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« Risposta #60 inserito:: Novembre 03, 2013, 06:56:26 pm » |
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la storia 28/10/2013 Pick up con gli ammortizzatori di legno, così si muore nel deserto del Niger Guido Ruotolo Tripoli, Libia. Scampoli di conversazione rubata tra una delegazione di governo italiano e Muammar Gheddafi, sotto la Tenda. Tema l’immigrazione. Si parlava del mare che inghiottiva i profughi, ma anche del deserto che è anch’esso un mare, anche se di sabbia. Ero stato a fare un reportage in quel mare di sabbia. Insieme a una troupe di Canale 5. Dove mai i giornalisti occidentali erano stati. Al Qatrum, la sbarra di confine tra Libia e Niger. Quaranta chilometri di terra di nessuno. Eravamo in jeep di “Stato”. Da Sebha, la capitale del Fezzan, quattro, cinque ore di dune, pietrisco, oasi e palme. Gli autisti erano in grado di guidare senza perdersi mai solo seguendo le stelle. Roba da non crederci se non fosse che l’abbiamo vissuta in prima persona. Al Quatrum è un gruppo di edifici bassi, una caserma, un cortile con dentro scheletri di jeep, di pick up. Diversi “irregolari”, ragazzi senza passaporti arrivati dai Paesi Subsahariani. Il confine, la postazione militare con un cannocchiale per scrutare l’orizzonte. Ricordo a memoria il racconto sui Caronte del deserto: “Intanto i pick up hanno gli ammortizzatori rafforzati con pali di legno. Gli autisti, che poi sono dipendenti di trafficanti senza scrupoli, caricano la loro “merce” che per rendere sempre più lucroso viaggiano in piedi e i rigidi ammortizzatori, appunto, rendono il viaggio molto rischioso. Come sui barconi in mezzo alla tempesta che si rovesciano o poveri disgraziati che senza accorgersene cadono in acqua, così nel deserto il rischio è di ritrovarsi sulla sabbia senza che l’autista si fermi per recuperare il viaggiatore. Ma spesso succede che i Caronte del deserto lascino i poveri disgraziati a chilometri di distanza da Sebha o da altre oasi di raccolta, snodi di viaggi. E con una damigiana d’acqua per tutti. E spesso i migranti muoiono per stenti e caldo. Ho visto video e fotografie raccapriccianti. Corpi senza vita sommersi di sabbia. Non ci sono solo i naufragi, corpi annegati. La tragedia dell’immigrazione è fatta anche di vite spezzate durante una interminabile odissea. Si muore anche attraversando il deserto. Da - http://lastampa.it/2013/10/28/esteri/pick-up-con-gli-ammortizzatori-di-legno-cos-si-muore-nel-deserto-del-niger-teXUFzDs9EJ7BCiUAGTlfN/pagina.html
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« Risposta #61 inserito:: Novembre 20, 2013, 11:59:39 am » |
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Politica 20/11/2013 - personaggioL’onore ritrovato della Cancellieri Oggi andrà a Montecitorio con un discorso “a testa alta” Ribadirà quanto detto: non ho mai mentito Guido Ruotolo ROMA Dunque, finalmente è arrivato il giorno della verità. Annamaria Cancellieri ha limato fino a tarda sera il discorso che farà ai deputati, aspettando che il gruppo del Pd della Camera discutesse e prendesse una decisione, prima di licenziare il testo. E chiederà la rinnovata fiducia per poter riformare la giustizia, a partire dalle carceri. Ben consapevole, per tutto il giorno, che la decisione del gruppo Pd sarebbe stata sofferta. Che i proclami e gli ultimatum di Matteo Renzi erano autorevoli e influenti. E quindi che la sua sorte sarebbe stata incerta fino all’ultimo. È dovuto scendere in campo a difenderla il presidente del Consiglio, Enrico Letta, di ritorno dalla devastata Sardegna. Ieri mattina era stato lo stesso premier ad annunciarlo al ministro: «Penso che dovrò andare alla riunione stasera». Si è speso Letta, si era già pronunciato l’altro giorno il Quirinale. E nel suo discorso il ministro di Giustizia ricorderà quello che aveva già detto alle Camere il 5 novembre, e nella lettera di precisazione ai giornali. Chiarirà i suoi rapporti con i Ligresti, ammetterà di aver sbagliato a usare certi toni. Ma riaffermerà con forza di «non aver omesso di riferire circostanze rilevanti, e di non aver mentito al Parlamento». Torna in un’aula parlamentare consapevole che il rapporto di fiducia con alcuni settori della sua maggioranza si è incrinato, in queste settimane. Che dovrà spiegare e convincere che le sue relazioni personali con un ramo della famiglia Ligresti, non hanno mai influito sulla sua attività di servitore dello Stato, prima come prefetto, poi come ministro. Che un rapporto di amicizia «è tale perché implica una frequentazione fatta anche di conversazioni e di contatti telefonici». E non può non prendere atto con soddisfazione del «rammarico» della procura di Torino per la fuga di notizie dell’inchiesta e per le precisazioni che non c’era materia per indagarla. Dovrebbero riflettere i «colpevolisti» che questo riconoscimento arriva a scoppio ritardato, dopo che un ministro si è sentita vittima (lo è stata) di un processo mediatico senza potersi difendere perché gli elementi dell’accusa non erano neppure stati depositati alle parti. Ma il fatto che oggi il fascicolo senza capi d’imputazione o nomi di indagati sia arrivato a Roma, è di per sé un’assoluzione piena. Il ministro di Giustizia entrerà a Montecitorio a testa alta, con «l’onore ritrovato», guardando i parlamentari negli occhi, e con un ruolo improprio di cronista, ripercorrerà le ultime vicende della sua storia. Conoscendola, qualche sassolino dalle scarpe sarà tentata di togliersi. E punterà, soprattutto, a sintetizzare il programma che vuole continuare a realizzare, chiedendo ai deputati una rinnovata fiducia. Torna a casa guardando la sua agenda. Domani, cioè oggi, deve incontrare una delegazione francese, alle tre del pomeriggio. Sarà così costretta a saltare la fisioterapia. Sempre che la Camera respinga la mozione di sfiducia dei Cinque stelle. Da - http://lastampa.it/2013/11/20/italia/politica/lonore-ritrovato-della-cancellieri-oggi-andr-a-montecitorio-con-un-discorso-a-testa-alta-2GSCR86fRtUGjKoFZhFWJL/pagina.html
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« Risposta #62 inserito:: Dicembre 11, 2013, 06:31:05 pm » |
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Cronache 11/12/2013 - retroscena Forconi, il Viminale preoccupato “Non si capisce con chi parlare” Oggi la tensione potrebbe spostarsi nella Capitale. Alfano va in Parlamento Sciopero forconi, Roma: qua c’è Forconi occupano le stazioni di Genova e Imperia Guido Ruotolo Roma Andrà in Parlamento, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per riferire sugli scontri di Torino, le occupazioni dei binari dei treni, i presidii degli snodi di traffico, caselli, rotonde, piazze. E poi sulle saracinesche costrette a rimanere abbassate. E su una protesta che a macchia di leopardo si sta estendendo con il passare delle ore. Intere città assediate, come Andria, Trani, Barletta. Intanto, dopo aver convocato un vertice con le forze di polizia, il ministro Alfano ieri sera è andato al Tg3 per ribadire che «non sarà consentito che le città vengano messe a ferro e a fuoco». Che «la legge va rispettata e la democrazia garantita». Siamo al secondo giorno, anzi stiamo entrando nel terzo della protesta ed è come se invece di scemare per stanchezza la presenza dei cittadini sulle strade, questa presenza si alimenti con nuova linfa. Sempre di più una Babele di sigle, associazioni, forze politiche, ultras stanno riempiendo il catino della protesta. Adesso gli strizzano gli occhi ai Forconi anche Grillo e Berlusconi. Questa «strumentalità» certo non aiuta a raffreddare il clima, e questo infastidisce lo stesso Viminale. Qualsiasi manifestazione di gruppi, lavoratori di una fabbrica o cittadini contro Equitalia ormai a tutti gli effetti vengono considerate come promosse dai Forconi. Per tutto il giorno si era temuto il peggio. Il Viminale seguiva con preoccupazione il bollettino di guerra lanciato da improbabili leader della protesta. Uno in particolare, Danilo Calvani, di Pontinia, Latina, si era spinto ad annunciare che sarebbero state rese note «iniziative eclatanti», che se il governo otterrà la fiducia in Parlamento, milioni di italiani avrebbero occupato la Capitale. Insomma, si era temuto che oggi il movimento volesse assediare il Parlamento. Per questo il ministro aveva convocato al Viminale i responsabili delle forze dell’ordine mentre, per rassicurare sulla tenuta dell’ordine pubblico, faceva sapere che altri contingenti di uomini avrebbero raggiunto Torino. Ma con una inusuale smentita a mezzo stampa, il fondatore dei Forconi, Mariano Ferro, faceva sapere che non era giunto ancora il tempo di andare a Roma, e che semmai il problema andrà posto nei prossimi giorni. Da una decina di giorni il Viminale si stava preparando alla protesta. Direttive e ordinanze avevano il compito di «dissuadere» i promotori dal prendere iniziative radicali come i blocchi stradali. Bruciavano ancora quelle due settimane di paralisi che i Forconi avevano inflitto alla Sicilia, due anni fa. Le informazioni dell’intelligence puntavano alla Sicilia, a Torino (dove avrebbero partecipato alla protesta anche i militanti di Fratelli d’Italia), e al Nord est. E segnalavano la partecipazione degli ultrà del Catania, dell’Atalanta e del Brescia (di sicuro a Torino hanno partecipato agli scontri anche gli ultrà del Toro e della Juve). Oltre a Forza Nuova e a Casa Pound. Tutte previsioni azzeccate. Solo che in Sicilia è stato usato il pugno di ferro, nel senso che è stata vietata dalle questure qualsiasi forma di assembramento, mentre altrove sono stati consentiti presidii con trattori e tir. Con il risultato che i Forconi sono rimasti a casa mentre dalla Puglia al Veneto, dalla Liguria al Piemonte la cronaca ci ricorda che gli autisti di tir, camion o auto sono stati costretti a lunghissimi rallentamenti, code o addirittura blocchi. Con l’aggiornamento dei presidi e l’attività di raccolta di informazioni il quadro che sta emergendo è che il fiume della protesta conosca una biforcazione. Da una parte c’è il «movimento» che segue le indicazioni del Coordinamento del 9 dicembre 2013. Un coordinamento che ha tenuto in queste settimane riunioni in giro per il Paese. Ma l’altra ansa del fiume è quella che si alimenta dello spontaneismo dei protestatari, dei militanti delle sigle del radicalismo di destra (Forza Nuova, Fratelli d’Italia, Casa Pound, Movimento sociale europeo), degli ultrà. E quest’ansa di fiume non è governabile. Al Viminale ne sono consapevoli. Convinti che al di là di Torino e Genova, al di là di qualche disagio degli automobilisti, «alla fine non è successo nulla». Sarà anche vero. Ma perché allora si guarda con timore ad oggi, alle possibili convocazioni di manifestazioni nella capitale? Da - http://lastampa.it/2013/12/11/italia/cronache/forconi-il-viminale-preoccupato-non-si-capisce-con-chi-parlare-yaNkh2L6eGPzMji5R9RScI/pagina.html
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« Risposta #63 inserito:: Gennaio 08, 2014, 10:20:22 pm » |
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Cronache 07/01/2014 - personaggio Il “sequestratore” dei camilliani e quei dossier su politici e manager Oliverio è in carcere da novembre, ora spuntano tracce di ricatti e logge massoniche Roberto Salvatore, ex superiore dei Camilliani, è stato arestato insieme al commercialista nei mesi scorsi Guido Ruotolo Roma Riaffiorano prepotentemente i fantasmi di un passato che sembrava sepolto. Un passato fatto di ricatti, massonerie, imprenditori, faccendieri, pezzi delle istituzioni deviate, rapporti con la mafia. Che impressione che un quarto di secolo dopo la caduta del Muro di Berlino e le stragi mafiose del 1992-1994, che rappresentarono anche una sorta di catarsi delle istituzioni, che si liberarono di quei rapporti opachi e indicibili che avevano segnato quasi mezzo secolo di vita della Repubblica, una inchiesta della procura di Roma scopra l’esistenza di una moderna centrale dove convergono diversi interessi criminali e una gestione politica di dossieraggi e ricatti. Ben altro delle recenti P3 o P4, che pure hanno fatto scalpore. Ricordate il commercialista Paolo Oliverio? Fu arrestato agli inizi di novembre insieme a due Fiamme Gialle e soprattutto all’allora Superiore generale dell’Ordine religioso dei Camilliani, Renato Salvatore, per avere organizzato un sequestro, o meglio un (finto) interrogatorio presso una caserma della Finanza di due confratelli dell’Ordine, grandi elettori però di un candidato alternativo a Renato Salvatore. I due nel giorno delle votazioni furono fatti sparire con la scusa di essere interrogati per garantire appunto il fallimento della scalata ai vertici dei Camilliani di padre Monks. Ma l’inchiesta del pm romano Giuseppe Cascini era già in corso da tempo. L’episodio del sequestro di padre Antonio Puca e padre Rosario Messina, in realtà fu scoperto per l’attività di intercettazioni telefoniche e ambientali. Quello dei Camilliani, dunque, è solo un piccolo capitolo della grande inchiesta che vede Oliverio al centro di una organizzazione criminale. Il gip di Roma continua a tenerlo in carcere, Paolo Oliverio, condividendo le preoccupazioni del pm Giuseppe Cascini. L’impressione è che Oliverio abbia messo in piedi un’industria del ricatto. Quando gli investigatori perquisirono il suo ufficio, il commercialista quasi li pregò di lasciare stare computer, tablet, smartphone e pen drive. «Non li aprite - li esortò - che qui vien giù l’Italia». Ma ora quel «tesoro» nascosto nelle memorie informatiche si sta rivelando un pozzo dal cui fondo riaffiorano fantasmi del passato. Hanno trovato persino un software per fare intercettazioni insieme a un archivio informatico impressionante. Chi intercettava e per conto di chi, il commercialista Oliverio? Tra i file clonati dai supporti informatici sequestrati al commercialista, veri e propri «report» su politici, imprenditori, forze dell’ordine. Per conto di chi venivano redatti i report? Erano strumenti di ricatto? A cosa servivano? Nell’inchiesta su Paolo Oliverio si trovano tracce di uomini dei servizi segreti, relazioni altolocate con vertici della Finanza e delle forze dell’ordine. E con prelati e imprenditori (c’è anche Paolo Berlusconi). E divi della massoneria deviata che fu, come Flavio Carboni, suo figlio Marco, la banda della Magliana attraverso Diotallevi. Un bello spaccato sociologico del potere, della faccia oscura del potere. Nella rappresentazione che i magistrati fanno dell’organizzazione criminale, si fa riferimento alla sua capacità di «forte condizionamento della pubblica amministrazione attraverso ricatti, attività di dossieraggio e finanziamento illecito della politica grazie alla partecipazione nelle attività criminali dell’organizzazione, di esponenti della ’ndrangheta calabrese, della Banda della Magliana e logge massoniche coperte». Nelle carte del pm Cascini viene fuori con chiarezza che un aspetto centrale dell’inchiesta è quella sul riciclaggio della mafia calabrese, la ’ndrangheta, nella capitale attraverso il reimpiego in «ristoranti, bar, beni immobili». E che Oliverio ha rapporti diretti con la ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Gli dice un mediatore il cui nome è secretato: «Amico amico di amici miei ti sei fatto stasera, sei diventato amico hai visto? Ti ha invitato a cena. È un senso di rispetto. Pure a casa sua e non al ristorante». C’è da giurare che questa inchiesta riserverà molte clamorose sorprese. Emergono, secondo le informative del Gico della Finanza, i rapporti di Oliverio con vertici di Equitalia in grado di orientare le verifiche fiscali. Il commercialista si interessa agli sviluppi dell’inchiesta napoletana su Finmeccanica. E ha rapporti molto stretti con un personaggio a sua volta legato al senatore Sergio De Gregorio, Giuseppe Joppolo, al quale garantiva rapporti con i vertici delle forze armate, dei servizi e delle forze dell’ordine. Da - http://lastampa.it/2014/01/07/italia/cronache/il-sequestratore-dei-camilliani-e-quei-dossier-su-politici-e-manager-U7hzYjVdQ1VMiGbsIWDcaM/pagina.html
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« Risposta #64 inserito:: Gennaio 16, 2014, 04:35:30 pm » |
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politica 14/01/2014 Caso De Girolamo: voleva favorire una ditta che aveva sponsorizzato il Pdl Depositata la trascrizione di conversazioni registrate in casa del ministro delle Politiche Agricole nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della Asl di BeneventoGuido Ruotolo Il legale di Felice Pisapia, ex direttore amministrativo della Asl di Benevento, ha depositato la trascrizione di conversazioni registrate in casa del ministro Nunzia De Girolamo. Il deposito è avvenuto nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, chiamato a pronunciarsi sull’istanza di revoca dell’obbligo di dimora nei confronti del manager, nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della Asl di Benevento. Gli atti depositati riguardano in particolare la vicenda dell’appalto triennale per il servizio del 118. Nelle trascrizioni già depositate alla procura di Benevento il ministro Nunzia de Girolamo e i suoi interlocutori della Asl avevano espresso l’intenzione di favorire una ditta che aveva sponsorizzato il congresso provinciale del Pdl, penalizzando un’altra ditta che si sarebbe vista ritardare alcuni pagamenti. Nelle prossime ore il riesame dovrà decidere sulle misure di custodia cautelare degli indagati. Da - http://lastampa.it/2014/01/14/italia/politica/caso-de-girolamo-voleva-favorire-una-ditta-che-aveva-sponsorizzato-il-pdl-twGSPingp6RlYgtnHNOkgI/pagina.html
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« Risposta #65 inserito:: Gennaio 17, 2014, 12:24:13 pm » |
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politica 13/01/2014 - le carte dell’inchiesta “Lavori di ristrutturazione abusivi” Il bar della cugina verso la chiusura Il locale nell’ospedale di Benevento fu oggetto delle presunte pressioni fatte dal ministro Guido Ruotolo Inviato a Benevento Il sindaco Fausto Pepe anticipa: «Molto probabilmente domani mattina (stamani, ndr) firmerò una ordinanza di chiusura del bar. Abbiamo accertato che sono stati eseguiti lavori abusivi in assenza di un parere della Sovrintendenza. I gestori del bar avevano presentato una autocertificazione infondata, che sarà posta all’attenzione della Procura della repubblica per gli evidenti profili penali». Un brutto colpo per il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo. Il bar della cugina, aperto nella struttura ospedaliera del Fatebenefratelli, stava molto a cuore alla futura ministra. In uno scampolo di discussione registrata da un indagato, Felice Pisapia, a casa del padre della ministra, Nunzia De Girolamo non è stata tenera: «Stronz.. quelli del Fatebenefratelli... facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo... mandagli i controlli e vaffanc...». Ora, tutte le pieghe della vicenda sono al vaglio della magistratura. E c’è da scommettere che le sorprese, nella prossime ore, non mancheranno. Se a Roma la «politica» prova a difendere la ministra denunciando le registrazioni delle riunioni come un atto abusivo e illegale (ministro Alfano), e comunque annunciando (Nunzia De Girolamo) che (la ministra) non è indagata, negli studi legali di Benevento, affollati anche di domenica mattina, si fa spallucce. Non convince la linea Maginot tracciata dalla difesa De Girolamo. «Non è una intercettazione abusiva - sostiene l’avvocato Enzo Regardi - ma una registrazione di una conversazione tra presenti ed è uno strumento di prova». Tredici pagine, quelle depositate (per errore) dalla Procura. L’avvocato Regadi che difende il principale indagato della inchiesta su una serie di truffe all’Asl di Benevento, Felice Pisapia, capo Servizio bilancio della Asl cittadina, domani depositerà al Riesame di Napoli, competente per decidere sulle misure cautelari personali, altre quattrocento pagine di trascrizione di due riunioni a casa del padre della ministra De Girolamo, presenti i vertici della Asl, la futura ministra, i suoi collaboratori. Esplicita criticamente il gip Flavio Cusani: «Dall’esame del fascicolo trasmesso dal pm, emerge che non tutti gli atti di indagine risultano essere stati trasmessi a questo gip con la richiesta in esame, avendo il pm provveduto a tenerne riservati alcuni (di cui è rimasta però traccia fra gli atti trasmessi), evidentemente non strettamente conferenti ai fatti per i quali richiede l’applicazione di misure cautelari». In realtà, l’avvocato Regardi ad una Procura impaurita - e bene inserita nella società civile beneventana con mogli, mariti e parenti nelle professioni (da avvocati a tecnici) che vivono di incarichi e consulenze da parte delle amministrazioni pubbliche - aveva depositato le trascrizioni complete delle due riunioni, ma con una scelta «discutibile», secondo la difesa di Pisapia, non le ha messe a disposizione delle parti. Non è l’unica «stranezza» di questa inchiesta, perché nella stessa ordinanza di custodia cautelare contro Pisapia e rappresentanti di società e aziende, emerge una dialettica molto accentuata tra pm e gip. Lo «spessore delinquenziale» di Pisapia non intimorisce la Procura che si limita a chiedere al gip soltanto l’obbligo di dimora mentre chiede e ottiene i domiciliari per gli altri indagati. Ma c’è un passaggio del gip nella sua misura che lascia ipotizzare che la mannaia della giustizia sia destinata ad abbattersi contro quel «ristretto direttorio politico-partitico» che governa la Asl. Ininfluente la proclamazione di innocenza della ministra («Non sono indagata»), perché quel «direttorio», «costituito al di fuori di ogni norma di legge», è composto da «componenti esterni all’amministrazione». È un direttorio politico che ha fatto riferimento al Pdl. A Nunzia de Girolamo e ai vertici Asl da lei indicati. La vicenda del bar, dell’appalto del 118, e poi una quarantina di consulenze esterne. Storie affiorate in questi giorni di «clamore mediatico». Per l’appalto del 118 il direttorio aveva deciso di farlo vincere a una ditta che aveva sponsorizzato il congresso del Pdl, danneggiando le ditte che non erano sostenute. Un superteste, Arnaldo Falato, mette a verbale: «Il direttore generale Rossi mi disse che la gara del 118 doveva essere bloccata assolutamente». Rossi è quello che dalla registrazione della riunione a casa De Girolamo, pronuncia lo scioglilingua: «Nunzia io non resterei un secondo di più qui all’Asl se non per te e con te; perché la nomina l’ho chiesta a te, tu me l’hai data ed è giusto che ci sia un riscontro». Da - http://www.lastampa.it/2014/01/13/italia/politica/lavori-di-ristrutturazione-abusivi-il-bar-della-cugina-verso-la-chiusura-82TNc9EQJpiqA4eYxwL4WI/pagina.html
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« Risposta #66 inserito:: Marzo 18, 2014, 12:15:20 pm » |
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CRONACHE ITALIANE 16/03/2014 - Federica Gagliardi, ARRESTATA con 24 chili di droga, si trova in carcere La Dama Bianca e la coca Forse una talpa in Procura Nervosismo tra gli investigatori, la notizia non doveva uscire Guido Ruotolo Roma La «Dama Bianca», al secolo Federica Gagliardi, sicuramente è una pedina importante dell’organizzazione internazionale di trafficanti di stupefacenti a cui dà la caccia la procura di Napoli. Il carico che trasportava, il fatto che già altri «corrieri» fossero stati bloccati nei mesi scorsi, porta gli inquirenti napoletani a giudicare appunto Federica Gagliardi sicuramente non come un occasionale corriere. Ma gli inquirenti adesso devono sciogliere un dubbio, un sospetto che rende il clima nervoso: ci sono talpe all’interno degli apparati che hanno di proposito voluto «bruciare» l’inchiesta, oppure si è trattato di un cortocircuito di comunicazione tra la Procura e la Finanza? In ogni caso, «non doveva uscire la notizia che l’inchiesta era appunto della Procura di Napoli». Un conto è se il «corriere» viene fermato durante controlli di routine all’uscita dall’aeroporto e comunque se a procedere è Fiumicino stessa. Un altro, se l’arresto in flagranza di reato viene fatto dalla polizia giudiziaria di Napoli che ha ritenuto di non aspettare che il «corriere» consegnasse il trolley e lo zainetto con i panetti di coca all’organizzazione. È come se in questo modo si fosse voluto avvisare i broker che erano in corso intercettazioni ambientali e telefoniche o, peggio, che c’era una talpa tra di loro. È ovvio, infatti, che l’arresto della «Dama Bianca» non è stato casuale. E non è neppure il primo sequestro di un carico di cocaina. Di certo, però, fanno capire in Procura a Napoli, la quantità di «polvere bianca» trasportata da Federica Gagliardi è molto significativa, nel senso che non può essere affidata al «primo corriere che capita». Sono ormai passati tre giorni da quando è finita nel carcere di Civitavecchia la donna che partecipò, nel 2010, alla delegazione guidata dal premier Silvio Berlusconi al G20 di Toronto prima e poi alle missioni in Brasile e a Panama. Il suo avvocato, Nicola Capozzoli, conferma che finora si è tenuta soltanto l’udienza di convalida del fermo del gip di Civitavecchia, dove la sua assistita si è avvalsa della facoltà di non rispondere. E che martedì tornerà ad incontrarla nel carcere di Civitavecchia per concordare una strategia difensiva. Nessun segnale, infine, di convocazione dai pm di Civitavecchia o di Napoli per le prossime ore. È evidente che la procura di Napoli sapesse perfettamente quando la «Dama Bianca» sarebbe sbarcata a Fiumicino. Non solo, conosce anche il suo interlocutore interno all’organizzazione internazionale che traffica cocaina con il Sudamerica. E con il passare delle ore si conferma l’intuizione investigativa sull’esistenza di complici sui quali l’organizzazione poteva contare all’interno degli aeroporti di Caracas, in Venezuela, e a Fiumicino. Perché il trolley e lo zainetto carichi di panetti di cocaina non sarebbero passati comunque inosservati. Da - http://lastampa.it/2014/03/16/italia/cronache/la-dama-bianca-e-la-coca-forse-una-talpa-in-procura-68zwBLoZmQm4J4KSDD9BHL/pagina.html
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« Risposta #67 inserito:: Aprile 04, 2014, 04:47:50 pm » |
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Cronache 03/04/2014 Cosentino, quella famiglia clan negli intrecci criminali Gomorra Dall’ascesa dalla Dinasty all’alleanza con gli Zagaria, fino alle manette Guido Ruotolo Mai come questa inchiesta racconta un pezzo di quella società “familistica amorale” che i sociologi hanno coniato negli anni Sessanta. Qui stiamo parlando della Dinasty Cosentino in terra di Gomorra. Una famiglia che si rispetta, che ha la sua proiezione imprenditoriale le cui origini sono molto nebulose, l’interfaccia politico e quello criminale. Verrebbe da dire più che di fronte al Padrino ci troviamo di fronte ai Soprano. Concorrenza sleale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo camorrista. Questa è l’accusa della Procura antimafia di Napoli. Forse dopo anni di letteratura sui Casalesi e Gomorra, questa inchiesta risistema nelle giuste caselle ogni protagonista. La famiglia Cosentino, innanzitutto. Un clan tra i clan che ha dalla sua la forza imprenditoriale, le relazioni sociali e politiche. E che quando ha bisogno, come in questo caso, di convincere un concorrente a desistere, fa intervenire l’ala militare del sistema Gomorra, i fratelli Zagaria. La politica continua a trovarsi su un gradino superiore rispetto ai Casalesi. Nicola Cosentino si è sempre difeso negando le verità dei collaboratori di giustizia. Mai però poteva pensare che il sangue del suo sangue, i fratelli si tradissero ammettendo in intercettazione ambientali e telefoniche di poter sfruttare le relazioni con Gomorra in prima persona. «Sono scappato da Casal di Principe per non far crescere i miei figli in quell’ambiente», disse una volta l’ex sottosegretario all’Economia. Aveva paura di guardarsi dentro, Nicola Cosentino. Di negare, i vincoli di parentela di suoi fratelli con boss e famiglie di camorra. E di ammettere che il suo potere politico condizionasse gli appalti e gli affari della impresa di famiglia, l’Aversana Petroli. Adesso, chi in passato ha gridato alla persecuzione politica, avrà modo di ricredersi. DA - http://lastampa.it/2014/04/03/italia/cronache/cosentino-quella-famiglia-clan-negli-intrecci-criminali-gomorra-OBLKZmsbEyw4HtznKCYc0I/pagina.html
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« Risposta #68 inserito:: Maggio 16, 2014, 06:31:59 pm » |
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Cronache 16/05/2014 - Oggi l’interrogatorio Caso Scajola, spuntano altri politici di Forza Italia Guido Ruotolo Reggio Calabria E oggi sapremo se davvero, nelle carte sequestrate agli indagati gli investigatori hanno trovato non solo conferme alle loro ipotesi - di una organizzazione criminale che ha favorito l’ex parlamentare forzista Amedeo Matacena, condannato a 5 anni per collusione con la ’ndrangheta, a nascondere i suoi beni e a evitare la detenzione - ma nuovi elementi di accusa. Insomma, se oggi a Regina Coeli la Procura di Reggio Calabria formulerà nuove contestazioni, nel corso dell’interrogatorio, all’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. Vigilia di interrogatorio. Il clima è teso. Si fa grande confusione nel tentare di mettere a loro posto tutte le tessere del mosaico di questa complicata, complessa, sconvolgente (per gli sviluppi che potrebbe avere) inchiesta. E già, Breakfast è una indagine contenitore sul riciclaggio della cosca De Stefano (i paesi interessati vanno dalla Francia alla Liberia) che, nel tempo, si è trovata a «dover rileggere» una intera stagione dei rapporti (cementati da vincoli massonici) tra ’ndrangheta (e Cosa nostra), politica e apparati. Addirittura, è tema di inchiesta, si stanno riesaminando due attentati ai carabinieri dell’inizio degli Anni Novanta che potrebbero essere interpretati come un contributo della ’ndrangheta alla offensiva stragista dei Corleonesi. E anche il fascicolo del processo sull’omicidio del giudice di Cassazione Giuseppe Scopelliti potrebbe essere riaperto. Naturalmente Scajola con tutto questo, con le stragi di Cosa nostra, non c’entra nulla. Solo che anche lui farebbe parte - è l’ipotesi che la Procura vuole verificare - di una «organizzazione criminale segreta», per dirla con le carte ufficiali di questo filone di indagine su Matacena, in rapporto con la ’ndrangheta. E tracce di questa «organizzazione criminale segreta», della quale farebbe parte anche Vincenzo Speziali (l’italiano residente in Libano che secondo gli investigatori avrebbe avuto rapporti anche con Gianpi Tarantini, l’uomo al centro dello scandalo escort di Berlusconi) la Procura di Reggio le ha già trovate a Milano, in via Durini 16, nello studio «Mgim» del vecchio cassiere neofascista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), Lino Guaglianone. In questo studio il consulente legale Bruno Mafrici si è ritrovato indagato per riciclaggio con il cassiere della Lega, Francesco Belsito, che iniziò la sua carriera facendo da autista all’ex Guardasigilli liberale transitato in Forza Italia, Alfredo Biondi. Ed è ancora tutto da scrivere il possibile coinvolgimento nella inchiesta madre di altri esponenti politici di Forza Italia e del centrodestra. Da - http://lastampa.it/2014/05/16/italia/cronache/caso-scajola-spuntano-altri-politici-di-forza-italia-35ZoYDQdCuAFj8Ef9GqqmN/pagina.html
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« Risposta #69 inserito:: Giugno 06, 2014, 07:31:37 pm » |
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Cronache 06/06/2014 - politica e affari “Un Daspo per i politici corrotti” Renzi: via i ladri dalle istituzioni. Oggi le norme per non rallentare i lavori Expo, ma slittano quelle sull’anti corruzione Guido Ruotolo Roma L’immagine del Daspo ai politici è senza dubbio forte. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non fa mistero che non intendere concedere sconti a nessuno: «Il punto centrale è garantire che chi viene condannato non torni più ad occuparsi della cosa pubblica con un meccanismo di Daspo. Personalmente un politico che viene indagato per corruzione lo indagherei per alto tradimento perché chi prende delle tangenti tradisce il mandato, l’onore sul quale aveva giurato». Fa sul serio, il premier Renzi. Che forse diffida di questo plebiscito a favore dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, come se lo stesso potesse disporre di una bacchetta magica che d’incanto cancelli la corruzione. Dice ancora Renzi: «Il problema della corruzione sono i ladri, non le regole che ci sono e che non si rispettano». Da Bruxelles il presidente del Consiglio annuncia: «Sicuramente interverremo nelle prossime ore, nei prossimi giorni sul tema degli appalti pubblici, dell’Autorità nazionale anticorruzione e di interventi specifici». Nel ddl anticorruzione, ribadisce il ministro Andrea Orlando, verrà poi «introdotto il reato di autoriciclaggio» e sarà «rivista la disciplina del falso in bilancio». E dunque, a quasi un mese dalla «missione» milanese (12 maggio scorso) del premier e di Cantone per lanciare l’offensiva dell’Anticorruzione può sembrare un colpo di freno la decisione che neppure oggi, a Palazzo Chigi, si discuterà e si approverà il decreto Cantone, che dovrebbe affidare nuovi poteri di controllo all’Autorità per Expo 2015, né si procederà alle quattro nomine che devono riempire le caselle vuote della stessa Autorità (un nervo scoperto perché i nomi dei candidati non sono apprezzati da tutti i «soggetti» consultati). In realtà oggi, a meno di ripensamenti della notte, si discuterà un intervento - probabilmente un decreto legge - che «affronterà le criticità contrattuali» che rischiano di far saltare la scadenza dell’aprile prossimo, quando dovranno essere consegnate le opere di Expo 2015. E dunque un provvedimento molto importante per la riuscita di questo appuntamento internazionale. Chi lascia filtrare i contenuti del provvedimento d’urgenza che dovrebbe essere portato oggi al Consiglio dei ministri cita l’esempio dell’Ilva di Taranto: «Di fronte a provvedimenti giudiziari della magistratura di Taranto che rischiavano di vanificare ogni prospettiva di futuro del centro siderurgico, il governo è intervenuto con un decreto legge poi riconvertito dal parlamento». Ecco, oggi Palazzo Chigi dovrebbe varare un provvedimento che neutralizza i contenziosi contrattuali che potrebbero rallentare i lavori di Expo 2015. Nello stesso tempo sta prendendo corpo un intervento legislativo più organico sui poteri d’intervento dell’Autorità nazionale anticorruzione. Al senatore Pd Massimo Mucchetti che si interroga sulla sintonia tra Renzi e Cantone a proposito dei lavori delle grandi opere, con il presidente del Consiglio che sostiene la «priorità dell’esecuzione delle opere che si ritengono utili», e Cantone che invece ipotizza anche la «revoca degli appalti alle imprese inquisite», precisa la stessa Autorità nazionale anticorruzione: «Nella legge Severino è prevista la clausola che consente la revoca se si verifica un fatto di corruzione. Mi auguro che questa clausola venga applicata». E quindi nessun contrasto con Renzi, lascia intendere Cantone. Ma è fuori discussione, come annota il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, che il problema è uno: «Fronteggiare i reati qui e oggi come si presentano. E completare la normativa Severino che funziona sulla prevenzione ma ha qualche lacuna sulle sanzioni». Da - http://lastampa.it/2014/06/06/italia/cronache/un-daspo-per-i-politici-corrotti-KsDSuFo2t1vO0KmDqRbS2H/pagina.html
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« Risposta #70 inserito:: Giugno 16, 2014, 07:18:40 pm » |
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Cronache 11/06/2014 Indagato a Napoli il generale Bardi comandante in seconda della Finanza L’ipotesi di reato è corruzione. A Livorno in manette il colonnello Mendella. La Procura: “Tangenti per un milione di euro per evitare le verifiche fiscali” Guido Ruotolo Il colpo è tremendo. Ha lo stesso effetto di quel terremoto che con Mani pulite svelò, luglio 1994, un mondo di finanzieri corrotti. Ricordate il generale Cerciello e i suoi 21 casi di corruzione accertata? Quella fu la punta di un iceberg che riaprì una ferita che sembrava rimarginata, quella delle fiamme gialle della P2, dello scandalo Petroli, siamo negli anni Settanta, che vide coinvolti i generali Giudice e Lo Prete. Ora, il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza, sarebbe indagato per un’ipotesi di corruzione, per vicende collaterali, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli che ha portato all’arresto dell’attuale Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, Fabio Massimo Mendella, e del commercialista napoletano Pietro De Riu. LE MAZZETTE Dalle carte dell’indagine emergerebbe che oltre un milione di euro è stato versato al professionista campano, tra il 2006 e il 2012, da imprenditori napoletani, su richiesta di Mendella, allora responsabile del settore Verifiche e accertamenti del comando delle Fiamme Gialle di Napoli, per evitare controlli fiscali. I pm Piscitelli e Woodcock hanno disposto una perquisizione nel comando generale della Gdf a Roma, in via XXI Aprile a Roma. In particolare, una delle perquisizioni è stata eseguita proprio nell’ufficio del generale Vito Bardiil generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di finanza viene indagato per corruzione dai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcook. COSI’ GLI IMPRENDITORI ELUDEVANO I CONTROLLI Nell’ordinanza, le ipotesi di reato contestate sono di concorso in concussione per induzione e rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo le indagini della sezione reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Napoli, il commercialista Pietro De Riu faceva da tramite con Mendella, incassando somme di denaro da i due fratelli, imprenditori napoletani della società «Gotha s.p.a.», che eludevano in tal modo i controlli. Dal Comando di Napoli Mendella era poi stato trasferito a Roma: nell’occasione la holding, oggetto di una verifica pilotata eseguita dall’ufficio coordinato dal colonnello Mendella, avrebbe trasferito la propria sede legale a Roma. Le indagini sono ancora in corso, condotte dalla Digos di Napoli, con il contributo della Direzione centrale di Polizia criminale, del Comando Provinciale e del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma. LA P4 E BISIGNANI Il generale Vito Bardi era già stato indagato nel 2011 con le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreto nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4. L’anno successivo, tuttavia, la sua posizione fu archiviata dal gip su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Al centro dell’indagine era l’ex deputato del Pdl Alfonso Papa, per il quale ora è in corso il processo. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’ex parlamentare riceveva notizie coperte da segreto su indagini in corso e se ne serviva per ricattare alcuni imprenditori dai quali riceveva così denaro o altre utilità. Nell’inchiesta era coinvolto anche l’uomo d’affari Luigi Bisignani che ha patteggiato la pena. LA MACCHIA SUL CORPO DELLA GDF Va detto che mentre per l’attuale comandante provinciale della Finanza di Livorno Mandella i magistrati napoletani sono convinti di avere elementi solidi di accusa, tanto che hanno ottenuto la misura cautelare, per Bardi si è ritenuto sufficiente, in questa fase della indagine, procedere soltanto alla perquisizione dei suoi uffici, al Comando generale. Bisogna dunque aspettare. Ma intanto per la Finanza, protagonista in questi mesi di eccellenti attività di indagini, il caso Bardi è una macchia di fango ingiusta, che non merita di avere. Da - http://lastampa.it/2014/06/11/italia/cronache/indagato-a-napoli-il-generale-bardi-comandante-in-seconda-della-finanza-Wua07GCKqn3llgbgrmA6eI/pagina.html
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« Risposta #71 inserito:: Agosto 06, 2014, 04:24:05 pm » |
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Emergenza sbarchi. Entro Ferragosto saranno oltre 100mila In Libia è saltato tutto: prenotazioni a tre mesi per partire Solo ieri sulle navi di Mare nostrum sono stati trasbordati 4529 immigrati che viaggiavano su carrette del mare 06/08/2014 Guido Ruotolo Roma Centomila. Tra pochi giorni, tra poche ore questa soglia sarà superata. Sicuramente prima di Ferragosto, che qualcuno pensava che avrebbe rappresentato un giro di boa, la fine della emergenza. Erano 90.879 ieri mattina alle otto, gli irregolari sbarcati in Italia, gran parte dei quali con i titoli per chiedere protezione umanitaria, asilo politico. Solo in un giorno, stiamo parlando di lunedì, ne sono arrivati in tutto 1466. Ma ieri, e siamo a martedì, sulle navi di Mare nostrum ne sono stati trasbordati altri 4529, che scenderanno dai mezzi della Marina militare o dai natanti della Guardia costiera che attraccheranno nei porti italiani tra oggi e domani. In tutto, 95.405 tra uomini, donne e bambini. Dunque, solo poco meno di cinquemila devono arrivare entro la prossima settimana per superare quella fatidica soglia dei centomila. Le notizie che arrivano dalla Libia sono drammatiche. Sono talmente in tanti che vogliono salpare per l’Italia, che i Caronte del Mediterraneo sono costretti a prendere le prenotazioni a tre mesi. E dunque, di quanto ancora si alzerà la linea Maginot degli sbarchi? Qual è a questo punto la soglia invalicabile, o meglio oltre la quale il Paese rischia di non riuscire a gestire il problema? Nessuno azzarda ipotesi. Naturalmente se la situazione libica dovesse stabilizzarsi la situazione potrebbe sbloccarsi, e un segnale di speranza arriva in queste ore dalla conferma che si è tenuta a Tobruk la prima seduta del nuovo Parlamento, presenti 158 deputati su 188, che ha eletto Ageela Salah Issa Gwaider suo presidente. Ma bisogna essere molto ottimisti per sperare che la svolta arrivi in poche settimane, che le milizie vengano disarmate e le coste pattugliate. Intanto nessuna stima è possibile ottenere in queste ore, nessuna fonte ufficiale è in grado di rispondere alla domanda su quanti irregolari sbarcati in queste settimane si trovano ancora in Italia. Il buon senso fa sussurrare una percentuale ipotetica: «Se dovessimo seguire un certo discorso tenendo conto delle nazionalità, allora - spiega un esperto di flussi migratori - il 60% o anche il 70% di questi irregolari arrivati in Italia dal primo gennaio ad oggi, ha già lasciato il Paese per raggiungere l’Europa del Nord, la Svezia, la Norvegia, la Germania». Il calcolo è presto fatto. Al momento dello sbarco, in 25.374 hanno dichiarato di essere eritrei, 16.868 siriani, 3190 somali. Un parziale pari al 50% degli sbarchi. E altre migliaia sono sempre di quelle nazionalità che puntano a raggiungere parenti e amici che sono emigrati negli anni scorsi nei Paesi del Nord Europa. Dalla frontiera di Ventimiglia, le autorità francesi in questi primi sette mesi del 2014 ci hanno riconsegnato 3682 irregolari colti in fragranza di trasferimento dall’Italia in Francia. Viceversa, noi abbiamo restituito ai francesi 203 irregolari che volevano entrare in Italia. Insomma, numeri che confermano che il nostro è soprattutto un Paese di transito. Un errore l’hanno commesso i francesi nel riportare (93.700) i numeri degli irregolari salvati da Mare nostrum. In realtà, dal 18 ottobre del 2013 fino a fine anno, sono stati trasbordati 4.623 irregolari, 60.354 dal primo gennaio di quest’anno fino a ieri. In tutto, gli immigrati salvati da Mare nostrum sono stati finora 64.977. Sicuramente i francesi hanno messo nel paniere dei salvataggi del nostro dispositivo di pattugliamento in mare anche i 1588 irregolari - per citare un caso - partiti dalla Turchia e dalla Grecia e sbarcati in Puglia o in Calabria. C’è la rotta francese, e poi quella austriaca. E la Svizzera e la Slovenia. Tremila e passa quelli che volevano entrare in Francia, duemila in Austria, ottocento in Svizzera. È il fermo immagine dei primi 6600 irregolari arrivati in Italia e bloccati (solo nei primi sette mesi di quest’anno) alle frontiere dalle autorità di polizia degli altri Paesi confinanti che ce li hanno restituiti a fronte dei 1100 che noi abbiamo riconsegnato ai Paesi confinanti da dove erano arrivati gli irregolari. E già il problema che l’Europa fa finta di non vedere è che l’Italia non può affrontare da sola il fiume carsico dell’immigrazione. Da - http://lastampa.it/2014/08/06/italia/cronache/emergenza-sbarchi-entro-ferragosto-saranno-oltre-mila-O3GXOsAxdWU3p1gvQuIfoI/pagina.html
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« Risposta #72 inserito:: Settembre 06, 2014, 04:52:40 pm » |
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Napoli crudele, che non ha pietà per i suoi figli 05/09/2014 Guido Ruotolo Napoli crudele, che non ha pietà dei suoi figli, di tutti i suoi figli. Anche di quelli maledetti. Napoli che non cresce mai, sempre “sanfedista“, sempre dalla parte dei “lazzaroni“. Dovremmo avere il coraggio di riconoscere che è una città senza classe dirigente. Senza testa e con poco cuore. Una città di pancia, che sa divorare se stessa. Non sappiamo ancora cosa sia accaduto realmente in via Cinthia, al rione Traiano, quello alle spalle dello stadio san Paolo. Davvero può essere stata fatalità, da quella pistola del carabiniere può essere partito accidentalmente un colpo. Rione Traiano. Case popolari alla fine degli anni Sessanta. Poi, anche l’Università (Monte Sant’Angelo) per darle una iniezione di cultura, di ceto medio intellettuale. Eterna città di cultura, lettere e scienza che non è mai stata in grado di imporsi, di fare pedagogia, di insegnare a quella Napoli sottoproletaria le regole della convivenza. Rione Traiano, Soccavo, che scende in piazza e brucia le macchine della polizia. Non è la prima volta. È sempre accaduto. Le mamme di quei figli «che so’ piezze ’e core» sempre in prima linea per evitare che le creature siano catturate, che nascondano droga e armi. Napoli bugiarda. Che sembra sempre pronta a riscattarsi e poi precipita all’indietro. In un burrone nero che la fa affondare nel tempo della disperazione e della violenza. Da - http://lastampa.it/2014/09/05/italia/cronache/napoli-crudele-che-non-ha-piet-per-i-suoi-figli-2sj1IwWAICmAGaaKlRznrN/pagina.html
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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 14, 2014, 11:14:11 pm » |
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Mafia, così il governo “salva” la capitale Conferire il mandato al prefetto è una scelta obbligata. Ma la vita della Commissione d’accesso appare già segnata. E questo non aiuta a ridare credibilità alle istituzioni 09/12/2014 Guido Ruotolo E alla fine ha preso la decisione di inviare la commissione d’accesso agli atti del comune di Roma. Entro novanta giorni la commissione arriverà alle conclusioni che poi il Consiglio dei ministri potrà accettare o respingere. Scelta obbligata, quella del prefetto di Roma. E certo non aiuta l’opinione pubblica a ricredersi, ad avere fiducia nelle istituzioni e nella politica l’atteggiamento di questi giorni del governo, del sindaco, degli stessi vertici istituzionali e ministeriali. Capiamoci, questa commissione - se crediamo alla legge - ha il compito di verificare fino a che punto Mafia capitale ha inquinato il Campidoglio. Se alcuni appalti, nomine, politiche di amministrazione sono state condizionate dai soldi e dai desiderata di Massimo Carminati. Non è un Tribunale la commissione d’accesso. Non ha bisogno di prove, dal punto di vista tecnico-giuridico, per condannare, per commissariare Roma. Ma se in questi giorni dal governo al ministro dell’Interno si sono tutti affannati a dire che «Roma non è marcia», lasciando intendere che le mele marce sono state arrestate e cacciate, la vita della commissione d’accesso è segnata. Che Roma non si deve sciogliere, che Marino è un argine alla mafia lasciamolo dire a chi lavora per rendere sempre più la politica meno credibile. Le istituzioni si preparino anche a dover commissariare e sciogliere il comune di Roma. È una delle possibilità. Ovviamente non l’unica. Da - http://www.lastampa.it/2014/12/09/italia/cronache/mafia-cos-il-governo-salva-la-capitale-v9TxGScwhVrPWMJlt2C1aI/pagina.html
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« Risposta #74 inserito:: Febbraio 18, 2015, 07:53:27 am » |
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L’Onu alla ricerca di una soluzione per pacificare la Libia, dove la crisi rischia di degenerare Per l’Italia l’urgenza del continuo sbarco di migranti, ma un paese “fuori controllo” è per tutti una “questione nazionale” 12/02/2015 Guido Ruotolo Mercoledì, al massimo giovedì prossimo. A Ginevra. Attorno a uno stesso tavolo, Bernardino Leon, commissario Onu, riunirà le forze politiche e personalità indipendenti della Libia del dopo Gheddafi. Potrebbe essere un incontro decisivo per capire se ci potrà essere una prospettiva diversa per la Libia, se il Paese non sarà più «fuori controllo». L’incontro di ieri a Ghadames, l’oasi della Libia occidentale, al confine con l’Algeria e Tunisia, aveva solo un valore simbolico, sostanzialmente un segnale per i libici della Tripolitania. Nulla di più. Un breve incontro, un paio d’ore in tutto, e poi i negoziatori delle Nazioni Unite sono rientrati a Ginevra. Si continua a navigare a vista, le trattative per la pacificazione portate avanti dal commissario delle Nazioni Unite Bernardino Leon, hanno conosciuto in queste settimane momenti di ottimismo ma anche di pessimismo. Nella comunità internazionale sta crescendo la consapevolezza che non c’è più molto tempo ancora a disposizione e, e che si sta avvicinando il momento in cui si dovrà prendere una iniziativa, insomma si dovrà intervenire. Per l’Italia, poi, l’urgenza delle decisioni è ancora più stringente. Per il problema del traffico di migranti, delle partenze di decine di migliaia di disperati che attraversano il Canale di Sicilia. Ma anche perchè una «Libia fuori controllo» può diventare un problema di sicurezza nazionale, per i rischi di possibili infiltrazioni di jihadisti dell’Is che dalla Libia potrebbero infiltrarsi in Europa, in Italia. Ieri a Ghadames si sono incontrate due delegazioni dell’Assemblea nazionale filo islamista e del Parlamento che si è ritirato a Tobruk. Una fotografia dello stallo istituzionale di una Libia governata soltanto dalle milizie armate. E forse gli stessi “ottimisti” di queste ore sono consapevoli che il delegato Onu Leon potrà sciogliere positivamente il suo mandato, battezzando un governo di riconciliazione nazionale, soltanto dopo essere riuscito a mettere attorno allo stesso tavolo le milizie. Fino a quando questo non avverrà, infatti, qualsiasi ragionamento, ipotesi, negoziato è destinato a fallire, a essere ininfluente. Perchè è come se si facessero i conti senza l’oste. Mentre nella agenda della comunità internazionale (Nato e Ue) al primo posto c’è la crisi della Ucraina, la crisi libica rischia di degenerare per la presenza di milizie del Daesh, degli integralisti che si richiamano ad Abu Bakr al Baghdadi. Se il commissario Leon riuscirà a «pacificare» le milizie che hanno determinato, hanno contribuito ad abbattere il regime di Muammar Gheddafi, e che oggi sono in guerra tra loro (Misurata contro Zintan, in particolare), allora si aprirà una fase nuova. Un segnale importante è quello che è accaduto in questi giorni in Cirenaica. Si è combattuto al terminal petrolifero di Sidra tra le truppe lealiste del generale Khalifa Haftar e le milizie di Misurata. Cinque miliziani fermati a un posto di blocco sono stati trucidati dagli integralisti del Daesh. E ora Misurata potrebbe aprire uno scontro armato contro i jihadisti. Questa è la prospettiva, se a Ginevra si troverà una soluzione con il consenso delle milizie, che dovranno neutralizzare le truppe fedeli al Califfato, al Daesh. Uno scenario ottimistici? Probabilmente sì. Non è un caso che la nostra ambasciata a Tripoli - l’unica rappresentanza diplomatica occidentale aperta - è pronta all’eventualità di dover evacuare il personale e chiudere. Da - http://www.lastampa.it/2015/02/12/esteri/lonu-alla-ricerca-di-una-soluzione-per-pacificare-la-libia-dove-la-crisi-rischia-di-degenerare-i7Q8zkNgaWcGiir2688xPM/pagina.html
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