobre 21, 2008, 11:28:46 am »

IL RICORDO

Una lezione di generosità


di GIORGIO BOCCA


Quando sento parlare di buoni maestri penso subito a Vittorio Foa, il migliore e il più presente negli anni dei miei buoni maestri. L'ho conosciuto leggendolo nel gennaio del '44, appena arrivato nelle Langhe dalla Val Maira con la anabasi partigiana dalla montagna alle colline del vino. Una staffetta ci portò da Torino l'ultimo quaderno di Giustizia e Libertà.

Aveva la copertina rossa e in nero la spada di Giustizia e Libertà. Era un articolo sulle alleanze orizzontali necessarie alla Resistenza, le alleanze ostiche alla nostra formazione elitaria, dei pochi ma buoni. Quella lezione di intelligenza e di modestia ci arrivò nel momento giusto, della euforia combattentistica e della superbia. Un quadro lucido della situazione, un richiamo alla realtà. Lo stesso modo di vedere il mondo, senza retorica ma senza rassegnazione degli altri maestri del liberal socialismo, da Gobetti a Bobbio, dai Galante Garrone ai Rosselli, dai Valiani ai Parri. Vittorio Foa ci è stato maestro di generosità e di fedeltà intellettuale, di antifascismo solidale e intransigente, il necessario ma sempre legato alla ragione.

Ho avuto come compagni di viaggio nella politica e nella cultura due intellettuali di stampo giellista: Paolo Spriano e Vittorio Foa. Il primo era diventato lo storico del Partito comunista, il secondo il dirigente della Cgil legata al Partito comunista. Li ho seguiti per anni nella burrascosa vicenda delle fazioni e delle passioni politiche e la mia stima in loro è durata e cresciuta per la loro fedeltà alla ragione, per la capacità rara di restarle fedeli se occorreva con "l'astuzia dell'intelligenza".

La prova migliore di Spriano fu la storia del Partito comunista dove tutto ciò che si doveva sapere fu indicato anche se non gridato e per Vittorio la visita del sindacato all'Unione Sovietica e la relazione critica che ne seguì, precisa anche se non gridata. Ciò che faceva di Vittorio una persona amata da tutti coloro che lo conoscevano era la sua curiosità disinteressata, la sua fedeltà a una ragione ragionevole.

Nonostante la galera fascista e le faziosità di cui soffrì anche l'antifascismo non rinunciò mai a cercar di capire i diversi, non sacrificò i sentimenti e l'ironia al disprezzo e alla condanna. Fu sempre un amico, un padre, un compagno comprensivo. Mi incantarono i suoi ultimi libri, specie i ricordi di montagna, così come mi aveva colpito il suo saggio sul quaderno di GL, il suo saper restare uno che sa ridere, come quando della politica giovanile ricordava il fastidio di sua madre per quelle montagne di Courmayeur piene di neve e di antifascisti.

Vittorio e la sua famiglia passavano le vacanze a La Salle in Valle d'Aosta. Vittorio non era più in grado di camminare ma si faceva portare in auto fino al Piccolo San Bernardo per le montagne in cui aveva camminato da ragazzo e che ricordava tutte perfettamente per nome. Anche quello un modo del suo essere fedelmente affettuoso.

(21 ottobre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 24, 2008, 10:22:23 pm »

Giorgio Bocca


I pescecani e il popolo bue


Cittadini sovrani? Sovrani di che? Di sentire il capo del governo raccomandare ai sudditi spennati "ascoltatemi, è ora di comprare le azioni". Un consiglio buono per gli speculatori  Ci voleva la grande crisi, più grande di quella del '29, così grande che i grandi della Terra né sanno da dove arrivi né come tamponarla, per smascherare le umane presunzioni, le umane ignoranze, l'umana demenza. 'Viva la Ca' Granda', come si cantava in Piemonte, viva la gabbia dei matti!

La grande crisi mette a nudo gli uomini più superbi, i più sapienti. Dove sono finiti? Sono in televisione o sui giornali o ai summit mondiali anticrisi per dire che, come il più umile degli ignoranti, non sanno cosa stia accadendo, perché accada, come se ne esca. Sanno soltanto, pensate un po', che l'unica cosa da fare è quella del pessimismo siculo: 'Chinati giunco', chinati uomo debole, lascia che passi l'onda di piena che dopo, se sarai ancora vivo, ti alzerai.

Li avete ascoltati nei giorni di grande crisi i potenti e i saggi della Terra? Quello che sta in Vaticano ha detto che il denaro non conta, è come la sabbia del deserto, basta un soffio di vento per disperderla. Ma non è con quella sabbia, con quella polvere che ha fatto delle sua sede terrestre il più ricco palazzo del mondo? Non è con quella polvere che sostiene i suoi missionari, le sue opere di carità, la sua propaganda della fede?

Nei giorni più travolgenti della crisi i grandi saggi sono saliti sulle loro cattedre per raccomandare agli ignoranti: "Nervi a posto! Ragionate! Non perdete la testa!". Ma si può? È come chiedere agli agnelli di non avere paura del lupo che sta facendo strage, come raccomandare: "Noi siamo, come ci chiamate, i vostri pescecani, ma adesso seguite i nostri consigli". Gli economisti non per nulla sono chiamati i dottori della 'triste scienza'. Di professione fanno previsioni sbagliate, predicano l'impotenza o addirittura giustificano i lupi. Quelli della crisi attuale sono già al lavoro. "Non stracciamoci le vesti - dicono - le grandi crisi in fondo sono necessarie, la ricchezza umana a guardar bene nasce dal superamento delle difficoltà". È la filosofia dei superstiti, dei fortunati, è l'assoluzione dei colpevoli. I colpevoli a parole vanno puniti, vanno cacciati, ma chi è colpevole in un mondo di matti? Così i Ceo delle grandi aziende vadano pure in pensione ai Caraibi con liquidazioni miliardarie. Siamo persone civili, non è vero? Siamo democratici, contro le pene capitali, non è vero? In questo i saggi, i maestri, toccano un tasto, come dire, popolare. Una di queste sere di crisi alla televisione hanno fatto parlare uno dei lupi, dei pescecani, che ha spiegato per filo e per segno come vendeva ai gonzi i 'titoli spazzatura' guadagnandoci miliardi, e quando gli hanno chiesto come ci sia riuscito, ha risposto: "Perché sono bravo". Gli spettatori lo hanno linciato? No, è risuonato un grande, sincero applauso.


La grande crisi conferma ciò che si sa del popolo bue, che essendo tale viene chiamato dai potenti il 'popolo sovrano'. Sovrano di che? Di sentire il capo del governo raccomandare ai sudditi spennati "ascoltatemi, è ora di comprare le azioni". Un consiglio buono per gli speculatori ribassisti che con la crisi hanno fatto montagne di soldi, non per chi dalla crisi è stato spennato.

Ma ha ragione Silvio, la sua popolarità non è mai stata così alta. Da quando predica la sicurezza come la prima richiesta dei cittadini, non c'è mai stata una crescita della malavita organizzata come adesso, che il ministro Maroni parla di una vera guerra contro lo Stato. Comunque calma, non perdete la calma.

(24 ottobre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #70 inserito:: Ottobre 31, 2008, 03:49:27 pm »

Giorgio Bocca.


Fare i conti con la storia


La chiusura dei giovani di An all'antifascismo democratico, più che una questione di risarcimenti di violenze subite nel passato, mi pare sia un'attuale rivincita di potere  Giorgio AlmiranteFederico Iadicicco, giovane militante di Alleanza nazionale, partito nato dal Msi, cioè dal neofascismo erede e continuatore del mussolinismo di Salò, ha dichiarato che lui e i giovani del partito di cui è leader Gianfranco Fini restano: "Noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti". A prova che se l'antifascismo, a fascismo ingloriosamente morto e sepolto, è irripetibile, il neofascismo continua nella confusione del linguaggio e nella labilità della memoria. Che insomma non è scomparso il movimento politico autoritario che in ogni città italiana aveva il suo 'sacrario dei caduti per la causa' e il culto della 'mistica fascista' che nessuno, allora e adesso, è mai riuscito a capire in cosa consistesse. È davvero significativo che l'unico collegamento fra il fascismo squadristico degli anni Venti e il rifiuto antifascista di Iadicicco sia la fedeltà 'ai morti per la causa'. Ci hanno ucciso, dunque siamo.

Il signor Iadicicco l'età della ragione ce l'ha, essendo della classe 1974, dunque sa certamente che per antifascismo oggi non s'intende muovere guerra al fascismo storico, nato e morto con Benito Mussolini. Per antifascismo oggi s'intende la difesa della democrazia da qualsiasi forma aperta o strisciante di dittatura, di mancanza di libertà, di nuovi razzismi, di nuovi imperialismi. È per questo che nella Costituzione repubblicana si dichiara espressamente il rifiuto della guerra e la difesa delle libertà e dei diritti umani. E allora il signor Iadicicco e i suoi camerati allergici all'antifascismo si mettano d'accordo con i dirigenti del loro partito che si dichiarano fedeli alla Costituzione e vanno in processione al sacrario ebraico di Yad Vashem. Rievocare il martirologio neofascista, raccontare la democrazia italiana come un regime dove è d'uso comune la caccia al neofascista, come nella Germania nazista lo fu la caccia all'ebreo, è un'esagerazione evidente.

I conti con la storia vanno fatti, ma senza usarli a sproposito. La guerra partigiana fu guerra di liberazione dall'occupante, ma anche guerra civile fra gli italiani, lasciò ferite profonde e inimicizie difficili da dimenticare. Ma tutto sommato ci fu una rifondazione nazionale, una rinascita civile, una coesistenza dei nemici di ieri.

Era l'anno 1977 quando scrissi per Laterza la storia della Repubblica di Mussolini, e la scrissi anche con colloqui con Giorgio Almirante fondatore del Msi, col generale Diamanti, il secondo del maresciallo Graziani, con i parenti di Buffarini Guidi, il ministro di polizia di Salò, con i perseguitati e con i persecutori di quegli anni di guerra e di sangue. Allora e dopo ebbi la sensazione, la certezza, che il miracolo si era compiuto, che il Paese era sopravvissuto alle lacerazioni profonde, all'odio insanabile, alla stupidità delle guerre.

E allora la riflessione che va fatta è un'altra, sulla natura umana, sull'incurabile egoismo umano. La chiusura dei giovani di An all'antifascismo democratico, più che una questione di risarcimenti di violenze subite nel passato, mi pare sia un'attuale rivincita di potere, lo sfruttamento del successo elettorale, la percezione di un protagonismo riacquistato.

Insomma, anche i giovani neofascisti - sempre fascisti - vogliono la loro parte di potere e di ricompense. I loro dirigenti di mezza età sono diventati ministri e sindaci, sono tra i vincitori della Repubblica berlusconiana. Gli basta e avanza l'alleanza con i moderati reazionari. Dell'antifascismo democratico non sanno cosa farsene.

(31 ottobre 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #71 inserito:: Novembre 07, 2008, 03:57:46 pm »

Giorgio Bocca.


Perchè vince la destra


Non offre soluzioni credibili alle paure e alle inquietudini umane ma la sua onda lunga si nutre di illusioni da offrire ai deboli e poveri  Il portiere del Milan Christian AbbiatiUn'onda lunga di destra dilaga per l'Europa. Votano a destra austriaci, tedeschi, inglesi, e in Italia, dove la destra è maggioranza ormai stabile, già pensano a prendersi anche la presidenza della Repubblica. Dovunque risorgono movimenti fascisti o razzisti, dovunque i tentativi di arrivare a società comuniste o socialiste sono falliti o deviati al punto, vedi in Russia o in Cina, da apparire irriconoscibili.

La forza oscura ma vincente di questo ritorno ai desideri e agli egoismi irrazionali spiega perché Berlusconi indichi nella pazzia il motore del progresso. Certo la storia umana sta sotto il segno, se non delle pazzie, della irresponsabilità. È stata forse razionale, responsabile, la crescita demografica continua, benedetta dal precetto divino del 'crescete e moltiplicatevi' o le conquiste ed esplorazioni senza fine scambiate per scoperta del paradiso terrestre? E cosa è un progresso che ormai sfiora di continuo l'autodistruzione?

L'onda lunga della destra non offre soluzioni credibili alle paure e alle inquietudini umane, offre qualcosa di più attuale e micidiale, offre un'illusione ai ricchi e ai forti di poter controllare i pericoli presenti e prossimi sacrificando i poveri e deboli. Nel mondo sono riprese le grandi emigrazioni dei poveri verso le terre dei ricchi. La destra che sale in tutti i paesi ricchi è divisa fra la paura dei nuovi arrivati e il bisogno che ne ha per i lavori più duri e sgradevoli.

Nel secolo borghese le grandi potenze europee pensarono di aver risolto questa contraddizione con il colonialismo: l'immigrazione dei poveri veniva disciplinata o impedita, i padroni delle conoscenze, delle tecniche, delle armi producevano le merci di valore e le vendevano ai poveri in cambio del lavoro e di materie prime. Questa spartizione del mondo fu portata ai suoi estremi dal nazismo come schiavitù razzista.


Oggi la crescita della destra non è più sotto il segno dell'imperialismo, ma sotto quello dell'Occidente assediato, non più offensivo ma difensivo. Una scelta di breve periodo ma reale, attuale. I posti buoni su questa Terra non sono molti, pochi quelli dove scorrono i fiumi biblici del latte e del miele. E siccome la paura come si sa è una cattiva consigliera, la destra dei ricchi e dei forti conquista anche quelli che non lo sono, ma pensano di esserlo.

Mi ha molto impressionato, molto colpito per la sua evidente irrazionalità, il coming out, la confessione fascista di un noto calciatore del Milan, che ha spiegato la sua nostalgia con delle motivazioni immaginarie, inesistenti e comunque irripetibili, del fascismo come età dell'ordine e della felice coesistenza tra partito unico, patria, religione. Non lo sa il bravo portiere Christian Abbiati che la soluzione coloniale del fascismo oggi è impossibile, che l'ordine pubblico fascista era uno Stato di polizia oggi inaccettabile e che tutto ebbe il suo prezzo spaventoso con la sconfitta in un'assurda guerra di conquista?

Ma il non sapere, diffuso in tutti i movimenti politici, è dominante in quelli della nostalgia e della conservazione estrema, i quali proprio per queste loro manchevolezze, per questi difetti hanno fortuna tra quanti preferiscono i sogni alla realtà. Il bravo calciatore crede di poter essere un fascista non razzista e non conquistatore, vale a dire inesistente. Perché l'esistenza e la persistenza dei fascismi è proprio quella di credere nella religione dei più forti e nella sconfitta dei più deboli; anche se questa è la legge della giungla indegna di creature nate 'per seguir virtute e conoscenza'.


(07 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #72 inserito:: Novembre 14, 2008, 10:33:10 pm »

Giorgio Bocca.


Piccoli gerarchi crescono


Un fascismo come quello littorio è impossibile, ma l'autoritarismo, le persuasioni occulte o retoriche o consumistiche, e soprattutto il piacere di servire i più forti, sono di nuovo fra noi  Domani vengono quelli della televisione austriaca per intervistarmi sul neofascismo italiano. Ne scrivo spesso, ho pubblicato un libro sul tema che ho intitolato 'Il filo nero', per dire qualcosa che può essere spezzato, sotterrato, ma che continua a dipanarsi nella nostra storia.

Che cosa gli dirò? Per cominciare gli dirò che il ritorno dei fascisti, se non del fascismo come regime, è un dato di fatto: ci sono di nuovo, nel governo, nei giornali, nella radio, nell'editoria, nel cinematografo, persino nelle canzoni. Noi antifascisti ci consoliamo dicendo che sono tornati per conto terzi, come negli anni Venti dicemmo che erano arrivati per conto dei capitalisti, del Vaticano, della monarchia, del venerdì nero di Wall Street, ma allora come adesso sappiamo che sono arrivati o tornati perché in Italia c'erano da sempre, dai tempi degli antichi romani o del Rinascimento, delle milizie nere nelle guerre civili.

Ci sono di nuovo e, come sempre, vogliono impadronirsi di tutto, anche del loro contrario, anche dell'antifascismo, come il Gianfranco Fini e il sindaco di Roma, prontissimi a rubarci il mestiere dell'attivismo e del populismo.

Ma come definirlo oggi questo filo nero che rispunta da ogni parte, questa nostra eterna specialità o affinità per cui prima o poi ce li ritroviamo in casa in cerca di un duce o di un impero o semplicemente di un manganello, indefinibili ma realissimi?

Aveva a suo modo ragione il fascista estremo Julius Evola a dire che il reato di apologia di fascismo contemplato dalla Costituzione repubblicana era assurdo, "perché nessuno era in grado di dare una definizione precisa di fascismo". L'unica cosa certa del fascismo, dei fascisti, è che sono naturalmente sordi, inadatti, nemici della democrazia, "Autobiografia della nazione", come diceva Gobetti. "Adattamento all'indole storica e alla cultura del popolo italiano", come diceva Cuoco, o "negati alla democrazia", come scriveva Prezzolini: "Islandesi, svizzeri, inglesi, americani sono nati democratici. Noi autoritari e faziosi. Che l'italiano sia un popolo democratico è un'assurdità. Forse non sono stato fascista perché ero troppo poco italiano".

Definizioni sommarie, esagerate, smentite dagli italiani morti per la libertà e la democrazia? Forse sì, ma un sospetto rimane anche in me, se ho intitolato questa rubrica 'l'Antitaliano'.

La ricomparsa dei fascisti se non del fascismo può essere parzialmente spiegata dalla nostra storia, dalla lunga dominazione straniera e dalla breve esperienza democratica. Ci vuole del tempo per dimenticare i secoli delle fazioni e della violenza e per diventare una nazione unita e democratica. Anche la guerra partigiana fu troppo breve per cambiarci in modo duraturo, troppo breve persino per darci delle canzoni, un inno, costretti per la fretta a ricopiare quelli militari della monarchia, o a trasformare in democratici quelli imperialisti. Il revisionismo storico, la diffamazione della Resistenza a cui è stato difficile opporsi, il successo di nuovi populismi ingannevoli e ladri ci avvertono: nulla si ripete in modo identico nella storia umana.

Un fascismo come quello littorio è impossibile, ma l'autoritarismo, le persuasioni occulte o retoriche o consumistiche, il 'lei non sa chi sono io', i milioni di gerarchi in pectore, e soprattutto il piacere di servire i più forti, sono di nuovo fra noi.

(14 novembre 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #73 inserito:: Novembre 21, 2008, 11:01:21 am »

Giorgio Bocca.


Attenti al gran bugiardo


C'è una forma di ottimismo smentita dalla storia, quello di chi non crede alla ripetizione di dittature come quelle del Novecento.
Non è così, la storia dimostra che si può vivere anche senza Stato, anche tornando alla legge della giungla  Silvio BerlusconiIl partito democratico ha tenuto la sua manifestazione di massa a Roma e, due milioni o trecentomila convenuti, è stato un successo: Veltroni ha potuto dire che l'Italia della piazza è "migliore della destra che la governa", che l'antifascismo è la stessa cosa della democrazia e che il fatto che il presidente del Consiglio non lo nomini mai è un segno preoccupante, ragion per cui è giusto e doveroso fargli una forte, tenace opposizione.

Già, ma qui sta il punto: come la fai l'opposizione a uno come Berlusconi che non solo la rifiuta, ma sinceramente non sa cosa sia, e che comunque, smentendo ciò che ha detto cinque minuti prima davanti alla folla di testimoni che lo ascoltano in piazza o alla televisione, non sa neppure chi sia lui stesso?

Anni fa Eugenio Scalfari disse che Silvio era il più straordinario bugiardo che avesse mai conosciuto, uno che crede fermamente, sinceramente alle sue menzogne, ed è lo stesso Berlusconi a confermare questo giudizio quando racconta, compiaciuto, che durante un viaggio in treno da Milano a Roma si trovò seduto di fronte al suo più accanito nemico che però, alla fine del viaggio, era completamente, non parzialmente, d'accordo con lui.

Il fatto, lamentato da Veltroni, che egli non si sia mai pronunciato sull'antifascismo, preferendo il fare della politica e del governo alle scelte ideologiche, non è casuale, fa parte di un modo di governare e di intraprendere in cui è maestro. Chi ha frequentato come dipendente una delle sue televisioni sa che egli decide tutto, ma per tutto ha un coprispalle. Nel peggiore dei casi ricorre a un silenzio tombale, un 'fin de non recevoir' totale e un po' dolente: ma si fanno a uno come lui domande così indiscrete? Che opposizione si può fare a uno che per natura, per attitudine, per convincimento, essendo uomo nato per le pubbliche relazioni, si trova a vivere in un periodo in cui la pubblicità è sovrana e la politica è spettacolo? Che opposizione si può fare a uno che può essere contemporaneamente il più fedele alleato della democrazia americana e l'amico fidato di Putin, cioè del Kgb riciclato in Gazprom?

Nessuno di noi sa cosa ci attende in un prossimo futuro, se un nuovo fascismo senza lager o una nuova rivoluzione democratica. Gli ottimisti vedono nella manifestazione del Pd a Roma la prova che anche da noi c'è ormai uno zoccolo duro della democrazia. Il pessimismo di altri sta nella costatazione che dietro agli aspetti ludici e bonari, consumistici ed edonistici dei moderati di casa nostra c'è però una tendenza, se non una volontà precisa e premeditata, a sbaraccare lo Stato di diritto per aver mano libera nel fare, che può essere anche nel rubare e nello speculare, come è stato spiegato a tutti dalla attuale crisi economica. C'è una forma di ottimismo smentita dalla storia, l'ottimismo di chi non crede alla ripetizione di dittature come quelle del Novecento, alla sopravvivenza comunque di regole e di leggi civili, senza cui non esiste società umana. Non è così, la storia dimostra che si può vivere anche senza Stato, anche tornando alle legge della giungla. Hitler aveva perso ogni legame con le istituzioni del Terzo Reich e Stalin ignorava ogni giorno la costituzione che lui stesso aveva scritto, entrambi i despoti imponevano la loro volontà. E per vincere la loro follia ci vollero milioni di morti.

(21 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #74 inserito:: Novembre 28, 2008, 10:23:08 pm »

Giorgio Bocca.


Se dell'Utri sta con Obama


Il modello Berlusconi ha fatto scuola: Fini e Alemanno antifascisti, Calderoli apre all'Onda. È la politica stile commesso viaggiatore  Silvio Berlusconi e George W. BushDi un liberale moderato che si era messo a fare l'interventista e il nazionalista, Mussolini, che non era privo di humour, disse: "Questa è concorrenza sleale".

La destra italiana la pratica senza esitazione e ritegno. In testa gli ex missini di Alleanza nazionale: tutti in pellegrinaggio a Gerusalemme, allo Yad Vashem, il sacrario dell'Olocausto, e appena tornati tutti comprensivi e solidali con gli studenti di sinistra che scioperano contro la Gelmini. L'esempio viene dall'alto, dal presidente del Consiglio e aspirante alla presidenza della Repubblica Berlusconi. Si ricorda di lui, quando era impresario edile, che compariva all'ufficio vendite per fare tutte le parti: del venditore come del tecnico, dell'impresario come del consulente, del cliente soddisfatto come di quello in cerca di spiegazioni. Alla vigilia delle elezioni americane abbiamo saputo che era per Obama e non per McCain. Come i suoi fedelissimi Bondi e Dell'Utri. Restando amico di Putin e sodale di Gheddafi a cui, incredibile ma vero, pare abbia promesso aiuto in caso di attacco americano. E il ministro Frattini, uomo di garbo e di mondo, ha subito dichiarato che "tra Silvio e Obama ci sono molte affinità".

Siamo alla politica da commesso viaggiatore, da mercante in fiera pronto a tutto pur di vendere i nostri callifughi, sicuri che in piazza ci sarà sempre uno pronto a comprare le medicine miracolose, le lozioni per la rinascita dei capelli.

È difficile capire se l'italiano comune segua Silvio nelle sue evoluzioni perché crede davvero che sia il re Mida che trasforma in oro tutto quello che tocca o perché il piacere di servire il più forte è sempre un gran piacere. Fatto sta che il modo o la moda attuale di far politica, questo populismo generalizzato e moltiplicato dalla mentalità pubblicitaria dominante, sono praticati da tutti, senza distinzioni di partito o d'ideologia. La democrazia è pur sempre una parola magica, un marchio di buon governo? Il sindaco neofascista di Roma Alemanno e il presidente della Camera Fini sono oggi i più rapidi, pronti, sicuri testimoni della democrazia, più democratici dei giudici della corte costituzionale, più antifascisti del presidente dell'Anpi. Gli studenti manifestano nelle piazze? Il leghista Calderoli, quello che un tempo non amava 'i culattoni' e detestava 'i maomettani' della sinistra, trova parole di comprensione e di apertura.

La lezione del Silvio 'incantatore di serpenti' è diventata luogo comune, precetto virtuoso da copiare. Se vuoi vendere la tua merce, buona o cattiva che sia, devi piacere all'uditorio, alla platea, pensare all'ovvio e non al complicato, all'uomo comune e non all'eccezione. La voga che hanno le trasmissioni sul tempo, che ripetono i discorsi rituali sulla pioggia e sul freddo dall'inglese da caricatura, l'inglese che esce con ombrello e galoche anche se splende il sole, confermano che anche noi siamo maturi per i conformismi dominanti. Politici come Silvio sono prontissimi a farne uso, incuranti del vero e anche del verosimile. L'importante è avere i soldi ed essere a capo dello Stato, che il liberismo denigra e combatte, ma che resta il padrone del 60 per cento della spesa pubblica, del giro di miliardi.

Il politico Mussolini non era uno sprovveduto quanto a conoscenza dei difetti degli italiani. Ma neppure lui avrebbe potuto prevedere che i suoi eredi avrebbero cavalcato anche i modelli della democrazia e dell'antifascismo.

(28 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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