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Autore Discussione: Franca RAME  (Letto 8333 volte)
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« inserito:: Gennaio 03, 2008, 05:25:49 pm »

3/1/2008 (7:24) - INTERVISTA A FRANCA RAME

"Io, un’innamorata delusa dalla politica"

"Ci chiedono di votare anche contro le nostre convinzioni se no torna Berlusconi.

Ma sono stufa, lascio il Senato"

ALBERTO MATTIOLI


TORINO
Senatrice, l’Ansa titola: «Franca Rame: situazione pesante, mi dimetto». Conferma?
«Le dimissioni sono decise. Sto scrivendo la lettera, che manderò solo al presidente Marini e non ai giornali».

Perché?
«Perché non voglio che sia ridotta a qualche riga con il rischio di essere male interpretata».

Ma così nessuno lo saprà.
«No, perché acquisterò spazi sui maggiori quotidiani e la farò uscire lì. È da quando sono senatrice che impegno il denaro dell’indennità nel sociale e per informare la gente del lavoro fatto».

Con il governo che al Senato rischia un giorno sì e l’altro pure, il suo telefono sarà rovente.
«Sì, è stata una giornata pesante».

Cosa l’ha delusa del governo?
«Vogliamo fare l’elenco? In diciannove mesi non ha avuto la forza di fare una legge sul conflitto d’interessi, sul falso in bilancio, sulla lottizzazione della Rai, sull’antitrust, sull’abolizione della Cirielli. In compenso ha detto sì alla base di Vicenza e ha creato le condizioni perché al pm De Magistris si scippassero le sue inchieste. E il pm Forleo è stata fatta passare per una bizzarra un po’ esaltata».

Guardi che Prodi l’ha votato anche lei...
«Sì, ma il guaio è che siamo costantemente sotto ricatto: votate così, altrimenti c’è la spallata e torna Berlusconi. Ma io sono stanca di ingoiare rospi. Sulla Finanziaria il senatore Turigliatto aveva proposto degli emendamenti. Alcuni mi trovavano d’accordo e li ho firmati. Sono stata convocata, non mi chieda da chi perché non lo direi, e mi è stato detto che se li avessi votati si rischiava di andare sotto».

E lei cos’ha fatto?
«Una dichiarazione di voto: “Ritiro la firma agli emendamenti Turigliatto, non voglio spallate da Berlusconi”. Le assicuro che mi è costato proprio molto. E giù fischi dall’opposizione».

Insomma, non salva niente?
«Ma no, Prodi qualcosa di buono l’ha fatto: la riduzione del deficit, per esempio. Ma resta il problema di fondo: che c’azzecca, per dirla con Di Pietro, l’Udeur con Rifondazione?»

E la Binetti con la Rame?
«Niente, appunto. Però io la Binetti la stimo, perché è coerente con il suo cervello. Anzi, dico di più: sul piano umano, abbiamo molto in comune. Un giorno mi misi a piangere in pieno Senato perché un bambino in difficoltà di cui stavo seguendo il caso era sparito. Letteralmente: non si trovava più. Bene: una domenica, la senatrice Binetti è partita da Roma, il senatore Tomassini, di Forza Italia, da Varese, tutti e due sono andati a Firenze e hanno rintracciato e visto il bimbo».

A proposito di azzeccarci: in novembre lei ha lasciato l’Italia dei valori, in disaccordo sul ponte sullo Stretto. I rapporti con Di Pietro oggi come sono?
«Ottimi. È un uomo imprevedibile, ma simpatico. Dopo che ho lasciato il suo partito mi ha mandato un sms: complimenti per la tua onestà».

Lei si dimette proprio nel momento in cui si chiede di ridiscutere la legge 194. L’aborto è una delle sue battaglie.
«La legge 194 non-si-toc-ca. E non si toccherà. Poi dare le dimissioni non vuol dire andarsene. Devono prima accettarle. Io non scappo. L’importante è che la pubblica opinione sappia come la penso. Ma poi è l’atmosfera generale che non mi piace».

Perché?
«Tutti parlano, ma nessuno ascolta. Non c’è comunicazione, non c’è amicizia, non c’è dialogo. Lo dissi all’Unità e il senatore Furio Colombo obiettò: ma come? Io e te parliamo. Sì, ma parlare non è chiedere come stai alla mattina. È confrontarsi, discutere, magari litigare. Ma parlare di politica, di cose concrete. Appassionarsi. Invece il Senato è il frigorifero dei sentimenti».

Questa è forte...
«Nemmeno un po’. C’è una senatore della sinistra che per almeno due mesi mi è stato seduto accanto. Sempre zitto e serio. Mai un sorriso, una parola. E che è, Tutankhamon? Una mummia. Poi una sera lo vedo in tivù da Santoro: parlava e sorrideva perfino. Il giorno dopo l’ho affrontato vincendo la timidezza: ma allora sei vivo! E quando sorridi sei anche più bello. Da quel giorno mi sorride sempre...»

Un ministro che le piace?
«Cesare Damiano. Ha fatto un bel disegno di legge sulla sicurezza sul lavoro. Era ora!»

E un parlamentare?
«Siamo talmente tanti. C’è del buono perfino nelle proposte di Dini, che è tutto dire».

Ma se hanno fatto infuriare la sinistra!
«Sì. Però ce n’erano anche di sensate. Sull’abolizione delle province, per esempio, siamo d’accordo in molti. Allora, perché non dirlo?»

Nell’opposizione chi le piace?
«Quando il senatore Malan ha lanciato il libro del regolamento contro il presidente Marini, mi ha fatto una paura tremenda. Ero sbalordita. Non lo conoscevo per niente. Ma chi è questo ragazzaccio? Poi ho scoperto che è una persona pacata, ragionevole, perfino simpatica. Certo l’opposizione spesso si mette a sbraitare, a insultare, a tirare giornali. Cosa insegneranno ai loro figli?»

Degli sprechi cosa dice?
«Si parla, si parla, ma si conclude poco. Abbiamo più sottosegretari che al tempo di Berlusconi. Ogni proposta di diminuirci gli stipendi naufraga. Ancora: quando vedi che mancano trenta senatori, ma risultano presenti perché hanno inserito la tessera nel dispositivo per votare, beh, sei disgustata. La diaria è di 258 euro e 35 centesimi. Moltiplichi per 30 e vedrà quanto un furbo costa al contribuente in un mese».

Suo marito cosa le ha detto, quando ha deciso di lasciare?
«Alla mia età mi posso permettere di decidere da sola, lo dico senza arroganza. Comunque è d’accordo, mi vede stanca e non felice».

Cosa farà, dopo?
«Quel che ho sempre fatto: tornerò a recitare. Voglio essere libera, senza paura di sbagliare, irriverente con il potere. Indipendente lo sono sempre stata, anche al Senato. Tornerò a esserlo anche nella vita. Liberaaa!»

E domani?
«Domani (oggi per chi legge, ndr) andrò a Torino, al funerale dell’ultimo operaio ucciso alla Thyssen».

Con Dario Fo?
«Certo. Ci è tornata in mente una nostra vecchia canzone, che diceva: “Addio addio amore, nelle galere di Lombardia e di Torino andiamo a crepare per poter campare”...».

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 25, 2008, 04:40:18 pm »

Scusate il ritardo, ma non ho avuto un attimo di tempo! franca

Roma 24 gennaio 2008


Ieri sera, dopo la giornata trascorsa alla Camera, sono rientrata a casa senza alcuna voglia di parlare, e tanto meno di discutere. Manco ho cercato di reagire. Mi sono sdraiata sul letto a riflettere. Pensare e ripensare a quanto visto e udito in quella lunghissima giornata. Avevo addosso un grande sconforto.
Che non se ne andrà di certo in qualche ora.
Né in qualche giorno.
Sono entrata a Montecitorio alle 15.30. Il governo era presente al completo, Prodi con tutti i suoi ministri, meno l’ineffabile Mastella.
Ho ascoltato le dichiarazioni di voto dell’opposizione e di qualche rappresentante della sinistra cosiddetta estrema. Erano entrambi violente e insultanti. Parola d’ordine: “Vattene Prodi”.
Non mi giudicate “facile al patetico”, non lo sono. Piuttosto mi sono messa nei panni di Prodi e ho vissuto il suo stato d’animo. Stavo male per lui. Me ne sono uscita interamente svuotata.

Già la mattina era cominciata male. Una normale e amichevole conversazione con un compagno che stimo è degenerata in un attimo, partendo dal voto alla fiducia a Prodi.

La coerenza è stata una costante assoluta della nostra vita (mia e di Dario), coerenza che abbiamo anche pagato caramente. Coerenza “sì”, espressa sempre ad ogni costo. E le rarissime volte che abbiamo mediato è stato solo perché non eravamo gli unici esseri viventi del pianeta con problemi “solo nostri”, ma c’erano altre persone coinvolte. Eravamo quindi costretti a riflettere su “causa ed effetto” nella totalità delle situazioni.
In questi 19 mesi, come ho spesso ripetuto, m’è capitato più di una volta di dover votare contro coscienza. Perché? Proprio per rispettare la “causa e l’effetto”. Il leit motiv delle mie riflessioni girava sempre su una costante domanda: dove porterà il governo del quale faccio parte il mio voto “contro” da anima bella?
Sono salita su questa strana nave che a momenti mi ricorda quella dei folli, pensando di poter fare qualcosa di utile. Non è successo. Non mi è stato possibile. Non ce l’ho fatta.
Essere coerenti con le proprie scelte ideologiche è onesto, giusto, indispensabile… ma se non te lo puoi permettere? Non ti resta che rassegnare le dimissioni. Cosa che ho fatto.
Senza presunzione dico che non so se il governo avrebbe retto senza i miei “Sì” con i piedi saldi a terra, dettati dal senso di responsabilità.
Se qualcuno di quelli che mi hanno votata pensa che io abbia tradito i miei elettori e me stessa, io rispondo che l’esame di coscienza me lo sono imposto ogni giorno. Adesso tocca a loro, mettendosi anche nei miei panni fino in fondo.
Ribadisco che personalmente ho solo mantenuto l’impegno che ho preso accettando questa assai pesante carica: fedeltà al governo. Mai avrei potuto far qualcosa che lo mettesse a rischio.
Punti di vista.
E’ bello, esaltante, far l’eroe sul cavallo bianco con il vento che ti gonfia il mantello… soprattutto quando c’è qualcuno che ti permette di montare in groppa e galoppare glorioso.
La coerenza va ragionata, come ho già detto, e non perseguita a piedi giunti ad oltranza, muovendosi esclusivamente lungo le proprie convinzioni.
Causa ed effetto.
Oggi (salvo miracolo) il governo cadrà. I responsabili di ‘sto sfacelo dovranno render conto del loro operato a “molti” italiani.

Sì, non tutto è andato come si voleva. Sì, la gente sta male… Sì, ci siamo trovati in mezzo a guerre, così dette “missioni di pace”, sì i precari, sì gli operai che si alzano alle 5 e vedono crescere i figli quando li vanno a guardare mentre dormono, solo la sera al rientro… Sì, le pensioni fanno schifo… beh, non tutte : un importante politico intasca circa 500 mila euro l’anno… sì, non s’è mosso un dito per il conflitto d’interessi e la cancellazione delle leggi ad personam… Ma in quanti “mangioni” si saranno dati da fare perché a Prodi non si permettesse di affrontare l’argomento? Sì, sì, sì… tutto giusto. Ma che Prodi, in quel suo governo, di fatto, si trovasse come un condannato agli arresti domiciliari con manco un cane che gli portasse le arance… non l’avete mai considerato? Andavano da lui solo a imporgli, a chiedere e a ricattare.
Bella gente!
Che Berlusconi ci ha lasciati con le pezze al sedere nessuno se ne ricorda? E che i soliti furbacchioni hanno collezionato cariche e privilegi in quantità?
Non ha fatto proprio niente Prodi? In un editoriale di qualche giorno fa Scalfari faceva un elenco che dimostrava proprio il contrario. Sono poi passati solo 19 mesi. Bastavano per rimettere in piedi un Paese completamente allo sfacelo?

Cosa pensano i responsabili della caduta di Prodi, che tornando Berlusconi a Palazzo Chigi la classe operaia andrà in fabbrica con la Ferrari, i pensionati sverneranno a Sanremo e i precari avranno contratti d’oro che erediteranno i loro figli e i figli dei loro figli?
E se non andasse così?
E se si peggiorasse come è più che probabile?

No, l’estremismo non mi è mai piaciuto. 
Penso a un tale, di cui ci si ricorda sempre meno, che sentenziava: “Attenti. L’estremismo è la malattia infantile del comunismo.”
Ha sbagliato: non è una malattia infantile, ma senile! Ed è una malattia all’ultimo stadio.
franca rame

NB. GIU’ LE MANI DALLA 194!

da www.francarame.it
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 29, 2013, 06:22:37 pm »

Gli esordi raccontati in un'intervista del 2004

Quando Franca Rame girava col carro del papà

L'attrice si fece le ossa con la compagnia di giro di famiglia Recitando Shakespeare e Goldoni nella Lombardia profonda

Franca Rame, prima di diventare musa e compagna di Dario Fo in mille battaglie del teatro d'impegno, imparò il mestiere con la compagnia viaggiante del padre, Domenico, con cui improvvisava grandi classici e scenette della commedia dell'arte in comuni sperduti della Lombardia profonda.

Ecco come ci raccontava i suoi esordi in un'intervista del 2004.

«Sono nata a Parabiago per caso. La mia famiglia quel giorno si trovava lì per uno spettacolo». In tema di teatri viaggianti e carri di Tespi, commedie dell' arte e arti scomparse, Franca Rame ha tutti i titoli per intervenire. La compagna di Dario Fo proviene infatti da una famiglia di marionettisti, burattinai e attori che, a partire dal 1600, iniziarono ad attraversare cittadine e frazioni lombarde, emiliane e venete per stabilirsi infine a Varese con la loro compagnia di giro. Ricorda Franca Rame: «In realtà non avevamo un vero e proprio carro di Tespi, ma un "teatro viaggiante". Ogni mattina partivamo da Varese per andare a Casorate, a Dairago o al paese di turno. Si montava il palcoscenico in legno. Le quinte erano due rotoli che stendevamo noi, opera di Lualdi, pittore che aveva lavorato per la Scala». E iniziava così lo spettacolo, con il padre Domenico e la madre Emilia, gli zii, le zie e attori scritturati per l' occasione. «Mettevamo in scena un po' di tutto - racconta - dalla commedia dell' arte ai classici di Shakespeare. Adattati all' occorrenza perché mio padre sapeva di aver a che fare con un pubblico fatto di persone semplici». E per accattivarsi le simpatie degli spettatori, la compagnia Rame sapeva ricorrere anche a qualche furbizia maturata in anni di mestiere: «Uno della famiglia - sorride Franca - andava al paese dove ci saremmo dovuti esibire e orecchiava storie e leggende che giravano da quelle parti, mariti cornuti e santi patroni. Detto fatto. Qualche giorno dopo diventavano il canovaccio sui cui avremmo improvvisato». Franca Rame - debutto in scena a otto giorni, interprete della figlia neonata di Genoveffa di Bramante, saga cavalleresca - ha fatto questa vita («Si lavorava 363 giorni all' anno, festa dell' Ascensione e 2 novembre esclusi») fino al 1951, quando entrò nella compagnia di prosa di Tino Scotti. Vent' anni in tutto, fondamentali per la sua formazione, perché la Rame ha conosciuto l' impegno sociale ben prima dell' incontro con Fo («Mio padre, socialista militante, ci portava nelle fabbriche occupate e gli incassi dei nostri spettacoli andavano alla costruzione di asili»). E ancora anni dopo, quando con il marito girava per tutti i teatri d' Europa, se si trovava a passare per il Varesotto,la gente la indicava dicendo «tela lì, la figlia del Domenico Rame...».

Matteo Cruccu

ilcruccu

29 maggio 2013 | 15:14© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/cultura/13_maggio_29/franca-rame-esordi-compagnia-viaggiante-cruccu_a6162074-c84d-11e2-8fbd-d55cdeb0d621.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 31, 2013, 04:02:12 pm »


Franca Rame

• Parabiago (Milano) 18 luglio 1929 - Milano 29 maggio 2013. Attrice. Da più di cinquant’anni insieme a Dario Fo. Nel 2006 fu eletta al Senato con l’Italia dei Valori. «Il giorno delle elezioni mio figlio mi annunciò che ero prima in Piemonte. Piansi per due ore sul divano. Ma adesso eccomi qua, mi ci sono ammalata, sono dimagrita, mi sento in preda a una disperata impotenza».

• Figlia d’arte, fin da bambina girò per le piazze e i teatri della Lombardia e del Piemonte con il padre Domenico, la madre Emilia, il fratello, gli zii, i cugini. Dal 1950 attrice di prosa e di rivista, nel 1951 tra le protagoniste di Ghe pensi mi di Marcello Marchesi (con Tino Scotti), poi ne I fanatici e Papaveri e papere, brava e bellissima diventò in breve una delle soubrette più ammirate.

• Scritturata per Sette giorni a Milano, conobbe Dario Fo, col quale si sposò nel 1954: «Una bionda mozzafiato, quando me la son trovata davanti il cuore ha cominciato a danzare a ritmo forsennato. Però poi è stata lei a spingermi contro un muro e a baciarmi la prima volta» (Dario Fo). Da allora inseparabili nella vita e sul palcoscenico: protagonista femminile di tutti gli spettacoli del marito, collabora a stesura dei testi e messe in scena. «I giovani sessantottini (...) vedevano in Dario Fo il loro guru, l’uomo che più sembrava avvicinarsi all’ideale dell’immaginazione al potere (...) Ma ad intensificare l’impatto politico di quel teatro provvedeva l’attività direttamente impegnata nel “movimento” di Franca Rama. Furono quegli anni in cui gli italiani si dividevano in due grandi categorie: quelli che amavano Franca Rame e quelli che la detestavano fino a punte di odio estremo. Quelli che la amavano vedevano in lei la militante che girava l’Italia con le collette per il Soccorso Rosso e per l’aiuto ai “compagni in galera”, l’attrice di talento che si mette in gioco e mette in gioco la sua carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante e onnivora. Quelli che la detestavano vedevano in lei la “pasionaria rossa”, la militante politica che approfittava della propria bellezza fisica per imporsi all’attenzione dei media» (Pierluigi Battista).

• Il 9 marzo 1973 fu sequestrata e stuprata per la sua attività nelle carceri con Soccorso rosso: un’esperienza drammatica che inserì poi nello spettacolo Tutta casa, letto e chiesa. Occorsero venticinque anni per scoprire i nomi degli aggressori (ma il delitto era già caduto in prescrizione): un gruppo di cinque neofascisti la cui azione, a detta di un esponente di spicco della destra milanese di quegli anni, sarebbe stata ispirata da ufficiali dei carabinieri della divisione Pastrengo.

• «Il momento brutto, negli anni del Mistero buffo, di Morte accidentale di un anarchico, di Pum, Pum! Chi è? La polizia!, di Tutta casa, letto e chiesa quando già ci avevano dato a Milano la palazzina Liberty, era alla prova generale. Perché arrivavano i funzionari della polizia e dicevano “questo lo togliete e anche quest’altro”. Cose anche innocenti, tipo il commissario che cade sulla sedia e il poliziotto si siede sulle sue gambe. Ogni tanto Dario lo portavano in questura con la camionetta, allora tutto il pubblico andava dietro, e io con loro, a far casino».

• Un grave momento di crisi nella vita di coppia negli anni Ottanta quando, stanca per i continui tradimenti, annunciò in tv l’intenzione di divorziare. Crisi rientrata dopo le pubbliche grida di disperazione del marito.

• «Insieme, sul palcoscenico, nella vita privata, nella comunanza ideologica, nell’impegno politico attivo, nella scrittura, nell’amore per il figlio Jacopo e per i nipotini, nelle delusioni, nella coerenza, nella resistenza ai soprusi, nei litigi, nella messa al bando da una società vile,
nell’ostracismo da parte del potere, nella generosità munifica, nella solidarietà e affetto per e degli altri. Insieme anche nei premi: quando a Stoccolma, nel dicembre del 1997 fu conferito a Dario Fo il Nobel per la Letteratura, lui mostrò una foto della moglie Franca Rame, dedicandole parole bellissime per dividere con lei, com’era giusto, l’alto riconoscimento» (Natalia Aspesi).

• Sull’elezione in Parlamento: «Il primo responsabile è stato Jacopo, me lo ha ripetuto per tre mesi: mamma, devi candidarti al Senato! E io: ma sei matto? Ha aperto pure un blog su internet, arrivavano centinaia di adesioni, delle lettere pazzesche: vai, Franca! Quando Leoluca Orlando mi ha fatto la proposta per l’Italia dei Valori mi veniva da ridere: ma allora è un’ossessione! Tutti mi incoraggiavano, ho chiamato anche Travaglio, Pardi, Flores
D’Arcais... Mi è stato detto: siamo in guerra e devi combattere!» (da un’intervista di Gian Guido Vecchi). Era contraria sia alla missione in Afghanistan sia all’allargamento della base Usa a Vicenza, si lanciò contro gli sprechi proponendo un disegno di legge per punire «amministratori e funzionari pubblici davanti alla Corte dei Conti per i danni erariali e le responsabilità per lo spreco». Dopo vari annunci, nel gennaio 2008 rassegnò le dimissioni: «Sono stanca di votare contro coscienza». Descrive la sua esperienza al Senato come «il periodo più brutto della mia vita. Quel palazzo è il frigorifero dei sentimenti. Non riesci a fare amicizia con nessuno. Non ti vedono. Non ti salutano. Nessuno ti invita a bere un caffè. Conti solo per quel voto che devi dare in aula».

scheda aggiornata al 29 maggio 2013

da - http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=RAME+Franca
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« Risposta #4 inserito:: Maggio 31, 2013, 04:03:08 pm »

Il ricordo

Escobar: «La sua eredità è l'impegno»

Napolitano: «Appassionato apporto all'Italia»

Il ricordo di vip e gente comune.

Lerner: «La sua voce roca mi risuona dentro». Bray: «Infaticabile alleata della Cultura»


«Apprendo con personale commozione la triste notizia della scomparsa di Franca Rame, che ho conosciuto in anni lontani quando ebbe modo di dispiegarsi e affermarsi pienamente il suo talento in profonda e inseparabile unione con la figura di Dario Fo e con il mondo del suo teatro. Egualmente ricordo il suo appassionato impegno civile e rendo omaggio alla continuità del suo apporto fino ai tempi più recenti alla vita artistica e culturale del paese. Sono affettuosamente vicino in questo momento così doloroso al suo compagno di vita, al figlio e a tutti i famigliari». Questo il ricordo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato a Dario Fo, compagno di una vita dell'attrice scomparsa.

GRASSO - «È con profondo dolore che ho appreso la notizia della tragica scomparsa di Franca Rame. Il mondo del teatro e l'intero Paese hanno perso una delle figure femminili più importanti della vita artistica e culturale degli ultimi decenni» scrive invece il Presidente del Senato Pietro Grasso in un messaggio alla famiglia dell'artista, Senatrice nella XV legislatura. «Con umanità e coraggio è riuscita sempre a trasmettere al pubblico, in maniera straordinariamente espressiva, personaggi ed emozioni, fondendo l'arte e la vita».

ESCOBAR - «La sua eredità è l'impegno civile che diventa teatro e il teatro che diventa impegno civile». Così il direttore del Piccolo Teatro, Sergio Escobar, ricorda l'attrice Franca Rame, morta mercoledì mattina a Milano. Escobar, arrivando alla casa dell'attrice in Corso di Porta Romana, spiega: «Lei e Dario Fo erano una coppia indivisibile nella vita e nel lavoro. Decideremo insieme a Dario cosa fare per lei». Poi ha aggiunto che Franca Rame «ha lavorato fino agli ultimi giorni».

LERNER: «L'ATTENZIONE AGLI ALTRI» - Prima di andare a trovare Fo e la salma della moglie Gad Lerner, che è stato compagno di scuola di Jacopo Fo, ha lasciato un saluto sul suo blog a una «persona che mi è cara e familiare fin dall'adolescenza», sottolineando «il rapporto di coppia appassionato e fecondo con Dario, restando un passo indietro anche quando era lei a indicare la via. E questa via era sempre quella del coraggio e della generosità, dell'attenzione agli altri, della sfida contro le ingiustizie». Ma, da un punto di vista personale, aggiunge: «la sua voce roca mi risuona dentro e non potrò dimenticarla. Un abbraccio a Dario e a Jacopo». E propio il figlio, che era a Gubbio dove gestisce la Libera università di Alcatraz, è partito immediatamente per tornare a Milano. Sul suo blog solo una grande foto della madre.

BAUDO: «UNA PARTE D'ITALIA COMBATTIVA» - Pippo Baudo sottolinea che «con Franca Rame va via una parte d'Italia combattiva, che prendeva posizione e si schierava. Non era soltanto un'attrice ma una donna che difendeva le ragioni femminili, era una linea di difesa contro la violenza degli uomini sulle donne». Raggiunto dall'agenzia Adnkronos il conduttore sottolinea: «Per lei e Fo il teatro politico è stata una scelta. E Franca ne ha patito anche le conseguenze: è stata violentata e ha sofferto tanto». Insieme, al festival di Taormina, hanno vissuto diverse serate: «In compagnia dimenticava il suo aspetto battagliero ed era molto simpatica. Oltre ad essere una delle più belle donne che ci sono state sul palcoscenico».

LE ISTITUZIONI - Il ministro della Cultura Massimo Bray, via Twitter, esprime il suo «profondo dolore per la scomparsa di Franca Rame, infaticabile alleata della Cultura, dell'universo femminile e dei diritti civili». Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, commenta così la scomparsa dell'attrice: «È nata sul palcoscenico e ha saputo calcare le scene con una maestria impagabile. E ha percorso insieme alla società i cambiamenti di un Paese in evoluzione. Milano piange non solo una concittadina, ma una protagonista della storia italiana». Gli fa eco il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti: «Ricorderemo il suo sorriso, la sua immensa umanità e la rara capacità di sapere parlare alle persone di tutte le età arrivando dritto al cuore. Ciao Franca, ci mancherai». Un avversario politico, Fabrizio Cicchitto del Pdl, pur sottolineando di non aver «condiviso quasi nulla» delle posizioni di Rame e Fo, ricorda la «straordinaria attrice che insieme al marito ha dato vita a spettacoli straordinari per originalità e inventiva» ed esprime solidarietà al Nobel. «È un'altra delle voci libere e belle di questo Paese che si spegne»., ricorda Nichi Vendola di Sel.

DE MAGISTRIS - Tra i politii da segnalare il ricordo del sindaco di Napoli Luigi de Magistris: «Franca Rame è stata una straordinaria sintesi tra impegno civile e impegno artistico. Una vera risorsa per la cultura e la democrazia».

I VICINI, QUEL SORRISO E LA MELATO - Saluti, tristezza e sorpresa anche da parte dei vicini di casa della coppia. La farmacista del quartiere la ricorda «sempre sorridente», «una persona splendida». La parrucchiera l'ha vista l'ultima volta due settimane fa: «Il nostro è un esercizio semplice, proprio com'era lei. Le piaceva chiacchierare con tutti. È peggiorata da quando è morta Mariangela Melato. Erano molto legate». Proprio davanti a casa c'è il Caffè della Porta: «Ancora domenica scorsa ha fatto colazione qui da noi, si è messa fuori al sole, cappuccino e brioche».

Redazione Online

29 maggio 2013 | 15:16© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cultura/13_maggio_29/franca-rame-morte-reazioni_92c47750-c857-11e2-8fbd-d55cdeb0d621.shtml
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 31, 2013, 04:06:43 pm »

spettacoli
29/05/2013

Le due Milano di Franca Rame

L’attrice e Fo simbolo della città che passò dal miracolo economico alla rivolta permanente post 1968

Michele Brambilla
Milano

Se pensiamo alle Milano che lascia nella memoria Franca Rame, ce ne vengono in mente due. 

La prima è una città di cui conserviamo immagini in bianco e nero: gli anni del miracolo economico, i magazzini Upim e All’Onestà, l’Inter di Herrera e il Milan di Rocco. Era una Milano borghese, che i lombardissimi Franca Rame e Dario Fo – di Parabiago lei, della sponda magra del lago Maggiore lui – rappresentavano al Carosello, portando nelle case i primi sogni di benessere. Li conoscemmo così, nel “dramma coniugale” che era la pubblicità
dell’Agipgas, nel “rinfreschiamoci le idee con una Recoaro” e con gli elettrodomestici Zoppas.

 

La seconda Milano di Franca Rame è anch’essa borghese, ma di una borghesia che cambiò pelle verso la fine degli anni Sessanta diventando paladina e portavoce del “nuovo”, il Sessantotto e la rivolta permanente. Era la Milano di Giulia Maria Crespi detta “la zarina”, editrice del Corriere della Sera, simbolo della milanesità quasi alla pari del Duomo e della Scala; di Camilla Cederna, anch’essa trasvolata dalle cronache borghesi a quelle “impegnate”; e, per passare dai salotti alle piazze, la Milano di Mario Capanna.

 

Contro quel mondo si scagliò un milanese adottivo, ma non per questo meno affezionato, come Indro Montanelli, che denunciò la deriva radical chic di una borghesia che aveva, a suo modo di vedere, ceduto al conformismo imperante, illudendosi di conquistare il diritto a un posto al sole nella nuova Italia comunista, o gruppettara, che ci si illudeva che sarebbe nata di lì a poco.

 

Comunque la si veda, è questa seconda Milano quella che è poi rimasta come cifra definitiva di Franca Rame e di suo marito. La palazzina Liberty occupata, il teatro impegnato e il Soccorso Rosso ai primi estremisti e terroristi. Proprio su quest’ultimo tema Montanelli sferzò Franca Rame il 28 aprile 1978, quando - in pieno sequestro Moro – lei andò a trovare in carcere Renato Curcio. «Sembra – scrisse Montanelli – che la cosa non abbia fatto molto piacere al prigioniero, che avrebbe accolto la visitatrice con queste parole: “Vieni per me, o per Moro?”». C’era infatti il dubbio che Franca Rame fosse andata a trovare il fondatore delle Brigate Rosse nel tentativo di cercare una mediazione per il leader democristiano rapito. «Resta solo da sperare – commentò Montanelli – che sia andata per lui. Affidata ai terroristi, la sorte di Moro ci dà il brivido, ma il brivido della tragedia. Affidata a Franca Rame…».

 

Ci vollero vent’anni perché queste differenti Milano, quella di Franca Rame e quella di Indro Montanelli, tornassero un po’ più vicine, accomunate da un unico “nemico” che era Silvio Berlusconi. Ma accomunate fino a un certo punto. Una distanza culturale, quasi antropologica, è rimasta, in modo tale che la Milano di Franca Rame è, ancora oggi, una parte della città, ma non tutta. 

 

Bella donna e brava attrice, lei ha pagato ingiustamente il dazio che pagano tutte le donne il cui nome viene sempre accostato a quello del proprio uomo: quasi si trattasse di una “donna di”, e non di lei stessa. Ma ora che se ne va, lasciando un po’ più sola una Milano che, un po’ ingrigita, le sopravvive, merita di essere ricordata per quello che è stata lei sola; e per quanto ha pagato, anche in termini di orrenda violenza, per il suo impegno politico, condivisibile o no che sia stato, a seconda dei punti di vista.

da - http://lastampa.it/2013/05/29/spettacoli/le-due-milano-di-franca-rame-nXSyq6x6ZRZGZwX6hvw4fP/pagina.html
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« Risposta #6 inserito:: Maggio 31, 2013, 04:09:59 pm »

Franca Rame, ultimo saluto al Piccolo.

I milanesi in coda per l'abbraccio a Fo

Il Nobel accoglie i tanti cittadini che si sono messi in coda in via Rovello, nella storica sede del Piccolo Teatro per salutare l'attrice.

Fo sorride e si intrattiene con tutti, insieme a lui c'è il figlio Jacopo


Seduto su una sedia, vicino alla bara coperta da una sciarpa rossa, Dario Fo accoglie i cittadini in visita alla camera ardente al Piccolo Teatro Grassi, in via Rovello a Milano, per porgere l'ultimo saluto a Franca Rame. Il premio Nobel sorride, si intrattiene con tutti ed è accompagnato dal figlio Jacopo. La coda per rendere omaggio all'attrice va via via allungandosi, in questo momento ci sono circa duecento persone.

Tra loro ci sono Cochi Ponzoni ("Un altro pezzo di Milano che se ne va. Un grande dolore per una donna insostituibile, con una dignità e una forza di carattere uniche") e Carla Fracci "Si è molto esposta politicamente, con un sostegno vero alla sinistra. Con Dario ha rappresentato una forza straordinaria per la difesa di questo paese". Milly Moratti, uscendo dalla camera ardente, ha detto: "Dobbiamo trovare casa all'archivio di Franca e farne un vera fabbrica del teatro per le generazioni che verranno. Sono tante le cose che stava ancora facendo".

La camera ardente è stata aperta alle 9 del mattino e rimarrà aperta 22 ore. Si è scelto di non chiuderla neppure di notte, in modo da lasciare a tutti la possibilità di portare il proprio saluto a una donna che è stata il simbolo di tante battaglie civili, in teatro e in città.
Anche il luogo scelto per la camera ardente non è casuale: è qui che Rame e Fo si sono conosciuti e si sono innamorati.
 

(30 maggio 2013) © Riproduzione riservata

http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/05/30/news/franca_rame_ultimo_saluto_al_piccolo_i_milanesi_in_coda_per_l_abbraccio_a_fo-59966328/?ref=HRER3-1
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 31, 2013, 04:11:42 pm »

Nella casa di Milano La notte, il malore, l'ambulanza. «Sessant'anni di amore e liti»

«Le urlavo di respirare È morta tra le mie braccia»

Fo: scriveva «Fuga dal Parlamento», il suo testamento


«Mi è morta tra le braccia». Dario Fo racconta gli ultimi istanti di Franca. Li ripete a se stesso quasi a convincersi che sia accaduto davvero.
«Si era alzata come tutte le mattine. Forse più affaticata del solito, la notte aveva tossito tanto. Ma insomma, era in piedi. Come sempre preoccupata per me, che la valigia fosse pronta, che non dimenticassi niente. Sarei dovuto partire per Verona, per le prove dello spettacolo su Maria Callas che avevamo scritto insieme e che avrei dovuto interpretare sabato all'Arena. Ma poi d'un tratto le manca il fiato. Franca! Che succede?! Mi guarda come per chiedermi aiuto. Respira! le grido. Respira forte! Non ce la fa, il suo petto si solleva sempre più lento. Quando arriva l'ambulanza è ormai fermo.
I medici provano in ogni modo a rianimarla. Ma lei non c'era già più».
Difficile credere a quelle parole: Franca non c'è più. Dopo sessant'anni insieme, come pensare a un domani da solo quando si è sempre stati in due? Dario e Franca, Franca e Dario. Più che una coppia, una cosa sola. Come Filemone e Bauci, due grandi alberi con radici e rami intrecciati.

Continua a parlare di lei Dario, di quei dolori sempre più forti negli ultimi mesi, del prurito violento che la tormentava negli ultimi giorni.
Della sua stanchezza e della sua forza. Di come la sera prima avesse voluto farsi leggere tutto di fila l'ultimo testo scritto con tanta fatica e ostinazione: Fuga dal Parlamento . «La sua esperienza al Senato, ripensata e confrontata con quello che accade oggi. I prodromi di quell'orrendo sfascio cui stiamo assistendo». Il suo testamento politico e civile. Franca sognava di portarlo lei stessa in teatro.
Nel salotto di casa, tutto parla di lei: i tanti ritratti di Dario, la poltrona con il cuscino davanti alla tv, una sciarpa rimasta lì...
Gli amici più stretti, Gad Lerner, Felice Cappa, i giovani collaboratori devoti come figli, Chiara, Luca, Fabrizio, tutti fanno cerchio intorno a Dario. Cercano di proteggerlo dal telefono che suona di continuo. Lui paziente non si nega, saluta, ringrazia chi lo chiama. Scuote la testa ripensando a quest'anno orribile: «Se ne sono andati tutti, Jannacci, Missoni, Melato, Don Gallo...».

Aspetta l'arrivo di Jacopo, il loro figlio, partito a rotta di collo dall'Umbria. E intanto non smette di parlare di lei, come a tentare di riacciuffarla ancora. Ogni tanto con la mano indica la loro stanza. Franca è là, distesa sul loro letto. Addormentata per sempre, attorno al viso un foulard rosa pallido, il colore di quegli orecchini di corallo, dono di Dario, che indossava sempre. «Il solo conforto è che ero qui.
Fosse successo solo un'ora dopo, quando ero già partito, non mi sarei mai dato pace». Neanche lei l'avrebbe permesso. Mai sarebbe potuta andarsene senza un ultimo abbraccio di Dario. «Ci siamo amati tanto, ma non tutto è stato rose e fiori. Ci sono stati momenti difficili...».
Anche scioccanti, come quando nel 1989 Franca annunciò in diretta tv di volerlo lasciare. «Eravamo reduci da un litigio clamoroso, ma mai avrei pensato... Sapevo che quel pomeriggio lei andava dalla Carrà e da casa guardavo la diretta, quando la sento dire: ho deciso di lasciare Dario, niente dura per sempre, morto un papa se ne fa un altro... Mi è venuto un colpo».

Non è stato il solo choc. «Ogni tanto spariva. Un mese, due, via da casa. Una volta un'intera estate da Jacopo. La chiamo dicendole che basta, che arrivo anch'io, e lei: vieni pure ma non mi trovi». Tosta, tostissima Franca. Non certo il tipo che fa finta di niente, che gira la testa dall'altra parte. Piuttosto meglio metter in pratica quel titolo scritto a quattro mani e due cuori con Dario: Coppia aperta, quasi spalancata .
Ma sempre e comunque coppia.

«Siamo stati esageratamente fortunati. Gli ultimi anni sono stati i più dolci. Amici, complici. Lei non solo bella come nessuna, non solo brava sulla scena, ma anche intelligente e coraggiosa. Non c'è galera che non conoscesse, per Soccorso Rosso aveva girato tutte le carceri.
Così come era di casa negli ospedali, nei centri sociali. Pronta a mettere insieme in poche ore dei congelatori per conservare le medicine o dei materassi per i rom sfrattati». Una vita, mille avventure. «C'erano sere che non potevamo tornare a casa, minacciati di morte, sempre in predicato di venir arrestati... Dopo lo spettacolo, si sgusciava da qualche uscita d'emergenza e ci si rifugiava a dormire da qualche amico».
Il teatro non è mai un mestiere facile, tanto più se, come il loro, coniugava ogni sera arte e politica. «Franca è nata sulla scena, la sua è una grande famiglia di comici dell'arte. Sua madre, l'Emilia, l'ha fatta debuttare neonata nei panni dell'infanta in Genoveffa di Brabante.
 
Quando ha saputo che volevamo sposarci, mia suocera ha mandato un lamento: un altro attore in famiglia! In cambio ha preteso che ci sposassimo in chiesa. Era convinta che le unioni degli altri figli non fossero andate bene perché non consacrate. In effetti la benedizione del parroco di Sant'Ambrogio ha funzionato».

Giuseppina Manin

30 maggio 2013 | 8:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cultura/13_maggio_30/franca-rame-dario-fo_b3524fc2-c8ea-11e2-b696-db4a64575c16.shtml
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