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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 123101 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Giugno 21, 2008, 05:04:17 pm »

Marco Travaglio

Sembra la Carfagna ma è la Marcegaglia


Colpisce la condiscendenza con cui la neopresidente della Confindustria Emma Marcegaglia e la sua baby-collega Federica Guidi si lasciano ridurre dal premier al rango di vallette  Emma Marcegaglia, presidente di ConfindustriaUno si domanda che cos'abbia da sorridere e financo da "gioire" il Santo Padre dinanzi a Silvio Berlusconi che gli bacia la mano e promette il massimo impegno "in difesa della famiglia" (anzi, delle famiglie: lui ne ha due). Poi scopre che il premier s'è pure impegnato a dare più soldi pubblici a scuole e cliniche private, e capisce tutto. Uno si domanda che cos'abbiano da applaudire fino a spellarsi le mani gl'industriali riuniti a Santa Margherita Ligure sotto il palco di Berlusconi che, prima del malore, annuncia "il divieto assoluto di intercettazioni tranne per mafia e terrorismo", cinque anni di galera a chi le fa e le divulga, nonché "forti penalizzazioni economiche agli editori" che le pubblicano (quasi tutti presenti all'illustre consesso).

Colpisce, in particolare, la condiscendenza con cui la neopresidente della Confindustria Emma Marcegaglia e la sua baby-collega Federica Guidi si lasciano ridurre dal premier al rango di vallette, facendosi abbracciare davanti a tutti come una Carfagna o una Brambilla qualunque, prestandosi alle gag col fazzolettino asciuga-sudore, cinguettando agl'inviti a pranzo nell'ennesima villa, ridacchiando alle battutine di dubbio gusto. Sceneggiate impensabili soltanto qualche mese fa, quando alla guida degl'industriali c'era Luca di Montezemolo che, pur con tutti i suoi difetti, non si sarebbe mai prestato a certe piazzate da Club Méditerranée; e, sul fronte della legalità, ha dato segnali importanti, con forti denunce dell'evasione fiscale e addirittura con l'espulsione dei colleghi che pagano il pizzo alle mafie (anche se non commettono reati, anzi li subiscono).

La resa della giovane Emma, che fra l'altro parla con la voce di un navigatore satellitare, al nuovo padrone del vapore è imbarazzante nella forma quanto nella sostanza.

Nemmeno un sospiro per rammentargli l'etica negli affari, mentre sono in corso o stanno per aprirsi i processi sui grandi scandali finanziari, da Parmalat a Cirio alle scalate bancarie, che han rischiato di spazzare via quel che resta del capitalismo italiano. Due anni fa alla Fiera di Vicenza, Diego Della Valle, memore dell'appoggio del Cavaliere ai furbetti, trovò il coraggio di dirgli a brutto muso ciò che si meritava. Ora è tutto dimenticato.

Il premier annuncia il 'liberi tutti' ai furbetti di oggi e domani: nessuno scoprirà più i loro maneggi. E gl'industriali fanno la ola. Il che autorizza i cittadini a pensare di loro tutto il peggio possibile. E persino a ricordarsi (almeno per chi, armato di microscopio elettronico, ha trovato la notizia sui giornali) del mega-patteggiamento per corruzione appena concluso dal gruppo Marcegaglia al tribunale di Milano: 500 mila euro di pena pecuniaria e 250 mila di confisca per Marcegaglia Spa, 500 mila euro di pena più 5 milioni di confisca per la controllata NE Cct Spa, 11 mesi di reclusione per il vicepresidente Antonio Marcegaglia (fratello di Emma). Il tutto perché nel 2003 l'azienda di famiglia pagò una mazzettona a un manager Enipower in cambio di un appalto. Ah, se la nuova legge Berlusconi fosse arrivata prima.

(13 giugno 2008)



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Giornalisti con il bavaglino


Tanti giornalisti sembrano fare a gara a chi esulta di più per "la fine dell'impunità" sulle intercettazioni telefoniche. Dimenticando che i verbali pubblicati in questi anni non erano fughe di notizie, ma notizie Pareva impossibile trovare qualcuno più masochista del Pd. Ma alla fine lo si è trovato: la categoria dei giornalisti, o buona parte di essa. La voluttuosa gaiezza con cui molti giornali plaudono alla legge-bavaglio che abolisce la cronaca giudiziaria sulle indagini, ricorda quel che Lenin diceva dei capitalisti: "Ci venderanno anche le corde con cui li impiccheremo". Oltre al 'Riformista', che almeno è clandestino, c'è 'Il Messaggero' di Caltagirone, che ogni giorno cerca qualcuno che lanci l'allarme contro quei criminali dei giudici e dei giornalisti che indagano. 'Il Mattino' di Caltagirone esce financo con un editoriale dell'avvocata Paola Severini dal titolo 'La fine dell'impunità', come se i pericoli pubblici in Italia fossero i pm e i cronisti.

Paolo Franchi e Piero Ostellino, sul 'Corriere della Sera' incitano il Pd a darsi da fare con Berlusconi per un bel bavaglio bipartisan. Ma il peggio avviene con le interviste ai politici, comprensibilmente favorevoli al giro di vite (i pochi contrari hanno scarsa audience). Li si lascia sciorinare cifre false e sproloquiare contro le "fughe di notizie", le "violazioni del segreto istruttorio", gli "sfregi alla privacy" senza mai obiettare - e chi dovrebbe farlo, se non gli addetti ai lavori? - che le intercettazioni e i verbali pubblicati in questi anni non erano coperti da segreto, essendo regolarmente depositati, dunque non erano fughe di notizie, ma notizie.

Nelle quotidiane interviste al ministro ad personam Angelino Alfano, nessuno gli pone mai le seguenti domande: 'Scusi, ma se è così allarmato per i magistrati che parlano, perché ha ingaggiato al ministero un esternatore indefesso come il pm islamico Stefano D'Ambruoso, che passa dalle Tv ai libri per parlare delle proprie inchieste? E perché la sua collega Mara Carfagna ha arruolato la giudice minorile Simonetta Matone, la vicepalombelli di 'Porta a Porta' che scambia la telecamera per la camera di consiglio e ha sempre una parola inutile per i processi altrui, da Cogne a Rignano, da Erba a Garlasco?'

Un genere letterario molto diffuso è la testimonianza degli indagati intercettati. I quali - pensa un po'! - sono contro la pubblicazione delle intercettazioni, soprattutto delle proprie e di quelle degli amici.

Lacrima Mastella, tuona Latorre, ammonisce Violante, pigola Deborah Bergamini. Quest'ultima, già direttore marketing Rai indagata a Roma dopo le telefonate con Mediaset per concordare palinsesti e occultare la sconfitta di Berlusconi alle regionali 2005, occupa mezza pagina del 'Corriere' per un pianto greco sul "vulnus insanabile" subìto. "Se non avessi lavorato come assistente di Berlusconi", osserva, "le mie conversazioni non sarebbero state oggetto di tanto interesse".

Infatti, se non avesse lavorato come assistente di Berlusconi, non sarebbe diventata dirigente Rai. Per colpa delle intercettazioni, aggiunge, "non sono più la stessa persona". Infatti ha 300 mila euro in più nelle tasche, grazie alla generosa buonuscita regalatale dalla Rai. E ora è pure deputato di Forza Italia. Una vita difficile. Un vero martirio.

(20 giugno 2008)


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« Risposta #46 inserito:: Giugno 21, 2008, 11:19:45 pm »

Quei comunisti dell’Fbi

Marco Travaglio


Mercoledì l’Fbi s’è presentata a Wall Street e ha arrestato 60 top manager coinvolti nello scandalo dei «mutui subprime» e degli «hedge fund maligni», per aver truffato i risparmiatori e la «fiducia pubblica», gabellando per sicuri degli investimenti destinati a finir male.

I due protagonisti dello scandalo, Mattew Tannin e Ralph Cioffi, sono stati trascinati per strada in manette davanti alle telecamere e ai flash, perché tutto il mondo vedesse cosa rischia chi commette reati finanziari, mettendo a repentaglio il sistema capitalistico. Un trattamento che i due non avrebbero subito nemmeno se avessero ammazzato le rispettive consorti. Fortuna che la cosa non è avvenuta in Italia (dove peraltro non potrebbe avvenire, visto che si stanno abolendo le intercettazioni per i reati finanziari e, per chi è già stato preso, si rinviano per legge i processi, a cominciare dal caso Cirio, per rallentarli un altro po’). Altrimenti avremmo giornali e tv intasati dai commenti sdegnati dei principali supporter del sistema americano, cioè i Panebianco, gli Ostellino, i Platinette Barbuti, i Teodori, i Galli della Loggia e i Polli del Balcone, tutti urlanti contro le manette facili, la gogna pubblica, il circuito mediatico giudiziario, gli abusi della custodia cautelare, la giustizia spettacolo, il protagonismo delle toghe, il nuovo caso Tortora, i danni all’economia e all’immagine del Paese.

I reati contestati nella retata di quei comunisti dell’Fbi, che ricorda quella immortalata nel film Wall Street con Michael Douglas, sono la frode e l’insider trading: gli stessi che in Italia non si potranno più scoprire con le intercettazioni perché considerati «minori» e di scarso «allarme sociale». In America chi commette quei reati viene intercettato dall’Fbi e dalla Sec (l’autorità di borsa), finisce dentro e buttano la chiave. In Italia finisce in Parlamento, ultimo arrivato Ciarrapico. Se poi ha la fortuna di diventare presidente del Consiglio, scrive una lettera al suo riporto personale, il noto Schifani detto Lodo, e invoca una legge per autoimmunizzarsi dai processi. Dopodichè sguinzaglia i suoi giannizzeri a spiegare che lo fa per noi e per la Giustizia. Uno dei più solerti e prolifici è l’Insetto, al secolo Bruno Vespa, che non potendo più infestare Rai1 per la chiusura estiva di Porta a Porta, scrive tre articoli uguali in un giorno su tre giornali diversi in difesa del suo amico ed editore. Che, incidentalmente, è anche il presidente del Consiglio.

Ieri su Panorama, Quotidiano Nazionale e Mattino comparivano tre editoriali dell’Insetto uno e trino, scritti col copia-incolla. Non bastando i tre onorevoli avvocati Ghedini, Pecorella e Longo, Vespa s’è voluto gentilmente associare al collegio di difesa berlusconiano al processo Mills. Le sue tesi sono avvincenti.

1) «Ci suona strano che un imprenditore straricco abbia bisogno di corrompere un proprio avvocato quando ce l’ha a libro paga». Forse Vespa non sa che, quando Mills ricevette 600 mila dollari dalla Fininvest tramite il manager berlusconiano Carlo Bernasconi, non era più a libro paga della Fininvest, dunque non riceveva più parcelle. Inoltre, a dire che quei soldi non erano parcelle, ma un regalo in cambio delle sue false testimonianze ai processi milanesi sulle tangenti alla Guardia di Finanza e sui fondi neri di All Iberian, non è stata una toga rossa: è stato lo stesso Mills in una lettera super-riservata del 2 febbraio 2004 al suo commercialista Bob Drennan (che però - come si usa in Inghilterra - l’ha denunciato al fisco, che ha aperto un procedimento, passando poi tutte le carte ai pm di Milano): «Nella mia testimonianza - scrive Mills, ignaro del fatto che sarebbe stato presto chiamato a risponderne - non ho mentito, ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato. E ho tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quel che sapevo. Alla fine del 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi, che avrei dovuto considerare come un prestito a lungo termine o un regalo: 600 mila dollari furono messi in un hedge fund e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione».

2) Anche Vespa ricusa la giudice Gandus, «star di Magistratura democratica», colpevole di aver invocato l’abrogazione delle leggi vergogna sulla giustizia e di aver financo insinuato che servissero all’«interesse personale di pochi»: cioè di aver detto ciò che tutti sanno e pensano, perché è la verità. Dunque, conclude l’insetto, «un dichiarato avversario politico» non può giudicare «il capo del governo che combatte»: un’eventuale condanna diventerebbe «una sentenza che sarebbe molto difficile non con- siderare politica».

Il fatto che Mills abbia confessato in privato, per iscritto, di essere stato corrotto per non dire la verità sotto giuramento dall’attuale presidente del Consiglio italiano, a Vespa non fa né caldo né freddo. Mica siamo a New York o a Londra. Siamo in Italia, dove gl’insetti fanno i giornalisti e si preoccupano non di un premier possibile corruttore, ma di ciò che pensa un giudice delle leggi vergogna. E lo scrivono in stereofonia su tre giornali. Paghi tre, leggi uno.

Pubblicato il: 21.06.08
Modificato il: 21.06.08 alle ore 8.15   
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« Risposta #47 inserito:: Giugno 23, 2008, 12:09:34 am »

La guerra dei 15 anni

Marco Travaglio


Stupisce lo stupore. Ma come: Berlusconi rinuncia a diventare uno statista per sistemare le sue tv e i suoi processi? Ma non era cambiato? In realtà, in questi 15 anni, tutto è cambiato tranne lui. Lui non ha mai fatto mistero di quel che è. Fin da quando, alla vigilia dell’ingresso in politica, confidò a Montanelli e Biagi: «Se non entro in politica, finisco in galera». Infatti da 15 anni, che governi lui o gli «altri», il Parlamento è mobilitato per salvarlo dai processi.

Miracolo. Il 1994 si apre con la «discesa in campo per un nuovo miracolo italiano». Quale miracolo, lo si capisce poche settimane dopo. Quando, al termine di un anno di indagini, la Procura di Milano chiede l’arresto di Paolo Berlusconi per le tangenti al fondo pensioni Cariplo in cambio dell’acquisto di immobili Edilnord invenduti, e di Marcello Dell’Utri per i fondi neri di Publitalia. Una fuga di notizie del Tg5 salva Dell’Utri dalle manette, mentre Paolo finisce dentro e confessa. Il Cavaliere, che sui giudici dice il contrario di ciò che pensa per non urtare gli elettori, tutti schierati col pool Mani Pulite, vince le elezioni e forma il suo primo governo. Tenta, invano, di avere come ministri i due uomini simbolo del Pool, Di Pietro e Davigo, rispettivamente all’Interno e alla Giustizia. Scalfaro gli impedisce di nominare Guardasigilli Cesare Previti, che slitta alla Difesa. In via Arenula arriva Alfredo Biondi. Poi un sottufficiale della Guardia di Finanza denuncia il suo capo: gli ha offerto una quota di una mazzetta appena pagata dalla Fininvest per ammorbidire una verifica fiscale.

Decreto Biondi. E’ lo scandalo delle mazzette alle Fiamme Gialle: coinvolti un centinaio di militari e 500 aziende, tre delle quali appartengono al nuovo premier. L’ufficiale pagatore del Biscione è il dirigente Salvatore Sciascia, che sta per essere arrestato insieme a colui che, a suo dire, gli ha dato i soldi e l’autorizzazione a pagare: Paolo Berlusconi. Per i due è pronta la richiesta di cattura. E c’è il rischio che, in carcere, confessino la verità. Silvio, da Palazzo Chigi, commissiona in fretta e furia a Biondi un decreto per vietare la custodia cautelare in carcere per vari reati, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Corruzione compresa. E’ il primo Salvaladri, che fa uscire circa 3 mila detenuti in tre giorni. E soprattutto non fa entrare Paolo e Sciascia. Poi, a furor di popolo, Bossi e Fini non ancora ridotti a maggiordomi impongono il ritiro della porcata. Paolo e Sciascia finiscono in manette e confessano. Poi si scopre che il consulente Fininvest Massimo Maria Berruti ha depistato le indagini subito dopo un incontro a Palazzo Chigi col premier. Che, il 21 novembre, riceve il suo primo invito a comparire. Lui si adopera con ispezioni ministeriali e ricatti per propiziare le dimissioni di Di Pietro e il 6 dicembre le ottiene. Due settimane dopo, Bossi rovescia in polemica con la riforma delle pensioni.

L’inciucio. Il Cavaliere passa all’opposizione del governo Dini, anche se è pappa e ciccia col nuovo Guardasigilli Filippo Mancuso, che perseguita con attacchi e ispezioni le Procure di Milano e Palermo (qui si indaga su Berlusconi e Dell’Utri per mafia e riciclaggio). E ottiene la prima controriforma bipartisan della giustizia:quella che rende più difficile la custodia cautelare per i colletti bianchi. Nel marzo ’96, scandalo «toghe sporche»: indagati e/o arrestati alcuni magistrati romani, corrotti dagli avvocati Fininvest Previti e Pacifico, in seguito alle rivelazioni di Stefania Ariosto al pm Ilda Boccassini. Berlusconi è indagato come uno dei mandanti. Un mese dopo Prodi vince le elezioni e inaugura il quinquennio dell’Ulivo.

Ma sulla giustizia Berlusconi continua a vincere anche se ha perso, grazie all’Ulivo che gliele dà tutte vinte. Essendo indagato a Milano per corruzione dei giudici e della Finanza, per le tangenti a Craxi tramite All Iberian, per i fondi neri nell’acquisto del calciatore Lentini e dei terreni di Macherio, oltrechè indagato per mafia e riciclaggio a Palermo, attacca quotidianamente le Procure e anche Di Pietro, fino a quel momento risparmiato nella speranza che aderisse a Forza Italia. L’ex pm viene denunciato e indagato più volte a Brescia, dove anche gli altri pm milanesi devono difendersi dalle accuse del Cavaliere, che li fa incriminare per «attentato a organo costituzionale». Una specie di colpo di Stato.

Leggi ad personas. Intanto in Parlamento le leggi «ad personas» ammazza-toghe e salva-imputati si susseguono a getto continuo, sempre votate da maggioranze bulgare e trasversali, in parallelo alla Bicamerale, dove il lottatore continuo Marco Boato prepara bozze su bozze che mettono la magistratura al guinzaglio del potere politico. La bozza finale viene votata da tutti i partiti, eccetto Rifondazione. Sul più bello, il Caimano fa saltare il banco perché ormai ha ottenuto tutto quel che voleva: infatti, sono passate quasi tutte le leggi contenute nel programma della Giustizia del Polo, scritto da Previti nel ’96 e bocciato dagli elettori. Il nuovo articolo 513 Cpp cambia le regole dei processi a partita in corso e costringe i giudici a ripartire daccapo: prescrizione garantita a centinaia d’imputati di Tangentopoli. La Consulta lo dichiara incostituzionale e destra e sinistra, a tempo di record, lo conficcano nella Costituzione (articolo 111, il cosiddetto «giusto processo»). Seguono la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio non patrimoniale, la legge imbavaglia-pentiti, il patteggiamento in Cassazione e la depenalizzazione dell’uso di false fatture (per risparmiare il carcere a Dell’Utri, condannato in appello a 3 anni e 2 mesi per false fatture), il no delle Camere all’arresto di Previti e Dell’Utri e così via. Incassato tutto l’incassabile, nel 2001 Berlusconi stravince e torna al potere.

Leggi ad personam. Ormai, da salvare dai processi, sono rimasti solo il premier e il fido Previti: per loro la giustizia-lumaca è ancora troppo efficiente e spedita. Dunque, per tutta la legislatura, si lavora per paralizzarla definitivamente. Appena rientrato a Palazzo Chigi, Berlusconi scatena subito i suoi onorevoli avvocati, Pecorella e Ghedini, e i suoi giannizzeri, Dell’Utri e Guzzanti, con una legge che si propone di cestinare tutte le prove trasmesse per rogatoria dalle magistrature straniere. Per esempio, le carte che dimostrano i passaggi di denaro estero su estero dalle sue aziende ai conti di Previti a quelli di alcuni giudici romani. Recitando un copione stilato da Pio Pompa, lo spione preferito dal comandante del Sismi Niccolò Pollari, che raccoglie schedature su magistrati, politici e giornalisti «rossi», il Cavaliere denuncia un complotto planetario dell’«Internazionale delle toghe rosse». La Svizzera, per protesta, blocca la ratifica del trattato sulle rogatorie con l’Italia. I giudici di tutta Europa insorgono. Per fortuna la legge è scritta coi piedi e non verrà mai applicata da nessun tribunale: contrasta con le prassi e con una mezza dozzina di convenzioni internazionali, che prevalgono sulle norme ordinarie.

Intanto Tremonti escogita lo «scudo fiscale» per il rientro anonimo dei capitali illegalmente accumulati ed esportati all’estero. Nel gennaio 2002, il ministro Castelli tenta di trasferire il giudice Brambilla per far saltare il processo Sme. Il governo toglie la scorta a vari magistrati, tra cui Greco e la Boccassini. E abolisce di fatto il reato di falso in bilancio, per cui il premier è imputato in 5 processi: saranno tutti chiusi con la prescrizione o con la formula «il fatto non è più reato». In marzo chiede il trasferimento dei processi a Brescia: il Tribunale di Milano è infestato di toghe rosse e condizionato dai girotondi. Per propiziare il grande trasloco, vara a tappe forzate la legge Cirami che reintroduce il «legittimo sospetto». Ma nel gennaio 2003 la Cassazione lascia i processi dove sono: i giudici milanesi sono imparziali. Allora il premier che sta per diventare per 6 mesi presidente di turno dell’Ue, impone il lodo Maccanico-Schifani: uno scudo spaziale che rende le 5 alte cariche dello Stato invulnerabili da ogni processo per ogni reato, anche comune, anche commesso prima di assumere l’incarico. C’è anche la norma Boato, che vieta ai giudici di usare le intercettazioni in cui compare anche indirettamente la voce di un parlamentare senza il permesso del Parlamento.

Toghe matte. Per evitare che la sentenza Sme-Ariosto arrivi prima del Lodo, il premier fa saltare le udienze inventando svariati «impedimenti istituzionali» e ricusando continuamente i suoi giudici (14 volte in tutto, tra lui e Previti). Ad abundantiam, spiega che i magistrati sono «antropologicamente diversi dal resto della razza umana», perché «se fai quel mestiere devi essere matto». Nel gennaio 2004 la Consulta dichiara incostituzionale anche il Lodo e il processo Sme al Cavaliere ricomincia.

Allora passa la legge per accorciare la prescrizione dei suoi reati e, per estensione, anche per quelli degli altri: si chiama ex-Cirielli perché il promotore Edmondo Cirielli di An, visto come gliel’hanno stravolta, la sconfessa e non si trova nessuno che voglia darle il proprio nome. Prescritto in primo grado per la tangente al giudice Squillante, Silvio teme la condanna in appello: l’apposito Pecorella abolisce l’appello per le sentenze di proscioglimento. Le condanne invece restano appellabili. Ciampi respinge la legge: incostituzionale. Il premier la rifà uguale e la Consulta la cancella.

Coa(li)zione a ripetere. Nel 2006, come sempre dopo aver governato, Berlusconi perde le elezioni. Ma sulla Giustizia rivince anche se ha perso. L’Unione gli regala subito un indulto extra-large di 3 anni per salvare Previti dagli arresti domiciliari. E gli attacchi ai giudici diventano pane quotidiano anche della sinistra, che crocifigge Clementina Forleo e Luigi de Magistris, rei di aver messo il naso in troppi malaffari trasversali.

Così, nel 2008, Lazzaro risorge e torna a Palazzo Chigi per la terza volta. E per la terza volta si occupa dei suoi processi. Taglia le intercettazioni. Abolisce la cronaca giudiziaria.Sospende almeno 100 mila processi per sospendere il processo Mills, in attesa di varare il Lodo Schifani-bis e rendersi di nuovo invulnerabile. Chi l’avrebbe mai detto.

Pubblicato il: 22.06.08
Modificato il: 22.06.08 alle ore 14.39   
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« Risposta #48 inserito:: Giugno 27, 2008, 11:38:50 am »

Lo strano caso di Mister B.

Bill Clinton, allora l'uomo più potente del pianeta, subì tre processi senza fiatare.

Non si capisce perché Berlusconi debba sfuggire alla giustizia 


Ci mancava giusto monsignor Rino Fisichella, il cappellano della Casta, a invitare la magistratura "a rendere meno acuto il conflitto fra istituzioni e ridurlo con appropriate riforme". Ora, a parte che non spetta ai giudici ridurre i conflitti con appropriate riforme, qui c'è il solito equivoco creato ad arte ogni qual volta - accade da 15 anni - Silvio Berlusconi non vuol farsi processare: l'equivoco del "conflitto fra politica e magistratura".

Non c'è alcun conflitto. C'è un processo per un reato gravissimo: corruzione giudiziaria di un testimone, l'avvocato David Mills, che nel 2004 confessò al suo commercialista di aver ricevuto 600 mila dollari da 'Mr. B.' in cambio di due false testimonianze che lo tennero "fuori da un mare di guai". Certo un'eventuale condanna sarebbe seccante per Mr. B., anche perché fa il capo del governo. Ma doveva pensarci prima di diventarlo.

Quando fu rinviato a giudizio, il 30 ottobre 2006, sedeva nei banchi della minoranza. Infatti accusò i giudici di "voler colpire il capo dell'opposizione". Poi cadde Prodi e l'on. avv. Ghedini chiese di rinviare il processo a dopo il voto perché "non sia utilizzato strumentalmente in campagna elettorale". La presidente Nicoletta Gandus, nota bolscevica, lo accordò. Ora le dicono che non può sentenziare nemmeno adesso, perché nel frattempo l'imputato è tornato premier "votato da 17 milioni di italiani" (Sergio Romano, 'Corriere della Sera').

Resta da capire quando si possa processare Mr. B. e quante leggi si debbano ancora sfigurare per garantirgli l'impunità. Lo stuolo di badanti che l'assiste in Parlamento, nelle tv e nei giornali (anche un 'Financial Times' insolitamente male informato) e lavora al lodo Schifani-2 ripete che anche "negli altri paesi" i premier sarebbero invulnerabili. Balle.

Come spiegò nel 2003 l'ex presidente della Consulta Leopoldo Elia, "
in nessun paese d'Europa esiste nulla di simile al lodo Schifani. La sospensione dei processi per fatti estranei all'esercizio della carica vale solo per tre capi di Stato: Grecia, Portogallo e Israele. Il premier non ha alcuna protezione da nessuna parte".

Il presidente israeliano Moshe Katsav s'è dimesso un anno fa perché accusato di molestie sessuali (ovviamente slegate dalla sua carica). E il premier Ehud Olmert, coinvolto in certi fondi illeciti, presto lo seguirà. Bill Clinton, l'uomo più potente del pianeta, subì tre processi senza fiatare. In Francia una prassi costituzionale ha consentito a Jacques Chirac di rinviare a fine mandato il processo per fondi illeciti al partito: ma era capo dello Stato.

Per il resto, in tutto il mondo libero il premier e le altre cariche sono regolarmente processabili durante il mandato. Ma non accade quasi mai, perché chi è imputato non viene candidato; e chi viene imputato una volta eletto, si dimette. All'estero ci pensano prima, noi dopo. Prima il peccato, poi l'indulgenza plenaria. Vero, monsignore?

(27 giugno 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #49 inserito:: Giugno 28, 2008, 06:02:35 pm »

Il dolo Berlusconi

Marco Travaglio


Quando il Lodo Schifani-bis, anzi il Lodo Alfano, anzi il Dolo Berlusconi sarà sulla Gazzetta Ufficiale, l'Italia sarà l'unica democrazia al mondo in cui quattro cittadini sono «più uguali degli altri» di fronte alla legge. Un privilegio che George Orwell, nella «Fattoria degli animali», riservava non a caso ai maiali. E che, nell'Italia del 2008, diventa appannaggio dei presidenti della Repubblica, del Senato (lo stesso Schifani), della Camera e soprattutto del Consiglio. I massimi rappresentanti delle istituzioni, che nelle altre democrazie devono dare il buon esempio e dunque mostrarsi più trasparenti degli altri, in Italia diventano immuni da qualunque processo penale durante tutto il mandato, qualunque reato commettano dopo averlo assunto o abbiano commesso prima di assumerlo.

Compresi i reati comuni, "extrafunzionali", cioè svincolati dalla carica e persino dall'attività politica. Anche strangolare la moglie, anche arrotare con l'auto un pedone sulle strisce, anche stuprare la colf o molestare una segretaria. O magari corrompere un testimone perché menta sotto giuramento in tribunale facendo assolvere un colpevole. Che poi è proprio il caso nostro, anzi Suo. Come scrisse il grande Claudio Rinaldi sull'"Espresso" a proposito del primo Lodo, «un'autorizzazione a delinquere».

La suprema porcata cancella, con legge ordinaria - votata in un paio di minuti dal collegio difensivo allargato del premier imputato, che ha nome "Consiglio dei ministri" - l'articolo 3 della Costituzione repubblicana. Che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali...». La questione è tutta qui. Le chiacchiere, come si dice a Roma, stanno a zero. Se tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, non ne possono esistere quattro che non rispondono in nessun caso alla legge per un certo numero di anni in base alle loro "condizioni personali e sociali", cioè alle cariche che occupano. Se la Costituzione dice una cosa e una legge ordinaria dice il contrario, la legge ordinaria è incostituzionale. A meno, si capisce, di sostenere che è incostituzionale la Costituzione (magari prima o poi si arriverà anche a questo). Ora, quando in una democrazia governo e parlamento varano una legge incostituzionale, a parte farsi un'idea della qualità del governo e del parlamento che hanno eletto, i cittadini non si preoccupano. Sanno, infatti, che le leggi incostituzionali sono come le bugie: hanno le gambe corte. Il capo dello Stato non le firma, il governo e il parlamento le ritirano oppure, se non accade nessuna delle due cose, la Corte costituzionale le spazza via. Ma purtroppo siamo in Italia, dove le leggi incostituzionali, come le bugie, hanno gambe lunghissime. Non è affatto scontato che il presidente della Repubblica o la Consulta se la sentano di bocciare il Lodo-bis. A furia di strappi, minacce, ricatti, vere e proprie estorsioni politiche, il terrore serpeggia nelle alte sfere (che preferiscono chiamarlo "dialogo"). E anche la Costituzione è divenuta flessibile, anzi trattabile. Un mese fa è passata con tutte le firme e le controfirme una legge razziale (per solennizzare il 60° anniversario di quelle mussoliniane) denominata "decreto sicurezza": quella che istituisce un'aggravante speciale per gli immigrati irregolari. Se fai una rapina e sei di razza ariana e di cittadinanza italiana, ti becchi X anni; se fai una rapina e sei extracomunitario, ti becchi X+Y anni. Vuoi mettere, infatti, la soddisfazione di essere rapinato da un italiano anziché da uno straniero. E il principio di uguaglianza? Caduto in prescrizione. Stavolta è ancora peggio, perché non è in ballo il destino di qualche vuccumpra', ma l'incolumità giudiziaria del noto tangentaro (vedi ultima sentenza della Cassazione sul caso Sme-Ariosto) che siede a Palazzo Chigi. Infatti è già tutto un distinguo, a destra come nella cosiddetta opposizione, sulle differenze che farebbero del Lodo-bis una versione "migliore" del Lodo primigenio. Il ministro ad personam Angelino Jolie assicura che, bontà sua, «la sospensione dei processi non impedisce al giudice l'assunzione delle prove non rinviabili, la prescrizione è sospesa, l'imputato vi può rinunciare. La sospensione non è reiterabile e la parte civile può trasferire in sede civile la propria pretesa». Il che, ad avviso suo e di tutti i turiferari arcoriani sparsi nei palazzi, nelle tv e nei giornali, basterebbe a rendere costituzionale la porcata. Noi, che non siamo costituzionalisti, preferiamo affidarci a chi lo è davvero (con tutto il rispetto per Angelino e il suo gemellino Ostellino), e cioè all'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida. Il quale, interpellato il 18 giugno da Liana Milella su "la Repubblica", ha spiegato come e qualmente chi cita la sentenza della Consulta che nel 2004 bocciò il primo Lodo e sostiene che questo secondo la recepisce, non ha capito nulla: «La prerogativa di rendere temporaneamente improcedibili i giudizi per i reati commessi al di fuori dalle funzioni istituzionali dai titolari delle più alte cariche potrebbe eventualmente essere introdotta solo con una legge costituzionale, proprio come quelle che riguardano parlamentari e ministri... La bocciatura del vecchio lodo nel 2004 da parte della Consulta è motivata dalla violazione del principio di uguaglianza dei cittadini quanto alla sottoposizione alla giurisdizione penale». L'unica soluzione per derogare all'articolo 3 è modificare eventualmente la Costituzione (con doppia lettura alla Camera e doppia lettura al Senato, e referendum confermativo in mancanza di una maggioranza dei due terzi). E non con una legge che sospenda automaticamente i processi alle alte cariche: sarebbe troppo. Ma, al massimo, con una norma che ­ spiega Onida - «introduca una forma di autorizzazione a procedere che consentirebbe di valutare la concretezza dei singoli casi. Ragiono su ipotesi, perché gli ‘scudi' sono da guardare sempre con molta prudenza... La sospensione non dovrebbe essere automatica, ma conseguire al diniego di una autorizzazione a procedere. E comunque la legge costituzionale resta imprescindibile». Insomma, quando Angelino Jolie sbandiera la «piena coincidenza del Lodo con le indicazioni della Consulta», non sa quel che dice. La rinunciabilità del Lodo non significa nulla (comunque Berlusconi, l'unico ad averne bisogno, non vi rinuncerà mai: altrimenti non l'avrebbe fatto). E la possibilità della vittima di ricorrere subito in sede civile contro l'alta carica che le ha causato il danno, se non fosse tragica, sarebbe ridicola: uno dei quattro presidenti si mette a violentare ragazze o a sparare all'impazzata, ma i giudici non lo possono arrestare (nemmeno in flagranza di reato), nè destituire dall'incarico fino al termine della legislatura; in compenso le vittime, se sopravvivono, possono andare dal giudice civile a chiedere qualche euro di risarcimento... Che cos'è: uno scherzo? L'unica differenza sostanziale tra il vecchio e il nuovo Lodo è che stavolta vale per una sola legislatura: non per un premier che viene rieletto, nè per un premier (uno a caso) che passa da Palazzo Chigi al Quirinale. Ma ciò vale fino al termine di questa legislatura. Dopodiché Berlusconi, una volta rieletto o asceso al Colle, potrà agevolmente far emendare il Lodo, sempre per legge ordinaria, e concedersi un'altra proroga di 5 o di 7 anni.

A questo punto si spera che il capo dello Stato non voglia cacciarsi nell'imbarazzante situazione in cui si trovò nel 2004 Carlo Azeglio Ciampi: il quale firmò (e secondo alcuni addirittura ispirò tramite l'amico Antonio Maccanico) il Lodo, e sei mesi dopo fu platealmente smentito dalla Corte costituzionale. Uno smacco che, se si dovesse ripetere, danneggerebbe la credibilità di una delle pochissime istituzioni ancora riconosciute dai cittadini: quella del Garante della Costituzione. Quando una legge è manifestamente, ictu oculi, illegittima, il capo dello Stato ha non solo la possibilità, ma il dovere di rinviarla al mittente prima che lo faccia la Consulta. In ogni caso, oltre al doppio filtro del Quirinale e della Consulta, c'è anche quello dei cittadini. Che, tanto per cominciare, scenderanno in piazza a Roma l'8 luglio contro questa e le altre leggi-canaglia. Dopodiché potranno raderle al suolo con un referendum, già preannunciato da Grillo e Di Pietro. Si spera che anche il Pd ­ se non gli eletti, almeno gli elettori ­ vi aderirà. Secondo Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato, «il Lodo deve valere dalla prossima legislatura». Forse non ha pensato che così il Caimano si porterebbe dietro lo scudo spaziale anche al Quirinale.


Pubblicato il: 28.06.08
Modificato il: 28.06.08 alle ore 8.28   
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« Risposta #50 inserito:: Luglio 05, 2008, 05:11:37 pm »

Marco Travaglio.

Caro Silvio tuo Giorgio


Il presidente della repubblica Napolitano avrebbe dovuto scrivere una lettera al premier Berlusconi, ma non l'ha mai inviata  Giorgio NapolitanoEcco la lettera che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha inviato al premier, Silvio Berlusconi. "Caro Silvio, scusa se ti distolgo dai provini di Raifiction, ma come capo dello Stato, presidente del Csm e garante supremo della Costituzione, alcuni dubbi mi assalgono. La lettera al presidente del Senato in cui ti assolvi da solo mi aveva quasi convinto della tua innocenza. Poi ho letto la lettera dell'avvocato Mills al suo commercialista a proposito di quei 600 mila dollari come 'regalo' per le sue false testimonianze in tuo favore, e le tue telefonate con Agostino Saccà.

E son tornato al punto di partenza. Meglio lasciarlo stabilire dai giudici, se sei colpevole o innocente: li paghiamo per questo. Tu dici che sono prevenuti: lo penso anch'io, infatti finora han sempre trovato il modo di salvarti, fra prescrizioni, attenuanti generiche e insufficienze di prove. Tu dici che non hai tempo per governare e preparare le udienze, ma ti sottovaluti: alla peggio, puoi sempre rubare un po' di tempo ad Apicella e alle 'fanciulle' di Raifiction. Vedrai che ce la fai. E poi dovevi pensarci prima: quando un imputato si candida a premier, il rischio di essere condannato una volta eletto lo mette in conto. Tu dici che gli italiani ti hanno votato: appunto, pensavano che il processo andasse avanti.

Anche perché ti eri dimenticato di avvertirli che avresti usato i loro voti come un giudizio di Dio sostitutivo a quello dei giudici, per giunta con un Lodo Barabba imposto da te medesimo. Tu dici che l'immagine dell'Italia all'estero verrebbe guastata da una tua condanna per corruzione. Ma se la dai per scontata, qualcuno penserà che sei colpevole. E poi mettiti nei miei panni: sarebbe molto peggio, per l'Italia che io rappresento, tenersi per cinque anni un premier che non si sa se sia un perseguitato o un corruttore. Tu ricordi che fino al '93 c'era l'immunità parlamentare, ma ricordi male: la Costituzione consentiva alle Camere di negare l'autorizzazione a procedere in caso di 'fumus persecutionis', cioè di qualche parlamentare perseguitato da toghe politicizzate senza uno straccio di prova. Ma qui le prove non vengono da toghe più o meno politicizzate, bensì dal tuo consulente Mills e dalla tua voce registrata al telefono con l'amico Saccà.

E poi l'immunità era stata pensata dai padri costituenti per difendere le opposizioni da eventuali agguati di giudici legati al governo con accuse per reati politici, non per proteggere il capo del governo da accuse per reati comuni. Tu dici che 'nelle altre democrazie' il Lodo Schifani-Alfano esiste già. Ho chiesto in giro e - a parte che nessuno conosce Schifani né Alfano - mi han detto che i premier non hanno immunità in nessuna democrazia del mondo. Sono immuni solo i re e il presidente della Repubblica francese. Quindi non firmo. Se ne riparla se e quando prenderai il mio posto. O quando ti sarai incoronato Re d'Italia. Tuo Giorgio".

(04 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #51 inserito:: Luglio 10, 2008, 05:17:39 pm »

Io difendo quel palco

Marco Travaglio


Caro Direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su You Tube e sui siti di vari giornali, ma non vi ho ritrovato ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali.

Nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. È stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio). Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano. Le prese di distanze e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.

Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo «Stupid White Man» (pubblicato in Italia da Mondadori...), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la «sala orale». In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film «Pulp Fiction» in «Peuple fiction», irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di «antibushismo», di «anticlintonismo», di «antichirachismo», di «insulti alla Casa Bianca» o di «vilipendio all’Eliseo». Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale. Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano «insulti». Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che «a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto», compreso il via libera al lodo Alfano che crea una «banda dei quattro» con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla Regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi. Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’«aggravante razziale» e dunque incostituzionale, punendo ­ per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei «insultato» anche lui, e che «non è la prima volta».

Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena; per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi ­ come dice Furio Colombo ­ «confonde il dialogo con i suoi monologhi». Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. È la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.

Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, su l’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal “Riformatorio” financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il Clarin, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: «pompini», naturalmente di Stato. Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano «vergogna» non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una «paràbasi», cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica. Anche Dante era girotondino? Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perché la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra «che vince», Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: «Chi se ne frega del lodo Alfano»). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita.

Pubblicato il: 10.07.08
Modificato il: 10.07.08 alle ore 13.42   
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« Risposta #52 inserito:: Luglio 11, 2008, 10:36:09 pm »

Marco Travaglio

Premier con scudo spaziale


L'attacco di Berlusconi alla Magistratura si basa sui numeri dei processi e dei magistrati impegnati nella persecuzione giudiziaria. Sono dati precisi, puntuali ma falsi  Nicoletta GandusQuando dà i numeri, il Cavaliere li dà precisi. Falsi, ma precisi. A volte con la virgola. Una tecnica che funziona sempre. Ora ha riattaccato col pianto greco sulla persecuzione giudiziaria, straparlando di "587 ispezioni" e "2.500 processi" che avrebbero impegnato "789 magistrati" (900 per l'on. avvocato Ghedini) e "128 avvocati" che gli sarebbero costati "174 milioni". Molti 'liberali' del tipo Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino e Giannino, hanno prontamente abboccato. Impietositi dalla sua grama esistenza, auspicano lo scudo spaziale per proteggerlo dall''anomalia' delle eccessive attenzioni togate. Ma qui l'unica anomalia è un capo-azienda divenuto premier per salvarsi dai processi. E racconta bugie per rivoltare la frittata.

In Italia esistono 9 mila magistrati (compresi quelli civili): l'idea che uno su 10 si sia occupato di lui è ridicola. Saranno a dir tanto 2-300. Troppi? No, se si pensa che Berlusconi, i suoi cari (fornitori abituali dei tribunali come il fratello Paolo, Previti e Dell'Utri) e le sue aziende (comprese le 64 off-shore fuori bilancio) hanno subìto una trentina d'indagini tra Milano, Brescia, Torino, Firenze, Napoli, Roma, Palermo, Caltanissetta.

Lui è stato rinviato a giudizio 12 volte in Italia e una in Spagna. E ogni processo impegna almeno un pm, un gip, un gup, 3 giudici di tribunale, un pg e 3 giudici d'appello, un pg e 5 giudici di Cassazione: 16 toghe in tutto. Se poi l'imputato ricusa il giudice, ne mobilita ogni volta altri 10 (un pg e 3 giudici d'appello, un pg e 5 giudici di Cassazione): e lui, con i suoi coimputati, l'ha fatto 15 volte. Senza contare mezza dozzina di istanze di rimessione a Brescia per legittimo sospetto (esaminate ogni volta da un pg e 5 giudici di Cassazione).

E i continui ricorsi contro ogni sequestro. Difficile lamentarsi per le troppe toghe che perdono tempo appresso a lui.
Saranno troppe le indagini? La stessa tesi sostenne, per la Fiat, Cesare Romiti imputato a Torino nel '95: "Abbiamo ricevuto 345 visite della Finanza. Se lo sa Berlusconi si offende, lui vuol essere sempre il primo, ma è arrivato solo a 100-112...". In realtà per la Fininvest, come per gli altri grandi gruppi, le indagini non sono né poche né tante: sono quelle nate dalle notizie di reato giunte ai pm, quasi sempre per caso. La denuncia di un sottufficiale sulle tangenti alla Finanza. Le rivelazioni di Stefania Ariosto sulle mazzette di Previti ai giudici. Le false fatture confessate dai manager di Publitalia. Le tracce, sui conti esteri di Craxi, di 21 miliardi targati Fininvest. La confessione del presidente del Torino Borsano sui fondi neri del Milan per il calciatore Lentini. La lettera di David Mills al suo commercialista sulle false testimonianze per 600 mila dollari.

Le telefonate Saccà-Berlusconi. E così via. In effetti c'è qualcuno che potrebbe lamentarsi. È Di Pietro: 28 indagini a Brescia (alcune su denuncia del Cavaliere) e 8 richieste di rinvio a giudizio, sempre prosciolto perché innocente. Una vera persecuzione.

(11 luglio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #53 inserito:: Luglio 18, 2008, 05:37:59 pm »

Oltraggio a Falcone

Marco Travaglio


Ogni anno, nella ricorrenza della strage di via d’Amelio, si trova il modo di commemorare Borsellino e Falcone. Quattro anni fa l’estromissione dal pool antimafia palermitano dei loro amici e allievi prediletti. Due anni fa il reintegro in Cassazione del loro nemico giurato Corrado Carnevale. Ma quest’anno, va detto, il Csm si è superato. L’altroieri è riuscito a nominare procuratore capo di Marsala il celebre Alberto Di Pisa, altro avversario irriducibile di Falcone, preferendolo ad Alfredo Morvillo, che di Falcone è pure il cognato e che ha dovuto lasciare l’incarico di procuratore aggiunto a Palermo per la scriteriata controriforma Castelli-Mastella. Di Pisa è prevalso al plenum per un solo voto perché più «anziano» di Morvillo.

Lo stesso motivo che nel ’90 indusse il Csm a nominare Antonino Meli a capo dell’ufficio istruzione di Palermo contro il più esperto ma più giovane Falcone. Lo stesso motivo che nel 1989 aveva indotto Leonardo Sciascia ad attaccare sciaguratamente Borsellino sul Corriere come «professionista dell’antimafia», per essere stato preferito a un collega più vecchio proprio come procuratore di Marsala. Ora, vent’anni dopo, l’anzianità torna a prevalere sul merito grazie ai laici del centrodestra, ai togati di MI e di Unicost e al soccorso rosso della laica Ds Tinelli.

Chi è Di Pisa? L’ex pm del pool Antimafia di Palermo che Falcone considerava l’autore delle lettere anonime del «corvo» nei mesi dei veleni a palazzo di giustizia. Lettere che accusavano Falcone e De Gennaro di manipolare i pentiti e di aver addirittura consentito a Totuccio Contorno di tornare a Palermo per assassinare i nemici della sua famiglia. Per quelle lettere Di Pisa fu processato a Caltanissetta: condannato in primo grado perché un’impronta rinvenuta sulle lettere del corvo corrispondeva in molti punti con la sua, comparata con una sua prelevata di nascosto dall’alto commissario Domenico Sica su una tazzina di caffè. In appello fu poi assolto perché quella prova fu giudicata inutilizzabile. Dunque, per la legge, Di Pisa è innocente.

Ma, anche dimenticando quella vicenda, restano e pesano come macigni le terribili accuse lanciate da Di Pisa a Falcone nell’audizione al Csm il 21 settembre 1989, quando fu chiamato a rispondere della sua fama di «anonimista» impenitente raccontata da alcuni colleghi. Quel giorno Di Pisa dichiarò quanto segue: «Disapprovo la gestione dei pentiti e i metodi d’indagine inopinatamente adottati nell’ambiente giudiziario palermitano (…), una certa concezione di intendere il ruolo del giudice e lo stravolgimento dei ruoli e delle competenze istituzionali (…), l’interferenza del giudice con la funzione dell’organo di polizia giudiziaria (…). Falcone prese contatti e impegni con le autorità americane a titolo non si sa bene come, concernenti provvedimenti di competenza della corte d’appello (....) Il GI (Falcone) si trasforma anche in ministro di Grazia e giustizia (…). Emerge la figura del giudice “planetario” che si occupa di tutto e di tutti, invade le competenze, ascolta i pentiti e non trasmette gli atti alla Procura (…), indaga al di là di quello che è il processo (…). Una gestione dei pentiti familiare e gravemente scorretta, per non usare aggettivi più pesanti (…). Falcone portava i cannoli a Buscetta e Contorno (…), un rapporto confidenziale, una logica distorta tra inquirente e mafioso (…). Falcone fece pervenire tramite De Gennaro a Contorno e Buscetta i suoi complimenti per il modo sicuro in cui si erano comportati (al maxiprocesso, ndr). Voleva un ruolo passivo per il pm che assisteva agli interrogatori (…). La gestione dei pentiti e il contatto con gli stessi è stato sempre monopolio esclusivo del collega Falcone e di De Gennaro (…). Io avevo manifestato una differenziazione tra una posizione garantista e quella sostanzialista (di Falcone, ndr). Per carità, non voglio insinuare nulla, ma in tutti gli interrogatori dei pentiti, di Buscetta, di Contorno, di Calderone, non vi sono contestazioni: tutto un discorso che fila, mai un rilievo, mai una contraddizione fatta rivelare dall’imputato». E ancora: Di Pisa accusò Falcone di condotte «di inaudita gravità» e di «stravolgere le regole e le competenze istituzionali», nonché di «intrecci e alleanze con i giornalisti».

Accuse che toccheranno, uguali identiche, ai successori di Falcone, cioè a Caselli e ai suoi uomini, ai quali verrà addirittura rinfacciata «l’eredità di Falcone», divenuto ­ dopo morto ammazzato ­ un cadavere da gettare addosso a chi aveva raccolto la sua eredità. Ora si fa un altro passo indietro: si premia chi quelle accuse lanciava non a Caselli e agli altri pm antimafia che hanno avuto il torto di restare vivi, ma all’eroico Falcone. Del resto, oggi, il nuovo eroe è Vittorio Mangano.

Pubblicato il: 18.07.08
Modificato il: 18.07.08 alle ore 12.56   
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« Risposta #54 inserito:: Luglio 20, 2008, 08:24:34 am »

Marco Travaglio


Piazza piena partito vuoto


Quasi un terzo degli italiani a destra e a sinistra approvano quanto avvenuto al "No-Cav Day". Così mentre in piazza i girotondi riescono a comunicare con gli elettori del Pd e con la destra, Veltroni e i suoi rimangono chiusi nei loro palazzi  Sabina Guzzanti sul palco di piazza NavonaGli 'esperti' che sanno sempre tutto l'avevano deciso fin dalla vigilia: la manifestazione in piazza Navona contro le "leggi canaglia" sarebbe stata "un regalo al Cavaliere". Dopo, censurando con abile taglia e cuci tutte le parole contro Berlusconi e citando solo un paio di interventi che criticavano anche Napolitano, Veltroni e il papa, sono riusciti a dimostrare di aver previsto giusto.

Purtroppo, a smentirli platealmente ha provveduto lo stesso premier, che del gran favore ricevuto non s'è proprio accorto: infatti ha graziosamente qualificato i manifestanti come "spazzatura" (ma lui non è un comico, dunque i suoi non sono insulti, bensì amabili battute da statista).

Poi è arrivato un clamoroso sondaggio di Renato Mannheimer, nascosto dal 'Corriere della Sera' sotto il titolo: 'Corteo bocciato dal 55%. Pd, maggioranza a favore'. La vera notizia non è la scontatissima bocciatura della maggioranza degli italiani, che tra l'altro non rispondevano su quel che è davvero accaduto, ma su quel che han sentito raccontare.

La vera notizia è che il 29,4 per cento, quasi un terzo degli italiani, approvano quella che stampa e tv hanno dipinto come un'orgia di insulti, scurrilità, attacchi alla democrazia. Tra questi c'è il 48 per cento degli elettori del Pd (solo il 39 sposa la scomunica di Veltroni & C.) e, udite udite, persino il 22 per cento dei leghisti e il 12 dei berluscones. Del resto, secondo i calcoli di Ilvo Diamanti su 'Repubblica', il governo Berlusconi è al 44 per cento di gradimento contro il 69 del Prodi pre-indulto. E negli ultimi due mesi son precipitati sia il Cavaliere (- 15 punti), sia Uòlter (- 25).

Insomma la battaglia per la legalità contro il lodo, il bloccaprocessi e il bavaglio alla stampa e ai magistrati su intercettazioni e dintorni fa il pieno tra i piddini e fa pure breccia nel popolo della destra. E dire che, per lo stato maggiore del Pd, quelle "non sono priorità".


Chiusi nel palazzo, Uòlter e i suoi boys pensano di risalire dal baratro elettorale dialogando con le nomenklature del Pdl, della Lega e persino dell'Udc di Casini & Cuffaro. Intanto in piazza Di Pietro, 'Micromega', i girotondi e i disprezzatissimi comici riescono a comunicare con gli elettori della destra. Notizia clamorosa che spazza via fiumi di parole e d'inchiostro versati a vanvera.

Il catastrofismo narcisista di Moretti ("Sono avvilito, organizzatori irresponsabili, che disastro"). La consueta teoria dalemiana dell'"autogol che fa il gioco della destra". L'ennesimo scaricabarile veltroniano: "Berlusconi ha goduto, la sceneggiatura pareva scritta da lui. Se avessi portato in piazza il Pd, saremmo un cumulo di macerie. Le posizioni alla Sabina Guzzanti hanno portato Alemanno in Campidoglio".

Curiosa teoria: in piazza Uòlter non c'era, ma c'era - idealmente o fisicamente - metà del suo elettorato. Contro Alemanno la Guzzanti non c'era: c'era Rutelli. Così come, alle elezioni politiche, Prodi non c'era: c'era Veltroni. Ma i leader hanno sempre ragione. Sono gli elettori che non capiscono.

(18 luglio 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #55 inserito:: Luglio 22, 2008, 02:20:06 pm »

Marco Travaglio



I figli sò piezz'e Bossi


"Dopo trent'anni di scuola di sinistra, di esami di sinistra, di professori di sinistra, di presidi di sinistra i nostri ragazzi sono disorientati. I nostri studenti hanno bisogno di essere guidati da uno come Umberto Bossi. E non è possibile che vengano professori da ogni parte a togliere il lavoro agli insegnanti del Nord. Loro vogliono sentir parlare solo di Pirandello e Sciascia
e non di un federalista come Carlo Cattaneo. Così abbiamo proposto una riforma che faccia in modo che chi non conosce il Veneto, la sua storia, la sua lingua, la sua cultura, non possa venire ad insegnare in Veneto".
(Paola Goisis, Lega Nord, membro della commissione Cultura della Camera, Adnkronos, Padova, 20 luglio 2008).

"Dopo il federalismo bisogna passare anche alla riforma della scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente (i professori, ndr) che non viene dal Nord. Il problema della scuola è molto sentito perché tocca tutta la famiglia. E' la verità, un nostro ragazzo è stato bastonato agli esami perché aveva presentato una tesina sul federalista Carlo Cattaneo. Questi sono crimini contro il nostro popolo e devono finire. La Padania ormai è nel cuore di tutti. Noi ai bambini insegnamo fin da quando nascono che non siamo schiavi e non lo siamo mai stati".
(Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Rainews24 e Apcom, 20 luglio 2008).

"Ma la tesina è solo una parte dell'esame e il ragazzo (Renzo, figlio di Umberto Bossi, respinto per la seconda volta all'esame di maturità, ndr) ha dovuto sostenere anche tre prove scritte e un esame orale. Non ha seguito gli studi da noi, si è presentato da privatista; non so che tipo di preparazione abbia seguito ma purtroppo la somma di tutte le prove non ha raggiunto il punteggio di 60, il minimo per la promozione".
(don Gaetano Caracciolo, rettore del Collegio Arcivescovile "Bentivoglio" di Tradate, Corriere della Sera, 11 luglio 2008).

(21 luglio 2008)


da repubblica.it



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Coglione miracoloso
"... Berlusconi poi ha fatto i miracoli... Stava a Napoli due giorni alla settimana. Lo vedevo che partiva dopo il Consiglio dei ministri. Adesso il problema è quasi risolto. Ha fatto riaprire i termovalorizzatori che quei pazzi di magistrati avevano chiuso. Io ho detto che la decisione se accogliere i rifiuti sarebbe stata presa dalle Regioni. Voglio vedere cosa faranno le Regioni della sinistra. La sinistra sa che se risolviamo il problema dei rifiuti loro non prendono più un voto. Adesso ne è rimasta una piccola quantità qualche carrettata... Al Nord cosa gliene frega di un sacco di rifiuti e basta? Berlusconi è andato pure da Gheddafi in Libia, con quel caldo... Sulla sicurezza e sugli immigrati Maroni sta facendo un grande lavoro. Vuole usare anche i satelliti per controllare i confini...". (Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, a La Stampa, 30 giugno 2008).

"Tutti sanno che Berlusconi un po' è perseguitato, un po' è coglione lui. Per parlare di certe cose al telefono...".
(Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Telelombardia, 7 luglio 2008).

(10 luglio 2008)


da repubblica.it
La Patetica

"Berlusconi vuole far entrare i giovani in Forza Italia... Due giovani? Direi Angelino Alfano, che è un quarantenne, ancora che deve fare credo, e molto, molto bravo... E Mara Carfagna" (Marcello Dell'Utri, FI, intervistato a "In mezz'ora", Rai3, 25
novembre 2007)

"Lino Jannuzzi dice di averla scoperta lui, con Sandro Bondi. 'Era la campagna elettorale di due anni fa in Campania, quando l'abbiamo notata ad un comizio, non solo per la sua bellezza, ma soprattutto per come parlava. Sandro era già pronto a dedicarle una poesia, io ho preferito dirle 'brava per le cose che diceva. Poi, dato che Berlusconi insisteva che anche ai sommi vertici del partito bisognava lanciare le donne, gli dissi che ne avevo trovata una che era all'altezza'...

C'è il racconto della Carfagna. La famiglia è tutta di destra: il papà, Salvatore, preside in un istituto tecnico femminile di Salerno, e la mamma, Angela, insegnante di Educazione fisica. Ai genitori la carriera televisiva non piaceva. Bondi - dopo la scoperta di cui parla Jannuzzi - le offrì di lavorare per la sezione femminile del partito, poi la fece coordinatrice regionale campana. Il padre era molto contento e, quando arrivò il momento dell'incontro con Berlusconi, la accompagnò a palazzo Grazioli.

La Carfagna fu fatta accomodare al pianoforte e suonò Era de maggio e poi un movimento della "Patetica" di Beethoven. Bisogna sapere che Mara ha fatto il Conservatorio, ha studiato danza e s'è laureata in Legge con 110 e lode. Tutti titoli acquisiti in un'epoca in cui Berlusconi non faceva parte della sua vita. In ogni caso, quel famoso giorno il Cavaliere la rimproverò perché non sapeva abbastanza pezzi a memoria. Poi nel 2006 la candidò alla Camera" (Giorgio Dell'Arti, Gazzetta dello Sport, 11 luglio 2008)

"Basta con questa storia delle fidanzate. Noi a differenza di Veltroni non abbiamo candidato nessuna segretaria. Inoltre tutte le donne che abbiamo eletto l'altra volta si sono dimostrate capaci. Pensate alla Carfagna: io conoscevo il padre, lei ha fatto l'insegnante di danza, ha partecipato anche a una trasmissione tv, ma in Parlamento ha lavorato molto bene" (Silvio Berlusconi, La Stampa, 9 marzo 2008)

"Sono stata segnata nell'animo da Forza Italia fin dalla sua fondazione... Berlusconi é un grande uomo. Un uomo vero. Un uomo che, tra l'altro, mi onora della sua stima... Mi piacciono uomini decisamente più giovani. Casomai, ecco, lo considero come un papà... Comunque, sia chiara una cosa: anche se mi corteggiano, io so difendermi perfettamente... lo scriva pure, così chiariamo subito la situazione. Se sono fidanzata? No. Sa, ho gusti un po' complicati..." (Mara Carfagna, Corriere della Sera, 28 aprile 2006).

"Io parlo solo ai piccioni viaggiatori" (Mara Carfagna, ministro delle Pari opportunità, 9 luglio 2008)

(18 luglio 2008)

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« Risposta #56 inserito:: Luglio 22, 2008, 11:52:51 pm »

Marco Travaglio


Viene fuori il meglio

"I giudici devono essere eletti. Io non scarico i miei alleati. La riforma della giustizia è una cosa che vuole Berlusconi. E se la vuole lui, va bene anche a me. Il federalismo fiscale e la riforma della giustizia possiamo farli tutti e due. Noi andiamo avanti col federalismo, sulla giustizia sentiremo le ragioni di Berlusconi. Il federalismo lo portiamo a casa. Sono andato venerdì a Roma a controllare che fosse tutto a posto. Ormai è scritto tutto. Non è finto. La magistratura è un problema e non solo per il Nord. Non c'è un solo magistrato del Nord e questo non va bene. Bisogna far eleggere i magistrati dal popolo. Così possiamo sperare che venga fuori il meglio" (Umberto Bossi, ministro delle Riforme istituzionali, Il Giornale, 20 luglio 2008)

"Brooklyn, New York. Le accuse nei confronti di Clarence Norman, leader locale del Partito Democratico, sono state il primo passo nell'indagine sulla vendita dei posti di giudice a Brooklyn. Norman é accusato di tenere sotto controllo un torbido sistema grazie al quale i candidati che concorrono alla carica di giudice di tribunale ricevono una specie di investitura da parte del Partito Democratico. Le difficoltà incontrate a New York da parte dei candidati impegnati nella campagna elettorale per un posto di giudice, fanno sì che venga invariabilmente eletto il candidato sostenuto dal partito di maggioranza.
Recentemente alcuni dei candidati sostenuti da Norman sono finiti nei guai. Sono accusati di avere ricevuto denaro da alcuni imputati e di averne dato a loro volta a vari organismi controllati da Norman. Uno di loro é già in carcere, un altro é stato incriminato. Due giudici sostengono di essere stati minacciati di perdere il sostegno del Partito Democratico se non avessero versato dei contributi. Un ex-giudice del tribunale civile ha dichiarato che Norman avrebbe minacciato di ritirare il suo nome da quelli dei candidati alle elezioni se avesse rifiutato di servirsi dei suoi costosissimi consulenti per la campagna elettorale.
Il problema si é manifestato in tutta la sua gravità solo nell'autunno scorso, quando una madre disperata ha dichiarato che un altro candidato di Norman, il giudice Gerald Garson, aveva affidato all'ex-marito la custodia dei due figli in cambio di una somma di denaro. Garson é stato incriminato per corruzione, e pare che il fatto costituisca un ulteriore elemento atto a confermare l'impressione del Procuratore Distrettuale di Brooklyn, Charles Hynes, che i posti di giudice siano in vendita" (The Economist, 23 ottobre 2003)

(22 luglio 2008)

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« Risposta #57 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:11:51 am »

Marco Travaglio


Parole di grande stima

"Di Del Noce ho sempre avuto parole di grande stima, suvvia..."
(Agostino Saccà, Corriere della sera, 17 luglio 2008)

Giancarlo Innocenzi: "Sono reduce da un incontro con il grande Capo (Berlusconi, ndr) e abbiamo fatto un po' di ragionamento di politica. Si è deciso a dare un'accelerazione, una spallata a questi qua. Lui ti ha citato perché ha detto che c'è una persona sulla quale stai lavorando tu (il senatore calabrese di centrosinistra Pietro Fuda, ndr). Dopodiché, siccome io sto lavorando con Tex (il senatore Willer Bordon, ndr) mi è venuta un'idea che poi non si è rivelata geniale. A un certo punto gli ho detto, tra le varie cose che abbiamo, questo signore (Bordon, ndr) ha una moglie che fa quel mestiere (l'attrice, ndr) e attraverso Guido (il produttore De Angelis, ndr) l'avevamo messa anche su quella produzione, solo che quei coglioni, quel pirla di Fabrizio (Del Noce, ndr) l'ha stoppata. L'altro (Berlusconi, ndr) neanche ci ha pensato un secondo, non mi ha dato neanche il tempo di finire e ha preso il telefono e ha chiamato Fabrizio. Dicendogli: 'Cazzo, scusa, mi serve per... la moglie di...'. E quello, come se non c'entrasse un cazzo: 'L'hanno fermata perché costava troppo, guarda che è una roba...' (ride). Allora Fabrizio ha detto: 'Se è per quella signora lì, chi ti può aiutare è Agostino'. A proposito, come si chiama?". Agostino Saccà: "Rosa Ferraiolo. Però speriamo che quel coglione di Del Noce non lo dica, perché sennò capiscono che c'è in gioco qualcosa di più grosso..." (telefonata intercettata dalla Procura di Napoli il 2 agosto 2007 fra il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi, ex dirigente Fininvest ed ex sottosegretario alle Telecomunicazioni di Forza Italia, e Agostino Saccà, direttore di Raifiction)

(25 luglio 2008)

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« Risposta #58 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:27:49 am »

Marco Travaglio


Buonanotte Ostellino


Il giornalista critica il Csm che pretende di dare un parere sulla blocca-processi. E per lui le telefonate Saccà-Berlusconi contengono solo "indiscrezioni sulle imprese erotiche" del Cavaliere.

Bisogna assolutamente fare qualcosa per Piero Ostellino.
Qualche settimana fa, sotto choc per la perdita del suo cane Nicevò (della cui improvvisa scomparsa ragguagliò la Nazione nella sua rubrica sul 'Corriere della Sera'), se la prende col Csm che pretende di dare un parere "non richiesto", dunque "illegittimo", sulla legge blocca-processi instaurando "il governo delle toghe al posto di quello delle leggi". Forse ignora che i pareri del Csm, richiesti o meno, sono previsti proprio da una legge, la n. 195 del 24.3.1958: "Il Csm dà pareri al ministro su disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e ogni altro oggetto attinente alle predette materie".

La settimana dopo Ostellino invita i magistrati napoletani a occuparsi di "Napoli sommersa dalla monnezza", "rinviarne a giudizio i responsabili" e "combattere la camorra, invece di passare il tempo a intercettare raccomandazioni di qualche velina". Per lui le telefonate Saccà-Berlusconi, in cui il premier promette soldi in cambio di favori e acquista senatori, non contengono che "indiscrezioni sulle imprese erotiche" del Cavaliere. E poi, suvvia, "ogni ragazza sa bene di essere 'seduta sulla propria fortuna' e di poterne disporre come crede". Se leggesse almeno il giornale su cui scrive, Ostellino saprebbe che i giudici napoletani hanno già rinviato a giudizio i presunti responsabili dello scandalo monnezza, da Bassolino ai vertici della Fibe-Impregilo. Quanto alla camorra, qualche giorno prima la Corte d'appello di Napoli ha decapitato il clan dei Casalesi. C'è da attendersi, a quel punto, che l'insigne pensatore liberale venga dirottato su argomenti meno ostici. Macché.

Il 16 luglio si conquista la prima pagina del 'Corriere' per commentare l'arresto di Ottaviano Del Turco:
non una parola sulle centinaia di pagine dell'ordinanza del gip, ma ampi riferimenti storici all'annosa ostilità fra socialisti e comunisti, da Marx, Stalin, Lenin, Kautsky, Trotzky, Gramsci, Togliatti, giù giù fino a Berlinguer, Fassino e Di Pietro. Alla fine l'eventuale lettore, stremato e curioso di sapere che diavolo c'entri la Terza Internazionale con i giudici di Pescara che arrestano alcuni politici per mazzette sulla sanità, resta deluso. Nessuna risposta. Solo una struggente lamentazione per "la tiepida reazione del Pd all'offensiva giudiziaria contro Del Turco", retaggio dell'antica "continuità antisocialista" e "discontinuità riformista" dei comunisti "da Tangentopoli a oggi". Impermeabile ai fatti per non disturbare le sue opinioni, Ostellino ignora che Tangentopoli falcidiò pure il Pci-Pds milanese e che, con Del Turco, sono indagati pure tre assessori ex Ds (D'Amico, Verticelli e Caramanico). Insomma, non lo sfiora neppure l'idea che la prudenza del Pd dipenda da qualcosa di più antico del Congresso di Livorno: il settimo comandamento

(25 luglio 2008)

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« Risposta #59 inserito:: Luglio 28, 2008, 12:37:54 pm »

Lettera al presidente del Senato



di Marco Travaglio



l'Unità



Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani, chi Le scrive è un
modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per
motivi professionali. L'ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio,
quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua
breve biografia sull'Unità e nel libro "Se li conosci li eviti" (scritto con
Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a "Che tempo che fa". Anzitutto mi
consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità
penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già
dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato
in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l'ha
messo all'ordine del giorno di Palazzo Madama. E' davvero consolante, per un
cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l'articolo 3 della
Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che
dall'altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi
alla legge, come i maiali della "Fattoria degli animali" di George Orwell.
Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per
tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.



Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta
verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio),
un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi
compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali
e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull'Unità e della mia
partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto
gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s'intende.
Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come
Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due
personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D'Agostino e Nino
Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia
urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in
quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà. Circostanze che Lei
non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di
citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei
fatti nell'ambito dei "commenti sulla vita privata delle persone"; e mi
rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di
persone poi risultate mafiose, ma anche di altri "noti imprenditori mai
coinvolti in episodi giudiziari", e come Lei abbia prestato consulenze non
solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai
sciolti per mafia).



Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici. Ma non Le
sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della
Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici,
già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai
Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo
politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca
cosa. E' questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali,
consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle
proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i
cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma
ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la
presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale
in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io
volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di
citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi
ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque
conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli
eventuali processi a Suo carico. Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no.
Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai
inquietante.



Ma c'è di più e di peggio. L'anno scorso l'ex presidente del consiglio
comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei
suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato
ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate
era stato addirittura "concordato" da lei e dal senatore La Loggia con il
solito Mandalà. Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i
magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto
o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora
rappresenta l'Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi. Ma,
nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano
impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque
anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo
preziosissimo scudo spaziale. Converrà con me, Signor Presidente, che nella
causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini
sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse
di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile
sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca,
segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse
pubblico. Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei
intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso
Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento
per via del Lodo Alfano. Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1
euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me
estremamente seccante.



L'altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini
ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che
lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi
rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così
rapidamente promulgato, affinchè rassicuriate noi cittadini su un punto
fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finchè sarete
protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in
ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente
o indirettamente, l'esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese
riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.


da spaziolibero

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