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« Risposta #30 inserito:: Giugno 27, 2011, 10:02:22 am » |
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Politica
24/06/2011 - INCHIESTA P4, LE CARTE
Le trame di Frattini e Bisignani sul Pdl
Il volto politico del diplomatico: al telefono con Bisignani, il ministro degli Esteri parla a lungo degli equilibri interni al Pdl e si interroga sul futuro del partito
L'uomo d'affari con il ministro e il sottosegretario Miccichè parlano di questioni interne al partito
GUIDO RUOTOLO INVIATO A NAPOLI
E si occupava pure delle guerre interne al Pdl, Luigi Bisignani, il «consigliori», il faccendiere, l’ex giornalista. Che fatica stare dietro la collera e le frustrazioni delle ministre Pdl (come Stefania Prestigiacomo o Maria Stella Gelmini), o dei frondisti capeggiati dal ministro degli Esteri Franco Frattini. Ecco, il «grande orecchio» attivato dall’inchiesta Woodcock, centinaia e centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, ha captato umori e non solo di un mondo che ruota attorno al governo e alle grandi imprese. E nella rete d’ascolto sono finiti pure il ministro Frattini e il sottosegretario Gianfranco Miccichè, che parlano di questioni interne al Pdl con il faccendiere ex P2.
Più o meno un anno fa, il 5 agosto scorso, Luigi Bisignani viene chiamato dal ministro degli Esteri: «Luigi, come stai?». Bisignani: «Franco, bene, e tu come stai? Tutto bene?». «Tutto bene, Luigi, grazie, grazie, grazie, le giornate sono state complicate, ma insomma». E già, che giornate complicate quelle d’agosto, con l’offensiva dei giornali vicino al governo che rimestavano sulla vicenda della casa di Montecarlo.
Frattini confida: «Oggi ancora una volta sono andato a questo gruppo qui, a questo minivertice, dove il nostro (probabilmente Berlusconi, ndr) era sul dialogante». Bisignani: «Ah, menomale». «Dice: “ma insomma non possiamo sparare sempre questa cosa delle elezioni, il governo deve andare avanti”. Ha incoraggiato anche me. Sai, dice (rivolto a me, ndr): “Tu che hai questa immagine devi dirle queste cose, non possiamo fare che sfasciamo tutto, hai capito?”».
Gli scoop su Montecarlo Bisignani fa riferimento al pressing berlusconiano su una parte dei finiani per non seguire il loro capo. «Poi lui ha diciassette sui quali spera molto. A me quelli mi preoccupano molto, devo dirti la verità». Lo rassicura il ministro: «Beh, ma se tu ti guardi la copia di “Panorama” che esce stasera o domani mattina, ci stanno sette pagine sull’appartamento di Montecarlo, c’è una intervistona a Gaucci che dice praticamente...». Lo interrompe colui che sa sempre tutto: «Sì, sì l’ho vista, l’ho vista, l’ho vista». Potenza dell’istinto scooppista di un ex giornalista, se un settimanale che ancora non è in edicola è già stato letto...
Franco Frattini riprende il discorso: «Voglio dire, lui, in questa fase, per dire, oggi ha incontrato Ronchi, ora sta incontrando Viespoli, sai. Perché evidentemente, sai, anche Gianni (Letta?, ndr) gli ha detto: “beh, insomma non possiamo minacciare ogni giorno, perchè la paura fa novanta”. Sai ci vuole niente sull’onda della paura quei due, tre senatori che ti passano di qua e ti fanno il governo tecnico perché alla Camera i numeri ci sarebbero in teoria». Bisignani: «Certo, al Senato...». Il ministro: «Al Senato no, però se si prendono e si comprano quattro, cinque senatori, sei senatori proponendogli posti di sottosegretario e ministro questi si spostano. Piuttosto che andare a casa, fanno il ministro...».
Filosofeggia Bisignani: «Cose da pazzi». Chiosa Frattini: «Per salvare la loro pelle ci mandano tutti nel baratro». «E fare le vendette che loro non sono riusciti a fare». «Bravo».
Ipotesi governo tecnico Adesso che la maggioranza alla Camera e al Senato può contare su numeri saldi, sembra tutto più facile. Ma allora, nell’estate scorsa, con l’annunciata scissione finiana, la maggioranza ha ballato. E tanto. Frattini: «Questa cosa - riprende il ministro lui (Berlusconi, ndr) l’ha chiara oggi, ieri meno, oggi sì, domani chissà...». «E su Libero teniamo duro, però...». «Beh, lui ormai ha sdoganato tutto, oggi hanno fatto la...». Bisignani: «Oggi un po’ ridicola». «Buffa, buffa, buffa, però». Frattini si sofferma sul dibattito nel Pdl, sulle ipotesi di direzione interna: «Comunque nessuno dubita più sul fatto che lui proponga nella sua testa come tre coordinatori Alfano, Gelmini e Meloni, vuol dire che ovviamente noi ci siamo. Questo fatto che Schifani mi chiama tutti i giorni, quindi come dire, abbiamo tenuto botta quando occorreva, adesso è...».
Bisignani cambia argomento: «Ho visto quella cosa lì sulle Fondazioni europee, quelle collegate al Ppe, ma lì ci stanno i parlamentari?». Il responsabile degli Esteri: «Martens mi ha detto: voi siete uno dei pochissimi paesi in cui non c’è la fondazione del partito nazionale. Oggi ho dato a Berlusconi un primo schema di statuto. Lui mi ha detto di farla con Alfano e Meloni perché sono i giovani. Alfano è il tema della giustizia, poi voi siete amici, quindi, e poi sono più giovani di te, quindi li puoi guidare e io: “ben volentieri”..».
Basta politica. Luigi Bisignani è pur sempre un faccendiere. «So che hai visto l’altro giorno il dottor Mazzei del Poligrafico». «Come no, è venuto stamattina. Ci siamo parlati e io gli ho detto che... di lasciarmi quelle due proposte interessanti, che sono degli investimenti all’estero che sono molto molto belli questi, per il Poligrafico». Bisignani: «Lui (Mazzei, ndr) è davvero una brava persona, uno da tener presente valorizzare». Frattini: «Mi è piaciuto, devo dire, sai, internazionalizzare un po’ il Poligrafico è una cosa bella per il Paese, eh va bene?». «Va bene, Franco. Un abbraccio fortissimo». «Un abbraccio, Luigi, a te».
La Carfagna in bilico Dal caldo agosto di lotta interna, scandali e vacanze, alla ripresa autunnale, 22 novembre scorso. Bisignani riceve una chiamata dal palermitano Gianfranco Miccichè. E introduce subito un tema scottante: «Gianfranco, come ci poniamo col caso Carfagna? Premesso che il Presidente è “imbufalito” con lei?». Il sanguigno sottosegretario sbotta: «Io me ne fotto che il Presidente si è imbufalito, io ieri le ho già parlato e lei è assolutamente pronta a venire dalla... (in Forza sud, ndr) la devo incontrare domani, viene insieme a Nunzia Di Girolamo, mi hanno chiamato insieme». Dubbioso Bisignani: «Uhm, uhm, uhm, perché il problema era se uscire fuori te con un articolo o qualcosa... magari dopodomani, perché noi l’abbiamo già preparato».
Micciché: «Che nonostante lei ieri mi abbia detto: “Io passo con te”... cioè me l’ha dato come fatto scontato ma per un fatto di prudenza dobbiamo parlare con il Presidente, perchè poi io so che il Presidente in questo è un grande ammaliatore,, per cui quando uno poi parla con lui, mi sembra che abbia sempre ragione e quindi ho evitato di fare ogni tipo di agenzia (con l’annuncio pubblico del passaggio del ministro Carfagna in Forza sud, cosa che non è poi avvenuta, ndr)».
Insiste Bisignani: «Con Sergio avevamo preparato un articolo, magari da fare mercoledì, a questo punto. Te lo faccio mandare». Il sottosegretario in tempo reale comunica al suo interlocutore che gli è appena arrivato l’articolo.
da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/408564/
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« Risposta #31 inserito:: Luglio 21, 2011, 05:57:50 pm » |
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Politica 21/07/2011 - LE CARTE Un'ascesa a colpi di favori ai politici e minacce agli imprenditori Negli interrogatori la ricostruzione di un "sistema" di relazioni tra potere e affari GUIDO RUOTOLO INVIATO A NAPOLI Mentre la Camera discuteva se concedere l’autorizzazione al suo arresto, i pm napoletani Woodcock e Curcio mandavano la Finanza ad acquisire (all’Eni) i documenti sulla consulenza della «protetta» di Alfonso Papa, Ludmyla Spornyk, e di sua moglie, Tiziana Rodà. La Procura di Napoli è stata colta di sorpresa dall’esito del voto di Montecitorio: i suoi vertici, il procuratore Giandomenico Lepore, l’aggiunto e i pm titolari dell’inchiesta, Woodcock e Curcio, si sono incontrati in Procura per ragionare dal punto di vista tecnico sulle procedure per rendere operativa la misura di custodia cautelare. In queste settimane di polemiche politiche, l’inchiesta sulla P4 è andata avanti sotto traccia, con nuove attività istruttorie, e con il deposito di nuovi atti. Proprio l’altro ieri le difese hanno potuto acquisire altre quattrocento pagine di «carte», incentrate soprattutto sul capitolo dell’acquisto e della vendita degli orologi «rubati» di Alfonso Papa, che si rivolgeva per questo a ricettatori di professione. Ma c’è anche un capitolo sulla posta elettronica di Luigi Bisignani «congelata» da Google, in attesa di poter essere acquisita dalla Procura attraverso la procedura della rogatoria. Alfonso Papa, per dirla con il relatore della Giunta per le autorizzazioni a procedere, Federico Palomba, Idv, «aveva accesso a informazioni riservate, direttamente o tramite i poliziotti infedeli, e le usava da una parte per acquisire credito presso le sfere politiche, da un’altra per taglieggiare le sue vittime, prevalentemente imprenditori». La decisione della Camera rappresenta sicuramente un formidabile segnale di legittimazione della stessa inchiesta Woodcock-Curcio, che è già passata nelle Forche Caudine del gip e del Riesame e adesso aspetta la decisione dell’Appello (che si riunisce domani) sul ricorso presentato contro la decisione del gip perché accolga di nuovo la contestazione del reato di associazione a delinquere. Il cerchio magico, dunque, potrebbe chiudersi provvisoriamente già domani. E già, perché l’inchiesta Bisignani-Papa ha l’obiettivo di svelare l’esistenza di una associazione segreta, così come è configurata dalla legge Anselmi nata all’indomani della scoperta della P2 di Licio Gelli. E per il momento l’accusa non ha scoperto le carte di questo filone d’indagine. Forse, i pm aspettavano le ricadute sul primo troncone della loro inchiesta prima di premere l’acceleratore sul troncone dell’associazione segreta. Se l’Appello riconoscerà il reato di associazione a delinquere sicuramente sarà un ottimo viatico per il prosieguo delle indagini, che hanno un terzo filone molto importante in corso: quello sulle talpe nella Finanza che avrebbero rivelato notizie su diverse indagini in corso, e che vede tra gli indagati i generali della Finanza Adinolfi e Bardi. È impressionante la mole di dichiarazioni di imprenditori, di intercettazioni telefoniche (passive), testimonianze di magistrati e politici sulla «caratura» criminale di Alfonso Papa. Più di un testimone racconta: «Ritengo che il Papa sia persona molto pericolosa dalla quale bisogna guardarsi». Solo per rinfrescare la memoria a chi non ricorda, agli atti della inchiesta vi sono episodi sconcertanti che riguardano Papa sul traffico di Jaguar, Rolex, appartamenti, soggiorni in alberghi di lusso per sé e per le sue amanti. Primo teste d’accusa contro Papa è il suo coindagato Luigi Bisignani, il faccendiere consulente di palazzo Chigi, ex tessera P2, agli arresti domiciliari. «Conobbi occasionalmente il Papa - ha messo a verbale Bisignani - e strinsi rapporti con lui quando ebbi problemi giudiziari con la Procura di Nola, riferiti alla dottoressa Tucci cui io ero legato, e riferito a vicende di società del nolano. Da quel momento il Papa cominciò a proporsi per darmi notizie. Il Papa si accreditava e diceva di poter intervenire propalando i suoi agganci e i suoi legami associativi». Papa, magistrato distaccato al ministero di Giustizia voleva entrare in politica. E chiese aiuto a tanti. A Luigi Bisignani ma anche ad altri esponenti politici (da Marcello Pera a Roberto Castelli). Racconta ai pm il sottosegretario a palazzo Chigi, Gianni Letta: «Un giorno il Papa mi disse che aveva aspirazioni politiche. In seguito me ne parlò anche Bisignani. Rappresentai tali aspirazioni a Berlusconi che mi disse che aveva ricevuto molte altre sollecitazioni...». Papa (come Bisignani e i due poliziotti e carabinieri della combriccola, Nuzzo e La Monica) finisce sotto intercettazione perché utilizzava schede telefoniche intestate ad altri. E secondo l’accusa, si è reso responsabile di una attività di raccolta di informazioni coperte dal segreto investigativo che si rivendeva nei confronti di imprenditori e non solo. Era un «taglieggiatore», per dirla con l’onorevole Palomba. Una sintesi telegrafica dei ricattati e della merce del baratto. Costringe Angelo Chiorazzo (coinvolto in una indagine con il sottosegretario Gianni Letta e il prefetto Morcone) a dare una consulenza mensile di 1000 euro alla sua assistente parlamentare che, con un sussulto di dignità, rinuncia. Da Alfonso Gallo si fa dare soldi, pagare soggiorni in hotel di lusso (idem da Luigi Matacena) come il De Russie di Roma, si fa comprare preziosi dalla gioielleria Cartier di Napoli. Da Marcello Fasolino non si accontenta solo di soldi, vuole una quota azionaria nella sua impresa per turbogas. L’affitto di una casa romana invece glielo paga Vittorio Casale. Imprenditori impauriti, qualcuno con la coscienza sporca. Racconta Alfonso Gallo: «Il Papa mi ha fatto sempre molta paura nel senso che ha sempre sottolineato i suoi rapporti con l’autorità giudiziaria, con i Servizi di sicurezza e con le forze di polizia». Marcello Fasolino: «Mi si avvicinava con fare inquietante e torvo». Luigi Matacena: «Ero letteralmente terrorizzato. Anche perché prospettava la conoscenza dei servizi segreti e della Guardia di finanza». Il «prigioniero politico» Alfonso Papa ieri sera si è costituito. In serata è srrivato al carcere di Poggioreale, Napoli. Entro cinque giorni si terrà l’interrogatorio di garanzia davanti al gip. È in quella sede che dovrà difendersi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/412382/
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 28, 2011, 05:30:40 pm » |
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Politica 28/07/2011 - INTERVISTA "Finito il tempo dello scontro tra politica e magistratura" Il Guardasigilli: subito una legge per le toghe che si candidano o con incarichi istituzionali GUIDO RUOTOLO ROMA Naturalmente, solo oggi dopo essere salito al Quirinale per il giuramento, Francesco Nitto Palma sarà formalmente il nuovo ministro di Giustizia. E solo dopo il giuramento, esprimerà pubblicamente le sue valutazioni sulle proposte di legge in discussione che creano contrapposizione politica, come quella cosiddetta del «processo lungo». Oggi, al ministro Palma interesse esplicitare lo spirito con cui vuole assolvere al suo mandato: «E’ finito il tempo dello scontro. Troviamo insieme una via d’uscita per superare la crisi della giustizia. Certo, è fisiologico il contrasto tra centrodestra e centrosinistra sulle scelte politiche, quello che conta è che alla fine le norme rispettino la Costituzione e rispondano a una esigenza di amministrare la giustizia. Se così sarà, i magistrati non potranno che essere d’accordo, giacché, come è noto, non rappresentano la politica in questo Paese». Da dove intende ripartire, ministro Palma? «Personalmente ritengo che il problema del magistrato in politica debba essere risolto definitivamente con la legge. E’ un tema che sta a cuore anche al Capo dello Stato, che ne ha parlato nell’incontro con gli uditori giudiziari. Una legge che stabilisca i percorsi d’ingresso in rapporto ai collegi elettorali dove il candidato ha esercitato la sua attività di magistrato, sia per quanto riguarda il rientro in magistratura dopo l’esperienza politica». Lei è un magistrato prestato alla politica. Venticinque anni in magistratura. E tre legislature alle spalle... «Già oggi, dopo aver prestato il giuramento, darò mandato agli uffici del ministero di avviare la mia pratica al Csm per il collocamento a riposo». Insomma, se dipendesse da lei tutti i magistrati che scendono in politica non dovrebbero più indossare la toga... «Credo che a tutti stia a cuore la terzietà del giudice e francamente come essere giudicati terzi se poi in politica si fanno scelte di parte? Il problema non si pone solo per i deputati o senatori ma anche per gli amministratori locali, consiglieri comunali, provinciali o regionali, dove il condizionamento del territorio è molto più forte». Ministro, lo scontro politica-magistratura nasce sostanzialmente per le leggi ad personam. Come intende rasserenare il clima? «L’aspro scontro di questi anni è stato per certi versi inevitabile. Si è creata una radicalizzazione dei rapporti che hanno impedito alla fine un corretto dialogo. Mi impegno, un minuto dopo aver giurato nelle mani del Capo dello Stato, ad allentare la tensione, ad avere un dialogo chiaro con l’opposizione politica e principalmente con la magistratura e l’avvocatura. Il mio obiettivo è varare le riforme che rispondano al principio costituzionale del giusto processo, che puntino a velocizzare i processi nel rispetto dei diritti di tutte le parti». Su questi principi l’accordo, c’è da scommettere, sarà totale. Il punto è che tra il dire e il fare ci possono scappare leggi ad personam, come quella della discordia di questi giorni, la legge che allunga i processi... «Fino al giuramento non dirò nulla sul merito delle proposte di legge. Nessuno è depositario della verità, e nessuno può fare lezioni di moralità. Se mi convinceranno che una legge è sbagliata, che non risponde ai principi costituzionali, che non è funzionale all’efficienza del servizio giustizia, mi pronuncerò contro quella legge». Il ministro Calderoli ha suggerito al nuovo Guardasigilli di non sentire, di non farsi condizionare dai legali di Silvio Berlusconi... «I ministri giurano fedeltà e lealtà alla Costituzione. Io posso sentire chiunque, alla fine deciderò nell’interesse del Paese». E la norma che allunga i processi, che favorirebbe Silvio Berlusconi? «La settimana prossima ne discuteremo in Senato. Ricordo che nella metà degli anni Settanta furono modificati i termini di custodia cautelare, sull’onda del caso Valpreda, l’anarchico detenuto per la strage di piazza Fontana a Milano. Di lì a poco, quei termini furono di nuovo modificati allungandoli, all’indomani del duplice omicidio dei fratelli Menegazzo, a Roma». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413377/
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 30, 2011, 12:02:05 pm » |
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Politica 30/07/2011 - RETROSCENA Presto un nuovo interrogatorio per chiarire i timori di Tremonti Il ministro sarà chiamato a spiegare perché non voleva stare in caserma GUIDO RUOTOLO ROMA Da un certo momento in poi, in albergo o in caserma non ero più tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato». Dichiarazioni inquietanti del ministro dell’Economia. Che porteranno inevitabilmente il ministro stesso, Giulio Tremonti, a essere di nuovo sentito dagli inquirenti. E probabilmente, il presidente del Consiglio (o il sottosegretario Gianni Letta) a doverne riferire al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir, presieduto da Massimo D’Alema. Gli inquirenti napoletani, indagando due generali delle Fiamme Gialle per la fuga di notizie sull’inchiesta della P4, avevano già sentito il ministro Tremonti. E la sua deposizione aveva già allarmato. Davanti ai pm Woodcock e Curcio, aveva parlato di «cordate» interne alla Finanza che avevano straripato in città, frequentando politici e non solo in grado di sponsorizzare candidature per diventare comandante generale della Guardia di Finanza. In quell’occasione, siamo al 17 giugno, il ministro rivelò che in un incontro molto animato con il presidente del Consiglio, agli inizi del mese, si scontrarono sulla politica di bilancio. Ed espresse a Berlusconi le sue paure: «Su alcuni settori della stampa si manifestava una tendenza a una spinta per le mie dimissioni se non avessi modificato le mie posizioni. E a Berlusconi manifestai la mia refrattarietà a essere oggetto di campagne stampa tipo quella “Boffo”». Secondo «Libero», in quell’incontro del lunedì ad Arcore, Tremonti sbottò contro Berlusconi: «Tu mi hai fatto spiare... hai messo i servizi segreti alle mie calcagna...». Cordate per sostenere candidati generali, e poi campagne stampa ricattatorie e fabbriche del fango. E ora, controlli illegittimi di un ministro della Repubblica. Napoli dovrà approfondire anche l’ultima denuncia spedita per mezzo stampa dal ministro Tremonti. Nelle carte di Woodcock e Curcio, c’è anche un verbale di Marco Milanese, braccio destro del ministro, del 13 giugno. Pochi giorni dopo quella sfuriata tra Tremonti e Berlusconi, Milanese incontra il ministro: «Mi ha detto che ha avuto uno sfogo con il presidente del Consiglio Berlusconi, perché aveva saputo che lui - il ministro - era seguito, o comunque negli ambienti politici si diceva che stavano attuando “il metodo Boffo” anche nei suoi confronti, anche utilizzando le intercettazioni fatte nei miei confronti per le mie vicissitudini giudiziarie. Lui mi ha ribadito che ha riferito a Berlusconi che stanno cercando “cose” per metterlo in difficoltà da un punto di vista politico. Ho capito che faceva riferimento anche alla Guardia di finanza e al generale Adinolfi, come partecipanti a questo piano ordito nei suoi confronti». Sempre Milanese dice il 17 giugno ai pm napoletani: «Il presidente Berlusconi gli ha negato che ciò potesse essere vero e ha detto che nessuno sta ordendo (tramando, ndr) nei suoi confronti. Il ministro (al contrario, ndr) è convinto che tutto questo sia vero e che tra le questioni ci sia anche la nomina del futuro comandante generale della Gdf, dove è il ministro che propone il nominativo del comandante». Caserme e alberghi, luoghi insicuri. Se dovessero approfondire la denuncia per mezzo stampa del ministro, gli inquirenti dovrebbero acquisire le relazioni di servizio della scorta di Giulio Tremonti, per vedere se sono stati annotati episodi particolari, e acquisire il calendario delle permanenze del ministro nelle foresterie delle caserme della Gdf e negli alberghi. E, infine, dovrebbero verificare se Tremonti ha mai sporto denuncia all’autorità giudiziaria. Gli inquirenti potrebbero scoprire così che Tremonti potrebbe aver pernottato per l’ultima notte nella foresteria della Gdf di via Sicilia a Roma, nel lontano giugno del 2004. Cioè da quando si dimise dal governo Berlusconi eletto nel 2001 (il suo posto fu preso da Domenico Siniscalco). Come è possibile che un ministro dica oggi di essersi sentito insicuro in una caserma della Gdf che l’ospitò fino al giugno del 2004, o che si sentiva insicuro ospitato in un albergo? Tutti gli addetti ai lavori, dicono che un’abitazione privata è più insicura di un albergo o di una caserma. Ieri, Tremonti ha spiegato a «Repubblica» che chiese ospitalità a un amico, Milanese, «presso una abitazione che non riportava direttamente» al suo nome: «Questa mi era sembrata la soluzione più sicura». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413704/
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« Risposta #34 inserito:: Agosto 22, 2011, 04:24:19 pm » |
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Esteri 22/08/2011 - LIBIA LA FARNESINA E LA SVOLTA "L’arresto di Saif un passo cruciale verso la vittoria" Frattini: è l’epilogo, temiamo vendette e saccheggi GUIDO RUOTOLO ROMA Ministro Frattini, che cosa rappresenta l’arresto di Saif al Islam, il figlio più vicino a Gheddafi? «Un passo determinante verso l’inevitabile fine di Gheddafi e del suo regime». Si combatte a Tripoli. I morti sarebbero centinaia. Sono le ultime drammatiche ore del regime di Gheddafi? «Il bagno di sangue è l’ultimo capo di imputazione che andrà contestato al regime, a Muammar Gheddafi che di fronte al sangue di libici incita i suoi mercenari a non fare prigionieri. L’unica via che deve percorrere Gheddafi è quella di arrendersi». Le notizie convulse delle ultime ore sembrano tutte comunque confermare che si combatte in città, a Tripoli. E che la vendetta dei lealisti si annuncia tremenda... «Nostre fonti e fonti del Cnt, il Comitato nazionale di transizione, convergono nel segnalare che sono in atto scontri tra mercenari di diverse etnie per poter razziare la popolazione. Si ammazzano tra loro per saccheggiare la città». Il raiss non ha mai voluto ascoltare gli appelli ragionevole alla resa. «Al punto in cui siamo giunti, Gheddafi deve uscire di scena. Il regime dovrebbe indicare due autorevoli esponenti che non si sono macchiati di delitti di sangue per...». Ministro Frattini, la interrompo, non è la proposta dell’Onu di un comitato di quattro saggi che nominano un quinto rappresentante al di sopra delle parti per avviare la transizione libica ormai superata dagli eventi? «Sì, nella forma, non nella sostanza». Uno di questi esponenti potrebbe essere l’ex numero due del regime, Jalloud, riparato in Italia l’altro giorno? «Ha certamente tutte le caratteristiche per esserlo. Non spetta a noi indicarlo. Lui chiarirà la sua posizione quando lo riterrà opportuno. Sono convinto che in molti riconoscerebbero a lui un ruolo importante nella costruzione della nuova Libia». Sei mesi da quella scintilla scoppiata a Bengasi il 15 febbraio scorso. Fino a poche settimane fa, regnava il pessimismo di fronte a un evidente stallo del conflitto. Oggi siamo all’epilogo? «Siamo vicini all’epilogo. La situazione è in continua evoluzione, la Nato continua con il suo apporto logistico, l’opposizione ormai ha quasi occupato del tutto l’aeroporto internazionale di Tripoli, anche quello militare e civile di Mittiga sta per essere conquistato. E poi i 40 cecchini appostati su un palazzo si sono arresi e quattro importanti quartieri della capitale sono stati liberati». Senta ministro, come si può cercare di far ragionare Gheddafi che parla di schiacciare i ratti... «Non possiamo non rivolgergli l’appello ad arrendersi, anche se i segnali sono tutti negativi. Certo, nonostante il mandato di cattura internazionale, c’erano margini perché si potesse immaginare una coabitazione in terra libica di Gheddafi e del nuovo governo e regime democratico. Ma ormai gli eventi riducono i margini di una possibile mediazione». In queste ore arrivano notizie da Tripoli di nuove defezioni importanti. «Ci attendiamo nelle prossime ore una resa di massa di ufficiali e di dignitari del governo. Noi sappiamo che non tutti gli esponenti del regime si sono macchiati di delitti di sangue e non è un segreto che Gheddafi, dopo le defezioni di ministri importanti, come quello degli Esteri, Moussa Koussa, ha nei fatti deportato nella sua cittadella militarizzata dignitari con le famiglie, per evitare il rischio di altre defezioni. Ma adesso che la cittadella viene bombardata dalle forze Nato, si sono aperti dei varchi perché si concretizzi una resa di massa». In attesa della fine di Gheddafi, stiamo già lavorando per la nuova Libia? «Con gli Usa, la Francia e l’Inghilterra stiamo lavorando insieme al Cnt per rimettere in sesto il Paese. Per consentire agli impianti di tornare a estrarre il petrolio, per ricostruire le infrastrutture danneggiate. C’è un team operativo che già lavora a Bengasi. L’Italia sta già facendo molto per la formazione di quadri della nuova Libia nei settori della sicurezza, sanità e media». da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/416438/
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« Risposta #35 inserito:: Agosto 29, 2011, 10:44:08 am » |
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Esteri 29/08/2011 - LIBIA TRA GUERRA E RICOSTRUZIONE Nel regno del petrolio senza benzina né luce L'ad di Eni Paolo Scaroni oggi a Bengasi per discutere i progetti energetici Il Cnt: "Riprenderemo i livelli prebellici di produzione entro quindici mesi" GUIDO RUOTOLO INVIATO A BENGASI Un’ora di fila al sole, per fare benzina. Scarseggia il carburante, e la pompa di benzina è costretta a chiudere. Anche le centrali elettriche sono in affanno e la sera la luce va e viene. Dal 4 aprile scorso, da quando è stato attaccato dai lealisti l’impianto petrolifero di Mesla, in Libia non si estrae più l’oro nero. Ben prima, dalla fine di febbraio, le diverse compagnie di petrolio internazionali erano state costrette a interrompere la produzione. Situazione critica per la Libia e per i suoi partner. Non ne fa mistero l’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, che stamani sarà a Bengasi, per incontrare il viceministro del Cnt (il ministro è a Tripoli). Missione lampo, per rassicurare gli interlocutori libici che l’Italia onorerà i contratti firmati e garantirà una fornitura anticipata di benzina e gasolio. L’ad di Eni, in una intervista al Tg2 dossier, ha ribadito che la produzione del petrolio riprenderà e non creerà problemi, mentre diversa è la situazione dell’estrazione e del trasferimento del metano. L’instabilità politica in Tunisia preoccupa l’Eni perché attraverso quel Paese passa il gasdotto, proveniente dall’Algeria, che arriva in Italia. «Una delle ragioni del viaggio a Bengasi è che ho fretta di far ripartire il Greenstream», il gasdotto che parte dagli impianti di Mellitah e arriva a Gela, che è fermo da febbraio, ha detto. La situazione che Scaroni troverà a Bengasi e in Libia non è ancora stabilizzata. Diversi esponenti del Cnt ancora ieri hanno voluto rassicurare gli interlocutori stranieri: «A fine settembre riprenderanno le esportazioni di petrolio dal terminal di Tobruk. Entro 15 mesi la produzione tornerà a 1.600.000 barili al giorno». Hassan Y. Bolifa, uno dei dirigenti della compagnia petrolifera libica «Agoco» (responsabile progetti di engineering e comunicazione), ripete: «Come abbiamo sostenuto dal primo momento noi onoreremo i contratti sottoscritti anche se, nello stesso tempo, vogliamo rinegoziarli». In questa fase di transizione, Noc, la Compagnia nazionale di petrolio, è nei fatti sciolta. Dice Boulifa: «La nostra priorità adesso è una sola: riprendere la produzione di petrolio. Passano in secondo piano i contratti per lo sviluppo di nuovi campi petroliferi». Il dirigente di Agoco, aggiunge altre due riflessioni importanti, per rassicurare l’Italia ma anche gli altri partner storici della Libia, l’Egitto e la Turchia: «Qualsiasi rapporto privilegiato con la Francia o con un altro Paese che ci ha aiutati a liberarci da Gheddafi, non sarà mai a discapito dell’Italia, dell’Egitto e della Turchia». Boulifa è più preciso nel fissare un calendario. «Entro due settimane riprenderemo la produzione di 100.000 barili di petrolio. Tra gennaio e aprile, la produzione tornerà a poco meno di mezzo milione di barili, che soddisferà gran parte del fabbisogno libico, e penso che entro un anno la produzione complessiva sarà di 1.250.000 di barili. Quindici mesi e la macchina andrà al massimo: 1.600.000 barili al giorno». Numeri che servono soprattutto a indicare un percorso. Per quanto riguarda la compagnia petrolifera libica, i suoi dirigenti dicono che non ci sono problemi neppure a livello di personale. Potrebbe suscitare qualche preoccupazione la dichiarata volontà di rinegoziare i contratti già stipulati. Boulifa spiega: «Se in un contratto è prevista la manutenzione di una centrale elettrica e questa è stata danneggiata, va da sé che lo stesso contratto va ricontrattato». Il rapporto tra Italia e Libia è di forte interdipendenza nel campo energetico, sia in materia di petrolio che di gas. Quella tratteggiata dai dirigenti del Cnt e dell’Agaco è una road map che non tiene conto naturalmente degli imprevisti. In questi mesi sono stati bombardati serbatoi a Brega e Raf Lanouf, i terminal della Cirenaica. E la sicurezza degli impianti non è ancora garantita. Era un secolo fa quando Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi inaugurarono (7 ottobre del 2004) il magnifico impianto di Mellitah, che avrebbe portato a Gela 9 miliardi di metri cubi di metano (il 12% del nostro fabbisogno) l’anno. Nell’enfasi dell’inaugurazione, il Presidente del Consiglio si rivolse al raiss chiamandolo il «leader della libertà». Oggi arriva a Bengasi l’ad di Eni, Scaroni, che commenta: «Gheddafi? Uno dei peggiori governanti che abbia avuto il mondo». da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/417269/
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« Risposta #36 inserito:: Settembre 03, 2011, 11:35:32 am » |
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Politica 02/09/2011 - POLITICA & ESCORT: RETROSCENA Il "sistema Gianpi" tutto coca, sesso e tranelli Maggio 2009: Berlusconi è a Bari per un incontro politico, dietro di lui Patrizia D’Addario, presentatagli da Tarantini La scalata al potere del giovane pugliese: dagli appalti in Regione alle feste in Costa Smeralda per entrare nel giro del premier GUIDO RUOTOLO ROMA Questa è la storia di un grande ricatto che ha come protagonista, nel ruolo di vittima, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Che - stando alla ricostruzione dell’accusa - per non vedere le sue scabrose telefonate di sesso pubblicate sui giornali, versa mezzo milione di euro a un imprenditore, Gianpi Tarantini, perché, essendo lui indagato per induzione e favoreggiamento della prostituzione, si sacrifichi e chieda il patteggiamento. E il presidente del Consiglio lo paga attraverso un faccendiere editore, Valter Lavitola, che le cronache di un anno fa hanno visto protagonista dell’affaire Montecarlo, la vicenda della casa intestata al cognato di Gianfranco Fini. Gianpi Tarantini e la escort Patrizia D’Addario. Sembra un secolo fa quando Patrizia la escort , avendo registrato quell’incontro di sesso con il presidente del Consiglio, al pm barese, Pino Scelsi, confermò tutto consegnando la colonna sonora di quella notte d’amore. E raccontò dei suoi protettori, di quel Max Verdoscia e di Gianpi Tarantini che la preparò per la serata di Palazzo Grazioli. Un imprenditore certamente sui generis, quello al centro di questa vicenda, che aveva trovato un mix davvero unico per battere la concorrenza. Il giovane rampollo di una famiglia di imprenditori nel settore della sanità si era fatto le ossa con gli appalti e le commesse nella sanità pugliese quando in Regione c’era Raffaele Fitto (centrodestra). E poi, con l’avvento di Nichi Vendola aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco vedendosela con l’assessore alla Sanità, Alberto Tedesco (Pd), che aveva lasciato i figli a gestire le sue aziende sanitarie. Coca e sesso. Era questo il mix vincente di Gianpi. Con il sesso ci era cascato anche l’assessore dalemiano Sandro Frisullo, finito in carcere, e dirigenti della sanità pubblica e primari ospedalieri. Correva, Gianpi. E non si accontentava più di quel territorio ristretto, la Puglia. Puntava in alto. E arrivò l’estate della svolta, l’agosto del 2008. La villa presa in affitto a Capriccioli, Costa Smeralda. Con l’investimento in seicento grammi di cocaina e poi le feste da sballo e le serate al Billionaire. Fino a quando, prima di ferragosto, grazie all’Ape Regina, al secolo Sabina Began, Gianpi Tarantini e la sua corte entrano a Villa Certosa. E fu amore a prima vista tra Gianpi e il Presidente. Per capire fino in fondo il personaggio Tarantini, bisogna sentire, leggere una sua intercettazione: «...che io a vent’anni stavo in barca con D’Alema e gli altri a novant’anni ancora dovevano fare quello che io avevo fatto in due anni da diciotto a vent’anni. A trenta stavo a dormire a casa di Berlusconi io, a trenta». Ne esce male anche la vittima, Silvio Berlusconi, tormentato dalla paura di essere intercettato, senza un consigliere fidato, un uomo degli apparati che gli spieghi che anche una scheda telefonica Wind panamense è intercettabile a casa nostra. Tarantini, già finito in disgrazia per via delle inchieste sulla malasanità pugliese, e per la droga, agli arresti domiciliari per undici mesi, senza soldi e con debiti, tentenna, prende tempo, con Lavitola diventa una sanguisuga il cui unico obiettivo è il salasso del presidente del Consiglio. Mezzo milione di euro e poi un appannaggio mensile di quasi 20 mila euro (quattordicimila euro mensili, oltre affitto della casa di Roma) ed in più tutte le spese legali e straordinarie pagate. Aveva tirato un sospiro di sollievo, pensava di aver finito con il carcere e i domiciliari. C’è un colloquio molto istruttivo, tra Tarantini, la moglie Nicla (che è anche amante di Lavitola) e il faccendiere editore: Nicla: «Mo tutto un caos... oggi è uscito un articolo di Laudati che Scelsi gli ha fatto una denuncia perché dice che ha rallentato...». Tarantini: «Perché i giornali di oggi... perché Laudati ha rallentato le indagini sulla prostituzione nei confronti di Berlusconi.. dai miei miei rapporti che lui è a conoscenza con Berlusconi». Commento di Lavitola: «Benissimo, questo è buono... invece di fa ‘na festa...». Tarantini: «Dopo che è venuto Nicola... poi dice che queste informative sono bruttissime... sia quella sulle puttane che quella sulla bancarotta...». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417931/
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« Risposta #37 inserito:: Settembre 03, 2011, 11:39:49 am » |
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Politica 03/09/2011 - POLITICA & ESCORT- IL CASO Quella lentezza sospetta di Bari a indagare sulle trame di Gianpi Nel mirino della procura di Lecce l’operato dei colleghi guidati da Laudati GUIDO RUOTOLO INVIATO A NAPOLI Dieci giorni fa la procura di Napoli ha trasmesso a Lecce gli atti della sua inchiesta sul grande ricatto a Silvio Berlusconi, che chiamano in causa i magistrati di Bari per una gestione «al rallentatore» dell’inchiesta sul giro di escort a Palazzo Grazioli. I reati che la procura salentina potrebbe contestare sono quelli di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio. Ma per il momento il pm Antonio De Donno non ha iscritto nessuno collega barese nel registrato degli indagati. La Procura di Lecce vuole capire perché Bari ha tenuto per due anni nel freezer il fascicolo sulle escort a Palazzo Grazioli. Se dietro questo ritardo vi è un movente specifico, se insomma si tratta di un ritardo doloso che ha portato solo adesso la Finanza a depositare l’informativa finale con le trascrizioni delle intercettazioni e delle registrazioni che coinvolgono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Gianpi Tarantini e Patrizia D’Addario. Diverse intercettazioni telefoniche dell’inchiesta napoletana sul grande ricatto contro il premier Berlusconi chiamano in causa il procuratore Laudati e la sua gestione al «rallentatore» dell’inchiesta sul giro di escort. Una in particolare, poi, lascerebbe intendere che l’avvocato di Tarantini sia stato messo nelle condizioni di poter leggere delle intercettazioni della inchiesta sulle escort non depositate, e quindi sarebbe stato violato in questo modo il segreto investigativo. L’avvocato Quaranta, al termine del suo interrogatorio, ha dettato un comunicato alle agenzie prendendo le distanze dal suo ex assistito: «Ha dichiarato tutte falsità e millanterie». Sarà interessante vedere come si comporterà oggi Tarantini, nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Dieci giorni fa, quando ormai il settimanale «Panorama» aveva bruciato l’inchiesta anticipandola e rivelandone i contenuti, la Procura di Napoli aveva spedito le carte a Lecce, quelle che vedevano coinvolto il procuratore di Bari, Antonio Laudati, chiamato in causa nelle intercettazioni telefoniche tra Tarantini e il faccendiere editore Valter Lavitola. C’è n’è una molto significativa. Dice Tarantini: «Ho parlato ora con Nicola, di Bari, l’avvocato che ha parlato l’altro giorno... ti dissi che andava a parlare al Capo... là c’è un problema grosso... per telefono come faccio a dirti ste c... di cose... hanno fatto un putiferio... hanno trascritto tutto, cosa che non dovevano fare... le mie e le sue e quello lui, il capo, stava cacato nelle mutande, ha detto ti prego aiutatemi.... sono terrificanti... lui gli ha detto a Nicola di parlare chè lui non poteva farlo, o meglio non sapeva come farlo - di avvisare l’avvocato di Milano, di Roma...». Si parla dell’informativa finale della Guardia di finanza sul giro di escort, sulla notte d’amore di Patrizia D’Addario a Palazzo Grazioli. Tarantini è sconvolto perché le sue telefonate con il premier stanno per diventare di dominio pubblico e Laudati, attraverso l’avvocato Quaranta, dice di avvisare Milano, p r o b a b i l m e n t e l’avvocato Ghedini. Insiste Gianpi: «Lui ha detto a Nicola che il suo ruolo è fallito perché lui era convinto di archiviarla». L’avvocato Quaranta ha già preso le distanze da Gianpi. E probabilmente anche il procuratore di Bari, Antonio Laudati, che rientrerà dalle ferie lunedì, si farà sentire. A Bari, addirittura, si sussurra che martedì la Procura potrebbe depositare le carte, annunciando così urbi et orbi che gli indagati sono una decina ai quali è contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. In questo modo, smentendo la sostanza della inchiesta napoletana perché quelle intercettazioni così devastanti saranno rese di dominio pubblico. Ma intanto, la procura di Lecce è obbligata a fare accertamenti, a verificare la fondatezza di quelle chiamate in correità di Laudati. Tarantini può aver millantato certe dichiarazioni che il procuratore avrebbe fatto agli avvocati Quaranta e Perroni. A metà luglio, «Libero» pubblicò una intervista-ritrattazione della escort Patrizia D’Addario nella quale la donna disse di essere stata costretta a fare l’intervista al Corriere della Sera, a fare certe dichiarazioni per mettere in difficoltà Berlusconi. Gianpi Tarantini in una intercettazione con Lavitola sostiene che quella ritrattazione sia stata orchestrata: «È stata fatta per non chiudere le indagini, per non mandare l’avviso di conclusione, così non escono intercettazioni. Così riapre il caso, riapre l’indagine». Lavitola chiede: «Il pm?». Tarantini: «E certo!». Lavitola: «Embè, è che vantaggio ha il pm a riaprire le indagini, scusa». Tarantini: «No, il vantaggio ce l’abbiamo noi. L’ha fatto apposta Laudati (Antonio, procuratore di Bari, ndr) questo, perché, si sono messi d’accordo: nel momento in cui riaprono l’indagine e non mandano l’avviso di conclusione, non escono... non diventano pubbliche le intercettazioni» da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418428/
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« Risposta #38 inserito:: Settembre 18, 2011, 04:23:57 pm » |
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Politica 17/09/2011 - LE INCHIESTE: IL CAVALIERE AL TELEFONO "Faccio il premier a tempo perso" Sabina Began «l'ape regina» indagata a Bari Festini a cavallo degli impegni istituzionali. E un giorno le ragazze salirono sull'aereo presidenziale GUIDO RUOTOLO INVIATO A BARI Duecentosettanta pagine. Sono quelle che compongono il rapporto della Guardia di Finanza che ha raccolto intercettazioni e testimonianze sul presidente del Consiglio e sul mondo che ruota attorno a lui. Un Berlusconi che di sé dice: «A tempo perso faccio il primo ministro e me ne succedono di tutti i colori». E così quando deve disdire una serata organizzata, perché «devo andare a Milano», aggiunge rivolgendosi a Gianpi: «Venitevi a prendere un gelato». Ma Tarantini ne approfitta per imbucarsi sull’aereo presidenziale con tutte le ragazze. «Marysthell andiamo? Ti passo a prendere». Tutte in volo L’inchiesta barese sul giro di escort per il capo del governo,racconta tutto questo: vizi privati osservati dal buco della serratura delle stanze delle residenze del premier, Palazzo Grazioli, Arcore e Villa Certosa. La prima volta non si bada a spese. Per non deludere il Presidente. Accade tutto il 5 settembre del 2008. Silvio e Gianpi si sono appena conosciuti in Costa Smeralda grazia a un invito di Eva Cavalli. L’Ape Regina, al secolo Sabina Beganovic, chiede a Gianpi di portare ragazze che «ci stanno al gioco», a una serata a Palazzo Grazioli. Tre ragazze, Sonia Carpentone, Vanessa Di Meglio e Roberta Nigro. «Le tre donne - si legge nel rapporto della Guardia di Finanza - partecipavano alla cena e trascorrevano la notte a Palazzo Grazioli, ospiti del Presidente Berlusconi, ricevendo l’indomani mattina dallo stesso un corrispettivo in denaro». E’ vero, le tre partecipano. Ma che fatica per Gianpi convincerle. Chi si è fidanzata e non vuole tradire, chi è a Parigi. E lui che deve pagare pure il volo Parigi-Roma... Commento il giorno dopo di Sabina, al telefono con Gianpi: «Io sono tornata a casa mia, alle dieci. Lui voleva che io rimanessi lì a dormire... però non ho fatto un cazzo perché lui non mi mischia con loro». E le tre ragazze? Una di loro, Vanessa Di Meglio confida a Gianpi: «Tutto a posto, tutto a posto. Le ragazze sono andate via alle sei... hanno fatto un bordello. Comunque tutto a posto, Io ho fatto colazione con lui». Gianpi: «Ti ha fatto un regalo?». Vanessa: «Sì ma loro hanno chiesto. Io non ho detto niente, non ho chiesto assolutamente. Lui mi ha detto: "Metti questo in borsa... mi fa piacere"». Verbale di Vanessa Di Meglio: «C’erano molti invitati quella sera a Palazzo Grazioli. Riconobbi George Clooney, Eva Cavalli e altre personalità dello spettacolo. In tutto 25-30 persone. Al termine della cena, rimanemmo io e altre due ragazze. Il presidente del Consiglio si appartò con le altre due che poi mi vennero a chiamare. Io le raggiunsi in una camera da letto dove era presente anche il presidente del Consiglio. Ci furono degli approcci...». Se non ci fosse la bobina con la voce di Silvio Berlusconi inconfondibile, la trascrizione di quella frase suona come una bestemmia, un falso. E invece bisogna ricredersi. Per la cena del 23 settembre del 2008, chiede Berlusconi a Gianpi: «Che dici se chiamiamo anche Rossella che c’ha una ragazza che canta in Vaticano molto brava? Magari invitiamo anche Fabrizio Del Noce, il direttore della fiction della rete uno della Rai? Così sentono che c’è lì qualcuno che ha il potere di farle lavorare. Insomma hanno l’idea di essere di fronte a uomini che possono decidere del loro destino. L’unico ragazzo sei tu, gli altri sono dei vecchietti... però hanno molto potere». Nottata a quattro Il vizietto del Presidente è la nottata a quattro, insomma con tre partner. Anche quella sera del 23 settembre. Mette a verbale Terry De Nicolò: «Delle ore ho dormito da sola e delle ore invece con queste due ragazze e Berlusconi... eravamo io, le due ragazze di Roma e Berlusconi». Che figura di ruffiana fa la europarlamentare Pdl Elvira Savino, al cui matrimonio partecipa Gianpi che si fa dare dal testimone Silvio Berlusconi il suo numero di telefono. Dunque Gianpi deve soddisfare una voglia di Silvio Berlusconi, quella di conoscere Carolina Marconi ed Elvira possiede il suo numero di telefono. Contatti, avances, proposte e alla fine accetta. Sms di Elvira a Gianpi: «Ci hai parlato?». Risposta: «Mi ha detto di sì». Gongola Silvio Berlusconi: «Ma domani sera che vorresti fare?». Gianpi: «Presidente io ho parlato già con Carolina e con Francesca. Loro vengono... in più ci sono.. queste due amiche che ho conosciuto molto carine». Berlusconi: «Posso portare qualche ragazza anch’io? Va bene combiniamo... faccio venire la musica... faccio venire Gemma per cantare ... Va bene? Facciamo alle nove e mezza...». Che confusione la storia della Manuela Arcuri. A sentire Francesca Lana, la nottata a tre con Silvio Berlusconi non si realizza per una questione di contropartita. Scrive il rapporto della Finanza: «Manuela Arcuri e Francesca Lana, entrambe donne dello spettacolo, erano attratte dalla prospettiva, tracciata loro da Tarantini, di ottenere, prostituendosi, vantaggi per la propria carriera professionale (nel caso della Arcuri anche per il fratello) nel cinema e in televisione». Questa è la premessa. Tarantini promette a Manuela che avrebbe fatto la valletta per Sanremo. «A quello dovete fargli un bel numero, tu e la tua amica». Dice Gianpi a Francesca. Francesca ne parla con Manuela, che risponde: «Dobbiamo parlare di quella cosa a due. Minimo per quello ci deve... se dovessimo fare una cosa del genere... ci deve già avere il contratto firmato davanti...». La firma mancante L’11 febbraio del 2009 c’è una cena a Palazzo Grazioli. Il giorno prima Francesca riferisce a Gianpi: «Manuela dice che se non vede sto cammello, fino a quando non ha una certezza... non fa nulla per lui. Io le ho detto: "Manu forse dovrebbe essere il contrario, prima fai qualcosa per lui..."». Il giorno della cena. Gianpi: «... ma si era convinta, si era convinta un mese fa...». Francesca: «Sì ma le cambia da oggi da adesso a tre minuti poi ricambia idea». E dire che Manuela manda avanti proprio la sua amica Francesca (secondo la stessa Lago): «Frà però mo glielo devi dire del film, delle cose, è ora che gli parli». Risponde Francesca: «Ho capito Manu, ma non glielo posso dire alle quattro di mattina quando stiamo dentro il letto...». Il tira e molla finisce male. Il 18 febbraio del 2009, Berlusconi confida a Gianpi di essere «rimasto molto indignato per la volgarità espressa dalla Manuela Arcuri nel corso di una intervista rilasciata alle Iene, ritenendola cancellata». Graziana Capone, la Jolie di Bari con Silvio Berlusconi, la notte del 28 settembre del 2008. Scampoli di conversazione tra lei e Gianpi, la mattina dopo. «Con chi stai mo’?, con le ragazze vicino?». Lei: «No. Io e lui e basta. Tutte le ha mandate via». Gianpi: «Ma è rimasto contento?». «Assolutamente. Io ho bisogno di dormire un po’, sono andata a letto tardissimo, a letto... ho dormito un’ora...». Tarantini: « Ti ha detto che ti dà una mano?». Lei: «Si, è stato lui, io zero...». E’ egocentrico Gianpi. Che chiede alla ragazza se Berlusconi ha parlato di lui. Graziana: «Mi ha chiesto da quanto tempo ti conoscevo... io ho detto un po’ di anni». Gianpi aveva confidato alla ragazza le sue aspirazioni di essere eletto parlamentare. Nelle carte c’è il gallo Berlusconi che si compiace delle sue performances. «Stamattina mi sento bene, sono contento della mia capacità... di resistenza agli assedi della vita». Una sera è a cena in un ristorante milanese con giovani imprenditori. Racconta a Gianpi: «Ho preso otto numeri, ma ce ne erano di più... Russe, italiane e brasiliane. C’ho 8 numeri di donne nuove....». Anche Gianpi che non è da meno però è alquanto colpito dall’iperattivismo sessuale del Presidente. «Ma lei mi deve spiegare una cosa, ma alle donne lei cosa fa?». Risponde Berlusconi: «Come cosa faccio (ride, ndr)». Gianpi: «In tanti anni di amici, di frequentazioni che ho fatto, non ho mai visto uno che fa impazzire così tanto le donne, ma veramente... perché lei ora mi ha detto "è il mio sogno proibito" ho detto "basta, non dire più niente"». Berlusconi: «omissis... va bene senti allora ci mettiamo d’accordo...». Prostitute per il principe Non è poi vero che la macchina non si inceppa, qualche volta. Gianpi vuole strafare come è suo solito. Voleva organizzare una serata con ragazze nuove. Berlusconi fa presente che è molto stanco: «Voglio fare il bravo perché non posso più andare avanti.. mi devo riposare un po’ di più perché sono veramente molto stanco. Ci sentiamo... facciamo una cosa... che mettiamo una cosa che è novità e basta?». Tarantini: «Bravo mescoliamo un po’ quelle, quelle che abbiamo già. come deve chiuderne alcune ancora, dico ne deve concludere alcune, quelle due, tre che sono rimaste..». I tentativi di Gianpi alla fine vanno in porto. C’è un permaloso Berlusconi che affiora negli affari di famiglia con Gianpi Tarantini. L’intervista alle Iene di Manuela Arcuri porta il presidente a troncare ogni rapporto con l’attrice. Berlusconi non vuole che le sue donne lo scavalchino. Così quando capisce che la giovane Carolina Marconi ha preso contatti con Fabrizio Del Noce s’arrabbia perché non l’ha interpellato. Con una valanga di intercettazioni, di testimonianze, di serate per il Principe, anche la storia di Patrizia d’Addario, che pure sembrava portatrice di sconquassi, alla fine è diventata una tra le tante squallide storie di reclutamento di prostitute per il Principe. Gianpi Tarantini sperava di avere un suo tornaconto che si chiamavano Finmeccanica e Protezione civile. E poi di mettersi in affari con Roberto De Santis negli appalti nel settore dell’energia. Sono appena due mesi che Gianpi organizza le seratine per il presidente. Berlusconi ricambia il 13 novembre: «Sono in macchina con il sottosegretario Bertolaso, te lo passerei così vi metterete d’accordo direttamente...». E già che ci siamo, perché non proviamo con Finmeccanica? Chiede Gianpi a Enrino Intini, l’imprenditore: «In che rapporti stai con Guarguaglini? Bene? Vallo a trovare stamattina...». E poi gli appalti per l’Aquila e gli agganci con le aziende satelliti di Finmeccanica. Ma pare di capire che questa parte dell’inchiesta è stata stralciata. «Devo purtroppo partire per Milano perché mi è successo un guaio su là: devo essere domani mattina prestissimo e poi l’aereo c’è solo stasera, quindi purtroppo ho cambiato tutti i programmi e parto per Milano. Se tu credi di poter arrivare qui adesso e che vi offro che so un gelato». Vita da presidente Vita da presidente, ogni tanto. E Silvio Berlusconi deve partire d’urgenza. Scrive la Finanza: «In questo frangente Tarantini dimostrava di saper trarre il massimo vantaggio anche dalle situazioni apparentemente a lui sfavorevoli, proponendo a Silvio Berlusconi di volare tutti insieme sull’aereo presidenziale, dicendo che le ragazze che aveva reclutato abitavano a Milano e facendo credere che lui aveva un impegno di lavoro in città, l’indomani mattina». Tarantini: «Sennò veniamo insieme a lei a Milano (risata). E poi rivolgendosi a Marysthell Polanco e a qualcun’altra che si trova con il gruppo: «Andiamo a Milano ora vi va? Con l’aereo con lui». Le sue interlocutrici rispondono di sì. Gianpaolo poi comunica al Presidente: «Va bene, se ci dà mezz’ora, il tempo di fare la valigia, veniamo». Giunti con l’aereo presidenziale a Milano, saltata la possibilità di passare la serata in compagnia del Presidente Berlusconi, Gianpi Tarantini (sempre secondo la Guardia di Finanza) «trascorreva la notte al Principe di Savoia di Milano in compagnia di Maria Esther Garcia Polanco». DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420593/
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« Risposta #39 inserito:: Settembre 22, 2011, 04:51:55 pm » |
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Politica 22/09/2011 - LE CARTE Ora pure la Finanza inguaia Laudati GUIDO RUOTOLO INVIATO A NAPOLI E oggi toccherà a lui, al procuratore di Bari, Antonio Laudati, essere sentito dalla prima commissione del Csm. Indagato dalla procura di Lecce per tentata violenza, favoreggiamento e abuso d’ufficio, Laudati probabilmente difenderà il suo operato attaccando l’ex pm Pino Scelsi, il suo accusatore. Le diverse testimonianze raccolte dalle procure di Lecce e Napoli, e depositate al Riesame di Napoli, propongono uno scenario compromettente. Non solo il verbale dell’accusatore di Laudati, il sostituto procuratore generale Pino Scelsi, o quello della pm Eugenia Pontassuglia che conferma parte delle accuse di Scelsi. Ci sono relazioni di servizio e verbali di interrogatorio di generali e colonnelli della Finanza che prendono le distanze dal«metodo» Laudati. La riunione alle Fiamme Gialle Uno degli episodi più controversi è una riunione che si tenne alla Legione Allievi della Gdf di Bari prima che lo stesso Laudati prendesse servizio a Bari, nel giugno del 2009. Ricorda il tenente colonnello Salvatore Paglino (successivamente arrestato da Laudati per stalking): «Il generale Vito Bardi (comandante interregionale dell’Italia meridionale della Gdf, indagato aNapoli per la fuga di notizie inchiesta P4, ndr) si presentò quando la riunione era già in corso da una decina di minuti. Ricordo che il generale Bardi si disse contrariato, rivolgendosi al colonnello D’Alfonso, di non essere stato informato su aspetti salienti delle indagini sulla sanità e su quelle del procedimento cosiddetto escort. Ricordo che il sostituto Scelsi difese il colonnello D’Alfonso dicendo che spettava solo all’autorità inquirente eventualmente autorizzare gli organi investigativi a riferire lo sviluppo delle indagini ad autorità diverse da quelle incaricate delle indagini stesse». Disse: «Il ministro mi ha voluto» «In data 26 giugno 2008, il dottor Laudati - si legge nella relazione di servizio depositata all’epoca dal colonnello Paglino - ha indetto presso gli uffici Legione Allievi della Gdf di Bari, una riunione, a suo dire, info-operativa, avente a oggetto le indagini in corso nei confronti di Tarantini Gianpaolo e altri soggetti... Dopo un breve pranzo conviviale, Laudati premetteva che le indagini in corso a Bari avevano creato preoccupazione nelle istituzioni e che la sua presenza in loco era stata voluta dallo stesso ministro di Giustizia, Alfano, al quale egli stesso aveva garantito una soluzione. La situazione era arrivata secondo quanto riferito dallo stesso magistrato, a un punto di gravità tale da poter potenzialmente produrre effetti negativi sullo stesso governo, nonché sulla stessa Gdf» Spuntano i Servizi Segreti Sulla fuga di servizio si sussurrava un coinvolgimento dei Servizi e in particolare si puntava l’indice sul generale Luciano Ingaggiato, comandante della Regione Puglia dal 2006 al 2010, che fino al 2006 era stato al Sismi di Pollari. «Non ho avuto - dice a verbale il generale Ingaggiato - alcun ruolo attivo nella costituzione della cosiddetta aliquota della Gdf distaccata presso la segreteria del procuratore della Repubblica di Bari. Il generale Bardi mi disse che le unità di personale dell’aliquota in questione dovevano essere a disposizione del procuratore Laudati per le indagini riguardanti la sanità pugliese/ Tarantini». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421409/
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« Risposta #40 inserito:: Settembre 27, 2011, 10:34:13 am » |
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Politica 23/09/2011 - CASO TARANTINI La Procura di Napoli al Riesame: "Ora Berlusconi diventi imputato" Nuova mossa dei pm campani: "Pressioni del premier sui testi" GUIDO RUOTOLO NAPOLI Nuova mossa della Procura di Napoli contro Berlusconi. I pm hanno presentato una richiesta al tribunale del Riesame per valutare se il presidente del Consiglio, alla luce dell'inchiesta sul caso Tarantini, non sia perseguibile come imputato. L'articolo richiamato dai magistrati è il 377 bis del codice penale: "Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria". Il ruolo del premier nella vicenda potrebbe quindi cambiare e in maniera sostanziale: da vittima di un ricatto a istigatore di bugie riferite ai giudici. Ma al momento questo è solo uno scenario di una inchiesta che sta presentando profili giuridici ogni giorno più complessi. Il nuovo colpo a sorpresa è costituito da un argomento, uno dei tanti affrontati nel corso dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame durata oltre 4 ore, introdotto dai pm Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock: in sintesi i magistrati affidano ai giudici del Riesame il compito di valutare, oltre alla sussistenza del reato contestato nelle ordinanze cautelari a carico di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola (estorsione ai danni del premier), anche un’ipotesi alternativa che si è fatta strada nel prosieguo delle indagini - ovvero dopo gli arresti - e alla luce degli atti acquisiti da Bari sulla vicenda delle escort, ovvero la prospettazione del reato di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Il riferimento dei pm è alle affermazioni fatte dall’imprenditore barese quando ai giudici di Bari ha raccontato che il presidente del Consiglio non era consapevole del fatto che le ragazze portate da Tarantini alle feste di Arcore e Palazzo Grazioli fossero escort, e alle dichiarazioni rese dallo stesso ’Gianpì nel carcere di Poggioreale, quando ha sostenuto che i versamenti di ingenti somme di denaro da parte del premier rappresentassero soltanto un atto di liberalità e non fossero dunque da mettere il relazione con i timori di una eventuale diffusione di notizie scandalose. Se il Tribunale della Libertà aderisse a questa ipotesi, i giudici potrebbero pertanto invitare la procura a procedere nei confronti di Berlusconi per istigazione a mentire. Ma quale procura? Sì, perchè in questa aggrovigliata vicenda giudiziaria resta sempre in piedi la questione della competenza territoriale dopo che per due volte, l’ultima ieri, il gip Amelia Primavera, lo stesso magistrato che aveva disposto gli arresti, ha affermato la propria incompetenza ordinando la trasmissione degli atti alla procura di Roma. Proprio oggi i magistrati della capitale hanno provveduto all’iscrizione di Tarantini e Lavitola nel registro degli indagati per il reato di estorsione. Ma i pm di Napoli durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame hanno ancora una volta rivendicato il proprio diritto a proseguire l’inchiesta, ritenendo l’attribuzione della competenza a Roma tutt’altro che pacifica, visto non è stato stabilito con certezza il primo (e probabilmente anche l’ultimo) episodio costituente reato. Nell’incertezza, affermano in sintesi, la competenza appartiene ancora a Napoli o, magari, a Bari o Lecce, dove si procede per la vicenda delle escort. E resta sul tappeto la questione principale sulla quale è chiamato a pronunciarsi il Riesame: le istanze di annullamento o di attenuazione delle misure cautelari per Tarantini e Lavitola. I legali - gli avvocati Alessandro Diddi e Ivan Filippelli per l’imprenditore detenuto a Poggioreale, l’avvocato Gaetano Basile per il direttore dell’Avanti latitante a Panama, hanno ribadito oggi le proprie richieste e pare abbiano sottolineato anche la competenza dell’autorità giudiziaria romana. La decisione è attesa per lunedì prossimo. Azzeccare un pronostico appare impresa assai ardua. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421761/
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« Risposta #41 inserito:: Ottobre 17, 2011, 09:34:25 am » |
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Cronache 17/10/2011 - DOSSIER/ I PROTAGONISTI DEGLI SCONTRI Quei tifosi della violenza alla ricerca dei riflettori Divise nere, caschi e passamontagna sono gli elementi che accomunano l'abbigliamento dei teppisti che si sono resi protagonisti degli episodi di violenza nella capitale Generazione precaria: le voci degli under 30 Giovanissimi e senza ideologie vengono dalle curve e dai centri sociali: ecco gli "sfasciatutto" entrati in azione sabato a Roma con metodi che ricordano i "cugini" delle banlieues francesi GUIDO RUOTOLO ROMA Non hanno miti nel cassetto, santi protettori, ideologie da difendere. I nuovi sfasciatutto ricordano i cugini francesi delle banlieues. Qui da noi sono le terze generazioni, gli eredi del ribellismo degli anni Settanta. Come in Francia lo sono dei primi immigrati dalle colonie di un tempo che fu. Sono giovani, giovanissimi. Moltissimi i minorenni che sabato hanno aggredito le forze di polizia e gli stessi spezzoni del corteo degli indignati. Bombe carte e fumogeni le loro armi. Come le spranghe e le molotov lo erano per i nonni che parteciparono alle violenze degli anni Settanta. Non hanno tentennamenti di fronte a chi cerca di portarli alla ragione. I loro nemici sono le forze di polizia e i servizi d’ordine che provano a bloccarli. È una miscela esplosiva di curve e centri sociali, di anarchici ed antagonisti. Uniti nello sfascismo, moderne forme di luddismo anticonsumista e contro la finanza globale. È un piccolo campione, per cercare di capire chi sono gli sfasciatutto che sabato hanno messo a ferro e fuoco Roma, hanno tarpato le ali al movimento degli indignati. Tra i venti fermati ci sono sette minorenni. Dodici gli arrestati, otto i denunciati a piede libero. Tra gli arrestati, tre con precedenti per violenza contro le forze dell’ordine. Uno di loro, arrestato con una busta di limoni, è un anarchico di Lecce che studia a Bologna e ha precedenti come ultra. Su venti fermati, cinque o sei vengono da fuori Roma. Una prima sommaria indagine sociologica sui fermati porta inesorabilmente a individuare il ceppo, il nucleo duro degli sfasciatutto negli anarcoinsurrezionalisti. Poi ci sono gli antagonisti e i minorenni. Sarebbe un grave errore cercare i loro punti di riferimento nelle ideologie del secolo scorso. Molti degli incappucciati, delle divise nere, dei caschi a testuggine che sono entrati in azione ieri li avevamo visti già a dicembre, a Roma. Cultori della violenza a prescindere. Se di ideologia si può parlare, allora la loro è quella della violenza. Sono dei clandestini che cadono in letargo e che si risvegliano in occasione delle partite di calcio o delle manifestazioni. Amano il palcoscenico, nell’era della globalizzazione. Comunicano via Internet ma adorano i riflettori delle telecamere e i flash degli obiettivi. Talpe che escono dalle tane, che vivono in un loro mondo nella quotidianità fatta di Internet point o di Centri sociali o di scantinati delle periferie metropolitane. Potevano essere individuati, neutralizzati, fermati? Con le leggi attuali no. Certo che potevano, e diversi lo sono stati, essere perquisiti e identificati. Ma se erano in regola, perché impedire loro di partire? Di partecipare alla manifestazione? Provocatoriamente, per evitare quello che è accaduto sabato, si dovrebbero pensare norme di prevenzione in grado di neutralizzare le violenze ma con nuove iniziative legislative. Per esempio, un Daspo per i violenti. Una provocazione, perché - al di là dei profili anticostituzionali, ledendo il diritto sacrosanto a manifestare le proprie idee - sarebbe molto complicato costringere il violento a firmare in commissariato o alla caserma per non andare in trasferta a una manifestazione nazionale. E se la manifestazione si svolgesse nella propria città? Come dire si dovrebbe prevedere i domiciliari permanenti dei violenti. Non volendosi rassegnare alle scene che abbiamo visto o vissuto sabato pomeriggio, quali alternative si possono immaginare? Creare uno spazio in periferia, tipo Tor Vergata, sull’anello del raccordo anulare, dove far svolgere le manifestazioni. O, ed è quella più difficile, riuscire a imporre al corteo di autoregolamentarsi. Di fronte al manifestarsi di black bloc, incappucciati e sfasciatutto, il servizio d’ordine del corteo dovrebbe intervenire per neutralizzare i violenti. Ma questo è un sogno. E il prezzo della democrazia ci riporta a sabato pomeriggio. Se i plotoni delle forze di polizia fossero intervenuti nel corteo cosa sarebbe successo? Le forze dell’ordine avevano ben chiara la percezione che la manifestazione avrebbe portato a scenari «sconvolgenti». Di certo i protagonisti delle violenza non sono stati i collettivi studenteschi universitari, i cobas, la Fiom, gli spezzoni della sinistra radicale. Anarchici, alcuni centri sociali, e tanti, tantissimi ultras. Sono loro i tifosi della violenza. da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/425120/
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« Risposta #42 inserito:: Novembre 08, 2011, 10:19:06 am » |
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Politica 08/11/2011 - IL CASO Gli ex dc: "Silvio si era convinto a lasciare, poi è arrivato Ferrara..." «Il solito rivoluzionario, ora si va al voto anticipato» GUIDO RUOTOLO ROMA Il vecchio democristiano che tra i primi salì sulla nave di Forza Italia è senza parole: «Sembrava fatta, fino a domenica sera si era convinto di dover fare un passo a lato. Insomma, di mettersi in panchina per fare scendere in campo Gianni Letta. E a quel punto le opposizioni avrebbero avuto difficoltà a dire di no. Ma poi è arrivato Giuliano Ferrara il rivoluzionario e tutto si è rimesso in discussione. Con un esito certo, a questo punto: le elezioni politiche anticipate». La trasmigrazione dei voti da un campo all’altro è ancora in pieno svolgimento, e si annunciano ulteriori smottamenti all’interno della maggioranza, defezioni di singoli e non certo di gruppi o aree, come è già accaduto con Carlo Vizzini e Gabriella Carlucci. Personalità come Claudio Scajola o Giuseppe Pisanu, infatti, hanno già compiuto la loro scelta, sostenendo il primo Silvio Berlusconi a prescindere, abbandonando quella nave il secondo: «Se la mozione di sfiducia - dice Pisanu al Tg3 - puntasse alla nascita di un governo di larghe intese e unità nazionale io la voterei». «Non ha più i numeri, il governo. Berlusconi si è lasciato ammaliare dai proclami rivoluzionari di Giuliano Ferrara. Ma anche da quella corte fatta di singole individualità, come il ministro Brambilla e lo stesso leader del partito che sarà, Angelino Alfano. Si è galvanizzato. "A' la guerre comme à la guerre"...». Ecco, la balena bianca che fu mal digerisce le manovre degli ultrà. Convinta che i numeri ormai non ci sono più. Se oggi si materializzasse quella convergenza di interessi distinti tra settori della maggioranza e opposizione, uniti nel voler dare un segnale al premier, e questo fronte decidesse di astenersi sul Rendiconto finanziario, allora potremmo trovarci con una maggioranza che tale non è più: per un grappolo di voti, tra uno e quattro (o con assenze mirate) potrebbe vincere l’astensione. E Berlusconi dovrebbe prendere atto che la maggioranza non c’è più. «I numeri non ci sono più - insiste il dirigente della prima ora di Forza Italia - e non ho capito come si posiziona la Lega, a questo punto». E già, che farà la Lega. Stracquadanio e i suoi cinque cofirmatari della lettera che molto ha agitato le acque, decideranno oggi come muoversi. Nel gruppo c’è chi vorrebbe astenersi o addirittura dichiararsi assente, visto che il voto sul Rendiconto sta assumendo il significato della conta. «Regna una grande confusione sotto il cielo di Roma». Un altro leader che fu di Forza Italia cita Mao Tse Tung, il leader della Rivoluzione culturale cinese per dire quanto sia in evoluzione la situazione: «Mi pare acclarato che Berlusconi non ha più i numeri e che si marcia speditamente verso le elezioni anticipate. Ma detto questo, oggi (ieri, ndr) abbiamo assistito a un rovesciamento delle carte molto netto. In mattinata un annuncio semiufficiale, visto l’autorevolezza della fonte (Giuliano Ferrara, ndr), dava per imminenti le dimissioni del presidente del Consiglio. Poi Berlusconi, commettendo un errore, ha annunciato di voler porre la fiducia sulla lettera di intenti alla Ue e al Fmi. Non esiste che si possa porre la fiducia su una lettera di intenti. Semmai la fiducia potrebbe essere posta sul maxiemendamento che, mi dicono, non essere ancora pronto». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/428748/
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« Risposta #43 inserito:: Gennaio 21, 2012, 11:03:56 pm » |
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Economia 21/01/2012 - retroscena "Su S&P un processo alle opinioni" Schiaffo Usa ai pm di Trani, negata la rogatoria Guido Ruotolo inviato a Trani Che schiaffone, quello arrivato a Trani con la forza di un uragano. Nell’ottobre scorso, la Procura che indaga sulle agenzie di rating Moody’s e Standard & Poor’s per manipolazione del mercato e abuso d’informazioni privilegiate, si era rivolta alle autorità americane per chiedere collaborazione giudiziaria. La risposta arrivata da Oltreoceano è stata un secco no, uno sbattere la porta violentemente: «Voi italiani volete processare le opinioni». Un brutto colpo. E non tanto perché Trani avrebbe voluto sentire alcuni testimoni eccellenti, come l’attuale presidente della Sec, la Consob americana, Mary L.Schapiro, l’ex analista di Moody’s William J.Harrington, il politologo autore di libri sulle agenzie di rating, Webster G. Tarpley, il giornalista italiano Federico Rampini e il premio Nobel Paul Krugman. Pazienza, dicono a Trani, questi contributi sarebbero stati importanti ma non sono indispensabili. Trani ha vissuto quel rifiuto americano a collaborare come un invito ad arrendersi. Certo, nella rogatoria americana, il pm Ruggiero avrebbe voluto la collaborazione Usa per accertare «le metodologie seguite dalle Agenzie nell’elaborazione di report macroeconomici; per capire se i rating riflettono correttamente le conclusioni proprie degli analisti che elaborano i dati a base dei rapporti stessi; se il manageament e gli uffici di "compliance" delle predette agenzie facciano il possibile per rendere trasparenti le procedure di controllo sulla qualità dei rating e, infine, l’esistenza di sutazione di potenziale conflitto d’interesse interno alle Agenzie che minacci l’indipendenza e obiettività delle attività di rating». E chiedeva, la Procura di Trani, di avere una copia dalla Sec (la Consob americana) o dal Dipartimento di Giustizia, degli «atti relativi alle indagini aperte nei confronti dell’AgenziaS&P a seguito del declassamento del debito pubblico americano e della crisi dei mutui subprime». Pensava, il pm Michele Ruggiero, di convincere gli americani appellandosi al corretto funzionamento del mercato: «Vale la pena evidenziare che ancor prima di essere un luogo di scambio di valori economici, il mercato finanziario è innanzitutto un luogo ove si scambiano informazioni giacchè gli operatori fondano e dirigono le proprie scelte di mercato sulle informazioni in proprio possesso. Essere informati significa, infatti, non solo acquisire una serie di dati e notizie, ma soprattutto conoscere e gestire il patrimonio informativo acquisito operando delle scelte». Ecco l’affondo: «E’ di solare evidenza che se le informazioni fornite dalle agenzie di rating non sono veritiere (in tutto o anche solo in parte), né puntuali né fondate su dati ufficiali e affidabili, viene a determinarsi una sorta di "aggiotaggio informativo", cioè una "manipolazione" del mercato che procura pesanti danni che si riverberano sull’economia globale (non solo su quella del Paese destinatario del rating/outlook "negativo")». Se non risulta offensivo, ecco il «teorema» di Trani: queste agenzie di rating, che per usare una immagine del procuratore Capristo, «per le autorità europee sono detentrici soltanto di fogli rosa e non di patenti», per dire che le loro pratiche non sono state evase e, dunque, operano senza licenze, queste agenzie operano con comportamenti opachi, favorendo fughe di notizie che provocano comportamenti nervosi del mercato. E nel merito si lasciano andare a valutazioni sbagliate, manifestando quasi esplicitamente un comportamento pregiudizievole nei confronti dell’Italia. Nella rogatoria americana, il pm Ruggiero ricorda che nell’esposto presentato dalle associazioni Adusbef e Federconsumatori, si citano a mo’ d’esempio «le valutazioni inaffidabili delle agenzie di rating che nel 2001 non furono in grado di prevedere il crack statunitense Enron, nel 2007 consideravano strumenti finanziari poco rischiosi quei mutui subprime all’origine della crisi finanziaria mondiale e, nel caso Lehman Brothers, attribuivano alle obbligazioni della banca d’affari un rating da tripla A fino a qualche giorno prima del noto crack». Dal presidente della Sec, Schapiro, Trani avrebbe voluto notizie sulla possibile esistenza di esposti e denunce nei confronti delle due agenzie di rating per gli stessi reati per i quali procede Trani. E se risulta alla Sec che le due agenzie sono controllate da investitori in potenziale conflitto d’interesse che ricevono grandi benefici o profondi danni dalle oscillazioni del mercato. La risposta americana ha chiuso ogni spiraglio di collaborazione. da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/439180/
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« Risposta #44 inserito:: Marzo 10, 2012, 04:02:22 pm » |
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Esteri 09/03/2012 - retroscena Nuovo incubo diplomatico Servizi segreti nel mirino Imbarazzo con l’Inghilterra. Il Copasir: per i nostri 007 tutto filava liscio GUIDO RUOTOLO Roma Indeboliti. E’ il verbo che tutti coniugano in queste ore per giustificare lo «sgarro» inglese. Perché tutti sono consapevoli che il premier David Cameron non ha voluto informare il presidente del Consiglio Mario Monti dell’imminente blitz delle forze speciali inglesi per provare a liberare due ostaggi, uno inglese l’altro italiano, sequestrati e detenuti in Nigeria. In altri tempi, magari, lo «sgarro» di Londra avrebbe avuto strascichi ben diversi. Ma in queste ore sta montando più la frustrazione che la rabbia. Un senso di impotenza pervade la politica e gli apparati. Perché tutti parlano della morte dell’ingegnere Franco Lamolinara e aggiungono il capitolo dei «marò». Per dire che quello che è accaduto in India ai nostri due soldati è un’altra conferma del «ruolo indebolito dell’Italia all’estero». Il presidente del Consiglio Monti dovrà pure ricostruire i vari passaggi dell’incidente nigeriano, ma di certo, anche nel comportamento dei nostri Servizi di intelligence, c’è forse qualcosa da chiarire. Almeno secondo il Copasir dove ragionano: «Fino a due giorni fa, i nostri Servizi di sicurezza ci hanno spiegato che tutto filava liscio e tranquillo. Che avevamo la situazione sotto controllo sul territorio. Naturalmente si riferivano ai dieci italiani sequestrati, Rossella Urru e Franco Lamolinara compresi. E allora vorremmo capire cosa è successo in questi due giorni. Perché non siamo stati informati dell’imminente blitz?». L’ira del presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Massimo D’Alema, si legge nel secco comunicato di palazzo San Macuto: «Occorrerà chiarire con rigore le circostanze che hanno portato le autorità britanniche a decidere l’operazione militare senza preventivamente informare le autorità italiane, ancorché fosse coinvolto un nostro connazionale». Durissime le annotazioni di D’Alema. Che del resto confermano le dichiarazioni del premier Monti. Palazzo Chigi: «(il blitz, ndr) è stato avviato autonomamente dalle autorità nigeriane con il sostegno britannico, informandone le autorità italiane solo ad operazione avviata». Questo non era mai accaduto prima. Negli anni terribili dei sequestri degli ostaggi occidentali in Iraq come in Afghanistan, e anche in Nigeria, la cooperazione internazionale e l’attività degli apparati di intelligence hanno proficuamente portato a casa gran parte degli ostaggi. Blitz comuni con gli americani, per esempio, sono avvenuti in Iraq. E sul posto, a Baghdad come in Afghanistan, i nostri apparati erano riusciti a mettersi in contatto con realtà del volontariato locale e internazionale. Cos’è che non ha funzionato in Nigeria? Che non sta funzionando in queste settimane? Perché gli ostaggi sono detenuti da troppo tempo? La parlamentare del Pd, Rosa Calipari affonda il bisturi nella piaga: «Il povero Lamolinara è stato sequestrato nel maggio scorso, dieci mesi fa. Da allora ad oggi che hanno fatto il governo italiano e i nostri Servizi? Perché gli inglesi e i nigeriani non ci hanno coinvolto nella decisione del blitz? Forse che in questi mesi siamo stati assenti?». E dunque gli ostaggi, la politica estera, la detenzione dei nostri due marò in India. Si allunga la lista dei dolori italiani. Ma evidentemente c’è anche un problema specifico che riguarda l’attività dei nostri Servizi. All’estero, intanto. Non è un mistero che anche al Copasir si ragioni nei termini di una unificazione degli attuali due servizi, quello estero, l’Aise, e quell’interno, l’Aisi. Forse quello che è accaduto in Nigeria potrebbe rappresentare un colpo d’acceleratore per prendere le giuste decisioni. da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/445678/
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