«Il Pd è ridotto a una somma di comitati elettorali»
di Osvaldo Sabato
«Devo dire che sono rimasto colpito da alcuni interventi che ho ascoltato nella direzione nazionale del 18 dicembre scorso e da alcune dichiarazioni sulla stampa». Esordisce così il sindaco di Firenze Leonardo Domenici puntando la sua attenzione sul rapporto tra il Pd nazionale e le città. Le inchieste delle procure di Napoli, Pescara e Firenze, che hanno colpito da dentro le amministrazioni di queste città, hanno riportato a galla la questione morale. Qualcuno però fa notare la poca incisività del Pd nazionale sulle realtà locali con i “cacicchi” che hanno preso il sopravvento.
Ma per il sindaco di Firenze, il problema è più politico. «Beh - dice - quando leggo che in questo momento bisognerebbe, facendo di ogni erba un fascio e senza fare nessuna distinzione di merito, introdurre una più netta distinzione tra il partito e gli amministratori locali penso che si stia dicendo una cosa sbagliata, gravemente sbagliata. Mi riferisco, per esempio, ad alcune dichiarazioni di Giorgio Tonini e mi chiedo se su questo punto non sia opportuno andare ad un chiarimento serio, vero, dentro il Pd».
Domenici insiste: «Veltroni più volte ha detto che certo ci sono dei problemi a livello locale, ma bisogna pensare a quella migliaia di amministratori del Pd che lavorano in maniera seria e portano avanti l’esperienza concreta di quel partito riformista e di massa, come lo ha definito il segretario, da cui dubito che possiamo prescindere se vogliamo costruire seriamente il Pd. Il problema è anche uno scollamento tra la politica nazionale con quella locale. Ma il punto non è che la ragione sta da una parte, o dall’altra».
Le indagini della magistratura però nelle città giudate dal centrosinistra sono sotto gli occhi di tutti.
«Il problema fondamentale è che ci sono delle situazioni che presentano elementi degenerativi nelle realtà locali, ma questo è proprio il risultato dello scollamento, della frattura e della mancanza di rappresentanza nel rapporto tra il gruppo nazionale e realtà politica e amministrativa dei territori. La questione ci rimanda di nuovo al tipo di partito che vogliamo costruire».
L’inchiesta su Castello ripropone il tema delle intercettazioni telefoniche. In questo periodo l’argomento è al centro del dibattito politico.
«Credo che questo strumento di indagine debba servire a completare e non a dare inizio all’inchiesta. Qualcuno mette in discussione la legittimità degli atti amministrativi? Che lo dica. Ci sono comportamenti di persone che da dentro l’amministrazione hanno condizionato le scelte del Comune? Sono convinto di no. Ci sono prove contrarie? Credo che se si rimane a livello di uso vergognoso di intercettazioni telefoniche è difficile fare un discorso».
Sullo sfondo ci sono le primarie per la scelta del suo successore e le polemiche per la sua decisione di disertare il consiglio comuale.
«È evidente che prima di tornare ci vuole un chiarimento politico (per domani è previsto un vertice a Palazzo Vecchio, ndr), che non può riguardare solo il presente, ma anche i problemi di coalizione e le scelte programmatiche future».
Sindaco, è sempre dell’idea di non prendere parte al consiglio comunale?
«Si solleva un problema che a mio motivo non ha motivo di essere. Perché prima di tornare in consiglio comunale è evidente che ci vuole un chiarimento politico».
Lei si riferisce ai suoi alleati?
«Esatto. Il chiarimento politico non può riguardare solo il presente, ma deve toccare anche i problemi di coalizione, di scelte politiche programmatiche del futuro. Io ho sempre pensato che si doveva costruire la prospettiva futura, partendo da quanto abbiamo fatto in questi nove anni e mezzo di governo della città, che considero positivo, come dimostrano i dati statistici su Firenze in rapporto alle altra città italiane».
Invece?
«Vedo che si è deciso di rovesciare la questione: siccome tutti pensano alla prospettiva futura promuovendo la demolizione della esperienza presente, senza una ragione reale, in rottura con quello che si è fatto in questi anni. Non è una questione personale, ma politica. Penso che sia un approccio sbagliato che rischia di avere conseguenze pesanti».
Lei chiama in causa il suo partito?
«Il Partito democratico dovrebbe riflettere su questo e agire di conseguenza. Il problema non è tanto il sostegno alla mia amministrazione, bensì di capacità di iniziativa politica, di risposta, di elaborazione propria, di reazione, anche di battaglia verso le opposizioni e dei gruppi di poteri, più o meno occulti, che si sono riattivati in vista della prossima campagna elettorale. Ecco io noto che da questo punto di vista il Pd fiorentino mi sembra piuttosto passivo, per non dire amorfo. Purtroppo devo constatare che anche a Firenze, come in altre parti d’Italia, si pone il problema su che tipo di partito abbiamo costruito, o stiamo costruendo».
La sua risposta qual è?
«Vogliamo fare un partito capace di esprimere una proposta programmatica forte, oppure, vogliamo fare un partito che sia soltanto una sommatoria di comitati elettorali. Credo che questa sia la prospettiva più rischiosa, ma credo anche che sia la situazione in cui ci troviamo in questo momento».
A Firenze il Pd è alle prese con le primarie. I problemi non mancano.
«Penso che sia assurdo andare con quattro candidati. A mio parere il Pd dovrebbe indicare un candidato, al massimo due, con una sorta di doppio turno. Il partito deve avere un sussulto di ragionevolezza: se si riunisce e discute il tempo per cambiare le cose non manca. Poi si parla di primarie di coalizione, ma non ho ancora capito esattamente quale è la coalizione, da chi è composta ma soprattutto in che rapporto sta questa prospettiva con quella attuale. Forse si vorrebbe che qualcuno tirasse la carretta fino in fondo».
osabato@unita.it08 gennaio 2009
da unita.it