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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 123063 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Aprile 05, 2008, 10:45:07 am »

Marco Travaglio

Il precedente Napolitano


Nel loro tour elettorale in Calabria, Veltroni e Berlusconi non hanno detto nulla sui sui furti di denaro pubblico scoperchiati dal pm Luigi De Magistris  Luigi De MagistrisNel loro tour elettorale in Calabria, Veltroni e Berlusconi hanno detto lodevoli cose contro le mafie. Ma nemmeno una parola sui furti di denaro pubblico scoperchiati dal pm Luigi De Magistris, recentemente punito dal Csm unanime con la censura e il trasferimento di sede e di funzione. Solo Di Pietro ha solidarizzato con lui, offrendogli pure una candidatura che il pm ha declinato. Da quando la sua sentenza è stata depositata, politica e magistratura l'hanno accolta con uno strano silenzio. Eppure il giudice Felice Lima la smonta punto per punto su 'Micromega' e un bel libro fresco di stampa, 'Il caso De Magistris' di Antonio Massari (ed. Aliberti), dimostra che è basata addirittura su un falso.

Uno degli addebiti che sono costati la condanna al pm è l'iscrizione segretata di due indagati eccellenti: il Sen. Avv. Giancarlo Pittelli (Fi) e il generale Walter Cretella. Anziché annotare i due nomi sul registro, De Magistris custodì l'atto d'iscrizione in cassaforte, riservandosi di riportarlo sul libro della Procura in un secondo momento. Motivo: Pittelli, indagato e difensore di Cretella, è intimo amico del procuratore Mariano Lombardi. Il figlio della convivente del procuratore è addirittura socio di Pittelli. E De Magistris ha denunciato il suo capo alla Procura di Salerno, accusandolo di aver informato Pittelli delle indagini su altri clienti del Sen. Avv. Il Pg della Cassazione Vito D'Ambrosio, chiedendo al Csm la condanna di De Magistris, ha affernato: "Io non ho mai visto un atto secretato con la chiusura in armadio blindato dell'ufficio. Non solo, nego che ci possa essere". Ma, come risulta dallo scoop di Massari, quell'iscrizione blindata ha un precedente illustre che riguarda proprio il presidente del Csm che ha condannato De Magistris: il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Nel 1994 i pm napoletani Rosario Cantelmo e Nicola Quatrano raccolgono una testimonianza su un presunto finanziamento illecito di 200 milioni di lire alla corrente migliorista del Pci guidata da Napolitano.

È solo una voce, ma i pm hanno l'obbligo di verificarla e di iscrivere Napolitano sul registro degli indagati. Cosa che fanno, ma in via riservata per evitare fughe di notizie destabilizzanti. Come? Con un atto sigillato e blindato in cassaforte, collegato a una sigla in codice annotata sul registro degli indagati. E bene fanno: la notizia si rivelerà non provata. Il Csm non si sognerà mai di punire i due pm, che han garantito i diritti dell'indagato e la riservatezza delle indagini. Proprio come ha fatto De Magistris, che però non temeva talpe esterne, ma interne. Lui però l'hanno punito. Intanto, vedi ultima puntata di 'Report', i furti di denaro pubblico in Calabria continuano. Ma tutti i politici indagati da De Magistris sono stati ricandidati, dal Pd e dal Pdl: torneranno felicemente in Parlamento.

(04 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #31 inserito:: Aprile 12, 2008, 04:12:15 pm »

Marco Travaglio

Berluscomiche


Una carrellata della promesse del Cavaliere durante questa campagna elettorale  Silvio BerlusconiFortuna che la campagna elettorale è durata così poco, perché dallo scioglimento delle Camere (6 febbraio) il cavalier Berlusconi è riuscito a farsi fraintendere una sessantina di volte in 60 giorni. La cordata per Alitalia, con o senza figli. Le precarie promesse in spose a Piersilvio. La lotta e/o elogio all'evasione fiscale. Veltroni maschera di Stalin. Le grandi intese con la maschera di Stalin. I brogli. Le schede. La guerra al Quirinale. Il voto agli immigrati (pesce d'aprile). La sinistra cogliona, anzi no. Mastella in lista, anzi no. Le donne in cucina a fare le torte. Ruini alleato per il voto disgiunto. E il Viagra, e le veline, e noi maschi latini.

E il nuovo Contratto con gli italiani: non pervenuto. E la sfida in tv a Veltroni ("Io straccio chiunque"): mai vista. E i giornali della Fiat che "non stanno né di qua né di là", dunque non sono liberi, diversamente da quelli suoi e del Ciarra. Strepitoso quando ha promesso in tv (almeno due volte) "il traforo del Frejus", purtroppo già fatto dal 1871. Favoloso quando s'è attribuito una statura di "un metro e 71". Grandioso quando ha rievocato, dinanzi alla mummia di Riotta, gli sforzi sovrumani compiuti per trattenere Enzo Biagi, purtroppo fuggito dalla Rai con la liquidazione. Fantastico quando ha negato l'editto bulgaro e le corna al vertice di Caceres. Mitico quando ha annunciato che, se lo intercettano un'altra volta, espatria. Meraviglioso quando ha eccepito sulla cultura di Antonio Di Pietro ("La laurea gliel'han regalata i servizi"), per poi sfoggiare la propria citando "San Pietro sulla via di Damasco" (lui la laurea l'ha presa per corrispondenza?). Purtroppo Air France, non abituata al personaggio, l'ha preso sul serio e s'è ritirata da Alitalia.

Uòlter invece lo conosce e ha ignorato i suoi deliri, evitando di restare impantanato nella solita girandola di detti e contraddetti. Ma il suo lungo silenzio sull'avversario ha fatto sottovalutare a molti indecisi i pericoli di un Berlusconi III, con relativi conflitti d'interessi (aumentati con i nuovi processi per corruzione, con l'ingresso in Mediobanca e con l'acquisto di Endemol che fornisce programmi alla Rai) e una corte dei miracoli ancor più scombiccherata dell'ultima: in lista col Pdl, oltre a una ventina di pregiudicati, ci sono persino
Maurizio Saia, che diede della 'lesbica' a Rosy Bindi; e il trio Barbato-Gramazio-Strano, che festeggiarono a sputi, champagne e mortadella la caduta di Prodi in Senato e il Cavaliere aveva giurato di non ripresentare. Mancano le parole? Basta copiare quelle di Indro Montanelli, anno 2001: "Il berlusconismo è la feccia che risale il pozzo, la destra del manganello". O l'appello firmato sette anni fa da Bobbio, Galante Garrone e Sylos Labini: "A coloro che, delusi dal centrosinistra, pensano di non andare a votare diciamo: chi si astiene vota Berlusconi. Una vittoria del Polo minerebbe le basi stesse della democrazia". Purtroppo i grandi vecchi sono morti, e anche noi ci sentiamo poco bene.

(11 aprile 2008)


da espresso.repubblica.it
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« Risposta #32 inserito:: Aprile 26, 2008, 09:58:40 am »

Marco Travaglio.

E Lazzaro risorge


Veltroni ce l'ha messa tutta per recuperare l'enorme dislivello che separava il Pd dal Pdl. Forse la vittoria era impossibile, ma non s'è mai vista una campagna elettorale senz'attacchi all'avversario  Silvio BerlusconiWalter Veltroni ce l'ha messa tutta per recuperare l'enorme dislivello che separava il Pd dal Pdl a causa del discredito accumulato dall'Armata Brancaleone dell'Unione. Forse la vittoria era una mission impossible, anche se, come osserva Giovanni Sartori, non s'è mai vista una campagna elettorale senz'attacchi all'avversario (e a quell'avversario, poi.) e con 'nuove' candidature così infelici.

Ma siamo sicuri che la sconfitta fosse così ineluttabile e Berlusconi così invincibile, visto che fra l'altro il Pdl ha perso 100 mila voti rispetto a quelli raccolti da Forza Italia e An nel 2006 e solo la Lega è cresciuta? Flash back a cinque mesi fa. Novembre scorso: il Cavaliere ha appena fallito l'ennesima 'spallata' a Prodi sulla finanziaria. Gli alleati lo scaricano e danno per scontato che il governo reggerà fino alle europee del 2009. Dini rinfodera i propositi di ribaltone. Mastella dice che Prodi durerà cinque anni. Il Cavaliere convoca vertici a Palazzo Grazioli a cui partecipa da solo. Fini, Casini e Bossi celebrano i funerali della Casa delle libertà. Bossi cerca il dialogo con Prodi sul federalismo. Casini parla addirittura di conflitto d'interessi. Fini di riforma della tv.
 
Isolato, disperato, politicamente morente, Silvio fonda il nuovo partito sul predellino della Mercedes. Casini se ne sta alla larga. Bossi si fa una risata. Il più duro è Fini: "Altro che teatrino della politica: siamo alle comiche finali. Nessuna possibilità che An si sciolga nel nuovo partito. Silvio con me ha chiuso. Se vuol fare il premier deve fare i conti con me, che ho pure 20 anni di meno: mica crederà di essere eterno! Lui a Palazzo Chigi non ci tornerà. Per farlo ha bisogno del mio voto, ma non lo avrà mai più. Si faccia appoggiare da Veltroni." (18 novembre). Giornali e tv berlusconiani lo attaccano alzo zero. "Berlusconi", sbotta Fini, "ha distrutto la Cdl. E noi dovremmo bussare alla sua porta col cappello in mano e la cenere sulla testa? Non siamo postulanti. Tornare all'ovile? Sono il presidente di An, non una pecora" (16 dicembre).


A quel punto solo la sinistra può salvare il Cavaliere. E infatti lo salva. È lì apposta. Replay della Bicamerale di D'Alema. Uòlter usa i 3 milioni di voti delle primarie non per rafforzare il governo Prodi e gli oppositori interni a Berlusconi, ma per aprire un 'tavolo delle riforme'. Con chi? Con Silvio. Che lo elogia estasiato: "È un vero riformista, spero non si faccia condizionare dai suoi".

E Walter: "L'intesa con Berlusconi è indispensabile". Mastella, minacciato dalla riforma elettorale e dal referendum che taglieranno i partitini, rovescia il governo con la scusa dell'arresto della moglie. Berlusconi s'infischia delle riforme e punta dritto al voto. La pecora Fini torna all'ovile, con Bossi e l'Mpa. Così il 13 aprile Lazzaro risorge per la seconda volta. E si riprende l'Italia, mentre la sinistra si suicida. Viene in mente Nanni Moretti: "Con questi dirigenti non vinceremo mai". O Corrado Guzzanti-Rutelli-Alberto Sordi: "A Berlusco', ricordate de l'amici, ricordate de chi t'ha voluto bbene!".

(24 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #33 inserito:: Maggio 07, 2008, 01:09:37 am »

Marco Travaglio


Non sparate sul Professore

Anziché seguitare a dar la colpa a Prodi, che s'è ritirato da tutto, qualcuno dovrebbe chieder conto a D'Alema, Fassino e Latorre delle conseguenze delle loro azioni, soprattutto telefoniche  In un paese normale, la batosta elettorale del fu centrosinistra innescherebbe un'analisi impietosa delle ragioni della sconfitta. Seguìta dall'uscita di scena dei principali responsabili.

Invece nel Pd, mentre rialzano la testa i dalemiani, si preferisce autoconsolarsi col brodino della 'quota 34 per cento': poco più della somma di Ds e Dl, con estinzione incorporata della sinistra.

Troppo comodo scaricare tutto sull''eredità di Prodi', che oltretutto con Padoa-Schioppa gode di ottima fama in Europa. Nessuno osa scandagliare le radici del crollo dell'ex Unione, che perlopiù prescinde dal governo Prodi e in parte lo precede. Nell'estate 2005 l'Unione godeva di un ampio vantaggio sulla Cdl, che dal 2001 aveva perso tutte le elezioni ed era avviata a una sonora disfatta. Poi esplose lo scandalo delle scalate, che immortalò una masnada di raiders - i furbetti del quartierino - all'assalto di banche e giornali sponsorizzata dalla banda Berlusconi e dal vertice Ds.

Lo choc per il popolo del centrosinistra fu enorme. Prodi non c'entrava: anzi, quando Stefano Ricucci tentò di agganciarlo al telefono, il Professore mise giù la cornetta. Lo stesso non può dirsi di D'Alema, Fassino e Latorre (tutti amorevolmente al fianco di Giovanni Consorte nella scalata Bnl, e Latorre anche di Ricucci alle prese con Rcs). Cominciò di lì la rimonta berlusconiana che portò al pareggio del 2006, complice la pubblicazione sul 'Giornale', in piena campagna elettorale, della sciagurata telefonata Fassino-Consorte ("Siamo padroni di una banca?").

Appena insediato, Prodi fu costretto dai partiti alleati a imbarcare 102 ministri e sottosegretari per sistemare il pletorico Politburo unionista. Subito dopo, un patto scellerato con Berlusconi portò alla nomina bipartisan di Mastella alla Giustizia e al più vasto e impopolare indulto della storia repubblicana (iniziativa del Parlamento, non del governo): 30 mila delinquenti scarcerati per nascondere i veri destinatari dell'indulgenza plenaria, e cioè Previti e i furbetti. I consensi per l'Unione crollarono all'istante, mentre Berlusconi nascondeva il suo zampino coi magheggi mediatici.

Nell'estate 2007 le sconcertanti telefonate di D'Alema, Fassino e Latorre con i furbetti contenute nell'ordinanza Forleo, e gli attacchi ai giudici che ne seguirono, fecero il resto, mettendo in fuga altre migliaia di elettori. Fiutata l'aria, i dalemiani s'inabissarono, consegnando il Pd all'odiato Veltroni.

Per carità di patria, in campagna elettorale nessuno ha posto il problema dei voti persi per strada a causa della scalata rossa e dell'indulto, due eventi strettamente connessi. Ora il successo di Bossi e Di Pietro, i nemici più riconoscibili del 'liberi tutti', una riflessione dovrebbe imporla. Anziché seguitare a dar la colpa a Prodi, che s'è ritirato da tutto, qualcuno dovrebbe chieder conto a D'Alema, Fassino e Latorre delle conseguenze delle loro azioni, soprattutto telefoniche. Se non ora, quando?

(05 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Maggio 07, 2008, 11:56:43 pm »

2 maggio 2008, di Marco Travaglio
Marco Travaglio


Ora d'aria

l'Unità, 1 maggio 2008

Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone ("fanno uso politico del loro cognome", sic) perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati "disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana": è proprio lui. Non è omonimo dell'autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l'impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui.

L'altroieri la sua elezione è stata salutata da un'ovazione bipartisan, da destra a sinistra. Molto apprezzati il suo elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne "I complici" (ed. Fazi) - trent'anni prima sul più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, una società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l'avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D'Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista. Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti d'onore al matrimonio del boss Mandalà. All'epoca, sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa "consulente urbanistico" del Comune perché - dirà La Loggia ai pm antimafia - aveva "perso molto tempo" col partito e aveva "avuto dei mancati guadagni".

Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all'epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: "Le 4 varianti al piano regolatore... furono tutte concordate con Schifani". Che "interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il piano regolatore generale... grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo: i due segnalavano il progettista del Prg, incassando anche una parcella di un certo rilievo. L'accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg, affinché tutte le sue istanze - variare i terreni dove c'erano gli affari in corso e penalizzare quelli della famiglia mafiosa avversaria - fossero prese in considerazione dal progettista e da Schifani... Il che avvenne: cominciò la stesura del Prg e io partecipai a tutte le riunioni con Schifani" e "a quelle della famiglia mafiosa, in cui Schifani non c'era".

Domanda del pm: "Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell'urbanistica di Villabate?". Campanella: "Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani". Il tutto avveniva "dopo l'arresto di Mandalà Nicola", cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da FI per un po', poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo. Nel '98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per intestazione fittizia di beni. E nel '99 il Prg salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani. Miccichè insorge: "E' una vergognosa pulizia etnica". Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva l'antimafia.am
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« Risposta #35 inserito:: Maggio 13, 2008, 04:19:08 pm »

POLITICA

Dopo le polemiche, il garante si occupa mercoledì delle frasi del giornalista su Schifani

Coro di accuse da Pdl e opposizione. Nel mirino il direttore di viale Mazzini, Cappon

Travaglio, interviene l'Authority "La Rai vuole allontanarmi"

Il presidente del Senato annuncia di aver dato mandato ai suoi avvocati per agire giudizialmente nei confronti "delle affermazioni calunniose"

 
Marco Travaglio
ROMA - L'Autorità garante nelle comunicazioni si occuperà mercoledì della puntata di sabato scorso di Che tempo che fa in onda su Raitre e delle dichiarazion di Marco Travaglio relativamente al presidente del Senato, Renato Schifani. L'argomento è stato infatti subito inserito nell'ordine del giorno dei lavori dell'Authority presieduta da Corrado Calabrò. Prevedibile come primo atto la richiesta alla Rai di documentazione sulla vicenda, così come era avvenuto una settimana fa in relazione alla puntata del primo maggio di 'Annozero' imperniata sul V-Day di Beppe Grillo.

E intanto Schifani ha dato mandato ai suoi avvocati per agire giudizialmente nei confronti "delle affermazioni calunniose rese nei giorni scorsi nei riguardi della sua persona": lo comunica una nota dell'ufficio stampa del Senato. "Sarà quella la sede in cui, da una puntuale ricostruzione dei fatti, la magistratura potrà stabilire le responsabilità di coloro che hanno dato luogo ad un'azione altamente diffamatoria - conclude la nota - nei riguardi del Presidente del Senato".

Resta calda dunque la polemica aperta due giorni fa dal giornalista con le dichiarazioni sulle presunte ex frequentazioni mafiose del presidente del Senato. Parole che hanno innescato critiche durissime sia da parte della maggioranza che dell'opposizione, fatta eccezione per l'Idv. Davanti al coro d'indignazione, Travaglio ha scelto comunque di tenere il punto. "Pentito? Ma per piacere, non scherziamo. Figuriamoci se sono pentito per quello che ho detto. Anzi, sono stato anche troppo buono". E aggiunge: "Nessuno dice che quanto ho affermato sia falso". Quanto alla decisione del Garante, prevede: "L'Authority sanzionerà 'Che tempo che fa' di Fazio con un provvedimento diretto alla Rai che mi ha consentito di dire cose vere. Poi la Rai mi denuncerà e così io non potrò più partecipare a 'Anno Zero'. E così si saranno tolti il problema".

Tra i più duri nei confronti del giornalista, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli: "Per quanto mi riguarda ascoltare Travaglio o guardare la Famiglia Addams è la stessa cosa, almeno finché non sono costretto a pagare io con il canone. Se uno l'assume, però, sa a cosa va incontro e deve farsi carico dei debiti e dei crediti. Bisogna prendersela con chi l'ha assunto".

Nel mirino c'è insomma il direttore generale Claudio Cappon, ma l'opposizione, pur condividendo le critiche a Travaglio, cerca di frenare le mire della maggioranza. "Il servizio pubblico - dice Marina Sereni del Pd - è pagato dai cittadini ed è bene che sia un luogo di rispetto per tutti, ma non vorrei che si approfittasse di questo episodio, soprattutto dopo le scuse del conduttore, per fare un repulisti o per cercare una resa dei conti nel servizio pubblico".

Antonio Di Pietro resta l'unico a difendere Travaglio: "Gli attacchi che sta subendo solo per aver raccontato la cronaca di fatti veri ed accaduti e che riguardano nientemeno la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Schifani, dimostrano che, come al solito, quando si tratta di difendere la Casta, i vari esponenti di partito di destra e di sinistra fanno quadrato e diventano un tutt'uno".

(12 maggio 2008)



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POLITICA

INTERVISTA. Marco Travaglio al Salone di Torino. Per lui qualche fischio

"Il cronista dell'Ansa lodato da Napolitano ha detto le stesse cose"

"Attacchi, ma non dicono se mento E questo Pd non fa opposizione"

di MASSIMO NOVELLI

 
TORINO - Quando esce dalla sala dei 500 del Lingotto, alla Fiera del Libro, dove ha ripetuto le sue affermazioni su Renato Schifani, parte qualche fischio dalla folla che aspetta di partecipare a un incontro con Magdi Cristiano Allam. Protesta perché Marco Travaglio non ha rispettato i tempi fissati per il suo dibattito. È vero, Travaglio?
"Non me ne sono nemmeno accorto. D'altra parte il nostro incontro è cominciato con un po' di ritardo, così abbiamo recuperato qualche minuto. Tutto qui".

Si aspettava le dure reazioni del mondo politico contro il suo intervento sul presidente del Senato, durante il programma televisivo "Che tempo che fa"?
"Mi limito a notare una cosa: nessuno dice che quanto ho affermato sia falso. Non soltanto è vero, ma è notorio che il presidente Schifani abbia intrattenuto fino agli anni Novanta dei rapporti con Nino Mandalà, il futuro boss di Villabate - comune sciolto due volte per collusioni mafiose - poi condannato in primo grado a otto anni per mafia. Negli Anni Ottanta Schifani, insieme a Enrico La Loggia, altro esponente forzista, era socio di Mandalà nella società di brokeraggio assicurativo Siculabrokers. Sono vicende che molti politici siciliani conoscono bene".

Si sostiene che lei abbia lanciato le sue accuse senza che Schifani fosse presente per replicare. Mancava il contraddittorio, insomma. Che cosa risponde?
"Ho risposto a una domanda di Fabio Fazio su chi stabilisce la gerarchia delle notizie nei giornali. Ho risposto: i politici. In ogni caso ciò che ho detto su Schifani è stato scritto sia da me sia da Peter Gomez nel libro Se li conosci li eviti e, soprattutto, circa un anno fa, in maniera più particolareggiata, lo ha scritto Lirio Abbate, il cronista dell'Ansa celebrato per il suo coraggio e per il suo impegno antimafia dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, e che ora vive sotto scorta. Non risulta, però, che qualcuno lo abbia querelato. Quindi delle due l'una: o Abbate è un bugiardo, e perciò si abbia il coraggio di dirlo, oppure ha ragione. Insomma, ci sono dei fatti che si possono citare nei libri ma non in televisione. Allora dico che in tv non si può dire la verità. La televisione è in mano ai politici, alla casta".

Salvo poche eccezioni, a cominciare da Antonio Di Pietro, dall'opposizione di centrosinistra non sono arrivati attestati di solidarietà nei suoi confronti? Come lo spiega?
"Non mi meraviglia. Mi sarei preoccupato del contrario, dato che oggi l'opposizione in Italia non si oppone. Se esistesse l'opposizione, mi avrebbe dato solidarietà".

(12 maggio 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #36 inserito:: Maggio 14, 2008, 06:45:38 pm »

POLITICA LA LETTERA

Su Schifani ho raccontato solo fatti

di MARCO TRAVAGLIO


Caro direttore, ringrazio D'Avanzo per la lezione di giornalismo che mi ha impartito su Repubblica di ieri. Si impara sempre qualcosa, nella vita.

Ma, per quanto mi riguarda, temo di essere ormai irrecuperabile, avendo lavorato per cattivi maestri come Montanelli, Biagi, Rinaldi, Furio Colombo e altri. I quali, evidentemente, non mi ritenevano un pubblico mentitore, un truccatore di carte che "bluffa", "avvelena il metabolismo sociale" e "indebolisce le istituzioni", un manipolatore di lettori "inconsapevoli", quale invece mi ritiene D'Avanzo. Sabato sera sono stato invitato a "Che tempo che fa" per presentare il mio ultimo libro, "Se li conosci li eviti", scritto con Peter Gomez, che in 45 giorni non ha avuto alcun preannuncio di querela.

E mi sono limitato a rammentare un fatto vero a proposito di uno dei tanti politici citati nel libro: e cioè che, raccontando vita e opere di Renato Schifani al momento della sua elezione a presidente del Senato, nessun quotidiano (tranne l'Unità e, paradossalmente, Il Giornale di Berlusconi) ha ricordato i suoi rapporti con persone poi condannate per mafia, come Nino Mandalà e Benny D'Agostino (ho detto testualmente: "Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi. rapporti con signori che sono poi stati condannati per mafia"; la frase "anche la seconda carica dello Stato è oggi un mafioso", falsamente attribuitami da D'Avanzo, non l'ho mai detta né pensata).

Quei rapporti, contrariamente a quanto scrive D'Avanzo, sono tutt'altro che "lontani nel tempo", visto che ancora a metà degli anni 90 Schifani fu ingaggiato, come consulente per l'urbanistica e il piano regolatore, dal Comune di Villabate retto da uomini legati al boss Mandalà e di lì a poco sciolto due volte per mafia. Rapporti di nessuna rilevanza penale, ma di grande rilievo politico-morale, visto che la mafia non dimentica, ha la memoria lunghissima e spesso usa le sue amicizie, anche risalenti nel tempo, per ricattare chi tenta di scrollarsele frettolosamente di dosso. In qualunque altro paese, casomai capitasse che il titolare di certi rapporti ascenda alla seconda carica dello Stato, tutti i giornali e le tv gli rammenterebbero quei rapporti: per questo, negli altri paesi, il titolare di certi rapporti difficilmente ascende ai vertici dello Stato.

Che cosa c'entri tutto questo con le "agenzie del risentimento" e il "qualunquismo antipolitico" di cui parla D'Avanzo, mi sfugge.

Secondo lui i giornali, all'elezione di Schifani a presidente del Senato, non hanno più parlato di quei rapporti perché nel frattempo non s'era scoperto nulla di nuovo. Strano: non c'era nulla di nuovo neppure sul riporto di Schifani, eppure tutti i giornali l'hanno doviziosamente rammentato. I lettori giudicheranno se sia più importante ricordare il riporto, oppure il rapporto con D'Agostino e Mandalà (che poi, un po' contraddittoriamente, lo stesso D'Avanzo definisce "sconsiderato"). Ora che - pare - Schifani ha deciso di querelarmi, un giudice deciderà se quel che ho detto è vero o non è vero.

Almeno in tribunale, si bada ai fatti e le chiacchiere stanno a zero: o hai detto il vero o hai detto il falso. Io sono certo di avere detto il vero, e tra l'altro solo una minima parte. Oltretutto c'è già un precedente specifico: quando, per primo, Marco Lillo rivelò queste cose sull'Espresso nel 2002, Schifani lo denunciò. Ma la denuncia venne archiviata nel 2007 perché - scrive il giudice - "l'articolo si presenta sostanzialmente veritiero".

Approfitto di questo spazio per ringraziare i tanti colleghi e lettori (anche di Repubblica) che in questi giorni difficili mi hanno testimoniato solidarietà. Tenterò, pur con tutti i miei limiti, di continuare a non deluderli.

(14 maggio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #37 inserito:: Maggio 15, 2008, 12:55:41 pm »

INTERVISTA.

Marco Travaglio al Salone di Torino.

Per lui qualche fischio "Il cronista dell'Ansa lodato da Napolitano ha detto le stesse cose"

di MASSIMO NOVELLI

TORINO - Quando esce dalla sala dei 500 del Lingotto, alla Fiera del
Libro, dove ha ripetuto le sue affermazioni su Renato Schifani, parte
qualche fischio dalla folla che aspetta di partecipare a un incontro
con Magdi Cristiano Allam. Protesta perché Marco Travaglio non ha
rispettato i tempi fissati per il suo dibattito. È vero, Travaglio?
"Non me ne sono nemmeno accorto. D'altra parte il nostro incontro è
cominciato con un po' di ritardo, così abbiamo recuperato qualche
minuto. Tutto qui".
Si aspettava le dure reazioni del mondo politico contro il suo
intervento sul presidente del Senato, durante il programma televisivo
"Che tempo che fa"?
"Mi limito a notare una cosa: nessuno dice che quanto ho affermato sia
falso. Non soltanto è vero, ma è notorio che il presidente Schifani
abbia intrattenuto fino agli anni Novanta dei rapporti con Nino
Mandalà, il futuro boss di Villabate - comune sciolto due volte per
collusioni mafiose - poi condannato in primo grado a otto anni per
mafia. Negli Anni Ottanta Schifani, insieme a Enrico La Loggia, altro
esponente forzista, era socio di Mandalà nella società di brokeraggio
assicurativo Siculabrokers. Sono vicende che molti politici siciliani
conoscono bene".
Si sostiene che lei abbia lanciato le sue accuse senza che Schifani
fosse presente per replicare. Mancava il contraddittorio, insomma. Che
cosa risponde?
"Ho risposto a una domanda di Fabio Fazio su chi stabilisce la
gerarchia delle notizie nei giornali. Ho risposto: i politici. In ogni
caso ciò che ho detto su Schifani è stato scritto sia da me sia da
Peter Gomez nel libro Se li conosci li eviti e, soprattutto, circa un
anno fa, in maniera più particolareggiata, lo ha scritto Lirio Abbate,
il cronista dell'Ansa celebrato per il suo coraggio e per il suo
impegno antimafia dal capo dello Stato Giorgio Napolitano, e che ora
vive sotto scorta. Non risulta, però, che qualcuno lo abbia querelato.
Quindi delle due l'una: o Abbate è un bugiardo, e perciò si abbia il
coraggio di dirlo, oppure ha ragione. Insomma, ci sono dei fatti che
si possono citare nei libri ma non in televisione. Allora dico che in
tv non si può dire la verità. La televisione è in mano ai politici,
alla casta".
Salvo poche eccezioni, a cominciare da Antonio Di Pietro,
dall'opposizione di centrosinistra non sono arrivati attestati di
solidarietà nei suoi confronti? Come lo spiega?
"Non mi meraviglia. Mi sarei preoccupato del contrario, dato che oggi
l'opposizione in Italia non si oppone. Se esistesse l'opposizione, mi
avrebbe dato solidarietà".

da la Stampa (12 maggio 2008)
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« Risposta #38 inserito:: Maggio 25, 2008, 04:38:14 pm »

Magistrati in balia delle correnti

Marco Travaglio


Il Tar annulla un atto del Csm che il Consiglio aveva approvato quasi all'unanimità: "La decisione obbediva a criteri lottizzatori"  "Nel paese della bugia, la verità è una malattia", scriveva Gianni Rodari. Eppure, mentre il grosso della politica e della stampa pare ormai impermeabile ai fatti, c'è almeno una categoria che sembra ancora affezionata alla verità: la magistratura. L'Anm ha mandato a casa il presidente Simone Luerti, dopo che 'L'espresso' aveva smontato una sua bugia: che, cioè, i suoi rapporti con il capetto calabrese della Compagnia delle Opere, l'indagato Antonio Saladino, fossero roba "di dieci anni fa". Non era vero: i due si erano rivisti nel 2006, per giunta con l'allora ministro Mastella.

Al posto di Luerti è andato Luca Palamara, il pm romano che ha smascherato le bugie di Fabio Capello e Antonio Giraudo sul conto di Luciano Moggi. In tribunale dire la verità è (ancora) un obbligo e ben si comprende l'imbarazzo dei magistrati quando a dire le bugie è il loro presidente. Si spera che analogo imbarazzo susciti l'ennesima iniziativa disciplinare del Pg della Cassazione Mario Delli Priscoli contro Clementina Forleo, trascinata un'altra volta al Csm per una querelle con la Procura di Milano già archiviata dalla Corte d'appello perché "priva di elementi suscettibili di valutazione disciplinare".

I primi a dover dire la verità e rispettare la legge dovrebbero essere proprio i magistrati. Ora però si apprende, da una sentenza della sezione II del Tar Lazio (n. 12953/2007), che il Csm ha compiuto un atto illegittimo nominando 23 magistrati al Massimario della Cassazione. L'apposita delibera, votata pressoché all'unanimità visto che soddisfaceva gli appetiti di tutt'e quattro le correnti (i moderati di MI e Unicost, i progressisti dei Movimenti e di Md), è stata annullata dal tribunale amministrativo. Motivo: obbediva a criteri lottizzatorii e correntizi, per il "raggiungimento di finalità estranee" a quelle volute dalla legge, che imporrebbe "la scelta dei soggetti più idonei alle funzioni da conferire".


In pratica, gli amici di corrente sarebbero stati preferiti a colleghi molto più titolati, ma meno sponsorizzati e dunque frettolosamente scartati. Infatti - scrive il Tar - "nella delibera impugnata non vi è traccia alcuna delle valutazioni di natura comparativa che l'Organo di autogoverno afferma di avere operato. Un rilevante sintomo dei vizi dai quali è affetta la procedura in esame, avendo il Csm enunciato un criterio di selezione al quale non si è poi effettivamente attenuto". Con quale credibilità il Csm punisce magistrati per quisquilie e pinzellacchere, come nei casi De Magistris e Forleo, se poi si macchia esso stesso di atti illegittimi? Sulla proposta di cacciare la Forleo da Milano, i consiglieri di Md e dei Movimenti si sono astenuti, mentre han votato la lottizzazione al Massimario. Non era meglio votare a favore della Forleo e astenersi sulla lottizzazione?

(23 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #39 inserito:: Maggio 25, 2008, 04:40:05 pm »

I peggiori sono i primi

Marco Travaglio


Altro che meritocrazia. Nelle scelte del Pd vige la perditocrazia, perché nei posti che contano ci vanno i più leggendari perditori mai visti  "Vanno premiati il merito e la capacità delle persone". Così parlò Walter Veltroni l'11 aprile, a fine campagna elettorale, tentando di scrostare dal centrosinistra la vecchia muffa assistenziale e parastatale. C'era dunque da attendersi una ferrea coerenza meritocratica nelle scelte del Pd. Sia nei confronti del nuovo governo, il meno meritocratico mai visto nella storia repubblicana. Sia nella selezione interna delle classi dirigenti. Come ha scritto Giovanni Sartori sul 'Corriere', il Berlusconi IV brilla per l'incompetenza di gran parte dei suoi ministri.

Che c'entra la pur avvenente Prestigiacomo con l'Ambiente? E il ragionier condonista Matteoli con le Infrastrutture? E l'avvocata Gelmini con l'Istruzione? E l'autore della peggior legge elettorale del mondo, Calderoli, con la Semplificazione? E la valletta Carfagna, di cui si ignorano le opere ma non le foto, con un ministero purchessia? Con una simile compagnia è difficile dare torto alla Brambilla quando domanda perché gli altri possono andare dappertutto e lei alla Salute no: l'enciclopedica insipienza di molti ministri (per non parlare dei sottosegretari) non ha nulla da invidiare alla sua.

Ma il Pd ha perso l'occasione di affondare il colpo, limitandosi a vacui pigolii sul 'governo deludente' (quando mai un governo soddisfa l'opposizione?). E lasciando al solo Di Pietro il compito di dire la verità: e cioè che trattasi di un governo 'ad personam' in cui Berlusconi farà il bello e il cattivo tempo agli Esteri come alla Giustizia come alle Comunicazioni, dove ha sistemato tre uomini senza qualità: Frattini, Alfano e Romani. Nemmeno l'ombra di meritocrazia pure nella selezione delle classi dirigenti del Pd.

Lì, anzi, vige la perditocrazia. Nei posti che contano vanno i più leggendari perditori mai visti. Al Copaco è candidato
Rutelli, reduce dai trionfi romani. Alla Vigilanza è candidato Gentiloni, che non ha combinato nulla sulle tv. E la capogruppo al Senato è Anna Finocchiaro, che vanta una collezione di fiaschi degna di una cantina sociale. Nel suo collegio uninominale non è mai riuscita a farsi eleggere, salvandosi regolarmente grazie al paracadute proporzionale. Nel 2006, capolista alle regionali siciliane, trascina i Ds al minimo storico: 5,5 per cento. Dunque nel 2008 scalza Rita Borsellino alle regionali anticipate per la condanna di Cuffaro. Un'apoteosi: 30,4 per cento, ben 11 punti sotto la Borsellino (che aveva sfondato fino al 41,6). 'Annuzza' che fa? Molla la Sicilia, dove dovrebbe guidare l'opposizione, e fugge a Roma, dove il solito paracadute le garantisce un seggio sicuro. Giusto in tempo per raccogliere il meritato premio: la rielezione a capogruppo. Prima mossa, geniale: gli applausi con bacio al neopresidente Schifani, noto statista. Il merito va premiato, sempre.

(16 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #40 inserito:: Maggio 30, 2008, 11:25:11 am »

l' Unità



Si prega di non disturbare



Marco Travaglio





L'altra sera il Tg1 aveva l'imbarazzo della scelta, per la notizia di
apertura: il governo Berlusconi battuto alla Camera sul decreto che contiene
pure la porcata salva-Rete4; il pestaggio di alcuni studenti di sinistra
alla Sapienza da parte di una squadraccia fascista; i 25 arresti a Napoli
per la monnezza. Non sapendo quale scegliere, l'anglosassone Johnny Raiotta
ha optato per la vera notizia del giorno, forse dell'anno: i pirati nel Mar
Rosso. Servizio di apertura e intervista a un esperto di alta strategia, per
spiegare al cittadino come evitare l'assalto dei corsari, che può capitare a
chiunque. Poi, con comodo, le notizie. Peccato avere sprecato un servizio
sui 50 anni dell'orso Yoghi la sera prima, altrimenti per nascondere i primi
disastri del Cainano III andava bene anche quello. È il «ritorno alla
realtà» annunciato qualche giorno fa da Alberoni.

Qualche ora più tardi, Vespa tornava per la centoventesima volta sul luogo
del delitto, cioè a Cogne, con un appassionante dibattito sulla grazia alla
Franzoni. Che è in galera da ben cinque giorni per aver assassinato il
figlio di tre anni, dunque va prontamente scarcerata (tesi sostenuta dalla
vicepalombelli Ritanna Armeni).

Intanto, a Matrix, Mentana occultava i primi guai del governo con un
puntatone sull'Inter: ospite il terzino Materazzi. Roba forte, questa sì è
informazione. Tant'è che i vertici Rai non si sono scusati, i direttori di
rete non han preso le distanze, l'Authority non ha minacciato multe. Va
tutto bene.

Poi per completare l'opera sono usciti i giornali. Che, sia detto a loro
onore, non hanno apprezzato lo scoop del Tg1 sui pirati del Mar Rosso. Ma
hanno comunque trovato il modo di coprirsi di vergogna. Il primo premio
spetta al fu Giornale. Prima pagina: «Proibito parlare alla Sapienza».
Sommario: «Dopo la gazzarra che impedì l'intervento del Papa, salta anche il
dibattito sulle foibe. Scontri tra studenti di sinistra e militanti di Forza
Nuova: quattro feriti, sei arrestati». Il fatto che quelli di sinistra
stessero incollando manifesti armati di pennello e quelli di destra siano
scesi da un'auto armati di spranghe e manganelli è del tutto secondario.
Come il fatto che, a suo tempo, nessuno abbia mai impedito al Papa di
parlare (fu il Vaticano a rinunciare all'invito per evitare contestazioni).
Ma che cosa contano i fatti? Nulla. Si scrive «scontri», «gazzarra», e così
quel poveretto ricoverato con una svastica stampata nella carne è servito.

Anche il Corriere fa pari e patta: «rissa», «opposti estremismi». Ma il
meglio lo dà Pierluigi Battista sugli arresti di Napoli nell'entourage di
Bertolaso e nelle solite Fibe e Fisia del gruppo Impregilo che, quando
vinsero l'appalto per non smaltire la monnezza, era della famiglia Romiti
(presidente e poi presidente onorario del Corriere). Ora dalle
intercettazioni si scopre che questa bella gente trafficava illegalmente in
pattume, nascondeva monnezza non trattata («mucchi di merdaccia») nelle
discariche e nei vagoni per la Germania, tentava di mascherarla sotto rari
strati di roba bonificata o di profumarla con «polverine magiche», mentre la
vice-Bertolaso chiedeva aiuto per «truccare la discarica» e Bertolaso si
dedicava a «sputtanare i tecnici del ministero dell' Ambiente» che
pretendevano il rispetto delle leggi. Ora Bertolaso, l'ex-commissario che
non risolse nulla, torna come sottosegretario-commissario-salvatore della
Patria. Come chiamare Calisto Tanzi a risanare la Parmalat.

Di fronte a questo quadro devastante, anziché complimentarsi con gli autori
delle indagini, Battista che fa? Se la prende con i magistrati. Non una
parola su Impregilo. Non una sillaba su Bertolaso & his friends. E giù botte
ai giudici che han dato «una frustata dall'impatto micidiale» (e allora? Non
era proprio il Corriere ad accusare la Procura di Napoli di occuparsi troppo
di Berlusconi e Saccà e poco della monnezza, tra l'altro dimenticando il
processo a Bassolino+30, compresi i soliti vertici Impregilo?). Giudici che
immaginano financo «una consorteria delittuosa ramificata e pervasiva nei
gangli vitali degli apparati che hanno gestito l'intera vicenda dell'immondizia
napoletana» (ma va? chi l'avrebbe mai detto). Giudici che hanno organizzato
«addirittura una retata con la coreografia degli arresti di massa» (e che
dovevano fare per arrestare 25 persone: andarle a prendere una alla
settimana per non dar troppo nell'occhio?). Arresti per giunta «eseguiti con
grande clamore» (forse che i poliziotti urlavano? le manette non eran bene
oliate?). E «proprio adesso vengono eseguiti arresti chiesti dai pm a fine
gennaio» (ma lo sa Battista quanto tempo occorre a un gip per leggere
migliaia di pagine, più le perizie allegate? non ricorda le polemiche sul
gip di S. Maria Capua Vetere per aver disposto «troppo presto» gli arresti
in casa Mastella?).

In realtà il «proprio adesso» ha un senso ben preciso: non disturbare il
Nuovo Manovratore. Finchè c'era Prodi, manette a manetta. Ma ora che c'è
Lui, caro lei. Il vicedirettore del Corriere denuncia (senza prove e senza
contraddittorio) «una tempistica perfetta. per delegittimare chi sta
conducendo una battaglia decisiva sui rifiuti di Napoli». Le toghe rosse han
pianificato «l'azzoppamento preventivo delle istituzioni a cui gli italiani
(ma quali? ma quando mai? ndr) stanno affidando il compito di risolvere la
situazione», e financo la «demolizione delle strutture chiamate a eliminare
le montagne di immondizia».

In realtà, secondo le indagini, quelle istituzioni e strutture le montagne
di immondizia le hanno create. Ma Battista, che non ha mai messo piede a
Napoli, ne sa più degl'inquirenti: ora che c'è il Cainano, «lo Stato sembra
aver imboccato la strada per la soluzione dell' emergenza». Ecco perché si
muove la magistratura: per sabotare il governo. Ed ecco di chi sarà la colpa
se il governo non risolverà l'emergenza: della magistratura.

La logica non fa una grinza. Non arresti i colpevoli della monnezza? Il
colpevole sei tu. Arresti i colpevoli della monnezza? Il colpevole sei tu.
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« Risposta #41 inserito:: Giugno 06, 2008, 04:54:04 pm »

Marco Travaglio

Ipnotizzati da Rete 4


La legge salva-Rete 4 è un banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi. Basta poco per capire che tutto è come prima  Emilio Fede, direttore del Tg4L'ennesima legge salva-Rete 4 è un duplice  banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi, secondo alcuni unto dal Signore nella nuova missione di statista chino sul bene comune; e dell'opposizione dialogante e costruttiva inaugurata dal Pd (Anna Finocchiaro la definisce "sobria e asciutta", per distinguerla da quella ubriaca e bagnata, o perlomeno umida).

Quanto alla trasfigurazione del Cavaliere, è fin troppo ovvio che trattasi di penoso travestimento: nella prima settimana di governo, il suo onorevole avvocato Niccolò Ghedini ha tentato di infilare nel pacchetto sicurezza un codicillo che, con la scusa del patteggiamento, rinvia a dopo l'estate l'imminente sentenza del processo per la corruzione di David Mills; e, nella seconda settimana, è spuntato l'emendamento che blinda lo status quo televisivo più volte condannato dalle istituzioni comunitarie. La norma proroga sine die la fase transitoria che dal 1999, in attesa della sempre rinviata Era Digitale (se ne parlerà forse nel 2012-2015), consente a Rete 4 di trasmettere in chiaro, senza concessione, su frequenze che spetterebbero a Europa 7 (in barba alla normativa europea, come ha stabilito il 31 gennaio la Corte di giustizia); e limita l'accesso al digitale terrestre ai soggetti già presenti sull'analogico, cioè al duopolio Rai-Mediaset (di qui la procedura d'infrazione Ue contro l'Italia, che tra un anno rischia una multa di 300 mila euro al giorno a partire dal giugno 2006).

Tre commenti targati Pd svelano le tre follie che hanno finora impedito al centrosinistra di opporsi al governo. Il primo è di Veltroni: "Non capisco questa fretta su Rete 4". Ma Uòlter ci è o ci fa? La fretta berlusconiana, diversamente dalle meline del Pd, è comprensibilissima. L'Europa intima da due anni al governo italiano di smantellare la Gasparri.

L'ennesima legge salva-Rete 4 è un duplice  banco di prova: del presunto 'cambiamento' di Berlusconi, secondo alcuni unto dal Signore nella nuova missione di statista chino sul bene comune; e dell'opposizione dialogante e costruttiva inaugurata dal Pd (Anna Finocchiaro la definisce "sobria e asciutta", per distinguerla da quella ubriaca e bagnata, o perlomeno umida).

Quanto alla trasfigurazione del Cavaliere, è fin troppo ovvio che trattasi di penoso travestimento: nella prima settimana di governo, il suo onorevole avvocato Niccolò Ghedini ha tentato di infilare nel pacchetto sicurezza un codicillo che, con la scusa del patteggiamento, rinvia a dopo l'estate l'imminente sentenza del processo per la corruzione di David Mills; e, nella seconda settimana, è spuntato l'emendamento che blinda lo status quo televisivo più volte condannato dalle istituzioni comunitarie. La norma proroga sine die la fase transitoria che dal 1999, in attesa della sempre rinviata Era Digitale (se ne parlerà forse nel 2012-2015), consente a Rete 4 di trasmettere in chiaro, senza concessione, su frequenze che spetterebbero a Europa 7 (in barba alla normativa europea, come ha stabilito il 31 gennaio la Corte di giustizia); e limita l'accesso al digitale terrestre ai soggetti già presenti sull'analogico, cioè al duopolio Rai-Mediaset (di qui la procedura d'infrazione Ue contro l'Italia, che tra un anno rischia una multa di 300 mila euro al giorno a partire dal giugno 2006).

Tre commenti targati Pd svelano le tre follie che hanno finora impedito al centrosinistra di opporsi al governo. Il primo è di Veltroni: "Non capisco questa fretta su Rete 4". Ma Uòlter ci è o ci fa? La fretta berlusconiana, diversamente dalle meline del Pd, è comprensibilissima. L'Europa intima da due anni al governo italiano di smantellare la Gasparri.
Il governo Prodi, con la sua maggioranza Brancaleone, finge di non sentire. Il governo Berlusconi risponde: ovviamente picche, presidiando la bottega del padrone. Come sempre da 15 anni. Il lupo perde il pelo (trapianti a parte), ma non il vizio. Che aspetta il Pd a ritrovare la memoria? Secondo commento, Enzo Carra: "Tutti hanno una parte di ragione, perché fu il centrosinistra nel 1998 ad autorizzare la trasmissione di Rete 4 senza concessione". Ecco: siccome abbiamo sbagliato finora, seguitiamo a sbagliare in futuro. Terzo commento, Giovanna Melandri: "La salva-Rete 4 è grave perché impedisce il dialogo". Traduzione: il dialogo col governo non è un mezzo (per varare eventualmente riforme utili al paese), ma è un fine, un valore in sé. Anziché spiegare agli italiani che presto dovranno metter mano al portafogli per pagare una 'tassa Berlusconi' di 300 milioni (la multa triennale europea contro la Gasparri), si comunica che è a rischio 'il dialogo', un'astruseria che non interessa a nessun cittadino sano di mente. Geniale. Poi dice che uno perde le elezioni.

(30 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #42 inserito:: Giugno 07, 2008, 11:03:16 am »

Marco Travaglio


Il Coniglio Superiore

"Innocente. Capito? Innocente. Secondo la Procura di Salerno, che ha ricevuto per tre anni una raffica di denunce da parte dei suoi superiori e di suoi indagati, Luigi de Magistris non ha fatto nulla di illecito. Va archiviato perché s’è comportato sempre correttamente.
Mai fughe di notizie, mai passato carte segrete a giornalisti, mai perseguitato né calunniato nessuno, mai abusato del suo ufficio. Semmai erano i suoi superiori a commettere contro di lui i reati che addossavano a lui. «A causa delle sue inchieste - scrivono al gip i pm salernitani Nuzzi e Verasani - il dott. De Magistris ha subito costantemente pressioni, interferenze e iniziative volte a determinarne il definitivo allontanamento dalla sede di Catanzaro e l’esautorazione dei poteri inquirenti». Un complotto che coinvolge magistrati, politici, forze dell’ordine, ispettori ministeriali e forse membri del Csm, tutti allarmati dalla «intensità e incisività delle sue indagini». Complotto andato a segno, se si pensa che i magistrati e i politici indagati da De Magistris, compresi quelli che hanno intercettato cronisti e agenti di polizia giudiziaria per indagare indirettamente sul pm, son rimasti al loro posto o han fatto carriera, mentre De Magistris è stato scippato delle inchieste più scottanti (Poseidone e Why Not),poi trasferito dal Csm con espresso divieto di fare mai più il pm. Uno dei suoi indagati, l’ex magistrato ed ex governatore Fi Chiaravalloti, l’aveva previsto in una telefonata in cui proponeva di affidare lo scomodo pm alle cure della camorra: «De Magistris passerà gli anni suoi a difendersi». Ovviamente Chiaravalloti è rimasto al suo posto di numero due dell’Authority della Privacy. De Magistris invece, se la Cassazione non annullerà la condanna del Csm, dovrà sloggiare da Catanzaro e smettere di fare l’inquirente. In un paese normale, ammesso e non concesso che queste vergogne possano accadere, ci sarebbe la fila sotto casa del magistrato per chiedergli scusa. Ma, nel paese della vergogna, non si scusa nessuno. Resta da vedere se finalmente, ora che le 900 pagine della Procura di Salerno sono depositate, il Consiglio superiore della magistratura si deciderà a fare qualcosa. Non contro De Magistris (ha già fatto abbastanza), ma contro chi «concertò una serie di interventi a suo danno», per infangare «la correttezza formale e sostanziale della sua azione inquirente»; contro quel «contesto giudiziario connotato da un’allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato da interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura»; contro chi l’ha bersagliato con «denunce infondate, strumentali e gravi; contro quegli alti magistrati, di Catanzaro e di Potenza,che spifferavano notizie segrete delle indagini di De Magistris per far ricadere su di lui la colpa delle indiscrezioni. Si dirà: queste cose si scoprono soltanto ora. Eh no: il Csm le sapeva dallo scorso ottobre, quando i pm Nuzzi e Verasani furono ascoltati a Palazzo dei Marescialli e anticiparono le prime conclusioni delle loro inchieste. Anticiparono che le accuse a De Magistris erano frutto di un’abile orchestrazione (mentre le sue indagini erano «corrette e buone, senz’alcuna fuga di notizie»), e che gli unici illeciti, gravissimi, emersi riguardavano proprio i superiori e gli indagati di De Magistris. Fecero pure i nomi dei magistrati di Catanzaro, Matera e Potenza, degli ispettori ministeriali, dei giornalisti, dai politici e dei faccendieri indagati anche a Salerno per corruzione giudiziaria, minacce, calunnie, rivelazioni di segreti ai danni di De Magistris. Denunciarono le interferenze dei suoi capi, Lombardi e Murone, nelle indagini. Rivelazioni agghiaccianti che avrebbero dovuto suggerire l’immediata sospensione dei magistrati coinvolti e l’immediato stop a ogni procedimento disciplinare a carico del pm. La difesa di De Magistris questo chiese: che si attendesse l’esito delle indagini di Salerno. Il Csm non volle sentire ragioni e procedette con la foga di un plotone di esecuzione. Quasi che la sentenza di condanna fosse già scritta. Per fortuna, contrariamente alla macabra profezia di Chiaravalloti, De Magistris ha finito di difendersi, e ora si spera che qualcun altro prenda il suo posto. C’è un giudice a Berlino. Anzi, a Salerno."

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« Risposta #43 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:36:18 pm »

L'onorevole Angelino



Marco Travaglio



Un uomo dotato di un minimo di dignità, al posto di Angelino Alfano, dopo
che tutti i suoi dati sulle intercettazioni sono stati sbugiardati da Luigi
Ferrarella e Carlo Bonini sulle prime pagine del Corriere e di Repubblica
(oltreché su l'Unità), avrebbe già scavato un buco in terra e vi sarebbe
sprofondato, rosso di vergogna. E in un altro paese un ministro come Alfano
sarebbe già stato dimissionato dal suo governo. Perché delle due l'una: o
Alfano è un incompetente, e allora se ne deve andare; o mente, e allora se
ne deve andare a maggior ragione.



Invece Angelino è Angelino, il Cainano è il Cainano e l'Italia è l'Italia.
Dunque il Guardasigilli ad personam resterà al suo posto e verrà premiato:
le sue bugie sono servite a mettere in circolo una carrettata di balle e a
trasformare un efficacissimo strumento d'indagine in un'emergenza nazionale
che ora allarma anche mezza opposizione e persino il capo dello Stato. Tg e
giornali della ditta fanno il resto, rilanciando le panzane come se fossero
vere (memorabile la prima pagina del Giornale: «Tutti gli italiani sono
intercettati»). La truffa funziona perché sembra basarsi su dati statistici,
ma per capire che sono manipolati basterebbe ascoltare l'esordio del
ministro (non di un passante) nell'audizione dell'altroieri alla commissione
Giustizia della Camera (non al bar o a Porta a Porta): «Secondo un mio
calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una
grandissima parte del nostro Paese». Capito? Lui fa i calcoli empirici. E
conclude: 1) «Oltre 100 mila persone l'anno sono intercettate in Italia», 2)
«mentre negli Usa sono 1.700, in Svizzera 1.300, in Gran Bretagna, 5.500, in
Francia 20 mila»; 3) «Le 100 mila persone intercettate fanno o ricevono
mediamente 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di
intercettazioni». 4) «La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita:
è aumentata del 50% dal 2003 al 2006» e occupa «il 33% delle spese per la
Giustizia». Difficile concentrare una tale densità di balle, per quanto
«empiriche», in così poche parole. Vediamo. 1) I decreti di autorizzazione
dei gip alle intercettazioni sono stati nel 2007 appena 45.122 (più 34.844
di convalida, cioè di proroga quindicinale sulle stesse utenze); ma anche
prendendo per buono il dato del ministro, 124.845 provvedimenti complessivi,
la cifra non indica il numero dei soggetti intercettati: ogni decreto
corrisponde a un'utenza, cioè a un numero telefonico (e spesso viene
reiterato anche 3-4 volte, visto che ogni 15-20 giorni bisogna rinnovare il
provvedimento). E quando s'intercetta un indagato si controllano i suoi
cellulari, numeri di abitazione, mare, montagna, ufficio, auto, senza
contare che il tizio cambia spesso scheda per sfuggire ai controlli. Il che
significa che, a dir tanto, gli intercettati arrivano a 80 mila l'anno (su 3
milioni di processi). Pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima
parte», ma allo 0,2% della popolazione. 2) Contando anche i diversi
interlocutori dall'altro capo del filo, si arriva all'incirca all'1%. 3)
Paragonare il dato italiano con quello degli altri paesi è come raffrontare
le mele con le patate, visto che negli altri paesi il grosso delle
intercettazioni le fanno, senza controlli né statistiche, i servizi segreti,
le polizie, i pompieri, gli enti locali, le autorità di borsa ecc. Il
nostro, come ha appurato nel 2006 la commissione Giustizia del Senato, è il
sistema più garantista d'Europa. E l'80% degli ascolti riguarda la
criminalità organizzata, cioè le mafie, sconosciute negli altri paesi
europei. 4) La spesa per intercettazioni non è in aumento, ma in calo: nel
2005 era di 286 milioni, nel 2006 è scesa a 246, nel 2007 a 224 (40 in meno
ogni anno). E 224 milioni non sono «il 33% delle spese per la Giustizia»
(7,7 miliardi nel bilancio 2007), ma il 2,9%. Ecco, la spesa reale è un
decimo di quella sparata dall' empirico ministro. Ma potrebbe avvicinarsi
allo zero se lo Stato facesse lo Stato: obbligando le compagnie telefoniche,
concessionarie pubbliche, ad applicare tariffe scontate o gratuite per le
intercettazioni (che ora costano allo Stato 1,6 euro al giorno per i
telefoni fissi, 2 per i cellulari, 12 per i satellitari); acquistando le
attrezzature usate dagli agenti per intercettare, anziché affittarle a
prezzi da favola da ditte private; recuperando le spese di giustizia dai
condannati, che devono pagare i costi sostenuti dallo Stato per processarli
(oggi si recupera il 3-7%). Resta da capire come possano il Pd e l'Anm
«dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma
pacate.

da spaziolibero
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« Risposta #44 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:45:38 pm »

Alice Oxman, diario di un incubo che ritorna

Marco Travaglio


Questo libro di Alice Oxman, una scrittrice americana che ama l’Italia piú di molti italiani, è un formidabile antidoto contro l’amnesia furbetta e miope di chi non vuole fare i conti fino in fondo con quella stagione nera che ha riportato in superficie, dopo sessant’anni, i peggiori liquami di una certa Italia. Sotto Berlusconi è il diario puntuale e certosino, dunque inevitabilmente indignato, di una donna che ogni giorno ha annotato in tempo reale le vergogne del quinquennio berlusconiano. Ma Alice ha messo nero su bianco anche le viltà e i conformismi dell’altra parte: dei partiti del centrosinistra, nonché di gran parte della stampa italiana e del cosiddetto establishment, industriale, finanziario, intellettuale, ecclesiastico. Di tutti coloro che vedevano e tacevano, o minimizzavano, o addirittura fingevano di non vedere per non dover parlare.

Ne viene fuori una cronaca impietosa non solo della nascita e della crescita di un regime moderno, o postmoderno, ma anche della mitridatizzazione che giorno dopo giorno, complice il monopolio dell’informazione, induce i piú ad abituarsi, ad assuefarsi, ad abbassare progressivamente le difese immunitarie, a lasciar passare i peggiori orrori sempre nella convinzione autoconsolatoria che «questa è l’ultima volta». E invece è sempre la penultima. Con l’occhio sgombro dalle lenti deformate del familismo amorale e dell’eterno fascismo italiota, l’autrice scandisce sempre piú angosciata, stupita e sconcertata i rintocchi di quelle giornate che sembravano non finire mai: dichiarazioni ufficiali di esponenti della maggioranza e della cosiddetta opposizione; accostamenti di fatti all’apparenza lontani fra loro; citazioni dai giornali e dalle televisioni; brevi commenti personali, misti a episodi di vita vissuta, fra amicizie che si rompono, conoscenti che non salutano piú, brave persone che straparlano e diventano irriconoscibili. I regimi riescono a peggiorare anche gli uomini migliori.

Sullo sfondo, mentre cadono i foglietti del calendario, prende corpo l’Agenda Unica del regime e del suo ducetto, che fa sparire interi pezzi di realtà dalle sue tv (tutte) e dunque dalla mente dei cittadini. E impone i suoi interessi a un’intera nazione, finendo per convincerla che le vere emergenze nazionali sono i (suoi) processi, le (sue) aziende, le (sue) tasse. «Un regime ­ scrive l’autrice ­ nasce tra mille distrazioni. Scrivo per non avere rimpianti. La storia è sotto il naso di tutti». Le pagine piú tragicomiche sono quelle dedicate ai servi furbi. Sgarbi che paragona il ducetto a Michelangelo. Ferrara che lo accosta a Mozart. Bondi che lo dipinge come «un uomo enormemente buono, straordinariamente buono». Il suo Giornale che lo ritrae come un fusto tutto muscoli e sex appeal. Baget Bozzo che insulta Norberto Bobbio, «un rudere sopravvissuto alla vita». Roberto Castelli che offende il professor Giovanni Sartori, «un personaggio che non sa niente e non capisce niente e non ha mai combinato molto nella vita». Il duo Feltri-Farina che sputa sugli ostaggi non berlusconiani sequestrati in Iraq, vivi (le due Simone, «le vispe terese») o morti (Enzo Baldoni, il «pirlacchione» partito per le «vacanze intelligenti»).

Le pagine piú tristi riguardano i presunti oppositori, quelli che «non basta dire no», quelli che «non bisogna demonizzare», quelli che «bisogna dialogare», «fare le riforme insieme», «abbassare i toni» e, soprattutto, «guardarsi dalla piazza». Quelli che in piazza non c’erano mai, né al G8 di Genova, né al Palavobis, né ai girotondi, né al Circo Massimo con Cofferati né in piazza San Giovanni con Moretti e Flores d’Arcais. Quelli che, da quando il marito di Alice, Furio Colombo, resuscita l’Unità facendo opposizione sul serio, «non ci invitano piú in pubblico, fra la gente o in un ristorante» perché non si sa mai. Intanto Previti ghigna perché «anche quelli di sinistra che prima non mi rivolgevano la parola ora sono lí che mi salutano, chiedono consigli e fanno ciao ciao con la mano». Rutelli promette un’«opposizione non urlata». Fassino e D’Alema presentano i cosiddetti libri di Bruno Vespa. E, come Bertinotti presunto leader della «sinistra radicale», non mancano mai a «Porta a porta».

Nascono nuove parole d’ordine, o meglio vecchie parole svuotate di significato per parlar d’altro: «moderato», «riformista», «massimalista», «apocalittico», «demonizzatore», «giustizialista», «bipartisan», «dialogo». Mentre la grande stampa italiana si balocca con questi barocchismi da arcadia settecentesca e i professionisti della politica ammazzano il tempo, a sinistra, trastullandosi fra una Gad e una Fed, i giornali stranieri trovano le parole per raccontare ai colleghi italiani ciò che non vedono piú, o fingono di non vedere. Quando il regime cancella il falso in bilancio, l’Economist parla di «una legge di cui si vergognerebbero persino le repubbliche delle banane». Ma, su 62 quotidiani italiani, solo tre riportano l’articolo: l’Unità a pagina 1, La Stampa a pagina 7, la Repubblica a pagina 15. E quando il ministro Lunardi dice che «con la mafia dobbiamo convivere», quasi tutti relegano la notizia in un trafiletto nelle pagine interne.

(...) Il ducetto si fa una legge su misura dopo l’altra, fa cacciare un giudice che lo sta giudicando, si depenalizza i reati, si rende improcessabile, trascina l’Italia in guerra dopo mezzo secolo, salva per decreto le sue tv dalla Corte costituzionale, licenzia giornalisti e comici dalla Rai con l’editto bulgaro, paragona magistrati, giornalisti e oppositori ai terroristi, ai golpisti, ai kamikaze, organizza commissioni parlamentari come la Telekom-Serbia e la Mitrokhin per calunniare la minoranza, silenzia i cronisti sgraditi («lei è dell’Unità, deve stare zitto»). Ma se qualcuno ­ Montanelli, Sartori, Bocca, Biagi, Cordero, Colombo, Sylos Labini, Luzi e altri tupamaros ­ parla di «regime», viene zittito non dai berluscones: i primi a insorgere sono sempre Fassino e D’Alema. Il primo in compenso riabilita Bettino Craxi. Il secondo trova il modo di criticare anche Borrelli, reo di aver ripetuto per tre volte «resistere». È la linea dell’opposizione che peraltro ­ diversamente dai suoi elettori ­ col regime convive benissimo.

Il libro si chiude con la vittoria di Prodi, con l’urlo di gioia di piazza Santi Apostoli strozzato in gola dall’altalena dei dati nella notte elettorale dei misteri e degli intrighi. Pare finito l’incubo. Invece è lì dietro l’angolo, pronto a tornare in una versione ancor più tetra. Diceva Tom Benetollo: «In questa notte scura, qualcuno di noi è come quei “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all’indietro, appoggiata sulla spalla con il lume in cima. Cosí il lampadiere vede poco avanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare piú sicuri». Se però i viaggiatori sono ciechi, c’è poco da illuminare. Grazie, Alice, per questo promemoria. Magari, leggendolo, qualcuno ritroverà la vista.

Pubblicato il: 20.06.08
Modificato il: 20.06.08 alle ore 8.38   
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