LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. => Discussione aperta da: Admin - Agosto 22, 2008, 10:55:13 pm



Titolo: GUIDO RUOTOLO -
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2008, 10:55:13 pm
22/8/2008 (7:52) - IL RETROSCENA

Le case confiscate?

Restano ai boss
 
Calabria, centinaia tra sindaci e assessori sotto inchiesta


GUIDO RUOTOLO
REGGIO CALABRIA


Che vergogna, la Calabria del riscatto contro la ‘ndrangheta. Che brutto colpo (d’immagine) per lo Stato che fa sul serio. E per la politica (bipartisan) che ha fatto della «confisca dei beni mafiosi» il suo manifesto programmatico.

C’è una informativa del Ros dei carabinieri di Reggio Calabria alla Procura della Repubblica, uno screening serio e documentato sullo stato dell’arte delle confische dei beni e del loro utilizzo. Il bilancio è disarmante: 374 tra sindaci, assessori e funzionari comunali della provincia di Reggio sono stati denunciati per omissione d’atti d’ufficio, aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta.

Tra i denunciati c’è anche il sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti (An), un magistrato che ha fatto il pm al Tribunale di Palmi, Giuseppe Adornato, un colonnello della Guardia di finanza pensionatosi per passare alla politica, Graziano Melandri, assessore alla polizia urbana di Reggio. E tutto questo perché la stragrande maggioranza degli 803 beni immobili confiscati alle famiglie della ‘ndrangheta, a partire dal 1996, o sono in stato di abbandono o sono ancora nella disponibilità degli ex proprietari.

Dunque, il rapporto del Ros di Reggio: «Si procedeva all’acquisizione, presso l’Agenzia del Demanio di Reggio Calabria, di un elenco dei beni confiscati agli esponenti della criminalità organizzata, ricadenti in questa provincia. Dalla lettura del tabulato si accertava che alla date del 16 maggio del 2006 erano stati confiscati 803 beni immobili, di cui 307 già consegnati dall’Agenzia del Demanio alle competenti amministrazioni comunali».

Bilancio del colonnello Valerio Giardina: «Dopo i primi accertamenti è emerso che parte degli immobili, sebbene siano stati destinati e consegnati alle rispettive amministrazioni comunali nel cui territorio di competenza gli stessi ricadono, sono stati assegnati ad enti e/o associazioni di impegno sociale con notevole ritardo, cioè solo alcuni anni dopo la loro presa in consegna; alcuni, non sono mai stati assegnati ad alcun ente, con iter procedurali avviati e mai conclusi, pertanto inutilizzati; altri ancora sono addirittura risultati in uso e/o nella disponibilità dei soggetti nei cui confronti si è proceduto alla confisca, o dei loro familiari».

Va anche segnalato, per dovere di cronaca, che vi sono soltanto tre comuni in regola. E cioè che hanno utilizzato i beni loro assegnati. Platì, il comune con il più basso reddito procapite in Italia, ha trasformato il palazzotto a tre piani della famiglia Barbaro in una caserma dei carabinieri. Piccolo e non secondario particolare: il comune di Platì, sciolto per mafia, è amministrato da tre commissari prefettizi. A Fiumara, il palazzo di Nino Imerti ospita una scuola ed edifici pubblici. A Maropati, il terreno del boss Michele Audino è gestito oggi dalla cooperativa sociale «Futura».

Tre granelli di sabbia nel deserto. Gli «inadempienti» sono decine di comuni: dal capoluogo a Gioia Tauro, da Africo a Melito Porto Salvo, da Siderno a Palmi, Rosarno, Villa san Giovanni. Prendiamo il caso di Reggio Calabria. E di quel palazzo di cinque piani del «Supremo», il boss Pasquale Condello (di recente arrestato dopo una ventennale latitanza). Quel palazzo fu confiscato definitivamente nel 1997 e consegnato al comune alla fine del 2001. Cinque anni dopo, nel 2006, era ancora «nella piena disponibilità del nucleo familiare di Condello». Dopo i primi interrogatori di funzionari e amministratori reggini, lo stabile a partire dalla fine del 2006 è stato liberato dai suoi inquilini.

Ad Africo Nuovo, i terreni di Giuseppe Morabito dovevano diventare «spazio verde pubblico da attrezzare per la collettività». Sono ancora oggi in stato di abbandono. Ad Ardore su un terreno confiscato alla famiglia Violi e Ciampa doveva sorgere un centro contro la tossicodipendenza, a partire dall’ottobre del 2004. Il comune ha pensato di realizzare un parco giochi. Ma aspetta ancora i fondi regionali per farlo. Su certi terreni della famiglia Piromalli di Gioia Tauro, destinati a un centro per le tossicodipendenze, la ‘ndrangheta coltiva ancora ortaggi e frutta.

Il rapporto del Ros è una mina vagante. Se i sindaci e gli assessori comunali verranno mandati a processo, mezza Calabria dovrà essere commissariata. E la credibilità dello Stato che fa sul serio, dell’Antimafia dei diritti e dei doveri, oltre che della prevenzione e del contrasto, è già bella che defunta.


da lastampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO -
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2010, 02:59:10 pm
23/2/2010 (7:4)  - RETROSCENA
 
Nella "corruzione liquida" spuntano altri magistrati

Della Giovampaola: "Non sono mai stato con una prostituta"

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Boatos minacciosi annunciano che la posizione di Achille Toro è molto compromessa. Si è dimesso da procuratore aggiunto, ha rischiato di far scatenare la guerra tra procure (Firenze contro Roma), e adesso deve sperare in un santo perugino. Un altro, visto che già è stato graziato a Perugia, indagato per la fuga di notizie sul caso Unipol-Consorte. Di corruzione deve rispondere adesso, e nei suoi confronti gli indizi sono molto meno vaghi di quelli ipotizzati contro Guido Bertolaso. Anche se nell’interrogatorio di garanzia, Angelo Balducci giura: «Non sapevo di avere i telefoni sotto controllo. Sapevo di una indagine in corso ma non a Firenze, a Roma...».

Achille Toro, anche lui una tessera di un mosaico più grande: il «sistema», chiamatelo «gelatinoso» (il copyright è dei protagonisti). Un sistema che è andato avanti grazie alla corruzione. Gli investigatori e gli inquirenti si divertono a parlare di «corruzione liquida», per dire che in questa inchiesta «alla prestazione non corrisponde immediatamente la controprestazione». Non c’è l’automatismo: in cambio di questo favore avrai questa somma. I protagonisti sono imprenditori, politici, uomini delle istituzioni che governano il mondo degli appalti, magistrati della Corte dei Conti che risolvono i contenziosi e magistrati inquirenti che (secondo le prove raccolte dal Ros dei carabinieri) informano gli indagati che stanno per «piovere» guai a catenelle, in cambio di un assunzione di un figlio. A proposito, secondo i boatos i magistrati amministrativi chiamati in causa non sarebbero soltanto Mario Sancetta e Antonello Colosimo.

Il «sistema» è appunto questo meccanismo perfetto, dove ognuno svolge la sua parte. Sono tutti la stessa cosa. I figli o le mogli sono in società (Balducci&Anemone), chi del centro benessere «Salaria Sport Village» chi della società di produzione cinematografica «Erretifilm». E Balducci nel suo interrogatorio di garanzia tiene a precisare due cose: «Con la famiglia Anemone ci conosciamo da 35 anni. Abbiamo lo stesso commercialista, è lui che gestisce tutto. Guadagno 2,5 milioni di euro all’anno e i lavori a casa di mio figlio li ho pagati io». Come dire: non ho bisogno di essere corrotto.

Da questo punto di vista ha ragione il presidente della Camera, Gianfranco Fini, quando dice che non siamo di fronte a Mani pulite ma a fenomeni di malcostume individuale. O meglio: siamo di fronte a un «sistema» (gelatinoso) che garantisce a chi vi fa parte di goderne i benefici.

«Ma la ciccia dov’è?». E’ la domanda che si sente sollevare spesso nei dibattiti televisivi o nei capannelli assolutori di questi giorni. Insomma, di quale colpa si sono macchiati i Guido Bertolaso, i Denis Verdini e poi via via tutti gli altri (Anemone, Balducci, De Santis e Della Giovampaola). A sfogliare l’elenco delle «utilità» che i corrotti hanno ricevuto dagli imprenditori assatanati di appalti, davvero Mani pulite era tutt’altra cosa. Altro che mazzette e bustarellone: qui siamo soltanto a cellulari, personale di servizio, auto, divani e poltrone, lavori di manutenzione, e poi ancora auto, librerie, prestazioni sessuali, viaggi su aerei a noleggio, pernottamenti in albergo, massaggi, qualche posto di lavoro, lavoretti. Tutto in regola, sostiene Angelo Balducci: «Telefoni, auto, personale? Erano benefit scritti nero su bianco nei capitolati degli appalti diventati poi contratti».

E’ tutta qui la tangentopoli del G8 della Maddalena, del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, dei Campionati mondiali di nuoto? No, che non è tutta qui. Che tenerezza l’interrogatorio di garanzia di Mauro Della Giovampaola, pubblico ufficiale nella struttura G8 La Maddalena: «Non sono mai stato con una donna a pagamento. Sono felicemente sposato». E Angelo Balducci, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici ricorda: «Fin quando me ne sono occupato io, alla Maddalena tutto si è svolto secondo le regole, successivamente (quando è subentrato De Santis, ndr) non so».

Ma non è certo il processo alla Protezione Civile, l’inchiesta fiorentina che adesso diventa perugina. E’ anche vero che diverse procure della Repubblica riceveranno stralci dell’inchiesta per episodi specifici (per esempio: l’Aquila riceverà gli atti che riguardano gli appalti vinti dal Consorzio Federico II). Ma per quello che è emerso finora, la «ciccia» sarà sviluppata a Perugia.

Il «sistema» (gelatinoso) in realtà è davvero una dimensione ambientale. Lo racconta l’inchiesta del Ros dei carabinieri di Firenze. Ricordate l’imprenditore Francesco Maria Piscicelli? Quello che diceva a Riccardo Fusi della Btp: «Mi dovrai dare un milione e mezzo di euro. Io metto a disposizione un background di 10 anni di buttamento di sangue» presso i vari Balducci e De Santis. Ecco, l’inchiesta di questi giorni nasce così, con il «buttamento di sangue».

da lastampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO Così il faccendiere Mokbel dava ordini al «suo» eletto
Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2010, 05:42:50 pm
24/2/2010 (7:1)  - LA MAXI OPERAZIONE DI GDF E ROS - LE INTERCETTAZIONI

L'imprenditore: "Nicò devi obbedire sei il mio schiavo"

Così il faccendiere Mokbel dava ordini al «suo» eletto

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Persino Silvio Berlusconi rimase colpito da quell’exploit elettorale, come quando in una corsa di cavalli vince la classica «macchia». Insomma, nessuno lo conosceva, nessuno sapeva la dote di voti che avrebbe portato al Popolo delle libertà, Nicola Di Girolamo.

Anche lui adesso è finito nei guai, per via di quell’associazione di imbroglioni, di riciclatori, di evasori fiscali. E a leggere le carte dell’enciclopedica ordinanza di custodia cautelare sulla «più grande frode tributaria della storia nazionale», Di Girolamo era il fedele burattino di Lucifero-Mokbel, alias Gennaro Mokbel, un losco personaggio da un passato nell’eversione fascista degli Anni Settanta, la mente criminale di questa associazione a delinquere.

Senatore nero
Quello che è ancora più inquietante è che Di Girolamo è stato eletto con gli imbrogli, con l’aiuto determinante della cosca della ’ndrangheta degli Arena di Isola di Capo Rizzuto, che ha falsificato una valanga di schede elettorali. Gli investigatori del Ros sono convinti che l’associazione criminale di Gennaro Mokbel «ha realizzato un salto di qualità» facendo eleggere a Palazzo Madama un suo rappresentante».

Scrive il gip: «L’estrema pericolosità del sodalizio criminale risulta evidente se si considera che esso disponeva di associati che svolgevano funzioni pubbliche, sia all’interno dell’amministrazione civile dello Stato che della polizia giudiziaria e che ha realizzato un salto di qualità giungendo perfino a determinare l’elezione in Parlamento di uno dei promotori dell’associazione».

Hai la candidite!
Offensivo paragonare un senatore della Repubblica eletto in un collegio di Italiani all’Estero a uno schiavo? Intercettazione del 17 aprile del 2008 tra il senatore e Mokbel.
MOKBEL: «Nicò? Io quanno apro a bocca faccio male, capito? Vuoi che parlo io, no parla te».
DI GIROLAMO: «Io ieri ho sbagliato..».
MOKBEL: «Non me ne frega un caz..., a me di quello che dici tu, per me Nicò, puoi diventà pure Presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio, cioé nel mio cranio sei sempre il portiere, no nel senso che tu sei uno schiavo mio, per me conti... scusa conti come il portiere».

Annota il gip: «In alcune conversazioni Mokbel rimprovera aspramente il Di Girolamo per le condotte sbagliate da lui tenute in qualche occasione, ricordandogli che non conta nulla, che si sarebbe montato la testa. E altrettanto chiare ed esplicite sono le sue risposte, in cui ammette espressamente che lui è espressione del gruppo ed è pronto a tirarsi fuori se lo chiedono.
MOKBEL: «Se t’è venuta a candidite Nicò e se t’è venuta già a Senatorite è un problema tuo, però sta attento che ultimamente te ne sei uscito 3-4 volte che io so stato zitto... ma oggi m’hai riempito proprio le palle Nicò... capito? Se poi dopo te e metto tutte in fila e cose... abbozzo du volte... tre volte...».

Mokbel si lamenta con il senatore: «Tu ci resti male, grandissima testa di cazzo...de merda, mo te do una cosa in faccia (inc)». E poi aggiunge: «Sono sette mesi che sono murato qua dentro, è calcola che il 70% dei soldi tirati fuori qua non li avete tirati fuori voi, li ho tirati fuori io. Zitto, muto, tiro fuori, tiro fuori, ma che mi vuoi dì?».

Non è che se la passassero male, i riciclatori. Villa lussuosa ad Antibes, in Francia, come base operativa della «struttura transnazionale». Se poi pensiamo ai mezzi di locomozione nella disponibilità del nostro senatore Di Girolamo, non c’è che da rimanere allibiti: una Bmw X5, una Ferrari F430, una Jaguar E, una Audi A8. Ma anche i mezzi nautici non scherzano: due barche, un Ferretti 45 Fly e un Ferretti 550.

Auto, barche e grandi viaggi. Di lavoro, naturalmente. Per pianificare le grandi truffe, gli imbrogli e le movimentazioni. A sentire gli investigatori, più che una immensa «lavanderia», l’organizzazione del nero Mokbel sfruttava una gigantesca «autostrada» dove tir di denari entravano ed uscivano da diversi caselli.

«Casello» Hong Kong
Presentiamo i protagonisti: Marco Toseroni, broker romano, membro effettivo dell’associazione criminale di Mokbel, Mister Lee (non identificato) e Mister T (Takeshi Iwasawa) e un terzo soggetto operante a Singapore, Ram Chandra Randhir. Questi tre stranieri, spiega il gip nella sua ordinanza, «costituiranno il punto di riferimento di Toseroni per la sua attività di dissimulazione e di riciclaggio sul circuito finanziario dell’Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico degli ingenti compensi che il sodalizio aveva ottenuto in seguito all’operazione commerciale fittizia effettuata con le compagnie telefoniche italiane».

E’ il 25 luglio del 2007. Mister Lee chiama Marco Toseroni: «Gli chiede se ha deciso quali saranno - è il riassunto del testo della conversazione intercettata - i soci della costituenda compagnia europea che dovrà operare ad Hong Kong; Marco risponde che l’indomani andrà appositamente a Londra per parlare con il suo cliente, ma comunque la scelta della persona che gestirà la compagnia di Hong Kong verrà fatta alla fine di agosto, perché ora in Italia è periodo di vacanze. Mr. Lee e Marco parlando di Foreign Exchange Market (Forex, mercato delle valute, ndr) con l’asiatico che sottolinea le attuali difficoltà del dollaro statunitense di cui spera che il tasso di cambio, attualmente fissato a 10.765, non perda ulteriore valore. Toseroni spera che nel momento in cui l’interlocutore riceverà l’1.45 (1,45 milioni di euro, ndr) proveniente dai conti da lui gestiti, potrà cambiarlo al migliore tasso».

C’è anche il senatore Nicola Di Girolamo, che all’epoca della telefonata intercettata,era soltanto uno della banda dei riciclatori: «Proseguendo nel dialogo, Marco dice di aver parlato con Mr. N (Nicola Paolo Di Girolamo, ndr) e di avvisare Mr. T che Mrs N (Natalhie Doumesnil, ndr) sarà ad Hong Kong per due settimane in modo da completare tutta l’attività di TT (telegraph trasfert, ndr) aspettando nel contempo il deposito dell’1.45” poiché sarebbe stata l’ultima volta che lei sarebbe andata lì».

Scuola di riciclaggio
La lezione si svolge in viale Parioli 63. Un ufficio. Il maestro è il broker romano Marco Toseroni. Il tema della lezione: tecniche per raggiungere gli obiettivi prefissati nella vendita dei diamanti: «Primo: vendere le società... due non pagare... abbattere ... Iva.. si vanno a pagare le tasse... tre riciclare... soprattutto riciclare quei venti milioni, dieci milioni delle... tredici milioni, quelli che toccano e... qua vanno riciclati quelli... quelli vanno riciclati.. o cinque milioni di euro.. sei milioni di euro si blocca...».

E poi Toseroni aggiunge: «Diciamo sei milioni di conto...e così ricicliamo veramente tutto, per cui abbiamo superato i 15 milioni dati alla lega (inc.)...il federalismo è proprio...Giorgia (la moglie di Mokbel) hanno già capì». «Abbassiamo le tasse, ricicliamo, e c’abbiamo un contenitore....c’è da fare 20 milioni di euro...».

Basta lezioni teoriche. Scrive il gip: «I programmi di investimento dei proventi illeciti del sodalizio, venivano poi sviluppati sul piano societario internazionale da Di Girolamo e da Toseroni che cominciava pertanto ad adoperarsi con i suoi referenti asiatici, nonché per le questioni relative alle pietre preziose con Massimo Massoli.

«Casello» Seychelles
Gennaro Mokbel, siamo nel maggio 2008, è nell’ufficio di viale Parioli 63 con tali «Giovanni e Marco, non meglio indentificati», ai quali - scrive il gip - «spiega le logiche degli spostamenti di denaro dall’Austria alle Seychelles, al fine di rendere ancora più difficoltosa la tracciabilità dei flussi da parte degli organismi inquirenti».
MOKBEL: «Quando gli so arrivati... dall’Austria so partiti... dall’Italia vengono mandati in Austria, dall’Austria sono partiti tutti quanti e so arrivati alle Seychelles, poi è partita l’indagine... qua dall’Italia... li hanno mandati in Austria.. so andati in Austria co... a co a rogatoria...».
MARCO: «In Austria sono stati mandati tramite telematicamente..».
MOKBEL: «Sì, tramite banca... era tutto diplomatico... capito?».
MARCO: «In quanto tempo l’hai fatta questa operazione?».
MOKBEL: «In dodici mesi...».
MARCO: «Manco pochi....trasportà tutta sta cifra...».
MOKBEL: «C’avete rocco il c... con tutti sti milioni.... A che punto sta sto cacacazz con st’indagine?».

da lastampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO Puglia, lascia il candidato Pd indagato
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2010, 02:50:05 pm
20/3/2010 (7:14)  - INCHIESTE PUGLIESI

Tangenti a Bari: nella bufera un altro dirigente del Pd

Sandro Frisullo, ex vice presidente della giunta regionale pugliese

L'omissis di Tarantini si riferirebbe a Mazzarano

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BARI

Sarebbe Michele Mazzarano, numero due del Pd pugliese, responsabile dell’organizzazione del partito, candidato a Taranto per le Regionali, il secondo politico a libro paga dell’imprenditore Gianpi Tarantini. «Con riferimento al pagamento di tangenti - aveva detto l’imprenditore da sei mesi ai domiciliari - preciso che gli unici due politici pugliesi ai quali ho corrisposto tangenti sono Frisullo e (omissis)».

Frisullo è finito in carcere, dell’esito degli accertamenti sul secondo politico non trapela ancora nulla. E intanto l’ex vicepresidente della giunta Vendola sta male. Soffre di diabete e i suoi valori sono altissimi. I suoi avvocati Fritz Massa e Michele Laforgia sono andati a trovarlo ieri mattina in carcere (l’interrogatorio di garanzia si terrà lunedì). Frisullo non ha letto le carte, ma aspetta di poter rispondere a tutte le accuse: «Sono amareggiato per la mia famiglia e per il partito. Non ho mai preso una lira da Tarantini, né quelle dazioni di cui parla né gli stipendi mensili. L’unica mia colpa è stata quella di averlo frequentato per due anni. Eravamo amici. E in quanto tale ho accettato i suoi regali, ho condiviso con lui l’appartamento di Bari, l’ho messo in contatto con Vincenzo Valente, amministratore dell’Asl di Lecce, perché Tarantini lamentava un ritardo nei pagamenti dei crediti che vantava. Quello che è successo tra loro, non mi riguarda».

Ha ammesso, Frisullo, gli incontri ravvicinati con le escort offerte da Tarantini. Ma due di loro, interrogate, hanno smentito di aver fatto sesso con l’esponente politico. Sonia, la ragazza dell’incontro nell’albergo milanese, il Principe di Savoia, ammette: «Ho incontrato l’amico di Claudio (fratello di Gianpi, ndr) perché mi è piaciuto. Non ho richiesto né ho percepito alcunché». Poi gli investigatori mostrano alla ragazza una foto di Sandro Frisullo e lei: «No, non è lui l’amico di Claudio».

Vanessa la «francese» è di Boulogne Billancourt e da tre anni lavora a Parigi, come assistente di direzione presso un’agenzia di lavoro interinale. Ammette due incontri con Sandro Frisullo: «Gianpi mi pagò i biglietti aerei per Bari. Nel primo incontro non furono consumati rapporti sessuali ma solo un approccio e scambio di effusioni. La seconda volta chiesi a Tarantini di non lasciarci da soli».

Gianpi. Davvero le sue dichiarazioni lasciano di stucco, fanno riflettere: «Negli ultimi anni, complessivamente, ho svuotato la Tecnohospital per un importo di circa 4 o 5 milioni di euro. In quel periodo ho condotto una vita esagerata, spendendo molti soldi». Tornano così alla ribalta le montagne di coca, alle escort da regalare ad amici, medici, politici, dirigenti di Asl. E il mezzo milione di euro investito nella vacanza in Sardegna, estate 2008, quella che lo portò a Villa Certosa e a stringere un rapporto di amicizia con Silvio Berlusconi. Droga e ragazze come mezzi di corruzione per la scalata nel mondo dei vip e dei soldi facili. Gianpi ha iniziato ai tempi delle giunte regionali di centrodestra, è passato per le forche caudine della giunta Vendola, espugnandola, ed è tornato al centrodestra, stringendo un rapporto con il premier Berlusconi. Le sue rivelazioni, ritenute credibili, hanno portato in carcere Sandro Frisullo. Adesso si aspetta di capire quale sarà la sorte di Michele Mazzarano, il dirigente del Pd che organizzò la famosa cena elettorale al ristorante «La Pignata» con i candidati alle politiche. Passò anche Massimo D’Alema, quella sera alla Pignata.

da lastampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO "La coca era distribuita all'ora dell'aperitivo"
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2010, 02:50:59 pm
20/3/2010 (7:21)  - I VERBALI

"La coca era distribuita all'ora dell'aperitivo"

Mannarini: «Così Gianpi dava le bustarelle»

GUIDO RUOTOLO
BARI

Chissà se l’hanno trovato il tesoro di Gianpi Tarantini, come racconta Alex Mannarini, l’ex collaboratore ingaggiato ai tempi della vacanza in Sardegna e poi licenziato. «Credo che Tarantini abbia un conto in Svizzera; so questo per aver fatto uso personalmente di una American Express black con il suo nome e aver appreso da lui che era legato a un conto svizzero. L’ho usata per pagare discoteche in Sardegna, tipo “il Sottovento”, il “Billionaire” nell’estate del 2008 precedentemente l’avevo usata per pagare un conto al “Gimmiz” di Montecarlo il 25 maggio 2008; un weekend a Venezia per lui e la signora Benetton; non ricordo il numero del conto».

Alex Mannarini. Alla fine anche lui ha deciso di collaborare. Una scelta maturata all’interno delle mura domestiche, visto che anche lui, per il capitolo cocaina, si trovava agli arresti domiciliari. Il 23 dicembre scorso, dopo due mesi di detenzione, ha chiesto di essere ascoltato e ha raccontato un inedito Gianpi Tarantini.

A partire dall’uso della cocaina, in quell’estate indimenticabile del 2008 in Sardegna: «Lo stupefacente veniva distribuito in casa durante le ore dell’aperitivo, dopo la cena e al ritorno dalla discoteca, alle sette del mattino. Anche persone che non erano ospiti della villa venivano in quelle occasioni a condividere quei momenti; senza voler giustificare nulla, credo che il contesto che si era creato induceva persone che a mio avviso nel quotidiano si comportavano diversamente a utilizzare cocaina. La cocaina veniva distribuita anche durante le gita in barca, preciso sul suo gommone».

Una «vita esagerata» la sua, confessa Tarantini ai magistrati di Bari, forse anche per giustificare quei cinque milioni di euro sperperati in un biennio. Ma quando si trattava del lavoro, Gianpi non faceva sconti a nessuno. Racconta Alex Mannarini: «Sono stato testimone di un incontro tra Tarantini e circa quaranta primari ospedalieri baresi e leccesi tra i quali ricordo vi era il professor Patella; in quell’occasione, pur non avendo partecipato al pranzo, che si tenne alla Taberna, appresi che Gianpaolo usava organizzare questi incontri a sue spese per promuovere i prodotti, farsi pubblicità e prendere accordi; arrivai alla fine dell’incontro e prendendo il caffè mi resi conto che tutti erano d’accordo con Gianpaolo».

Tutti d’accordo? «In alcune occasioni ho constatato che Tarantini ha effettuato dazioni di danaro; dico questo perché ci sono state occasioni in cui lui con la borsa che conteneva danaro prelevato in banca si recava nei posti (ospedali, prefettura, comune, presidenza della regione, policlinico...) e alla fine della giornata avevo modo di riscontrare che il danaro non c’era più». Precisa: «Il primo appuntamento della mattinata era la banca; poi andavamo negli ospedali e a fine giornata la mazzetta di denaro che aveva prelevato era sparita. Posso con quasi assoluta certezza dire che il danaro finiva negli ospedali». Ma in un altro passaggio delle sue confessioni, Mannarini aggiunge: «So che Gianpaolo effettuava regalie ai medici: casse di champagne Krug, buoni di benzina, biglietti aerei, viaggi».

E di Sandro Frisullo, sul libro paga di Tarantini, Mannarini ricorda: «Con Frisullo si incontravano a pranzo al Nessun Dorma; a lui piaceva arrivare all’incontro accompagnato dall’autista per “fare scena”. A me i due sembravano buoni amici. Tarantini era assetato di conoscenze; so che inseguiva D’Alema per averlo appreso da Maldarizzi (concessionario auto barese, ndr) che è mio amico; secondo me Tarantini ha conosciuto D’Alema tramite De Santis».

da la stampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO Puglia, lascia il candidato Pd indagato
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2010, 10:57:20 am
21/3/2010 (8:2) 

- INCHIESTA SULLA SANITÀ, SI DIMETTE IL SEGRETARIO ORGANIZZATIVO REGIONALE

Puglia, lascia il candidato Pd indagato

Mazzarano accusato da Tarantini: «Sono innocente, ma ho deciso di ritirarmi per salvare il partito»


GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BARI

Michele Mazzarano, indagato dalla Procura di Bari per le dichiarazioni dell’imprenditore Gianpi Tarantini («Sandro Frisullo e Michele Mazzarano erano i due politici a libro paga...»), ha deciso «con grande sofferenza» - dopo che i giornali avevano rivelato che era lui il secondo politico chiamato in causa da Tarantini - di dimettersi da segretario organizzativo del Pd e di ritirarsi dalla competizione elettorale, candidato alle Regionali nella lista di Taranto.

«Nego nel modo più fermo e risoluto - dice l’esponente politico - di essere stato mai destinatario di tangenti da parte di chicchessia, e in particolare dal Tarantini, e sono convinto che la magistratura vaglierà con le dovute cautele le suddette eventuali dichiarazioni. Chiedo a chi ha sostenuto la mia candidatura di capire e condividere le motivazioni politiche della mia scelta. Con questa decisione non intendo tanto salvaguardare la mia persona, estranea a qualsivoglia sistema tangentizio, quanto contribuire a mantenere indenne da ogni sospetto e da ogni accusa il mio partito e l'intero centrosinistra».

Che sofferenza. E’ tramortito il Pd pugliese. Se potesse gridare ai quattro venti che è vittima di una «tempistica» giudiziaria sospetta, lo farebbe. Ma si immola, per il momento, nello stoicissimo «rispetto della magistratura». Ha provato a sollevare dubbi Nicola Latorre, quando hanno arrestato tre giorni fa l’ex numero due della Giunta Vendola, Sandro Frisullo. Ed è stato respinto con perdite, criticato per le sue obiezioni. Il segretario regionale del Pd, Sergio Blasi, si sfoga: «Frisullo è in carcere per le accuse di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore di cui è noto il sodalizio costante con Silvio Berlusconi...». Come dire che le sue accuse sono sospette. E sulla sua innocenza scommettono i suoi legali. In carcere, Sandro Frisullo (domani mattina è fissato il suo interrogatorio di garanzia) ha negato di aver preso lo «stipendio» da Tarantini. E anche uno degli avvocati ed esponente di punta del Pd barese, Gianni Di Cagno (che difende Mazzarano) si chiede con grandi perplessità le ragioni per le quali è stato arrestato Frisullo, che da nove mesi si è dimesso dalla Giunta Vendola. Che non può reiterare il reato (Tarantini da sei mesi è ai domiciliari). E che a lui come a qualunque cittadino non si può impedire di avere opinioni politiche.

Sul fronte giudiziario, si apprende che Michele Mazzarano potrebbe essere indagato nell’ambito dell’inchiesta su sanità e finanziamento illecito dei partiti. Alla fine del luglio scorso, il pm Desiré Digirolamo mandò i carabinieri nelle sedi di Pd, Rifondazione, Socialisti autonomisti, Lista Emiliano e Sinistra e libertà per acquisire i bilanci dal 2005 in poi. Mazzarano è stato segretario regionale dei Ds e poi numero due del Pd. Nei brogliacci delle intercettazioni telefoniche del fascicolo Frisullo, compaiono un paio di telefonate tra Tarantini e Mazzarano, alla fine del luglio del 2008: «Tarantini riferisce a Marzocca (Domenico, imprenditore, ndr) di essere già stato contattato da una persona che voleva incontrarlo. Marzocca chiede a Tarantini di fissare un appuntamento per l’indomani».

Non scambiare cortesia con asservimento. Lo precisa Guido Scoditti, direttore generale dell’Asl di Lecce coinvolto nell’inchiesta barese sulla sanità in merito alle intercettazioni di telefonate tra lui e Sandro Frisullo, ex vicepresidente della Regione Puglia arrestato nell’ambito della stessa inchiesta. «In merito alle notizie di stampa che vedrebbero il sottoscritto in atteggiamento di totale riverenza, gratitudine e disponibilità nei confronti dell’ex vicepresidente della Regione Puglia, presumibilmente finalizzato a favorire qualcuno e collegando questo a episodi irregolari di forniture sanitarie nell’ambito della Asl di Lecce, è doveroso precisare che le intercettazioni riguardano determinazioni» dello stesso Scoditti «completamente di segno opposto ai desiderata del vicepresidente».

da lastampa.it


Titolo: GUIDO RUOTOLO. Bocchino: "Per Verdini una soluzione-Brancher"
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2010, 06:27:30 pm
11/7/2010 (7:19)  - INTERVISTA

Bocchino: "Per Verdini una soluzione-Brancher"

Il finiano invoca le dimissioni anche per Cosentino

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Non l’ho detto, e poi la stessa agenzia di stampa ha chiesto scusa. Figuriamoci se noi ci mettiamo a fare i ricatti o a minacciare di far cadere il governo. In questi mesi abbiamo sempre condotto una solare battaglia di idee e di confronto politico interno al Pdl e parrebbe molto singolare che oggi affermassimo di avere i numeri per far cadere il governo.
Il nostro obiettivo non è quello di danneggiare la maggioranza o disarcionare Berlusconi, ma di diventare maggioranza nel partito su tre argomenti sui quali il Pdl appare oggi poco sensibile: difesa della legalità e dell’unità nazionale; riaffermazione di una carta dei diritti e dei doveri dei cittadini».

Italo Bocchino è amareggiato per l’ultimo scandalo giudiziario che vede coinvolti esponenti del suo partito (da Denis Verdini a Nicola Cosentino). L’ordinanza di custodia cautelare di 60 pagine l’ha letta tutta di un fiato: «Si passa da Totò e Peppino, nel senso che quei signori sembrano far parte di una banda di sfessati, al Romanzo Criminale come dice Fabio Granata.
La cosa davvero preoccupante è il risvolto di malcostume nel partito». E tanto per non gettare il sasso e tirare indietro la mano, l’esponente dei finiani dice che «il Berlusconi “ghe pensi mi” come ha risolto il caso Brancher così deve risolvere il caso Verdini». Insomma, anche il triumviro del Pdl deve dimettersi.

Adesso a far girare su tempesta la lancetta del barometro della politica interna, è il dopo cena a casa Vespa. La Lega all’ipotesi dell’Udc di Casini nel governo non ci sta...
«Posso solo dire che a quella cena era stato invitato anche Gianfranco Fini, che però ha preferito raggiungere le figlie al mare».

Il premier ha attaccato la libertà di stampa, che non è un diritto assoluto.
«Da editore dico al Presidente che sbaglia. E’ una sciocchezza imperdonabile prendersela con la sinistra che imbavaglia la verità. Il mondo dell’informazione è plurale e per i giornalisti è un dovere raccontare i fatti».

Torniamo ai fatti della loggia paramassonica di Flavio Carboni e soci. Soci molto vicini o interni al Pdl...
«L’assessore regionale della Campania Ernesto Sica si deve dimettere subito. Lui è stato catapultato in giunta dal suo sponsor-protettore: Silvio Berlusconi. Sica è quello che costruisce il falso dossier contro Stefano Caldoro, il nostro governatore».

E il sottosegretario all’Economia nonché segretario regionale del Pdl Nicola Cosentino?
«Anche lui è oggettivamente incompatibile con la guida del Pdl campano. In una intercettazione tra Cosentino e l’imprenditore Martino, il sottosegretario spiega all’interlocutore che in un rapporto dei carabinieri, che non esiste, si parla delle frequentazioni ambigue e dei vizietti di Stefano Caldoro. Cosentino partecipa all’azione di dossieraggio contro il futuro governatore della Campania. Se fossi in Caldoro non gli rivolgerei mai più la parola. E dunque Cosentino non può più essere segretario del partito».

Sul nodo Verdini lei dice che deve essere Berlusconi a far dimettere il triumviro del Pdl. Indagato a Firenze e probabilmente a Roma, Verdini dagli atti processuali sembra più impegnato a raccomandare i suoi sodali in affari più o meno leciti che a fare politica...
«Sui profili penali non voglio esprimermi. Da amico, mi auguro che Denis Verdini sappia dimostrare la sua innocenza. Dal punto di vista politico c’è un enorme problema di opportunità che Silvio Berlusconi non può far finta di non vedere. Insomma, il caso Brancher docet. Più in generale c’è un problema della classe dirigente del partito che non riesce a interpretare il progetto originario di Berlusconi e Fini. La degenerazione è arrivata a livelli di guardia con spericolate e vergognose operazioni di dossieraggi contro esponenti del partito».

C’è anche un dossier su di lei...
«Nessuno mi ha dato comunicazione ufficiale. So che a Napoli circola questa voce. Sono certo che qualcuno ha perso tempo non riuscendo a trovare o a inventare nulla contro di me».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56621girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Lombardi: "Quando vidi Mancino"
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2010, 11:02:16 am
18/7/2010 (7:14)  - RETROSCENA

Lombardi: "Quando vidi Mancino"

Il geometra: «Gli avrò parlato della nomina di Marra alla Corte d'appello»

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Si racconta come uno voglioso di fare soltanto bella figura con il capo, quando si difende dall’accusa di aver tentato di condizionare l’esito della decisione della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano: «Ho tentato di interessarmi per acquisire meriti con il capo del mio partito, con Silvio Berlusconi, affinché potesse ritenersi che ero in grado di arrivare anche ai giudici della Corte Costituzionale».

È un millantatore che si dà un gran daffare ma che alla fine non ottiene nessuno degli obiettivi che voleva raggiungere, Pasquale Lombardi, il «geometra» che si faceva passare per giudice tributarista? «Ammetto di aver contattato il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, che ormai non conta più nulla».

È il 10 luglio scorso quando Pasquale Lombardi viene interrogato dal gip nel carcere di Avellino. Lui, l’imprenditore Arcangelo Martino, Flavio Carboni o gli altri indagati eccellenti (Marcello Dell’Utri e Denis Verdini) si contendono la palma di «Venerabile», il 33° della Loggia P3 la cui esistenza è stata ipotizzata dal procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo. Una banda di «pensionati» per dirla con Silvio Berlusconi, o una organizzazione paramassonica con l’obiettivo di condizionare la vita delle istituzioni?

A leggere il suo interrogatorio, Pasquale Lombardi nei fatti è costretto ad ammettere gli episodi contestati, confermando così le ipotesi dell’accusa (e qualche schizzo di fango lo fa arrivare addosso a Nicola Mancino, vicepresidente del Csm). Per esempio, a proposito del suo interessamento in Cassazione alla «pratica» Cosentino (era stato presentato il ricorso al Palazzaccio contro l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione mafiosa), Lombardi ha ammesso di aver contattato il presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone.

«Dopo l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, poiché l’onorevole Cosentino mi ha chiesto se conoscessi qualcuno in Cassazione perché per il 28 gennaio del 2010, data fissata per la discussione del ricorso, era previsto uno sciopero degli avvocati, ho chiamato - ha spiegato Lombardi - il presidente Carbone per sapere se il ricorso sarebbe stato comunque trattato. Non ricordo dell’indicazione che mi fu data di far rinunciare ai termini per la trattazione del ricorso da parte dei difensori dell’onorevole Cosentino».

Altro episodio centrale che è emerso dalle indagini dei carabinieri di Roma è quello dell’incontro a casa del triumviro del Pdl, Denis Verdini. In quell’occasione, secondo l’accusa, si parlò anche della Consulta che doveva discutere il Lodo Alfano. «Confermo l’incontro svoltosi in casa dell’onorevole Verdini - ammette l’indagato - al quale erano presenti Dell’Utri, l’onorevole Caliendo, il giudice Miller, non ricordo se fosse presente anche Martone (l’ex avvocato generale della Cassazione, ndr). In quell’occasione non abbiamo parlato dell’imminente giudizio di costituzionalità del lodo Alfano ma soltanto della candidatura per la presidenza della Regione Campania. In particolare la presenza di Miller (Arcibaldo, capo degli ispettori di via Arenula, ndr) era legata a una sua possibile candidatura».

C’è poi il blocco di contestazioni sulle «raccomandazioni» di magistrati da promuovere: «Alfonso Marra, Gianfranco Izzo e Paolo Albano». Il gip chiede all’indagato perché quei magistrati si siano rivolti a lui: «Perché ho molte conoscenze e amicizie nell’ambito politico e giudiziario». Ammette di essersi rivolto ad alcuni componenti del Csm (Ferri, Carrelli Palumbi, Saponara, Bergamo): «Effettivamente mi sono incontrato con l’onorevole Mancino (Nicola, vicepresidente Csm, ndr) con il quale avrò parlato incidentalmente della nomina di Marra» (a presidente della corte d’Appello di Milano, ndr).

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56805girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - A Palermo si sbriciola l'Italia
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2010, 10:24:12 am
20/7/2010

A Palermo si sbriciola l'Italia
   
GUIDO RUOTOLO

La vigilia dell’anniversario. Poche «agende rosse» nella Palermo di Salvatore Borsellino e dell’Italia dei Valori. Manifestazione anticipata, perché non sia mai doversi contaminare con le istituzioni. Il giorno del ricordo. Diciott’anni fa, via D’Amelio. Dopo Giovanni Falcone cadevano anche Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta. I due figli amati dalla Palermo che non piegava la schiena eliminati da Cosa nostra e non solo.

Commemorazioni e fiaccolate. C’è qualcosa che non quadra in questa fotografia che Palermo ci consegna a fine serata. Ore 10, caserma della polizia Lungaro. Il palermitano presidente del Senato, Renato Schifani, depone una corona di fiori in ricordo del magistrato e della sua scorta. E non sia mai che qualcuno possa solo dire che Schifani sarebbe voluto andare anche alla fiaccolata e alla manifestazioni in via D’Amelio. Il suo ufficio stampa precisa subito che è una notizia falsa. Perché via D’Amelio fa così paura? Le agenzie battono il discorso di Gianfranco Fini, il presidente della Camera, accolto con i fischi di un gruppo di ragazzi.

Che bella scena, Fini che si ferma a parlare con i contestatori, che sente le loro ragioni e strappa applausi mentre si reca alla veglia notturna. Questa sì affollata, con oltre tremila persone.

Palermo non dimentica, magari è stanca.

Tuonano gli oppositori del governo contro l’assenza del Guardasigilli Angelino Alfano. Assente da Palermo, dalla sua Sicilia. Le agenzie battono che Alfano è stato in via Arenula, al ministero, dove ha ricevuto il neo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo.

Palermo, Italia. Una rappresentazione plastica dello sfarinamento del Paese. Una incomunicabilità tra pezzi delle istituzioni e delle forze politiche che lascia sgomenti.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7616&ID_sezione=&sezione=


Titolo: Palamara: "Fuori chi getta discredito sulla giustizia" (Meglio tardi che mai!).
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2010, 10:28:35 am
20/7/2010 (7:45)  - LE INCHIESTE

Palamara: "Fuori chi getta discredito sulla giustizia"

«Espulso chi ha frequentazioni equivoche»

GUIDO RUOTOLO

Cartellino rosso, espulsione insomma, per quei colleghi che con le loro frequentazioni gettano discredito nei confronti dell’ordine giudiziario». Anche l’Anm sembra voler fare sul serio, forse perché avverte che il terreno sotto i piedi sta smottando. «Il 23 luglio si riunirà d’urgenza la Commissione deontologica per portare a termine la revisione del Codice deontologico». L’annuncio del presidente dell’Anm, Luca Palamara, è foriero di iniziative draconiane sul terreno della questione morale che non risparmia neppure la magistratura.

Presidente Palamara, il Capo dello Stato ha rimandato al nuovo Csm la discussione sul coinvolgimento dei magistrati nell’inchiesta sulla P3.
«E’ assolutamente condivisibile che delle questioni emerse negli ultimi giorni se ne debba occupare il nuovo Csm, anche alla luce della vicenda che ha portato alla nomina del nuovo presidente della Corte d’appello di Milano e delle asserite e indebite interferenze tra soggetti esterni al Csm e alcuni consiglieri di Palazzo dei Marescialli».

Di solito le analisi sono sempre lucide, e anche l’indignazione non guasta mai. Poi però si torna a come prima. Insomma, l’Anm al di là delle parole come intende passare ai fatti?
«Dobbiamo essere conseguenti e batterci per una magistratura realmente rinnovata che dia un segnale molto forte di non accettare più al suo interno situazioni che ne compromettano il prestigio e la credibilità della funzione. Anche perché la stragrande maggioranza dei magistrati è del tutto estranea ai fatti accaduti negli ultimi giorni. Dobbiamo concretamente dare dei segnali di discontinuità da questi comportamenti».

Come si può essere credibili quando, per esempio, sulle promozioni le diverse correnti si spartiscono i posti?
«Non voglio nascondermi dietro un dito. Inutile negare che in passato le cose non sono andate per il verso giusto e che sicuramente la legge Castelli, con la valorizzazione del merito piuttosto che dell’anzianità, ha ulteriormente creato una rivoluzione all’interno della magistratura».

Sulla legge Castelli sta esprimendo un giudizio positivo?
«Su questo aspetto sì. Distinguerei il discorso delle correnti dal correntismo. Non deve più prevalere la logica dello scambio: se un cinquantenne lo merita, può essere nominato anche procuratore della Repubblica di Roma».

Come si blinda il Csm da sollecitazioni esterne?
«Ricordandosi ogni giorno che il Csm è una istituzione e in quanto tale va preservata».

L’Anm propone di espellere anche chi con le sue frequentazioni arreca un danno all’ordine giudiziario. Se questa proposta fosse operativa, il capo degli Ispettori di via Arenula, Arcibaldo Miller, sarebbe espulso dall’Anm?
«Direi di sì. Al di là del merito, nel quale non posso entrare, la situazione di chi è il capo degli ispettori di via Arenula è oggettivamente delicata. Chi riveste tale carica non può avere frequentazioni politiche che hanno come oggetto addirittura una sua eventuale candidatura politica-amministrativa. E’ chiaro che il ministro di Giustizia deve valutare e agire di conseguenza».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201007articoli/56871girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Borsellino, un'altra autobomba era pronta a uccidere il giudice
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2010, 10:08:25 am
22/7/2010 (7:30)  - RETROSCENA

Borsellino, un'altra autobomba era pronta a uccidere il giudice

Dopo anni di depistaggi, si scopre che la mafia quel giorno aveva un piano bis: un secondo commando addestrato per fare strage sotto la casa di via Cilea

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A PALERMO

Ecco le verità che stanno affiorando dopo diciotto anni di «depistaggi colossali», per dirla con le parole del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari nel giorno delle audizioni palermitane all’Antimafia guidata da Beppe Pisanu. E sono verità che fanno male a tutti, ai magistrati che hanno fatto le indagini, che hanno giudicato gli imputati, che hanno condannato all’ergastolo degli innocenti.

Agli apparati di sicurezza, alle forze di polizia che non sono state in grado di coltivare le piste giuste. Ai livelli politico-istituzionali che hanno fatto finta di non sapere quello che stava accadendo.

Quando Sergio Lari, gli aggiunti Bertone e Gozzo, il pm Nicolò Marino hanno raccontato l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio (l’audizione è stata segretata), i commissari dell’Antimafia sono rimasti sconvolti, increduli. Come è possibile che per tanti anni nessuno si sia mai accorto della fine che aveva fatto il motore della 126 imbottita di esplosivo? Come se facesse parte di una strategia raffinata, quella di alimentare misteri che tali poi non erano. Chissà dove è finito il motore? Chi l’ha fatto sparire? C’è lo zampino dei servizi, non è farina del sacco di Totò Riina...

Dubbi, domande, sospetti che si sono inseguiti per 18 anni. Bene, quel motore non è mai sparito da via D’Amelio per il semplice fatto che è rimasto accanto ai resti della macchina e dei corpi maciullati delle vittime.

Secondo mistero: da dove e chi ha premuto il pulsante del telecomando dell’autobomba? Sono 18 anni che se ne parla. Si è favoleggiato sullo splendido castello che sovrasta Palermo e che si trova sul Monte Pellegrino: il Castello Utveggio, dove aveva una sede distaccata l’allora Sisde, oggi Aisi, il servizio segreto civile. E’ stato il cavallo di battaglia del consulente Gioacchino Genchi. Anche questo da oggi non è più un mistero. La postazione da dove è stato premuto il pulsante è all’ultimo piano di un edificio con tre scale che si trova in linea d’aria a centocinquanta metri da via D’Amelio, il palazzo dei Graviano, i costruttori prestanome dei Madonia, la famiglia mafiosa a cui appartiene come mandamento via D’Amelio.

Ma soprattutto i commissari di Palazzo San Macuto hanno avuto un sussulto quando i magistrati di Caltanissetta hanno raccontato uno scenario incredibile, e che sarà materia di approfondimenti investigativi: Cosa Nostra aveva attivato una seconda squadra operativa in grado di intervenire in via Cilea, dove abitava Paolo Borsellino (lo ha raccontato il pentito Antonino Galliano). Insomma, quel maledetto giorno due autobombe erano pronte a esplodere: una sotto casa del magistrato, l’altra sotto l’abitazione della madre di Paolo Borsellino. Solo a riassumere questi tre misteri si comprende subito quanto sia stata «anomala» la strage Borsellino, quanto lontana dal cliché dei Corleonesi.

Al di là di Gaspare Spatuzza - e poi delle ritrattazioni dei tre vecchi pentiti Candura, Scarantino e Andriotta - e delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino e della sua copiosa documentazione, le novità di Caltanissetta arrivano tutte dal lavoro tecnico sulle prove, sulla documentazione raccolta all’epoca, e lasciata inspiegabilmente nel dimenticatoio.

La polizia scientifica centrale ha ricostruito la scena del crimine. L’ha suddivisa in cinque parti, l’ha resa vera con un collage, un puzzle composto da migliaia di fotografie, di frammenti di video, anche quelli amatoriali. E quante sorprese hanno lasciato stupefatti persino gli uomini della Scientifica. La prima scoperta è stata il motore. Era lì, non hanno dubbi, l’hanno scritto nella loro perizia gli uomini della Scientifica. Chi c’era in quella postazione del palazzo dei Graviano? E come si è arrivati all’individuazione del palazzo? Probabilmente il Giovanni Brusca di via D’Amelio potrebbe essere Fifetto Cannella o lo stesso Giuseppe Graviano. E’ una ipotesi, ancora tutta da riscontrare, ma che siano loro gli inquirenti di Caltanissetta non hanno molti dubbi.

Le foto, i filmati mostrano addirittura le cicche di sigaretta a terra, sul pavimento dell’attico del palazzo Graviano. Si vede anche un vetro, probabilmente un riparo per chi doveva premere il pulsante. Ricordate Capaci? Ben presto fu individuato il casolare a metà strada tra Isola delle Femmine e Capaci da dove Giovanni Brusca premette il pulsante dell’esplosivo che fece saltare Giovanni Falcone, la moglie, la sua scorta. Quelle cicche di sigarette, il Dna, le indagini che andarono in porto.

Perché per via D’Amelio non è stato fatto lo stesso. Si scopre solo adesso che a poche ore dalla strage arrivò una segnalazione anonima. Una signora molto arzilla disse al telefono: «Ho visto del movimento all’ultimo piano del palazzo Graviano. Guardate che i Graviano sono dei prestanome dei Madonia...».

E poi il sospetto che quel giorno fossero pronte due squadre operative di Cosa nostra, una che si appostò in via Cilea, dove abitava Paolo Borsellino. L’altra in via D’Amelio. Da chi era composta la squadra di via Cilea? Che fine ha fatto la seconda auto imbottita di tritolo? Chi doveva premere il pulsante dell’innesco?

Domande alle quali i magistrati di Caltanissetta stanno cercando di dare risposte. Colpisce la considerazione di Gaspare Spatuzza che quando riconosce in Lorenzo Narracci (funzionario dei servizi segreti) l’uomo presente nel garage dove si stava imbottendo di esplosivo la 126 che doveva servire per la strage di via D’Amelio, commenta: «E’ l’unico attentato con l’esplosivo che abbiamo gestito noi che va in porto».

E già, i Graviano, la famiglia di Brancaccio. E gli attentati non riusciti, come quello di via Fauro (doveva saltare in aria Maurizio Costanzo), o l’autobomba dell’Olimpico, che alla fine del gennaio del 1994 doveva fare una ecatombe di carabinieri.

Le indagini sulle stragi palermitane hanno ancora bisogno di tempo per arrivare a una conclusione. In autunno dovrebbe avviarsi il meccanismo per la revisione dei processi che hanno condannato all’ergastolo degli innocenti. Stiamo parlando degli esecutori materiali della strage.

E poi c’è il capitolo «doloroso» dei depistaggi, delle calunnie. Sono coinvolti alcuni poliziotti che condussero le indagini: Vincenzo Ricciardi, Mario Bo, Salvatore La Barbera. Se fosse ancora vivo sicuramente sarebbe indagato anche Arnaldo La Barbera che guidò quel gruppo di investigatori.

E l’ultimo capitolo da approfondire è quello della trattativa, del coinvolgimento di pezzi delle istituzioni. All’Antimafia, gli inquirenti di Caltanissetta hanno ribadito quello che era già noto, con le dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Borsellino viene ucciso anche per la trattativa che era stata avviata dal Ros dei carabinieri di Mario Mori e Beppe De Donno. Perché due giorni dopo la strage, con i funerali di Paolo Borsellino ancora da celebrare, l’allora colonnello Mario Mori va subito a Palazzo Chigi per rivelare a Fernanda Contri, capo di gabinetto del presidente del Consiglio Giuliano Amato, che aveva intavolato un certo discorso con Vito Ciancimino?

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56930girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Stragi, la lettera segreta di don Vito
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2010, 12:31:29 pm
25/7/2010 (7:52)  - I SEGRETI DI COSA NOSTRA

Stragi, la lettera segreta di don Vito

Ciancimino jr la consegna ai pm: «Borsellino contro la trattativa Stato-mafia»

GUIDO RUOTOLO
ROMA

In tempi non sospetti, siamo al novembre del 1992, don Vito Ciancimino lascia tracce dei suoi incontri con il Ros dei carabinieri, con il colonnello Mario Mori, prima della strage di via D’Amelio. Come tanti altri materiali riaffiorati dagli archivi della famiglia Ciancimino 18 anni dopo quella tragica stagione, anche questo documento è stato consegnato alla Procura di Palermo.

Si tratta di una lettera indirizzata a un dirigente di Bankitalia il cui nome era compreso in una rosa di candidati a occupare la poltrona di presidente del Consiglio, in quel convulso autunno del ’92.

Mercoledì Massimo Ciancimino sarà di nuovo in pellegrinaggio a Palermo, e poi a Caltanissetta, per una nuova serie di colloqui-interrogatori con i magistrati che indagano sulla presunta trattativa tra Stato e Cosa nostra, e sulla strage di via D’Amelio. E mercoledì Ciancimino jr dovrà anche spiegare la lettera nella quale il padre si assunse un ruolo di compartecipe di quella «cricca» - una decina di personalità, tra ministri in carica, funzionari e generali degli apparati di sicurezza - che, mentre crollava la Prima Repubblica abbattuta da Mani Pulite, lavorava a creare le condizioni per «una nuova entità politica».

L’incipit di questa lettera è chiarissimo: «Sono Vito Ciancimino il noto, questa mia lettera, a futura memoria, vuole essere un promemoria da ben conservare se realmente Lei deciderà di scendere in politica come da amici di regime mi è stato sussurrato. Ritengo mio dovere precisare che direttamente e indirettamente faccio parte di quel “regime” che oggi, a causa di tutti loro e anche i miei sbagli costringeranno Ella, sicuramente persona super partes, e da me stimata e apprezzata nel tempo, nel tentativo di convincerla a prendere le redini di un Paese destinato allo sfascio. Sono stato condannato su indicazione del regime per il reato di mafia per mano di persone che a confronto con alcuni mafiosi sono dei veri galantuomini».

Non veste solo i panni del «profeta» don Vito Ciancimino. Scrive al suo interlocutore: «Faccio parte di questo regime e sono consapevole che solo per averne fatto parte ne sarò presto escluso. Al momento, sono utile per i loro ultimi disegni prima del “capolavoro finale”».
E’ come se don Vito avvertisse che ben presto sarebbe finito in carcere, e ciò avvenne puntualmente un paio di settimane dopo aver spedito questa lettera.

«Dopo un primo scellerato tentativo di soluzione avanzato dal colonnello Mori per bloccare questo attacco terroristico ad opera della mafia, ennesimo strumento nelle mani del regime, e di fatto interrotto con l’omicidio del giudice Borsellino sicuramente oppositore fermo di questo accordo, si è deciso finalmente, costretti dai fatti, di accettare l’unica soluzione possibile per poter cercare di rallentare questa ondata di sangue, che al momento rappresenta solo una parte di questo piano eversivo».

Dunque, Ciancimino rivela al suo interlocutore che il colonnello Mori propone - anche se la ritiene «scellerata» - una soluzione per bloccare l’offensiva stragista. In tutti questi mesi, il figlio Massimo ha sempre sostenuto che, secondo don Vito, Mori, il signor Franco, lo stesso Provenzano suggerivano di trattare con Totò Riina e che suo padre era contrario: «Con quell’animale - diceva papà - non si può trattare».

Nella lettera spedita nel novembre del ’92, don Vito ammette che la trattativa si avvia dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio. Nello stesso tempo l’ex sindaco mafioso di Palermo rivela implicitamente che Paolo Borsellino era stato informato dei contatti in corso tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, e che si opponeva.

Da questo punto di vista, la lettera consegnata da Ciancimino jr ai magistrati siciliani è una conferma a quanto ha ricostruito la Procura di Caltanissetta.

La missiva di don Vito Ciancimino si conclude così: «Tutta la vecchia gerarchia politica sarà destinata ad allinearsi a questo nuovo corso della storia della nostra Repubblica, che sta buttando le sue basi non più su un semplice imbroglio (quale fu secondo don Vito il referendum monarchia-repubblica, ndr), ma su “una vera e propria carneficina”. Di tutto questo posso fornirle documentazione come prove e nomi e cognomi».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201007articoli/57022girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Granata insiste "Nel Pdl c'è una questione morale"
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2010, 11:10:51 pm
26/7/2010 (7:14)  - INTERVISTA

Il deputato Fabio Granata insiste

"Nel Pdl c'è una questione morale"

«A Orvieto sono prevalsi venti di guerra»

GUIDO RUOTOLO
ROMA
Domenica di passione per Fabio Granata. Crocefisso soprattutto dai vecchi camerati dell’Msi per le sue professioni di fede antimafia che avrebbero inferto colpi mortali al governo e al suo sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, ritenuto colpevole di non aver voluto dare la patente di pentito a Gaspare Spatuzza. Di fronte a tutte le frecce avvelenate che gli sono state lanciate, lui, che vive sotto scorta, ha passato la mattinata a manifestare contro le trivellazioni di petrolio nel ragusano. E dopo aver riflettuto e aver avuto conforto da Roma, Fabio Granata ha accettato di rispondere alle accuse dei suoi colleghi di maggioranza e di partito.

Onorevole, non deve essere piacevole trovarsi sul banco degli imputati...
«Sono sorpreso. Ciò che ho espresso sulle stragi del ‘92 e più in generale sui temi della legalità sono concetti e valori da sempre patrimonio della destra politica italiana. Una destra che ha in Paolo Borsellino e in tutti quei servitori dello Stato uccisi perché facevano il loro dovere, il punto di riferimento imprescindibile dell’agire politico».

Un bravo ragazzo ma un cavallo pazzo, l’ha definita così Gianni Alemanno.
«Sono amareggiato particolarmente per il tentativo di dipingermi come un irresponsabile rispetto ad alcune verità di fondo su quegli anni bui che sono le stesse ribadite da personaggi come Ciampi, Piero Grasso, Fini, Pisanu, lo stesso presidente Napolitano. Nessuna tesi eversiva ma la consapevolezza che su quella stagione bisogna ancora fare piena luce pretendendo verità e giustizia. Non furono solo stragi di mafia, quelle di Falcone e Borsellino».

Tesi suggestiva, tutta da dimostrare.
«La ciclopica storia di depistaggi e insabbiamenti portata avanti con i primi processi che hanno visto protagonista quel pentito inquinato che corrisponde al nome di Vincenzo Scarantino, dimostra che opera di deviazione vi fu e che non fu farina del sacco di Cosa nostra».

Spatuzza, su di lui si è spaccata la maggioranza...
«Non ho dato patente di attendibilità a Gaspare Spatuzza. Non tocca a noi politici dispensare queste patenti. Come l’intera Antimafia, ho preso atto che tre Procure competenti, Firenze, Palermo e Caltanissetta, lo hanno ritenuto attendibile. In particolar modo, le due procure siciliane hanno circoscritto la sua attendibilità alla ricostruzione delle stragi di Falcone e Borsellino. In particolare, la strage di via D’Amelio. Non conosco un rigo delle dichiarazioni di Spatuzza sui fatti successivi a Falcone e Borsellino, per cui non ho espresso e non intendo esprimere alcuna valutazione. Sul premier Berlusconi, tanto per essere chiari, continuo a ritenere che sia vittima di un accanimento giudiziario ingiustificato».

Il presidente della commissione che vaglia le posizioni dei dichiaranti che vogliono ottenere il programma di protezione, Alfredo Mantovano, si è risentito per le sue dichiarazioni, chiedendo al presidente Fini di essere tutelato...
«Stimo Mantovano. Dico subito che secondo me ha commesso un errore di valutazione. Tutto qui, nulla a che vedere con il sospetto di collusione con la mafia. Si può esprimere una critica? Lo dico perché sono consapevole che Alfredo Mantovano è un magistrato e insieme al ministro dell’Interno Maroni ha ben condotto l’azione di contrasto alle mafie».

Ma le sue critiche sono andate ben oltre: ha accusato parte del governo di non fare lotta alla mafia.
«Ho messo insieme alcuni fatti e alcuni segnali. Su Spatuzza ho già detto. Aggiunga che diversi membri del governo e del Pdl hanno utilizzato un linguaggio inaccettabile nei confronti delle Procure maggiormente impegnate in questi procedimenti. E poi il silenzio di settori del governo che pure sono impegnati nella lotta alle mafie nell’impegno a migliorare in Parlamento il testo sulle intercettazioni. Arrivavano suggerimenti dal prefetto Manganelli, il capo della Polizia, del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso su come non indebolire gli strumenti investigativi della lotta alla mafia. Noi, tra mille difficoltà, abbiamo raccolto quei suggerimenti e anche su questo siamo stati accusati di remare contro il governo».

Non crede che lei sia il pretesto per mettere in difficoltà il presidente della Camera, Gianfranco Fini?
«Lo sospetto anch’io. Da parte mia non posso che ribadire che non mi scuso per quello che ho detto. Che non posso tacere che nel Pdl c’è anche una questione morale. Che se finisco io davanti ai Probiviri, vorrei che anche i Cosentino e i Verdini vengano processati dai giudici del partito. Sono consapevole che a Orvieto sono prevalsi i venti di guerra di chi vuole risolvere traumaticamente i conflitti politici».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57040girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Il sottosegretario: «Granata non usi la clava della mafia»
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2010, 09:43:28 am
27/7/2010 (7:25)  - INTERVISTA

Mantovano: "Un pellegrinaggio per la pace nel Pdl"

Il sottosegretario: «Granata non usi la clava della mafia»

GUIDO RUOTOLO
ROMA
Se dovesse scommettere punterebbe sulla pace o sulla rottura? «Non scommetto mai, da cattolico faccio solo voti. Sì, andrei in pellegrinaggio a piedi perché scoppi la pace tra Berlusconi e Fini. Una pace vera, fondata su basi solide, non una tregua». Una battuta. Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, ex An, al centro delle polemiche con Fabio Granata, il finiano intransigente. E sulla vicenda Spatuzza, Mantovano ha le idee molto chiare: «Se l’Antimafia chiedesse al Parlamento di modificare la legge sui collaboratori di giustizia, cancellando il limite temporale dei 180 giorni per fare tutte le dichiarazioni, e il Parlamento approvasse questa risoluzione, l’indomani mattina Gaspare Spatuzza avrebbe il programma di protezione».

Sottosegretario, lei accusa Fabio Granata di aver superato il confine della critica legittima sconfinando nella diffamazione. E’ sanabile questa frattura tra lei e Granata?
«Vorrei trascorrere una giornata senza dover leggere o sentire una dichiarazione di Bocchino o di Granata. Le polemiche oscurano i risultati del lavoro delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria che, grazie a sforzi e sacrifici, sono senza precedenti. In alcuni casi, sono arrivati prima che si consumassero reati gravissimi, come nel caso di Expo 2015 o nella ricostruzione all’Aquila. Tutto questo si perde perché mediaticamente passa la frase forte di Tizio o di Caio».

A Orvieto lei, Lupi, La Russa - e poi a seguire tutti gli altri - avete aperto il fuoco contro Granata, chiedendo l’intervento dei probi viri.
«A chi giova l’ansia distruttrice? Nei giorni scorsi alcuni finiani hanno paragonato il Pdl a un partito sudamericano. Faccio parte dell’Ufficio di presidenza del Pdl. Prima delle elezioni regionali il presidente Berlusconi non voleva che trovassimo un accordo elettorale con l’Udc e invece questa intesa è stata raggiunta. Sulle intercettazioni, avevamo trovato una intesa e sintesi con i finiani. Poi, siamo andati ben oltre. Dico questo per testimoniare che il nostro è un partito che discute e riesce a trovare una sintesi, se si vuole trovarla».

Perché fa paura Gaspare Spatuzza?
«Non è questa la domanda da porre. Nelle sette pagine di motivazioni con le quali la Commissione ministeriale che presiedo gli ha negato la concessione del programma di protezione, è scritto che Spatuzza su via D’Amelio e via dei Georgofili è stato riscontrato. Ricordo che la Commissione è giunta a una conclusione dopo aver letto tutti i verbali, tutte le dichiarazioni fatte da Spatuzza all’autorità giudiziaria. Il punto è il rispetto della legge. E la legge ci imponeva di bocciare la sua domanda perché Spatuzza ha fatto rivelazioni su vicende molto importanti ben oltre il limite del 180 giorni».

E’ legittimo criticare la decisione della sua Commissione?
«Ci mancherebbe. Ma cosa c’entra una critica legittima con l’affermazione che io ostacolerei l’accertamento della verità sulle stragi? Sono assolutamente contrariato dal fatto che il contrasto alla mafia sia oggetto di scontro interno allo stesso partito. E non sono per nulla d’accordo con l’agitare il vessillo della legalità, trasformandolo in clava con cui tramortire i colleghi di partiti».

Lei viene dalla storia di An, non dell’Msi, da quel cosiddetto movimento cattolico integralista. Mantovano, come vive lo strappo con Gianfranco Fini?
«In virtù della mia storia sono orgoglioso di aver contribuito a raggiungere risultati importanti di governo sul fronte dell’antimafia e della sicurezza».

Ma Fini, Granata, Bocchino hanno ragione quando pongono la questione morale nel Pdl?
«Così genericamente è incomprensibile e strumentale. Voglio dire che bisogna entrare nel dettaglio, nel particolare. E allora poi discutiamo. Da quattro mesi aspetto che a Claudio Scajola, che si è dimesso da ministro, vengano contestati i reati».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57067girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - P3, una rete impressionante, non solo quattro lobbisti
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2010, 10:51:22 am
28/7/2010 (7:25)  - DOCUMENTO

P3, una rete impressionante, non solo quattro lobbisti

Il Tribunale del Riesame inchioda il "gruppo di potere occulto"

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Sbuffa l’avvocato del politico trascinato dentro questa storia: «Ma che loggia segreta, questa è solo un’inchiesta giudiziaria. La politica che c’entra? Al massimo è una storia di affari e raccomandazioni». Forse ha ragione l’avvocato quando segnala che l’aspetto più importante di questa inchiesta è quello «giudiziario», per dire che la storia impresentabile riguarda i magistrati coinvolti nelle scalate di carriera, nei favori ricevuti o nelle promesse da mantenere. E alla fine, se questa lettura minimalista dovesse prendere il sopravvento, quali reati avrebbero commesso i diversi indagati ai vari livelli?

Forse vale la pena citare il capo d’imputazione per capire la sostanza dell’inchiesta del procuratore aggiunto Capaldo e del pm Sabelli. Agli indagati viene contestato il reato di associazione a delinquere «caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell’attività e della composizione del sodalizio, volta altresì a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali».

Insomma, un’organizzazione paramassonica. Va detto subito che la tesi dell’accusa ha già trovato due conferme, in questa fase delle indagini, rappresentate dalle decisioni del gip e del Tribunale del Riesame. «Nelle vicende in esame - si legge nelle motivazioni del Riesame - può tranquillamente escludersi che gli associati si limitassero a esercitare pressione lobbistica. Orbene, emerge in modo inconfutabile dagli atti processuali che gli attuali indagati hanno svolto una continuativa azione di interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche, come la Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione, il Csm, la Regione Sardegna, il ministero di Giustizia, grazie anche a una impressionante rete di conoscenze con soggetti che ricoprono cariche istituzionali ad alto livello e che appaiono sempre pronti ad accogliere le richieste del sodalizio». Leggendo l’ordinanza del Riesame si scopre che la banda non solo voleva interferire sul ricorso per le liste elettorali in Lombardia nelle ultime regionali, ma anche nel Lazio.

Esplicita il Riesame: «Come correttamente affermato nell’ordinanza impugnata, si tratta di un “gruppo di potere occulto e autonomo rispetto a quanti (persone fisiche estranee al gruppo medesimo, organismi istituzionali, entità politiche) costituiscono l’ambiente nel quale esso si muove e con il quale pure instaura dinamiche complesse”».

Dalla lettura dell’ordinanza del Riesame si comprende anche quanto l’inchiesta sia destinata ad allargarsi, nel senso di numero di indagati: «L’associazione vede dunque un numero di associati che va ben oltre i tre dirigenti del sodalizio (Carboni, Lombardi e Martino, ndr). L’associazione segreta facente capo agli attuali indagati risulta essere nota solo a pochissimi soggetti che le garantivano appoggio politico».

Ecco che finiscono nella rete degli indagati anche gli onorevoli Denis Verdini e Marcello Dell’Utri. E adesso all’elenco si aggiunge anche il sottosegretario Giacomo Caliendo. E probabilmente vedremo finire sul registro degli indagati anche altri magistrati eccellenti.

Ora, se l’associazione in questione fosse solo quella a delinquere, l’accusa avrebbe dovuto esplicitare il «programma di reati». Introducendo l’associazione segreta, i reati diventano quelle «interferenze illecite» contestate. Quelle che sono azioni eticamente riprovevoli diventano reati.

In questi giorni, dalla politica, dalla maggioranza, alle richieste finiane di dimissioni degli indagati dalle cariche istituzionali o politiche, si sono levate obiezioni del tipo: «La magistratura non può selezionare la classe politica». Vecchia e cara obiezione dai tempi di Mani Pulite. Ma la novità dell’inchiesta romana, quand’anche diventasse solo una emersione di «comportamenti eticamente riprovevoli», è che questi comportamenti sono davvero intollerabili per chi ricopre incarichi pubblici.

Una versione minimalista vuole che i Lombardi e i Martino siano degli sfigati qualunque. Ecco cosa scrive il Riesame su Pasquale Lombardi: «Il fatto che il primo presidente della Corte di Cassazione Carbone chieda garanzie per il proprio futuro a un personaggio come Lombardi attesta quanto sia riconosciuto, anche in ambienti istituzionali di altissimo livello, il potere del gruppo occulto di cui gli indagati fanno parte». Anche se poi Lombardi al telefono annuncia a Carbone: «stammi a sentì... io mi so’ fatto portare l’olio e te lo porto domani mattina».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57101girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO -- Bocchino: nascerà il nostro nuovo partito
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2010, 09:13:41 pm
22/8/2010 (7:41)  - INTERVISTA

Bocchino: lo strappo non è ricucibile, nascerà il nostro nuovo partito

«La logica degli aut aut appartiene più al commercio che alla politica»

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Presidente Italo Bocchino, il premier Berlusconi si è stufato, non vuole più trattare: “Prendere o lasciare”. Che fate voi finiani?
«Quella di Berlusconi è una logica che appartiene più al commercio che alla politica. Non possiamo accettare che ci si chieda un consenso al 100% di un percorso alla cui elaborazione non siamo stati chiamati a partecipare, e che contiene argomenti che non fanno parte del programma. Ne deriva che non ci sentiamo vincolati né con la maggioranza né con gli elettori».

Se dovesse scommettere, nascerà il partito di Gianfranco Fini?
«Non credo che si possa ricucire lo strappo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, e quindi vedo all’orizzonte la nascita di un nuovo partito politico».

Quando si andrà al voto?
«Berlusconi dovrà decidere se questo partito politico potrà far parte della coalizione. Noi naturalmente siamo per questa soluzione. In caso contrario, il voto è nelle cose».

Torniamo a quel prendere o lasciare. A quel 5% del programma che non vi piace. «L’enunciazione dei cinque punti di programma è una vittoria politica di Fini, che aveva chiesto di varare un programma per la seconda parte della legislatura e per questo era stato definito un pazzo. Adesso siamo tutti pazzi».

Federalismo fiscale, sud, riforma del fisco. Temi sui quali eravate state voi a insistere. Su sicurezza e giustizia, invece, il rischio è la rottura?
«Sulla sicurezza non possono certo pensare di crearci problemi. Noi solleciteremo di approvare in tempi rapidi il disegno di legge anticorruzione. Sul contrasto all’immigrazione clandestina, naturalmente, non ci sono nostre perplessità, la legge in vigore porta il nome di Fini. Chiediamo un grande progetto di integrazione dell’immigrazione regolare».

Lo scoglio insormontabile è il processo breve?
«Premessa: siamo a favore di uno scudo giudiziario per Silvio Berlusconi, vittima di una aggressione giudiziaria. Dunque, va bene il Lodo Alfano costituzionale. Le soluzioni alternative ci lasciano perplessi, non le capiamo, vorremmo discuterne. Per sottrarre Berlusconi da indubbie aggressioni si minano al cuore regole di sistema, facendo saltare un numero spropositato di processi che coinvolgono molti cittadini in attesa di giustizia».

No al processo breve?
«Nessuna pregiudiziale ma anche nessun aut aut. Entriamo nel merito della discussione. Non ci è chiaro neppure quel passaggio inserito nel documento e che fa riferimento ai procedimenti civili pendenti».

Dixit Berlusconi che se fate il partito è rottura...
«La sua è una strana concezione della politica e del tradimento. Berlusconi fa finta di non ricordare che Fini è stato dichiarato incompatibile con il Pdl. Fini non può essere un apolide della politica. Berlusconi con una logica padronale lo sbatte fuori dal partito e lui ha il dovere verso gli elettori di dar vita a un nuovo soggetto politico a meno che non si torni alla logica politica della compatibilità».

Frattura insanabile tra voi e gli altri del Pdl?
«Il progetto del Pdl è imploso. Ma la politica è l’arte delle cose impossibili e Berlusconi potrebbe far marcia indietro. Anche perché i sondaggi dicono che se si va al voto il Pdl perde tra i 60 e gli 80 parlamentari a vantaggio di Bossi e nostro. E al Senato Berlusconi non avrebbe la maggioranza. Il partito dei parlamentari che rischiano di perdere la poltrona e che al voto non vogliono andare è forte. E poi, di fronte a due maggioranze diverse tra Camera e Senato, scommetto che Umberto Bossi sponsorizzerebbe il governo Tremonti».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57842girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Gasparri: "Fini duro con Silvio quando lo vede in crisi"
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2010, 05:52:22 pm
23/8/2010 (7:11)  - INTERVISTA

Gasparri: "Fini duro con Silvio quando lo vede in crisi"
   
Il capogruppo Pdl al Senato: se fanno il nuovo partito si va a votare

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Presidente Maurizio Gasparri, ci sono ancora margini...
«Devono esserci. Il barometro di questa domenica d’agosto segna ancora tempesta. Non c’è dubbio che il dibattito politico è talmente esasperato che la possibilità che si voti a breve è concreta. Ma io voglio essere ottimista. Credo ancora che si possano scongiurare le elezioni se prevarrà lo spirito positivo espresso per esempio nell’intervista ad “Avvenire” dal finiano Pasquale Viespoli. Sul punto controverso della giustizia sottoscrivo quello che ha detto».

Si riferisce al processo breve?
«Preferisco parlare di processo di ragionevole durata. E’ vero che la norma transitoria non fa parte del programma elettorale del Pdl, ma in quel programma è scritto chiaramente che vogliamo dare piena attuazione al principio costituzionale del giusto processo per le vittime e per gli imputati. Pasquale Viespoli ha sostenuto che il testo approvato al Senato è il punto di sintesi anche per la Camera. Sono d’accordo».

Che fa, Gasparri? Ancora con questi distinguo tra buoni e cattivi? Gianfranco Fini è stato nei fatti espulso dal Pdl. E dunque senza un vostro dietrofront, i finiani saranno costretti a fondare un nuovo partito.
«Tra noi ex An ci conosciamo tutti da un bel po’ d’anni. Tra Viespoli e Bocchino c’è una distanza anni luce. Prendo atto che adesso in quella galassia la confusione è massima. Contro il Berlusconi degli editti di “Fare Futuro” anche i falchi hanno dovuto prendere le distanze. Mi limito a osservare la dialettica in quest’area, e aspetto i suoi esiti».

Tattica politica, la sua. Il rapporto tra Berlusconi e Fini si può ricostruire?
«E’ un rapporto che ha sempre vissuto di alti e bassi. E’ umorale e per quanto riguarda Fini è sempre stato legato agli scenari politici da lui ipotizzati. Voglio dire, rapporti tesi quando Fini pensava che Berlusconi sarebbe entrato in crisi politicamente. Ultimo esempio, poche ore prima del predellino, Fini era convinto che Prodi avrebbe resistito salvo poi correre da Berlusconi senza avvisarci neppure».

Cosa farete quando sarà nato il nuovo partito di Fini?
«Prenderemo atto che la maggioranza non c’è più e dunque si andrà al voto».

Ma se voi avete espulso nei fatti Fini...
«E’ vero, il documento di luglio è molto duro nei suoi confronti, a ben vedere. Se vuole le leggo tonnellate di sue dichiarazioni contro tutto. Intendiamoci, il dissenso su una questione è del tutto legittimo, ma sono anni ormai che Fini è bastian contrario. La sua è una contestazione sistematica su tutto».

Che fa, passa il cerino ai finiani?
«Ma lo sa che da tempo lui aveva annunciato la volontà di creare gruppi parlamentari autonomi? Il lunedì dei risultati elettorali delle regionali, quando ancora i risultati del Lazio e del Piemonte erano incerti, convocò una riunione per dare vita ai gruppi parlamentari autonomi, appunto. Salvo poi disdirla quando Roberto Cota e Renata Polverini divennero governatori del Piemonte e del Lazio».

A proposito di lavoriamo per evitare le elezioni, il presidente Berlusconi si appella alle squadre della libertà...
«Brutto quel nome che evoca altre storie... Io avrei preferito che si chiamassero difensori delle libertà...».

A parte i finiani, Rotondi, Buttiglione e Caldoro se la sono presa a male...
«E hanno ragione. Al vertice dell’altro giorno avremmo dovuto invitarli, visto tra l’altro che Rotondi è ministro per l’attuazione del programma di governo».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57863girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Vivere al sud, un atto d'amore
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2010, 08:41:32 am
12/9/2010

Vivere al sud, un atto d'amore
   
GUIDO RUOTOLO

E adesso aspettiamo di vedere le immagini del Bertolaso di turno che arriva ad Atrani e spiega che la colpa è dell’incuria degli amministratori, che si deve mettere in sicurezza il costone della montagna. Chissà se il mare consegnerà le spoglie della povera Francesca, sparita nel fango.

«Disastro annunciato», titola «il Mattino» di Napoli, che di nuovo è tornato, come ai tempi del terremoto dell’Irpinia del 1980, a sferzare le classi dirigenti del Mezzogiorno. Venerdì, ai funerali di Angelo Vassallo, c’erano centinaia di sindaci, di fasce tricolori e gonfaloni. Molti di loro, in quel 1980 erano giovani volontari che si impegnarono a prestare soccorso alle vittime e ai superstiti di quella tragedia. Oggi sono i primi cittadini di quei Comuni.

Angelo Vassallo, il sindaco pescatore, era un gendarme del territorio, amava l’ambiente, il mare e il verde che circondava Pollica. Il sindaco di Atrani, Nicola Carrano, c’è da scommettere che si assolverà.

Atrani. E prima, solo per ricordare le tragedie di questi ultimi anni, c’era stata Casamicciola, e Sarno. E poi Giampilieri, Messina. Soverato appena dieci anni fa.
Le frane, gli smottamenti, gli incendi dolosi con le sue vittime innocenti che hanno sconvolto recenti estati, come quello funesto dell’area tra Messina e Barcellona Pozzo di Gotto.
E gli attentati, le saracinesche squarciate, le pallottole vaganti che colpiscono innocenti. Le rese dei conti tra bande di spacciatori, le esecuzioni tipo Castelvolturno, con sei immigrati clandestini vittime delle raffiche casalesi.

Tante Gomorra sono spuntate nel frattempo.
Vivere al Sud è un atto d’amore, per le persone perbene. Fa riflettere questo Mezzogiorno. Mai come oggi, la politica di contrasto al crimine produce risultati positivi. Sarebbe stupido negarlo, sarebbe miope non riconoscerlo. Ed è un merito anche del governo, del ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni. Come lo è di quei pubblici ministeri che indagano, intercettano, verificano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, chiedono l’arresto degli indagati.

Gli attentati contro il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, il 3 gennaio e il 26 agosto, raccontano l’offensiva criminale contro la magistratura reggina impegnata contro la ’ndrangheta, contro l’area grigia che è un mix di colletti bianchi, massoneria, pezzi di apparati delle istituzioni.

Venerdì notte passavano sui telegiornali le immagini drammatiche di Atrani, quel fiume violento di acqua e terra che travolgeva tutto. E pochi attimi dopo, i funerali di Acciaroli. Davvero una rappresentazione plastica del paradosso del Sud: chi difende il territorio viene eliminato. La speculazione e l’abbandono del territorio producono, invece, catastrofi e vittime innocenti.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7819&ID_sezione=&sezione=


Titolo: GUIDO RUOTOLO "Erano piccati per le mie dichiarazioni contro il governo"
Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2010, 03:47:07 pm
9/10/2010 (7:35)  - RETROSCENA

"Erano piccati per le mie dichiarazioni contro il governo"

La frase della Marcegaglia che ha dato un'accelerazione all'inchiesta

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Prende coraggio Emma Marcegaglia, e dice di non temere il dossier de «Il Giornale», che Confindustria non si lascerà intimidire. Che fosse impaurita, intimorita per i sinistri messaggi dei vertici del quotidiano della famiglia Berlusconi, Emma Marcegaglia l’aveva messo a verbale il 5 ottobre, davanti al pm Henry John Woodcock: «Erano piccati anche per le dichiarazioni contro il governo... il Giornale e il giornalista hanno tentato di costringermi a cambiare il mio atteggiamento nei confronti del Giornale stesso.... anche Confalonieri mi chiese di cambiare atteggiamento nei confronti del Giornale... mi disse di aver parlato con Feltri e che era tutto a posto nel senso che il Giornale avrebbe desistito».

Beh, questa volta i due pm napoletani Piscitelli e Woodcock è come se fossero stati invitati a nozze. Il 5 ottobre, giorno in cui sentono i testi, si ritrovano con due parti offese, Emma Marcegaglia e Rinaldo Arpisella, direttore della comunicazione istituzionale del presidente di Confindustria, che confermano, anzi aggravano le ipotesi accusatorie contro Sallusti e Porro.

L’accelerazione delle indagini era avvenuta il giorno prima, quando i pm si erano resi conto che era in atto «una probabile fuga di notizie». Il Giornale quel giorno aveva infatti titolato in prima pagina: «I Pm spiano i telefoni del Giornale». La direzione del quotidiano parlava di due procure, una al Nord e una al Sud, che indagavano...

Dagli atti depositati emerge chiaramente che il telefono sotto intercettazione era quello di Rinaldo Arpisella, il collaboratore di Emma Marcegaglia, e che Nicola Porro era stato intercettato solo perché parlava con Arpisella (secondo le indiscrezioni sembra che Arpisella non sia formalmente indagato).

Vale la pena sottolineare che i pm non avevano a disposizione le intercettazioni della Marcegaglia con Confalonieri (non essendo entrambi intercettati) né le telefonate tra Vittorio Feltri e il numero uno di Mediaset (per lo stesso motivo). E, dunque, danno corpo allo scenario della violenza privata proprio le dichiarazioni di Emma Marcegaglia e di Rinaldo Arpisella, che lasciano aperta l’ipotesi di altre incriminazioni.

L’inchiesta «madre» è ancora oggi molto «blindata». Scarne le indiscrezioni, filtra solo la sensazione che il filone ambientale affidato al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri del «capitano Ultimo», rappresenti una minima parte delle indagini. Che l’inchiesta Piscitelli e Woodcock sia nitroglicerina.

E, dunque, che la perquisizione delle redazioni milanese e romana del Giornale sia stato un atto «urgente» non rinviabile perché in atto una fuga di notizie e un’offensiva basata su dossier come quella che per tutta l’estate si era concentrata sulla casa di Montecarlo di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna della presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Fanno notare a Palazzo di Giustizia che la competenza territoriale di questa indagine è discutibile e che gli atti potrebbero finire a Milano come a Roma. E, dunque, i due pm di fronte alla necessità di tentare di sequestrare il «dossier» del presunto ricatto, hanno proceduto con la perquisizione delle redazioni de «Il Giornale», sollevando critiche e preoccupazioni.

Di fronte all’obiezione sui comportamenti penalmente rilevanti di Alessandro Sallusti, dalla Procura si lascia intuire che in questa fase delle indagini l’iscrizione sul registro degli indagati del direttore de «Il Giornale» era una doverosa forma di garanzia processuale, anche in previsione della perquisizione delle redazioni romana e milanese del quotidiano. «Davvero è stata messa in discussione la libertà di informazione? Dal tenore delle conversazioni - fanno notare in Procura - e delle dichiarazioni delle parti offese, l’attività dei vertici del quotidiano era rivolta più all’obiettivo di costringere Emma Marcegaglia a cambiare posizione politica che a pubblicare articoli e fare informazione».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59239girata.asp


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Rifiuti, non è l'ora della propaganda
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:43:46 pm
2/11/2010


   
GUIDO RUOTOLO

E adesso con che faccia il presidente del Consiglio dirà ai manifestanti di Taverna del Re che non devono contestare, ostacolare i compattatori, bloccare lo sversamento provvisorio di rifiuti? E ai comitati della Val di Susa che protestano contro la Tav, cosa dirà? Proporrà di spostare il tracciato dell’Alta Velocità? E se dovesse annunciare la Regione prescelta dove costruire la prima centrale nucleare in Italia, e di fronte a una rivolta popolare cosa farà? Sospenderà la decisione? Cambierà regione? Cosa dirà ai sindacati di base, agli spezzoni di movimenti che rivendicano interventi radicali di modifica di accordi, di intese, di progetti e programmi? Che la lotta paga? Quel Silvio Berlusconi tornato in prefettura a Napoli venerdì sera sembrava una controfigura di se stesso. Proprio lui che era stato eletto premier sull’onda dello sfascio napoletano, della crisi dei rifiuti e che sulla crisi risolta aveva puntato per rodare la compagine governativa. E adesso che fa? Si rimangia tutto.

Due anni fa aveva ottenuto il via libera bipartisan dai sindaci, dai presidenti di Provincia e dal governatore della Campania, gran parte esponenti del centrosinistra, al suo piano. E a garanzia della sua attuabilità, Berlusconi aveva posizionato l’esercito a difesa dei siti strategici, delle discariche, degli impianti di trattamento dei rifiuti, dell’inceneritore di Acerra. Ma ora tutto è saltato. Sono bastate le proteste popolari, la distruzione e il danneggiamento di una cinquantina di compattatori, per far fare il passo indietro al presidente decisionista. Così non si farà la discarica a Cava Vitiello.

Ma come si intenda risolvere la crisi dei rifiuti non lo ha detto, non lo ha scritto nell’accordo di venerdì con i sindaci del Vesuviano. Si è richiamato genericamente al suo precedente piano. Si è affidato a un Guido Bertolaso che dopo la battuta leghista sul Vesuvio non gode certo di buoni auspici da quelle parti. Questo significa che Silvio Berlusconi dovrà aprire nuove discariche. Potrà cavarsela ampliando la capacità ricettiva delle discariche di Terzigno (cava Sari), di Chiaiano, di San Tammaro (Caserta), di Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento) o di Savignano (Avellino). Oppure aprire la discarica ad Andretta (Avellino). O ritornare ai treni e alle navi per la Calabria, la Svezia, magari la Germania. Da qualche parte i rifiuti devono andare. Comunque si voglia affrontare il problema, Silvio Berlusconi dovrà cercare di ricordarsi che la campagna elettorale non è ancora iniziata. Non solo quella di Napoli. E dunque dovrebbe uscire dalla propaganda. La crisi dei rifiuti in Campania non è stata ancora risolta. Le prossime ore saranno decisive. I sindaci del Vesuviano hanno già preso le distanze: i compattatori devono tornare a cava Sari per riversare i rifiuti del comprensorio. Ma la popolazione che ha manifestato sabato sera non è d’accordo.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8029&ID_sezione=&sezione=


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La Carfagna ci ripensa "Non mi dimetto più"
Inserito da: Admin - Novembre 25, 2010, 05:13:39 pm
Politica

24/11/2010 - RETROSCENA

La Carfagna ci ripensa "Non mi dimetto più"

Il ministro convinto "dai segnali positivi sui termovalorizzatori"

GUIDO RUOTOLO

Gongola soddisfatta, a sera, la ministra Mara Carfagna. Giornata convulsa la sua, ricca di appuntamenti politici e di emozioni, ma anche di tante soddisfazioni. Al punto che, lasciando il ministero delle Pari Opportunità, il ministro Giovanna d'Arco che combatte la sua crociata per la «trasparenza e la legalità» dentro e fuori il suo partito, il Pdl, ha confidato a una sua collaboratrice: «Il decreto legge che affida i poteri commissariali per la costruzione dei termovalorizzatori al presidente della Regione, i segnali che arrivano e che ho raccolto nei colloqui che ho avuto tutto il giorno, mi fanno essere ottimista. Sì, posso anche rimettere in discussione la mia decisione, posso anche non dimettermi da ministro e da parlamentare. Confido nel processo virtuoso che si è attivato».

Eh sì, davvero Mara Carfagna, per chi l'ha incontrata ieri, era soddisfatta: «Quando dicevo quello che pensavo nel chiuso delle stanze delle riunioni, nessuno mi dava ascolto. Adesso invece...».

Le altre ministre solidali, dalla Gelmini alla Prestigiacomo, persino i triumviri Denis Verdini e Ignazio La Russa hanno ascoltato le sue rivendicazioni. Sembrerà incomprensibile, ma quello che chiedeva Mara Carfagna non era la testa di Nicola Cosentino il Casalese - il coordinatore regionale del Pdl sul quale pende una richiesta di custodia cautelare per collusione con la camorra, sospesa perché parlamentare - servita su un piatto d'argento in poche ore. Voleva, la ministra, che il gruppo affaristico e in odore di camorra che governa il partito in Campania non avesse carta bianca sugli inceneritori che si devono costruire.

Lei si è limitata ad alzare la voce, ad annunciare la sua uscita di scena per ottenere un segnale preciso. E infatti il decreto, «che era entrato in Consiglio dei ministri nominando commissari i presidenti delle Province», alla fine è stato approvato mettendo all'angolo i presidenti delle Province.

E' stata questa la «impuntatura» di Mara Carfagna, il ministro che non dispiace neppure all'opposizione. Chi l'ha incontrata in queste ore, sussurra che la ministra è rimasta molto amareggiata per le accuse (volgari), per quelle smorfie che sottintendono retroscena molto privati. Invidie, null'altro.

Sembra una saggia cinese, Mara la salernitana. Un passo alla volta. La vicenda della crisi dei rifiuti, degli inceneritori che dovranno essere costruiti diventa così un primo banco di prova di quella offensiva politica che punta alla «trasparenza e legalità» anche dentro il partito. Ma quella sarà la campagna d'inverno di Mara Carfagna. A maggior ragione se la prospettiva sarà quella di un'aspra campagna elettorale, se si dovesse andare al voto.

Vuole giocare d'anticipo la ministra. Sa bene che se si andasse ai congressi provinciali in questo clima, Nicola Cosentino otterrebbe percentuali bulgare. E, dunque, sta valutando concretamente se e quale «agibilità politica» le sarebbe garantita, se decidesse di condurre una battaglia alla luce del sole dentro il Pdl.

Il «caso» Carfagna nasce a Salerno, innanzitutto. E' qui che si consuma il primo strappo tra Mara Carfagna e il partito. Sarebbe miope non riconoscere che il rapporto d'amicizia tra la ministra e Italo Bocchino andava ben oltre la stima reciproca personale. Insieme hanno condotto una battaglia interna per la legalità e la trasparenza contro la gestione del Pdl dei Casalesi. E oggi che Bocchino è impegnato nella nuova avventura politica di Fli è chiaro che la posizione di Mara Carfagna si è indebolita, esposta agli attacchi del gruppo dirigente del partito.

Alle ultime provinciali di Salerno vince Edmondo Cirielli, ex An, che era il suo candidato. Mara Carfagna ha provato sulla sua pelle il «tradimento» di Cirielli. Che una volta eletto ha fatto fuori gli esponenti di Forza italia. Ma questa è un'altra storia, quello che conta, ha ripetuto ai suoi interlocutori, anche a Gianfranco Micciché, il fondatore di «Forza del Sud» incontrato ieri, «è che la battaglia per cambiare il decreto sull'emergenza rifiuti è molto più importante del partito». E quella battaglia, Mara Carfagna spera di averla vinta. Adesso dovrà vincere la guerra del rinnovamento del Pdl della Campania.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/376455/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Se le procure dimenticano il galateo
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2010, 12:32:52 pm
8/12/2010


GUIDO RUOTOLO

Lascia disorientati questo singolare scontro tra le procure di Palermo e Caltanissetta che ha per oggetto la credibilità di un testimone che si chiama Massimo Ciancimino.
Non è la prima volta che accade, e quello che dovrebbe preoccupare di più è che l’oggetto dello scontro tra i due uffici giudiziari siciliani è sempre lo stesso: le stragi di mafia e la trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra.

Materia incandescente, che proprio per questo dovrebbe suggerire un bon ton istituzionale ma dalle due procure siciliane il Galateo viene violato senza porsi grossi problemi.
L’oggetto dello scontro diventa materia di dominio pubblico e spesso si accompagna con una pesante violazione del segreto istruttorio. Vanificando una volta il lavoro di una procura, un’altra dell’altra.

Colpisce che nell’arco di poche ore Caltanissetta abbia sepolto ogni barlume di credibilità del figlio di Don Vito affibbiandogli un elenco sterminato di calunnie e di violazioni di segreti investigativi. E nello stesso tempo, nelle stesse ore, Palermo invece faccia capire che per lei Massimo Ciancimino non è un bandito, non è un mafioso, è un testimone le cui dichiarazioni vanno tutte riscontrate. E che i primi riscontri sono stati positivi.

Quello che colpisce, in realtà, è l’andare in scena dello stesso copione.

Che sia fisiologica una dialettica tra uffici giudiziari è normale, ma non che si riproponga sempre sulla stessa materia, cambiati i protagonisti. Ieri, i procuratori Caselli e Tinebra, oggi i procuratori Messineo e Lari (con un ruolo di spettatore di Firenze, ieri come oggi). Dunque, Massimo Ciancimino, secondo la Procura di Caltanissetta ha calunniato il funzionario dei Servizi segreti Lorenzo Narracci e soprattutto l’ex Capo della Polizia, il prefetto Gianni De Gennaro, oggi numero uno dei Servizi segreti.

Ma Narracci non era stato chiamato in causa anche da Gaspare Spatuzza, che addirittura l’aveva collocato nel garage dove si stava imbottendo di tritolo l’auto che doveva eliminare Paolo Borsellino e la sua scorta? Salvo poi sfumare l’accusa in un successivo confronto all’americana? Ma anche Massimo Ciancimino sulle identità dei vari «signor Franco» è stato incerto.

Perché due pesi e due misure? Quel che dovrebbe essere scontato è che sulle accuse nei confronti del prefetto Gianni De Gennaro, la procura di Caltanissetta ha in mano le prove della calunnia. Perché, è questa la perplessità di Palermo, sarebbe ben strano che si procedesse contro il denunciante senza aver verificato le sue accuse.

Speriamo che gli effetti dei veleni finiscano presto. E che una lucidità investigativa ristabilisca verità e onorabilità dei protagonisti di questa intossicazione.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8180&ID_sezione=&sezione=


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Ribelli e incensurati: radiografia delle nuove leve
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2010, 03:46:09 pm
Politica

16/12/2010 - RETROSCENA

Ribelli e incensurati: radiografia delle nuove leve

Si è abbassata l’età dei ragazzi in prima linea nella guerriglia

Ma con loro i protagonisti delle violenze degli anni passati

GUIDO RUOTOLO

ROMA
Melania è una ragazza di 17 anni. Viene da Roma Prenestina e il giorno dopo racconta di piazza del Popolo. «Quando ho visto il blindato prendere fuoco la gola mi si è seccata. Io volevo trovare sorrisi complici tra noi e non questa violenza così rabbiosa».

La violenza rabbiosa? Un colpo d’occhio al corteo di martedì e l’età media dei ragazzi era davvero bassa. Nuove leve di studenti, la classe dirigente che sarà, sono in movimento. I cattivi maestri non sono mai andati in pensione e ora sono tornati in azione? Facendo proseliti nel nuovo movimento?

Sorprende che “il ragazzo con la pala” (con le manette ed il manganello), di cui si è favoleggiato a lungo ieri perchè indicato come un possibile infiltrato, in realtà si sia rivelato semplicemente un figlio d’arte: suo padre infatti è un brigatista rosso.

Se parli con l’analista dei movimenti, la risposta è disarmante: «Le nuove leve violente? Non esistono, sono quelle di sempre che si ripropongono. Vecchi centri sociali che fanno da incubatori: Torino, Milano, Napoli e Bologna. Spicchi di nuove generazioni si lasciano affascinare e incantare da vecchi profeti che predicano e praticano la violenza». In un documento, gli 007 nei giorni scorsi avevano segnalato questo tentativo di unificare i vari spezzoni di movimenti: «La progettualità sembra essere quella di avviare un confronto tra le diverse anime del panorama estremista e del mondo del lavoro che porti ad unire istanze tradizionalmente care al mondo operaio ad interessi tipici del movimento antagonista sotto il comune denominatore della radicalizzazione delle lotte nell’attuale periodo di crisi».

Un elemento colpisce dalla lettura dei dati anagrafici di 22 ragazzi arrestati martedì, e per i quali si terrà oggi il processo per direttissima a piazzale Clodio: la loro età media è di 22 anni, con un unico picco massimo di 32 anni. E soprattutto, colpisce la provenienza dei ragazzi: solo sette - un terzo del totale - sono di Roma, gli altri sono arrivati da Genova, Firenze, Pisa, Bologna, Forlì, Civitanova Marche, Nuoro, Bari, Trento, Orvieto e Parigi.

Davvero martedì la capitale aveva attirato i movimenti da tutto il Paese. A chi si è lasciato andare, in queste ore, a un gioco di rappresentazione e di riconoscimento di luoghi, stagioni e figure sociali della marginalità violenta, gli sbirri romani che respirano l’aria del nuovo movimento, rispondono sorridenti: «Ma quali black bloc, Genova G8 o Roma del terribile ‘77. Questi sono solo studenti!».

Una tesi che assolutamente non contrasta, anzi si integra con quella dell’analista che parla dei vecchi cattivi maestri tornati in azione. Perché se è vero che i 22 arrestati sono incensurati - per questo la Procura di Roma ha deciso di chiedere il giudizio immediato, non passando per la convalida dei fermi trasformandoli poi in ordinanze di custodia cautelare - questo non esclude che in azione possano essere entrati anche loro, i vecchi protagonisti delle manifestazioni della violenza politica degli anni recenti. E forse questo intende una parte dell’opposizione quando parla di «infiltrati», lasciando sottintendere, è vero, che possano trattarsi anche di «agenti provocatori» ma prevalentemente si tratta di «estranei» ai movimenti.

Per 24 ore è andata avanti sui siti e sui blog il giallo dell’«infiltrato», di quel ragazzo con l’eskimo color cammello che impugnava una volta le manette, un’altra il «tonfa», il manganello inaugurato a Genova (G8). Sempre le immagini, foto e filmati, ritraevano il ragazzo preso da due poliziotti: «...Sono minorenne....». Per quasi un giorno è andato avanti il giallo: e se fosse un infiltrato? Il questore, Francesco Tagliente, a pomeriggio inoltrato ha smentito seccamente: «Sappiamo chi è, lo stiamo cercando, è un estremista di sinistra...». E in serata l’hanno poi arrestato.

Certo, bisogna capire perché l’altra sera, pur fermato e identificato, è stato lasciato andare via.

Ma quelle immagini, le foto, il video del martedì nero raccontano la violenza sproporzionata dei nuovi quanto antichi oppositori arrabbiati. Colpisce, perché è come se questi allievi che non avessero vissuto la Roma degli anni Settanta e tantomeno la Genova del 2001 (G8), hanno perfettamente capito la lezione dei cattivi maestri: hanno saputo metabolizzare le stesse pratiche violente come se le avessero scritte nei loro rispettivi dna.

Martedì probabilmente la situazione è sfuggita di mano. Roma violenta ha conquistato le prime pagine dei giornali non perché colta alla sprovvista da un fenomeno, la violenza politica, che sembrava andato in letargo. Ma per le sue dimensioni. «Disagio, rabbia, voglia di protestare, di contestare». Sono stati questi gli ingredienti di quella furia collettiva. Ne sono convinti gli stessi «sbirri» che da sempre si occupano di ordine pubblico e conoscono bene la capitale.

Erano almeno ventimila, i manifestanti di martedì. Tanti. Un caleidoscopio di obiettivi che all’improvviso si è ricomposto in una immagine chiara: la fiducia al governo, i numeri dei partecipanti, la suggestione che i palazzi del potere erano a portata di mano. Il resto è stata cronaca di una indimenticabile giornata di violenza.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380167/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - "Sembra la caricatura di se stesso"
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2011, 12:29:37 pm
Politica 19/01/2011 -

"Sembra la caricatura di se stesso"

Una ragazza intercettata: «Pensavo mantenesse un contegno e poi facesse i fatti suoi, e invece no»

GUIDO RUOTOLO

Sarà pure una moralista, magari. Ma il racconto che fa l’amica di Nicole Minetti, M., di quella serata ad Arcore, quel 19 settembre scorso, sembra un frammento della sceneggiatura di un film a luci rosse, solo che non siamo al cinema. «Io ho vissuto la serata come se fossi al “Bagaglino”. Hai presente quella volgarità spiccia che non è neanche tanto costruita o fantasiosa?

Io mi sentivo lì dentro. In questa cosa in cui a un certo punto durante la serata con l’Agostino di turno, tipo Maria De Filippi, quello con la pianola che canta, a un certo punto, non si sa bene come o perché, qualcuno ha iniziato a far vedere il c... e da lì la serata è decollata».

E’ proprio vero, M. è disgustata e rattristata per le scene decadenti: «Vedi molta solitudine - confida al telefono a una amica, anche lei teste d’accusa nell’inchiesta contro Silvio Berlusconi - e lui sembrava una caricatura di se stesso, una cosa molto brutta e molto triste. Pensavo che lui mantenesse un contegno e poi facesse i fatti suoi e invece no...».

LE RACCOMANDAZIONI
E’ amara M., che si è irritata perché ieri abbiamo scritto il suo nome per esteso. «Lì è talmente tutto eccessivo che vivresti una realtà talmente accelerata che poi alla fine, la borsa in più o la vacanza in più che ti compri, non ti soddisfano più neanche quelle. Io ho capito questo, cioè se io entro in questo vortice, ma al di là del fatto che non ci entrerei mai, poi finisci che vuoi sempre di più e tu vedi queste ragazze che poi ti ripeto, te ne parlerò più dettagliatamente, che hanno già qualcosa che sarebbe assolutamente sufficiente per vivere, ma non va bene».

Cosa vogliono le ragazze fameliche? «Vogliono allora il regalino, allora vogliono anche una certa posizione, allora vogliono la spintarella, allora c’hanno la sorella, il fratello e il cognato da sistemare è una cosa scandalosa». Sarà, questa Italia delle raccomandazioni c’è sempre stata. Qui, semmai, sembra di trovarsi in uno spicchio di mare infestato da pescecani che si sbranano per una preda da spolpare, per un posto a tavola, per una serata con il Principe.

Per un regalino, un provino, un quartino con l’affitto già pagato. E’ vero le ragazze fanno quasi tenerezza, vittime non c’è che dire, di questo mondo «accelerato», per dirla con M. Ma i vecchi che dovrebbero essere «saggi»? Colpisce che alle seratine organizzate per Silvio Berlusconi da Giampi Tarantini o da Emilio Fede e Lele Mora alcune volte sono presenti sempre gli stessi nomi. Che poi, a un certo punto, salutano e vanno via. Sembrano comparse.

Barbara Faggioli, per esempio, parla con Sabrina Amato, alias «Greta»: «Bene! Bene! Aah... c’era anche un produttore importante, il produttore dì “Medusa" Rossella, Carlo Rossella (le voci si sovrappongono)». Sabrina: «Ah!., sì». Barbara: «Era pieno di gente, c’erano venti ragazz.. ma pieno!! Pieno!!». Raffaella: «Fico, cioè pieno veramente di gente...».

Barbara: «Noo! Ma l’ha detto a tutti, prima di dirlo a me, poi mi ha chiamato Emilio, m’ha detto ah sai che hai fatto, (prende fiato) colpo su Rossella che dice che hai un volto da cinema pazzesco, mi ha chiamato lui mi ha detto: a ma non te l’ho detto, ma sai che hai fatto colpo sul produttore, dice che sei adattissima al cinema...».

LA FELICITÀ DI MISS TORINO
Roberta Bonasia la fidanzata d’Italia nega tutto. Alla Stampa dice: «Sono sbalordita, è un errore, mi sembra una cosa assurda. Incredibile. Io non ho mai visto Berlusconi in vita mia. Non sono mai stata ospite a casa sua. Non conosco neppure Lele Mora e Emilio Fede.

Assolutamente». Sembra sincera. Roba da crederci. Una bella ragazza, Miss Torino 2010, nega addirittura di conoscere Silvio Berlusconi. E invece no, mente spudoratamente. Lo raccontano le carte della inchiesta milanese della Procura di Edmondo Bruti Liberati. I riscontri della polizia giudiziaria sulla sua presenza alle cene di Berlusconi, attraverso i tabulati e i tracciati telefonici. Le testimonianze delle altre, i racconti piccanti delle invidiose e dei rancorosi, Emilio Fede in testa. Sì Fede al telefono con Nicole Minetti parlano di Roberta.

Fede è colpito dal fatto che la ragazza davanti a tutti dia del tu al presidente del Consiglio: «Ciao Silvio! Davanti a tutti, sì Silvio!». Nicole Minetti: «Non è vero! Nooo, ma dai, ma qui la gente è pazza!». Emilio Fede: «Lei ha lasciato il telefonino sul letto... in modo che tutte quante hanno letto tutti i messaggi di Lui!». Nicole Minetti: «Nooo!!».

Emilio Fede: Ma certo! Ma io lo so benissimo, da una delle quattro che stava lì...». E poi la pistola fumante l’offre proprio lei al telefono con il fratello Stefano: «Amò, ci risolve tanti problemi a tutti. A mamma, a te, a me».

LE ATTIVITÀ DI RUBY
Quelli che Silvio Berlusconi è comunque innocente, sostengono che nelle carte non c’è la pistola fumante che inchioda il premier. Sarà, ma intanto la scatenata Ruby è un ciclone che ha distrutto tutto, facendo guai inenarrabili. Caterina, una sua amica, a verbale dichiara: «Ricordo che diceva di essere molto amica del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il quale, a suo dire, è stata spesso a casa del premier dove ha cenato, ballato e fatto sesso con lui, il quale le dava molto denaro».

Che Ruby fosse una minorenne, al tempo in cui frequentava Berlusconi non è in discussione. Berlusconi dice di non sapere che fosse una minorenne, ma per la Procura non è così. E soprattutto evidente che fosse una prostituta minorenne. Secondo le stesse intercettazioni telefoniche e le conferme delle «colleghe» della ragazza marocchina. A Maria Diana Osorio gli investigatori contestano una intercettazione telefonica.

E’ Ruby che parla: «Sì, oggi è venerdì, sappi che oggi c’è poco, ma domani sera ci deve essere per forza, domani c’avrò come minimo cinque clienti che comunque dobbiamo fare per diversi orari della serata, cioè torniamo a casa almeno con 4 mila euro e perciò domani ci devi essere per forza». Chiedono gli investigatori: «Spieghi il senso di questa telefonata».

Risponde la ragazza: «La telefonata è talmente chiara, la ricordo perfettamente perché io le chiesi proprio quanto costava il biglietto del treno per raggiungerla, lei effettivamente mi disse che se io mi fossi recata c'erano già clienti con i quali si potevano avere rapporti sessuali previo pagamento e ricordo proprio che mi disse che si poteva guadagnare molto con una sola serata, lo però ribadisco che a Genova non ci sono andata perché sono partita per la Colombia».

Bugiarda? Minorenne e prostituta di sicuro. E poi? Sentite cosa racconta a un suo conoscente occasionale. Floriano: «Scambiando quattro chiacchiere di rito, io le dissi che ero un carabiniere e lei mi rispose che era proprio la sua ambizione poter diventare un giorno carabiniere». Ruby la carabiniera? Di sicuro racconta a Floriano i suoi rapporti con Silvio Berlusconi: «Mi confidò anche del fatto che il presidente del Consiglio aveva saputo da lei che era minorenne».

E se fosse vero quello che racconta Ruby intercettata a sua insaputa? E’ quello che non fa dormire sogni tranquilli agli innocentisti. Insomma i tifosi del presidente del Consiglio. Ecco uno spezzone di intercettazione tra Ruby e Luca Risso: «Mi sono sentita con lui che m’ha chiamato proprio tre minuti fa».

LE PAGELLE SULLA BELLEZZA
Ecco nelle 389 pagine arrivate a Montecitorio di quella telefonata con il presidente non c’è traccia. Per dire la verità vi sono solo due telefonate di parlamentari (Maria Rosaria Rossi e Lucia Ronzulli). E a Milano quale altra pistola fumante si preparano a sparare dalla Procura? E’ questo che fa impazzire Montecitorio e dintorni. Come se quelle annotazioni dell’amica di Nicole Minetti, M., non rappresentassero di per sé un atto d’accusa fortissimo.

«Vorrei sottolineare che il livellodi bellezza, piuttosto che simpatia o intelligenza non era da dieci e lode. Cioè non tutte sono... c’è la disperata venezuelana che non parla una parola e che c’ha vestiti allucinanti... c’erano dei soggetti spaventosi, un livello molto basso...». Trecentottantanove pagine che difficilmente potranno essere cancellate. Dimenticate da chi le ha lette.

Particolari indicibili. E soprattutto menzogne e bugie. Ricordate Emilio Fede che dice di ricordarsi di aver visto forse una sola volta ad Arcore Ruby? E’ vero ci saranno tante (o nessuna) pistole fumanti nelle carte. E’ il 3 settembre del 2009, Sant’Alessio Siculo, Messina. Emilio Fede presiede la giuria del premio «Una ragazza per il cinema». Parla Fede: «C’era una ragazza di 13 anni, se non sbaglio, egiziana, mi sono commosso, ho solidarizzato, ma non soltanto a parole perché poi bisogna seguire con i fatti.

Sta ragazza non ha più i suoi genitori, tenta una via, che cosa? Non è certamente quella della bellezza. E allora mi sono impegnato per aiutarla...». Chi è questa ragazza? Ruby. Sì, proprio lei, Ruby. Chissà perché Silvio Berlusconi chiamando alla questura di Milano abbia detto che forse era la «nipote di Mubarak...»? Perché Fede nel settembre del 2009 la presentò come una ragazza egiziana?

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384944/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - LA MATASSA RESTA INGARBUGLIATA
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2011, 11:35:49 am
Politica

28/01/2011 - LA MATASSA RESTA INGARBUGLIATA

I tanti buchi nelle carte estere sull'appartamento monegasco

Il 2 febbraio il gip dovrà decidere sull'archiviazione di Gianfranco Fini e Francesco Pontone

GUIDO RUOTOLO

ROMA
Sarà pure «ininfluente», per dirla con la Procura di Roma che ha girato il carteggio del ministro degli Esteri Franco Frattini al gip, che il 2 febbraio dovrà decidere sull’archiviazione di Gianfranco Fini e Francesco Pontone. Forse inutile dal punto di vista giudiziario, di certo con tanti buchi neri che non sciolgono i dubbi sull’effettiva proprietà dell’appartamento di Montecarlo di Giancarlo Tulliani, genero del presidente della Camera.

Alla fine, la «prova regina» sussurrata in questi giorni da esponenti di governo, in realtà si è rivelata essere soltanto un grande atto di fede, di fiducia in Stephenson King, il primo ministro di Santa Lucia, lo statarello dei Mar dei Caraibi che sui segreti delle società off shore ha fatto la sua fortuna. Che, in una lettera inviata al ministro degli Esteri Frattini, sostiene che le società coinvolte nella proprietà e gestione dell’appartamento di Montecarlo sono riconducibili a Giancarlo Tulliani. Inspiegabilmente, Santa Lucia si è spinta a giurare che l’«utilizzatore beneficiario» delle società in questione è il genero di Gianfranco Fini.

«Caro ministro Frattini, facendo seguito alla sua richiesta riguardante la questione delle indagini relative alle compagnie Printemps ltd, Timara ltd e Jaman Diretctors...». Già l’incipit della lettera del primo ministro di Santa Lucia - datata 10 dicembre è arrivata alla Farnesina il 20 e tenuta fino a ieri da Frattini in cassaforte - è destinato a sollevare perplessità. Sono stati utilizzati i canali diplomatici? E’ stata attivata una rogatoria internazionale, i ministri di Giustizia sono stati coinvolti? E perché Frattini sollecita il premier di Santa Lucia sulla questione Montecarlo? E per quale motivo il carteggio non passa attraverso la posta diplomatica?

Nella lettera di Stephenson King si riporta e allega quell’appunto riservato del 16 settembre scorso del procuratore generale e ministro di Giustizia Rudolph Francis «recuperato» da un personaggio ambiguo che si chiama Valter Lavitola, e che è direttore di un giornale che si chiama «L’Avanti». E che già allora affermava il coinvolgimento di Giancarlo Tulliani nelle società «legate all’acquisto di un appartamento che era di proprietà di un partito politico italiano, che si trova a Monaco». Il Guardasigilli di Santa Lucia riassumeva la polemica sul prezzo incongruo dell’appartamento. A distanza di quattro mesi, il premier dello Stato caraibico non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla lettera di settembre del suo ministro di Giustizia: «Lo scopo delle nostre indagini era accertare che le compagnie e i loro agenti fossero in regola con le nostre leggi. E dunque è venuta meno la nostra intenzione di occuparci ulteriormente della vicenda».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/386382/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La Tommasi accusa Mora "Drogava le ragazze"
Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2011, 12:31:16 pm
Politica

08/02/2011 - RETROSCENA

La Tommasi accusa Mora "Drogava le ragazze"

Da Napoli nuovi guai giudiziari per l'agente dello spettacolo

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Nuovi guai alle viste per Lele Mora, l’impresario già al centro dell’inchiesta sulla prostituzione della Procura di Milano. Arrivano da Napoli e da un’altra indagine partita su un giro di usura ma alla fine approdata all’ambiente che avrebbe deliziato le serate di Arcore. Ad accusare Mora è una ragazza, Sara Tommasi, qualche apparizione in tv e molte frequentazioni illustri. Era alle cene milanesi, ed era pure amica di un tal «Bartolo», personaggio chiave dell’inchiesta napoletana.

Ecco perché la Tommasi viene intercettata. Parla a ruota libera, anche con personaggi di primo piano come il ministro della Difesa Ignazio La Russa, l’europarlamentare Licia Ronzulli, il fratello del premier Paolo Berlusconi, Fabrizio Del Noce, Massimo Giletti. A volte si lascia andare a racconti piccanti sulle sue serate in mezza Italia, anche a luci rosse. E parla di Lele Mora. Per esempio quando un amico la chiama e, stupito, le chiede cosa fosse successo la sera prima in un locale di Milano Marittima. Sembra di capire che sia stata una notte indimenticabile.

Sara: «In queste occasioni - sembra giustificarsi la ragazza - non sai mai cosa ti mette Lele nel bicchiere. Ti senti stordita...». Chi ascoltava ha drizzato le orecchie. Sara Tommasi, che sarà sentita nei prossimi giorni come persona informata dei fatti dalla Procura di Napoli, fino a poco tempo fa faceva parte della «scuderia» di Mora. Lei stessa è stata ad Arcore insieme alle altre ragazze finite nell’inchiesta milanese, Ruby in testa, la notte del 25 aprile scorso.

Quando ad Arcore si festeggiò la visita di Putin in Italia. Ma in più di una occasione, nell’ultimo periodo, non ha fatto mistero di volersi affrancare dalla scuderia: «Non voglio più stare nel giro delle ragazze del Presidente, preferisco muovermi da sola». Ed è un concetto che la starlette ha espresso pubblicamente ieri, nel corso di una intervista alla trasmissione radiofonica «Un giorno da pecora»: «Lo sappiamo tutti che Lele Mora portava le ragazze a Berlusconi».

E ha aggiunto che Fabrizio Corona avrebbe «contatti» con la camorra insieme a «Bartolo», il suo procacciatore di clienti a Napoli. Incuriosisce gli inquirenti, il particolare su Lele Mora, sulle modalità di ingaggio delle ragazze e sulla gestione delle serate. In quella telefonata, Sara Tommasi si giustifica per il suo comportamento forse troppo disinibito a Milano Marittima, e chiama in causa l’impresario, accusandolo nei fatti di averla drogata. L’episodio di Milano Marittima ricorda quello che era accaduto nell’estate del 2009 in Costa Smeralda.

L’estate folle di Gianpi Tarantini, l’imprenditore pugliese coinvolto nelle inchieste pugliesi sulla sanità, sulla droga e sulla prostituzione. Il caso D’Addario e le notti a palazzo Grazioli. Questo filone di indagini è ancora in corso (la proroga dovrebbe scadere prima dell’estate). In quelle intercettazioni venne fuori che la moglie dello stilista Cavalli, Eva Duringer, si sentì male una sera, perché la sua bevanda fu corretta con un anfetamina dello stesso tipo dell’ecstasy.

E così, dagli uffici giudiziari di Napoli è partita una telefonata diretta alla Procura di Milano. I magistrati hanno deciso di incontrarsi al più presto, per scambiarsi informazioni. Negli uffici della Procura di Napoli non viene confermata l’ipotesi di convocare a breve il fotografo Fabrizio Corona, per chiedere chiarimenti sulla sua intervista al «Mattino», nella quale ipotizzava un coinvolgimento della malavita nel tentativo di vendere fotografie di Silvio Berlusconi nudo.

Anzi, sembra di capire che la posizione processuale di Corona potrebbe cambiare. Insomma, anche lui da persona informata sui fatti potrebbe finire indagato. E intanto a Napoli foto delle minorenni Roberta e Noemi Letizia riprese con «papi», il Presidente Silvio Berlusconi, sono state messe all’asta. Dal fratello di Roberta, Vincenzo Oronzo.

da lastampa.it/politica


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Delusa da Silvio ma quegli sms non sono miei
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2011, 03:26:58 pm
Politica

10/02/2011 - RIVELAZIONI

La Tommasi: "Delusa da Silvio ma quegli sms non sono miei"

La showgirl: qualcuno ha usato il cellulare che mi era stato rubato


GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Sono andati a casa sua, a Milano, esibendo un decreto di perquisizione. La showgirl Sara Tommasi era già partita per «una vacanza», per dirla con il suo legale, l’avvocato Niccodemo Gentile. Destinazione Dubai, Emirati Arabi Uniti. E a casa, la madre della starlette ha aperto la porta agli investigatori. Tra le altre cose, è stato sequestrato un computer. Altri, li hanno presi nelle perquisizioni fatte a Napoli, a casa di Vincenzo Seiello, detto «Bartolo», e Giosuè Amirante, i due ex soci procacciatori di ragazze per serate commerciali e non solo. E poi ancora a Milano, a casa di Andrea Celentano, un consulente televisivo.

Anche Napoli ha il suo filone d’indagine sulla prostituzione. Uno stralcio, rispetto alla inchiesta principale su un traffico di falsari vicini al clan Mallardo di Giugliano, legato a Gomorra, ai Casalesi. Una inchiesta nata dopo un furto di carta filigranata alla Cartiera di Fabriano.

Da ieri, sono stati iscritti sul registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla prostituzione proprio Vincenzo Seiello e Giosuè Amirante. Scrivono i pm napoletani nel decreto di perquisizione: «Emerge l’esistenza di una organizzazione dedita al favoreggiamento della prostituzione e in particolare al procacciamento di clienti per prestazioni sessuali a pagamento a opera di Sara Tommasi».

La starlette precisa da Dubai: «Non sono una escort. Sono vittima di persecuzioni e ricatti continui e non mi sento tutelata. Berlusconi mi ha colpita positivamente la prima volta che l'ho visto. Oggi posso dire di essere delusa. Uno scandalo del genere può coinvolgere una starlette come me ma non un politico, che dovrebbe dare il buon esempio». L’ex naufraga dell’Isola dei famosi in un’intervista si confessa: «Il mio problema è un impulso insopprimibile a fare sesso. È che mi sciolgono la droga nei bicchieri... Certo, se un ministro mi offrisse 15mila euro... ma è solo un' ipotesi». E al Tg «La 7» di Mentana si difende sostenendo che gli sms «incriminati» non li avrebbe mandati lei, perché il suo cellulare le era stato rubato.

Ieri, intanto, i pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio hanno sentito negli uffici della Mobile di Napoli, uno degli indagati, l’ex socio di «Bartolo», Giosuè Amirante. Il suo interrogatorio è stato secretato. Prima che si tenesse, abbiamo incontrato Amirante da «Gambrinus», l’antico bar di piazza Plebiscito. E’ lui che la sera del 9 settembre insieme all’allora socio «Bartolo» («da allora ho rotto ogni rapporto con lui», dice adesso) doveva prendere Sara Tommasi per portarla da un cliente, un cugino del cantante Gigi D’Alessio, Luigi D’Alessio, titolare di una azienda di pannelli solari. Ma poi «due macchine con le guardie del corpo di Berlusconi - dice Amirante al telefono - se la sono venuta a prendere...».

Giosuè Amirante prende le distanze, adesso, da questo mondo e dal suo ex socio «Bartolo». E racconta un aneddoto. «Era giugno, un sabato di metà giugno. Avevo ingaggiato Sara Tommasi per un’ospitata in un locale di Varcaturo, Licola, lo «Tsunami». A un certo punto Sara risponde al telefono. E’ Vittorio Sgarbi che la convoca immediatamente a Roma. Io naturalmente protesto, stiamo lavorando e lei deve finire la serata. «Quando mi chiamano - insiste - non posso dire di no». Piangeva Sara. Mi metto in macchina e l’accompagno. Alle tre di notte a metà strada, a Caianiello, Sara viene prelevata da Sgarbi, che l’aspettava con autista. Ho saputo poi che sono andati a Sofia, in Bulgaria, con Berlusconi». Tira il fiato e aggiunge: «Solo che il lunedì mattina avevano un servizio fotografico da fare per la campagna “Miss Roberta”. Lei stava male. Riferendosi alla gita a Sofia mi dice: “Mi avranno dato qualcosa...”. Sara nell’ultimo periodo l’ho vista depressa, come se facesse uso di psicofarmaci».

Intanto, sembra confermato il «gelo» calato tra le procure di Milano e Napoli. A Edmondo Bruti Liberati che ribadisce che «non vi è stata e non è prevista alcuna attività di indagine comune con la Procura di Napoli», replica il vertice dell’ufficio inquirente napoletano. Giovandomenico Lepore: «Nessun elemento di connessione sussiste, allo stato, tra le investigazioni in atto e quelle condotte dalla Procura di Milano».

da - lastampa.it/politica


Titolo: GUIDO RUOTOLO - IMMIGRAZIONE, GESTIRE L’EMERGENZA
Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2011, 11:58:09 am
Cronache

16/02/2011 - IMMIGRAZIONE, GESTIRE L’EMERGENZA

Maroni: pronti settemila posti

Berlusconi salta l’incontro a Catania e rientra a Roma.

La Finanza spara contro un barcone: un ferito

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A CATANIA

Che brutto segnale. E non solo per le ragioni che spiega il ministro Roberto Maroni, anche quelle certo («Speriamo che non sia il primo di una lunga serie...»). Ma perché l’altra notte si è combattuta una piccola battaglia navale a poche centinaia di metri dalla terraferma, a Capo Scalambri, Marina di Ragusa. Poteva scapparci il morto, tra i 63 egiziani sbarcati da un peschereccio.

La cronaca degli eventi è affidata al comunicato stampa del Comando operativo aeronavale della Finanza: «I militari dell’equipaggio di uno dei guardacoste, a seguito dell’inosservanza di ripetute intimazioni di alt e in conseguenza di reiterati tentativi di speronamento, hanno fatto uso delle armi a scopo intimidatorio esplodendo colpi d’arma da fuoco, uno dei quali ha accidentalmente raggiunto un occupante dell’imbarcazione presente in plancia di comando, ferendolo al braccio destro».

Doveva esserci anche Silvio Berlusconi in Prefettura, a Catania, per la conferenza stampa del «fare», del «ghe pensi mi». In poche ore il governo ha trovato una struttura in grado di ospitare «7.000 rifugiati» (dixit Maroni), fronteggiando così «l’emergenza umanitaria» apertasi con la falla tunisina. In poche ore, da quando sarà formalizzata la decisione, i primi 150 spazi saranno arredati dalla Protezione civile «saccheggiando» le strutture allestite per il G8 alla caserma Coppito dell’Aquila.

E invece le note vicende milanesi, l’annuncio del processo immediato fissato per il 6 aprile hanno consigliato il silenzio stampa del premier e il suo rientro precipitoso a Roma.

Senza Berlusconi la scena è stata tutta per il ministro dell’Interno. Se a Lampedusa le condizioni meteo hanno di fatto azzerato gli sbarchi da 48 ore (in tutto sono arrivati 5.337 tunisini), preoccupa Maroni l’indizio ragusano, il primo sbarco di egiziani. Naturalmente il ministro leghista ribadisce le preoccupazioni italiane, la richiesta di coinvolgimento dell’Europa, l’urgenza di un vertice di Capi di Stato e di governo Ue, annunciando l’imminente summit dei ministri dell’Interno dell’area del Mediterraneo (Spagna, Francia, Malta, Cipro, Grecia e Italia). E ancora: precisa che la richiesta di un contributo spese di 100 milioni di euro dalla Ue è riferito solo ai nostri costi sostenuti in tre mesi.

Ma poi, il ministro Maroni rivela anche che in questi tumultuosi giorni di emergenza, abbiamo fatto quattro respingimenti in mare. Lo ammette con molta reticenza. L’altra sera, al Viminale, dopo il Comitato per l’ordine e la sicurezza, Maroni fornendo i numeri dell’emergenza, aveva detto di sfuggita: «344 persone sono state riprese in carica da motovedette tunisine». Ieri, ha aggiunto che «in 4 casi le imbarcazioni sono state riconsegnate alle autorità tunisine, mentre 47 sono sfuggite ai controlli». Mettendo insieme le due dichiarazioni, emerge chiaramente lo scenario dei respingimenti in mare, e cioè della collaborazione tunisina a riprendersi quattro imbarcazioni cariche di 344 passeggeri.

L’obiettivo della missione catanese era quello del sopralluogo al complesso di villette, residence, palestre, campi sportivi, piscina ai margini della base di Sigonella, da utilizzare per l’emergenza di queste ore. Il «primo villaggio della solidarietà», per dirla con Silvio Berlusconi, potrebbe diventare operativo tra un paio di giorni. Per il ministro Maroni in questa cittadella dovrebbero essere ospitati i richiedenti asilo che oggi sono divisi nei Centri di tutt’Italia. Intere famiglie, anche. Sradicate dai territori dove vivono da diverso tempo ormai. Comunque, assicura il ministro, in queste ore i funzionari del Viminale stanno facendo un sondaggio tra i diretti interessati.

da - lastampa.it/cronache


Titolo: GUIDO RUOTOLO - A Tripoli, assaliti dai miliziani furenti
Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2011, 11:09:47 pm
Esteri

25/02/2011 - REPORTAGE

A Tripoli, assaliti dai miliziani furenti

Schiaffi e calci a un giornalista, poi si accorgono dei visti sui passaporti: «Presto, andate via»

GUIDO RUOTOLO

INVIATO A TRIPOLI
Che impressione quella folla. Silenziosa, muta, dall’altra parte della vetrata. Centinaia e centinaia di uomini e donne, vecchi e bambini, che aspettano di imbarcarsi. Volti scavati dal sonno arretrato, dalla stanchezza. Scappano, come le formiche impazzite quando sentono l’accidenti che si sta per abbattere. Come se sapessero che a Tripoli si prepara la battaglia finale.Con morti e feriti. E macerie. E dopo il check-in, all’ingresso dell’aeroporto, altre migliaia di persone. E il faccione del leader Gheddafi appeso alla parete a mezz’aria, sul manifesto che ricorda il 40° anniversario della rivoluzione. Non il 41°, che troveremo in città. Chissà perché quel manifesto non sostituito. Come se il Leader fosse stato consegnato alla storia.

C’è già il mercato nero che ricorda i teatri di guerra. Il ragazzo che s’avvicina e ti propone 80 dinari per 50 euro. E i taxi che per portarti in centro si stanno facendo milionari. Siamo in nove, giornalisti italiani, e alla fine della trattativa riusciamo a pagare solo 20 euro a testa (sembra che due di Al Jazeera abbiano pagato 500 dollari inquinando il mercato). Insomma, un buon stipendio mensile in Libia.Eccoli gli immigrati che tanta paura fanno all’Europa, ai nostri di Lampedusa. Stanno tornando a casa. Sono egiziani, tunisini, e sono migliaia. Dicono che al porto di Tripoli, invece, ci sono quasi trecento americani che le autorità della città non fanno imbarcare.
Si apre finalmente la porta dell’aeroporto. Poliziotti con manganelli e bastoni. Una moltitudine impressionante di gente seduta. Che aspetta. A terra uno strato di coperte, borsoni, indumenti. Che impressione. Ricorda Brindisi al contrario. Allora, 1991, decine di migliaia di albanesi arrivarono e stazionarono al porto, prima di essere trasferiti nei centri di accoglienza, oggi gente in fuga che vuole tornare a casa.

Che strana sensazione. Manca solo l’elicottero che si alza in volo all’interno del perimetro dell’ambasciata americana con grappoli di persone che tentano di aggrapparsi disperatamente. Sì, ricorda Saigon prima dell’entrata in città dei vietcong, l’aeroporto di Tripoli. Il taxista prende una stradina laterale, di campagna. Alla fine del perimetro dell’aeroporto un primo blocco di miliziani filogheddafiani armati. Arrivano notizie di truppe e carriarmati di Gheddafi che marciano per la riconquista di Misurata e Zawiyah. Intanto, però, l’autostrada che porta in città è deserta. È vero oggi è venerdì, la nostra domenica, giorno di festa dunque. Ma questa vigilia comunque è diversa. Poche macchine per strada. Ne passa una, civile, con le frecce che lampeggiano e una bandiera verde fuori dal finestrino.

Il clima è molto teso. A un semaforo rosso, prima di entrare in città, sbucano ragazzi armati di Kalashnikov insieme a dei poliziotti.
Sono nervosi, molto nervosi. Ci bloccano. Siamo in due taxi, il terzo ce lo siamo perso. Ci fanno scendere, sequestrano i satellitari, fanno gettare a terra gli zaini, i computer e le valigie. Fabrizio Caccia del «Corriere della Sera» viene preso di mira da uno, il più esagitato. Guarda il passaporto. Commenta tra la collera e il disprezzo: «Italiani?!!!». Parte uno sganascione verso il povero Fabrizio. Lo schiaffone è forte, gli saltano gli occhiali. Ci mettono in un gabbiotto. Pensiamo al peggio. Parte anche un calcio. Poi Fabrizio prova a calmare l’aggressore, mostra il passaporto con il visto, dicendogli che eravamo stati invitati dall’ambasciata libica a Roma. Gli faccio vedere il mio passaporto con una decina di visti. La situazione si calma.

L’aggressore stringe la mano a Fabrizio. Scappiamo di corsa, prima che ci ripensino.
E forse abbiamo sbagliato anche noi a non aspettare all’aeroporto che le autorità libiche ci venissero a prendere, così come era concordato. Le mura di cinta di Bab al Azizya sono pittate a nuovo. Nugoli di militari blindano la caserma che è anche una delle residenze del Leader, dove ci sono i resti dell’edificio bombardato da Reagan nel 1986, da dove ha parlato in tv Gheddafi, due sere fa. Una selva di gru spuntano all’improvviso. Decine di scheletri di edifici in costruzione. Stanno nascendo interi quartieri nuovi. Forse sono i primi dei 400.000 appartamenti da costruire decisi dal regime.

Pensando al domani, a quel progetto ambizioso di Gheddafi di trasformare la città nella Dubai del Mediterraneo, con centri commerciali, edifici immensi, alberghi sfavillanti. E invece oggi Tripoli è un fantasma. Quelle immagini dell’aeroporto, la fuga dei cinesi, italiani. E agli americani che stanno al porto. E quel cimitero sulla spiaggia. No, non è una fossa comune, sono tante singole fosse.
È vero è come se si stesse preparando il processo al Tribunale internazionale dei crimini di guerra. Gheddafi come Saddam Hussein. C’è il massacro nel carcere di Abu Salim, 1996, con mille e duecento detenuti uccisi, pronto ad alimentare il fascicolo delle accuse.

Tripoli. Strana. Voci incontrollate, non verificabili. Come quella sugli squadroni della morte mandati da Gheddafi a eliminare i rivoltosi feriti, che stanno negli ospedali. L’appuntamento con gli altri colleghi italiani, era al Marriott, hotel di lusso. Ma lì il personale sta smobilitando, evacuando. Puntiamo verso il Corinthia, dove troviamo ospitalità. L’albergo è deserto. Era sempre pieno di delegazioni, di gruppi di turisti, di ministri. Piscina interna, sauna, vasca Iacuzzi. Oggi è un fantasma anche il Corinthia. Ospita un gruppo di giornalisti italiani. Internet funziona. Ed è già molto. Ma fino a quando? È strana Tripoli. Che si riposa prima dell’ultima battaglia.

da - lastampa.it/esteri


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Bengasi ora cerca giustizia per i crimini del Colonnello
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:47:17 pm
Esteri

28/03/2011 - REPORTAGE/1

Bengasi ora cerca giustizia per i crimini del Colonnello

Un ex agente del regime: "Vi racconto l'assalto al consolato italiano nel 2006"

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BENGASI

Si guarda attorno, sull’uscio della porta. E’ incerto, suo figlio non vorrebbe ma lui ha deciso di parlare (a condizione di nessuna foto e di un nome a vanvera) e ci fa entrare nella sua casa. E' la prima volta che Walid, lo chiameremo così, si libera di quel peso che ha sul groppone. Gli servirà anche domani, quando nella nuova Libia del dopo Gheddafi dovrà essere «indagato» perché faceva parte dei Comitati rivoluzionari, della polizia segreta di Muammar Gheddafi: aveva il compito di controllare il lavoro degli uomini del Colonnello.

Walid è uno dei testimoni del «massacro Calderoli», di quei 17 morti del 17 febbraio 2006 per le proteste contro la maglietta anti-islam del nostro ministro leghista. «Tutto era iniziato con le vignette contro Maometto pubblicate dal giornale danese, che colpivano la sensibilità araba e offendevano i sacramenti e la religione. Le piazze arabe protestarono e Gheddafi decise che anche da noi, il primo venerdì utile, gli imam avrebbero dovuto parlarne nei loro sermoni».

Dopo la preghiera del venerdì duemila persone si diederono appuntamento con i vari imam davanti al mausoleo di Omar El Mukhtar. «Il corteo si diresse in centro, imboccando via Algeria, la parallela della via del consolato italiano. "Non c'è dio al di fuori di lui e Maometto è il suo profeta"...». Slogan di una parte dei manifestanti. «All’incrocio di via 23 luglio i giovani abbandonano il corteo e puntano verso il consolato italiano, dove si erano sistemate le forze della sicurezza. Slogan anti-Gheddafi. Da subito fu aperto il fuoco. Alla fine si contarono 7 morti e decine di feriti. Furono ore di guerriglia urbana e di notte fu bruciato il consolato. Se posso commentare, io credo che i giovani non ce l’avessero con gli italiani, ma con le forze di sicurezza, aggiungo che a un certo punto di quel venerdì sera i militari evacuarono il consolato. Ma questo lo dico per sentito dire, non per esserne stato testimone».

Il secondo giorno. I familiari chiedono la restituzione delle salme a un parente del raiss, Gheddafi Eddm, che dà il via libera e stabilisce che una delegazione di autorità si sarebbe dovuta recare a porgere le condoglianze alle famiglie. «Fu deciso che a ognuna di loro fossero dati 20.000 dinari per le spese del funerale e poi altri 130.000 a mo’ di risarcimento. Ma quel giorno morirono dieci feriti degli scontri del giorno precedente».

Walid prende fiato mentre Al Jazeera mostra le piazze delle rivolte in Giordania, in Libia, nel Bahrein, in Siria. «Dopo... vi darò tutto... quando finirà... allora consegnerò i documenti...». Bengasi ricorda la Berlino del Muro appena caduto e Walid il protagonista di «Le vite degli altri». Farid del «Comitato 17 febbraio» dice che con la rivolta «Bengasi ha distrutto il muro della paura». Sarà vero, ma per liberarsi degli incubi vissuti in questi 41 lunghissimi anni, occorrerà molto tempo. Si dovrà fare giustizia dei misteri e dei massacri del regime.

E’ molto sentito il bisogno di giustizia, a Bengasi. Basta andare in piazza Rivoluzione, così l’hanno ribattezzata piazza del Tribunale.
C’è un muro che è diventato il muro del pianto, dei ricordi. Foto, tante foto, dei martiri del regime. Dagli oppositori massacrati nel carcere di Abu Salim nel 1996 alle vittime di questi giorni. L’architetto Abdul Salam Daraz racconta di Dhaf el Garali, un giornalista prima torturato, gli furono mozzate le mani, e poi ucciso: «Un martire della penna. Il regime non sopportava le sue critiche».

Tira il fiato, Bengasi liberata. Di notte è una ronda collettiva di ragazzi che con i kalashnikov presidiano ogni strada. Qui è come se Gheddafi fosse già morto, anche se a meno di due ore si combatte contro i carri armati lealisti, anche se Tripoli è tutt’altro che libera. Ma il timore è che i fedelissimi del regime si trasformino in cecchini della notte. Saranno tremila, raccontano al Consiglio nazionale libico: «Finora ne abbiamo arrestati 300 e ogni notte andiamo a cercarli a casa».

I lealisti. «Quelle carogne una settimana fa pensavano che le truppe di Gheddafi fossero entrate in città e uscirono allo scoperto attaccando una scuola. Per fortuna che arrivarono le bombe francesi. I mercenari che abbiamo arrestato avevano in dotazione un preservativo e il Viagra. Avevano avuto l’ordine di ammazzare gli uomini e i ragazzi e di stuprare le nostre donne». Tutto questo avveniva una settimana fa. L’altro giorno, nella piazza della Rivoluzione gremita all’inverosimile, saranno stati almeno centomila, al sermone dell’imam sventolavano bandiere della Libia, della Francia, dell’Italia.

da - lastampa.it/esteri/sezioni


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Le trame di Frattini e Bisignani sul Pdl
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2011, 10:02:22 am
Politica

24/06/2011 - INCHIESTA P4, LE CARTE

Le trame di Frattini e Bisignani sul Pdl

Il volto politico del diplomatico: al telefono con Bisignani, il ministro degli Esteri parla a lungo degli equilibri interni al Pdl e si interroga sul futuro del partito

L'uomo d'affari con il ministro e il sottosegretario Miccichè parlano di questioni interne al partito

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

E si occupava pure delle guerre interne al Pdl, Luigi Bisignani, il «consigliori», il faccendiere, l’ex giornalista. Che fatica stare dietro la collera e le frustrazioni delle ministre Pdl (come Stefania Prestigiacomo o Maria Stella Gelmini), o dei frondisti capeggiati dal ministro degli Esteri Franco Frattini. Ecco, il «grande orecchio» attivato dall’inchiesta Woodcock, centinaia e centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, ha captato umori e non solo di un mondo che ruota attorno al governo e alle grandi imprese. E nella rete d’ascolto sono finiti pure il ministro Frattini e il sottosegretario Gianfranco Miccichè, che parlano di questioni interne al Pdl con il faccendiere ex P2.

Più o meno un anno fa, il 5 agosto scorso, Luigi Bisignani viene chiamato dal ministro degli Esteri: «Luigi, come stai?». Bisignani: «Franco, bene, e tu come stai? Tutto bene?». «Tutto bene, Luigi, grazie, grazie, grazie, le giornate sono state complicate, ma insomma». E già, che giornate complicate quelle d’agosto, con l’offensiva dei giornali vicino al governo che rimestavano sulla vicenda della casa di Montecarlo.

Frattini confida: «Oggi ancora una volta sono andato a questo gruppo qui, a questo minivertice, dove il nostro (probabilmente Berlusconi, ndr) era sul dialogante». Bisignani: «Ah, menomale». «Dice: “ma insomma non possiamo sparare sempre questa cosa delle elezioni, il governo deve andare avanti”. Ha incoraggiato anche me. Sai, dice (rivolto a me, ndr): “Tu che hai questa immagine devi dirle queste cose, non possiamo fare che sfasciamo tutto, hai capito?”».

Gli scoop su Montecarlo
Bisignani fa riferimento al pressing berlusconiano su una parte dei finiani per non seguire il loro capo. «Poi lui ha diciassette sui quali spera molto. A me quelli mi preoccupano molto, devo dirti la verità». Lo rassicura il ministro: «Beh, ma se tu ti guardi la copia di “Panorama” che esce stasera o domani mattina, ci stanno sette pagine sull’appartamento di Montecarlo, c’è una intervistona a Gaucci che dice praticamente...». Lo interrompe colui che sa sempre tutto: «Sì, sì l’ho vista, l’ho vista, l’ho vista». Potenza dell’istinto scooppista di un ex giornalista, se un settimanale che ancora non è in edicola è già stato letto...

Franco Frattini riprende il discorso: «Voglio dire, lui, in questa fase, per dire, oggi ha incontrato Ronchi, ora sta incontrando Viespoli, sai. Perché evidentemente, sai, anche Gianni (Letta?, ndr) gli ha detto: “beh, insomma non possiamo minacciare ogni giorno, perchè la paura fa novanta”. Sai ci vuole niente sull’onda della paura quei due, tre senatori che ti passano di qua e ti fanno il governo tecnico perché alla Camera i numeri ci sarebbero in teoria». Bisignani: «Certo, al Senato...». Il ministro: «Al Senato no, però se si prendono e si comprano quattro, cinque senatori, sei senatori proponendogli posti di sottosegretario e ministro questi si spostano. Piuttosto che andare a casa, fanno il ministro...».

Filosofeggia Bisignani: «Cose da pazzi». Chiosa Frattini: «Per salvare la loro pelle ci mandano tutti nel baratro». «E fare le vendette che loro non sono riusciti a fare». «Bravo».

Ipotesi governo tecnico
Adesso che la maggioranza alla Camera e al Senato può contare su numeri saldi, sembra tutto più facile. Ma allora, nell’estate scorsa, con l’annunciata scissione finiana, la maggioranza ha ballato. E tanto. Frattini: «Questa cosa - riprende il ministro lui (Berlusconi, ndr) l’ha chiara oggi, ieri meno, oggi sì, domani chissà...». «E su Libero teniamo duro, però...». «Beh, lui ormai ha sdoganato tutto, oggi hanno fatto la...». Bisignani: «Oggi un po’ ridicola». «Buffa, buffa, buffa, però». Frattini si sofferma sul dibattito nel Pdl, sulle ipotesi di direzione interna: «Comunque nessuno dubita più sul fatto che lui proponga nella sua testa come tre coordinatori Alfano, Gelmini e Meloni, vuol dire che ovviamente noi ci siamo. Questo fatto che Schifani mi chiama tutti i giorni, quindi come dire, abbiamo tenuto botta quando occorreva, adesso è...».

Bisignani cambia argomento: «Ho visto quella cosa lì sulle Fondazioni europee, quelle collegate al Ppe, ma lì ci stanno i parlamentari?». Il responsabile degli Esteri: «Martens mi ha detto: voi siete uno dei pochissimi paesi in cui non c’è la fondazione del partito nazionale. Oggi ho dato a Berlusconi un primo schema di statuto. Lui mi ha detto di farla con Alfano e Meloni perché sono i giovani. Alfano è il tema della giustizia, poi voi siete amici, quindi, e poi sono più giovani di te, quindi li puoi guidare e io: “ben volentieri”..».

Basta politica. Luigi Bisignani è pur sempre un faccendiere. «So che hai visto l’altro giorno il dottor Mazzei del Poligrafico». «Come no, è venuto stamattina. Ci siamo parlati e io gli ho detto che... di lasciarmi quelle due proposte interessanti, che sono degli investimenti all’estero che sono molto molto belli questi, per il Poligrafico». Bisignani: «Lui (Mazzei, ndr) è davvero una brava persona, uno da tener presente valorizzare». Frattini: «Mi è piaciuto, devo dire, sai, internazionalizzare un po’ il Poligrafico è una cosa bella per il Paese, eh va bene?». «Va bene, Franco. Un abbraccio fortissimo». «Un abbraccio, Luigi, a te».

La Carfagna in bilico
Dal caldo agosto di lotta interna, scandali e vacanze, alla ripresa autunnale, 22 novembre scorso. Bisignani riceve una chiamata dal palermitano Gianfranco Miccichè. E introduce subito un tema scottante: «Gianfranco, come ci poniamo col caso Carfagna? Premesso che il Presidente è “imbufalito” con lei?». Il sanguigno sottosegretario sbotta: «Io me ne fotto che il Presidente si è imbufalito, io ieri le ho già parlato e lei è assolutamente pronta a venire dalla... (in Forza sud, ndr) la devo incontrare domani, viene insieme a Nunzia Di Girolamo, mi hanno chiamato insieme». Dubbioso Bisignani: «Uhm, uhm, uhm, perché il problema era se uscire fuori te con un articolo o qualcosa... magari dopodomani, perché noi l’abbiamo già preparato».

Micciché: «Che nonostante lei ieri mi abbia detto: “Io passo con te”... cioè me l’ha dato come fatto scontato ma per un fatto di prudenza dobbiamo parlare con il Presidente, perchè poi io so che il Presidente in questo è un grande ammaliatore,, per cui quando uno poi parla con lui, mi sembra che abbia sempre ragione e quindi ho evitato di fare ogni tipo di agenzia (con l’annuncio pubblico del passaggio del ministro Carfagna in Forza sud, cosa che non è poi avvenuta, ndr)».

Insiste Bisignani: «Con Sergio avevamo preparato un articolo, magari da fare mercoledì, a questo punto. Te lo faccio mandare». Il sottosegretario in tempo reale comunica al suo interlocutore che gli è appena arrivato l’articolo.

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Titolo: GUIDO RUOTOLO - Un'ascesa a colpi di favori ai politici e minacce agli ...
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2011, 05:57:50 pm
Politica

21/07/2011 - LE CARTE

Un'ascesa a colpi di favori ai politici e minacce agli imprenditori

Negli interrogatori la ricostruzione di un "sistema" di relazioni tra potere e affari

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Mentre la Camera discuteva se concedere l’autorizzazione al suo arresto, i pm napoletani Woodcock e Curcio mandavano la Finanza ad acquisire (all’Eni) i documenti sulla consulenza della «protetta» di Alfonso Papa, Ludmyla Spornyk, e di sua moglie, Tiziana Rodà.

La Procura di Napoli è stata colta di sorpresa dall’esito del voto di Montecitorio: i suoi vertici, il procuratore Giandomenico Lepore, l’aggiunto e i pm titolari dell’inchiesta, Woodcock e Curcio, si sono incontrati in Procura per ragionare dal punto di vista tecnico sulle procedure per rendere operativa la misura di custodia cautelare.

In queste settimane di polemiche politiche, l’inchiesta sulla P4 è andata avanti sotto traccia, con nuove attività istruttorie, e con il deposito di nuovi atti. Proprio l’altro ieri le difese hanno potuto acquisire altre quattrocento pagine di «carte», incentrate soprattutto sul capitolo dell’acquisto e della vendita degli orologi «rubati» di Alfonso Papa, che si rivolgeva per questo a ricettatori di professione. Ma c’è anche un capitolo sulla posta elettronica di Luigi Bisignani «congelata» da Google, in attesa di poter essere acquisita dalla Procura attraverso la procedura della rogatoria.

Alfonso Papa, per dirla con il relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Federico Palomba, Idv, «aveva accesso a informazioni riservate, direttamente o tramite i poliziotti infedeli, e le usava da una parte per acquisire credito presso le sfere politiche, da un’altra per taglieggiare le sue vittime, prevalentemente imprenditori».

La decisione della Camera rappresenta sicuramente un formidabile segnale di legittimazione della stessa inchiesta Woodcock-Curcio, che è già passata nelle Forche Caudine del gip e del Riesame e adesso aspetta la decisione dell’Appello (che si riunisce domani) sul ricorso presentato contro la decisione del gip perché accolga di nuovo la contestazione del reato di associazione a delinquere.

Il cerchio magico, dunque, potrebbe chiudersi provvisoriamente già domani. E già, perché l’inchiesta Bisignani-Papa ha l’obiettivo di svelare l’esistenza di una associazione segreta, così come è configurata dalla legge Anselmi nata all’indomani della scoperta della P2 di Licio Gelli. E per il momento l’accusa non ha scoperto le carte di questo filone d’indagine. Forse, i pm aspettavano le ricadute sul primo troncone della loro inchiesta prima di premere l’acceleratore sul troncone dell’associazione segreta. Se l’Appello riconoscerà il reato di associazione a delinquere sicuramente sarà un ottimo viatico per il prosieguo delle indagini, che hanno un terzo filone molto importante in corso: quello sulle talpe nella Finanza che avrebbero rivelato notizie su diverse indagini in corso, e che vede tra gli indagati i generali della Finanza Adinolfi e Bardi.

È impressionante la mole di dichiarazioni di imprenditori, di intercettazioni telefoniche (passive), testimonianze di magistrati e politici sulla «caratura» criminale di Alfonso Papa. Più di un testimone racconta: «Ritengo che il Papa sia persona molto pericolosa dalla quale bisogna guardarsi». Solo per rinfrescare la memoria a chi non ricorda, agli atti della inchiesta vi sono episodi sconcertanti che riguardano Papa sul traffico di Jaguar, Rolex, appartamenti, soggiorni in alberghi di lusso per sé e per le sue amanti.

Primo teste d’accusa contro Papa è il suo coindagato Luigi Bisignani, il faccendiere consulente di palazzo Chigi, ex tessera P2, agli arresti domiciliari. «Conobbi occasionalmente il Papa - ha messo a verbale Bisignani - e strinsi rapporti con lui quando ebbi problemi giudiziari con la Procura di Nola, riferiti alla dottoressa Tucci cui io ero legato, e riferito a vicende di società del nolano. Da quel momento il Papa cominciò a proporsi per darmi notizie. Il Papa si accreditava e diceva di poter intervenire propalando i suoi agganci e i suoi legami associativi».

Papa, magistrato distaccato al ministero di Giustizia voleva entrare in politica. E chiese aiuto a tanti. A Luigi Bisignani ma anche ad altri esponenti politici (da Marcello Pera a Roberto Castelli). Racconta ai pm il sottosegretario a palazzo Chigi, Gianni Letta: «Un giorno il Papa mi disse che aveva aspirazioni politiche. In seguito me ne parlò anche Bisignani. Rappresentai tali aspirazioni a Berlusconi che mi disse che aveva ricevuto molte altre sollecitazioni...».

Papa (come Bisignani e i due poliziotti e carabinieri della combriccola, Nuzzo e La Monica) finisce sotto intercettazione perché utilizzava schede telefoniche intestate ad altri. E secondo l’accusa, si è reso responsabile di una attività di raccolta di informazioni coperte dal segreto investigativo che si rivendeva nei confronti di imprenditori e non solo. Era un «taglieggiatore», per dirla con l’onorevole Palomba. Una sintesi telegrafica dei ricattati e della merce del baratto.

Costringe Angelo Chiorazzo (coinvolto in una indagine con il sottosegretario Gianni Letta e il prefetto Morcone) a dare una consulenza mensile di 1000 euro alla sua assistente parlamentare che, con un sussulto di dignità, rinuncia. Da Alfonso Gallo si fa dare soldi, pagare soggiorni in hotel di lusso (idem da Luigi Matacena) come il De Russie di Roma, si fa comprare preziosi dalla gioielleria Cartier di Napoli. Da Marcello Fasolino non si accontenta solo di soldi, vuole una quota azionaria nella sua impresa per turbogas. L’affitto di una casa romana invece glielo paga Vittorio Casale.

Imprenditori impauriti, qualcuno con la coscienza sporca. Racconta Alfonso Gallo: «Il Papa mi ha fatto sempre molta paura nel senso che ha sempre sottolineato i suoi rapporti con l’autorità giudiziaria, con i Servizi di sicurezza e con le forze di polizia». Marcello Fasolino: «Mi si avvicinava con fare inquietante e torvo». Luigi Matacena: «Ero letteralmente terrorizzato. Anche perché prospettava la conoscenza dei servizi segreti e della Guardia di finanza».

Il «prigioniero politico» Alfonso Papa ieri sera si è costituito. In serata è srrivato al carcere di Poggioreale, Napoli. Entro cinque giorni si terrà l’interrogatorio di garanzia davanti al gip. È in quella sede che dovrà difendersi.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/412382/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - "Finito il tempo dello scontro tra politica e magistratura"
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:30:40 pm
Politica

28/07/2011 - INTERVISTA

"Finito il tempo dello scontro tra politica e magistratura"

Il Guardasigilli: subito una legge per le toghe che si candidano o con incarichi istituzionali

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Naturalmente, solo oggi dopo essere salito al Quirinale per il giuramento, Francesco Nitto Palma sarà formalmente il nuovo ministro di Giustizia. E solo dopo il giuramento, esprimerà pubblicamente le sue valutazioni sulle proposte di legge in discussione che creano contrapposizione politica, come quella cosiddetta del «processo lungo». Oggi, al ministro Palma interesse esplicitare lo spirito con cui vuole assolvere al suo mandato: «E’ finito il tempo dello scontro. Troviamo insieme una via d’uscita per superare la crisi della giustizia. Certo, è fisiologico il contrasto tra centrodestra e centrosinistra sulle scelte politiche, quello che conta è che alla fine le norme rispettino la Costituzione e rispondano a una esigenza di amministrare la giustizia. Se così sarà, i magistrati non potranno che essere d’accordo, giacché, come è noto, non rappresentano la politica in questo Paese».

Da dove intende ripartire, ministro Palma?
«Personalmente ritengo che il problema del magistrato in politica debba essere risolto definitivamente con la legge. E’ un tema che sta a cuore anche al Capo dello Stato, che ne ha parlato nell’incontro con gli uditori giudiziari. Una legge che stabilisca i percorsi d’ingresso in rapporto ai collegi elettorali dove il candidato ha esercitato la sua attività di magistrato, sia per quanto riguarda il rientro in magistratura dopo l’esperienza politica».

Lei è un magistrato prestato alla politica. Venticinque anni in magistratura. E tre legislature alle spalle...
«Già oggi, dopo aver prestato il giuramento, darò mandato agli uffici del ministero di avviare la mia pratica al Csm per il collocamento a riposo».

Insomma, se dipendesse da lei tutti i magistrati che scendono in politica non dovrebbero più indossare la toga...
«Credo che a tutti stia a cuore la terzietà del giudice e francamente come essere giudicati terzi se poi in politica si fanno scelte di parte? Il problema non si pone solo per i deputati o senatori ma anche per gli amministratori locali, consiglieri comunali, provinciali o regionali, dove il condizionamento del territorio è molto più forte».

Ministro, lo scontro politica-magistratura nasce sostanzialmente per le leggi ad personam. Come intende rasserenare il clima?
«L’aspro scontro di questi anni è stato per certi versi inevitabile. Si è creata una radicalizzazione dei rapporti che hanno impedito alla fine un corretto dialogo. Mi impegno, un minuto dopo aver giurato nelle mani del Capo dello Stato, ad allentare la tensione, ad avere un dialogo chiaro con l’opposizione politica e principalmente con la magistratura e l’avvocatura. Il mio obiettivo è varare le riforme che rispondano al principio costituzionale del giusto processo, che puntino a velocizzare i processi nel rispetto dei diritti di tutte le parti».

Su questi principi l’accordo, c’è da scommettere, sarà totale. Il punto è che tra il dire e il fare ci possono scappare leggi ad personam, come quella della discordia di questi giorni, la legge che allunga i processi...
«Fino al giuramento non dirò nulla sul merito delle proposte di legge. Nessuno è depositario della verità, e nessuno può fare lezioni di moralità. Se mi convinceranno che una legge è sbagliata, che non risponde ai principi costituzionali, che non è funzionale all’efficienza del servizio giustizia, mi pronuncerò contro quella legge».

Il ministro Calderoli ha suggerito al nuovo Guardasigilli di non sentire, di non farsi condizionare dai legali di Silvio Berlusconi...
«I ministri giurano fedeltà e lealtà alla Costituzione. Io posso sentire chiunque, alla fine deciderò nell’interesse del Paese».

E la norma che allunga i processi, che favorirebbe Silvio Berlusconi?
«La settimana prossima ne discuteremo in Senato. Ricordo che nella metà degli anni Settanta furono modificati i termini di custodia cautelare, sull’onda del caso Valpreda, l’anarchico detenuto per la strage di piazza Fontana a Milano. Di lì a poco, quei termini furono di nuovo modificati allungandoli, all’indomani del duplice omicidio dei fratelli Menegazzo, a Roma».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413377/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Presto un nuovo interrogatorio per chiarire i timori di Tremonti
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2011, 12:02:05 pm
Politica

30/07/2011 - RETROSCENA

Presto un nuovo interrogatorio per chiarire i timori di Tremonti

Il ministro sarà chiamato a spiegare perché non voleva stare in caserma

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato». Dichiarazioni inquietanti del ministro dell’Economia. Che porteranno inevitabilmente il ministro stesso, Giulio Tremonti, a essere di nuovo sentito dagli inquirenti. E probabilmente, il presidente del Consiglio (o il sottosegretario Gianni Letta) a doverne riferire al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, presieduto da Massimo D’Alema.

Gli inquirenti napoletani, indagando due generali delle Fiamme Gialle per la fuga di notizie sull’inchiesta della P4, avevano già sentito il ministro Tremonti. E la sua deposizione aveva già allarmato. Davanti ai pm Woodcock e Curcio, aveva parlato di «cordate» interne alla Finanza che avevano straripato in città, frequentando politici e non solo in grado di sponsorizzare candidature per diventare comandante generale della Guardia di Finanza. In quell’occasione, siamo al 17 giugno, il ministro rivelò che in un incontro molto animato con il presidente del Consiglio, agli inizi del mese, si scontrarono sulla politica di bilancio. Ed espresse a Berlusconi le sue paure: «Su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza a una spinta per le mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. E a Berlusconi manifestai la mia refrattarietà a essere oggetto di campagne stampa tipo quella “Boffo”».

Secondo «Libero», in quell’incontro del lunedì ad Arcore, Tremonti sbottò contro Berlusconi: «Tu mi hai fatto spiare... hai messo i servizi segreti alle mie calcagna...».

Cordate per sostenere candidati generali, e poi campagne stampa ricattatorie e fabbriche del fango. E ora, controlli illegittimi di un ministro della Repubblica. Napoli dovrà approfondire anche l’ultima denuncia spedita per mezzo stampa dal ministro Tremonti.

Nelle carte di Woodcock e Curcio, c’è anche un verbale di Marco Milanese, braccio destro del ministro, del 13 giugno. Pochi giorni dopo quella sfuriata tra Tremonti e Berlusconi, Milanese incontra il ministro: «Mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi, perché aveva saputo che lui - il ministro - era seguito, o comunque negli ambienti politici si diceva che stavano attuando “il metodo Boffo” anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando “cose” per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi, come partecipanti a questo piano ordito nei suoi confronti».

Sempre Milanese dice il 17 giugno ai pm napoletani: «Il presidente Berlusconi gli ha negato che ciò potesse essere vero e ha detto che nessuno sta ordendo (tramando, ndr) nei suoi confronti. Il ministro (al contrario, ndr) è convinto che tutto questo sia vero e che tra le questioni ci sia anche la nomina del futuro comandante generale della Gdf, dove è il ministro che propone il nominativo del comandante».

Caserme e alberghi, luoghi insicuri. Se dovessero approfondire la denuncia per mezzo stampa del ministro, gli inquirenti dovrebbero acquisire le relazioni di servizio della scorta di Giulio Tremonti, per vedere se sono stati annotati episodi particolari, e acquisire il calendario delle permanenze del ministro nelle foresterie delle caserme della Gdf e negli alberghi. E, infine, dovrebbero verificare se Tremonti ha mai sporto denuncia all’autorità giudiziaria.

Gli inquirenti potrebbero scoprire così che Tremonti potrebbe aver pernottato per l’ultima notte nella foresteria della Gdf di via Sicilia a Roma, nel lontano giugno del 2004. Cioè da quando si dimise dal governo Berlusconi eletto nel 2001 (il suo posto fu preso da Domenico Siniscalco).

Come è possibile che un ministro dica oggi di essersi sentito insicuro in una caserma della Gdf che l’ospitò fino al giugno del 2004, o che si sentiva insicuro ospitato in un albergo? Tutti gli addetti ai lavori, dicono che un’abitazione privata è più insicura di un albergo o di una caserma. Ieri, Tremonti ha spiegato a «Repubblica» che chiese ospitalità a un amico, Milanese, «presso una abitazione che non riportava direttamente» al suo nome: «Questa mi era sembrata la soluzione più sicura».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413704/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Frattini: è l’epilogo, temiamo vendette e saccheggi
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2011, 04:24:19 pm
Esteri

22/08/2011 - LIBIA LA FARNESINA E LA SVOLTA

"L’arresto di Saif un passo cruciale verso la vittoria"

Frattini: è l’epilogo, temiamo vendette e saccheggi

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Ministro Frattini, che cosa rappresenta l’arresto di Saif al Islam, il figlio più vicino a Gheddafi?
«Un passo determinante verso l’inevitabile fine di Gheddafi e del suo regime».

Si combatte a Tripoli. I morti sarebbero centinaia. Sono le ultime drammatiche ore del regime di Gheddafi?
«Il bagno di sangue è l’ultimo capo di imputazione che andrà contestato al regime, a Muammar Gheddafi che di fronte al sangue di libici incita i suoi mercenari a non fare prigionieri. L’unica via che deve percorrere Gheddafi è quella di arrendersi».

Le notizie convulse delle ultime ore sembrano tutte comunque confermare che si combatte in città, a Tripoli. E che la vendetta dei lealisti si annuncia tremenda...
«Nostre fonti e fonti del Cnt, il Comitato nazionale di transizione, convergono nel segnalare che sono in atto scontri tra mercenari di diverse etnie per poter razziare la popolazione. Si ammazzano tra loro per saccheggiare la città».

Il raiss non ha mai voluto ascoltare gli appelli ragionevole alla resa.
«Al punto in cui siamo giunti, Gheddafi deve uscire di scena. Il regime dovrebbe indicare due autorevoli esponenti che non si sono macchiati di delitti di sangue per...».

Ministro Frattini, la interrompo, non è la proposta dell’Onu di un comitato di quattro saggi che nominano un quinto rappresentante al di sopra delle parti per avviare la transizione libica ormai superata dagli eventi?
«Sì, nella forma, non nella sostanza».

Uno di questi esponenti potrebbe essere l’ex numero due del regime, Jalloud, riparato in Italia l’altro giorno?
«Ha certamente tutte le caratteristiche per esserlo. Non spetta a noi indicarlo. Lui chiarirà la sua posizione quando lo riterrà opportuno. Sono convinto che in molti riconoscerebbero a lui un ruolo importante nella costruzione della nuova Libia».

Sei mesi da quella scintilla scoppiata a Bengasi il 15 febbraio scorso. Fino a poche settimane fa, regnava il pessimismo di fronte a un evidente stallo del conflitto. Oggi siamo all’epilogo?
«Siamo vicini all’epilogo. La situazione è in continua evoluzione, la Nato continua con il suo apporto logistico, l’opposizione ormai ha quasi occupato del tutto l’aeroporto internazionale di Tripoli, anche quello militare e civile di Mittiga sta per essere conquistato. E poi i 40 cecchini appostati su un palazzo si sono arresi e quattro importanti quartieri della capitale sono stati liberati».

Senta ministro, come si può cercare di far ragionare Gheddafi che parla di schiacciare i ratti...
«Non possiamo non rivolgergli l’appello ad arrendersi, anche se i segnali sono tutti negativi. Certo, nonostante il mandato di cattura internazionale, c’erano margini perché si potesse immaginare una coabitazione in terra libica di Gheddafi e del nuovo governo e regime democratico. Ma ormai gli eventi riducono i margini di una possibile mediazione».

In queste ore arrivano notizie da Tripoli di nuove defezioni importanti.
«Ci attendiamo nelle prossime ore una resa di massa di ufficiali e di dignitari del governo. Noi sappiamo che non tutti gli esponenti del regime si sono macchiati di delitti di sangue e non è un segreto che Gheddafi, dopo le defezioni di ministri importanti, come quello degli Esteri, Moussa Koussa, ha nei fatti deportato nella sua cittadella militarizzata dignitari con le famiglie, per evitare il rischio di altre defezioni. Ma adesso che la cittadella viene bombardata dalle forze Nato, si sono aperti dei varchi perché si concretizzi una resa di massa».

In attesa della fine di Gheddafi, stiamo già lavorando per la nuova Libia?
«Con gli Usa, la Francia e l’Inghilterra stiamo lavorando insieme al Cnt per rimettere in sesto il Paese. Per consentire agli impianti di tornare a estrarre il petrolio, per ricostruire le infrastrutture danneggiate. C’è un team operativo che già lavora a Bengasi. L’Italia sta già facendo molto per la formazione di quadri della nuova Libia nei settori della sicurezza, sanità e media».

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/416438/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Nel regno del petrolio senza benzina né luce
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2011, 10:44:08 am
Esteri

29/08/2011 - LIBIA TRA GUERRA E RICOSTRUZIONE

Nel regno del petrolio senza benzina né luce

L'ad di Eni Paolo Scaroni oggi a Bengasi per discutere i progetti energetici Il Cnt: "Riprenderemo i livelli prebellici di produzione entro quindici mesi"

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BENGASI

Un’ora di fila al sole, per fare benzina. Scarseggia il carburante, e la pompa di benzina è costretta a chiudere. Anche le centrali elettriche sono in affanno e la sera la luce va e viene. Dal 4 aprile scorso, da quando è stato attaccato dai lealisti l’impianto petrolifero di Mesla, in Libia non si estrae più l’oro nero. Ben prima, dalla fine di febbraio, le diverse compagnie di petrolio internazionali erano state costrette a interrompere la produzione. Situazione critica per la Libia e per i suoi partner. Non ne fa mistero l’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, che stamani sarà a Bengasi, per incontrare il viceministro del Cnt (il ministro è a Tripoli). Missione lampo, per rassicurare gli interlocutori libici che l’Italia onorerà i contratti firmati e garantirà una fornitura anticipata di benzina e gasolio.

L’ad di Eni, in una intervista al Tg2 dossier, ha ribadito che la produzione del petrolio riprenderà e non creerà problemi, mentre diversa è la situazione dell’estrazione e del trasferimento del metano. L’instabilità politica in Tunisia preoccupa l’Eni perché attraverso quel Paese passa il gasdotto, proveniente dall’Algeria, che arriva in Italia. «Una delle ragioni del viaggio a Bengasi è che ho fretta di far ripartire il Greenstream», il gasdotto che parte dagli impianti di Mellitah e arriva a Gela, che è fermo da febbraio, ha detto.

La situazione che Scaroni troverà a Bengasi e in Libia non è ancora stabilizzata. Diversi esponenti del Cnt ancora ieri hanno voluto rassicurare gli interlocutori stranieri: «A fine settembre riprenderanno le esportazioni di petrolio dal terminal di Tobruk. Entro 15 mesi la produzione tornerà a 1.600.000 barili al giorno». Hassan Y. Bolifa, uno dei dirigenti della compagnia petrolifera libica «Agoco» (responsabile progetti di engineering e comunicazione), ripete: «Come abbiamo sostenuto dal primo momento noi onoreremo i contratti sottoscritti anche se, nello stesso tempo, vogliamo rinegoziarli».

In questa fase di transizione, Noc, la Compagnia nazionale di petrolio, è nei fatti sciolta. Dice Boulifa: «La nostra priorità adesso è una sola: riprendere la produzione di petrolio. Passano in secondo piano i contratti per lo sviluppo di nuovi campi petroliferi». Il dirigente di Agoco, aggiunge altre due riflessioni importanti, per rassicurare l’Italia ma anche gli altri partner storici della Libia, l’Egitto e la Turchia: «Qualsiasi rapporto privilegiato con la Francia o con un altro Paese che ci ha aiutati a liberarci da Gheddafi, non sarà mai a discapito dell’Italia, dell’Egitto e della Turchia».

Boulifa è più preciso nel fissare un calendario. «Entro due settimane riprenderemo la produzione di 100.000 barili di petrolio. Tra gennaio e aprile, la produzione tornerà a poco meno di mezzo milione di barili, che soddisferà gran parte del fabbisogno libico, e penso che entro un anno la produzione complessiva sarà di 1.250.000 di barili. Quindici mesi e la macchina andrà al massimo: 1.600.000 barili al giorno».

Numeri che servono soprattutto a indicare un percorso. Per quanto riguarda la compagnia petrolifera libica, i suoi dirigenti dicono che non ci sono problemi neppure a livello di personale. Potrebbe suscitare qualche preoccupazione la dichiarata volontà di rinegoziare i contratti già stipulati. Boulifa spiega: «Se in un contratto è prevista la manutenzione di una centrale elettrica e questa è stata danneggiata, va da sé che lo stesso contratto va ricontrattato». Il rapporto tra Italia e Libia è di forte interdipendenza nel campo energetico, sia in materia di petrolio che di gas. Quella tratteggiata dai dirigenti del Cnt e dell’Agaco è una road map che non tiene conto naturalmente degli imprevisti. In questi mesi sono stati bombardati serbatoi a Brega e Raf Lanouf, i terminal della Cirenaica. E la sicurezza degli impianti non è ancora garantita. Era un secolo fa quando Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi inaugurarono (7 ottobre del 2004) il magnifico impianto di Mellitah, che avrebbe portato a Gela 9 miliardi di metri cubi di metano (il 12% del nostro fabbisogno) l’anno. Nell’enfasi dell’inaugurazione, il Presidente del Consiglio si rivolse al raiss chiamandolo il «leader della libertà». Oggi arriva a Bengasi l’ad di Eni, Scaroni, che commenta: «Gheddafi? Uno dei peggiori governanti che abbia avuto il mondo».

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/417269/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Il "sistema Gianpi" tutto coca, sesso e tranelli
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 11:35:32 am
Politica

02/09/2011 - POLITICA & ESCORT: RETROSCENA

Il "sistema Gianpi" tutto coca, sesso e tranelli

Maggio 2009: Berlusconi è a Bari per un incontro politico, dietro di lui Patrizia D’Addario, presentatagli da Tarantini
La scalata al potere del giovane pugliese: dagli appalti in Regione alle feste in Costa Smeralda
per entrare nel giro del premier

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Questa è la storia di un grande ricatto che ha come protagonista, nel ruolo di vittima, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Che - stando alla ricostruzione dell’accusa - per non vedere le sue scabrose telefonate di sesso pubblicate sui giornali, versa mezzo milione di euro a un imprenditore, Gianpi Tarantini, perché, essendo lui indagato per induzione e favoreggiamento della prostituzione, si sacrifichi e chieda il patteggiamento. E il presidente del Consiglio lo paga attraverso un faccendiere editore, Valter Lavitola, che le cronache di un anno fa hanno visto protagonista dell’affaire Montecarlo, la vicenda della casa intestata al cognato di Gianfranco Fini.

Gianpi Tarantini e la escort Patrizia D’Addario. Sembra un secolo fa quando Patrizia la escort , avendo registrato quell’incontro di sesso con il presidente del Consiglio, al pm barese, Pino Scelsi, confermò tutto consegnando la colonna sonora di quella notte d’amore. E raccontò dei suoi protettori, di quel Max Verdoscia e di Gianpi Tarantini che la preparò per la serata di Palazzo Grazioli. Un imprenditore certamente sui generis, quello al centro di questa vicenda, che aveva trovato un mix davvero unico per battere la concorrenza. Il giovane rampollo di una famiglia di imprenditori nel settore della sanità si era fatto le ossa con gli appalti e le commesse nella sanità pugliese quando in Regione c’era Raffaele Fitto (centrodestra). E poi, con l’avvento di Nichi Vendola aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco vedendosela con l’assessore alla Sanità, Alberto Tedesco (Pd), che aveva lasciato i figli a gestire le sue aziende sanitarie.

Coca e sesso. Era questo il mix vincente di Gianpi. Con il sesso ci era cascato anche l’assessore dalemiano Sandro Frisullo, finito in carcere, e dirigenti della sanità pubblica e primari ospedalieri.

Correva, Gianpi. E non si accontentava più di quel territorio ristretto, la Puglia. Puntava in alto. E arrivò l’estate della svolta, l’agosto del 2008. La villa presa in affitto a Capriccioli, Costa Smeralda. Con l’investimento in seicento grammi di cocaina e poi le feste da sballo e le serate al Billionaire.

Fino a quando, prima di ferragosto, grazie all’Ape Regina, al secolo Sabina Began, Gianpi Tarantini e la sua corte entrano a Villa Certosa. E fu amore a prima vista tra Gianpi e il Presidente.

Per capire fino in fondo il personaggio Tarantini, bisogna sentire, leggere una sua intercettazione: «...che io a vent’anni stavo in barca con D’Alema e gli altri a novant’anni ancora dovevano fare quello che io avevo fatto in due anni da diciotto a vent’anni. A trenta stavo a dormire a casa di Berlusconi io, a trenta».

Ne esce male anche la vittima, Silvio Berlusconi, tormentato dalla paura di essere intercettato, senza un consigliere fidato, un uomo degli apparati che gli spieghi che anche una scheda telefonica Wind panamense è intercettabile a casa nostra.

Tarantini, già finito in disgrazia per via delle inchieste sulla malasanità pugliese, e per la droga, agli arresti domiciliari per undici mesi, senza soldi e con debiti, tentenna, prende tempo, con Lavitola diventa una sanguisuga il cui unico obiettivo è il salasso del presidente del Consiglio. Mezzo milione di euro e poi un appannaggio mensile di quasi 20 mila euro (quattordicimila euro mensili, oltre affitto della casa di Roma) ed in più tutte le spese legali e straordinarie pagate.

Aveva tirato un sospiro di sollievo, pensava di aver finito con il carcere e i domiciliari. C’è un colloquio molto istruttivo, tra Tarantini, la moglie Nicla (che è anche amante di Lavitola) e il faccendiere editore: Nicla: «Mo tutto un caos... oggi è uscito un articolo di Laudati che Scelsi gli ha fatto una denuncia perché dice che ha rallentato...». Tarantini: «Perché i giornali di oggi... perché Laudati ha rallentato le indagini sulla prostituzione nei confronti di Berlusconi.. dai miei miei rapporti che lui è a conoscenza con Berlusconi». Commento di Lavitola: «Benissimo, questo è buono... invece di fa ‘na festa...».

Tarantini: «Dopo che è venuto Nicola... poi dice che queste informative sono bruttissime... sia quella sulle puttane che quella sulla bancarotta...».


da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417931/


Titolo: GUIDO RUOTOLO Quella lentezza sospetta di Bari a indagare sulle trame di Gianpi
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 11:39:49 am
Politica

03/09/2011 - POLITICA & ESCORT- IL CASO

Quella lentezza sospetta di Bari a indagare sulle trame di Gianpi

Nel mirino della procura di Lecce l’operato dei colleghi guidati da Laudati

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Dieci giorni fa la procura di Napoli ha trasmesso a Lecce gli atti della sua inchiesta sul grande ricatto a Silvio Berlusconi, che chiamano in causa i magistrati di Bari per una gestione «al rallentatore» dell’inchiesta sul giro di escort a Palazzo Grazioli. I reati che la procura salentina potrebbe contestare sono quelli di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio. Ma per il momento il pm Antonio De Donno non ha iscritto nessuno collega barese nel registrato degli indagati.

La Procura di Lecce vuole capire perché Bari ha tenuto per due anni nel freezer il fascicolo sulle escort a Palazzo Grazioli.

Se dietro questo ritardo vi è un movente specifico, se insomma si tratta di un ritardo doloso che ha portato solo adesso la Finanza a depositare l’informativa finale con le trascrizioni delle intercettazioni e delle registrazioni che coinvolgono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Gianpi Tarantini e Patrizia D’Addario.

Diverse intercettazioni telefoniche dell’inchiesta napoletana sul grande ricatto contro il premier Berlusconi chiamano in causa il procuratore Laudati e la sua gestione al «rallentatore» dell’inchiesta sul giro di escort. Una in particolare, poi, lascerebbe intendere che l’avvocato di Tarantini sia stato messo nelle condizioni di poter leggere delle intercettazioni della inchiesta sulle escort non depositate, e quindi sarebbe stato violato in questo modo il segreto investigativo. L’avvocato Quaranta, al termine del suo interrogatorio, ha dettato un comunicato alle agenzie prendendo le distanze dal suo ex assistito: «Ha dichiarato tutte falsità e millanterie».

Sarà interessante vedere come si comporterà oggi Tarantini, nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

Dieci giorni fa, quando ormai il settimanale «Panorama» aveva bruciato l’inchiesta anticipandola e rivelandone i contenuti, la Procura di Napoli aveva spedito le carte a Lecce, quelle che vedevano coinvolto il procuratore di Bari, Antonio Laudati, chiamato in causa nelle intercettazioni telefoniche tra Tarantini e il faccendiere editore Valter Lavitola.

C’è n’è una molto significativa. Dice Tarantini: «Ho parlato ora con Nicola, di Bari, l’avvocato che ha parlato l’altro giorno... ti dissi che andava a parlare al Capo... là c’è un problema grosso... per telefono come faccio a dirti ste c... di cose... hanno fatto un putiferio... hanno trascritto tutto, cosa che non dovevano fare... le mie e le sue e quello lui, il capo, stava cacato nelle mutande, ha detto ti prego aiutatemi.... sono terrificanti... lui gli ha detto a Nicola di parlare chè lui non poteva farlo, o meglio non sapeva come farlo - di avvisare l’avvocato di Milano, di Roma...».

Si parla dell’informativa finale della Guardia di finanza sul giro di escort, sulla notte d’amore di Patrizia D’Addario a Palazzo Grazioli. Tarantini è sconvolto perché le sue telefonate con il premier stanno per diventare di dominio pubblico e Laudati, attraverso l’avvocato Quaranta, dice di avvisare Milano, p r o b a b i l m e n t e l’avvocato Ghedini. Insiste Gianpi: «Lui ha detto a Nicola che il suo ruolo è fallito perché lui era convinto di archiviarla».

L’avvocato Quaranta ha già preso le distanze da Gianpi. E probabilmente anche il procuratore di Bari, Antonio Laudati, che rientrerà dalle ferie lunedì, si farà sentire. A Bari, addirittura, si sussurra che martedì la Procura potrebbe depositare le carte, annunciando così urbi et orbi che gli indagati sono una decina ai quali è contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. In questo modo, smentendo la sostanza della inchiesta napoletana perché quelle intercettazioni così devastanti saranno rese di dominio pubblico.

Ma intanto, la procura di Lecce è obbligata a fare accertamenti, a verificare la fondatezza di quelle chiamate in correità di Laudati. Tarantini può aver millantato certe dichiarazioni che il procuratore avrebbe fatto agli avvocati Quaranta e Perroni.

A metà luglio, «Libero» pubblicò una intervista-ritrattazione della escort Patrizia D’Addario nella quale la donna disse di essere stata costretta a fare l’intervista al Corriere della Sera, a fare certe dichiarazioni per mettere in difficoltà Berlusconi.

Gianpi Tarantini in una intercettazione con Lavitola sostiene che quella ritrattazione sia stata orchestrata: «È stata fatta per non chiudere le indagini, per non mandare l’avviso di conclusione, così non escono intercettazioni. Così riapre il caso, riapre l’indagine». Lavitola chiede: «Il pm?». Tarantini: «E certo!». Lavitola: «Embè, è che vantaggio ha il pm a riaprire le indagini, scusa». Tarantini: «No, il vantaggio ce l’abbiamo noi. L’ha fatto apposta Laudati (Antonio, procuratore di Bari, ndr) questo, perché, si sono messi d’accordo: nel momento in cui riaprono l’indagine e non mandano l’avviso di conclusione, non escono... non diventano pubbliche le intercettazioni»

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418428/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - "Faccio il premier a tempo perso"
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2011, 04:23:57 pm
Politica

17/09/2011 - LE INCHIESTE: IL CAVALIERE AL TELEFONO

"Faccio il premier a tempo perso"

Sabina Began «l'ape regina» indagata a Bari

Festini a cavallo degli impegni istituzionali. E un giorno le ragazze salirono sull'aereo presidenziale

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BARI

Duecentosettanta pagine. Sono quelle che compongono il rapporto della Guardia di Finanza che ha raccolto intercettazioni e testimonianze sul presidente del Consiglio e sul mondo che ruota attorno a lui. Un Berlusconi che di sé dice: «A tempo perso faccio il primo ministro e me ne succedono di tutti i colori». E così quando deve disdire una serata organizzata, perché «devo andare a Milano», aggiunge rivolgendosi a Gianpi: «Venitevi a prendere un gelato». Ma Tarantini ne approfitta per imbucarsi sull’aereo presidenziale con tutte le ragazze. «Marysthell andiamo? Ti passo a prendere».

Tutte in volo
L’inchiesta barese sul giro di escort per il capo del governo,racconta tutto questo: vizi privati osservati dal buco della serratura delle stanze delle residenze del premier, Palazzo Grazioli, Arcore e Villa Certosa. La prima volta non si bada a spese. Per non deludere il Presidente. Accade tutto il 5 settembre del 2008. Silvio e Gianpi si sono appena conosciuti in Costa Smeralda grazia a un invito di Eva Cavalli. L’Ape Regina, al secolo Sabina Beganovic, chiede a Gianpi di portare ragazze che «ci stanno al gioco», a una serata a Palazzo Grazioli. Tre ragazze, Sonia Carpentone, Vanessa Di Meglio e Roberta Nigro. «Le tre donne - si legge nel rapporto della Guardia di Finanza - partecipavano alla cena e trascorrevano la notte a Palazzo Grazioli, ospiti del Presidente Berlusconi, ricevendo l’indomani mattina dallo stesso un corrispettivo in denaro». E’ vero, le tre partecipano.

Ma che fatica per Gianpi convincerle. Chi si è fidanzata e non vuole tradire, chi è a Parigi. E lui che deve pagare pure il volo Parigi-Roma... Commento il giorno dopo di Sabina, al telefono con Gianpi: «Io sono tornata a casa mia, alle dieci. Lui voleva che io rimanessi lì a dormire... però non ho fatto un cazzo perché lui non mi mischia con loro». E le tre ragazze? Una di loro, Vanessa Di Meglio confida a Gianpi: «Tutto a posto, tutto a posto. Le ragazze sono andate via alle sei... hanno fatto un bordello. Comunque tutto a posto, Io ho fatto colazione con lui». Gianpi: «Ti ha fatto un regalo?». Vanessa: «Sì ma loro hanno chiesto. Io non ho detto niente, non ho chiesto assolutamente. Lui mi ha detto: "Metti questo in borsa... mi fa piacere"».

Verbale di Vanessa Di Meglio: «C’erano molti invitati quella sera a Palazzo Grazioli. Riconobbi George Clooney, Eva Cavalli e altre personalità dello spettacolo. In tutto 25-30 persone. Al termine della cena, rimanemmo io e altre due ragazze. Il presidente del Consiglio si appartò con le altre due che poi mi vennero a chiamare. Io le raggiunsi in una camera da letto dove era presente anche il presidente del Consiglio. Ci furono degli approcci...». Se non ci fosse la bobina con la voce di Silvio Berlusconi inconfondibile, la trascrizione di quella frase suona come una bestemmia, un falso. E invece bisogna ricredersi. Per la cena del 23 settembre del 2008, chiede Berlusconi a Gianpi: «Che dici se chiamiamo anche Rossella che c’ha una ragazza che canta in Vaticano molto brava? Magari invitiamo anche Fabrizio Del Noce, il direttore della fiction della rete uno della Rai? Così sentono che c’è lì qualcuno che ha il potere di farle lavorare. Insomma hanno l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino. L’unico ragazzo sei tu, gli altri sono dei vecchietti... però hanno molto potere».

Nottata a quattro
Il vizietto del Presidente è la nottata a quattro, insomma con tre partner. Anche quella sera del 23 settembre. Mette a verbale Terry De Nicolò: «Delle ore ho dormito da sola e delle ore invece con queste due ragazze e Berlusconi... eravamo io, le due ragazze di Roma e Berlusconi». Che figura di ruffiana fa la europarlamentare Pdl Elvira Savino, al cui matrimonio partecipa Gianpi che si fa dare dal testimone Silvio Berlusconi il suo numero di telefono. Dunque Gianpi deve soddisfare una voglia di Silvio Berlusconi, quella di conoscere Carolina Marconi ed Elvira possiede il suo numero di telefono. Contatti, avances, proposte e alla fine accetta. Sms di Elvira a Gianpi: «Ci hai parlato?». Risposta: «Mi ha detto di sì». Gongola Silvio Berlusconi: «Ma domani sera che vorresti fare?». Gianpi: «Presidente io ho parlato già con Carolina e con Francesca. Loro vengono... in più ci sono.. queste due amiche che ho conosciuto molto carine». Berlusconi: «Posso portare qualche ragazza anch’io? Va bene combiniamo... faccio venire la musica... faccio venire Gemma per cantare ... Va bene? Facciamo alle nove e mezza...».

Che confusione la storia della Manuela Arcuri. A sentire Francesca Lana, la nottata a tre con Silvio Berlusconi non si realizza per una questione di contropartita. Scrive il rapporto della Finanza: «Manuela Arcuri e Francesca Lana, entrambe donne dello spettacolo, erano attratte dalla prospettiva, tracciata loro da Tarantini, di ottenere, prostituendosi, vantaggi per la propria carriera professionale (nel caso della Arcuri anche per il fratello) nel cinema e in televisione». Questa è la premessa. Tarantini promette a Manuela che avrebbe fatto la valletta per Sanremo. «A quello dovete fargli un bel numero, tu e la tua amica». Dice Gianpi a Francesca. Francesca ne parla con Manuela, che risponde: «Dobbiamo parlare di quella cosa a due. Minimo per quello ci deve... se dovessimo fare una cosa del genere... ci deve già avere il contratto firmato davanti...».

La firma mancante
L’11 febbraio del 2009 c’è una cena a Palazzo Grazioli. Il giorno prima Francesca riferisce a Gianpi: «Manuela dice che se non vede sto cammello, fino a quando non ha una certezza... non fa nulla per lui. Io le ho detto: "Manu forse dovrebbe essere il contrario, prima fai qualcosa per lui..."». Il giorno della cena. Gianpi: «... ma si era convinta, si era convinta un mese fa...». Francesca: «Sì ma le cambia da oggi da adesso a tre minuti poi ricambia idea». E dire che Manuela manda avanti proprio la sua amica Francesca (secondo la stessa Lago): «Frà però mo glielo devi dire del film, delle cose, è ora che gli parli». Risponde Francesca: «Ho capito Manu, ma non glielo posso dire alle quattro di mattina quando stiamo dentro il letto...». Il tira e molla finisce male. Il 18 febbraio del 2009, Berlusconi confida a Gianpi di essere «rimasto molto indignato per la volgarità espressa dalla Manuela Arcuri nel corso di una intervista rilasciata alle Iene, ritenendola cancellata».

Graziana Capone, la Jolie di Bari con Silvio Berlusconi, la notte del 28 settembre del 2008. Scampoli di conversazione tra lei e Gianpi, la mattina dopo. «Con chi stai mo’?, con le ragazze vicino?». Lei: «No. Io e lui e basta. Tutte le ha mandate via». Gianpi: «Ma è rimasto contento?». «Assolutamente. Io ho bisogno di dormire un po’, sono andata a letto tardissimo, a letto... ho dormito un’ora...». Tarantini: « Ti ha detto che ti dà una mano?». Lei: «Si, è stato lui, io zero...». E’ egocentrico Gianpi. Che chiede alla ragazza se Berlusconi ha parlato di lui. Graziana: «Mi ha chiesto da quanto tempo ti conoscevo... io ho detto un po’ di anni». Gianpi aveva confidato alla ragazza le sue aspirazioni di essere eletto parlamentare.

Nelle carte c’è il gallo Berlusconi che si compiace delle sue performances. «Stamattina mi sento bene, sono contento della mia capacità... di resistenza agli assedi della vita». Una sera è a cena in un ristorante milanese con giovani imprenditori. Racconta a Gianpi: «Ho preso otto numeri, ma ce ne erano di più... Russe, italiane e brasiliane. C’ho 8 numeri di donne nuove....». Anche Gianpi che non è da meno però è alquanto colpito dall’iperattivismo sessuale del Presidente. «Ma lei mi deve spiegare una cosa, ma alle donne lei cosa fa?». Risponde Berlusconi: «Come cosa faccio (ride, ndr)». Gianpi: «In tanti anni di amici, di frequentazioni che ho fatto, non ho mai visto uno che fa impazzire così tanto le donne, ma veramente... perché lei ora mi ha detto "è il mio sogno proibito" ho detto "basta, non dire più niente"». Berlusconi: «omissis... va bene senti allora ci mettiamo d’accordo...».

Prostitute per il principe
Non è poi vero che la macchina non si inceppa, qualche volta. Gianpi vuole strafare come è suo solito. Voleva organizzare una serata con ragazze nuove. Berlusconi fa presente che è molto stanco: «Voglio fare il bravo perché non posso più andare avanti.. mi devo riposare un po’ di più perché sono veramente molto stanco. Ci sentiamo... facciamo una cosa... che mettiamo una cosa che è novità e basta?». Tarantini: «Bravo mescoliamo un po’ quelle, quelle che abbiamo già. come deve chiuderne alcune ancora, dico ne deve concludere alcune, quelle due, tre che sono rimaste..». I tentativi di Gianpi alla fine vanno in porto. C’è un permaloso Berlusconi che affiora negli affari di famiglia con Gianpi Tarantini. L’intervista alle Iene di Manuela Arcuri porta il presidente a troncare ogni rapporto con l’attrice.

Berlusconi non vuole che le sue donne lo scavalchino. Così quando capisce che la giovane Carolina Marconi ha preso contatti con Fabrizio Del Noce s’arrabbia perché non l’ha interpellato. Con una valanga di intercettazioni, di testimonianze, di serate per il Principe, anche la storia di Patrizia d’Addario, che pure sembrava portatrice di sconquassi, alla fine è diventata una tra le tante squallide storie di reclutamento di prostitute per il Principe. Gianpi Tarantini sperava di avere un suo tornaconto che si chiamavano Finmeccanica e Protezione civile. E poi di mettersi in affari con Roberto De Santis negli appalti nel settore dell’energia. Sono appena due mesi che Gianpi organizza le seratine per il presidente. Berlusconi ricambia il 13 novembre: «Sono in macchina con il sottosegretario Bertolaso, te lo passerei così vi metterete d’accordo direttamente...».

E già che ci siamo, perché non proviamo con Finmeccanica? Chiede Gianpi a Enrino Intini, l’imprenditore: «In che rapporti stai con Guarguaglini? Bene? Vallo a trovare stamattina...». E poi gli appalti per l’Aquila e gli agganci con le aziende satelliti di Finmeccanica. Ma pare di capire che questa parte dell’inchiesta è stata stralciata. «Devo purtroppo partire per Milano perché mi è successo un guaio su là: devo essere domani mattina prestissimo e poi l’aereo c’è solo stasera, quindi purtroppo ho cambiato tutti i programmi e parto per Milano. Se tu credi di poter arrivare qui adesso e che vi offro che so un gelato».

Vita da presidente
Vita da presidente, ogni tanto. E Silvio Berlusconi deve partire d’urgenza. Scrive la Finanza: «In questo frangente Tarantini dimostrava di saper trarre il massimo vantaggio anche dalle situazioni apparentemente a lui sfavorevoli, proponendo a Silvio Berlusconi di volare tutti insieme sull’aereo presidenziale, dicendo che le ragazze che aveva reclutato abitavano a Milano e facendo credere che lui aveva un impegno di lavoro in città, l’indomani mattina». Tarantini: «Sennò veniamo insieme a lei a Milano (risata). E poi rivolgendosi a Marysthell Polanco e a qualcun’altra che si trova con il gruppo: «Andiamo a Milano ora vi va? Con l’aereo con lui». Le sue interlocutrici rispondono di sì. Gianpaolo poi comunica al Presidente: «Va bene, se ci dà mezz’ora, il tempo di fare la valigia, veniamo». Giunti con l’aereo presidenziale a Milano, saltata la possibilità di passare la serata in compagnia del Presidente Berlusconi, Gianpi Tarantini (sempre secondo la Guardia di Finanza) «trascorreva la notte al Principe di Savoia di Milano in compagnia di Maria Esther Garcia Polanco».

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420593/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Ora pure la Finanza inguaia Laudati
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2011, 04:51:55 pm
Politica

22/09/2011 - LE CARTE

Ora pure la Finanza inguaia Laudati

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

E oggi toccherà a lui, al procuratore di Bari, Antonio Laudati, essere sentito dalla prima commissione del Csm.
Indagato dalla procura di Lecce per tentata violenza, favoreggiamento e abuso d’ufficio, Laudati probabilmente difenderà il suo operato attaccando l’ex pm Pino Scelsi, il suo accusatore.

Le diverse testimonianze raccolte dalle procure di Lecce e Napoli, e depositate al Riesame di Napoli, propongono uno scenario compromettente. Non solo il verbale dell’accusatore di Laudati, il sostituto procuratore generale Pino Scelsi, o quello della pm Eugenia Pontassuglia che conferma parte delle accuse di Scelsi. Ci sono relazioni di servizio e verbali di interrogatorio di generali e colonnelli della Finanza che prendono le distanze dal«metodo» Laudati.

La riunione alle Fiamme Gialle
Uno degli episodi più controversi è una riunione che si tenne alla Legione Allievi della Gdf di Bari prima che lo stesso Laudati prendesse servizio a Bari, nel giugno del 2009. Ricorda il tenente colonnello Salvatore Paglino (successivamente arrestato da Laudati per stalking): «Il generale Vito Bardi (comandante interregionale dell’Italia meridionale della Gdf, indagato aNapoli per la fuga di notizie inchiesta P4, ndr) si presentò quando la riunione era già in corso da una decina di minuti. Ricordo che il generale Bardi si disse contrariato, rivolgendosi al colonnello D’Alfonso, di non essere stato informato su aspetti salienti delle indagini sulla sanità e su quelle del procedimento cosiddetto escort. Ricordo che il sostituto Scelsi difese il colonnello D’Alfonso dicendo che spettava solo all’autorità inquirente eventualmente autorizzare gli organi investigativi a riferire lo sviluppo delle indagini ad autorità diverse da quelle incaricate delle indagini stesse».
Disse: «Il ministro mi ha voluto»
«In data 26 giugno 2008, il dottor Laudati - si legge nella relazione di servizio depositata all’epoca dal colonnello Paglino - ha indetto presso gli uffici Legione Allievi della Gdf di Bari, una riunione, a suo dire, info-operativa, avente a oggetto le indagini in corso nei confronti di Tarantini Gianpaolo e altri soggetti... Dopo un breve pranzo conviviale, Laudati premetteva che le indagini in corso a Bari avevano creato preoccupazione nelle istituzioni e che la sua presenza in loco era stata voluta dallo stesso ministro di Giustizia, Alfano, al quale egli stesso aveva garantito una soluzione. La situazione era arrivata secondo quanto riferito dallo stesso magistrato, a un punto di gravità tale da poter potenzialmente produrre effetti negativi sullo stesso governo, nonché sulla stessa Gdf»

Spuntano i Servizi Segreti
Sulla fuga di servizio si sussurrava un coinvolgimento dei Servizi e in particolare si puntava l’indice sul generale Luciano Ingaggiato, comandante della Regione Puglia dal 2006 al 2010, che fino al 2006 era stato al Sismi di Pollari. «Non ho avuto - dice a verbale il generale Ingaggiato - alcun ruolo attivo nella costituzione della cosiddetta aliquota della Gdf distaccata presso la segreteria del procuratore della Repubblica di Bari. Il generale Bardi mi disse che le unità di personale dell’aliquota in questione dovevano essere a disposizione del procuratore Laudati per le indagini riguardanti la sanità pugliese/ Tarantini».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421409/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La Procura di Napoli al Riesame: Ora Berlusconi diventi imputato
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 10:34:13 am
Politica

23/09/2011 - CASO TARANTINI

La Procura di Napoli al Riesame: "Ora Berlusconi diventi imputato"

Nuova mossa dei pm campani: "Pressioni del premier sui testi"

GUIDO RUOTOLO
NAPOLI

Nuova mossa della Procura di Napoli contro Berlusconi. I pm hanno presentato una richiesta al tribunale del Riesame per valutare se il presidente del Consiglio, alla luce dell'inchiesta sul caso Tarantini, non sia perseguibile come imputato.

L'articolo richiamato dai magistrati è il 377 bis del codice penale: "Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria". Il ruolo del premier nella vicenda potrebbe quindi cambiare e in maniera sostanziale: da vittima di un ricatto a istigatore di bugie riferite ai giudici. Ma al momento questo è solo uno scenario di una inchiesta che sta presentando profili giuridici ogni giorno più complessi.

Il nuovo colpo a sorpresa è costituito da un argomento, uno dei tanti affrontati nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame durata oltre 4 ore, introdotto dai pm Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock: in sintesi i magistrati affidano ai giudici del Riesame il compito di valutare, oltre alla sussistenza del reato contestato nelle ordinanze cautelari a carico di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola (estorsione ai danni del premier), anche un’ipotesi alternativa che si è fatta strada nel prosieguo delle indagini - ovvero dopo gli arresti - e alla luce degli atti acquisiti da Bari sulla vicenda delle escort, ovvero la prospettazione del reato di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria.

Il riferimento dei pm è alle affermazioni fatte dall’imprenditore barese quando ai giudici di Bari ha raccontato che il presidente del Consiglio non era consapevole del fatto che le ragazze portate da Tarantini alle feste di Arcore e Palazzo Grazioli fossero escort, e alle dichiarazioni rese dallo stesso ’Gianpì nel carcere di Poggioreale, quando ha sostenuto che i versamenti di ingenti somme di denaro da parte del premier rappresentassero soltanto un atto di liberalità e non fossero dunque da mettere il relazione con i timori di una eventuale diffusione di notizie scandalose. Se il Tribunale della Libertà aderisse a questa ipotesi, i giudici potrebbero pertanto invitare la procura a procedere nei confronti di Berlusconi per istigazione a mentire. Ma quale procura? Sì, perchè in questa aggrovigliata vicenda giudiziaria resta sempre in piedi la questione della competenza territoriale dopo che per due volte, l’ultima ieri, il gip Amelia Primavera, lo stesso magistrato che aveva disposto gli arresti, ha affermato la propria incompetenza ordinando la trasmissione degli atti alla procura di Roma.

Proprio oggi i magistrati della capitale hanno provveduto all’iscrizione di Tarantini e Lavitola nel registro degli indagati per il reato di estorsione. Ma i pm di Napoli durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame hanno ancora una volta rivendicato il proprio diritto a proseguire l’inchiesta, ritenendo l’attribuzione della competenza a Roma tutt’altro che pacifica, visto non è stato stabilito con certezza il primo (e probabilmente anche l’ultimo) episodio costituente reato. Nell’incertezza, affermano in sintesi, la competenza appartiene ancora a Napoli o, magari, a Bari o Lecce, dove si procede per la vicenda delle escort. E resta sul tappeto la questione principale sulla quale è chiamato a pronunciarsi il Riesame: le istanze di annullamento o di attenuazione delle misure cautelari per Tarantini e Lavitola. I legali - gli avvocati Alessandro Diddi e Ivan Filippelli per l’imprenditore detenuto a Poggioreale, l’avvocato Gaetano Basile per il direttore dell’Avanti latitante a Panama, hanno ribadito oggi le proprie richieste e pare abbiano sottolineato anche la competenza dell’autorità giudiziaria romana. La decisione è attesa per lunedì prossimo. Azzeccare un pronostico appare impresa assai ardua.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421761/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Quei tifosi della violenza alla ricerca dei riflettori
Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2011, 09:34:25 am
Cronache

17/10/2011 - DOSSIER/ I PROTAGONISTI DEGLI SCONTRI

Quei tifosi della violenza alla ricerca dei riflettori

Divise nere, caschi e passamontagna sono gli elementi che accomunano l'abbigliamento dei teppisti che si sono resi protagonisti degli episodi di violenza nella capitale

Generazione precaria: le voci degli under 30

Giovanissimi e senza ideologie vengono dalle curve e dai centri sociali: ecco gli "sfasciatutto" entrati in azione sabato a Roma con metodi che ricordano i "cugini" delle banlieues francesi

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Non hanno miti nel cassetto, santi protettori, ideologie da difendere. I nuovi sfasciatutto ricordano i cugini francesi delle banlieues. Qui da noi sono le terze generazioni, gli eredi del ribellismo degli anni Settanta. Come in Francia lo sono dei primi immigrati dalle colonie di un tempo che fu. Sono giovani, giovanissimi. Moltissimi i minorenni che sabato hanno aggredito le forze di polizia e gli stessi spezzoni del corteo degli indignati. Bombe carte e fumogeni le loro armi. Come le spranghe e le molotov lo erano per i nonni che parteciparono alle violenze degli anni Settanta. Non hanno tentennamenti di fronte a chi cerca di portarli alla ragione. I loro nemici sono le forze di polizia e i servizi d’ordine che provano a bloccarli. È una miscela esplosiva di curve e centri sociali, di anarchici ed antagonisti. Uniti nello sfascismo, moderne forme di luddismo anticonsumista e contro la finanza globale.

È un piccolo campione, per cercare di capire chi sono gli sfasciatutto che sabato hanno messo a ferro e fuoco Roma, hanno tarpato le ali al movimento degli indignati. Tra i venti fermati ci sono sette minorenni. Dodici gli arrestati, otto i denunciati a piede libero. Tra gli arrestati, tre con precedenti per violenza contro le forze dell’ordine. Uno di loro, arrestato con una busta di limoni, è un anarchico di Lecce che studia a Bologna e ha precedenti come ultra. Su venti fermati, cinque o sei vengono da fuori Roma.

Una prima sommaria indagine sociologica sui fermati porta inesorabilmente a individuare il ceppo, il nucleo duro degli sfasciatutto negli anarcoinsurrezionalisti. Poi ci sono gli antagonisti e i minorenni. Sarebbe un grave errore cercare i loro punti di riferimento nelle ideologie del secolo scorso. Molti degli incappucciati, delle divise nere, dei caschi a testuggine che sono entrati in azione ieri li avevamo visti già a dicembre, a Roma. Cultori della violenza a prescindere. Se di ideologia si può parlare, allora la loro è quella della violenza. Sono dei clandestini che cadono in letargo e che si risvegliano in occasione delle partite di calcio o delle manifestazioni. Amano il palcoscenico, nell’era della globalizzazione. Comunicano via Internet ma adorano i riflettori delle telecamere e i flash degli obiettivi. Talpe che escono dalle tane, che vivono in un loro mondo nella quotidianità fatta di Internet point o di Centri sociali o di scantinati delle periferie metropolitane.

Potevano essere individuati, neutralizzati, fermati? Con le leggi attuali no. Certo che potevano, e diversi lo sono stati, essere perquisiti e identificati. Ma se erano in regola, perché impedire loro di partire? Di partecipare alla manifestazione?

Provocatoriamente, per evitare quello che è accaduto sabato, si dovrebbero pensare norme di prevenzione in grado di neutralizzare le violenze ma con nuove iniziative legislative. Per esempio, un Daspo per i violenti. Una provocazione, perché - al di là dei profili anticostituzionali, ledendo il diritto sacrosanto a manifestare le proprie idee - sarebbe molto complicato costringere il violento a firmare in commissariato o alla caserma per non andare in trasferta a una manifestazione nazionale. E se la manifestazione si svolgesse nella propria città? Come dire si dovrebbe prevedere i domiciliari permanenti dei violenti.

Non volendosi rassegnare alle scene che abbiamo visto o vissuto sabato pomeriggio, quali alternative si possono immaginare? Creare uno spazio in periferia, tipo Tor Vergata, sull’anello del raccordo anulare, dove far svolgere le manifestazioni. O, ed è quella più difficile, riuscire a imporre al corteo di autoregolamentarsi. Di fronte al manifestarsi di black bloc, incappucciati e sfasciatutto, il servizio d’ordine del corteo dovrebbe intervenire per neutralizzare i violenti. Ma questo è un sogno. E il prezzo della democrazia ci riporta a sabato pomeriggio. Se i plotoni delle forze di polizia fossero intervenuti nel corteo cosa sarebbe successo?

Le forze dell’ordine avevano ben chiara la percezione che la manifestazione avrebbe portato a scenari «sconvolgenti». Di certo i protagonisti delle violenza non sono stati i collettivi studenteschi universitari, i cobas, la Fiom, gli spezzoni della sinistra radicale. Anarchici, alcuni centri sociali, e tanti, tantissimi ultras. Sono loro i tifosi della violenza.

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/425120/


Titolo: G. RUOTOLO Gli ex dc: Silvio si era convinto a lasciare, poi è arrivato Ferrara
Inserito da: Admin - Novembre 08, 2011, 10:19:06 am
Politica

08/11/2011 - IL CASO

Gli ex dc: "Silvio si era convinto a lasciare, poi è arrivato Ferrara..."

«Il solito rivoluzionario, ora si va al voto anticipato»

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Il vecchio democristiano che tra i primi salì sulla nave di Forza Italia è senza parole: «Sembrava fatta, fino a domenica sera si era convinto di dover fare un passo a lato. Insomma, di mettersi in panchina per fare scendere in campo Gianni Letta. E a quel punto le opposizioni avrebbero avuto difficoltà a dire di no. Ma poi è arrivato Giuliano Ferrara il rivoluzionario e tutto si è rimesso in discussione. Con un esito certo, a questo punto: le elezioni politiche anticipate».

La trasmigrazione dei voti da un campo all’altro è ancora in pieno svolgimento, e si annunciano ulteriori smottamenti all’interno della maggioranza, defezioni di singoli e non certo di gruppi o aree, come è già accaduto con Carlo Vizzini e Gabriella Carlucci.

Personalità come Claudio Scajola o Giuseppe Pisanu, infatti, hanno già compiuto la loro scelta, sostenendo il primo Silvio Berlusconi a prescindere, abbandonando quella nave il secondo: «Se la mozione di sfiducia - dice Pisanu al Tg3 - puntasse alla nascita di un governo di larghe intese e unità nazionale io la voterei».

«Non ha più i numeri, il governo. Berlusconi si è lasciato ammaliare dai proclami rivoluzionari di Giuliano Ferrara. Ma anche da quella corte fatta di singole individualità, come il ministro Brambilla e lo stesso leader del partito che sarà, Angelino Alfano. Si è galvanizzato. "A' la guerre comme à la guerre"...».

Ecco, la balena bianca che fu mal digerisce le manovre degli ultrà. Convinta che i numeri ormai non ci sono più.

Se oggi si materializzasse quella convergenza di interessi distinti tra settori della maggioranza e opposizione, uniti nel voler dare un segnale al premier, e questo fronte decidesse di astenersi sul Rendiconto finanziario, allora potremmo trovarci con una maggioranza che tale non è più: per un grappolo di voti, tra uno e quattro (o con assenze mirate) potrebbe vincere l’astensione. E Berlusconi dovrebbe prendere atto che la maggioranza non c’è più.

«I numeri non ci sono più - insiste il dirigente della prima ora di Forza Italia - e non ho capito come si posiziona la Lega, a questo punto».

E già, che farà la Lega. Stracquadanio e i suoi cinque cofirmatari della lettera che molto ha agitato le acque, decideranno oggi come muoversi. Nel gruppo c’è chi vorrebbe astenersi o addirittura dichiararsi assente, visto che il voto sul Rendiconto sta assumendo il significato della conta.

«Regna una grande confusione sotto il cielo di Roma». Un altro leader che fu di Forza Italia cita Mao Tse Tung, il leader della Rivoluzione culturale cinese per dire quanto sia in evoluzione la situazione: «Mi pare acclarato che Berlusconi non ha più i numeri e che si marcia speditamente verso le elezioni anticipate. Ma detto questo, oggi (ieri, ndr) abbiamo assistito a un rovesciamento delle carte molto netto. In mattinata un annuncio semiufficiale, visto l’autorevolezza della fonte (Giuliano Ferrara, ndr), dava per imminenti le dimissioni del presidente del Consiglio. Poi Berlusconi, commettendo un errore, ha annunciato di voler porre la fiducia sulla lettera di intenti alla Ue e al Fmi. Non esiste che si possa porre la fiducia su una lettera di intenti. Semmai la fiducia potrebbe essere posta sul maxiemendamento che, mi dicono, non essere ancora pronto».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/428748/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - "Su S&P un processo alle opinioni"
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2012, 11:03:56 pm
Economia

21/01/2012 - retroscena

"Su S&P un processo alle opinioni"

Schiaffo Usa ai pm di Trani, negata la rogatoria

Guido Ruotolo
inviato a Trani

Che schiaffone, quello arrivato a Trani con la forza di un uragano. Nell’ottobre scorso, la Procura che indaga sulle agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s per manipolazione del mercato e abuso d’informazioni privilegiate, si era rivolta alle autorità americane per chiedere collaborazione giudiziaria. La risposta arrivata da Oltreoceano è stata un secco no, uno sbattere la porta violentemente: «Voi italiani volete processare le opinioni».

Un brutto colpo. E non tanto perché Trani avrebbe voluto sentire alcuni testimoni eccellenti, come l’attuale presidente della Sec, la Consob americana, Mary L.Schapiro, l’ex analista di Moody’s William J.Harrington, il politologo autore di libri sulle agenzie di rating, Webster G. Tarpley, il giornalista italiano Federico Rampini e il premio Nobel Paul Krugman.

Pazienza, dicono a Trani, questi contributi sarebbero stati importanti ma non sono indispensabili. Trani ha vissuto quel rifiuto americano a collaborare come un invito ad arrendersi.

Certo, nella rogatoria americana, il pm Ruggiero avrebbe voluto la collaborazione Usa per accertare «le metodologie seguite dalle Agenzie nell’elaborazione di report macroeconomici; per capire se i rating riflettono correttamente le conclusioni proprie degli analisti che elaborano i dati a base dei rapporti stessi; se il manageament e gli uffici di "compliance" delle predette agenzie facciano il possibile per rendere trasparenti le procedure di controllo sulla qualità dei rating e, infine, l’esistenza di sutazione di potenziale conflitto d’interesse interno alle Agenzie che minacci l’indipendenza e obiettività delle attività di rating».

E chiedeva, la Procura di Trani, di avere una copia dalla Sec (la Consob americana) o dal Dipartimento di Giustizia, degli «atti relativi alle indagini aperte nei confronti dell’AgenziaS&P a seguito del declassamento del debito pubblico americano e della crisi dei mutui subprime».

Pensava, il pm Michele Ruggiero, di convincere gli americani appellandosi al corretto funzionamento del mercato: «Vale la pena evidenziare che ancor prima di essere un luogo di scambio di valori economici, il mercato finanziario è innanzitutto un luogo ove si scambiano informazioni giacchè gli operatori fondano e dirigono le proprie scelte di mercato sulle informazioni in proprio possesso. Essere informati significa, infatti, non solo acquisire una serie di dati e notizie, ma soprattutto conoscere e gestire il patrimonio informativo acquisito operando delle scelte».

Ecco l’affondo: «E’ di solare evidenza che se le informazioni fornite dalle agenzie di rating non sono veritiere (in tutto o anche solo in parte), né puntuali né fondate su dati ufficiali e affidabili, viene a determinarsi una sorta di "aggiotaggio informativo", cioè una "manipolazione" del mercato che procura pesanti danni che si riverberano sull’economia globale (non solo su quella del Paese destinatario del rating/outlook "negativo")». Se non risulta offensivo, ecco il «teorema» di Trani: queste agenzie di rating, che per usare una immagine del procuratore Capristo, «per le autorità europee sono detentrici soltanto di fogli rosa e non di patenti», per dire che le loro pratiche non sono state evase e, dunque, operano senza licenze, queste agenzie operano con comportamenti opachi, favorendo fughe di notizie che provocano comportamenti nervosi del mercato. E nel merito si lasciano andare a valutazioni sbagliate, manifestando quasi esplicitamente un comportamento pregiudizievole nei confronti dell’Italia.

Nella rogatoria americana, il pm Ruggiero ricorda che nell’esposto presentato dalle associazioni Adusbef e Federconsumatori, si citano a mo’ d’esempio «le valutazioni inaffidabili delle agenzie di rating che nel 2001 non furono in grado di prevedere il crack statunitense Enron, nel 2007 consideravano strumenti finanziari poco rischiosi quei mutui subprime all’origine della crisi finanziaria mondiale e, nel caso Lehman Brothers, attribuivano alle obbligazioni della banca d’affari un rating da tripla A fino a qualche giorno prima del noto crack».

Dal presidente della Sec, Schapiro, Trani avrebbe voluto notizie sulla possibile esistenza di esposti e denunce nei confronti delle due agenzie di rating per gli stessi reati per i quali procede Trani. E se risulta alla Sec che le due agenzie sono controllate da investitori in potenziale conflitto d’interesse che ricevono grandi benefici o profondi danni dalle oscillazioni del mercato. La risposta americana ha chiuso ogni spiraglio di collaborazione.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/439180/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Servizi segreti nel mirino
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2012, 04:02:22 pm
Esteri

09/03/2012 - retroscena

Nuovo incubo diplomatico

Servizi segreti nel mirino

Imbarazzo con l’Inghilterra.

Il Copasir: per i nostri 007 tutto filava liscio

GUIDO RUOTOLO
Roma

Indeboliti. E’ il verbo che tutti coniugano in queste ore per giustificare lo «sgarro» inglese. Perché tutti sono consapevoli che il premier David Cameron non ha voluto informare il presidente del Consiglio Mario Monti dell’imminente blitz delle forze speciali inglesi per provare a liberare due ostaggi, uno inglese l’altro italiano, sequestrati e detenuti in Nigeria.

In altri tempi, magari, lo «sgarro» di Londra avrebbe avuto strascichi ben diversi. Ma in queste ore sta montando più la frustrazione che la rabbia. Un senso di impotenza pervade la politica e gli apparati. Perché tutti parlano della morte dell’ingegnere Franco Lamolinara e aggiungono il capitolo dei «marò». Per dire che quello che è accaduto in India ai nostri due soldati è un’altra conferma del «ruolo indebolito dell’Italia all’estero».

Il presidente del Consiglio Monti dovrà pure ricostruire i vari passaggi dell’incidente nigeriano, ma di certo, anche nel comportamento dei nostri Servizi di intelligence, c’è forse qualcosa da chiarire. Almeno secondo il Copasir dove ragionano: «Fino a due giorni fa, i nostri Servizi di sicurezza ci hanno spiegato che tutto filava liscio e tranquillo. Che avevamo la situazione sotto controllo sul territorio. Naturalmente si riferivano ai dieci italiani sequestrati, Rossella Urru e Franco Lamolinara compresi. E allora vorremmo capire cosa è successo in questi due giorni. Perché non siamo stati informati dell’imminente blitz?».

L’ira del presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Massimo D’Alema, si legge nel secco comunicato di palazzo San Macuto: «Occorrerà chiarire con rigore le circostanze che hanno portato le autorità britanniche a decidere l’operazione militare senza preventivamente informare le autorità italiane, ancorché fosse coinvolto un nostro connazionale». Durissime le annotazioni di D’Alema. Che del resto confermano le dichiarazioni del premier Monti. Palazzo Chigi: «(il blitz, ndr) è stato avviato autonomamente dalle autorità nigeriane con il sostegno britannico, informandone le autorità italiane solo ad operazione avviata».

Questo non era mai accaduto prima. Negli anni terribili dei sequestri degli ostaggi occidentali in Iraq come in Afghanistan, e anche in Nigeria, la cooperazione internazionale e l’attività degli apparati di intelligence hanno proficuamente portato a casa gran parte degli ostaggi. Blitz comuni con gli americani, per esempio, sono avvenuti in Iraq.

E sul posto, a Baghdad come in Afghanistan, i nostri apparati erano riusciti a mettersi in contatto con realtà del volontariato locale e internazionale. Cos’è che non ha funzionato in Nigeria? Che non sta funzionando in queste settimane? Perché gli ostaggi sono detenuti da troppo tempo? La parlamentare del Pd, Rosa Calipari affonda il bisturi nella piaga: «Il povero Lamolinara è stato sequestrato nel maggio scorso, dieci mesi fa. Da allora ad oggi che hanno fatto il governo italiano e i nostri Servizi? Perché gli inglesi e i nigeriani non ci hanno coinvolto nella decisione del blitz? Forse che in questi mesi siamo stati assenti?».

E dunque gli ostaggi, la politica estera, la detenzione dei nostri due marò in India. Si allunga la lista dei dolori italiani. Ma evidentemente c’è anche un problema specifico che riguarda l’attività dei nostri Servizi. All’estero, intanto. Non è un mistero che anche al Copasir si ragioni nei termini di una unificazione degli attuali due servizi, quello estero, l’Aise, e quell’interno, l’Aisi. Forse quello che è accaduto in Nigeria potrebbe rappresentare un colpo d’acceleratore per prendere le giuste decisioni.

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/445678/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La lotta ai clandestini riparte da Gheddafi
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2012, 05:05:08 pm
Cronache

18/06/2012 - IL CASO

La lotta ai clandestini riparte da Gheddafi

Ecco l'accordo Italia-Libia: una fotocopia di quello siglato con il dittatore

GUIDO RUOTOLO
Roma

Saranno poco più di duemila, divisi tra Sicilia e Calabria, gli immigrati clandestini sbarcati sulle nostre coste nei primi sei mesi del 2012.

Percentuali risibili, infinitesimali se confrontate a quelle degli anni passati.

E’ vero, Gheddafi usava i clandestini come una clava contro l’Italia e l’Occidente. E di fronte a un paese, la Libia, dove con il dopo Gheddafi regnano le milizie, i clan, le tribù e un esercito nazionale e forze di polizia sembrano, il timore di possibili nuovi esodi di massa di clandestini verso l’Europa, e cioè l’Italia, non è campato in aria.

E invece, grazie all’accordo tra Libia e Italia per il contrasto all’immigrazione clandestina e al fatto che, evidentemente, proprio per l’instabilità di quel paese i flussi provenienti dal Corno d’Africa e dalla fascia dei paesi subsahariani sembrano essersi ridotti di molto, la pressione degli immigrati irregolari verso l’Italia non si fa (ancora) sentire. O meglio, non è critica come in passato.

Venerdì Amnesty International ha denunciato che il 3 aprile scorso, a Tripoli, è stato siglato un accordo segreto tra l’Italia e la Libia sull’immigrazione clandestina che autorizza le autorità italiane a intercettare i richiedenti asilo e a riconsegnarli ai soldati libici.

«Nel quadro del consolidamento dei rapporti di amicizia tra la Libia e la Repubblica Italiana, dei trattati e degli accordi bilaterali finalizzati al rafforzamento di relazioni privilegiate in materia di contrasto all’immigrazione clandestina...». E ancora: «L’Italia si impegna ad avviare immediatamente il programma delle forniture relativo a mezzi tecnici e attrezzature».

«La Stampa» è venuta in possesso dell’accordo siglato dai ministri dell’Interno italiano, Annamaria Cancellieri, e libico, Fawzi Altaher Abdulati il 3 aprile, a Tripoli.

L’accordo - processo verbale della riunione tra le due delegazioni - sembrerebbe riconfermare in sostanza tutte le vecchie intese siglate da Roma e Tripoli, al tempo di Gheddafi. Compresa, evidentemente, quell’intesa contestata anche dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo sui respingimenti in mare.

Si legge nell’accordo di aprile: «Adoperarsi alla programmazione di attività in mare negli ambiti di rispettiva competenza nonchè in acque internazionali, secondo quanto previsto dagli accordi bilaterali in materia e in conformità al diritto marittimo internazionale».

L’accordo rafforza la cooperazione tra i due Paesi. In materia di formazione, semaforo verde per «il programma di addestramento in favore degli ufficiali della polizia libica su tecniche di controlo della polizia di frontiera (confini terrestri e aeroporti); individuazione del falso documentale e conduzione delle motovedette».

Inoltre l’Italia allestirà presso la nostra ambasciata di Tripoli, un «centro di individuazione di falso documentale», i libici, invece, nel porto della capitale, forniranno le strutture per un centro di addestramento nautico.

Kufra è l’ultima oasi a sud della Libia, ai confini con l’Egitto, il Sudan, il Ciad. Ed è sicuramente una delle principali porte d’ingresso dei flussi di immigrati o richiedenti asilo che arrivano dal Corno d’Africa.L’accordo del 3 aprile stabilisce l’inizio della costruzione di un «centro sanitario a Kufra per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale».

Materia controversa è quella dei centri di accoglienza in Libia, Paese che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sul rispetto dei diritti umani. Nella fase finale del regime di Gheddafi le agenzie internazionali che si occupano di diritti umani e di immigrazione hanno sempre denunciato la violazione dei diritti umani in questi centri d’accoglienza.

Quella Libia dovrebbe essere andata in pensione, con la Rivoluzione del 17 febbraio. E adesso, il 7 luglio, con le elezioni per l’Assemblea costituente, il nuovo parlamento dovrebbe elaborare e approvare una nuova Costituzione.

Naturalmente, i ministri dell’Interno di Roma e Tripoli hanno ribadito nel documento sottoscritto da entrambi l’impegno per il rispetto dei diritti dell’uomo, parlando per esempio dei «centri di accoglienza, durante la permanenza degli immigrati illegali». E, soprattutto, hanno annunciato di voler coinvolgere con urgenza «la Commissione Europea affinchè fornisca il proprio sostegno a ripristinare i centri di accoglienza presenti in Libia».

Nel processo verbale dell’incontro del 3 aprile a Tripoli si legge ancora: «Tenendo presente i precedenti accordi e la determinazione della Libia di fondare un nuovo Stato basato sulla democrazia e su principi di diritti umani universalmente riconosciuti... in un clima in cui ha prevalso la comprensione, l’armonia e il reciproco rispetto, le due parti hanno concordato...». Insomma, se son rose fioriranno.

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/458843/


Titolo: RUOTOLO - Berlusconi, i bonifici sospetti: in 10 anni 40 milioni per Dell'Utri
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2012, 10:07:33 pm
Politica

19/07/2012 - RAPPORTI STATO-MAFIA

Berlusconi, ecco i bonifici sospetti: in 10 anni 40 milioni per Dell'Utri

I primi due trasferimenti erano per un prestito ma per la Finanza quella somma non è mai tornata

GUIDO RUOTOLO
inviato a Palermo

Che clima di tensione si respira a Palermo, in questa vigilia del ventennale della strage di via D’Amelio. Le polemiche con il Quirinale, l’inchiesta sulla trattativa e, adesso, «la decisione di Silvio Berlusconi di rompere unilateralmente la trattativa in corso, facendo uscire la notizia che non si è presentato in Procura, dove era stato convocato come testimone».

Ecco, il clima che si respira a Palermo è esattamente questo: «Strano che l’ex presidente del Consiglio annunci la sua candidatura a premier il giorno dopo aver ricevuto la convocazione a Palermo». Anche se sono battute raccolte nei corridoi della Procura, rendono bene il clima e soprattutto delineano già i contorni di ciò che ci aspetta. Ma torniamo all’inchiesta svelata, secondo la Procura di Palermo, dagli stessi collaboratori dell’ex presidente del Consiglio. Perché in dieci anni dai conti correnti co-firmati da Silvio Berlusconi e da sua figlia Marina sono usciti quaranta e passa milioni di euro finiti sui conti correnti di Marcello Dell’Utri e di sua moglie?

Sono queste le domande che si pone la procura di Palermo che ha deciso di indagare il senatore del Pdl per estorsione. Eh già, perché il sospetto è che Dell’Utri abbia estorto quei soldi al suo «principale», sodale, amico di sempre Silvio Berlusconi.

Ma perché il giorno prima della sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe potuto confermare la condanna a 7 anni di carcere per mafia del senatore palermitano, nello studio di un notaio milanese si perfeziona il passaggio di proprietà della villa di Dell’Utri a Berlusconi? Venti milioni di euro per una villa che ne vale la metà? Per dirla in breve, la Procura di Palermo sospetta che quei soldi siano una sorta di liquidazione per i servigi resi da Dell’Utri, attraverso Cosa Nostra, al Cavaliere.

È vero, su alcuni bonifici Silvio e Marina Berlusconi scrivono che la causale è un «prestito», ma secondo il lavoro di verifica della Guardia di finanza, quei soldi due bonifici di 362.000 e 775.000 euro del 10 aprile del 2003 - non sarebbero mai tornati indietro. Troppe operazioni «sospette» portano la stessa procura di Roma che indaga sulla P3 a inviare a Palermo per competenza la documentazione sui bonifici che padre e figlia, Silvio e Marina, indirizzano su conti correnti intestati al senatore e alla moglie.

Il 10 aprile del 2003, i due bonifici per un 1.137.000 euro; il 22 maggio del 2008 da un conto di Silvio Berlusconi presso il Monte dei Paschi di Siena parte un bonifico di 1.500.000 euro, il 25 febbraio del 2011 un altro milione di euro, l’11 marzo del 2011 altri 7 milioni. E poi, l’8 marzo scorso, la cessione della villa sul lago di Como: 20 milioni e 970 mila euro.
Un prezzo sovrastimato di almeno il doppio. Una perizia del 2004 fissava il valore della villa in 9 milioni e 300 mila euro. Da quello che era emerso nell’inchiesta sulla P3 fatta dalla Procura di Roma, nel 2011 Silvio Berlusconi aveva versato 9,5 milioni di euro per ristrutturare la villa. Un anno dopo, quella villa se la compra per il doppio del suo valore.

Irritazione, in Procura, per la fuga di notizie. Silvio Berlusconi aveva fatto sapere che per lunedì 16 luglio, giorno di convocazione a Palermo, era impegnato. Sua figlia Marina si sarebbe trovata all’estero (e Marina ha confermato l’appuntamento per mercoledì prossimo). Nella lettera spedita dall’avvocato dell’ex premier, Niccolò Ghedini, si spiega che Berlusconi preferirebbe essere sentito a Roma: «Sarebbe altresì auspicabile che le testimonianze, per ovvie ed evidenti ragioni di riservatezza, che certamente governano gli intendimenti anche di codesto Ufficio, non venissero assunte presso il Tribunale di Palermo, bensì presso sede diversa».

La Procura di Palermo aspetta un segnale da Berlusconi. Non è la prima volta che l’ex presidente del Consiglio si nega ai magistrati antimafia. Successe già il 26 novembre del 2002.
Allora, lo stesso procuratore aggiunto Antonio Ingroia si recò a Roma, a Palazzo Chigi. Un viaggio a vuoto perché Berlusconi si rifiutò di rispondere alle domande.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462899/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Ilva, una sfida per Taranto e l'Italia
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2012, 04:25:03 pm
27/7/2012

Ilva, una sfida per Taranto e l'Italia

GUIDO RUOTOLO

L’Ilva è a un passo dalla chiusura, avendo il gip deciso il «blocco delle attività» di cinque aree dell’acciaieria. E se muore la fabbrica muore la città, Taranto. Ma nello stesso tempo il ricatto del lavoro al Sud non può più consentire che si lavori a tutti i costi. Anche a costo di morire di lavoro.

E’ terribile il ricatto. Ne sanno qualcosa i sopravvissuti di Casale Monferrato che hanno vissuto con l’Eternit. E che solo quando la fabbrica della morte era chiusa ormai da anni hanno avuto giustizia. Adesso, la vicenda di Taranto è più complessa. Intanto perché nello stabilimento lavorano, tra diretti e indiretti, quasi 15.000 addetti. E per la città sarebbe una tragedia la perdita di 15.000 posti di lavoro. Poi perché si scatenerebbe un effetto «domino» con la chiusura di altri impianti Riva che producono tubi e acciai, e le aziende clienti dell’Ilva soffrirebbero per la mancata consegna delle materie prime.

Ma come per l’Eternit di Casale Monferrato, così l’inchiesta della procura di Taranto ha accertato che la presenza dell’acciaieria ha provocato decine di decessi di cittadini che hanno respirato i veleni dell’Ilva.

La città naturalmente si interroga e assiste agli eventi. L’anno scorso ha dovuto prendere atto che il Mar Piccolo era «avvelenato» a tal punto che tutte le coltivazioni di cozze sono state distrutte. E’ accaduto anche quest’anno. Sembra che la fonte dell’inquinamento sia l’Arsenale militare.

Da sempre Taranto ha accettato la grande acciaieria che garantisce lavoro agli operai pugliesi, della Basilicata e persino della Calabria. Anche sapendo del prezzo da pagare. Quand’era Italsider, azienda pubblica, era un “«ssumificio», le assunzioni passavano attraverso il ministero delle Partecipazioni statali e dei ras democristiani locali. La produttività era un concetto astratto. Nella fabbrica prosperavano ben 546 imprese d’appalto, comprese quelle in odore di quarta mafia, di mafia pugliese. Si moriva di fabbrica e per la fabbrica, ma politici e sindacati erano impegnati a garantire lavoro.

Poi è arrivato il padrone delle ferriere. L’inglese che si insedia in India: Emilio Riva che si ritrova la più grande acciaieria d’Europa tra le mani. Per nulla. E si è continuato a morire di fabbrica e per la fabbrica.

Ma adesso che si stava intervenendo per sanare le ferite dell’inquinamento, con un’azione congiunta tra governo, regione, azienda, enti locali e sindacati, arrivailprovvedimentodelgip.Chissàperchéitempi della giustizia sono sempre così anacronistici. Patron Riva si è fatto da parte, ha nominato ai vertici dell’Ilva l’ex prefetto Bruno Ferrante. Il governo dei «tecnici» con molta sensibilità politica ha capito l’urgenza di investire 330 milioni per l’ambiente di Taranto. Il gip ha posto una condizione perché l’Ilva rimanga aperta: che si rendano compatibili con l’ambiente i reparti e le aree di produzioni. E’ una sfida che si deve accettare. Per Taranto e l’Italia. E ieri sera, nel corteo operaio che ha invaso la città, lo slogan che si gridava parlava di questo: «Lavoro e ambiente, connubio intelligente».

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10377


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Per la Finanza, Riva e Capogrosso sapevano della bustarella.
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2012, 06:47:02 pm
Cronache

15/08/2012 - caso Ilva

"Perito del pm corrotto", coinvolti la proprietà e l'ex direttore di fabbrica

Nuova tegola per gli ex vertici dell'acciaieria

Per la Finanza, Riva e Capogrosso sapevano della bustarella.

Le intercettazioni: "Contatti ministeriali per ottenere l'Aia"

Guido Ruotolo
inviato a Taranto

Una nuova tempesta giudiziaria potrebbe abbattersi sull’Ilva. In questo caso non si tratta di disastro ambientale, gli indagati sono incriminati per corruzione in atti giudiziari. In un rapporto della Guardia di Finanza si riportano decine di intercettazioni telefoniche dalle quali emerge che non solo Girolamo Archinà - l’uomo delle relazioni istituzionali dell’Ilva mandato a casa la settimana scorsa dal presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante - ma anche la proprietà, attraverso Fabio Riva, figlio del patron Emilio, era perlomeno consapevole della corruzione di un perito nominato dall’accusa, e dei tentativi di pilotare l’approvazione delle autorizzazioni ambientali.

La diossina degli altri
Per la Finanza, coinvolti nell’«attività corruttiva» del perito del pm, Lorenzo Liberti, ci sarebbero dunque Archinà e Fabio Riva, ma un ruolo l’avrebbe avuto pure l’ex direttore dell’Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso. Liberti per 10.000 euro avrebbe «addolcito» una consulenza negando che le quantità di diossine che hanno portato all’avvelenamento di centinaia e centinaia di pecore e capre, poi abbattute, erano prodotte dall’acciaieria.

È il 31 marzo del 2010, il passaggio di una busta con i soldi tra Archinà e il professore Liberti è avvenuto cinque giorni prima (documentato dagli 007 della Finanza) in un autogrill sulla Taranto-Bari, ad Acquaviva delle Fonti. Archinà parla con il ragionier Fabio Riva per raccontargli l’esito dell’incontro del giorno prima tra Liberti e il direttore dello stabilimento, Capogrosso. Riva: «Ieri come è andata?». «È andata secondo le aspettative...». Riva: «Come siamo messi?». Archinà: «Per quanto riguarda l’aspetto delle bricchette, la prossima settimana ci fa avere tramite un professore del Politecnico di Bari...».

Girolamo Archinà, annotano gli uomini della Finanza, «dice al Fabio Riva che consegnando in anteprima le analisi, potrà iniziare a lavorare (sul Liberti) affinché non nasconda che il profilo è identico, bensì che attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno».

Una succulenta occasione
Emilio e Fabio Riva, padre e figlio, si confessano al telefono. E Fabio conferma al padre che conosceva la perizia Liberti ben prima della richiesta di incidente probatorio del 28 giugno del 2010. Fabio: «La perizia tecnica sembrava andasse tutto bene... non lo so che caz... è successo...». Sempre il figlio rivolgendosi al padre: «Però è succulenta la cosa di beccare un Riva giovane... eh papà...». Emilio Riva: «Ma non c’è niente... tanto hanno dimostrato che l’abbattimento delle pecore non c’entra con la nostra diossina, ecco... è quell’altra causa...».

L’Aia addomesticata
Che fatica ottenere l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale, che adesso il ministro dell’Ambiente Corrado Clini vuole aggiornare prima possibile. Stiamo parlando di quell’Aia concessa il 4 agosto del 2011 dopo un inter burocratico di ben sette anni.

La commissione che la istruisce si chiama l’Ipcc, e Giorolamo Archinà si dà un gran da fare per ottenere l’autorizzazione. Scrive il rapporto della Finanza: «L’effettiva e buona riuscita dei contatti si rileva, come si accennava in precedenza, dai costanti aggiornamenti che egli fornisce ai vertici aziendali, con i quali ovviamente condivide le strategie da porre in atto, recependo le direttive che di volta in volta vengono impartite. Nello specifico emerge come anche a livello ministeriale fervano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione Ipcc Aia; con i predetti le relazioni vengono mantenute da tale Vittoria Romeo e in parte anche dall’avvocato Perli».

I parchi scoperti
Vittoria Romeo è al telefono con Fabio Riva: «Allora dicevo ad Archinà, se Palmisano, che è quello della Regione, tira fuori l’argomento in Commissione, siccome l’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) deve ancora dare il parere sul barrieramento e a noi serve un parere positivo per continuare a dimostrare che non dobbiamo fare i parchi...». Fabio Riva: «È chiarissimo. Però siccome noi non possiamo assolutamente coprire i parchi perché non è fattibile... tanto vale rischiarla così». Vittoria Romeo: «Valutiamo se la cosa in questi giorni la teniamo al livello di Ticali, Pelaggi, Mazzoni (presidente e membri della commissione ministeriale Ipcc, ndr) oppure...». Fabio Riva: «No, picchiamo... picchiamo duro...».

Che termini da combattimento. Del resto quando il direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato, firma una relazione che denuncia che i monitoraggi dell’aria nel quartiere Tamburi - siamo nel giugno del 2010 - hanno rivelato la presenza di benzoapirene nell’aria che proveniva dalle cokerie dell’Ilva e che in assenza di un ridimensionamento di quelle emissioni, si dovrà ridurre drasticamente la produzione e condizionarla alle condizioni meteo, la reazione dell’Ilva promette sfracelli. Girolamo Archinà dice ad Alberto Cattaneo, ex consulente esterno oggi dirigente Comunicazione dell’Ilva: «Dobbiamo distruggere Assennato».

Riva serpente
C’è un incontro tra il governatore della Puglia Nichi Vendola, Fabio Riva, Girolamo Archinà e il direttore dell’Ilva Capogrosso, tra le carte della Finanza. Fabio Riva ne parla con il figlio Emilio (omonimo del nonno), il quale suggerisce al padre: «Facciamo un comunicato stampa fuorviante, tanto “per vendere fumo” dicendo che va tutto bene e che Ilva collabora con la Regione».

Archinà con la linea della «trasparenza» non va molto d’accordo. Vuole comprarsi i giornalisti, tagliargli la lingua. «Mi sto stufando perché fino a quando io so’ stato accusato di mantenere tutto sotto coperta, però nulla è mai successo... nel momento in cui abbiamo sposato la linea che sicuramente è più corretta, della trasparenza... non ci raccogliamo più... La situazione è complicata e se non si ha l’umiltà di dire ritorniamo tutti a nascondere tutto...».

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/465626/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - "Allo Ior i soldi degli affari con la mafia"
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2012, 06:50:55 pm
Cronache

13/06/2012 - VELENI NELLA CHIESA

"Allo Ior i soldi degli affari con la mafia"

Trapani, l’ombra di Cosa Nostra dietro lo scandalo

GUIDO RUOTOLO
inviato a trapani

Questa è la storia di una guerra per il «potere» e il «denaro» in terra di mafia, combattuta all’interno della Chiesa e che ha avuto delle vittime: un vescovo destituito, un economo diocesano sospeso a divinis e indagato dalla magistratura italiana. L’uno e l’altro fino a ieri - e chissà se non ancora - con pesanti coperture, con cardinali e ministri che dalla Santa Sede hanno dispensato loro benedizioni. «Il Vescovo Miccichè per parte di madre ha stretti legami parentali con uomini d’onore di San Giuseppe Jato». Benvenuti a Trapani. Il narratore di questa storia è un prelato influente. Tanto che le precisazioni della Procura di Trapani di non nominare il nome di Matteo Messina Denaro invano, sono superate dalla «terribile preoccupazione» che non viene nascosta neppure tra i collaboratori più stretti del Santo Padre. E cioè che tra i soldi trapanesi transitati su conti Ior, «si nascondono soldi orribili». E il perché lo spiega il nostro prelato: «È emerso solo uno spruzzo di lava, sotto c’è una bomba a orologeria che è pronta a esplodere». E, dunque, colpisce che il vescovo defenestrato, Francesco Miccichè, che pure aveva avuto la proposta di dimettersi in cambio di un coperchio sullo scandalo, sia «accusato» di essere «vicino ad ambienti mafiosi».

Rimosso dal Pontefice

Il suo processo - con condanna - l’ha subito in tempi strettissimi. Il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, era stato inviato dal Papa a ispezionare e riferire direttamente a lui. L’istruttoria, da giugno a dicembre, si è conclusa con una «camera di consiglio» e al termine (a maggio), il Pontefice ha sostituito Micciché. Quali le colpe, i reati e i peccati di Miccichè? Purtroppo, nell’inchiesta della Procura di Trapani sugli imbrogli dell’ex economo della diocesi, don Ninni Treppiedi, il vescovo è parte lesa, è la vittima di una campagna diffamatoria e calunniatoria che don Ninni ha orchestrato con due giornalisti locali. Ma il sospetto è che i due abbiano «alienato beni della diocesi» che non potevano alienare perché sarebbe stato necessario il consenso del Vaticano, essendo di valore superiore al milione di euro. E le operazioni sono state prive di autorizzazioni interne come sarebbe stato necessario.

Vista da Oltretevere, questa di Trapani è la storia di due soci in affari, il Vescovo e l’economo, che a un certo punto rompono il loro rapporto per questione di affari. In un’intervista a un mensile siciliano, don Ninni Treppiedi ha detto: «Credo che quando due persone dopo dieci anni che stanno insieme divorziano (il riferimento è alla rottura con il Vescovo Miccichè, ndr) quanto meno devono avere la buona creanza di lavare i propri panni, soprattutto se si tratta di cose molto delicate, in casa, in questo caso tra le stanze del Vaticano e non andarsi a sputtanare».

Forse possono infastidire certe parole, ma la sostanza è più grave: non portare fuori dalla Chiesa le beghe interne è un messaggio tipicamente mafioso. Secondo i testimoni di questa faida, in realtà, la rottura avviene quando il Vescovo promuove l’economo nominandolo arciprete di Alcamo. Don Ninni si «allarga», bypassando il vescovo nella promozione di affari immobiliari.

La rottura definitiva

La rottura tra i due avviene dunque per motivi di potere e denaro. Era stato don Ninni a introdurre il Vescovo nel mondo della politica locale, alla corte di Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno con delega a gestire i fondi dedicati al culto. Si cementa così un rapporto d’interesse intenso. Il sottosegretario è molto attento a soddisfare le richieste del vescovo per ristrutturare chiese, conventi, luoghi di culto. E don Ninni cresce grazie a certe frequentazioni.

Trapani è città di massonerie e logge coperte. Il senatore D’Alì, poiché il padre di Matteo Messina Denaro era campiere nelle terre di famiglia, conosceva bene il capo dei Corleonesi nel Trapanese. E il senatore, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ha ottenuto il rito abbreviato.

La storia di questa guerra tra due schieramenti interni alla Chiesa sembra la metafora di una guerra incruenta interna a Cosa nostra. In carcere tutti i «viddani» (da Riina a Provenzano), della vecchia guardia è libero solo Matteo Messina Denaro. È un reduce. Defenestrato il vescovo, don Ninni si pensa vincitore, anche se è stato sospeso a divinis. E presto la giustizia italiana farà il suo corso. Per don Ninni è questione di ore e poi dovrà vedersela in Tribunale.

DA - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/458132/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - caso Ilva - LE CARTE
Inserito da: Admin - Agosto 18, 2012, 10:21:25 pm
Cronache

15/08/2012 - caso Ilva - LE CARTE

"Perito del pm corrotto" Coinvolti la proprietà e l'ex direttore di fabbrica

Nuova tegola per gli ex vertici dell'acciaieria

Disagi sull'Appia per la protesta degli operai Ilva

Per la Finanza, Riva e Capogrosso sapevano della bustarella. Le intercettazioni: "Contatti ministeriali per ottenere l'Aia"

Guido Ruotolo
inviato a Taranto

Una nuova tempesta giudiziaria potrebbe abbattersi sull’Ilva. In questo caso non si tratta di disastro ambientale, gli indagati sono incriminati per corruzione in atti giudiziari. In un rapporto della Guardia di Finanza si riportano decine di intercettazioni telefoniche dalle quali emerge che non solo Girolamo Archinà - l’uomo delle relazioni istituzionali dell’Ilva mandato a casa la settimana scorsa dal presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante - ma anche la proprietà, attraverso Fabio Riva, figlio del patron Emilio, era perlomeno consapevole della corruzione di un perito nominato dall’accusa, e dei tentativi di pilotare l’approvazione delle autorizzazioni ambientali.

La diossina degli altri
Per la Finanza, coinvolti nell’«attività corruttiva» del perito del pm, Lorenzo Liberti, ci sarebbero dunque Archinà e Fabio Riva, ma un ruolo l’avrebbe avuto pure l’ex direttore dell’Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso. Liberti per 10.000 euro avrebbe «addolcito» una consulenza negando che le quantità di diossine che hanno portato all’avvelenamento di centinaia e centinaia di pecore e capre, poi abbattute, erano prodotte dall’acciaieria.

È il 31 marzo del 2010, il passaggio di una busta con i soldi tra Archinà e il professore Liberti è avvenuto cinque giorni prima (documentato dagli 007 della Finanza) in un autogrill sulla Taranto-Bari, ad Acquaviva delle Fonti. Archinà parla con il ragionier Fabio Riva per raccontargli l’esito dell’incontro del giorno prima tra Liberti e il direttore dello stabilimento, Capogrosso. Riva: «Ieri come è andata?». «È andata secondo le aspettative...». Riva: «Come siamo messi?». Archinà: «Per quanto riguarda l’aspetto delle bricchette, la prossima settimana ci fa avere tramite un professore del Politecnico di Bari...».

Girolamo Archinà, annotano gli uomini della Finanza, «dice al Fabio Riva che consegnando in anteprima le analisi, potrà iniziare a lavorare (sul Liberti) affinché non nasconda che il profilo è identico, bensì che attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno».

Una succulenta occasione
Emilio e Fabio Riva, padre e figlio, si confessano al telefono. E Fabio conferma al padre che conosceva la perizia Liberti ben prima della richiesta di incidente probatorio del 28 giugno del 2010. Fabio: «La perizia tecnica sembrava andasse tutto bene... non lo so che caz... è successo...». Sempre il figlio rivolgendosi al padre: «Però è succulenta la cosa di beccare un Riva giovane... eh papà...». Emilio Riva: «Ma non c’è niente... tanto hanno dimostrato che l’abbattimento delle pecore non c’entra con la nostra diossina, ecco... è quell’altra causa...».

L’Aia addomesticata
Che fatica ottenere l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale, che adesso il ministro dell’Ambiente Corrado Clini vuole aggiornare prima possibile. Stiamo parlando di quell’Aia concessa il 4 agosto del 2011 dopo un inter burocratico di ben sette anni.

La commissione che la istruisce si chiama l’Ipcc, e Giorolamo Archinà si dà un gran da fare per ottenere l’autorizzazione. Scrive il rapporto della Finanza: «L’effettiva e buona riuscita dei contatti si rileva, come si accennava in precedenza, dai costanti aggiornamenti che egli fornisce ai vertici aziendali, con i quali ovviamente condivide le strategie da porre in atto, recependo le direttive che di volta in volta vengono impartite. Nello specifico emerge come anche a livello ministeriale fervano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione Ipcc Aia; con i predetti le relazioni vengono mantenute da tale Vittoria Romeo e in parte anche dall’avvocato Perli».

I parchi scoperti
Vittoria Romeo è al telefono con Fabio Riva: «Allora dicevo ad Archinà, se Palmisano, che è quello della Regione, tira fuori l’argomento in Commissione, siccome l’Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) deve ancora dare il parere sul barrieramento e a noi serve un parere positivo per continuare a dimostrare che non dobbiamo fare i parchi...». Fabio Riva: «È chiarissimo. Però siccome noi non possiamo assolutamente coprire i parchi perché non è fattibile... tanto vale rischiarla così». Vittoria Romeo: «Valutiamo se la cosa in questi giorni la teniamo al livello di Ticali, Pelaggi, Mazzoni (presidente e membri della commissione ministeriale Ipcc, ndr) oppure...». Fabio Riva: «No, picchiamo... picchiamo duro...».

Che termini da combattimento. Del resto quando il direttore dell’Arpa, Giorgio Assennato, firma una relazione che denuncia che i monitoraggi dell’aria nel quartiere Tamburi - siamo nel giugno del 2010 - hanno rivelato la presenza di benzoapirene nell’aria che proveniva dalle cokerie dell’Ilva e che in assenza di un ridimensionamento di quelle emissioni, si dovrà ridurre drasticamente la produzione e condizionarla alle condizioni meteo, la reazione dell’Ilva promette sfracelli. Girolamo Archinà dice ad Alberto Cattaneo, ex consulente esterno oggi dirigente Comunicazione dell’Ilva: «Dobbiamo distruggere Assennato».

Riva serpente
C’è un incontro tra il governatore della Puglia Nichi Vendola, Fabio Riva, Girolamo Archinà e il direttore dell’Ilva Capogrosso, tra le carte della Finanza. Fabio Riva ne parla con il figlio Emilio (omonimo del nonno), il quale suggerisce al padre: «Facciamo un comunicato stampa fuorviante, tanto “per vendere fumo” dicendo che va tutto bene e che Ilva collabora con la Regione».

Archinà con la linea della «trasparenza» non va molto d’accordo. Vuole comprarsi i giornalisti, tagliargli la lingua. «Mi sto stufando perché fino a quando io so’ stato accusato di mantenere tutto sotto coperta, però nulla è mai successo... nel momento in cui abbiamo sposato la linea che sicuramente è più corretta, della trasparenza... non ci raccogliamo più... La situazione è complicata e se non si ha l’umiltà di dire ritorniamo tutti a nascondere tutto...».

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/465626/


Titolo: GUIDO RUOTOLO - “Il quadro è critico L’Italia adotti quella città”
Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2012, 10:49:57 pm
Intervista
29/10/2012 - Ilva

“Il quadro è critico L’Italia adotti quella città”

Renato Balduzzi, Ministro della Salute, sottolinea che l’attenzione su Taranto deve essere continua: «Come autorità sanitaria dobbiamo trovare risposte convincenti e programmare campagne di screening di massa»

Il ministro Balduzzi: salute e lavoro devono convivere

GUIDO RUOTOLO
ROMA

I primi rilevamenti del biomonitoraggio avviato dalle strutture del ministero della Salute sono preoccupanti. Il 30% del latte di pecora prodotto negli allevamenti entro i 10 chilometri dall’Ilva di Taranto, è contaminato dalle diossine. Il ministro della Salute Renato Balduzzi riconosce: «Effettivamente siamo in presenza di criticità permanenti. Questi dati più recenti di biomonitoraggio testimoniano la persistenza della propagazione di diossine e di metalli pesanti pericolosi». 

Ed è per questo che il ministro lancia un appello: «Vorrei che il Paese sentisse come suo il problema di Taranto. Adottiamo la città perché il quadro sanitario e ambientale è critico».

 

Ministro, è preoccupato per Taranto? Quali dimensioni ha il disastro ambientale e sanitario? 

«La preoccupazione dell’Autorità sanitaria su Taranto non è di oggi perché la città presenta da tempo delle criticità. Il dato positivo è il carattere fortemente innovativo dell’approccio che il ministero dell’Ambiente ha voluto dare nella definizione della nuova Aia, anche grazie alle nostre indicazioni. Mi preme sottolineare le novità delle prescrizioni che ridimensionano l’impatto ambientale. Ma così, stiamo parlando del futuro che vede la coabitazione tra città e grande industria senza che questo provochi disastri sanitari e ambientali. Noi però dobbiamo anche affrontare il presente e risolvere il passato».

 

L’Ilva continua a inquinare? L’azienda può mettersi in regola con gli impianti senza doverli spegnere? 

«E’ innegabile che la nuova Aia risponda a questo problema. E lo fa con chiarezza quando introduce prescrizioni molto stringenti e forti e impone una azione di monitoraggio costante delle emissioni per avere sotto controllo l’esposizione al rischio e, attraverso il biomonitoraggio, le conseguenze del rischio di emissioni. Posso aggiungere che se l’Ilva dovesse chiudere, la criticità occupazionale avrebbe anche delle conseguenze negative dal punto di vista della salute».

 

I primi risultati del biomonitoraggio confermano che oggi la catena alimentare è contaminata. 

«Proprio perché l’indagine esplorativa ha fatto emergere dei dati sulla contaminazione da diossine e da metalli pesanti nel latte delle capre, dobbiamo rendere permanente e continuo (e non occasionale) il biomonitoraggio».

 

I dati sulla mortalità da tumori diminuiscono in tutto il Paese tranne che a Taranto, dove aumentano... 

«L’attenzione su Taranto deve diventare continua. Come autorità sanitaria dobbiamo trovare delle risposte convincenti, programmare campagne di screening di massa, rilevazioni continue e iniziative di cura».

 

Quando è stato a Taranto a presentare «Sentieri», lo studio sui dati epidemiologici, è stato nel quartiere Tamburi, che quando soffia il vento viene sommerso da strati di polveri. 

«Mi ha colpito la grande civiltà delle persone di Tamburi. Una signora si è chinata su una aiuola e ha messo su un fazzoletto di carte della terra. E mi ha chiesto: “Vede il colore strano?”. Effettivamente era una polvere “caratterizzata”. E poi mi ha colpito la partecipazione della gente. Sono andato a Tamburi senza che nessuno lo sapesse. Ho partecipato a un incontro in parrocchia con il vescovo e le associazioni e man mano la sala si è riempita da cittadini che poneva domande semplici e drammatiche nello stesso tempo. Ho ascoltato e quell’incontro, quelle domande me le porto dentro».

 

Ministro Balduzzi, la decisione di rendere pubblici i risultati della indagine sulla mortalità a Taranto rappresenta un atto di trasparenza. 

«Noi abbiamo investito nella trasparenza. Nel comunicare alla popolazione di Taranto e all’opinione pubblica nazionale che la città deve essere disinquinata. La vertenza Ilva è complicata e difficile da risolvere perché deve trovare un punto di equilibrio tra due esigenze: quella sanitaria e quella produttiva. Come ministro della Salute mi batterò perché salute e lavoro coesistano insieme».

da - http://lastampa.it/2012/10/29/italia/cronache/il-quadro-e-critico-l-italia-adotti-quella-citta-KrSsk2ioT4tgIXioxkwXpI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - “Quelle tangenti erano una prassi abituale”
Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2013, 05:30:21 pm
Economia
13/02/2013 - il caso Finmeccanica. Le carte

“Quelle tangenti erano una prassi abituale”


Le confessioni dell’intermediario e i legami con la Lega

Guido Ruotolo

ROMA

A un certo punto, proprio sul finire dell’ordinanza, il gip di Busto Arsizio, Luca Labianca, si lascia andare a una violentissima censura nei confronti di Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini: «Gli elementi fin qui descritti dimostrano che entrambi gli indagati appaiono convinti dell’esigenza di ricorrere alla corruzione di pubblici ufficiali indiani per ottenere l’aggiudicazione della gara d’appalto per la fornitura di 12 elicotteri». 

 

Esplicita il gip: «Dunque l’AgustaWestland e per essa la sua dirigenza - lo Spagnolini in particolare ma le stesse considerazioni possono e debbono farsi per Giuseppe Orsi, a capo di una holding comprensiva di aziende operanti in svariati settori - sembrano essere consueti al pagamento di tangenti e vi è motivo di credere che tale filosofia aziendale si ripeta anche in futuro se non resa vana attraverso l’intervento cautelare».

Parlano al telefono Mario Orlando, responsabile affari legali e societari di Finmeccanica, e Giuseppe Bargiacchi, responsabile internal dell’Audit Finmeccanica. Loro sì che sono consapevoli della imminente tempesta giudiziaria (Orlando): «Stiamo correndo verso il precipizio... questa è la mia sensazione....». 

 

Commenta il gip: «Invero, i fatti oggetto del presente procedimento penale sembrerebbero aver determinato anche un palese e conosciuto imbarazzo da parte dei più importanti esponenti governativi per la condotta osservata da Giuseppe Orsi».

 

La sala riunioni della società Fata spa (gruppo Finmeccanica), presidente Ignazio Moncada, è piena di cimici del Noe dei carabinieri. Moncada parla con l’ex ministro delle Finanze Domenico Siniscalco. Riporta il brogliaccio del Noe: «Moncada parla di Monti (Mario, presidente del consiglio, ndr) e di Orsi e della questione legata ad Abu Dhabi. Sembra che Ignazio riporti le parole di Monti in merito: “Perché io ho detto vado ad Abu Dabhi, non gli stringo la mano e lui capirà che si deve dimettere... poi non gli ho risposto alla lettera quindi ha capito che...”. Ignazio gli spiega che Orsi ha scritto una lettera a Monti...».

 

Guido Haschke, l’intermediario con doppio passaporto (italo-americano) che vive a Lugano, è un bel tipo. Un piccolo squaletto in grado di spolpare fino all’osso le sue vittime ma anche costretto, a sua volta, a garantire alle stesse altre prede per sopravvivere. Lui faceva il consulente (anche) per le imprese Finmeccanica, soprattutto in India, grazie alle sue buone entrature in quel Paese. E i manager della holding pubblica, in cambio di contratti di consulenza, chiedevano una mazzetta mensile.

 

Non c’è che dire, il mondo di Finmeccanica è un mondo di avidi dirigenti che potrebbero accontentarsi del corposo lunario garantito, e invece per arrotondarlo pretendono tangenti mensili. Ecco cosa racconta Haschke ai magistrati di Busto Arsizio, il 13 novembre scorso: «A Pozzessere (Paolo, ex direttore commerciale Finmeccanica, ndr) ho corrisposto la somma di denaro tra i 50.000 e i 100.00 euro in più occasioni sia in Italia che all’estero. Ricordo in particolare che a Londra gli diedi 10.000 euro, li mise in una tasca e poi mi disse di averli smarriti...».

 

Perché l’obolo mensile? «Perché mi introducesse in altri settori. Quando l’ho conosciuto era in Alenia. Ho avuto una consulenza da Alenia per il tramite di Fava (Luciano, all’epoca direttore commerciale di Alenia, ndr) al quale ho dato 30.000 euro in contanti. Il contratto di consulenza con Alenia prevedeva un corrispettivo di 360.000 euro annui e mi è stato rinnovato per due anni».

 

Pozzessere, Fava. E poi Paolo Girasole: «Gli ho corrisposto - ricorda Haschke - la somma complessiva di 200.000/220.000 circa. Praticamente Girasole era da noi stipendiato per 10.000 euro al mese per fare il lavoro che avremmo dovuto fare io e Gerosa se fossimo stati sempre in India. Girasole è dal 2009 (lo è stato fino a pochi mesi fa, ndr) il rappresentante di Finmeccanica in India. Sapevo che anche lui gradiva di essere retribuito. Era al corrente di quel che accadeva in un’altra “parrocchia” rispetto ad Orsi. Quest’ultimo ha sempre gestito AgustaWestland senza fare riferimento a Finmeccanica, intendo dire come una sorta di “provincia autonoma”».

 

Quando nel luglio scorso la Cassazione decise che la competenza dell’inchiesta dovesse essere di Busto Arsizio, le carte partirono da Napoli, dai pm Piscitelli, Woodcock e Curcio, con l’incriminazione di Orsi anche per finanziamento illecito alla Lega Nord.

 

A un certo punto, AgustaWestland non vuole più cacciare i soldi promessi ad Haschke, o meglio vuole tagliare 10 milioni di euro sui 41 della maxitangente e delle provvigioni. L’intermediario che vive a Lugano, ricorda: «Giuseppe Zampini, amministratore delegato Ansaldo Energia mi fece considerare che i soldi che non volevano più dare a me, potevano essere ritornati allo stesso Orsi per ringraziare chi lo aveva sponsorizzato nell’ascesa a Finmeccanica, cioè la Lega». Interrogato, Zampini conferma: «Avevo raccontato ad Haschke che proprio all’ultimo momento Orsi era stato preferito a me per il forte appoggio della Lega».

 

Il gip conviene, come ipotizzato da Haschke e da Zampini, che la riduzione della provvista della quota dei 41 milioni ad Haschke sia dipesa dalla necessità di Orsi di «disobbligarsi con alcuni esponenti politici che avevano appoggiato la sua candidatura a presidente e ad di Finmeccanica, politici appartenenti al partito Lega Nord a cui egli faceva riferimento»: «La circostanza non può essere sottaciuta poiché sull’utenza cellulare di Giuseppe Orsi sono state intercettate diverse telefonate intercorse con esponenti politici di quel partito che dimostrano una certa vicinanza di Orsi a quel partito e confermano la complessiva credibilità di Haschke».

 

Il presidente Orsi aveva provato a condizionare le indagini, a toglierle da quel pm impenitente, Eugenio Fusco, ad assumere due magistrati in pensione per il tribunale interno a Finmeccanica e più in generale, i due indagati eccellenti, annota il gip, «si sono attivati nel porre in essere condotte di sovvertimento della genuinità delle prove». Ma la vera spina nel fianco del presidente Finmeccanica erano i giornali. Addirittura il «nemico» per eccellenza era ritenuto il Sole 24ore. Tant’è che Orsi chiama il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: «Ha superato il limite... è il giornale che mi attacca di più...». «Comunque interveniamo subito.....», gli risponde Squinzi. Intervento che il Comitato di redazione e il direttore del Sole negano sia mai avvenuto.

da - http://www.lastampa.it/2013/02/13/economia/quelle-tangenti-erano-una-prassi-abituale-5WWn8NFTtxpSFuB1i7O4hN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - “Il Cavaliere mi pagò, ho deciso di parlare perché voglio rinasc
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2013, 03:32:07 pm
Politica
02/03/2013

“Il Cavaliere mi pagò, ho deciso di parlare perché voglio rinascere”

De Gregorio: “Ci fu una guerra, aspettate e capirete”

Guido Ruotolo
inviato a Napoli


Scusi senatore De Gregorio, ma lei i soldi da Berlusconi li ha presi o no? 

«Certo che li ho presi. Così come ho chiarito con i magistrati».

 

Senatore, allora lei ha deciso di collaborare con i pm napoletani quando ha scoperto che non sarebbe stato più candidato, cioè eletto? 

«Un’altra sciocchezza. Ai pm di Napoli ho consegnato una copia della raccomandata spedita il 19 settembre scorso a Berlusconi, Verdini, La Russa, Biondi e Alfano nella quale annunciavo che non era mio interesse ricandidarmi, che avrei fatto un passo indietro utile per il rinnovamento. Chiesi loro di dare spazio nelle liste a due giovani di Italiani nel Mondo, così come sancito da accordi sottoscritti da Berlusconi e Verdini nel 2009. Ancora il 19 dicembre Verdini mi ha proposto la candidatura che io ho rifiutato chiedendo in cambio un posto blindato in lista per un giovane dirigente di Italiani nel Mondo».

 

De Gregorio, un passo indietro maturato perché voleva essere libero di potersi difendere nelle inchieste accusando il presidente Berlusconi? 

«Vuole sapere quando ho maturato la decisione di chiarire, raccontare, assumermi le mie responsabilità anche penali? Quando ho sognato mio padre che mi ha spronato a liberarmi dai miei fardelli, a diventare uomo libero per poter ricominciare».

 

Non perché rischiava l’incriminazione per riciclaggio con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione camorrista? 

«È un’altra balla. Sono già a processo per riciclaggio semplice, senza aggravante e dimostrerò che ero una vittima di usura. In realtà ho maturato la scelta di collaborare nel momento in cui ho avvertito la consapevolezza che nel nuovo Parlamento una parte degli eletti avrebbe preteso una “Norimberga per i politici”. Non volevo passare alla storia come un senatore che esce con le manette da Palazzo Madama. Da libero cittadino, invece, mi consegnerò alla giustizia. Ho scritto ai pm napoletani che il giorno dopo lo scioglimento delle Camere sarei andato da loro. E così è successo...».

 

Con l’avvocato Ghedini lei si è mai consultato? 

«L’incontrai nel maggio scorso preannunciandogli la mia decisione e chiedendogli un aiuto per il dopo. Avrei voluto che mi fosse finanziato un film sul genocidio del popolo curdo».

 

In uno degli interrogatori lei ha detto che si è combattuta una vera guerra per far cadere il governo Prodi, e ha fatto riferimento al ruolo degli americani.... 

«Sul punto non posso dire nulla. Aspettate e capirete perché ho parlato di guerra».

 

Lei rispondendo a Berlusconi ha detto che da tempo si sta preparando agli arresti domiciliari. Perché non ha chiesto la revoca della misura, come ha fatto Marco Milanese che l’ha ottenuta? 

«Non l’ho fatto perché non voglio intorbidare il clima».

 

Chi è per lei Valter Lavitola, suo compagno di merendine? 

«Gli ho fatto da compare di cresima. È un ragazzo diseducato alla vita. In testa ha il film del denaro, vuole diventare ricco come Silvio Berlusconi». 

 

Intanto era consapevole che liberarsi dei suoi macigni avrebbe comportato l’incriminazione di Berlusconi? 

«Sono nel giusto, non mi pongo il problema di inguaiare qualcuno. Forse qualcuno ha solidarizzato con me quando Reggio Calabria mi ha indagato per rapporti con la ’ndrangheta? Non ho ricevuto neppure una telefonata... Quando si è discusso al Senato la richiesta del mio arresto ho avuto la chiara sensazione che mi dovevo guardare da possibili traditori nel mio gruppo».

da - http://lastampa.it/2013/03/02/italia/politica/il-cavaliere-mi-pago-ho-deciso-di-parlare-perche-voglio-rinascere-1Qm6Q9FL1FpFwRmmADBphP/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Scandalo del Monte dei Paschi Rossi suicida per il suo lavoro
Inserito da: Admin - Marzo 09, 2013, 12:09:29 am
Economia
08/03/2013 - Il giorno del dramma

Scandalo del Monte dei Paschi Rossi suicida per il suo lavoro

Gli inquirenti seguono la pista di una fuga di notizie denunciata dalla banca.

Oggi l’autopsia sul corpo del dirigente

Guido Ruotolo
INVIATO A SIENA

Il film della morte non ha un inizio: non si vede l’uomo scavalcare la finestra e lanciarsi nel vuoto. Il film inizia con un corpo che è arrivato alla fine del suo viaggio e sta per toccare terra. Sono i fotogrammi della morte di David Rossi, responsabile Comunicazione di Mps, impressi nella telecamera che dà sulla strada dietro piazza Salimbeni, via De Rossi. Fotogrammi muti che lasciano intuire il sordo rumore del tonfo, dell’impatto con il suolo. Il corpo supino, a pancia all’aria, muove un braccio. Come se nel torcersi in aria Rossi avesse avuto premura di non vedersi poi irriconoscibile. Lunghi attimi di nulla, di silenzio, di corpo inanimato. Venti minuti di agonia e di morte di un uomo solo. Poi arriva qualcuno: un passante, un dipendente del Monte che si deve essere accorto di quella finestra aperta nel giro serale prima di chiudere il portone del palazzo. L’uomo si china, si volta e scompare. Sono le 19,59 del 6 marzo 2013 e l’inchiesta Mps conosce la sua prima (speriamo unica) vittima. In realtà potrebbero essere state le 20,20 (gli orologi delle telecamere potrebbero avere il tempo sfalsato). Una ventina di minuti dopo arriva al 112 dei carabinieri l’allarme e le forze di polizia in pochi minuti sono lì.

 

Che impressione, prima le monetine - era il 15 febbraio scorso - quando Giuseppe Mussari, il presidente di Mps e dell’Abi, si presentò per l’interrogatorio. Adesso il suicidio. Troppo forte è la suggestione perchè non si torni alle immagini di quel biennio di Mani Pulite, vent’anni fa. E però quanto è sbagliato questo parallelismo. Allora gli arresti erano all’ordine del giorno. Questa di Siena è paradossalmente una inchiesta soporifera. E’ vero, c’è stato un arresto, quello di Gianluca Baldassarri, ma solo perchè l’indagato voleva trasferirsi a Londra, e gli sono stati sequestrati una ventina di milioni scudati. Per il resto, solo perquisizioni e avvisi a comparire.

 

Sono sconvolti i tre pm Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso, quando escono dal Palazzo del Monte a metà mattinata, dopo aver interrogato il presidente di Mps Alessandro Profumo. E’ come se si sentissero moralmente responsabili di un gesto, la cui colpa sicuramente non può ricadere su di loro. Proviamo a ricostruire gli attimi immediatamente precedenti al salto nel vuoto. David Rossi è scosso per quello che sta succedendo. Non è un mistero che fosse amico di Mussari. Era stato perquisito anche lui, insieme a Mussari e all’ex direttore generale Antonio Vigni, a febbraio. Sospettati gli indagati, di concordare la linea di difesa. Ma ieri come oggi i pm e gli uomini del Valutario del generale Giuseppe Bottillo negano che Rossi fosse stato indagato.

 

Eppure quei tre messaggi accartocciati trovati nel cestino del suo ufficio lasciano intendere che si dannasse per qualcosa che aveva fatto. Prove di un messaggio, di una lettera da lasciare alla moglie. Una frase, tre righe, poi cinque. Il senso dell’addio: «Cara Antonella... ho fatto una caz... sto morendo....». Chiariscono gli investigatori: «Nessuna indicazione precisa sull’elemento scatenante del gesto».

 

Il fatto che sull’inchiesta per il suicidio lavori il quarto pm della Procura, Nicola Marini, l’unico che non si occupa dell’inchiesta Mps (e come pg sia coinvolta la Squadra mobile e non la Finanza) lascerebbe escludere che il movente sia da individuare nell’inchiesta su Antonveneta e sui titoli tossici. 

 

Gli investigatori sono convinti che il suicidio sia maturato nell’ambito del lavoro: ieri hanno sequestrato due cellulari, il pc, le drive pen trovate in ufficio. Oggi dovrebbe essere fatta l’autopsia. Ma quel messaggio, «ho fatto una caz....», lascerebbe intendere un problema che si sarebbe posto dopo. 

 

Rossi non era indagato e forse potrebbe essersi sentito colpevole perchè una notizia che doveva rimanere riservata è finita nella redazione del Sole 24Ore. La notizia cioè del 28 febbraio che Mps voleva avviare l’azione di responsabilità nei confronti di Mussari, Vigni e delle due banche d’affari, Deutsche Bank, per l’operazione Santorini, e Nomura per Alexandria. Una fuga di notizie che ha fatto scattare l’inchiesta per insider trading e la perquisizione nei confronti di due consiglieri. Facendo uscire la notizia dell’orientamento di Mps, la talpa ha messo le banche nelle condizioni di anticipare una difesa promuovendo loro, una causa contro Mps a Londra.

 

Non trova conferme neppure l’indiscrezione che voleva Rossi sul punto di essere sostituito nell’incarico di responsabile della comunicazione di Mps. David Rossi non ha retto al peso di una responsabilità che sentiva su di sè. Il salto nel vuoto, il tonfo, l’agonia. Attimi nei quali deve aver rivisto il film della sua vita che stava per finire. Ci voleva anche un fuoriprogramma, una agonia inaspettata. In solitudine, prima che arrivasse qualcuno a dare l’allarme.

da - http://lastampa.it/2013/03/08/economia/rossi-suicida-per-il-suo-lavoro-BLmOLG6pVXkOeSA3dzvSZN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Sabelli al Pdl: offensivo parlare di pacificazione
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2013, 11:08:30 am
Politica
13/05/2013 - intervista


Sabelli al Pdl: offensivo parlare di pacificazione

Noi non siamo in guerra



Il presidente dell’associazione dei magistrati replica dopo la giornata di sabato, Pdl e Cavaliere in piazza contro i giudici


Il presidente Anm: ormai vedo assuefazione ai loro attacchi


Guido Ruotolo
ROMA


Pone subito una questione diciamo di metodo: «La gravità della manifestazione di Brescia del Pdl non sta nella partecipazione di qualche ministro del governo Letta, o meglio non solo in tale partecipazione come denuncia il Pd, alleato di governo, quanto nei contenuti espressi dalla stessa».

Il presidente dell’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, Rodolfo Sabelli, che pure ha un atteggiamento sempre molto misurato, sbotta dopo l’ennesima valanga di contumelie contro i magistrati pronunciate sabato da Silvio Berlusconi.

 

Presidente, sembra un fotogramma bloccato di un film che va in onda da 20 anni. Berlusconi che attacca certa magistratura e l’Anm che si chiude a riccio in una difesa dei magistrati... 

«Temo che l’assuefazione a queste affermazioni faccia perdere di vista la loro gravità e, dunque, faccia svaporare la collera, o meglio l’indignazione, di fronte a delle accuse gravissime e inaccettabili».

 

Ma scusi ieri il presidente Berlusconi si è paragonato ad Enzo Tortora ed è stato zittito dalla figlia del presentatore televisivo. 

«E’ un paragone fuori luogo. Certo, sabato non sono state pronunciate frasi come “la magistratura è un cancro, è peggio della mafia”, ma non per questo i concetti espressi sabato non devono essere pesantemente censurati. Possiamo mai subire senza criticarle affermazioni sui magistrati accecati dall’odio nei suoi confronti, invidiosi, che giudicano per convinzioni politiche? Noi abbiamo il dovere di ricordare ogni volta che i magistrati sono imparziali e applicano la legge».

 

Il fotogramma bloccato però è reale. «Siamo a una pericolosa delegittimazione del ruolo della giurisdizione nella nostra democrazia...». Concetti espressi dall’Anm l’altro giorno, che ricordano quelli di vent’anni fa, appunto. 

«Non è colpa nostra se ogni volta con la ripresa di processi che lo vedono coinvolto, Berlusconi spara a zero sulla giustizia con il solito campionario di offese e luoghi comuni contro i magistrati definiti faziosi e con la storia del pregiudizio. E’ vero, ogni volta sembra che ci troviamo punto e a capo, che anche noi riviviamo un deja vu. Ma dobbiamo, ripeto dobbiamo riaffermare il valore della legalità e della giurisdizione. In questo modo, noi non difendiamo i magistrati ma il ruolo della giurisdizione».

 

Le colombe sembrano ancora una volta sconfitte. Quali sono le condizioni dal vostro punto di vista per arrivare a una pacificazione? 

«È offensivo porre il tema della pacificazione perché lascerebbe intendere che ci sono due eserciti in guerra: quello della politica e quello della magistratura. Non è così. La magistratura non ha dichiarato guerra a nessuno. Ci sono invece esponenti politici, che sistematicamente da anni conducono una offensiva contro la magistratura fatta di contumelie e tentativi di “punizioni” attraverso modifiche legislative che rischiano di vanificare il controllo di legalità pur di garantire l’impunità a qualche imputato eccellente. Il processo è già in se stesso, con le sue regole e i gradi di giudizio, una forte garanzia».

 

Va bene, non parliamo di pacificazione ma di responsabilità. Che bisogna fare per uscire da questo cul-de-sac? 

«Fino a quando si continuerà a parlare di riforma dei giudici e non della giustizia, e sabato il presidente Berlusconi ha riproposto la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei giudici, non vedo grandi margini di manovra. Occorre una reazione corale a difesa della giurisdizione, occorrono decisi interventi di riforma per il contrasto alla criminalità e per l’efficienza della giustizia, occorre che tutti riscoprano la capacità di indignarsi. Ma le voci che si levano di fronte agli insulti che vengono rivolti alla magistratura, cioè ad una delle istituzioni dello Stato, spesso sono deboli e circoscritte, e questo è preoccupante». 


DA - http://lastampa.it/2013/05/13/italia/politica/sabelli-al-pdl-offensivo-parlare-di-pacificazione-noi-non-siamo-in-guerra-UBwioJDLj6K55SN1tHCILJ/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO Omicidi ed estorsioni Ma a Lamezia non ci sono condannati per...
Inserito da: Admin - Giugno 24, 2013, 11:40:57 am
Cronache
24/06/2013

Omicidi ed estorsioni

Ma a Lamezia non ci sono condannati per mafia

Viaggio nella città dove la guerra tra clan della ’ndrangheta ha fatto più di 30 morti e tutti gli imprenditori pagano il pizzo



Guido Ruotolo


INVIATO A LAMEZIA TERME


Silenzio. Le armi tacciono, anche le taniche di benzina, i proiettili in busta, gli ordigni artigianali sono in «vacanza». Le statistiche raccontano che negli ultimi due anni solo per 62 giorni non ci sono stati attentati. Più o meno un giorno di riposo ogni dieci di rumori, fiamme e rovine. 

 

È che da quando si è diffusa la notizia di imminenti retate che riguarderebbero «batterie di fuoco», piromani, esperti in esplosivi, avvocati collusi, politici corrotti, tutti si sentono coinvolti. Si sussurra che un politico finirà in carcere e il panico ha preso il sopravvento perché ognuno si sente perseguitato.

 

Che dolore prendere atto come in questo scenario, solo adesso, l’Antimafia sembra essere passata all’offensiva. Finora persino la giustizia ha dato prova di molta debolezza se non di collusione. Saltati i meccanismi di coordinamento tra gli apparati investigativi che si occupano del contrasto al crimine organizzato, si assisteva allo scaricabarile sulle competenze facendo perdere ogni visione unitaria di quello che succedeva a Lamezia. 

 

È vero, nel luglio 2012 sono state arrestate 36 persone, i vertici della cosca Giampà, tutti recentemente condannati a pene pari a circa 400 anni di reclusione. Ma siamo solo al primo grado, come se fosse l’alba di una stagione tradita in passato. Infatti, a Lamezia, nessun processo si è concluso finora con la sentenza passata in giudicato per il reato di associazione mafiosa. E oggi la giunta del riscatto antimafia del sindaco Giannetto Speranza, segretario regionale di Sel, sta per soccombere al fuoco amico. 

 

La Calabria della politica è un territorio dove si combatte aspramente. E Lamezia è un po’ Beirut, un po’ Corleone. Riconosce il sindaco: «Da sempre la politica è debole verso la mafia». Rodolfo Ruperti, l’esperto investigatore: «Lamezia è una città criminale». Il procuratore aggiunto antimafia, Giuseppe Borrelli: «Lamezia è la città dove il legame tra la ’ndrangheta e alcuni settori della società civile è talmente radicato che non viene percepito come una devianza sociale perché è digerito nello stomaco della città».

 

Anche l’Antiracket, fiore all’occhiello di un Sud che si dovrebbe opporre a Lamezia sembra una margherita appassita. Mai una denuncia, mai una primavera di imprenditori sanamente incolleriti davanti alla porta della Mobile, dei carabinieri. E il peggio è il sospetto che anche loro, non abbiano saputo dire «no» agli esattori del pizzo.

Il bilancio della ’ndrangheta di Lamezia è di 37 omicidi, 10 tentati omicidi in dieci anni. Come se a Roma ve ne fossero stati 2.500. In questo elenco non ci sono i due netturbini uccisi nel 1987 solo perché il Comune aveva tolto ai clan l’appalto della raccolta dei rifiuti. E non c’è l’omicidio del vigile del fuoco Vincenzo Paradiso, colpevole di aver investito in auto un ubriaco che si pose all’improvviso davanti alla sua auto. L’ubriaco però era un mafioso e la sua cosca punì con la vita il povero pompiere. Un caso che porta all’omicidio del poliziotto Salvatore Aversa e di sua moglie,nel ’92, condannato a morte per aver concentrato le attività investigative sui reggenti del clan Giampà e Torcasio.

 

Ndrangheta per nulla di serie b, questa di Lamezia. Francesco Giampà è il figlio del capo della cosca che comanda in città, Giuseppe, in carcere da anni. È dunque il reggente. Arrestato pure lui, ha deciso di collaborare diventando il pentito più importante della Calabria. Non solo per il grado che ricopre. Ha messo a verbale: «Chi comanda davvero è chi ha le batterie di fuoco».

Parla di killer, il pentito. E lui ne aveva di fidatissimi e non conosciuti. Almeno otto. Uno dei «migliori» è stato Vasile. Francesco Giampà l’aveva assunto come dipendente nella sua attività di copertura, un ristorante. «Era bravissimo a sparare - racconta il boss pentito - che una volta con il guidando il motorino con una mano e la pistola nell’altra ammazzò senza problemi la sua vittima». Un’altra volta, nel 2011, entrò nel campo di calcio e uccise l’allenatore, che era della famiglia rivale dei Torcasio.

 

Il patriarca Giuseppe Giampà non era da meno. Un giorno capì che lo zio Vincenzo Bonaddio non versava nella cassa del clan tutti i proventi delle estorsioni. Il boss fece partire l’ordine di piazzare una bottiglia incendiaria spenta davanti a ogni attività commerciale e imprenditoriale di Lamezia. «Ma in questo modo chi paga già dovrà pagare due volte?», obiettano i fedelissimi al capo. Il boss replica: «Chi paga ce lo dirà e sapremo così quanto lo zio Vincenzo si è fregato». Il conto adesso sembra essere arrivato. Lo scenario che si annuncia è un terremoto giudiziario che lascerà tante rovine. E non è detto che sia un male. 

da - http://lastampa.it/2013/06/24/italia/cronache/omicidi-ed-estorsioni-ma-a-lamezia-non-ci-sono-condannati-per-mafia-pxXbCmJohcIteAoSD3xtLP/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Nuovi guai per Berlusconi
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2013, 05:29:48 pm
Politica
15/09/2013

Fondi neri a Hong Kong e un memoriale di Lavitola

Nuovi guai per Berlusconi

Valter Lavitola a Fiumicino nell’aprile 2012 dopo la latitanza in Sud America

L’ex senatore De Gregorio: “Nel 2007 bloccammo la rogatoria, ma ora...”


Guido Ruotolo
Roma


Segnali, avvisaglie di una tempesta in arrivo. Da due giorni sul «Fatto Quotidiano», Valter Lavitola manda messaggi a Silvio Berlusconi, annunciando che all’udienza preliminare dell’inchiesta napoletana sulla compravendita dei senatori (Sergio De Gregorio) depositerà un memoriale di venti pagine, in cui si difende e «interpreta» i fatti che gli vengono contestati. L’udienza, fissata per domani, salterà per lo sciopero degli avvocati.

Il legale di Lavitola, Guido Iaccarino, assicura che comunque depositerà il memoriale in cancelleria. Da più di un anno il faccendiere ex direttore dell’Avanti è in carcere (adesso ai domiciliari), e la sua resistenza potrebbe vacillare. Il processo sulla corruzione per la compravendita di senatori dovrebbe cominciare entro fine anno, e la prescrizione scatterà nel settembre del 2015. 

Ma non è solo il «fronte» napoletano che potrebbe riservare altre sorprese, a preoccupare Silvio Berlusconi c’è sempre Milano, con la probabile nuova incriminazione per subornazione di testimoni, per le false dichiarazioni dei testi chiamati al processo Ruby.

E poi c’è la «novità» della mina vagante ex senatore Sergio De Gregorio, che è stato sentito per quattro ore, a inizio settimana, dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro, che sono titolari dell’inchiesta sulla colossale frode fiscale del gruppo imprenditoriale fondato da Silvio Berlusconi, complice Farouk detto «Frank» Agrama. 

L’ex senatore De Gregorio ha ripetuto, naturalmente con maggiore dovizia di particolari, quanto già messo a verbale a Napoli, ai pm Piscitelli e Woodcock. E da quanto si intuisce, mercoledì o giovedì della prossima settimana il procuratore De Pasquale potrebbe depositare la rogatoria «cinese» e le dichiarazioni di De Gregorio nell’udienza del processo Mediatrade, che vede imputati il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi e lo stesso Agrama, imputati per frode fiscale relativa al consolidato Mediaset. Il presidente della seconda sezione penale del Tribunale potrebbe mandare gli atti alla Procura.

Al bar della Casa del Cinema, a Villa Borghese, Sergio De Gregorio si presenta dopo un’ora di corsa, anzi di «camminata veloce». Ha con sé le bozze del libro che sta per uscire - «Operazione libertà» - che gli servono per leggere quei riferimenti (messi a verbale a Milano) che chiamano in causa Berlusconi. In sostanza, nel 2007, complice Sergio De Gregorio, Silvio Berlusconi riesce a bloccare una rogatoria internazionale che lo potrebbe rovinare. «Se i pm portano in Aula quelle carte - ricorda ora Sergio De Gregorio - è un disastro. Mi disse così il Cavaliere alla fine della lettura del mio dossier. I pm milanesi svilupparono informalmente la loro rogatoria a Hong Kong, senza autorizzazioni. Spiegai al Presidente che potevamo bloccare la minaccia chiedendo all’ambasciatore cinese a Roma di neutralizzare la rogatoria. La cena si svolse a Palazzo Grazioli e l’ambasciatore mantenne gli impegni».

L’ex senatore di «Italiani nel mondo» ricorda di aver consegnato una cartellina di poche pagine del console generale italiano ad Hong Kong, Alessandro De Pedys, al Presidente Berlusconi. Era un report, una informativa che il console aveva inviato alla Farnesina.

«È in corso un’indagine su una colossale frode fiscale perpetrata da Silvio Berlusconi e Farouk Agrama. Siamo a un’ipotesi di distrazione di fondi per 170 milioni di dollari. Le somme sono state versate da conti ufficiali del gruppo Fininvest», in diverse filiali di banche a Londra, Bahamas e Lugano. Il console, in quel report finito a Palazzo Grazioli, raccontava gli intrecci che legavano Berlusconi ad Agrama attraverso alcune società di «Hong Kong, Curaçao, Antille Olandesi». «E queste società sono amministrate da due prestanomi: Paddy Chan Mei Yu e Katherine Hsu May Chun».

La rogatoria fu inoltrata dalle autorità italiane a quelle della ex colonia britannica il 4 ottobre 2006. De Gregorio e Berlusconi intervengono nel 2007 per bloccarla. Nel 2013, pochi giorni fa, quel materiale è finalmente arrivato a Milano. Chi è che insiste nel far illudere il Cavaliere che una richiesta di grazia sarà accolta dal Quirinale? Chi si professa vero amico di Berlusconi, lo racconta come assediato in queste ore dagli «incubi giudiziari e dai tradimenti politici».

da - http://lastampa.it/2013/09/15/italia/politica/fondi-neri-a-hong-kong-e-un-memoriale-di-lavitola-nuovi-guai-per-berlusconi-pgZcUCO0sHq3GNZ4tG30HN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - I verbali del Cavaliere “Tarantini portava ragazze ma non ...
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2013, 11:07:12 pm
POLITICA
22/09/2013

I verbali del Cavaliere “Tarantini portava ragazze ma non sapevo le pagasse”

L’ex premier: “Quando è stato in crisi ho aiutato lui e la moglie”

GUIDO RUOTOLO
ROMA


Il procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago, assolve al burocratico compito di assumere le generalità dell’interrogante. Ha uno pseudonimo, un soprannome? «No». Dimora? «Ho eletto domicilio presso il mio difensore, avvocato Nicolò Ghedini, di professione parlamentare della repubblica». Professione, occupazione? «Prima imprenditore, ora senatore della repubblica». 
 
Siamo nel maggio scorso, prima a Roma e poi a Bari, Silvio Berlusconi viene sentito dai pm. A Bari, dopo la chiusura delle indagini, siamo in attesa della richiesta della Procura dell’udienza preliminare. L’inchiesta è quella che vede Berlusconi e il faccendiere Valter Lavitola indagati per induzione a rilasciare dichiarazioni mendaci nei confronti di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore della malasanità pugliese che procurava le escort. Secondo l’accusa, Gianpaolo Tarantini fu mantenuto, stipendiato, finanziato dal Cavaliere perché non mettesse in difficoltà, non raccontasse delle escort - tra queste, Patrizia D’Addario - e degli incontri di lavoro procurati da Berlusconi con Finmeccanica e la Protezione civile.
 
«Voglio dire veramente che Tarantini era un fatto di comodità, quando c’era una cena io non le invitavo neppure. Si era creato un rapporto di amicizia, amicizia non è il termine giusto, di cordialità con il mio maggiordomo e con gli altri camerieri di casa mia e perciò telefonava per sapere se c’era una cena e arrivava sempre con due ospiti».
Un’ora e mezza di domande e di risposte. In un clima molto cordiale, con il procuratore aggiunto Drago che a un certo punto si lascia andare: «Il gip sostanzialmente imposta il processo in una direzione che purtroppo per il pubblico ministero ha preso una strada obbligata...». 
La linea Maginot tracciata dai difensori di Silvio Berlusconi è quantomai scontata: «Non sapevo che le ragazze che venivano con Tarantini alle cene fossero delle escort. Ho fatto solo beneficenza nei confronti di Tarantini. Nulla so degli appuntamenti fissati con i dirigenti di Finmeccanica».
 
Il procuratore Drago si chiede e chiede: «Perché lei ha stretto quest’amicizia con questo signore di cultura e di esperienza assolutamente inferiore alla sua?». Risponde l’ex presidente del Consiglio: «Non è che ho stretto con lui una profonda amicizia. Con Tarantini non ho mai parlato di fatti miei o di fatti della sua famiglia. Era piacevole avere in mezzo a tante persone, uno che si faceva sempre accompagnare da due belle ragazze e ridendo con il mio maggiordomo e con i miei camerieri, mentre Tarantini andava al posto più lontano, a capo tavola, dicevo al maggiordomo che le ragazze me le mettesse proprio di fronte per tirarmi su di morale. Mai avrei immaginato che lui le pagasse, anche perché non avevo bisogno di Tarantini per invitare delle belle ragazze».
 
Sarà, ma il procuratore Drago riporta il sospetto dei giudici sulla sua generosità e le buste lasciate per le ragazze. «Una donazione di qualche migliaio di euro era assolutamente nulla, in quei tempi il mio gruppo guadagnava un milione e mezzo al giorno. Quindi lei faccia il calcolo di che cosa siano duemila, tremila, quattromila euro. Allora raggiungevo una ricchezza che per quanto riguarda la valutazione di Borsa era di 12 miliardi di euro».
In un altro passaggio dell’interrogatorio, il procuratore cerca di capire perché versava tutti quei soldi a Tarantini: «Avevo conosciuto Tarantini in una situazione di benessere forte. Aveva affittato ville in Sardegna, viaggiava su aerei privati e francamente sentirlo precipitato».
Drago: «Mi permetta una interruzione, per quella situazione di benessere forte ha fatto un buco di 12 milioni di euro nell’azienda di papà».
Ma lui che poteva saperne? Soprattutto quando veniva informato che «non aveva neppure i soldi per dare da mangiare alle bambine». Dice Berlusconi: «Davo cinquemila euro per il marito, cinquemila per la moglie e direi di questo passo quasi tutti i mesi io adempivo a queste cose».
 
Un’ora e venticinque minuti pieni di «non ricordo». Come quando Drago svela il mistero delle tre telefonate dall’Argentina di Lavitola ad Arcore, delle 21.33, 21.37 e 21.38 del 17 luglio del 2011. Giusto in concomitanza con l’«affaire» Montecarlo, l’appartamento occupato dal cognato di Gianfranco Fini che divenne una durissima campagna stampa del «giornalista» Lavitola strumentalizzata dal Pdl.
 
Il faccendiere ex direttore dell’Avanti ha depositato i tabulati telefonici argentini in cui ci sono le tracce di quelle tre telefonate ad Arcore mai intercettate dagli investigatori napoletani. Ricorda quelle telefonate? Risponde Berlusconi: «Non ne ho memoria». 

da - http://www.lastampa.it/2013/09/22/italia/politica/i-verbali-del-cavaliere-tarantini-portava-ragazze-ma-non-sapevo-le-pagasse-zQTu7SkG49XUfWc4sM5lGP/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La Finanza smonta la difesa. “Tarantini mente sulle escort”
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2013, 04:16:50 pm
Politica
26/09/2013 - Le carte dell’inchiesta di Bari

“Tarantini mente sulle escort”

La Finanza smonta la difesa

Un nuovo rapporto: Berlusconi sapeva dei compensi alle ragazze


Guido Ruotolo
Roma


Si sente accerchiato dalle procure che non lo hanno mai mollato, teme che una volta decaduto da senatore potrebbero arrestarlo. Milano, Napoli ma non solo. Silvio Berlusconi si aspetta che i guai potrebbero arrivargli da Bari. Dove è indagato insieme al faccendiere Valter Lavitola per aver convinto l’imprenditore Gianpi Tarantini a rilasciare «dichiarazioni mendaci», insomma false dichiarazioni, in cambio di denaro e di «raccomandazioni». Siamo nella fase in cui la Procura di Bari ha comunicato agli indagati la chiusura delle indagini e si appresta a chiedere al gip di fissare l’udienza preliminare. L’inchiesta sembra blindata. C’è un rapporto della Finanza che smonta tutta la linea difensiva del Cavaliere.

 

Gianpi Tarantini, interrogato dai magistrati di Bari, aveva giurato sull’innocenza di Berlusconi che nulla sapeva di escort: «Non ho fatto altro che accompagnare da lui ragazze che presentavo come mie amiche tacendogli che a volte le retribuivo. Il presidente non ha mai saputo che io potessi aver dato un centesimo alle ragazze». Ma ora, in un rapporto delle Fiamme Gialle alla procura, queste tesi viene smontata: «Ci sono - scrivono i finanzieri - punti di contrasto e contraddizione tra le dichiarazioni fatte dal Tarantini e quanto invece emerso dall’attività di indagine».

 

Ricordate la escort più famosa d’Italia, Patrizia D’Addario? Nella prima cena a Palazzo Grazioli, ricostruiscono gli 007 della Finanza, non fu scelta la D’Addario, trascorsero «la notte in compagnia del presidente Berlusconi Barbara Guerra e Ioana Visan». L’indomani mattina Berlusconi e Tarantini parlano al telefono del «compenso riconosciuto alle due donne»: Silvio Berlusconi sottolineava «guarda che hanno tutto per pagarsi tutto da sole queste qua», alludendo evidentemente al fatto che era stato dato loro il necessario, motivo per cui Tarantini non doveva sentirsi obbligato a corrispondere loro alcunché. Berlusconi: «Sono foraggiatissime».

 

La linea difensiva del Cavaliere non si è mai discostata dalla affermazione che lui non ha mai avuto bisogno di escort, e che le donne portate da Tarantini erano belle donne che voleva che si sedessero a tavola di fronte a lui.

 

Ma gli infortuni possono sempre capitare. Il giorno dopo una cena a Palazzo Grazioli, «Berlusconi manifestava a Tarantini la preoccupazione che due delle sue ospiti portate da Tarantini, di cui una identificata in Daniela Lungoci (romena, ndr) potessero fare qualche commento sulla serata trascorsa a Palazzo Grazioli». Un brano della intercettazione. Berlusconi: «Tu avevi preso quelle due romene, no? Hanno fatto qualche commento?». Tarantini: «Assolutamente no. Le ho sentite oggi, mi hanno detto che sono state bene e che speravano di rimanere lì». In realtà, si legge nel rapporto, Tarantini temeva che le due romene potessero parlare tanto che si rivolse alla intermediaria Carolina per avere «informazioni sulla loro riservatezza». Tarantini: «Ma sono tranquille? Non è che vanno a sputtanare che siamo stati là a cena?».

 

In 32 pagine la Guardia di Finanza affronta anche il capitolo delle «prospettive di affari» di Tarantini, dopo l’intervento di Berlusconi, con Finmeccanica/Protezione civile. Tarantini nei suoi interrogatori ha negato che «Berlusconi per ricambiarmi delle donne mi mandò da Bertolaso (Guido, allora numero uno della Protezione civile, ndr)». E ha anche dichiarato che con Finmeccanica i rapporti li ebbe lui. «È stato accertato - è implacabile il rapporto della Finanza - che Silvio Berlusconi su iniziativa di Gianpaolo Tarantini promosse un incontro tra quest’ultimo e l’allora capo della Protezione civile, Bertolaso». 

 

Ci sono i rapporti favoriti da Silvio Berlusconi ma anche dal fratello Paolo con la Finmeccanica di Pier Francesco Guarguaglini. E le relazioni con Sabatino Stornelli, ex ad di Selex Service management, arrestato dalla Procura di Napoli nell’inchiesta sul tracciamento dei rifiuti, diventato adesso un collaboratore di giustizia. I risultati delle sue rivelazioni potrebbero vedersi presto.

da - http://lastampa.it/2013/09/26/italia/politica/tarantini-mente-sulle-escort-la-finanza-smonta-la-difesa-rKGFcxtADb1j5msG0bLSSN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Pick up con gli ammortizzatori di legno, così si muore nel ...
Inserito da: Admin - Novembre 03, 2013, 06:56:26 pm
la storia
28/10/2013

Pick up con gli ammortizzatori di legno, così si muore nel deserto del Niger

Guido Ruotolo

Tripoli, Libia. Scampoli di conversazione rubata tra una delegazione di governo italiano e Muammar Gheddafi, sotto la Tenda. Tema l’immigrazione. Si parlava del mare che inghiottiva i profughi, ma anche del deserto che è anch’esso un mare, anche se di sabbia. Ero stato a fare un reportage in quel mare di sabbia. Insieme a una troupe di Canale 5. Dove mai i giornalisti occidentali erano stati.

Al Qatrum, la sbarra di confine tra Libia e Niger. Quaranta chilometri di terra di nessuno. Eravamo in jeep di “Stato”. Da Sebha, la capitale del Fezzan, quattro, cinque ore di dune, pietrisco, oasi e palme. Gli autisti erano in grado di guidare senza perdersi mai solo seguendo le stelle. Roba da non crederci se non fosse che l’abbiamo vissuta in prima persona.

Al Quatrum è un gruppo di edifici bassi, una caserma, un cortile con dentro scheletri di jeep, di pick up. Diversi “irregolari”, ragazzi senza passaporti arrivati dai Paesi Subsahariani. Il confine, la postazione militare con un cannocchiale per scrutare l’orizzonte. Ricordo a memoria il racconto sui Caronte del deserto: “Intanto i pick up hanno gli ammortizzatori rafforzati con pali di legno. Gli autisti, che poi sono dipendenti di trafficanti senza scrupoli, caricano la loro “merce” che per rendere sempre più lucroso viaggiano in piedi e i rigidi ammortizzatori, appunto, rendono il viaggio molto rischioso.

Come sui barconi in mezzo alla tempesta che si rovesciano o poveri disgraziati che senza accorgersene cadono in acqua, così nel deserto il rischio è di ritrovarsi sulla sabbia senza che l’autista si fermi per recuperare il viaggiatore. Ma spesso succede che i Caronte del deserto lascino i poveri disgraziati a chilometri di distanza da Sebha o da altre oasi di raccolta, snodi di viaggi. E con una damigiana d’acqua per tutti. E spesso i migranti muoiono per stenti e caldo. Ho visto video e fotografie raccapriccianti. Corpi senza vita sommersi di sabbia.

Non ci sono solo i naufragi, corpi annegati. La tragedia dell’immigrazione è fatta anche di vite spezzate durante una interminabile odissea. Si muore anche attraversando il deserto.

Da - http://lastampa.it/2013/10/28/esteri/pick-up-con-gli-ammortizzatori-di-legno-cos-si-muore-nel-deserto-del-niger-teXUFzDs9EJ7BCiUAGTlfN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - L’onore ritrovato della Cancellieri (Lei faccia tosta noi fessi)
Inserito da: Admin - Novembre 20, 2013, 11:59:39 am
Politica
20/11/2013 - personaggio

L’onore ritrovato della Cancellieri

Oggi andrà a Montecitorio con un discorso “a testa alta” Ribadirà quanto detto: non ho mai mentito

Guido Ruotolo
ROMA

Dunque, finalmente è arrivato il giorno della verità. Annamaria Cancellieri ha limato fino a tarda sera il discorso che farà ai deputati, aspettando che il gruppo del Pd della Camera discutesse e prendesse una decisione, prima di licenziare il testo. E chiederà la rinnovata fiducia per poter riformare la giustizia, a partire dalle carceri.

Ben consapevole, per tutto il giorno, che la decisione del gruppo Pd sarebbe stata sofferta. Che i proclami e gli ultimatum di Matteo Renzi erano autorevoli e influenti. E quindi che la sua sorte sarebbe stata incerta fino all’ultimo.

È dovuto scendere in campo a difenderla il presidente del Consiglio, Enrico Letta, di ritorno dalla devastata Sardegna. Ieri mattina era stato lo stesso premier ad annunciarlo al ministro: «Penso che dovrò andare alla riunione stasera».

Si è speso Letta, si era già pronunciato l’altro giorno il Quirinale. E nel suo discorso il ministro di Giustizia ricorderà quello che aveva già detto alle Camere il 5 novembre, e nella lettera di precisazione ai giornali. Chiarirà i suoi rapporti con i Ligresti, ammetterà di aver sbagliato a usare certi toni. Ma riaffermerà con forza di «non aver omesso di riferire circostanze rilevanti, e di non aver mentito al Parlamento».

Torna in un’aula parlamentare consapevole che il rapporto di fiducia con alcuni settori della sua maggioranza si è incrinato, in queste settimane. Che dovrà spiegare e convincere che le sue relazioni personali con un ramo della famiglia Ligresti, non hanno mai influito sulla sua attività di servitore dello Stato, prima come prefetto, poi come ministro. Che un rapporto di amicizia «è tale perché implica una frequentazione fatta anche di conversazioni e di contatti telefonici».

E non può non prendere atto con soddisfazione del «rammarico» della procura di Torino per la fuga di notizie dell’inchiesta e per le precisazioni che non c’era materia per indagarla. Dovrebbero riflettere i «colpevolisti» che questo riconoscimento arriva a scoppio ritardato, dopo che un ministro si è sentita vittima (lo è stata) di un processo mediatico senza potersi difendere perché gli elementi dell’accusa non erano neppure stati depositati alle parti.

Ma il fatto che oggi il fascicolo senza capi d’imputazione o nomi di indagati sia arrivato a Roma, è di per sé un’assoluzione piena. Il ministro di Giustizia entrerà a Montecitorio a testa alta, con «l’onore ritrovato», guardando i parlamentari negli occhi, e con un ruolo improprio di cronista, ripercorrerà le ultime vicende della sua storia.

Conoscendola, qualche sassolino dalle scarpe sarà tentata di togliersi. E punterà, soprattutto, a sintetizzare il programma che vuole continuare a realizzare, chiedendo ai deputati una rinnovata fiducia. 

Torna a casa guardando la sua agenda. Domani, cioè oggi, deve incontrare una delegazione francese, alle tre del pomeriggio. Sarà così costretta a saltare la fisioterapia. Sempre che la Camera respinga la mozione di sfiducia dei Cinque stelle. 

Da - http://lastampa.it/2013/11/20/italia/politica/lonore-ritrovato-della-cancellieri-oggi-andr-a-montecitorio-con-un-discorso-a-testa-alta-2GSCR86fRtUGjKoFZhFWJL/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Forconi, il Viminale preoccupato “Non si capisce con chi parlare
Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2013, 06:31:05 pm
Cronache
11/12/2013 - retroscena

Forconi, il Viminale preoccupato “Non si capisce con chi parlare”
Oggi la tensione potrebbe spostarsi nella Capitale. Alfano va in Parlamento
Sciopero forconi, Roma: qua c’è
Forconi occupano le stazioni di Genova e Imperia

Guido Ruotolo
Roma

Andrà in Parlamento, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per riferire sugli scontri di Torino, le occupazioni dei binari dei treni, i presidii degli snodi di traffico, caselli, rotonde, piazze. E poi sulle saracinesche costrette a rimanere abbassate. E su una protesta che a macchia di leopardo si sta estendendo con il passare delle ore. Intere città assediate, come Andria, Trani, Barletta.

Intanto, dopo aver convocato un vertice con le forze di polizia, il ministro Alfano ieri sera è andato al Tg3 per ribadire che «non sarà consentito che le città vengano messe a ferro e a fuoco». Che «la legge va rispettata e la democrazia garantita».

Siamo al secondo giorno, anzi stiamo entrando nel terzo della protesta ed è come se invece di scemare per stanchezza la presenza dei cittadini sulle strade, questa presenza si alimenti con nuova linfa. Sempre di più una Babele di sigle, associazioni, forze politiche, ultras stanno riempiendo il catino della protesta. 

Adesso gli strizzano gli occhi ai Forconi anche Grillo e Berlusconi. Questa «strumentalità» certo non aiuta a raffreddare il clima, e questo infastidisce lo stesso Viminale. Qualsiasi manifestazione di gruppi, lavoratori di una fabbrica o cittadini contro Equitalia ormai a tutti gli effetti vengono considerate come promosse dai Forconi.

Per tutto il giorno si era temuto il peggio. Il Viminale seguiva con preoccupazione il bollettino di guerra lanciato da improbabili leader della protesta. Uno in particolare, Danilo Calvani, di Pontinia, Latina, si era spinto ad annunciare che sarebbero state rese note «iniziative eclatanti», che se il governo otterrà la fiducia in Parlamento, milioni di italiani avrebbero occupato la Capitale.
Insomma, si era temuto che oggi il movimento volesse assediare il Parlamento. Per questo il ministro aveva convocato al Viminale i responsabili delle forze dell’ordine mentre, per rassicurare sulla tenuta dell’ordine pubblico, faceva sapere che altri contingenti di uomini avrebbero raggiunto Torino.

Ma con una inusuale smentita a mezzo stampa, il fondatore dei Forconi, Mariano Ferro, faceva sapere che non era giunto ancora il tempo di andare a Roma, e che semmai il problema andrà posto nei prossimi giorni. 

Da una decina di giorni il Viminale si stava preparando alla protesta. Direttive e ordinanze avevano il compito di «dissuadere» i promotori dal prendere iniziative radicali come i blocchi stradali. Bruciavano ancora quelle due settimane di paralisi che i Forconi avevano inflitto alla Sicilia, due anni fa. 

Le informazioni dell’intelligence puntavano alla Sicilia, a Torino (dove avrebbero partecipato alla protesta anche i militanti di Fratelli d’Italia), e al Nord est. E segnalavano la partecipazione degli ultrà del Catania, dell’Atalanta e del Brescia (di sicuro a Torino hanno partecipato agli scontri anche gli ultrà del Toro e della Juve). Oltre a Forza Nuova e a Casa Pound.

Tutte previsioni azzeccate. Solo che in Sicilia è stato usato il pugno di ferro, nel senso che è stata vietata dalle questure qualsiasi forma di assembramento, mentre altrove sono stati consentiti presidii con trattori e tir. Con il risultato che i Forconi sono rimasti a casa mentre dalla Puglia al Veneto, dalla Liguria al Piemonte la cronaca ci ricorda che gli autisti di tir, camion o auto sono stati costretti a lunghissimi rallentamenti, code o addirittura blocchi.

Con l’aggiornamento dei presidi e l’attività di raccolta di informazioni il quadro che sta emergendo è che il fiume della protesta conosca una biforcazione. Da una parte c’è il «movimento» che segue le indicazioni del Coordinamento del 9 dicembre 2013. Un coordinamento che ha tenuto in queste settimane riunioni in giro per il Paese. Ma l’altra ansa del fiume è quella che si alimenta dello spontaneismo dei protestatari, dei militanti delle sigle del radicalismo di destra (Forza Nuova, Fratelli d’Italia, Casa Pound, Movimento sociale europeo), degli ultrà. E quest’ansa di fiume non è governabile. Al Viminale ne sono consapevoli. Convinti che al di là di Torino e Genova, al di là di qualche disagio degli automobilisti, «alla fine non è successo nulla». Sarà anche vero. Ma perché allora si guarda con timore ad oggi, alle possibili convocazioni di manifestazioni nella capitale?

Da - http://lastampa.it/2013/12/11/italia/cronache/forconi-il-viminale-preoccupato-non-si-capisce-con-chi-parlare-yaNkh2L6eGPzMji5R9RScI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Il “sequestratore” dei camilliani e quei dossier su politici e..
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2014, 10:20:22 pm
Cronache
07/01/2014 - personaggio

Il “sequestratore” dei camilliani e quei dossier su politici e manager
Oliverio è in carcere da novembre, ora spuntano tracce di ricatti e logge massoniche
Roberto Salvatore, ex superiore dei Camilliani, è stato arestato insieme al commercialista nei mesi scorsi

Guido Ruotolo
Roma

Riaffiorano prepotentemente i fantasmi di un passato che sembrava sepolto. Un passato fatto di ricatti, massonerie, imprenditori, faccendieri, pezzi delle istituzioni deviate, rapporti con la mafia. Che impressione che un quarto di secolo dopo la caduta del Muro di Berlino e le stragi mafiose del 1992-1994, che rappresentarono anche una sorta di catarsi delle istituzioni, che si liberarono di quei rapporti opachi e indicibili che avevano segnato quasi mezzo secolo di vita della Repubblica, una inchiesta della procura di Roma scopra l’esistenza di una moderna centrale dove convergono diversi interessi criminali e una gestione politica di dossieraggi e ricatti. Ben altro delle recenti P3 o P4, che pure hanno fatto scalpore.

Ricordate il commercialista Paolo Oliverio? Fu arrestato agli inizi di novembre insieme a due Fiamme Gialle e soprattutto all’allora Superiore generale dell’Ordine religioso dei Camilliani, Renato Salvatore, per avere organizzato un sequestro, o meglio un (finto) interrogatorio presso una caserma della Finanza di due confratelli dell’Ordine, grandi elettori però di un candidato alternativo a Renato Salvatore. I due nel giorno delle votazioni furono fatti sparire con la scusa di essere interrogati per garantire appunto il fallimento della scalata ai vertici dei Camilliani di padre Monks.

Ma l’inchiesta del pm romano Giuseppe Cascini era già in corso da tempo. L’episodio del sequestro di padre Antonio Puca e padre Rosario Messina, in realtà fu scoperto per l’attività di intercettazioni telefoniche e ambientali. Quello dei Camilliani, dunque, è solo un piccolo capitolo della grande inchiesta che vede Oliverio al centro di una organizzazione criminale. Il gip di Roma continua a tenerlo in carcere, Paolo Oliverio, condividendo le preoccupazioni del pm Giuseppe Cascini. L’impressione è che Oliverio abbia messo in piedi un’industria del ricatto. Quando gli investigatori perquisirono il suo ufficio, il commercialista quasi li pregò di lasciare stare computer, tablet, smartphone e pen drive. «Non li aprite - li esortò - che qui vien giù l’Italia». Ma ora quel «tesoro» nascosto nelle memorie informatiche si sta rivelando un pozzo dal cui fondo riaffiorano fantasmi del passato.

Hanno trovato persino un software per fare intercettazioni insieme a un archivio informatico impressionante. Chi intercettava e per conto di chi, il commercialista Oliverio? Tra i file clonati dai supporti informatici sequestrati al commercialista, veri e propri «report» su politici, imprenditori, forze dell’ordine. Per conto di chi venivano redatti i report? Erano strumenti di ricatto? A cosa servivano?

Nell’inchiesta su Paolo Oliverio si trovano tracce di uomini dei servizi segreti, relazioni altolocate con vertici della Finanza e delle forze dell’ordine. E con prelati e imprenditori (c’è anche Paolo Berlusconi). E divi della massoneria deviata che fu, come Flavio Carboni, suo figlio Marco, la banda della Magliana attraverso Diotallevi.

Un bello spaccato sociologico del potere, della faccia oscura del potere. Nella rappresentazione che i magistrati fanno dell’organizzazione criminale, si fa riferimento alla sua capacità di «forte condizionamento della pubblica amministrazione attraverso ricatti, attività di dossieraggio e finanziamento illecito della politica grazie alla partecipazione nelle attività criminali dell’organizzazione, di esponenti della ’ndrangheta calabrese, della Banda della Magliana e logge massoniche coperte».

Nelle carte del pm Cascini viene fuori con chiarezza che un aspetto centrale dell’inchiesta è quella sul riciclaggio della mafia calabrese, la ’ndrangheta, nella capitale attraverso il reimpiego in «ristoranti, bar, beni immobili». E che Oliverio ha rapporti diretti con la ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Gli dice un mediatore il cui nome è secretato: «Amico amico di amici miei ti sei fatto stasera, sei diventato amico hai visto? Ti ha invitato a cena. È un senso di rispetto. Pure a casa sua e non al ristorante».

C’è da giurare che questa inchiesta riserverà molte clamorose sorprese. Emergono, secondo le informative del Gico della Finanza, i rapporti di Oliverio con vertici di Equitalia in grado di orientare le verifiche fiscali. Il commercialista si interessa agli sviluppi dell’inchiesta napoletana su Finmeccanica. E ha rapporti molto stretti con un personaggio a sua volta legato al senatore Sergio De Gregorio, Giuseppe Joppolo, al quale garantiva rapporti con i vertici delle forze armate, dei servizi e delle forze dell’ordine. 

Da - http://lastampa.it/2014/01/07/italia/cronache/il-sequestratore-dei-camilliani-e-quei-dossier-su-politici-e-manager-U7hzYjVdQ1VMiGbsIWDcaM/pagina.html


Titolo: RUOTOLO - De Girolamo: voleva favorire una ditta che aveva sponsorizzato il PdL
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2014, 04:35:30 pm
politica
14/01/2014

Caso De Girolamo: voleva favorire una ditta che aveva sponsorizzato il Pdl
Depositata la trascrizione di conversazioni registrate in casa del ministro delle Politiche Agricole nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della Asl di Benevento


Guido Ruotolo

Il legale di Felice Pisapia, ex direttore amministrativo della Asl di Benevento, ha depositato la trascrizione di conversazioni registrate in casa del ministro Nunzia De Girolamo. Il deposito è avvenuto nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, chiamato a pronunciarsi sull’istanza di revoca dell’obbligo di dimora nei confronti del manager, nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della Asl di Benevento. 

Gli atti depositati riguardano in particolare la vicenda dell’appalto triennale per il servizio del 118. Nelle trascrizioni già depositate alla procura di Benevento il ministro Nunzia de Girolamo e i suoi interlocutori della Asl avevano espresso l’intenzione di favorire una ditta che aveva sponsorizzato il congresso provinciale del Pdl, penalizzando un’altra ditta che si sarebbe vista ritardare alcuni pagamenti. Nelle prossime ore il riesame dovrà decidere sulle misure di custodia cautelare degli indagati.

Da - http://lastampa.it/2014/01/14/italia/politica/caso-de-girolamo-voleva-favorire-una-ditta-che-aveva-sponsorizzato-il-pdl-twGSPingp6RlYgtnHNOkgI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - “Lavori di ristrutturazione abusivi”
Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2014, 12:24:13 pm
politica
13/01/2014 - le carte dell’inchiesta

“Lavori di ristrutturazione abusivi”
Il bar della cugina verso la chiusura
Il locale nell’ospedale di Benevento fu oggetto delle presunte pressioni fatte dal ministro

Guido Ruotolo
Inviato a Benevento

Il sindaco Fausto Pepe anticipa: «Molto probabilmente domani mattina (stamani, ndr) firmerò una ordinanza di chiusura del bar. Abbiamo accertato che sono stati eseguiti lavori abusivi in assenza di un parere della Sovrintendenza. I gestori del bar avevano presentato una autocertificazione infondata, che sarà posta all’attenzione della Procura della repubblica per gli evidenti profili penali».

Un brutto colpo per il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo. Il bar della cugina, aperto nella struttura ospedaliera del Fatebenefratelli, stava molto a cuore alla futura ministra. In uno scampolo di discussione registrata da un indagato, Felice Pisapia, a casa del padre della ministra, Nunzia De Girolamo non è stata tenera: «Stronz.. quelli del Fatebenefratelli... facciamogli capire che un minimo di comando ce l’abbiamo... mandagli i controlli e vaffanc...».

Ora, tutte le pieghe della vicenda sono al vaglio della magistratura. E c’è da scommettere che le sorprese, nella prossime ore, non mancheranno. Se a Roma la «politica» prova a difendere la ministra denunciando le registrazioni delle riunioni come un atto abusivo e illegale (ministro Alfano), e comunque annunciando (Nunzia De Girolamo) che (la ministra) non è indagata, negli studi legali di Benevento, affollati anche di domenica mattina, si fa spallucce. Non convince la linea Maginot tracciata dalla difesa De Girolamo.

«Non è una intercettazione abusiva - sostiene l’avvocato Enzo Regardi - ma una registrazione di una conversazione tra presenti ed è uno strumento di prova». Tredici pagine, quelle depositate (per errore) dalla Procura. L’avvocato Regadi che difende il principale indagato della inchiesta su una serie di truffe all’Asl di Benevento, Felice Pisapia, capo Servizio bilancio della Asl cittadina, domani depositerà al Riesame di Napoli, competente per decidere sulle misure cautelari personali, altre quattrocento pagine di trascrizione di due riunioni a casa del padre della ministra De Girolamo, presenti i vertici della Asl, la futura ministra, i suoi collaboratori.

Esplicita criticamente il gip Flavio Cusani: «Dall’esame del fascicolo trasmesso dal pm, emerge che non tutti gli atti di indagine risultano essere stati trasmessi a questo gip con la richiesta in esame, avendo il pm provveduto a tenerne riservati alcuni (di cui è rimasta però traccia fra gli atti trasmessi), evidentemente non strettamente conferenti ai fatti per i quali richiede l’applicazione di misure cautelari».

In realtà, l’avvocato Regardi ad una Procura impaurita - e bene inserita nella società civile beneventana con mogli, mariti e parenti nelle professioni (da avvocati a tecnici) che vivono di incarichi e consulenze da parte delle amministrazioni pubbliche - aveva depositato le trascrizioni complete delle due riunioni, ma con una scelta «discutibile», secondo la difesa di Pisapia, non le ha messe a disposizione delle parti. 

Non è l’unica «stranezza» di questa inchiesta, perché nella stessa ordinanza di custodia cautelare contro Pisapia e rappresentanti di società e aziende, emerge una dialettica molto accentuata tra pm e gip. Lo «spessore delinquenziale» di Pisapia non intimorisce la Procura che si limita a chiedere al gip soltanto l’obbligo di dimora mentre chiede e ottiene i domiciliari per gli altri indagati.

Ma c’è un passaggio del gip nella sua misura che lascia ipotizzare che la mannaia della giustizia sia destinata ad abbattersi contro quel «ristretto direttorio politico-partitico» che governa la Asl.

Ininfluente la proclamazione di innocenza della ministra («Non sono indagata»), perché quel «direttorio», «costituito al di fuori di ogni norma di legge», è composto da «componenti esterni all’amministrazione». È un direttorio politico che ha fatto riferimento al Pdl. A Nunzia de Girolamo e ai vertici Asl da lei indicati.

La vicenda del bar, dell’appalto del 118, e poi una quarantina di consulenze esterne. Storie affiorate in questi giorni di «clamore mediatico». Per l’appalto del 118 il direttorio aveva deciso di farlo vincere a una ditta che aveva sponsorizzato il congresso del Pdl, danneggiando le ditte che non erano sostenute. 

Un superteste, Arnaldo Falato, mette a verbale: «Il direttore generale Rossi mi disse che la gara del 118 doveva essere bloccata assolutamente». Rossi è quello che dalla registrazione della riunione a casa De Girolamo, pronuncia lo scioglilingua: «Nunzia io non resterei un secondo di più qui all’Asl se non per te e con te; perché la nomina l’ho chiesta a te, tu me l’hai data ed è giusto che ci sia un riscontro».

Da - http://www.lastampa.it/2014/01/13/italia/politica/lavori-di-ristrutturazione-abusivi-il-bar-della-cugina-verso-la-chiusura-82TNc9EQJpiqA4eYxwL4WI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - La Dama Bianca e la coca. - Forse una talpa in Procura
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2014, 12:15:20 pm
CRONACHE ITALIANE

16/03/2014 - Federica Gagliardi, ARRESTATA con 24 chili di droga, si trova in carcere
La Dama Bianca e la coca
Forse una talpa in Procura
Nervosismo tra gli investigatori, la notizia non doveva uscire

Guido Ruotolo
Roma

La «Dama Bianca», al secolo Federica Gagliardi, sicuramente è una pedina importante dell’organizzazione internazionale di trafficanti di stupefacenti a cui dà la caccia la procura di Napoli. Il carico che trasportava, il fatto che già altri «corrieri» fossero stati bloccati nei mesi scorsi, porta gli inquirenti napoletani a giudicare appunto Federica Gagliardi sicuramente non come un occasionale corriere.

Ma gli inquirenti adesso devono sciogliere un dubbio, un sospetto che rende il clima nervoso: ci sono talpe all’interno degli apparati che hanno di proposito voluto «bruciare» l’inchiesta, oppure si è trattato di un cortocircuito di comunicazione tra la Procura e la Finanza?

In ogni caso, «non doveva uscire la notizia che l’inchiesta era appunto della Procura di Napoli». Un conto è se il «corriere» viene fermato durante controlli di routine all’uscita dall’aeroporto e comunque se a procedere è Fiumicino stessa. Un altro, se l’arresto in flagranza di reato viene fatto dalla polizia giudiziaria di Napoli che ha ritenuto di non aspettare che il «corriere» consegnasse il trolley e lo zainetto con i panetti di coca all’organizzazione.

È come se in questo modo si fosse voluto avvisare i broker che erano in corso intercettazioni ambientali e telefoniche o, peggio, che c’era una talpa tra di loro. È ovvio, infatti, che l’arresto della «Dama Bianca» non è stato casuale. E non è neppure il primo sequestro di un carico di cocaina. Di certo, però, fanno capire in Procura a Napoli, la quantità di «polvere bianca» trasportata da Federica Gagliardi è molto significativa, nel senso che non può essere affidata al «primo corriere che capita».

Sono ormai passati tre giorni da quando è finita nel carcere di Civitavecchia la donna che partecipò, nel 2010, alla delegazione guidata dal premier Silvio Berlusconi al G20 di Toronto prima e poi alle missioni in Brasile e a Panama. Il suo avvocato, Nicola Capozzoli, conferma che finora si è tenuta soltanto l’udienza di convalida del fermo del gip di Civitavecchia, dove la sua assistita si è avvalsa della facoltà di non rispondere. E che martedì tornerà ad incontrarla nel carcere di Civitavecchia per concordare una strategia difensiva. Nessun segnale, infine, di convocazione dai pm di Civitavecchia o di Napoli per le prossime ore.

È evidente che la procura di Napoli sapesse perfettamente quando la «Dama Bianca» sarebbe sbarcata a Fiumicino. Non solo, conosce anche il suo interlocutore interno all’organizzazione internazionale che traffica cocaina con il Sudamerica. E con il passare delle ore si conferma l’intuizione investigativa sull’esistenza di complici sui quali l’organizzazione poteva contare all’interno degli aeroporti di Caracas, in Venezuela, e a Fiumicino. Perché il trolley e lo zainetto carichi di panetti di cocaina non sarebbero passati comunque inosservati.

Da - http://lastampa.it/2014/03/16/italia/cronache/la-dama-bianca-e-la-coca-forse-una-talpa-in-procura-68zwBLoZmQm4J4KSDD9BHL/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Cosentino, quella famiglia clan negli intrecci criminali Gomorra
Inserito da: Admin - Aprile 04, 2014, 04:47:50 pm
Cronache
03/04/2014

Cosentino, quella famiglia clan negli intrecci criminali Gomorra
Dall’ascesa dalla Dinasty all’alleanza con gli Zagaria, fino alle manette

Guido Ruotolo

Mai come questa inchiesta racconta un pezzo di quella società “familistica amorale” che i sociologi hanno coniato negli anni Sessanta. Qui stiamo parlando della Dinasty Cosentino in terra di Gomorra. Una famiglia che si rispetta, che ha la sua proiezione imprenditoriale le cui origini sono molto nebulose, l’interfaccia politico e quello criminale.

Verrebbe da dire più che di fronte al Padrino ci troviamo di fronte ai Soprano.

Concorrenza sleale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo camorrista. Questa è l’accusa della Procura antimafia di Napoli. Forse dopo anni di letteratura sui Casalesi e Gomorra, questa inchiesta risistema nelle giuste caselle ogni protagonista. 

La famiglia Cosentino, innanzitutto. Un clan tra i clan che ha dalla sua la forza imprenditoriale, le relazioni sociali e politiche. E che quando ha bisogno, come in questo caso, di convincere un concorrente a desistere, fa intervenire l’ala militare del sistema Gomorra, i fratelli Zagaria. La politica continua a trovarsi su un gradino superiore rispetto ai Casalesi. 

Nicola Cosentino si è sempre difeso negando le verità dei collaboratori di giustizia. Mai però poteva pensare che il sangue del suo sangue, i fratelli si tradissero ammettendo in intercettazione ambientali e telefoniche di poter sfruttare le relazioni con Gomorra in prima persona.
 
«Sono scappato da Casal di Principe per non far crescere i miei figli in quell’ambiente», disse una volta l’ex sottosegretario all’Economia. Aveva paura di guardarsi dentro, Nicola Cosentino. Di negare, i vincoli di parentela di suoi fratelli con boss e famiglie di camorra. E di ammettere che il suo potere politico condizionasse gli appalti e gli affari della impresa di famiglia, l’Aversana Petroli.

Adesso, chi in passato ha gridato alla persecuzione politica, avrà modo di ricredersi. 

DA - http://lastampa.it/2014/04/03/italia/cronache/cosentino-quella-famiglia-clan-negli-intrecci-criminali-gomorra-OBLKZmsbEyw4HtznKCYc0I/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Caso Scajola, spuntano altri politici di Forza Italia
Inserito da: Admin - Maggio 16, 2014, 06:31:59 pm
Cronache
16/05/2014 - Oggi l’interrogatorio
Caso Scajola, spuntano altri politici di Forza Italia

Guido Ruotolo
Reggio Calabria

E oggi sapremo se davvero, nelle carte sequestrate agli indagati gli investigatori hanno trovato non solo conferme alle loro ipotesi - di una organizzazione criminale che ha favorito l’ex parlamentare forzista Amedeo Matacena, condannato a 5 anni per collusione con la ’ndrangheta, a nascondere i suoi beni e a evitare la detenzione - ma nuovi elementi di accusa. Insomma, se oggi a Regina Coeli la Procura di Reggio Calabria formulerà nuove contestazioni, nel corso dell’interrogatorio, all’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. 

Vigilia di interrogatorio. Il clima è teso. Si fa grande confusione nel tentare di mettere a loro posto tutte le tessere del mosaico di questa complicata, complessa, sconvolgente (per gli sviluppi che potrebbe avere) inchiesta. E già, Breakfast è una indagine contenitore sul riciclaggio della cosca De Stefano (i paesi interessati vanno dalla Francia alla Liberia) che, nel tempo, si è trovata a «dover rileggere» una intera stagione dei rapporti (cementati da vincoli massonici) tra ’ndrangheta (e Cosa nostra), politica e apparati. 

Addirittura, è tema di inchiesta, si stanno riesaminando due attentati ai carabinieri dell’inizio degli Anni Novanta che potrebbero essere interpretati come un contributo della ’ndrangheta alla offensiva stragista dei Corleonesi. E anche il fascicolo del processo sull’omicidio del giudice di Cassazione Giuseppe Scopelliti potrebbe essere riaperto. 

Naturalmente Scajola con tutto questo, con le stragi di Cosa nostra, non c’entra nulla. Solo che anche lui farebbe parte - è l’ipotesi che la Procura vuole verificare - di una «organizzazione criminale segreta», per dirla con le carte ufficiali di questo filone di indagine su Matacena, in rapporto con la ’ndrangheta.

E tracce di questa «organizzazione criminale segreta», della quale farebbe parte anche Vincenzo Speziali (l’italiano residente in Libano che secondo gli investigatori avrebbe avuto rapporti anche con Gianpi Tarantini, l’uomo al centro dello scandalo escort di Berlusconi) la Procura di Reggio le ha già trovate a Milano, in via Durini 16, nello studio «Mgim» del vecchio cassiere neofascista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), Lino Guaglianone. In questo studio il consulente legale Bruno Mafrici si è ritrovato indagato per riciclaggio con il cassiere della Lega, Francesco Belsito, che iniziò la sua carriera facendo da autista all’ex Guardasigilli liberale transitato in Forza Italia, Alfredo Biondi. Ed è ancora tutto da scrivere il possibile coinvolgimento nella inchiesta madre di altri esponenti politici di Forza Italia e del centrodestra.

Da - http://lastampa.it/2014/05/16/italia/cronache/caso-scajola-spuntano-altri-politici-di-forza-italia-35ZoYDQdCuAFj8Ef9GqqmN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Renzi: via i ladri dalle istituzioni.
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2014, 07:31:37 pm
Cronache
06/06/2014 - politica e affari

“Un Daspo per i politici corrotti”
Renzi: via i ladri dalle istituzioni.
Oggi le norme per non rallentare i lavori Expo, ma slittano quelle sull’anti corruzione

Guido Ruotolo
Roma

L’immagine del Daspo ai politici è senza dubbio forte. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non fa mistero che non intendere concedere sconti a nessuno: «Il punto centrale è garantire che chi viene condannato non torni più ad occuparsi della cosa pubblica con un meccanismo di Daspo. 

Personalmente un politico che viene indagato per corruzione lo indagherei per alto tradimento perché chi prende delle tangenti tradisce il mandato, l’onore sul quale aveva giurato».

Fa sul serio, il premier Renzi. Che forse diffida di questo plebiscito a favore dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, come se lo stesso potesse disporre di una bacchetta magica che d’incanto cancelli la corruzione. Dice ancora Renzi: «Il problema della corruzione sono i ladri, non le regole che ci sono e che non si rispettano». 

Da Bruxelles il presidente del Consiglio annuncia: «Sicuramente interverremo nelle prossime ore, nei prossimi giorni sul tema degli appalti pubblici, dell’Autorità nazionale anticorruzione e di interventi specifici». Nel ddl anticorruzione, ribadisce il ministro Andrea Orlando, verrà poi «introdotto il reato di autoriciclaggio» e sarà «rivista la disciplina del falso in bilancio».

E dunque, a quasi un mese dalla «missione» milanese (12 maggio scorso) del premier e di Cantone per lanciare l’offensiva dell’Anticorruzione può sembrare un colpo di freno la decisione che neppure oggi, a Palazzo Chigi, si discuterà e si approverà il decreto Cantone, che dovrebbe affidare nuovi poteri di controllo all’Autorità per Expo 2015, né si procederà alle quattro nomine che devono riempire le caselle vuote della stessa Autorità (un nervo scoperto perché i nomi dei candidati non sono apprezzati da tutti i «soggetti» consultati).

In realtà oggi, a meno di ripensamenti della notte, si discuterà un intervento - probabilmente un decreto legge - che «affronterà le criticità contrattuali» che rischiano di far saltare la scadenza dell’aprile prossimo, quando dovranno essere consegnate le opere di Expo 2015. E dunque un provvedimento molto importante per la riuscita di questo appuntamento internazionale.


Chi lascia filtrare i contenuti del provvedimento d’urgenza che dovrebbe essere portato oggi al Consiglio dei ministri cita l’esempio dell’Ilva di Taranto: «Di fronte a provvedimenti giudiziari della magistratura di Taranto che rischiavano di vanificare ogni prospettiva di futuro del centro siderurgico, il governo è intervenuto con un decreto legge poi riconvertito dal parlamento».

Ecco, oggi Palazzo Chigi dovrebbe varare un provvedimento che neutralizza i contenziosi contrattuali che potrebbero rallentare i lavori di Expo 2015.

Nello stesso tempo sta prendendo corpo un intervento legislativo più organico sui poteri d’intervento dell’Autorità nazionale anticorruzione. Al senatore Pd Massimo Mucchetti che si interroga sulla sintonia tra Renzi e Cantone a proposito dei lavori delle grandi opere, con il presidente del Consiglio che sostiene la «priorità dell’esecuzione delle opere che si ritengono utili», e Cantone che invece ipotizza anche la «revoca degli appalti alle imprese inquisite», precisa la stessa Autorità nazionale anticorruzione: «Nella legge Severino è prevista la clausola che consente la revoca se si verifica un fatto di corruzione. Mi auguro che questa clausola venga applicata».

E quindi nessun contrasto con Renzi, lascia intendere Cantone. Ma è fuori discussione, come annota il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, che il problema è uno: «Fronteggiare i reati qui e oggi come si presentano. E completare la normativa Severino che funziona sulla prevenzione ma ha qualche lacuna sulle sanzioni».

Da - http://lastampa.it/2014/06/06/italia/cronache/un-daspo-per-i-politici-corrotti-KsDSuFo2t1vO0KmDqRbS2H/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Indagato a Napoli il generale Bardi comandante in seconda...
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2014, 07:18:40 pm
Cronache
11/06/2014

Indagato a Napoli il generale Bardi comandante in seconda della Finanza
L’ipotesi di reato è corruzione.
A Livorno in manette il colonnello Mendella.
La Procura: “Tangenti per un milione di euro per evitare le verifiche fiscali”

Guido Ruotolo

Il colpo è tremendo. Ha lo stesso effetto di quel terremoto che con Mani pulite svelò, luglio 1994, un mondo di finanzieri corrotti. Ricordate il generale Cerciello e i suoi 21 casi di corruzione accertata? Quella fu la punta di un iceberg che riaprì una ferita che sembrava rimarginata, quella delle fiamme gialle della P2, dello scandalo Petroli, siamo negli anni Settanta, che vide coinvolti i generali Giudice e Lo Prete. Ora, il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza, sarebbe indagato per un’ipotesi di corruzione, per vicende collaterali, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli che ha portato all’arresto dell’attuale Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, Fabio Massimo Mendella, e del commercialista napoletano Pietro De Riu. 

LE MAZZETTE 
Dalle carte dell’indagine emergerebbe che oltre un milione di euro è stato versato al professionista campano, tra il 2006 e il 2012, da imprenditori napoletani, su richiesta di Mendella, allora responsabile del settore Verifiche e accertamenti del comando delle Fiamme Gialle di Napoli, per evitare controlli fiscali. I pm Piscitelli e Woodcock hanno disposto una perquisizione nel comando generale della Gdf a Roma, in via XXI Aprile a Roma. In particolare, una delle perquisizioni è stata eseguita proprio nell’ufficio del generale Vito Bardiil generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di finanza viene indagato per corruzione dai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcook. 

COSI’ GLI IMPRENDITORI ELUDEVANO I CONTROLLI 
Nell’ordinanza, le ipotesi di reato contestate sono di concorso in concussione per induzione e rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo le indagini della sezione reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Napoli, il commercialista Pietro De Riu faceva da tramite con Mendella, incassando somme di denaro da i due fratelli, imprenditori napoletani della società «Gotha s.p.a.», che eludevano in tal modo i controlli. Dal Comando di Napoli Mendella era poi stato trasferito a Roma: nell’occasione la holding, oggetto di una verifica pilotata eseguita dall’ufficio coordinato dal colonnello Mendella, avrebbe trasferito la propria sede legale a Roma. Le indagini sono ancora in corso, condotte dalla Digos di Napoli, con il contributo della Direzione centrale di Polizia criminale, del Comando Provinciale e del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma. 

 LA P4 E BISIGNANI 
Il generale Vito Bardi era già stato indagato nel 2011 con le accuse di favoreggiamento e rivelazione di segreto nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4. L’anno successivo, tuttavia, la sua posizione fu archiviata dal gip su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Al centro dell’indagine era l’ex deputato del Pdl Alfonso Papa, per il quale ora è in corso il processo. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’ex parlamentare riceveva notizie coperte da segreto su indagini in corso e se ne serviva per ricattare alcuni imprenditori dai quali riceveva così denaro o altre utilità. Nell’inchiesta era coinvolto anche l’uomo d’affari Luigi Bisignani che ha patteggiato la pena. 

LA MACCHIA SUL CORPO DELLA GDF 
Va detto che mentre per l’attuale comandante provinciale della Finanza di Livorno Mandella i magistrati napoletani sono convinti di avere elementi solidi di accusa, tanto che hanno ottenuto la misura cautelare, per Bardi si è ritenuto sufficiente, in questa fase della indagine, procedere soltanto alla perquisizione dei suoi uffici, al Comando generale. Bisogna dunque aspettare. Ma intanto per la Finanza, protagonista in questi mesi di eccellenti attività di indagini, il caso Bardi è una macchia di fango ingiusta, che non merita di avere.

Da - http://lastampa.it/2014/06/11/italia/cronache/indagato-a-napoli-il-generale-bardi-comandante-in-seconda-della-finanza-Wua07GCKqn3llgbgrmA6eI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Emergenza sbarchi. Entro Ferragosto saranno oltre 100mila
Inserito da: Admin - Agosto 06, 2014, 04:24:05 pm
Emergenza sbarchi. Entro Ferragosto saranno oltre 100mila
In Libia è saltato tutto: prenotazioni a tre mesi per partire
Solo ieri sulle navi di Mare nostrum sono stati trasbordati 4529 immigrati che viaggiavano su carrette del mare

06/08/2014
Guido Ruotolo
Roma

Centomila. Tra pochi giorni, tra poche ore questa soglia sarà superata. Sicuramente prima di Ferragosto, che qualcuno pensava che avrebbe rappresentato un giro di boa, la fine della emergenza. Erano 90.879 ieri mattina alle otto, gli irregolari sbarcati in Italia, gran parte dei quali con i titoli per chiedere protezione umanitaria, asilo politico. Solo in un giorno, stiamo parlando di lunedì, ne sono arrivati in tutto 1466. 

Ma ieri, e siamo a martedì, sulle navi di Mare nostrum ne sono stati trasbordati altri 4529, che scenderanno dai mezzi della Marina militare o dai natanti della Guardia costiera che attraccheranno nei porti italiani tra oggi e domani. In tutto, 95.405 tra uomini, donne e bambini. Dunque, solo poco meno di cinquemila devono arrivare entro la prossima settimana per superare quella fatidica soglia dei centomila. 

Le notizie che arrivano dalla Libia sono drammatiche. Sono talmente in tanti che vogliono salpare per l’Italia, che i Caronte del Mediterraneo sono costretti a prendere le prenotazioni a tre mesi.

E dunque, di quanto ancora si alzerà la linea Maginot degli sbarchi? Qual è a questo punto la soglia invalicabile, o meglio oltre la quale il Paese rischia di non riuscire a gestire il problema?

Nessuno azzarda ipotesi. Naturalmente se la situazione libica dovesse stabilizzarsi la situazione potrebbe sbloccarsi, e un segnale di speranza arriva in queste ore dalla conferma che si è tenuta a Tobruk la prima seduta del nuovo Parlamento, presenti 158 deputati su 188, che ha eletto Ageela Salah Issa Gwaider suo presidente. Ma bisogna essere molto ottimisti per sperare che la svolta arrivi in poche settimane, che le milizie vengano disarmate e le coste pattugliate.

Intanto nessuna stima è possibile ottenere in queste ore, nessuna fonte ufficiale è in grado di rispondere alla domanda su quanti irregolari sbarcati in queste settimane si trovano ancora in Italia. Il buon senso fa sussurrare una percentuale ipotetica: «Se dovessimo seguire un certo discorso tenendo conto delle nazionalità, allora - spiega un esperto di flussi migratori - il 60% o anche il 70% di questi irregolari arrivati in Italia dal primo gennaio ad oggi, ha già lasciato il Paese per raggiungere l’Europa del Nord, la Svezia, la Norvegia, la Germania».


Il calcolo è presto fatto. Al momento dello sbarco, in 25.374 hanno dichiarato di essere eritrei, 16.868 siriani, 3190 somali. Un parziale pari al 50% degli sbarchi. E altre migliaia sono sempre di quelle nazionalità che puntano a raggiungere parenti e amici che sono emigrati negli anni scorsi nei Paesi del Nord Europa.

Dalla frontiera di Ventimiglia, le autorità francesi in questi primi sette mesi del 2014 ci hanno riconsegnato 3682 irregolari colti in fragranza di trasferimento dall’Italia in Francia. Viceversa, noi abbiamo restituito ai francesi 203 irregolari che volevano entrare in Italia.

Insomma, numeri che confermano che il nostro è soprattutto un Paese di transito. Un errore l’hanno commesso i francesi nel riportare (93.700) i numeri degli irregolari salvati da Mare nostrum. In realtà, dal 18 ottobre del 2013 fino a fine anno, sono stati trasbordati 4.623 irregolari, 60.354 dal primo gennaio di quest’anno fino a ieri. In tutto, gli immigrati salvati da Mare nostrum sono stati finora 64.977. 

Sicuramente i francesi hanno messo nel paniere dei salvataggi del nostro dispositivo di pattugliamento in mare anche i 1588 irregolari - per citare un caso - partiti dalla Turchia e dalla Grecia e sbarcati in Puglia o in Calabria.

C’è la rotta francese, e poi quella austriaca. E la Svizzera e la Slovenia. Tremila e passa quelli che volevano entrare in Francia, duemila in Austria, ottocento in Svizzera. È il fermo immagine dei primi 6600 irregolari arrivati in Italia e bloccati (solo nei primi sette mesi di quest’anno) alle frontiere dalle autorità di polizia degli altri Paesi confinanti che ce li hanno restituiti a fronte dei 1100 che noi abbiamo riconsegnato ai Paesi confinanti da dove erano arrivati gli irregolari. E già il problema che l’Europa fa finta di non vedere è che l’Italia non può affrontare da sola il fiume carsico dell’immigrazione.

Da - http://lastampa.it/2014/08/06/italia/cronache/emergenza-sbarchi-entro-ferragosto-saranno-oltre-mila-O3GXOsAxdWU3p1gvQuIfoI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Napoli crudele, che non ha pietà per i suoi figli
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2014, 04:52:40 pm
Napoli crudele, che non ha pietà per i suoi figli

05/09/2014
Guido Ruotolo

Napoli crudele, che non ha pietà dei suoi figli, di tutti i suoi figli. Anche di quelli maledetti. Napoli che non cresce mai, sempre “sanfedista“, sempre dalla parte dei “lazzaroni“. Dovremmo avere il coraggio di riconoscere che è una città senza classe dirigente. Senza testa e con poco cuore. Una città di pancia, che sa divorare se stessa. Non sappiamo ancora cosa sia accaduto realmente in via Cinthia, al rione Traiano, quello alle spalle dello stadio san Paolo. Davvero può essere stata fatalità, da quella pistola del carabiniere può essere partito accidentalmente un colpo. 

Rione Traiano. Case popolari alla fine degli anni Sessanta. Poi, anche l’Università (Monte Sant’Angelo) per darle una iniezione di cultura, di ceto medio intellettuale. Eterna città di cultura, lettere e scienza che non è mai stata in grado di imporsi, di fare pedagogia, di insegnare a quella Napoli sottoproletaria le regole della convivenza.

Rione Traiano, Soccavo, che scende in piazza e brucia le macchine della polizia. Non è la prima volta. È sempre accaduto. Le mamme di quei figli «che so’ piezze ’e core» sempre in prima linea per evitare che le creature siano catturate, che nascondano droga e armi.

Napoli bugiarda. Che sembra sempre pronta a riscattarsi e poi precipita all’indietro. In un burrone nero che la fa affondare nel tempo della disperazione e della violenza.

Da - http://lastampa.it/2014/09/05/italia/cronache/napoli-crudele-che-non-ha-piet-per-i-suoi-figli-2sj1IwWAICmAGaaKlRznrN/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - Mafia, così il governo “salva” la capitale
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2014, 11:14:11 pm
Mafia, così il governo “salva” la capitale
Conferire il mandato al prefetto è una scelta obbligata.
Ma la vita della Commissione d’accesso appare già segnata. E questo non aiuta a ridare credibilità alle istituzioni

09/12/2014
Guido Ruotolo

E alla fine ha preso la decisione di inviare la commissione d’accesso agli atti del comune di Roma. Entro novanta giorni la commissione arriverà alle conclusioni che poi il Consiglio dei ministri potrà accettare o respingere.

Scelta obbligata, quella del prefetto di Roma. E certo non aiuta l’opinione pubblica a ricredersi, ad avere fiducia nelle istituzioni e nella politica l’atteggiamento di questi giorni del governo, del sindaco, degli stessi vertici istituzionali e ministeriali.

Capiamoci, questa commissione - se crediamo alla legge - ha il compito di verificare fino a che punto Mafia capitale ha inquinato il Campidoglio. Se alcuni appalti, nomine, politiche di amministrazione sono state condizionate dai soldi e dai desiderata di Massimo Carminati. 

Non è un Tribunale la commissione d’accesso. Non ha bisogno di prove, dal punto di vista tecnico-giuridico, per condannare, per commissariare Roma. Ma se in questi giorni dal governo al ministro dell’Interno si sono tutti affannati a dire che «Roma non è marcia», lasciando intendere che le mele marce sono state arrestate e cacciate, la vita della commissione d’accesso è segnata.

Che Roma non si deve sciogliere, che Marino è un argine alla mafia lasciamolo dire a chi lavora per rendere sempre più la politica meno credibile. Le istituzioni si preparino anche a dover commissariare e sciogliere il comune di Roma. È una delle possibilità. Ovviamente non l’unica.

Da - http://www.lastampa.it/2014/12/09/italia/cronache/mafia-cos-il-governo-salva-la-capitale-v9TxGScwhVrPWMJlt2C1aI/pagina.html


Titolo: GUIDO RUOTOLO - L’Onu alla ricerca di una soluzione per pacificare la Libia...
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2015, 07:53:27 am
L’Onu alla ricerca di una soluzione per pacificare la Libia, dove la crisi rischia di degenerare
Per l’Italia l’urgenza del continuo sbarco di migranti, ma un paese “fuori controllo” è per tutti una “questione nazionale”

12/02/2015
Guido Ruotolo

Mercoledì, al massimo giovedì prossimo. A Ginevra. Attorno a uno stesso tavolo, Bernardino Leon, commissario Onu, riunirà le forze politiche e personalità indipendenti della Libia del dopo Gheddafi. Potrebbe essere un incontro decisivo per capire se ci potrà essere una prospettiva diversa per la Libia, se il Paese non sarà più «fuori controllo». L’incontro di ieri a Ghadames, l’oasi della Libia occidentale, al confine con l’Algeria e Tunisia, aveva solo un valore simbolico, sostanzialmente un segnale per i libici della Tripolitania. Nulla di più. Un breve incontro, un paio d’ore in tutto, e poi i negoziatori delle Nazioni Unite sono rientrati a Ginevra.

Si continua a navigare a vista, le trattative per la pacificazione portate avanti dal commissario delle Nazioni Unite Bernardino Leon, hanno conosciuto in queste settimane momenti di ottimismo ma anche di pessimismo. Nella comunità internazionale sta crescendo la consapevolezza che non c’è più molto tempo ancora a disposizione e, e che si sta avvicinando il momento in cui si dovrà prendere una iniziativa, insomma si dovrà intervenire. Per l’Italia, poi, l’urgenza delle decisioni è ancora più stringente. Per il problema del traffico di migranti, delle partenze di decine di migliaia di disperati che attraversano il Canale di Sicilia. Ma anche perchè una «Libia fuori controllo» può diventare un problema di sicurezza nazionale, per i rischi di possibili infiltrazioni di jihadisti dell’Is che dalla Libia potrebbero infiltrarsi in Europa, in Italia. 

Ieri a Ghadames si sono incontrate due delegazioni dell’Assemblea nazionale filo islamista e del Parlamento che si è ritirato a Tobruk. Una fotografia dello stallo istituzionale di una Libia governata soltanto dalle milizie armate. E forse gli stessi “ottimisti” di queste ore sono consapevoli che il delegato Onu Leon potrà sciogliere positivamente il suo mandato, battezzando un governo di riconciliazione nazionale, soltanto dopo essere riuscito a mettere attorno allo stesso tavolo le milizie. Fino a quando questo non avverrà, infatti, qualsiasi ragionamento, ipotesi, negoziato è destinato a fallire, a essere ininfluente. Perchè è come se si facessero i conti senza l’oste.

Mentre nella agenda della comunità internazionale (Nato e Ue) al primo posto c’è la crisi della Ucraina, la crisi libica rischia di degenerare per la presenza di milizie del Daesh, degli integralisti che si richiamano ad Abu Bakr al Baghdadi. Se il commissario Leon riuscirà a «pacificare» le milizie che hanno determinato, hanno contribuito ad abbattere il regime di Muammar Gheddafi, e che oggi sono in guerra tra loro (Misurata contro Zintan, in particolare), allora si aprirà una fase nuova. Un segnale importante è quello che è accaduto in questi giorni in Cirenaica. Si è combattuto al terminal petrolifero di Sidra tra le truppe lealiste del generale Khalifa Haftar e le milizie di Misurata. Cinque miliziani fermati a un posto di blocco sono stati trucidati dagli integralisti del Daesh. E ora Misurata potrebbe aprire uno scontro armato contro i jihadisti.

Questa è la prospettiva, se a Ginevra si troverà una soluzione con il consenso delle milizie, che dovranno neutralizzare le truppe fedeli al Califfato, al Daesh. Uno scenario ottimistici? Probabilmente sì. Non è un caso che la nostra ambasciata a Tripoli - l’unica rappresentanza diplomatica occidentale aperta - è pronta all’eventualità di dover evacuare il personale e chiudere.

Da - http://www.lastampa.it/2015/02/12/esteri/lonu-alla-ricerca-di-una-soluzione-per-pacificare-la-libia-dove-la-crisi-rischia-di-degenerare-i7Q8zkNgaWcGiir2688xPM/pagina.html


Titolo: Guido Ruotolo. Generale Haftar, sempre più difficile da gestire
Inserito da: Admin - Maggio 16, 2015, 04:09:34 pm
Generale Haftar, sempre più difficile da gestire
La posizione del capo supremo delle Forze Armate libiche, sponsorizzato dall’Egitto, sta diventando sempre più scomoda.
E i critici lo accusano di mire presidenzialiste.

11/05/2015
Guido Ruotolo
ROMA

Mancava solo un incidente, un pretesto. C’è da augurarsi che il bombardamento del mercantile turco venga considerato un incidente da chiudere subito, e non l’inizio di un confronto i cui esisti sarebbero imprevedibili. Ci mancava che il generale Khalifa Haftar desse l’ordine di bombardare un mercantile turco che - ha accusato - si stava dirigendo a Derna, dove comandano i tagliagole dell’Is. Ankara chiede una inchiesta neutrale. Ci sono morti e feriti.

Tutto questo avviene in ore cruciali per la sorte della Libia. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sta decidendo l’approvazione di una risoluzione sponsorizzata dall’Italia ma fatta propria dai Capi di Stato e di governo della Unione Europea, sulla guerra senza quartiere ai trafficanti e ai mezzi utilizzati per l’attraversamento degli immigrati del Canale di Sicilia. Anche con l’uso della forza.

E nello stesso tempo, il delegato speciale delle Nazioni unite Bernardino Leon, dopo aver reso pubblica la sua bozza di nuova architettura istituzionale della Libia che dovrebbe consentire la nascita di un governo di pacificazione nazionale, adesso aspetta di chiudere una complicatissima trattativa con le parti in causa.

Il comportamento del generale Haftar, capo supremo delle Forze Armate libiche, sponsorizzato dall’Egitto, sta diventando sempre più difficile da gestire. Non piace neppure alle stesse forze che sostengono il Parlamento di Tobruk, che lo accusano di uscire dal proprio seminato. Intanto, sottolineano che da quasi un anno è impegnato a combattere gli islamisti integralisti, da Ansar al Sharia allo stesso Is, senza portare a casa risultati positivi. La stessa Bengasi è diventata una città fantasma (e distrutta). Ma lo accusano anche di mire presidenzialiste. Si è messo contro il lavoro di Leon e non vuole interventi della comunità internazionale per sconfiggere i trafficanti di merce umana. Insomma, la sensazione è che il generale Haftar stia diventando un peso molto ingombrante. E l’incidente di Tobruk non aiuta a rasserenare il clima.

Da - http://www.lastampa.it/2015/05/11/esteri/generale-haftar-sempre-pi-difficile-da-gestire-ElRxa8a2oqY0DI6S6xnDaO/pagina.html