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Autore Discussione: Marco TRAVAGLIO -  (Letto 123103 volte)
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« Risposta #180 inserito:: Agosto 02, 2011, 06:38:02 pm »

Mala Italia

B. e don Verzè, la vera storia

di Marco Travaglio

La carriera del prete affarista è sempre stata intrecciata a quella del Cavaliere. Da quando trafficavano insieme per spostare le rotte Alitalia da Milano 2. Il marcio iniziò così e proseguì per decenni. Sempre con i due a braccetto

(01 agosto 2011)

Don Verzè con Silvio Berlusconi Don Verzè con Silvio BerlusconiA proposito di don Luigi Verzè, già cappellano di Craxi ("in lui vedo Cristo") e di Berlusconi ("un dono di Dio all'Italia"), ma anche ben ammanicato con Nichi Vendola che gli ha spalancato le porte della Puglia ("uno dei pochissimi politici italiani ad avere un fondo di santità"), l'unico sentimento che non si può provare davanti al disastro del suo San Raffaele è lo stupore. La carriera di questo prete simoniaco è indissolubilmente legata a quella del premier: naturale che, se il Cav declina, il Don si senta poco bene.

Chi volesse saperne di più non ha che da leggere "L'Unto del Signore" di Gumpel e Pinotti (Bur) e "Dossier Berlusconi anni Settanta" (Kaos). I due libri raccontano la storia di un giovane costruttore brianzolo, schermato da strani paraventi svizzeri, che 40 anni fa compra per quattro soldi 700 mila metri quadri di terreni a Segrate e inizia a costruirvi la città satellite Milano2. Sventuratamente la quiete di quel paradiso è turbata dal frastuono di oltre 100 decibel degli aerei che decollano ogni 90 secondi dalla vicina Linate. Il che dovrebbe sconsigliare vivamente la costruzione di insediamenti residenziali e tanto più ospedalieri. Ma il palazzinaro regala un pezzo di terreni a un prete più spregiudicato di lui, sospeso a divinis dalla Curia milanese, perché vi eriga una bella clinica privata con soldi pubblici: il San Raffaele. Poi il gatto e la volpe, cioè il palazzinaro e il cappellano piagnucolano: non si possono ammorbare i malati con quel rumore.

E così, ungendo le giuste ruote, ottengono da governo e Alitalia il dirottamento delle rotte aeree dalla nuova città pressoché disabitata e dal nuovo ospedale ancora semideserto sui comuni vicini, popolati da decenni. Risultato: il prezzo degli appartamenti di Milano2 triplica in un battibaleno. Già che ci sono, le autorità aeronautiche falsificano pure le carte di volo gabellando l'intera zona residenziale per "ospedaliera", così gli aerei girano al largo. Proteste, denunce, battaglie legali, processi. Anche perché don Verzè offre a uno dei pochi politici che gli resistono, l'assessore regionale alla Sanità Vittorio Rivolta, una tangente del 5 per cento sul miliardo e mezzo di lire di fondi pubblici che stanno per piovergli da Roma. Per questo nel 1977 sarà condannato in primo grado a un anno e quattro mesi per istigazione alla corruzione (condanna poi prescritta in appello) e definito dal Tribunale "imprenditore abile e spregiudicato, inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e penale". I giudici collegheranno la deviazione delle rotte aeree ai sospetti di "pressioni illecite, non esclusa la corruzione, sulle competenti autorità locali e centrali".

Fin dal 1975 Giorgio Bocca si occupa, sul "Giorno", del prete affarista: "Quello che allontana gli aerei e cura non solo i malanni fisici, ma anche 'le anime preternaturali' dei pazienti", intanto "il prezzo al metro quadro passa dalle 150 mila alle 400 mila lire. L'arte dei grandi speculatori è avere molti complici". Ma già nel 1973 "il manifesto" aveva denunciato lo scandalo. Titolo: "Per portare avanti la speculazione Milano2 prima rendono sordi i segratesi con i jet, ora li vogliono appestare con un immondezzaio". Svolgimento: "Il problema vero non è quello 'sonoro', ma la puzza di marcio che ci sta dietro, le aree, la speculazione edilizia: è una barca molto grande, in cui ci son dentro tutti, la Regione, i democristiani e anche i socialisti... Ma la più sporca di tutte l'ha fatta il Vaticano che, con l'aiuto delle banche svizzere, ha appoggiato l'operazione Milano2 con l'insediamento, nella zona, dell'ospedale San Raffaele... Dal 1972 è riconosciuto da un decreto del ministero della Sanità 'Istituto di ricovero a carattere scientifico'... Ma è privo persino dei servizi di base: non dispone di pronto soccorso e ha difficoltà a occuparsi delle operazioni di appendicite... Ma se i segratesi sono sordi, non sono anche ciechi e si stanno ribellando con molta forza a quel che gli (sic, ndr) succede sopra la loro testa".

L'autrice di questa prosa tanto sgangherata quanto generosa è Tiziana Maiolo, giovane cronista del "manifesto", non ancora folgorata sulla via di Arcore. Come passa il tempo.

da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/b-e-don-verze-la-vera-storia/2157316
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« Risposta #181 inserito:: Aprile 28, 2012, 05:32:18 pm »

Quelli che 'Bossi è un figo'

di Marco Travaglio

Adesso lo scaricano tutti, ma per un decennio molti autorevolissimi commentatori sembravano folgorati dal Senatur. Qualche nome? Angelo Panebianco, Andrea Romano, Stefano Folli, Antonio Polito...

(16 aprile 2012)

Raduno della Lega a Venezia Raduno della Lega a VeneziaFacile prendersela oggi con Bossi e il suo clan. Come prendersela col duce nel 1945 e con Craxi nel 1993. Sono almeno dieci anni che della Lega delle origini, quella che contribuì ad abbattere la prima Repubblica e a salvare Mani Pulite da sicuro affossamento, s'è perso persino il ricordo. Eppure fior di intellettuali e opinionisti "indipendenti" hanno fatto finta di niente sino all'ultimo. Ancora nel 2008, ultima vittoria elettorale di Bossi e Berlusconi, davano mostra di credere alle magnifiche sorti e progressive del "federalismo", ciechi e sordi dinanzi alla satrapia dell'anziano leader menomato e agli scandali della Credieuronord, dell'amico Fiorani e delle quote latte.

Stefano Folli predicava il 15 aprile 2008 sul "Sole-24 ore": "Silvio Berlusconi è il leader che riesce a rappresentare la sintesi di un Paese moderato, ma voglioso di modernità... e sempre più insofferente verso i vincoli, i freni e le incongruenze di chi diffida del cambiamento. Ma non si comprende il senso della vittoria berlusconiana... se si sottovaluta il dato politico che l'accompagna: vale a dire l'impronta nordista che l'affermazione della Lega porta con sé... La Lega è un partito leale agli accordi di coalizione, anche perché ha tutta la convenienza a esserlo. La lealtà paga, visto che oggi tra Lombardia e Veneto abbiamo quasi una seconda Baviera, con Bossi nei panni che furono di Strauss e Stoiber. E la "questione settentrionale", anche quando significa timore della globalizzazione e inquietudine verso gli immigrati, è incarnata dalla Lega... Bossi ha citato la priorità del federalismo fiscale. Ecco un esempio di riforma, certo urgente, che tuttavia esige un alto senso di responsabilità politica per non danneggiare una parte del Paese". Sappiamo com'è poi finita, la seconda Baviera. Ma Folli è sempre lì a spiegare come va il mondo. Advertisement

Un altro folgorato sulla via di Gemonio fu Andrea Romano, già direttore del samizsdat dalemiano Italianieuropei, poi editor della berlusconiana Einaudi, ora testa d'uovo della montezemoliana Italia Futura e columnist prima de "La Stampa", poi del "Riformista", infine del "Sole", lo stesso che l'altra sera pontificava in tv sull'ineluttabile fine del bossismo. Ecco cosa scriveva sulla "Stampa" il 16 aprile 2008: "La Lega potrebbe diventare il motore riformatore del governo Berlusconi... è un movimento politico ormai lontano dalla rappresentazione zotica e valligiana... ha accantonato definitivamente il teatrino secessionista... giustamente Stefano Folli sul "Sole-24ore" rimanda all'esempio della Csu bavarese": insomma la Lega è un modello di "buona amministrazione locale", piena di "giovani preparati come il piemontese Roberto Cota" (l'attuale catastrofico governatore del Piemonte), ergo sarà "il reagente indispensabile a una vera stagione di rinnovamento". Certo, come no: vedi alla voce cerchio magico.

Se Romano citava Folli, Angelo Panebianco l'indomani sul "Corriere" citava Romano che citava Folli, in una travolgente catena di Sant'Antonio, anzi di Sant'Umberto: "Come ha osservato Andrea Romano, non si capisce la Lega Nord se non si tiene conto della capacità che Bossi ha avuto nel corso degli anni di fare crescere una classe dirigente locale, di giovani amministratori, spesso abili, e capaci di tenersi in sintonia con le domande dei loro amministrati". Tipo Belsito, per dire.

L'altro giorno, sul "Corriere", Antonio Polito rivelava di aver capito tutto da un pezzo (ovviamente all'insaputa degli eventuali lettori): "Già da tempo la Lega aveva dato segni evidenti di essersi trasformata da movimento in regime, con i tratti sovietici dell'inamovibilità del gruppo dirigente... Ma nessuno aveva immaginato che il regime fosse diventato una satrapia. Nemmeno Berlusconi". Che strano: lo stesso Polito, direttore del "Riformista", nell'aprile 2008 invitava il centrosinistra a rifuggire da un'opposizione severa e intransigente contro il nuovo governo Berlusconi-Bossi, e ad "aprire il dialogo con l'Italia berlusconiana" e naturalmente bossiana. E' grazie a simili illuminazioni che Polito ha guadagnato la prima pagina del "Corriere".

 
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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quelli-che-bossi-e-un-figo/2178410/18
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« Risposta #182 inserito:: Agosto 10, 2012, 12:48:59 pm »

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Zero tituli

di Marco Travaglio
 9 agosto 2012


Il regime dei Cinque dell’Apocalisse (Quirinale, Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Csm e Governo) che assedia la Procura di Palermo può ritenersi soddisfatto. La notizia anticipata dal Fatto sul procedimento disciplinare contro i pm Messineo e Di Matteo, rei del terribile delitto di intervista, ha raccolto l’audience mediatica auspicata: omertà assoluta di politici, giornali e tg. Fa eccezione il Foglio che, per quanto clandestino, fa il suo sporco mestiere: plaude al Pg della Cassazione e lo esorta a radere al suolo la Procura, “luogo di mille abusi”, anche con processi penali per “violazione del segreto istruttorio”.

Pazienza se il segreto istruttorio è stato abrogato nel 1989 e se per le toghe – lo dimostreremo domani – rilasciare interviste non è illecito disciplinare, ergo l’unico “abuso” è proprio il procedimento disciplinare contro Messineo e Di Matteo. Quanto agli altri quotidiani – direbbe José Mourinho –, “zero tituli”. Compresi il Giornale e Libero che forse, per la prima volta nella storia, provano un filo d’imbarazzo. Ma anche Repubblica, sempre in prima linea a protestare quando i governi B. promuovevano od ottenevano azioni disciplinari contro i pm più impegnati (nelle indagini su B. & his band).

Munendosi di microscopio elettronico, si rinvengono su Repubblica alcune righe riservate alla notizia, pudicamente nascoste in fondo a un articolo dedicato a tutt’altro dal titolo “Caso Mancino-Quirinale, no alla legge ad hoc”, per evitare che qualcuno le noti. Problemi di spazio, probabilmente, in una giornata dominata da notizione come il pensiero di Brunetta su Monti, “Porcellum, la battaglia solitaria del soldato Giachetti”, “L’Italia dei borghi a 5 stelle”. Sul Corriere, neanche tre righe camuffate dietro la siepe: in compenso, ampio spazio al pensiero di Follini, alla gigantografia della famiglia reale Giorgio & Clio sulla sdraio a Stromboli, agli alti lai del nuovo Pellico, il ciellino Simone detenuto per corruzione dunque “prigioniero della politica e dei magistrati”.

Seguono le polemiche sullo spot agreste di Aldo, Giovanni e Giacomo e gli scoop del giorno: “La collanina del primo amore” dello scrittore Buzzi, “Il gossip non è più quello di una volta”, “Gli ultimi ciak dei Soliti idioti” e la “caccia ai polpi di Ponza”. Roba forte, altro che la caccia ai pm della trattativa. Non manca, sul Corriere, il diario di un cane che risponde all’angosciante interrogativo: “Perché nascondono sempre il mio osso?”. E non è mica l’unico cane a scrivere sui giornali. La Stampa regala un paginone su “le vacanze misurate degli onorevoli”, poi s’avvicina pericolosamente alla trattativa: “Tanti indagati, poche condanne”. Allusione a Stato e mafia? No, ai finti ciechi, vera emergenza nazionale. E volete mettere, poi, la ricomparsa del “maschio alfa fra i lupi dei Monti Sibillini”? Si dirà: almeno l’Unità, con la sua centenaria tradizione antimafia, gliene dirà quattro a chi vuol fermare i pm. Invece no. Siccome non c’è peggior Sardo di chi non vuol sentire, c’è ben altro in menu: “Bersani: i progressisti non si chiudono nell’autosufficienza”, “Sui valori della Carta d’intenti si può ricostruire la politica”, “Geografie dell’utopia” (ma anche, volendo, utopie della geografia) e l’imprescindibile “Elogio del ‘non so’”. Più che un titolo, un piano editoriale.

da Il Fatto Quotidiano del 9 agosto 2012

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/09/zero-tituli-2/321269/
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« Risposta #183 inserito:: Agosto 26, 2012, 05:19:08 pm »

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La Repubblica e Il Fatto, Zagrebelski e Scalfari: quello che Ezio Mauro non dice
Lo scontro tra il fondatore del quotidiano di Largo Fochetti e il presidente emerito della Consulta, la favola del "tutti abbiamo ragione" e l'attacco ai pm e alla Costituzione: rassegna - punto per punto - dei trucchi per mettere d'accordo capra e cavoli

di Marco Travaglio | 25 agosto 2012


Mica facile salvare capra e cavoli, anzi Zagre e Scalfari. Ieri Ezio Mauro ha provato, con abilità dialettica e qualche maligna allusione al Fatto, a mettere d’accordo gl’illustri litiganti di Repubblica: il fondatore Eugenio Scalfari e il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky. Ma, a nostro modesto avviso, ci è riuscito solo in parte. Perché ha dovuto sacrificare un bel po’ di quell’“obbligo alla verità” e al “giornalismo” a cui si è richiamato.

1. Duello a uno
“Il caso della trattativa Stato-mafia e del contrasto tra la Procura di Palermo e il Quirinale… La manovra contro il Quirinale…”. Non c’è mai stato alcun “contrasto” tra Procura e Quirinale, né tantomeno alcuna “manovra” contro il Colle. Anzi, tutto il contrario. La Procura ha chiesto e ottenuto dal Gip di intercettare Nicola Mancino, applicando la legge e scoprendo poi che Mancino parlava col consigliere giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio, e con lo stesso Napolitano. E’ stato Napolitano ad attaccare la Procura di Palermo, accusandola di aver leso sue presunte prerogative costituzionali e trascinandola dinanzi alla Consulta.

2. Nessun attacco
“L’indagine è meritoria, come dicevo due mesi fa. Ma oggi – aggiungo – chi la ostacola? La Procura l’ha conclusa con le richieste di rinvio a giudizio, in piena libertà, com’è giusto, ora tocca al Gip decidere sugli indagati eccellenti. E allora? È un falso palese dire che si vuole bloccare il lavoro di Palermo, anzi è un inganno ai cittadini in buona fede”. Quindi i 130mila e più cittadini (compresi Zagrebelsky, Barbara Spinelli e altri editorialisti di Repubblica) che hanno firmato l’appello del Fatto a favore dei pm siciliani sono stati ingannati: la Procura di Palermo ha potuto indagare “in piena libertà” e quel che è accaduto dopo non ha alcun riflesso sul processo, che ormai è in mano al Gup (non al Gip) e che proseguirà serenamente senza intoppi. Le cose non stanno così. Contro l’indagine “meritoria”, Scalfari ha scritto parole di fuoco, accusando i pm che l’hanno condotta di ogni sorta di “abusi”, “illegalità”, “scarsa professionalità” e soprattutto di non aver combinato nulla in vent’anni di lotta alla mafia (“Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent’anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati”). Inoltre, dalle telefonate fra Mancino e D’Ambrosio risulta che D’Ambrosio – che diceva di agire in nome e per conto, anzi su disposizione del “Presidente” Napolitano – si dava da fare per neutralizzare l’inchiesta di Palermo tramite il Pg della Cassazione e il procuratore antimafia Grasso. E solo il diniego di Grasso a quelle pressioni ha consentito che l’inchiesta si chiudesse “in piena libertà”. Non lo diciamo noi: l’hanno scritto su Repubblica Attilio Bolzoni e Salvo Palazzolo (“D’Ambrosio seguiva l’inchiesta sulla trattativa, sperava in un ‘coordinamento’ che di fatto sfilasse ogni potere d’indagine ai pm siciliani e ragionava sul da farsi con Mancino… Le telefonate intercettate stanno scoprendo un eccessivo attivismo al Quirinale sulla delicata inchiesta di Palermo e sfiorano più di una volta il nome di Napolitano”). Inoltre Mauro dimentica che, appena chiusa l’indagine, il Colle ha trascinato la Procura alla Consulta tramite l’Avvocatura dello Stato con accuse gravissime. E i pm Messineo e Di Matteo si son visti aprire dal Pg della Cassazione (lo stesso attivato da Napolitano e D’Ambrosio) un fascicolo disciplinare. Lo scorso anno Berlusconi trascinò alla Consulta il Tribunale di Milano che pretendeva di giudicarlo per il caso Ruby, anziché passare la palla al Tribunale dei ministri (anzi alla Camera, che avrebbe negato l’autorizzazione a procedere), in quanto Ruby era la nipote di Mubarak e il reato era ministeriale.

Bene, anzi male: anche allora l’inchiesta era già stata conclusa “in piena libertà” e spettava al Gip prendere le sue decisioni. Eppure Repubblica polemizzò giustamente col Cavaliere e col centrodestra, accusandoli di attaccare, isolare e delegittimare i magistrati milanesi. Evidentemente perché è difficile per un magistrato celebrare un processo “in piena libertà” sapendo di aver contro il governo e il Parlamento (caso Ruby), e a maggior ragione sapendo di avere contro il governo, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Pg della Cassazione, un pezzo del Csm, l’Avvocatura dello Stato e la grande stampa (caso trattativa). Infatti non il Fatto, ma Zagrebelsky, ha scritto che, senza volerlo, Napolitano col suo conflitto è divenuto il “perno di un’operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce su ciò che, in base a sentenze definitive, possiamo considerare la ‘trattativa’ tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia”.

3. Improprio a chi?
“Il comportamento dei consiglieri di Napolitano secondo quelle telefonate è imprudente e improprio perché sembrano consigliare più il testimone Mancino che il Presidente”. Già, ma siccome i consiglieri (che poi sono uno soltanto: D’Ambrosio, poi scomparso) confidano a Mancino di agire su ordine del “Presidente”, che poi firma una lettera ufficiale ma segreta al Pg della Cassazione, ne dovrebbe derivare che “imprudente e improprio” non è il consigliere che obbedisce agli ordini, ma il Presidente che li dà.

4. La fuga che non c’è
“Il Presidente non ritiene che i testi delle sue conversazioni private debbano essere divulgati, a tutela delle sue prerogative più che del caso specifico”. Intanto, nessuno li ha divulgati: la Procura li ha segretati e non se n’è saputo nulla. Quindi la prerogativa della riservatezza, ove mai esistesse, non sarebbe stata violata da nessuno. Il caso però vuole, come ha spiegato e rispiegato Franco Cordero su Repubblica, che quella prerogativa non esista. Nessuna norma costituzionale o procedurale vieta di intercettare né direttamente, né tantomeno indirettamente il capo dello Stato. E’ vietato soltanto processarlo per gli “atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”: e infatti nessuno l’ha neppure indagato. Ma lo dice lo stesso Mauro che quelle tra Mancino e Napolitano sono “conversazioni private”: dunque non rientrano nell’esercizio delle funzioni presidenziali. Dunque i magistrati potevano benissimo intercettarle, sul telefono di Mancino. Ma avrebbero potuto intercettarle anche su quello del Presidente se, per assurdo, avessero sospettato un Presidente della Repubblica di reati commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni (puta caso: bancarotta, omicidio, traffico di droga o di armi).

5. Il buco che non c’è
“(Napolitano) solleva un conflitto di attribuzione su un ‘buco’ normativo: può il Capo dello Stato essere intercettato, sia pure indirettamente?”. Abbiamo già spiegato, sulla scia di Cordero, che non esiste alcun buco normativo: il costituente e il legislatore non hanno proibito di indagare sul Capo dello Stato per fatti estranei alle sue funzioni non per una dimenticanza, ma perché convinti che sia giusto così. Ma paradossalmente quel “buco” normativo lo nega anche Napolitano. Il quale, sollevando il conflitto contro la Procura di Palermo, sostiene che la norma che vieta le sue intercettazioni indirette, la loro valutazione da parte dei pm, il loro esame in contraddittorio fra le parti davanti al gip, esista eccome e la Procura di Palermo l’abbia violata. Nel decreto del 16 luglio, accusa i pm di “lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione”.

6. Intercettata la Merkel?
“Sollevo una questione di semplice buon senso repubblicano… Il lavoro del Presidente della Repubblica, fuori dagli impegni istituzionali solenni e pubblici, è in gran parte fatto di colloqui, incontri, conversazioni (anche telefoniche)… E’ interesse di Napolitano (posto che non si parla in alcun modo di reati) o è interesse della Repubblica che queste conversazioni non vengano divulgate? Secondo me è interesse di tutti, con buona pace di chi allude senza alcuna sostanza a misteriosi segreti da proteggere, già esclusi da tutti gli inquirenti. Facciamo un’ipotesi astratta, di scuola. Quante telefonate avrà dovuto fare il Capo dello Stato nelle due settimane che hanno preceduto le dimissioni di Berlusconi da palazzo Chigi? Quante conversazioni avrà avuto, quando le cancellerie europee non parlavano più con il governo, i mercati impazzivano, il Paese era allo sbando senza una guida esecutiva e molti di noi temevano il colpo di coda del Caimano? Se quelle conversazioni – che hanno necessariamente preceduto e preparato l’epilogo istituzionale di vent’anni di berlusconismo – fossero diventate pubbliche, quell’esito sarebbe stato più facile o sarebbe al contrario precipitato nelle polemiche di parte più infuocate, fino a rivelarsi impossibile?”. A parte il fatto che, ripetiamo, le due telefonate Mancino-Napolitano non sono state divulgate, ancora una volta lo dice Mauro stesso: conversazioni nell’ambito del “lavoro del Presidente… fuori dagli impegni istituzionali solenni e pubblici”. La risposta è nella Costituzione: fuori dall’esercizio delle funzioni, il Presidente è un cittadino come gli altri. E non è affatto una minaccia, anzi è una garanzia per i cittadini e per la democrazia tutta il fatto che il capo dello Stato sappia di poter essere intercettato dalla magistratura: così sa in partenza che un giorno potrebbe dover rispondere di quel che fa e dice, e starà molto attento ad attenersi a uno stile e a un contegno consoni all’alta carica che ricopre.

Male non fare, paura non avere. Non abbiamo sempre detto, citando i paesi anglosassoni (negli Usa tutti i colloqui del Presidente vengono addirittura registrati), che le istituzioni sono “case di vetro” sottoposte alla massima trasparenza? Perché questo, improvvisamente, non dovrebbe valere per il Quirinale? Se per caso fossero stati legittimamente intercettati colloqui del Presidente relativi all’ultima crisi di governo che ha portato alla fine del terzo governo Berlusconi, noi non troveremmo nulla di scandaloso che fossero resi noti: anzi se, come Napolitano ha sempre assicurato, si è attenuto scrupolosamente al dettato costituzionale, sarebbe suo interesse dimostrare che le cose stanno davvero così e che abbiamo almeno un politico che dice in privato le stesse cose che dice in pubblico. L’obiezione è nota: e se il Presidente affronta temi di sicurezza nazionale, insomma segreti di Stato? Ma intanto le intercettazioni non avvengono a opera dello Spirito Santo: per essere intercettati bisogna essere sospettati di un reato o parlare con qualcuno coinvolto in un reato. Dunque si può tranquillamente parlare con la Merkel e con Hollande senza essere ascoltati (da un pm, almeno). Qui però Napolitano non parlava con Hollande o Merkel, ma con Mancino: e sarebbe stato sommamente incauto a trattare questioni di Stato al telefono, peggio ancora con un privato cittadino (qual è Mancino, per giunta coinvolto nel caso trattativa).

Peraltro lo stesso problema si pone per i membri del governo: quanti segreti trattano il presidente del Consiglio, i ministri dell’Interno, della Difesa e degli Esteri che oltretutto, a differenza del Capo dello Stato, sono responsabili dei loro atti? Eppure nessuno di essi è coperto da alcuna immunità, in quanto membro del governo (salvo che sia parlamentare). Tranne Monti (senatore a vita), tutti i ministri dell’attuale governo sono intercettabili, indirettamente e anche direttamente, e le eventuali intercettazioni, quando cade il segreto, possono essere divulgate. Tutti i giornali, Repubblica in testa, hanno diffuso fiumi di “conversazioni private” dell’ex premier indirettamente intercettate (direttamente non si poteva, lui è deputato). E non abbiamo cambiato idea, noi: era giusto pubblicarle, perché avevano, anche quelle sulla sua vita sessuale, un rilievo pubblico.

7. Diversamente concordi
Su un punto Mauro ha ragione: “Fare di ogni erba un fascio” e dire che “destra e sinistra sono uguali” è qualunquismo. Ma se chi ha difeso il diritto-dovere della stampa di diffondere conversazioni private e in certi casi prive di rilevanza penale, ma di enorme interesse pubblico, quando c’era di mezzo Berlusconi, oggi sostiene il contrario solo perché la voce intercettata è quella di Napolitano, beh, la tentazione di fare di ogni erba un fascio e dire “tutti uguali” sorge spontanea.

8. Diversamente alti
Può darsi che in quella che Mauro recinta come “la nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra)”, “il campo ‘democratico’” (tutti gli altri sono totalitari), si siano infiltrate in nome dell’antiberlusconismo “forze, linguaggi comportamenti e pulsioni oggettivamente di destra”. Direbbe Troisi: “Mo’ me lo segno”. Ma è un po’ ingeneroso, oltreché falso, affermare che per costoro “Berlusconi non è mai stato il vero avversario, ma semplicemente lo strumento per suonare la propria musica”. In questi vent’anni han fatto molto più male a Berlusconi avversari irriducibili non di sinistra come Montanelli, Sartori e l’Economist che la sinistra politica e giornalistica, troppo impegnata nelle libagioni bicamerali da cui non s’è mai riavuta (non sto a ricordare chi fu il primo a raccontare in tv i rapporti fra Berlusconi e la mafia e tra Schifani e alcuni tipetti poi condannati per mafia, e l’atteggiamento assunto nelle due circostanze da Repubblica). Quanto a chi “canzonava il Cavaliere in un linguaggio da Bagaglino, con un ‘calandrinismo’ che rompeva la cornice drammatica in cui stava avvenendo quella prova di forza, deridendo i nomi (incolpevoli, almeno loro) delle persone, scherzando coi loro difetti fisici”, ullallà, che seriosità. Suvvia, Ezio, un po’ di satira non ha mai fatto male a nessuno. E per trovare chi deride i nomi (te lo dice un Travaglio) o i difetti fisici, non c’è bisogno di scomodare “la destra peggiore” del “Borghese degli anni più torvi”: bastano le vignette di Forattini su Repubblica (Fanfani basso, Andreotti gobbo e Spadolini grasso); i migliori spettacoli di Benigni su Ferrara ciccione e Berlusconi nano; e le strepitose collezioni del Cuore diretto da Michele Serra, coniatore di definizioni memorabili come “Bottino Craxi”, “Craxitustra”, “Mario Seni”, la Dc “Grande Troia”, i politici con “la faccia come il culo”, fino al “nano ridens” e al “fratello scemo”. Comunque giuriamo solennemente che in futuro ci atterremo al più rigoroso politically correct stile Repubblica: mai più nani e Cainani, solo verticalmente svantaggiati e diversamente alti.

da Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2012

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/25/repubblica-e-fatto-zagrebelski-e-scalfari-quello-che-ezio-mauro-non-dice/333737/
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« Risposta #184 inserito:: Febbraio 23, 2013, 11:01:51 pm »

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Ricapitolando

di Marco Travaglio | 22 febbraio 2013


A due giorni dalle elezioni, si vanno chiarendo anche gli ultimi trascurabili dubbi sulle alleanze e i programmi delle principali forze in campo. Berlusconi, avendo annunciato il sorpasso del Pdl sul Pd, conta di tornare premier dopo aver detto che non farà più il premier, ma il ministro dell’Economia. Intende allearsi “con il Pd per cambiare la Costituzione”, proseguendo la proficua collaborazione già avviata nella Bicamerale e al Monte dei Pascoli. Ma solo quando avrà smaltito la sbornia che vuole prendersi se, come prevede, il Trio Sciagura (Monti-Fini-Casini) con cui è alleato da un anno e mezzo non entrerà in Parlamento. Intanto s’è già ubriacato per lo scandalo che ha colpito l’odiato Giannino, dimessosi perché non laureato (Nicole Minetti invece è laureata, e anche Sara Tommasi, e pare persino Alfano). Nel primo consiglio dei ministri restituirà l’Imu da lui stesso votata ed elogiata ai proprietari di prima casa in contanti, in comode buste ritirabili presso l’ufficio del ragionier Spinelli in via dell’Olgettina a Milano. Dopodiché, se resterà tempo, dichiarerà guerra alla Germania.

Sosterrà il governo Berlusconi anche la Nuova Lega di Bobo Maroni, che aveva giurato “mai più con Berlusconi” e annunciato che il suo candidato premier era Alfano, oppure Tremonti che a Berlusconi non rivolge la parola da un anno e mezzo. Monti, dal canto suo, prevede che resterà a Palazzo Chigi, forte della maggioranza assoluta che i sondaggi, affidati al Mago Otelma, sembrano tributargli sia alla Camera sia al Senato. Infatti, nei giorni pari, esclude di allearsi sia con Berlusconi (“statista”, anzi “cialtrone”) sia col Pd (“nato nel 1921”, cioè comunista). Però nei giorni dispari non esclude la “grande coalizione” con Berlusconi se si libera di Berlusconi e/o col centrosinistra se si libera di Vendola (o se Vendola smette di essere Vendola e diventa Ichino) e anche di Bersani perché la Merkel non lo vuole (lei smentisce, ma lui conferma: la Merkel non vuole Bersani, ma non lo sa ancora).

Casini, o il suo ologramma, annuncia sul Corriere che una delle prime mosse del governo Monti sarà l’abolizione delle Province: infatti Monti candida in Veneto il leader del movimento “Salviamo la Provincia di Bolzano”, che resterà dunque l’unica provincia d’Italia. Fini: non pervenuto. Poi c’è Beppe Grillo, che prega di non vincere le elezioni perché altrimenti non saprebbe chi mandare a Palazzo Chigi ed è terrorizzato perché rischia di vincerle per davvero, suo malgrado. Ingroia invece spera di superare il quorum e di intavolare una trattativa con Grillo, che però non tratta, oppure con Bersani, che però non gli parla proprio perché Napolitano non vuole, a causa delle sue indagini sulla trattativa.

Infine il centrosinistra, formato da Pd, Sel e – secondo alcuni radar particolarmente sensibili – anche Socialisti, Moderati e Centro Democratico (così chiamato per distinguerlo dal Centro Totalitario). Qui, per fortuna, regna la limpidezza più cristallina da tempo immemorabile. Il Pd, anche se dovesse avere la maggioranza al Senato, farà comunque un governo con Monti, ma per cambiare le politiche del governo Monti che il Pd ha votato fino all’altroieri. Vendola s’è impegnato per iscritto a governare col Pd e col Centro di Monti, ma si dice incompatibile col Centro di Monti e dunque annuncia che col Centro di Monti non governerà. Il roccioso governo così coerentemente formato s’impegna a varare nel primo Consiglio dei ministri la legge sul conflitto d’interessi che né il centrosinistra in cinque legislature, né Monti in un anno e mezzo, hanno mai varato per pura sbadataggine. Inoltre, siccome Grillo è “un fascista del web”, “populista”, “antipolitico”, “come Berlusconi”, “eterodiretto” da forze oscure e “un pericolo per la democrazia”, bisogna dialogare con Grillo perché è “un interlocutore prezioso”.

Tutto chiaro?

Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/22/ricapitolando/509266/
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« Risposta #185 inserito:: Febbraio 23, 2013, 11:06:20 pm »

Ci sarà anche un condono tombale sulle tangenti se vince Berlusconi.

Che prima confessa di aver manipolato l'appalto per il Ponte sullo Stretto.

Poi difende Scaroni sull'affaire algerino. A tutto detrimento della credibilità del sistema Italia.


di Marco Travaglio, da L'Espresso, 15 febbraio 2013


Il vero condono tombale non è quello fiscale o edilizio che Berlusconi promette, ma non avrà mai più i voti per realizzare. Il vero condono tombale è quello politico e culturale che gli consente di dire le più ciclopiche enormità senza mai pagare pegno. E non parlo tanto delle bugie, che non sono certo una sua esclusiva, specie in campagna elettorale. Ma di tutto il resto, che è anche peggio.

Domenica sera, in diretta tv, il Cavaliere ha confessato un reato (una turbativa d'asta) da arresto immediato e ne ha giustificato uno non suo (una corruzione internazionale) mostrandosene molto, troppo informato. La turbativa d'asta l'ha commessa lui e, se lo dice lui, c'è da credergli: «Per i lavori del Ponte sullo Stretto ho parlato personalmente con i principali operatori internazionali perché non partecipassero alla gara, così il mio governo li ha appaltati a un'azienda italiana (Impregilo, ndr), che poi ha affidato i subappalti a ditte italiane». Ora, per opere di quell'entità (roba da 7-8 miliardi di euro), è arcinoto che si richiedono gare internazionali per coinvolgere le migliori imprese e scegliere l'offerta più convincente e conveniente. L'idea che un governo possa dissuadere le imprese straniere dal concorrere è non solo un plateale delitto, punito in tutto il mondo, ma anche il sintomo di una concezione sovietica, da gosplan, dell'economia; nonché un segnale devastante ai mercati, visto che l'Italia dovrebbe far di tutto per attrarre capitali e investimenti dall'estero, non certo bloccarli alla frontiera.

La corruzione internazionale è quella di cui è accusato il gruppo Eni e per cui è indagato l'amministratore delegato Paolo Scaroni in una storia di presunte tangenti al governo algerino in cambio di appalti a Saipem. Berlusconi si guarda bene dallo scagionare l'Eni dell'amico Scaroni, anzi, dà per scontate le mazzette. Ma le giustifica e le elogia, sostenendo che la magistratura non dovrebbe occuparsene per non «danneggiare l'economia» (diversamente dal caso Montepaschi, per cui invece invoca qualche bell'arresto elettorale). Perché - sostiene testualmente - «a livello internazionale, quando si contratta con governi non democratici, ci sono delle combinazioni da attivare» per sbaragliare la concorrenza. Insomma, se i pm italiani pretendono che le aziende italiane non sborsino bustarelle in giro per il mondo, gli appalti se li pappano le aziende straniere che invece pagano senza rischiare nulla.

Debole in diritto, nonostante la laurea in legge, Berlusconi non sa, o finge di non sapere, che la corruzione (tanto più quella internazionale) è punita in tutto il mondo, e molto più severamente che da noi. Grazie a lui, in Italia le aziende possono tranquillamente falsificare bilanci e accumulare fondi neri per pagare mazzette: il che scredita tutto il nostro sistema imprenditoriale, anche chi eventualmente avesse bilanci regolari e non pagasse tangenti in cambio di appalti: perché nessun concorrente straniero si azzarda a sfidare i gruppi italiani partecipando a una gara che lui non può truccare, mentre i nostri sì. Ecco un altro fattore che respinge gli investimenti esteri di cui avremmo bisogno come del pane.

La doppia confessione di Berlusconi non ha suscitato alcun moto di sdegno fra i suoi avversari in campagna elettorale. Anche perché Scaroni ha sempre goduto di appoggi trasversali, da destra al centro a sinistra. Un altro manager ambidestro, Cesare Geronzi, nel libro "Confiteor", vaticinava pochi mesi fa che «un eventuale Monti bis potrebbe comportare la nomina di Scaroni come ministro degli Esteri». Eppure, a prescindere dalla fondatezza o meno di quest'accusa di corruzione, nessuno è autorizzato a meravigliarsene. La prima volta che Scaroni balzò agli onori delle cronache giudiziarie fu nel 1992, quando era amministratore della Techint e il pool Mani Pulite lo fece arrestare per aver pagato tangenti da centinaia di milioni di lire al Psi in cambio di appalti dall'Enel. Patteggiò 1 anno e 4 mesi, poi Berlusconi lo promosse amministratore delegato dell'Enel. Per competenza specifica.

(15 febbraio 2013)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-cavaliere-si-che-se-nintende/
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« Risposta #186 inserito:: Febbraio 26, 2013, 10:09:09 pm »

Lo schiaffo di Grillo e la retromarcia del centrosinistra
   

di Marco Travaglio, da Il Fatto quotidiano, 26 febbraio 2013

La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito? La risposta è arrivata ieri: ce l’han fatta un’altra volta. Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Del resto, a rivedere la storia del ventennio orribile, era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro.

L’abbiamo scritto fino alla noia: nel novembre 2011, quando B. si dimise fra le urla e gli sputi della gente dopo quattro anni di disastri, era dato al 7%: bastava votare subito, con la memoria fresca del suo fallimento, e gli elettori l’avrebbero spianato, asfaltato, polverizzato. Invece un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro in cui ci aveva cacciati.

Il risultato è quello uscito ieri dalle urne. Che non è la rimonta di B: è la retromarcia del centrosinistra. Che pretende di aver vinto con meno voti di quando aveva perso nel 2008. Il Pdl intanto ha incenerito metà dei voti di cinque anni fa, la Lega idem. E meno male che c’era Grillo a intercettarli, altrimenti oggi il Caimano salirebbe per la quarta volta al Quirinale per formare il nuovo governo. Il che la dice lunga sulla demenza di chi colloca M 5 S all’estrema destra o lo paragona ad Alba Dorata.

Il centrodestra è al minimo storico, sotto il 30%, che però è il massimo del suo minimo: perché B. s’è alleato con tutto l’alleabile, mentre gli strateghi del Pd con la puzza sotto il naso han buttato fuori Di Pietro e quel che restava di Verdi, Pdci, Prc e hanno schifato Ingroia: altrimenti oggi avrebbero almeno 2 punti e diversi parlamentari in più, forse addirittura la maggioranza al Senato. Ma credevano di avere già vinto, con lo “squadrone” annunciato da Bersani dopo le primarie: l’ennesima occasione mancata (oggi, col pur discutibile Renzi, sarebbe tutta un’altra storia).

Erano troppo occupati a spartirsi le poltrone della nuova gioiosa macchina da guerra per avere il tempo di fare campagna elettorale. I voti dovevano arrivare da sé, per grazia ricevuta e diritto divino, perché loro sono i migliori e con gli elettori non parlano. Qualcuno ricorda una sola proposta chiara e comprensibile di Bersani? Tutti hanno bene impresse quelle magari sgangherate di Grillo e quelle farlocche di B. (soprattutto la restituzione dell’Imu, tutt’altro che impossibile, anche se pagliaccesca visto che B. l’Imu l’aveva votata). Di Bersani nessuno ricorda nulla, a parte che voleva smacchiare il giaguaro.

Anche questo l’abbiamo scritto e riscritto: nulla di particolarmente brillante, tant’è che ci era arrivato persino D’Alema. Ma non c’è stato verso: la campagna elettorale del Pd non è mai cominciata, a parte i gargarismi sulle alleanze con SuperMario (da ieri MiniMario) e i formidabili “moderati” di Casini (tre o quattro in tutto). Col risultato di uccidere Vendola, mangiarsi l’enorme vantaggio conquistato con le primarie e regalare altri voti a Grillo, non bastando l’emorragia degli ultimi anni.

Ora è ridicolo prendersela col Porcellum (peraltro gelosamente conservato): chi, dopo 5 anni di bancarotta berlusconiana, non riesce a convincere più di un terzo degli elettori non può pretendere di governare contro gli altri due terzi. Anzi, dovrebbe dimettersi seduta stante per manifesta incapacità, ponendo fine al lungo fallimento di un’intera generazione: quella degli ex comunisti che non ne hanno mai azzeccata una. Ma dalle reazioni fischiettanti di ieri sera non pare questa l’intenzione: tutti resteranno al loro posto e, lungi dallo smacchiare il giaguaro, proveranno ad allearsi col giaguaro in una bella ammucchiata per smacchiare il Grillo e soprattutto evitare altre elezioni. Auguri. Quos Deus vult perdere, dementat prius.


da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/lo-schiaffo-di-grillo-e-la-retromarcia-del-centrosinistra/
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« Risposta #187 inserito:: Marzo 02, 2013, 11:01:17 pm »

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Grillo e il papello

di Marco Travaglio | 1 marzo 2013


Nessuno riesce a entrare nella testa di Grillo. Forse nemmeno Grillo. Difficile capire se prevalga la soddisfazione o la preoccupazione. Soddisfazione nel vedere i politici che l’hanno sempre schifato strisciare ai suoi piedi e implorarlo di salvarli con la fiducia. Preoccupazione per una politica allo sbando che rischia di far pagare ai cittadini l’ennesimo scotto della propria incapacità.

Eppure, dai messaggi che l’ex comico invia tramite il blog e le interviste alla stampa estera, una cosa si può dire: l’Antipolitico fa politica più o meglio dei professionisti della politica. Il gioco di questi ultimi è chiarissimo: non avendo capito nulla di quanto sta accadendo, s’illudono di padroneggiare ancora la situazione ingabbiando gl’ingenui “grillini” in un governo minoritario che prometta di fare tutto ciò che chiedono, ottenendone la fiducia e poi torni alle pratiche consociative di sempre, ricattandoli con la minaccia del voto anticipato che ricadrebbe sulle loro spalle, con annesse accuse di sfascismo e irresponsabilità lanciate da stampa e tv di regime. Una trappola che somiglia al vecchio trucco del cerino: l’ultimo si brucia le dita. Solo un campione di ingenuità suicida può pensare che un movimento rivoluzionario possa votare la fiducia a un governo altrui. E, con buona pace della stampa di regime, non esiste alcuna “rivolta del web” contro i No di Grillo.

Il web è una zona franca dove scrivono tutti, anche i troll dei partiti camuffati da “base di 5 Stelle”. I partiti dell’ammucchiata Monti non vedono l’ora di rimettersi insieme per evitare le urne, cioè un altro balzo di Grillo. Ma hanno un problema: i loro elettori. Il Pd finge di dialogare con M5S, per poi allargare le braccia: “Purtroppo Grillo non vuole e ci costringe alla grande coalizione per eleggere il Presidente, tranquillizzare i mercati, lo spread e l’Europa”. D’Alema ha già avviato contatti con Letta, prigioniero di quella Bicamerale mentale che lo porta a una continua coazione a ripetere. Grillo sa che lì si andrà a parare e deve evitare di restare col cerino in mano: cioè di essere additato domani come il colpevole dell’inciucione o di nuove elezioni. Perciò ricorda ossessivamente il programma di M5S e sfida i partiti a farlo proprio. Ora, per smascherare il bluff, deve fare un passo in più: presentare un papello semplice, fattibile e al contempo rivoluzionario, in cambio dell’uscita dall’aula dei senatori “grillini” che consentirebbe la nascita “condizionata” del governo. Abolire i rimborsi elettorali. Dimezzare i parlamentari e i loro compensi. Legge elettorale maggioritaria con doppio turno francese. Anti-corruzione e anti-evasione con pene doppie e prescrizione bloccata al rinvio a giudizio, nuovi reati come autoriciclaggio, falso in bilancio, collusione mafiosa. Ineleggibilità per condannati, portatori di conflitti d’interessi e concessionari pubblici. Antitrust su tv e pubblicità. Cancellazione di Tav Torino-Lione, Terzo Valico, Ponte sullo Stretto e altre opere inutili, nonché dell’acquisto degli F-35. Ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Divieto per ex eletti o iscritti a partiti di entrare nei Cda di banche e fondazioni. Via gli aiuti di Stato a banche, imprese e scuole private. Via le esenzioni fiscali a edifici ecclesiastici e bancari. Ilva e Mps nazionalizzati. Patrimoniale. Reddito di cittadinanza o sussidio di disoccupazione. Tetto alle pensioni d’oro. Abolizione immediata delle province e potatura di consulenze e poltrone delle società miste. Sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani. Detraibilità delle spese di sussistenza. Wi-fi libero e gratis. Più fondi a scuola pubblica, università e ricerca.

A questo punto possiamo anche svegliarci dal sogno, perché un programma del genere i partiti non se lo possono permettere: si condannerebbero al suicidio. Ma almeno sarebbero costretti ad ammetterlo e tutto sarebbe finalmente chiaro.

Il Fatto Quotidiano, 1 Marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/01/grillo-e-papello/517018/
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« Risposta #188 inserito:: Marzo 10, 2013, 11:26:28 am »

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Penne Tricolori

di Marco Travaglio | 9 marzo 2013

Patrioti di tutt’Italia, unitevi. Un pericoloso agente dello straniero, probabilmente allevato in una birreria bavarese (la giacca a vento da uomo mascherato nasconde certamente la camicia nera o bruna), osa evitare i giornalisti italiani che molto professionalmente bivaccano sotto casa sua e lo inseguono anche sulla spiaggia durante il jogging implorando “’a Gri’, dicce quarcosa, ‘na dichiarazzzione!”. E, per sfuggire all’accusa di non rispondere alle domande, si fa pure intervistare da tv e giornali esteri, notoriamente incapaci di fare domande (nonché vergognosamente non finanziati dallo Stato).

Costringendo così i giornalisti italiani a manipolare quel che ha detto per non far la figura dei copioni passacarte. Urge dunque una reazione della stampa nazionale, possibilmente proporzionata all’offesa ricevuta: per lavare l’onta, si attivi subito una pattuglia di Penne Tricolori che stanino l’agente nemico in ogni dove e lo costringano a sottoporsi al classico, impietoso terzo grado che tv e giornali italiani sono soliti riservare ai potenti. Si recluti un manipolo di intrepidi giornalisti, sull’esempio dei capitani coraggiosi benedetti da D’Alema che scalarono la Telecom senza soldi, degl’impavidi patrioti arruolati da B. che mandarono allo sfascio l’Alitalia, dei benemeriti del quartierino racimolati da Fazio che tentarono di papparsi due banche per salvaguardarne “l’italianità”.

Si faccia dunque muro, si rafforzino gli argini, si presidino i confini per salvare l’italianità dell’informazione, che rischia di emigrare lontano dal sacro suolo patrio (dopo la fuga dei cervelli, quella delle interviste). Nessuno può tirarsi indietro. Si elevino mòniti dai colli più alti e si approntino opportuni slogan per sensibilizzare l’opinione pubblica. L’eversore dà un’intervista a un giornale di Londra? “Dio stramaledica gli inglesi”. Il fellone parla con una tv tedesca? “Fottutissimi crucchi mangia-crauti e ciucciawürstel”. Il traditore risponde a un inviato giapponese? “Musi gialli ballate l’alligalli”. Il disertore colloquia con una cronista malgascia? “Penne malgasce tutte bagasce”.
Il vile si concede a un rotocalco guatemalteco? “Chi scrive in Guatemala ci ha la mamma maiala”. Che poi non si capisce bene quali sarebbero, queste famose colpe del giornalismo italiano. Ancora ieri la stampa nazionale ha dato luminosa prova di indipendenza e completezza dell’informazione.

Sul caso Durnwalder-Quirinale, silenzio di tomba. Sul rinvio a giudizio di politici, carabinieri e mafiosi per la trattativa e sulla condanna di B. per il cd-rom rubato con la telefonata segretata Fassino-Consorte e passato al Giornale, il Corriere titola in prima pagina: “Si riapre il caso giustizia” (in effetti è un caso che ogni tanto in Italia, nonostante tutto, si appalesi ancora la Giustizia). L’Unità spara a tutta prima: “Il nastro della vergogna. Fassino: fummo denigrati” (ma il reato non è diffamazione, è violazione del segreto: l’unico a denigrare Fassino fu Fassino, sponsorizzando la scalata illegale Bnl-Unipol). Intanto relega il processo sulla trattativa a pagina 12 e s’inventa “critiche all’inchiesta” da parte del Gup (che invece ha solo segnalato l’eccessiva sintesi della richiesta di rinvio a giudizio e la mancanza di un indice ai 90 faldoni di atti).

Per Messaggero e Stampa, la trattativa non merita un rigo in prima pagina. E neppure per Libero e Giornale, che in compenso assolvono B. (“Abbiamo una carognata”, “Follie giudiziarie”), ma non la Boccassini (“è fuori legge”). E sbattono il mostro Grillo in prima pagina, scambiandolo per l’autista (“Soldi e società: affari a 5 stelle off-shore”, “Strani affari all’estero e discorsi in stile Hitler”).

E con una stampa così libera e credibile in casa, il populista esterofilo va in cerca di giornalisti stranieri? Vallo a capire. Oltreché nazista, fascista e off-shore, dev’essere pure matto.

Il Fatto Quotidiano, 9 Marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/09/penne-tricolori/525499/
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« Risposta #189 inserito:: Marzo 17, 2013, 05:41:09 pm »

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Camere di sicurezza

di Marco Travaglio | 16 marzo 2013


Sta finendo tutto come ampiamente previsto: con le retate e i rastrellamenti. Come nel 1994. Si aprono le Camere e soprattutto le camere di sicurezza. Gli ex onorevoli De Gregorio, Cosentino, Tedesco e Nespoli, appena decaduti e dunque privi dell’immunità raggiungono le patrie galere, dove avrebbero dovuto soggiornare da anni se i partiti non li avessero protetti con scudi reciproci. Altri a breve li seguiranno, anche fra i neoeletti, perché in Parlamento, almeno sulla carta, non c’è più una maggioranza che possa permettersi i soliti giochetti. Il capogruppo di 5 Stelle al Senato, Vito Crimi, rispondendo l’altro giorno con aria serafica alla domanda di un giornalista, ha innescato una slavina che nemmeno lui probabilmente immaginava: ha detto che il suo gruppo, dopo aver contestato per anni la sindrome da immunodelinquenza acquisita delle Camere, è prontissimo a votare l’ineleggibilità di B., ineleggibile da 19 anni esatti, cioè da quando fu eletto la prima volta, dinanzi alla giunta per le elezioni di Palazzo Madama; ed è altrettanto pronto a votare sì a eventuali richieste di arresto nei suoi confronti.

A quel punto il Pd, reduce da un terrificante salasso di voti verso 5 Stelle, ha dovuto rispondere tramite il Migliavacca di turno che è pronto a fare altrettanto, onde evitare di regalare qualche altro milione di voti a Grillo. Il Migliavacca è lo stesso che ancora pochi mesi fa s’incontrava in gran segreto con Verdini al tavolo della legge elettorale, dunque è impossibile che sia rinsavito all’improvviso: semplicemente sente addosso il fiato della gente e reagisce di conseguenza. Per questo, oltreché per guadagnare qualche altro giorno prima delle sentenze del caso Mediaset e del caso Ruby, e – si capisce – per curare la gravissima forma di uveite bilaterale con scappellamento a destra che l’ha colpito da quando ha esaurito i legittimi impedimenti elettorali, il Cainano se ne sta asserragliato con gli occhiali scuri da visita fiscale in una stanza del San Raffaele, che è sempre meglio di San Vittore: perché non sa che pesci pigliare. I sempre geniali on. avv. Ghedini e Longo, dopo lunghe e meditate riflessioni, gli hanno partorito un’ideona mica da ridere: chiedere il trasloco dei processi da Milano a Brescia. La stessa baggianata che avevano sfoderato già dieci anni fa, con apposita legge Cirami incorporata, perché il Tribunale milanese non sarebbe sereno. Dieci anni fa c’erano i Girotondi. Ora c’è un’orda di parlamentari del Pdl, compresi gli stessi Ghedini e Longo, che marcia sul Tribunale medesimo infettandolo irreparabilmente di grave pregiudizio.

Possiamo facilmente immaginare l’accoglienza che avrà questa proposta indecente quando sarà esaminata dalla Corte d’appello e dalla Cassazione: una doppia pernacchia. Ma intanto si guadagnerà qualche settimana prima delle sentenze (che lui – conoscendosi – prevede di sicura condanna), in attesa di un qualcosa che nessuno, nemmeno loro, riesce a immaginare. Potrebbero travestirlo da marò e spedirlo in India: al confronto dei suoi reati, l’omicidio colposo di due pescatori è un divieto di sosta. O potrebbero offrire ai giudici 3 milioni a testa come a De Gregorio, col rischio però di regalargli un altro processo. Oppure potrebbero chiedere a Mancino di chiamare il Quirinale per mobilitare la Procura della Cassazione, sperando che s’inventi qualcosa. La via maestra, cioè la fuga all’estero sulle orme di Craxi, non viene proprio considerata: in un’intervista alla lingua di Giorgio Mulè per Panorama e Giornale, il Cainano definisce “inimmaginabile” l’opzione B (come Bettino): significherebbe “consegnarsi a una damnatio memoriae”. Che peraltro è la sua salvezza: se ci fosse un po’ di memoria, Napolitano non gli regalerebbe tanti moniti e lui non prenderebbe tanti voti.

Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/16/camere-di-sicurezza/532893/
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« Risposta #190 inserito:: Aprile 11, 2013, 05:30:41 pm »

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Quirinale 2013. Madonna Bonino

di Marco Travaglio | 10 aprile 2013


Quando ho scritto “Si fa presto a dire Bonino”, la sapevo apprezzata da molti italiani per le caratteristiche che illustravo nelle prime righe: donna, competente, onesta, impegnata per i diritti civili, umani e politici in tutto il mondo. Non la sospettavo, però, circondata di persone adoranti che la guardano con gli occhi che dovevano avere i pastorelli di Fatima davanti alla Madonna. A questi innamorati che non sentono ragioni, anzi preferiscono non conoscere o non ricordare le zone d’ombra (solo politiche, lo ripeto) della sua lunghissima carriera politica, non so che dire: al cuore non si comanda. Rispondo invece alle cortesi obiezioni del segretario radicale Mario Staderini, il quale – diversamente da me – la ritiene il presidente della Repubblica ideale. E, per nobilitarla e dipingerla come antropologicamente estranea al berlusconismo, cita alcuni suoi imbarazzanti avversari (Ferrara, Gasparri, Libero). Potrei rispondere che invece Mara Carfagna la vuole al Quirinale, ma preferisco concentrarmi sulla biografia della Bonino.

Chi auspica un Presidente estraneo alla casta, tipo Zagrebelsky, Settis, Gabanelli, Caselli, Guariniello, Strada e altri, non può certo sostenere la Bonino, 8 volte parlamentare italiana e 3 volte europea. I suoi amici la raffigurano come un’outsider estranea all’establishment. Che però non è d’accordo: altrimenti la Bonino non sarebbe stata invitata a una riunione del gruppo Bilderberg, o almeno non ci sarebbe andata. Sulla sua vicinanza, “fra alti e bassi”, al Polo berlusconiano dal 1994 (quando fu eletta con Forza Italia fino al ’96, senza dire una parola contro le prime violenze alla Giustizia e alla Costituzione) al 2006, ci sono tonnellate di articoli di giornale, lanci di agenzia, esternazioni, vertici, incontri, tavoli, inseguimenti, corteggiamenti, ammuine. Il tutto mentre il Caimano ne combinava di tutti i colori, nel silenzio-assenso della Bonino (che ancora nel 2004 veniva proposta da Pannella per un posto di ministro; e nel 2005 dichiarava: “Con Berlusconi abbiamo iniziato un lavoro molto serio… apprezziamo ciò che sta facendo come premier, ma la posizione degli alleati è nota”: insomma cercava disperatamente l’alleanza con lui, che alla fine la scaricò per non inimicarsi “gli alleati” e il Vaticano). Poi la Emma passò armi e bagagli col centrosinistra e cambiò musica. Un po’ tardi, a mio modesto avviso. Ma neppure in seguito, sulle questioni cruciali del berlusconismo (leggi vergogna, rapporti con la mafia, corruzioni, attacchi ai magistrati e alla Costituzione, conflitti d’interessi, editti bulgari e postbulgari), risulta un solo monosillabo della Bonino. Forse perché, pur con motivi molto diversi, sulla giustizia B&B hanno sempre convenuto: separazione delle carriere, abolizione dell’azione penale obbligatoria (altro che difesa della “Costituzione più bella del mondo”, caro Staderini), per non parlare dell’idea intimidatoria e pericolosa della responsabilità civile dei magistrati che non esiste in nessun’altra democrazia.

La corrispondenza di amorosi sensi con B. si estende al No radicale all’arresto di Cosentino perché “siamo contro l’immunità parlamentare, però esiste”. Al fastidio per i sindacati, definiti in blocco “barbari, oscurantisti e retrogradi” (Ansa, 22-1-2000). E alla lettura dell’inchiesta Mani Pulite come operazione politica filocomunista: per la Bonino le tangenti di Craxi furono solo “errori” e occorre “una rivisitazione seria di cosa è successo dal ’90 in poi: la mia analisi è che indubbiamente, soprattutto nel ’92, si è cercato di risolvere alcuni problemi politici per vie giudiziarie, un po’ orientate perchè poi se n’è salvato uno solo di partito” (Ansa, 19.11.99). Per non parlare dello scandalo delle frequenze negate per dieci anni a Europa7 per non disturbare Rete4 che le occupava abusivamente.

Il 1° aprile 2007, ministro delle Politiche europee del governo Prodi-2, la Bonino porta in Consiglio dei ministri tutte le sentenze della Corte di giustizia europea per darne finalmente attuazione. Tutte, tranne una: quella che dà ragione a Europa7 e torto al gruppo B. Una cronista le chiede il perché, e lei risponde che non c’è alcuna urgenza (in effetti Europa7 attende le frequenze negate solo dal 1999, quando vinse la concessione e Rete4 la perse).

C’è poi il bilancio di Commissario europeo dal 1994 al ’99 su nomina di B., quando, insieme a battaglie sacrosante, la Bonino sponsorizza i cibi Ogm senza etichettatura.E soprattutto sostiene l’insensata sospensione degli aiuti all’Afghanistan, dopo una sfortunata missione a Kabul in cui è stata fermata dalla polizia religiosa perché i suoi collaboratori fotografano e filmano il volto delle donne, in barba alla legge islamica. Durante la guerra in Afghanistan – da lei appoggiata come quelle nell’ex Jugoslavia e in Iraq (“Io credo che non ci fosse alternativa per sconvolgere la rete terroristica: se mandiamo il messaggio che dopo le torri di New York possono bombardare, senza colpo ferire, anche il Colosseo e la Torre Eiffel, non ci dà sicurezza”) – la Bonino si oppone alla sospensione dei bombardamenti proposta dall’Ulivo per aprire un corridoio umanitario agli aiuti ai profughi (“servirebbe solo ai talebani per riorganizzarsi”, Ansa 2-11-2001).

Nel 2007, poi, durante il sequestro Mastrogiacomo, non trova di meglio che prendersela con Gino Strada, accusandolo di trescare con i talebani col suo “atteggiamento ambiguo, tra l’umanitario e il politico, che si può prestare a qualunque illazione”, perché “scientemente o incoscientemente – che sarebbe ancora peggio – finisce per giocare un ruolo che è sempre un ruolo ambiguo, tra torturati e torturatori. Quando uno si mette a praticare una linea così ambigua, così poco limpida, si presta a qualunque gioco altrui. Nell’illusione di tirare lui le fila, finisce che il burattinaio non è lui” (Ansa, 9.4.2007). A proposito di ambiguità fra torturati e torturatori, ho cercato disperatamente nell’archivio Ansa una parola della Bonino su Abu Ghraib e su Guantanamo. Risultato: non pervenuta.

Il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2013

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« Risposta #191 inserito:: Maggio 24, 2013, 04:32:14 pm »

E B. diventò un 'bugiardo sincero'

di Marco Travaglio

Grazie al Pd, il leader del centrodestra sta completando la sua trasformazione, riuscendo a realizzare le impossibili sparate elettorali. Un altro esempio di come l'inciucio sia a tutto suo vantaggio

(15 maggio 2013)

Montanelli lo definiva «un bugiardo sincero», ma solo nel senso che «mente così bene da finire col credere alle sue stesse bugie». Ora Berlusconi rischia di diventare un bugiardo sincero anche nel senso che le sue menzogne riesce persino a realizzarle. Non è un paradosso, è peggio. In campagna elettorale molti, lui compreso, sapevano benissimo che la sua promessa di abolire l'Imu per il futuro e di restituire quella già pagata era totalmente assurda: sia perché manca la copertura finanziaria, sia perché la tassa sulla casa, almeno per i redditi medio-alti, è un'equa patrimoniale, un buon inizio di federalismo fiscale e un ottimo antidoto all'evasione di massa (i fabbricati sono l'unico bene impossibile da nascondere).

Ma su quella promessa il Caimano ha costruito la sua piccola rimonta alle elezioni (il grosso, com'è noto, l'ha fatto la decrescita infelice del centrosinistra). E su quella promessa costruisce la sua prossima campagna elettorale, dove il politico più bugiardo di tutti i tempi si presenterà come un uomo di parola, mentre gli altri faranno la figura dei bugiardi voltagabbana (a parte Grillo, fin troppo ligio agli impegni elettorali). Monti s'era impegnato a non candidarsi e s'è candidato. Napolitano aveva giurato di non farsi rieleggere e s'è fatto rieleggere. Il Pd aveva strillato "mai con Berlusconi" e poi con Berlusconi s'è accordato sul Quirinale e sul governo. Invece il Cavaliere, sapendo di perdere, aveva chiesto la grande coalizione col Pd e l'abrogazione dell'Imu: ha ottenuto la prima e otterrà almeno in parte la seconda. E se l'otterrà solo in parte, potrà usare la vittoria mutilata come pretesto per rovesciare il governo contro la solita "sinistra delle tasse": cioè senza pagare pegno, anzi lucrando voti. Intanto il governo Letta si sarà tarpato le alucce, sperperando miliardi inutili per inseguire le mattane del Caimano e precludendosi la possibilità di alleggerire il peso del fisco in settori ben più cruciali (tipo il lavoro). Così l'inciucio si rivela ancora una volta - come sempre, in questi vent'anni - asimmetrico e sbilanciato pro Berlusconi. Lui ci guadagna, gli altri ci rimettono. Nel "do ut des", il "do" del Pd al Pdl si vede benissimo, mentre si stenta ad afferrare l'"ut des" del Pdl al Pd.

In attesa di stabilire se il Cavaliere sia il politico più abile del ventennio o i leader del centrosinistra i più stupidi (o ricattabili) del millennio, nessuno considera l'abissale differenza dei due elettorati. Quello del Pdl, almeno nel suo zoccolo duro, è uguale al suo signore e padrone e lo segue ciecamente ovunque vada: sia se va alla guerra contro il centrosinistra, sia se ci va al governo. Quello del Pd è molto meglio dei suoi dirigenti e, quando se ne sente tradito, cioè quasi sempre, reagisce. Perciò ora il Pdl, che aveva straperso le elezioni, arrivando terzo dietro Pd e M5S e smarrendo per strada 6,5 milioni di elettori, cresce nei sondaggi. Il Pd, che di voti ne aveva persi la metà ed era arrivato primo, è in caduta libera. Eppure si è pappato le prime quattro cariche dello Stato e al Pdl ha lasciato le poltrone di vicepremier e ministro dell'Interno per l'imbarazzante Alfano e un pugno di dicasteri. Il che consentirà a Berlusconi di presentarsi, quando vorrà, agli elettori travestito da statista che non bada alle cadreghe. E nessuno (almeno si spera) oserà più contestargli il conflitto d'interessi, visto che se c'è una certezza in questa legislatura è che una legge in materia il Pd non oserà neanche proporla, né tantomeno votare per l'ineleggibilità dell'ineleggibile.

Poi c'è la ciliegina sulla torta. Nel governo il Pdl non ha infilato neppure un indagato, mentre il Pd ha piazzato due imputati: Filippo Bubbico, rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, e Vincenzo De Luca, che vanta tre processi in corso (truffa e falso peculato; associazione a delinquere e concussione), una condanna poi prescritta per reati contro l'ambiente e un'indagine per falso ideologico e abuso d'ufficio. Così, quando torneremo a votare, il Pd non potrà più nominare la questione morale: anche quella gliela scipperà Berlusconi. Bugiardo sincero e disonesto onesto, per grazia ricevuta.


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« Risposta #192 inserito:: Maggio 24, 2013, 04:33:14 pm »

Che idiozia 'la guerra dei 20 anni'

di Marco Travaglio

Politici e intellettuali fanno a gara nello spiegarci che in Italia c'erano due fronti armati l'uno contro l'altro e ora c'è bisogno di pacificazione. Invece c'è stato solo un imputato che ha usato la politica per non farsi giudicare

(20 maggio 2013)

Va di moda la scemenza della "guerra dei vent'anni", una lunga "guerra civile" combattuta fra berlusconiani e antiberlusconiani (che curiosamente le han date tutte vinte a Berlusconi) e chiusa dal provvidenziale governo Letta.

Dalla scemenza principale discendono poi altre bizzarrie. Urge la «provvisoria e parziale messa tra parentesi del conflitto alla luce di un interesse superiore» (Michele Salvati, "Corriere"). La sinistra «recuperi l'identità smarrita nella confusione dell'antiberlusconismo viscerale, cioè della contrapposizione alla persone dell'avversario più che alla visione del mondo di cui lo stesso era (sic, ndr.) portatore» (Giovanni Pellegrino, "l'Unità"). «Non si misura su Berlusconi la nostra identità» (Emanuele Macaluso, "l'Unità"). «Tutti dovremmo imparare ad abbassare la voce, a rispettare gli avversari, a guardare in faccia la realtà di un Paese che, nella maggioranza della sua opinione pubblica, è stanco della politica urlata e concepita come scontro continuo» (Giovanni Belardelli, "Corriere").

Queste e altre lezioncine terziste dimostrano una sola cosa: a vent'anni dalla sua discesa in campo, gran parte degli intellettuali italiani continuano a far finta di non sapere chi è Berlusconi. E così i presunti belligeranti del Pd. Il giorno della condanna in appello del Cavaliere a 4 anni per frode fiscale, il viceministro Bubbico dichiarava che la sentenza «finché non diventa definitiva è nulla».

In realtà quello di appello è l'ultimo giudizio di merito e ha stabilito che la vittima della guerra civile è tecnicamente un delinquente, avendo mostrato «particolare capacità di delinquere nell'architettare» e «ideare una scientifica e sistematica evasione fiscale di portata eccezionale» che gli ha procurato «un'immensa disponibilità economica all'estero, ai danni non solo dello Stato, ma anche di Mediaset e, in termini di concorrenza sleale, delle altre società del settore».
Ora la Cassazione dirà se i giudici d'appello hanno rispettato il diritto. Ma i fatti sono definitivamente cristallizzati. Così come in un'infinità di altri processi, chiusi per amnistia o prescrizione (previo accertamento di colpevolezza), oppure per non doversi (anzi potersi) procedere perché «il fatto non è più previsto dalla legge come reato», essendo stato depenalizzato dall'imputato.

Nel caso Guardia di Finanza la Cassazione ha stabilito che la Fininvest pagò tre mazzette per addomesticare verifiche fiscali: non si sa se ad autorizzarle fu Paolo o Silvio Berlusconi (assolti), ma si sa chi le pagò (Salvatore Sciascia, condannato e promosso senatore) e chi depistò le indagini (Massimo Berruti, condannato e promosso deputato). Al processo Mondadori la Cassazione ha stabilito che la Fininvest corruppe il giudice Metta tramite gli avvocati Previti, Pacifico e Acampora (condannati), nell'interesse e con soldi di Berlusconi (prescritto). Al processo Mills la prescrizione gli ha risparmiato la condanna per aver corrotto con 400 mila dollari il teste inglese in cambio del suo silenzio.

Al processo All Iberian la Cassazione ha stabilito che Berlusconi finanziò illegalmente Craxi con 21 miliardi di lire (condannati in primo grado, i due compari si salvarono poi per prescrizione). Al processo sul consolidato Fininvest, la prescrizione tagliata dalla sua controriforma l'ha miracolato dal reato documentato di aver falsificato i bilanci per occultare ben 1.550 miliardi di lire su 64 offshore. Stessa scena per i bilanci falsi del Milan nell'acquisto di Lentini. L'amnistia del 1990 gli ha risparmiato due sicure condanne per falsa testimonianza sulla P2 e falso in bilancio sui terreni di Macherio.

Dunque, senz'attendere i giudizi di primo grado su Ruby, d'appello sulla divulgazione del nastro Fassino-Consorte e di Cassazione sui diritti tv, si può già affermare senza tema di smentite che Berlusconi è uno spergiuro, pluricorruttore, multifalsario di bilanci ed evasore. Ora rileggete le frasi all'inizio di quest'articolo e vedete se riuscite a restare seri.

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« Risposta #193 inserito:: Maggio 27, 2013, 04:48:29 pm »

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Pd, metodo Jolie

di Marco Travaglio | 25 maggio 2013


L’altra sera, ascoltando le parole di Walter Veltroni a Servizio Pubblico sulla trattativa e su B. e i silenzi del Pd sulle sentenze della Corte d’appello di Milano sui diritti Mediaset e della Cassazione sul no al trasloco dei processi a Brescia, mi ronzava in testa una domanda: ma cosa potrà mai dire il Pd, casomai esista ancora, quando si tornerà a votare?

Non potrà criticare il governo precedente: è presieduto dal suo Letta. Non potrà attaccare B.: è suo alleato. Non potrà neppure sfiorare il conflitto d’interessi: anche stavolta non ha neppure provato a risolverlo per legge, anzi si accinge a calpestare per la sesta volta la 361/1957. Non potrà promettere norme più severe contro le tangenti: l’unica legge che ha contribuito a partorire in vent’anni è quella che ha ridotto le pene e la prescrizione della concussione per induzione, salvando Penati e risparmiando a B. guai peggiori nel processo Ruby.

Non potrà nemmeno impegnarsi a combattere l’evasione, il riciclaggio e la criminalità organizzata: anche su questi tre fronti – cruciali non solo per la legalità, ma anche per il recupero di enormi bottini – l’alleanza Pd-Pdl non produrrà nulla di nulla. Non potrà rivendicare la “questione morale”, dopo aver mandato al governo due imputati come De Luca e Bubbico (mentre il Pd indicava miracolosamente solo ministri intonsi da processi ), votato l’imputato Formigoni a presidente della commissione Agricoltura e garantito l’elezione di Nitto Palma al vertice della commissione Giustizia, onde evitare visite notturne del fantasma incazzatissimo di Enrico Berlinguer.

Anche le parole “mafia” e “P2” saranno ovviamente proibite, dopo la festosa alleanza col partito fondato da Dell’Utri; dopo la difesa degli imputati Conso e Mancino accusati di falsa testimonianza sulla trattativa e dei maneggi di Napolitano contro le indagini; e dopo l’elezione del piduista Cicchitto al vertice della commissione Esteri per migliorare le esportazioni. Bandita anche la parola “ambiente”, impronunciabile dopo le battaglie campali in difesa dei Riva e di quella cloaca che è l’Ilva. Insomma quasi tutte le battaglie tipiche della sinistra italiana, che aveva avuto la fortuna di poterle combattere per decenni in esclusiva, almeno a parole, grazie a una destra impresentabile, le saranno precluse per motivi di decenza.

Dunque alle prossime elezioni, che si terranno quando B. deciderà che gli conviene staccare la spina al governo, avremo una sinistra afasica, o meglio ancor più afasica di sempre, che non potrà dire nulla perché non avrà nulla da dire e regalerà a Grillo tutte le sue parole d’ordine storiche. Dall’altra parte imperverserà B., loquacissimo contro “la sinistra delle tasse”: anche perché in autunno cadrà la maschera dell’Imu e si capirà che l’annunciata (molto incautamente) abrogazione dell’imposta sulla prima casa era solo un ridicolo rinvio di pochi mesi.

E tutto ciò non accadrà a sorpresa, ma in seguito a precise scelte politiche che Veltroni l’altra sera, a parte alcuni vuoti mnemonici davvero allarmanti, ha avuto il merito di illustrare e rivendicare: “Siamo andati al governo con B. perché l’alternativa era tornare al voto e far vincere B.”; “Votando l’ineleggibilità di B. alimenteremmo l’antiberlusconismo di cui B. da sempre si nutre per vincere”. A parte il fatto che, se B. fosse dichiarato ineleggibile, non potrebbe vincere, resta da capire perché mai B. abbia vinto per vent’anni contro un centrosinistra che meno antiberlusconiano non si poteva.

Ma è probabile che il Pd abbia scelto il metodo Angelina Jolie che, temendo un tumore ai seni, se li è fatti asportare. Siccome B. potrebbe andare al governo dopo le prossime elezioni, tanto vale portarcelo subito noi. E siccome alle prossime elezioni potremmo perdere i nostri elettori rimasti, li mettiamo in fuga subito e ci leviamo il pensiero. Come quel tale che, temendo di diventare impotente, si evirò. Furbo, lui.

il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2013

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« Risposta #194 inserito:: Giugno 07, 2013, 07:11:50 pm »

Opinione

Per salvare B. faranno l'amnistia

di Marco Travaglio

Il Cavaliere rischia la condanna definitiva e l'interdizione dai pubblici uffici. Con conseguenze pesanti per il governo delle 'larghe intese'.
Ecco perché, zitti zitti, si preparano a usare l'arma finale

(04 giugno 2013)

L'11 aprile Ignazio La Russa, che ogni tanto confessa, disse con l'aria di scherzare: «Il prossimo capo dello Stato sarà una donna: si chiama Salva di nome e Condotto di cognome». Pensava alla ministra della Giustizia uscente Severino, che già aveva ben meritato agli occhi di Berlusconi tagliando pene e prescrizione della concussione e dicendosi favorevole all'amnistia. Poi invece restò Napolitano che il 7 febbraio disse: «Se mi fosse toccato mettere una firma sull'amnistia, l'avrei fatto non una, ma dieci volte».

Comunque la battutaccia di La Russa piacque molto al Cavaliere, che promosse l'amico ?Gnazio a presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, ora chiamata a decidere su cinque suoi processi per diffamazione e cause per danni. Ma nulla può contro l'eventuale condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale nel processo Mediaset, con automatica interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Nel qual caso il condannato dovrebbe lasciare il Parlamento entro un anno, rinunciare a candidarsi alle prossime elezioni e trascorrere 12 mesi agli arresti domiciliari (gli altri tre anni sono condonati dall'indulto del 2006, che però salterebbe in caso di nuova condanna al processo Ruby).

Eppure dal Pdl e dal Pd si continua a ripetere che una condanna non avrebbe effetti sul governo. Assurdità allo stato puro, visto che difficilmente il centrodestra terrebbe ferme le mani mentre il suo leader viene defenestrato dal Senato e accompagnato dai carabinieri a scontare la pena a domicilio.

Ma, se tutti ostentano sicurezza, significa che nei protocolli segreti dell'inciucio sul governo Letta è previsto un salvacondotto. Già, ma quale? Si è parlato della nomina di Berlusconi, magari in tandem con Prodi, a senatore a vita. Sarebbe uno scandalo: il laticlavio è previsto dalla Costituzione per chi ha "illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario".


Ma soprattutto non sarebbe un salvacondotto: i senatori a vita, se condannati, scontano le pene detentive e accessorie come i comuni mortali. I falchi del Pdl ogni tanto minacciano una norma che cancelli le pene accessorie, ma difficilmente passerebbe: anche Pietro Maso, ora che ha scontato la pena, potrebbe candidarsi a un ufficio pubblico. E il Pd, votando una legge ad personam per il Caimano dopo averlo riportato al governo, perderebbe pure i pochi elettori rimasti. Anche la grazia, nonostante la manica larga con cui Napolitano la elargisce, sarebbe improponibile: per la Consulta è un "provvedimento umanitario" per lenire una pena detentiva oltremodo sofferta; e in base all'ex Cirielli il Cavaliere, avendo più di 70 anni, le galere non può vederle neppure in cartolina.

L'unico salvacondotto in grado di risparmiare a lui l'interdizione e al governo Letta la morte prematura è l'amnistia. Anche se nessuno ha il coraggio di nominarla, anzi proprio per questo. La guardasigilli Cancellieri insiste ogni due per tre sull'"emergenza carceri". Specie dopo che l'ha citata un Berlusconi sull'orlo delle lacrime in un passaggio ignorato da tutti del comizio anti-pm a Brescia. Siccome l'uomo non è un apostolo degli ultimi e dei diseredati, è probabile che l'improvvisa commozione non riguardasse tanto gli attuali detenuti, quanto quelli futuri. Soprattutto uno: lui. Del resto, nei dati sulla popolazione carceraria, non risulta mezzo evasore fiscale.

Dunque prepariamoci alle prossime mosse: qualche rivolta di detenuti nei mesi estivi; campagne "garantiste" contro il sovraffollamento sugli house organ di destra, seguiti a ruota dai finti ingenui di sinistra; i soliti moniti del Colle; le consuete giaculatorie cardinalizie. Poi, come per l'indulto bipartisan del 2006, una bella amnistia urbi et orbi, estesa ai reati dei colletti bianchi e alle pene accessorie. Così migliaia di detenuti usciranno per qualche mese (poi le celle torneranno a riempirsi: i delinquenti sono tanti e, per chi non lo è, nessuno ha interesse a cambiare le leggi che producono troppi reclusi). E uno non uscirà dal Parlamento: lui.

   
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