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Autore Discussione: GUIDO RUOTOLO -  (Letto 43378 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Agosto 22, 2010, 09:13:41 pm »

22/8/2010 (7:41)  - INTERVISTA

Bocchino: lo strappo non è ricucibile, nascerà il nostro nuovo partito

«La logica degli aut aut appartiene più al commercio che alla politica»

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Presidente Italo Bocchino, il premier Berlusconi si è stufato, non vuole più trattare: “Prendere o lasciare”. Che fate voi finiani?
«Quella di Berlusconi è una logica che appartiene più al commercio che alla politica. Non possiamo accettare che ci si chieda un consenso al 100% di un percorso alla cui elaborazione non siamo stati chiamati a partecipare, e che contiene argomenti che non fanno parte del programma. Ne deriva che non ci sentiamo vincolati né con la maggioranza né con gli elettori».

Se dovesse scommettere, nascerà il partito di Gianfranco Fini?
«Non credo che si possa ricucire lo strappo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, e quindi vedo all’orizzonte la nascita di un nuovo partito politico».

Quando si andrà al voto?
«Berlusconi dovrà decidere se questo partito politico potrà far parte della coalizione. Noi naturalmente siamo per questa soluzione. In caso contrario, il voto è nelle cose».

Torniamo a quel prendere o lasciare. A quel 5% del programma che non vi piace. «L’enunciazione dei cinque punti di programma è una vittoria politica di Fini, che aveva chiesto di varare un programma per la seconda parte della legislatura e per questo era stato definito un pazzo. Adesso siamo tutti pazzi».

Federalismo fiscale, sud, riforma del fisco. Temi sui quali eravate state voi a insistere. Su sicurezza e giustizia, invece, il rischio è la rottura?
«Sulla sicurezza non possono certo pensare di crearci problemi. Noi solleciteremo di approvare in tempi rapidi il disegno di legge anticorruzione. Sul contrasto all’immigrazione clandestina, naturalmente, non ci sono nostre perplessità, la legge in vigore porta il nome di Fini. Chiediamo un grande progetto di integrazione dell’immigrazione regolare».

Lo scoglio insormontabile è il processo breve?
«Premessa: siamo a favore di uno scudo giudiziario per Silvio Berlusconi, vittima di una aggressione giudiziaria. Dunque, va bene il Lodo Alfano costituzionale. Le soluzioni alternative ci lasciano perplessi, non le capiamo, vorremmo discuterne. Per sottrarre Berlusconi da indubbie aggressioni si minano al cuore regole di sistema, facendo saltare un numero spropositato di processi che coinvolgono molti cittadini in attesa di giustizia».

No al processo breve?
«Nessuna pregiudiziale ma anche nessun aut aut. Entriamo nel merito della discussione. Non ci è chiaro neppure quel passaggio inserito nel documento e che fa riferimento ai procedimenti civili pendenti».

Dixit Berlusconi che se fate il partito è rottura...
«La sua è una strana concezione della politica e del tradimento. Berlusconi fa finta di non ricordare che Fini è stato dichiarato incompatibile con il Pdl. Fini non può essere un apolide della politica. Berlusconi con una logica padronale lo sbatte fuori dal partito e lui ha il dovere verso gli elettori di dar vita a un nuovo soggetto politico a meno che non si torni alla logica politica della compatibilità».

Frattura insanabile tra voi e gli altri del Pdl?
«Il progetto del Pdl è imploso. Ma la politica è l’arte delle cose impossibili e Berlusconi potrebbe far marcia indietro. Anche perché i sondaggi dicono che se si va al voto il Pdl perde tra i 60 e gli 80 parlamentari a vantaggio di Bossi e nostro. E al Senato Berlusconi non avrebbe la maggioranza. Il partito dei parlamentari che rischiano di perdere la poltrona e che al voto non vogliono andare è forte. E poi, di fronte a due maggioranze diverse tra Camera e Senato, scommetto che Umberto Bossi sponsorizzerebbe il governo Tremonti».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57842girata.asp
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 23, 2010, 05:52:22 pm »

23/8/2010 (7:11)  - INTERVISTA

Gasparri: "Fini duro con Silvio quando lo vede in crisi"
   
Il capogruppo Pdl al Senato: se fanno il nuovo partito si va a votare

GUIDO RUOTOLO
ROMA

Presidente Maurizio Gasparri, ci sono ancora margini...
«Devono esserci. Il barometro di questa domenica d’agosto segna ancora tempesta. Non c’è dubbio che il dibattito politico è talmente esasperato che la possibilità che si voti a breve è concreta. Ma io voglio essere ottimista. Credo ancora che si possano scongiurare le elezioni se prevarrà lo spirito positivo espresso per esempio nell’intervista ad “Avvenire” dal finiano Pasquale Viespoli. Sul punto controverso della giustizia sottoscrivo quello che ha detto».

Si riferisce al processo breve?
«Preferisco parlare di processo di ragionevole durata. E’ vero che la norma transitoria non fa parte del programma elettorale del Pdl, ma in quel programma è scritto chiaramente che vogliamo dare piena attuazione al principio costituzionale del giusto processo per le vittime e per gli imputati. Pasquale Viespoli ha sostenuto che il testo approvato al Senato è il punto di sintesi anche per la Camera. Sono d’accordo».

Che fa, Gasparri? Ancora con questi distinguo tra buoni e cattivi? Gianfranco Fini è stato nei fatti espulso dal Pdl. E dunque senza un vostro dietrofront, i finiani saranno costretti a fondare un nuovo partito.
«Tra noi ex An ci conosciamo tutti da un bel po’ d’anni. Tra Viespoli e Bocchino c’è una distanza anni luce. Prendo atto che adesso in quella galassia la confusione è massima. Contro il Berlusconi degli editti di “Fare Futuro” anche i falchi hanno dovuto prendere le distanze. Mi limito a osservare la dialettica in quest’area, e aspetto i suoi esiti».

Tattica politica, la sua. Il rapporto tra Berlusconi e Fini si può ricostruire?
«E’ un rapporto che ha sempre vissuto di alti e bassi. E’ umorale e per quanto riguarda Fini è sempre stato legato agli scenari politici da lui ipotizzati. Voglio dire, rapporti tesi quando Fini pensava che Berlusconi sarebbe entrato in crisi politicamente. Ultimo esempio, poche ore prima del predellino, Fini era convinto che Prodi avrebbe resistito salvo poi correre da Berlusconi senza avvisarci neppure».

Cosa farete quando sarà nato il nuovo partito di Fini?
«Prenderemo atto che la maggioranza non c’è più e dunque si andrà al voto».

Ma se voi avete espulso nei fatti Fini...
«E’ vero, il documento di luglio è molto duro nei suoi confronti, a ben vedere. Se vuole le leggo tonnellate di sue dichiarazioni contro tutto. Intendiamoci, il dissenso su una questione è del tutto legittimo, ma sono anni ormai che Fini è bastian contrario. La sua è una contestazione sistematica su tutto».

Che fa, passa il cerino ai finiani?
«Ma lo sa che da tempo lui aveva annunciato la volontà di creare gruppi parlamentari autonomi? Il lunedì dei risultati elettorali delle regionali, quando ancora i risultati del Lazio e del Piemonte erano incerti, convocò una riunione per dare vita ai gruppi parlamentari autonomi, appunto. Salvo poi disdirla quando Roberto Cota e Renata Polverini divennero governatori del Piemonte e del Lazio».

A proposito di lavoriamo per evitare le elezioni, il presidente Berlusconi si appella alle squadre della libertà...
«Brutto quel nome che evoca altre storie... Io avrei preferito che si chiamassero difensori delle libertà...».

A parte i finiani, Rotondi, Buttiglione e Caldoro se la sono presa a male...
«E hanno ragione. Al vertice dell’altro giorno avremmo dovuto invitarli, visto tra l’altro che Rotondi è ministro per l’attuazione del programma di governo».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57863girata.asp
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 12, 2010, 08:41:32 am »

12/9/2010

Vivere al sud, un atto d'amore
   
GUIDO RUOTOLO

E adesso aspettiamo di vedere le immagini del Bertolaso di turno che arriva ad Atrani e spiega che la colpa è dell’incuria degli amministratori, che si deve mettere in sicurezza il costone della montagna. Chissà se il mare consegnerà le spoglie della povera Francesca, sparita nel fango.

«Disastro annunciato», titola «il Mattino» di Napoli, che di nuovo è tornato, come ai tempi del terremoto dell’Irpinia del 1980, a sferzare le classi dirigenti del Mezzogiorno. Venerdì, ai funerali di Angelo Vassallo, c’erano centinaia di sindaci, di fasce tricolori e gonfaloni. Molti di loro, in quel 1980 erano giovani volontari che si impegnarono a prestare soccorso alle vittime e ai superstiti di quella tragedia. Oggi sono i primi cittadini di quei Comuni.

Angelo Vassallo, il sindaco pescatore, era un gendarme del territorio, amava l’ambiente, il mare e il verde che circondava Pollica. Il sindaco di Atrani, Nicola Carrano, c’è da scommettere che si assolverà.

Atrani. E prima, solo per ricordare le tragedie di questi ultimi anni, c’era stata Casamicciola, e Sarno. E poi Giampilieri, Messina. Soverato appena dieci anni fa.
Le frane, gli smottamenti, gli incendi dolosi con le sue vittime innocenti che hanno sconvolto recenti estati, come quello funesto dell’area tra Messina e Barcellona Pozzo di Gotto.
E gli attentati, le saracinesche squarciate, le pallottole vaganti che colpiscono innocenti. Le rese dei conti tra bande di spacciatori, le esecuzioni tipo Castelvolturno, con sei immigrati clandestini vittime delle raffiche casalesi.

Tante Gomorra sono spuntate nel frattempo.
Vivere al Sud è un atto d’amore, per le persone perbene. Fa riflettere questo Mezzogiorno. Mai come oggi, la politica di contrasto al crimine produce risultati positivi. Sarebbe stupido negarlo, sarebbe miope non riconoscerlo. Ed è un merito anche del governo, del ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni. Come lo è di quei pubblici ministeri che indagano, intercettano, verificano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, chiedono l’arresto degli indagati.

Gli attentati contro il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, il 3 gennaio e il 26 agosto, raccontano l’offensiva criminale contro la magistratura reggina impegnata contro la ’ndrangheta, contro l’area grigia che è un mix di colletti bianchi, massoneria, pezzi di apparati delle istituzioni.

Venerdì notte passavano sui telegiornali le immagini drammatiche di Atrani, quel fiume violento di acqua e terra che travolgeva tutto. E pochi attimi dopo, i funerali di Acciaroli. Davvero una rappresentazione plastica del paradosso del Sud: chi difende il territorio viene eliminato. La speculazione e l’abbandono del territorio producono, invece, catastrofi e vittime innocenti.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7819&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 09, 2010, 03:47:07 pm »

9/10/2010 (7:35)  - RETROSCENA

"Erano piccati per le mie dichiarazioni contro il governo"

La frase della Marcegaglia che ha dato un'accelerazione all'inchiesta

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Prende coraggio Emma Marcegaglia, e dice di non temere il dossier de «Il Giornale», che Confindustria non si lascerà intimidire. Che fosse impaurita, intimorita per i sinistri messaggi dei vertici del quotidiano della famiglia Berlusconi, Emma Marcegaglia l’aveva messo a verbale il 5 ottobre, davanti al pm Henry John Woodcock: «Erano piccati anche per le dichiarazioni contro il governo... il Giornale e il giornalista hanno tentato di costringermi a cambiare il mio atteggiamento nei confronti del Giornale stesso.... anche Confalonieri mi chiese di cambiare atteggiamento nei confronti del Giornale... mi disse di aver parlato con Feltri e che era tutto a posto nel senso che il Giornale avrebbe desistito».

Beh, questa volta i due pm napoletani Piscitelli e Woodcock è come se fossero stati invitati a nozze. Il 5 ottobre, giorno in cui sentono i testi, si ritrovano con due parti offese, Emma Marcegaglia e Rinaldo Arpisella, direttore della comunicazione istituzionale del presidente di Confindustria, che confermano, anzi aggravano le ipotesi accusatorie contro Sallusti e Porro.

L’accelerazione delle indagini era avvenuta il giorno prima, quando i pm si erano resi conto che era in atto «una probabile fuga di notizie». Il Giornale quel giorno aveva infatti titolato in prima pagina: «I Pm spiano i telefoni del Giornale». La direzione del quotidiano parlava di due procure, una al Nord e una al Sud, che indagavano...

Dagli atti depositati emerge chiaramente che il telefono sotto intercettazione era quello di Rinaldo Arpisella, il collaboratore di Emma Marcegaglia, e che Nicola Porro era stato intercettato solo perché parlava con Arpisella (secondo le indiscrezioni sembra che Arpisella non sia formalmente indagato).

Vale la pena sottolineare che i pm non avevano a disposizione le intercettazioni della Marcegaglia con Confalonieri (non essendo entrambi intercettati) né le telefonate tra Vittorio Feltri e il numero uno di Mediaset (per lo stesso motivo). E, dunque, danno corpo allo scenario della violenza privata proprio le dichiarazioni di Emma Marcegaglia e di Rinaldo Arpisella, che lasciano aperta l’ipotesi di altre incriminazioni.

L’inchiesta «madre» è ancora oggi molto «blindata». Scarne le indiscrezioni, filtra solo la sensazione che il filone ambientale affidato al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri del «capitano Ultimo», rappresenti una minima parte delle indagini. Che l’inchiesta Piscitelli e Woodcock sia nitroglicerina.

E, dunque, che la perquisizione delle redazioni milanese e romana del Giornale sia stato un atto «urgente» non rinviabile perché in atto una fuga di notizie e un’offensiva basata su dossier come quella che per tutta l’estate si era concentrata sulla casa di Montecarlo di Giancarlo Tulliani, fratello della compagna della presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Fanno notare a Palazzo di Giustizia che la competenza territoriale di questa indagine è discutibile e che gli atti potrebbero finire a Milano come a Roma. E, dunque, i due pm di fronte alla necessità di tentare di sequestrare il «dossier» del presunto ricatto, hanno proceduto con la perquisizione delle redazioni de «Il Giornale», sollevando critiche e preoccupazioni.

Di fronte all’obiezione sui comportamenti penalmente rilevanti di Alessandro Sallusti, dalla Procura si lascia intuire che in questa fase delle indagini l’iscrizione sul registro degli indagati del direttore de «Il Giornale» era una doverosa forma di garanzia processuale, anche in previsione della perquisizione delle redazioni romana e milanese del quotidiano. «Davvero è stata messa in discussione la libertà di informazione? Dal tenore delle conversazioni - fanno notare in Procura - e delle dichiarazioni delle parti offese, l’attività dei vertici del quotidiano era rivolta più all’obiettivo di costringere Emma Marcegaglia a cambiare posizione politica che a pubblicare articoli e fare informazione».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59239girata.asp
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« Risposta #19 inserito:: Novembre 02, 2010, 06:43:46 pm »

2/11/2010


   
GUIDO RUOTOLO

E adesso con che faccia il presidente del Consiglio dirà ai manifestanti di Taverna del Re che non devono contestare, ostacolare i compattatori, bloccare lo sversamento provvisorio di rifiuti? E ai comitati della Val di Susa che protestano contro la Tav, cosa dirà? Proporrà di spostare il tracciato dell’Alta Velocità? E se dovesse annunciare la Regione prescelta dove costruire la prima centrale nucleare in Italia, e di fronte a una rivolta popolare cosa farà? Sospenderà la decisione? Cambierà regione? Cosa dirà ai sindacati di base, agli spezzoni di movimenti che rivendicano interventi radicali di modifica di accordi, di intese, di progetti e programmi? Che la lotta paga? Quel Silvio Berlusconi tornato in prefettura a Napoli venerdì sera sembrava una controfigura di se stesso. Proprio lui che era stato eletto premier sull’onda dello sfascio napoletano, della crisi dei rifiuti e che sulla crisi risolta aveva puntato per rodare la compagine governativa. E adesso che fa? Si rimangia tutto.

Due anni fa aveva ottenuto il via libera bipartisan dai sindaci, dai presidenti di Provincia e dal governatore della Campania, gran parte esponenti del centrosinistra, al suo piano. E a garanzia della sua attuabilità, Berlusconi aveva posizionato l’esercito a difesa dei siti strategici, delle discariche, degli impianti di trattamento dei rifiuti, dell’inceneritore di Acerra. Ma ora tutto è saltato. Sono bastate le proteste popolari, la distruzione e il danneggiamento di una cinquantina di compattatori, per far fare il passo indietro al presidente decisionista. Così non si farà la discarica a Cava Vitiello.

Ma come si intenda risolvere la crisi dei rifiuti non lo ha detto, non lo ha scritto nell’accordo di venerdì con i sindaci del Vesuviano. Si è richiamato genericamente al suo precedente piano. Si è affidato a un Guido Bertolaso che dopo la battuta leghista sul Vesuvio non gode certo di buoni auspici da quelle parti. Questo significa che Silvio Berlusconi dovrà aprire nuove discariche. Potrà cavarsela ampliando la capacità ricettiva delle discariche di Terzigno (cava Sari), di Chiaiano, di San Tammaro (Caserta), di Sant’Arcangelo Trimonte (Benevento) o di Savignano (Avellino). Oppure aprire la discarica ad Andretta (Avellino). O ritornare ai treni e alle navi per la Calabria, la Svezia, magari la Germania. Da qualche parte i rifiuti devono andare. Comunque si voglia affrontare il problema, Silvio Berlusconi dovrà cercare di ricordarsi che la campagna elettorale non è ancora iniziata. Non solo quella di Napoli. E dunque dovrebbe uscire dalla propaganda. La crisi dei rifiuti in Campania non è stata ancora risolta. Le prossime ore saranno decisive. I sindaci del Vesuviano hanno già preso le distanze: i compattatori devono tornare a cava Sari per riversare i rifiuti del comprensorio. Ma la popolazione che ha manifestato sabato sera non è d’accordo.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8029&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #20 inserito:: Novembre 25, 2010, 05:13:39 pm »

Politica

24/11/2010 - RETROSCENA

La Carfagna ci ripensa "Non mi dimetto più"

Il ministro convinto "dai segnali positivi sui termovalorizzatori"

GUIDO RUOTOLO

Gongola soddisfatta, a sera, la ministra Mara Carfagna. Giornata convulsa la sua, ricca di appuntamenti politici e di emozioni, ma anche di tante soddisfazioni. Al punto che, lasciando il ministero delle Pari Opportunità, il ministro Giovanna d'Arco che combatte la sua crociata per la «trasparenza e la legalità» dentro e fuori il suo partito, il Pdl, ha confidato a una sua collaboratrice: «Il decreto legge che affida i poteri commissariali per la costruzione dei termovalorizzatori al presidente della Regione, i segnali che arrivano e che ho raccolto nei colloqui che ho avuto tutto il giorno, mi fanno essere ottimista. Sì, posso anche rimettere in discussione la mia decisione, posso anche non dimettermi da ministro e da parlamentare. Confido nel processo virtuoso che si è attivato».

Eh sì, davvero Mara Carfagna, per chi l'ha incontrata ieri, era soddisfatta: «Quando dicevo quello che pensavo nel chiuso delle stanze delle riunioni, nessuno mi dava ascolto. Adesso invece...».

Le altre ministre solidali, dalla Gelmini alla Prestigiacomo, persino i triumviri Denis Verdini e Ignazio La Russa hanno ascoltato le sue rivendicazioni. Sembrerà incomprensibile, ma quello che chiedeva Mara Carfagna non era la testa di Nicola Cosentino il Casalese - il coordinatore regionale del Pdl sul quale pende una richiesta di custodia cautelare per collusione con la camorra, sospesa perché parlamentare - servita su un piatto d'argento in poche ore. Voleva, la ministra, che il gruppo affaristico e in odore di camorra che governa il partito in Campania non avesse carta bianca sugli inceneritori che si devono costruire.

Lei si è limitata ad alzare la voce, ad annunciare la sua uscita di scena per ottenere un segnale preciso. E infatti il decreto, «che era entrato in Consiglio dei ministri nominando commissari i presidenti delle Province», alla fine è stato approvato mettendo all'angolo i presidenti delle Province.

E' stata questa la «impuntatura» di Mara Carfagna, il ministro che non dispiace neppure all'opposizione. Chi l'ha incontrata in queste ore, sussurra che la ministra è rimasta molto amareggiata per le accuse (volgari), per quelle smorfie che sottintendono retroscena molto privati. Invidie, null'altro.

Sembra una saggia cinese, Mara la salernitana. Un passo alla volta. La vicenda della crisi dei rifiuti, degli inceneritori che dovranno essere costruiti diventa così un primo banco di prova di quella offensiva politica che punta alla «trasparenza e legalità» anche dentro il partito. Ma quella sarà la campagna d'inverno di Mara Carfagna. A maggior ragione se la prospettiva sarà quella di un'aspra campagna elettorale, se si dovesse andare al voto.

Vuole giocare d'anticipo la ministra. Sa bene che se si andasse ai congressi provinciali in questo clima, Nicola Cosentino otterrebbe percentuali bulgare. E, dunque, sta valutando concretamente se e quale «agibilità politica» le sarebbe garantita, se decidesse di condurre una battaglia alla luce del sole dentro il Pdl.

Il «caso» Carfagna nasce a Salerno, innanzitutto. E' qui che si consuma il primo strappo tra Mara Carfagna e il partito. Sarebbe miope non riconoscere che il rapporto d'amicizia tra la ministra e Italo Bocchino andava ben oltre la stima reciproca personale. Insieme hanno condotto una battaglia interna per la legalità e la trasparenza contro la gestione del Pdl dei Casalesi. E oggi che Bocchino è impegnato nella nuova avventura politica di Fli è chiaro che la posizione di Mara Carfagna si è indebolita, esposta agli attacchi del gruppo dirigente del partito.

Alle ultime provinciali di Salerno vince Edmondo Cirielli, ex An, che era il suo candidato. Mara Carfagna ha provato sulla sua pelle il «tradimento» di Cirielli. Che una volta eletto ha fatto fuori gli esponenti di Forza italia. Ma questa è un'altra storia, quello che conta, ha ripetuto ai suoi interlocutori, anche a Gianfranco Micciché, il fondatore di «Forza del Sud» incontrato ieri, «è che la battaglia per cambiare il decreto sull'emergenza rifiuti è molto più importante del partito». E quella battaglia, Mara Carfagna spera di averla vinta. Adesso dovrà vincere la guerra del rinnovamento del Pdl della Campania.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/376455/
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« Risposta #21 inserito:: Dicembre 08, 2010, 12:32:52 pm »

8/12/2010


GUIDO RUOTOLO

Lascia disorientati questo singolare scontro tra le procure di Palermo e Caltanissetta che ha per oggetto la credibilità di un testimone che si chiama Massimo Ciancimino.
Non è la prima volta che accade, e quello che dovrebbe preoccupare di più è che l’oggetto dello scontro tra i due uffici giudiziari siciliani è sempre lo stesso: le stragi di mafia e la trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra.

Materia incandescente, che proprio per questo dovrebbe suggerire un bon ton istituzionale ma dalle due procure siciliane il Galateo viene violato senza porsi grossi problemi.
L’oggetto dello scontro diventa materia di dominio pubblico e spesso si accompagna con una pesante violazione del segreto istruttorio. Vanificando una volta il lavoro di una procura, un’altra dell’altra.

Colpisce che nell’arco di poche ore Caltanissetta abbia sepolto ogni barlume di credibilità del figlio di Don Vito affibbiandogli un elenco sterminato di calunnie e di violazioni di segreti investigativi. E nello stesso tempo, nelle stesse ore, Palermo invece faccia capire che per lei Massimo Ciancimino non è un bandito, non è un mafioso, è un testimone le cui dichiarazioni vanno tutte riscontrate. E che i primi riscontri sono stati positivi.

Quello che colpisce, in realtà, è l’andare in scena dello stesso copione.

Che sia fisiologica una dialettica tra uffici giudiziari è normale, ma non che si riproponga sempre sulla stessa materia, cambiati i protagonisti. Ieri, i procuratori Caselli e Tinebra, oggi i procuratori Messineo e Lari (con un ruolo di spettatore di Firenze, ieri come oggi). Dunque, Massimo Ciancimino, secondo la Procura di Caltanissetta ha calunniato il funzionario dei Servizi segreti Lorenzo Narracci e soprattutto l’ex Capo della Polizia, il prefetto Gianni De Gennaro, oggi numero uno dei Servizi segreti.

Ma Narracci non era stato chiamato in causa anche da Gaspare Spatuzza, che addirittura l’aveva collocato nel garage dove si stava imbottendo di tritolo l’auto che doveva eliminare Paolo Borsellino e la sua scorta? Salvo poi sfumare l’accusa in un successivo confronto all’americana? Ma anche Massimo Ciancimino sulle identità dei vari «signor Franco» è stato incerto.

Perché due pesi e due misure? Quel che dovrebbe essere scontato è che sulle accuse nei confronti del prefetto Gianni De Gennaro, la procura di Caltanissetta ha in mano le prove della calunnia. Perché, è questa la perplessità di Palermo, sarebbe ben strano che si procedesse contro il denunciante senza aver verificato le sue accuse.

Speriamo che gli effetti dei veleni finiscano presto. E che una lucidità investigativa ristabilisca verità e onorabilità dei protagonisti di questa intossicazione.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8180&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #22 inserito:: Dicembre 16, 2010, 03:46:09 pm »

Politica

16/12/2010 - RETROSCENA

Ribelli e incensurati: radiografia delle nuove leve

Si è abbassata l’età dei ragazzi in prima linea nella guerriglia

Ma con loro i protagonisti delle violenze degli anni passati

GUIDO RUOTOLO

ROMA
Melania è una ragazza di 17 anni. Viene da Roma Prenestina e il giorno dopo racconta di piazza del Popolo. «Quando ho visto il blindato prendere fuoco la gola mi si è seccata. Io volevo trovare sorrisi complici tra noi e non questa violenza così rabbiosa».

La violenza rabbiosa? Un colpo d’occhio al corteo di martedì e l’età media dei ragazzi era davvero bassa. Nuove leve di studenti, la classe dirigente che sarà, sono in movimento. I cattivi maestri non sono mai andati in pensione e ora sono tornati in azione? Facendo proseliti nel nuovo movimento?

Sorprende che “il ragazzo con la pala” (con le manette ed il manganello), di cui si è favoleggiato a lungo ieri perchè indicato come un possibile infiltrato, in realtà si sia rivelato semplicemente un figlio d’arte: suo padre infatti è un brigatista rosso.

Se parli con l’analista dei movimenti, la risposta è disarmante: «Le nuove leve violente? Non esistono, sono quelle di sempre che si ripropongono. Vecchi centri sociali che fanno da incubatori: Torino, Milano, Napoli e Bologna. Spicchi di nuove generazioni si lasciano affascinare e incantare da vecchi profeti che predicano e praticano la violenza». In un documento, gli 007 nei giorni scorsi avevano segnalato questo tentativo di unificare i vari spezzoni di movimenti: «La progettualità sembra essere quella di avviare un confronto tra le diverse anime del panorama estremista e del mondo del lavoro che porti ad unire istanze tradizionalmente care al mondo operaio ad interessi tipici del movimento antagonista sotto il comune denominatore della radicalizzazione delle lotte nell’attuale periodo di crisi».

Un elemento colpisce dalla lettura dei dati anagrafici di 22 ragazzi arrestati martedì, e per i quali si terrà oggi il processo per direttissima a piazzale Clodio: la loro età media è di 22 anni, con un unico picco massimo di 32 anni. E soprattutto, colpisce la provenienza dei ragazzi: solo sette - un terzo del totale - sono di Roma, gli altri sono arrivati da Genova, Firenze, Pisa, Bologna, Forlì, Civitanova Marche, Nuoro, Bari, Trento, Orvieto e Parigi.

Davvero martedì la capitale aveva attirato i movimenti da tutto il Paese. A chi si è lasciato andare, in queste ore, a un gioco di rappresentazione e di riconoscimento di luoghi, stagioni e figure sociali della marginalità violenta, gli sbirri romani che respirano l’aria del nuovo movimento, rispondono sorridenti: «Ma quali black bloc, Genova G8 o Roma del terribile ‘77. Questi sono solo studenti!».

Una tesi che assolutamente non contrasta, anzi si integra con quella dell’analista che parla dei vecchi cattivi maestri tornati in azione. Perché se è vero che i 22 arrestati sono incensurati - per questo la Procura di Roma ha deciso di chiedere il giudizio immediato, non passando per la convalida dei fermi trasformandoli poi in ordinanze di custodia cautelare - questo non esclude che in azione possano essere entrati anche loro, i vecchi protagonisti delle manifestazioni della violenza politica degli anni recenti. E forse questo intende una parte dell’opposizione quando parla di «infiltrati», lasciando sottintendere, è vero, che possano trattarsi anche di «agenti provocatori» ma prevalentemente si tratta di «estranei» ai movimenti.

Per 24 ore è andata avanti sui siti e sui blog il giallo dell’«infiltrato», di quel ragazzo con l’eskimo color cammello che impugnava una volta le manette, un’altra il «tonfa», il manganello inaugurato a Genova (G8). Sempre le immagini, foto e filmati, ritraevano il ragazzo preso da due poliziotti: «...Sono minorenne....». Per quasi un giorno è andato avanti il giallo: e se fosse un infiltrato? Il questore, Francesco Tagliente, a pomeriggio inoltrato ha smentito seccamente: «Sappiamo chi è, lo stiamo cercando, è un estremista di sinistra...». E in serata l’hanno poi arrestato.

Certo, bisogna capire perché l’altra sera, pur fermato e identificato, è stato lasciato andare via.

Ma quelle immagini, le foto, il video del martedì nero raccontano la violenza sproporzionata dei nuovi quanto antichi oppositori arrabbiati. Colpisce, perché è come se questi allievi che non avessero vissuto la Roma degli anni Settanta e tantomeno la Genova del 2001 (G8), hanno perfettamente capito la lezione dei cattivi maestri: hanno saputo metabolizzare le stesse pratiche violente come se le avessero scritte nei loro rispettivi dna.

Martedì probabilmente la situazione è sfuggita di mano. Roma violenta ha conquistato le prime pagine dei giornali non perché colta alla sprovvista da un fenomeno, la violenza politica, che sembrava andato in letargo. Ma per le sue dimensioni. «Disagio, rabbia, voglia di protestare, di contestare». Sono stati questi gli ingredienti di quella furia collettiva. Ne sono convinti gli stessi «sbirri» che da sempre si occupano di ordine pubblico e conoscono bene la capitale.

Erano almeno ventimila, i manifestanti di martedì. Tanti. Un caleidoscopio di obiettivi che all’improvviso si è ricomposto in una immagine chiara: la fiducia al governo, i numeri dei partecipanti, la suggestione che i palazzi del potere erano a portata di mano. Il resto è stata cronaca di una indimenticabile giornata di violenza.

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« Risposta #23 inserito:: Gennaio 19, 2011, 12:29:37 pm »

Politica 19/01/2011 -

"Sembra la caricatura di se stesso"

Una ragazza intercettata: «Pensavo mantenesse un contegno e poi facesse i fatti suoi, e invece no»

GUIDO RUOTOLO

Sarà pure una moralista, magari. Ma il racconto che fa l’amica di Nicole Minetti, M., di quella serata ad Arcore, quel 19 settembre scorso, sembra un frammento della sceneggiatura di un film a luci rosse, solo che non siamo al cinema. «Io ho vissuto la serata come se fossi al “Bagaglino”. Hai presente quella volgarità spiccia che non è neanche tanto costruita o fantasiosa?

Io mi sentivo lì dentro. In questa cosa in cui a un certo punto durante la serata con l’Agostino di turno, tipo Maria De Filippi, quello con la pianola che canta, a un certo punto, non si sa bene come o perché, qualcuno ha iniziato a far vedere il c... e da lì la serata è decollata».

E’ proprio vero, M. è disgustata e rattristata per le scene decadenti: «Vedi molta solitudine - confida al telefono a una amica, anche lei teste d’accusa nell’inchiesta contro Silvio Berlusconi - e lui sembrava una caricatura di se stesso, una cosa molto brutta e molto triste. Pensavo che lui mantenesse un contegno e poi facesse i fatti suoi e invece no...».

LE RACCOMANDAZIONI
E’ amara M., che si è irritata perché ieri abbiamo scritto il suo nome per esteso. «Lì è talmente tutto eccessivo che vivresti una realtà talmente accelerata che poi alla fine, la borsa in più o la vacanza in più che ti compri, non ti soddisfano più neanche quelle. Io ho capito questo, cioè se io entro in questo vortice, ma al di là del fatto che non ci entrerei mai, poi finisci che vuoi sempre di più e tu vedi queste ragazze che poi ti ripeto, te ne parlerò più dettagliatamente, che hanno già qualcosa che sarebbe assolutamente sufficiente per vivere, ma non va bene».

Cosa vogliono le ragazze fameliche? «Vogliono allora il regalino, allora vogliono anche una certa posizione, allora vogliono la spintarella, allora c’hanno la sorella, il fratello e il cognato da sistemare è una cosa scandalosa». Sarà, questa Italia delle raccomandazioni c’è sempre stata. Qui, semmai, sembra di trovarsi in uno spicchio di mare infestato da pescecani che si sbranano per una preda da spolpare, per un posto a tavola, per una serata con il Principe.

Per un regalino, un provino, un quartino con l’affitto già pagato. E’ vero le ragazze fanno quasi tenerezza, vittime non c’è che dire, di questo mondo «accelerato», per dirla con M. Ma i vecchi che dovrebbero essere «saggi»? Colpisce che alle seratine organizzate per Silvio Berlusconi da Giampi Tarantini o da Emilio Fede e Lele Mora alcune volte sono presenti sempre gli stessi nomi. Che poi, a un certo punto, salutano e vanno via. Sembrano comparse.

Barbara Faggioli, per esempio, parla con Sabrina Amato, alias «Greta»: «Bene! Bene! Aah... c’era anche un produttore importante, il produttore dì “Medusa" Rossella, Carlo Rossella (le voci si sovrappongono)». Sabrina: «Ah!., sì». Barbara: «Era pieno di gente, c’erano venti ragazz.. ma pieno!! Pieno!!». Raffaella: «Fico, cioè pieno veramente di gente...».

Barbara: «Noo! Ma l’ha detto a tutti, prima di dirlo a me, poi mi ha chiamato Emilio, m’ha detto ah sai che hai fatto, (prende fiato) colpo su Rossella che dice che hai un volto da cinema pazzesco, mi ha chiamato lui mi ha detto: a ma non te l’ho detto, ma sai che hai fatto colpo sul produttore, dice che sei adattissima al cinema...».

LA FELICITÀ DI MISS TORINO
Roberta Bonasia la fidanzata d’Italia nega tutto. Alla Stampa dice: «Sono sbalordita, è un errore, mi sembra una cosa assurda. Incredibile. Io non ho mai visto Berlusconi in vita mia. Non sono mai stata ospite a casa sua. Non conosco neppure Lele Mora e Emilio Fede.

Assolutamente». Sembra sincera. Roba da crederci. Una bella ragazza, Miss Torino 2010, nega addirittura di conoscere Silvio Berlusconi. E invece no, mente spudoratamente. Lo raccontano le carte della inchiesta milanese della Procura di Edmondo Bruti Liberati. I riscontri della polizia giudiziaria sulla sua presenza alle cene di Berlusconi, attraverso i tabulati e i tracciati telefonici. Le testimonianze delle altre, i racconti piccanti delle invidiose e dei rancorosi, Emilio Fede in testa. Sì Fede al telefono con Nicole Minetti parlano di Roberta.

Fede è colpito dal fatto che la ragazza davanti a tutti dia del tu al presidente del Consiglio: «Ciao Silvio! Davanti a tutti, sì Silvio!». Nicole Minetti: «Non è vero! Nooo, ma dai, ma qui la gente è pazza!». Emilio Fede: «Lei ha lasciato il telefonino sul letto... in modo che tutte quante hanno letto tutti i messaggi di Lui!». Nicole Minetti: «Nooo!!».

Emilio Fede: Ma certo! Ma io lo so benissimo, da una delle quattro che stava lì...». E poi la pistola fumante l’offre proprio lei al telefono con il fratello Stefano: «Amò, ci risolve tanti problemi a tutti. A mamma, a te, a me».

LE ATTIVITÀ DI RUBY
Quelli che Silvio Berlusconi è comunque innocente, sostengono che nelle carte non c’è la pistola fumante che inchioda il premier. Sarà, ma intanto la scatenata Ruby è un ciclone che ha distrutto tutto, facendo guai inenarrabili. Caterina, una sua amica, a verbale dichiara: «Ricordo che diceva di essere molto amica del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il quale, a suo dire, è stata spesso a casa del premier dove ha cenato, ballato e fatto sesso con lui, il quale le dava molto denaro».

Che Ruby fosse una minorenne, al tempo in cui frequentava Berlusconi non è in discussione. Berlusconi dice di non sapere che fosse una minorenne, ma per la Procura non è così. E soprattutto evidente che fosse una prostituta minorenne. Secondo le stesse intercettazioni telefoniche e le conferme delle «colleghe» della ragazza marocchina. A Maria Diana Osorio gli investigatori contestano una intercettazione telefonica.

E’ Ruby che parla: «Sì, oggi è venerdì, sappi che oggi c’è poco, ma domani sera ci deve essere per forza, domani c’avrò come minimo cinque clienti che comunque dobbiamo fare per diversi orari della serata, cioè torniamo a casa almeno con 4 mila euro e perciò domani ci devi essere per forza». Chiedono gli investigatori: «Spieghi il senso di questa telefonata».

Risponde la ragazza: «La telefonata è talmente chiara, la ricordo perfettamente perché io le chiesi proprio quanto costava il biglietto del treno per raggiungerla, lei effettivamente mi disse che se io mi fossi recata c'erano già clienti con i quali si potevano avere rapporti sessuali previo pagamento e ricordo proprio che mi disse che si poteva guadagnare molto con una sola serata, lo però ribadisco che a Genova non ci sono andata perché sono partita per la Colombia».

Bugiarda? Minorenne e prostituta di sicuro. E poi? Sentite cosa racconta a un suo conoscente occasionale. Floriano: «Scambiando quattro chiacchiere di rito, io le dissi che ero un carabiniere e lei mi rispose che era proprio la sua ambizione poter diventare un giorno carabiniere». Ruby la carabiniera? Di sicuro racconta a Floriano i suoi rapporti con Silvio Berlusconi: «Mi confidò anche del fatto che il presidente del Consiglio aveva saputo da lei che era minorenne».

E se fosse vero quello che racconta Ruby intercettata a sua insaputa? E’ quello che non fa dormire sogni tranquilli agli innocentisti. Insomma i tifosi del presidente del Consiglio. Ecco uno spezzone di intercettazione tra Ruby e Luca Risso: «Mi sono sentita con lui che m’ha chiamato proprio tre minuti fa».

LE PAGELLE SULLA BELLEZZA
Ecco nelle 389 pagine arrivate a Montecitorio di quella telefonata con il presidente non c’è traccia. Per dire la verità vi sono solo due telefonate di parlamentari (Maria Rosaria Rossi e Lucia Ronzulli). E a Milano quale altra pistola fumante si preparano a sparare dalla Procura? E’ questo che fa impazzire Montecitorio e dintorni. Come se quelle annotazioni dell’amica di Nicole Minetti, M., non rappresentassero di per sé un atto d’accusa fortissimo.

«Vorrei sottolineare che il livellodi bellezza, piuttosto che simpatia o intelligenza non era da dieci e lode. Cioè non tutte sono... c’è la disperata venezuelana che non parla una parola e che c’ha vestiti allucinanti... c’erano dei soggetti spaventosi, un livello molto basso...». Trecentottantanove pagine che difficilmente potranno essere cancellate. Dimenticate da chi le ha lette.

Particolari indicibili. E soprattutto menzogne e bugie. Ricordate Emilio Fede che dice di ricordarsi di aver visto forse una sola volta ad Arcore Ruby? E’ vero ci saranno tante (o nessuna) pistole fumanti nelle carte. E’ il 3 settembre del 2009, Sant’Alessio Siculo, Messina. Emilio Fede presiede la giuria del premio «Una ragazza per il cinema». Parla Fede: «C’era una ragazza di 13 anni, se non sbaglio, egiziana, mi sono commosso, ho solidarizzato, ma non soltanto a parole perché poi bisogna seguire con i fatti.

Sta ragazza non ha più i suoi genitori, tenta una via, che cosa? Non è certamente quella della bellezza. E allora mi sono impegnato per aiutarla...». Chi è questa ragazza? Ruby. Sì, proprio lei, Ruby. Chissà perché Silvio Berlusconi chiamando alla questura di Milano abbia detto che forse era la «nipote di Mubarak...»? Perché Fede nel settembre del 2009 la presentò come una ragazza egiziana?

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« Risposta #24 inserito:: Gennaio 28, 2011, 11:35:49 am »

Politica

28/01/2011 - LA MATASSA RESTA INGARBUGLIATA

I tanti buchi nelle carte estere sull'appartamento monegasco

Il 2 febbraio il gip dovrà decidere sull'archiviazione di Gianfranco Fini e Francesco Pontone

GUIDO RUOTOLO

ROMA
Sarà pure «ininfluente», per dirla con la Procura di Roma che ha girato il carteggio del ministro degli Esteri Franco Frattini al gip, che il 2 febbraio dovrà decidere sull’archiviazione di Gianfranco Fini e Francesco Pontone. Forse inutile dal punto di vista giudiziario, di certo con tanti buchi neri che non sciolgono i dubbi sull’effettiva proprietà dell’appartamento di Montecarlo di Giancarlo Tulliani, genero del presidente della Camera.

Alla fine, la «prova regina» sussurrata in questi giorni da esponenti di governo, in realtà si è rivelata essere soltanto un grande atto di fede, di fiducia in Stephenson King, il primo ministro di Santa Lucia, lo statarello dei Mar dei Caraibi che sui segreti delle società off shore ha fatto la sua fortuna. Che, in una lettera inviata al ministro degli Esteri Frattini, sostiene che le società coinvolte nella proprietà e gestione dell’appartamento di Montecarlo sono riconducibili a Giancarlo Tulliani. Inspiegabilmente, Santa Lucia si è spinta a giurare che l’«utilizzatore beneficiario» delle società in questione è il genero di Gianfranco Fini.

«Caro ministro Frattini, facendo seguito alla sua richiesta riguardante la questione delle indagini relative alle compagnie Printemps ltd, Timara ltd e Jaman Diretctors...». Già l’incipit della lettera del primo ministro di Santa Lucia - datata 10 dicembre è arrivata alla Farnesina il 20 e tenuta fino a ieri da Frattini in cassaforte - è destinato a sollevare perplessità. Sono stati utilizzati i canali diplomatici? E’ stata attivata una rogatoria internazionale, i ministri di Giustizia sono stati coinvolti? E perché Frattini sollecita il premier di Santa Lucia sulla questione Montecarlo? E per quale motivo il carteggio non passa attraverso la posta diplomatica?

Nella lettera di Stephenson King si riporta e allega quell’appunto riservato del 16 settembre scorso del procuratore generale e ministro di Giustizia Rudolph Francis «recuperato» da un personaggio ambiguo che si chiama Valter Lavitola, e che è direttore di un giornale che si chiama «L’Avanti». E che già allora affermava il coinvolgimento di Giancarlo Tulliani nelle società «legate all’acquisto di un appartamento che era di proprietà di un partito politico italiano, che si trova a Monaco». Il Guardasigilli di Santa Lucia riassumeva la polemica sul prezzo incongruo dell’appartamento. A distanza di quattro mesi, il premier dello Stato caraibico non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla lettera di settembre del suo ministro di Giustizia: «Lo scopo delle nostre indagini era accertare che le compagnie e i loro agenti fossero in regola con le nostre leggi. E dunque è venuta meno la nostra intenzione di occuparci ulteriormente della vicenda».

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« Risposta #25 inserito:: Febbraio 08, 2011, 12:31:16 pm »

Politica

08/02/2011 - RETROSCENA

La Tommasi accusa Mora "Drogava le ragazze"

Da Napoli nuovi guai giudiziari per l'agente dello spettacolo

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Nuovi guai alle viste per Lele Mora, l’impresario già al centro dell’inchiesta sulla prostituzione della Procura di Milano. Arrivano da Napoli e da un’altra indagine partita su un giro di usura ma alla fine approdata all’ambiente che avrebbe deliziato le serate di Arcore. Ad accusare Mora è una ragazza, Sara Tommasi, qualche apparizione in tv e molte frequentazioni illustri. Era alle cene milanesi, ed era pure amica di un tal «Bartolo», personaggio chiave dell’inchiesta napoletana.

Ecco perché la Tommasi viene intercettata. Parla a ruota libera, anche con personaggi di primo piano come il ministro della Difesa Ignazio La Russa, l’europarlamentare Licia Ronzulli, il fratello del premier Paolo Berlusconi, Fabrizio Del Noce, Massimo Giletti. A volte si lascia andare a racconti piccanti sulle sue serate in mezza Italia, anche a luci rosse. E parla di Lele Mora. Per esempio quando un amico la chiama e, stupito, le chiede cosa fosse successo la sera prima in un locale di Milano Marittima. Sembra di capire che sia stata una notte indimenticabile.

Sara: «In queste occasioni - sembra giustificarsi la ragazza - non sai mai cosa ti mette Lele nel bicchiere. Ti senti stordita...». Chi ascoltava ha drizzato le orecchie. Sara Tommasi, che sarà sentita nei prossimi giorni come persona informata dei fatti dalla Procura di Napoli, fino a poco tempo fa faceva parte della «scuderia» di Mora. Lei stessa è stata ad Arcore insieme alle altre ragazze finite nell’inchiesta milanese, Ruby in testa, la notte del 25 aprile scorso.

Quando ad Arcore si festeggiò la visita di Putin in Italia. Ma in più di una occasione, nell’ultimo periodo, non ha fatto mistero di volersi affrancare dalla scuderia: «Non voglio più stare nel giro delle ragazze del Presidente, preferisco muovermi da sola». Ed è un concetto che la starlette ha espresso pubblicamente ieri, nel corso di una intervista alla trasmissione radiofonica «Un giorno da pecora»: «Lo sappiamo tutti che Lele Mora portava le ragazze a Berlusconi».

E ha aggiunto che Fabrizio Corona avrebbe «contatti» con la camorra insieme a «Bartolo», il suo procacciatore di clienti a Napoli. Incuriosisce gli inquirenti, il particolare su Lele Mora, sulle modalità di ingaggio delle ragazze e sulla gestione delle serate. In quella telefonata, Sara Tommasi si giustifica per il suo comportamento forse troppo disinibito a Milano Marittima, e chiama in causa l’impresario, accusandolo nei fatti di averla drogata. L’episodio di Milano Marittima ricorda quello che era accaduto nell’estate del 2009 in Costa Smeralda.

L’estate folle di Gianpi Tarantini, l’imprenditore pugliese coinvolto nelle inchieste pugliesi sulla sanità, sulla droga e sulla prostituzione. Il caso D’Addario e le notti a palazzo Grazioli. Questo filone di indagini è ancora in corso (la proroga dovrebbe scadere prima dell’estate). In quelle intercettazioni venne fuori che la moglie dello stilista Cavalli, Eva Duringer, si sentì male una sera, perché la sua bevanda fu corretta con un anfetamina dello stesso tipo dell’ecstasy.

E così, dagli uffici giudiziari di Napoli è partita una telefonata diretta alla Procura di Milano. I magistrati hanno deciso di incontrarsi al più presto, per scambiarsi informazioni. Negli uffici della Procura di Napoli non viene confermata l’ipotesi di convocare a breve il fotografo Fabrizio Corona, per chiedere chiarimenti sulla sua intervista al «Mattino», nella quale ipotizzava un coinvolgimento della malavita nel tentativo di vendere fotografie di Silvio Berlusconi nudo.

Anzi, sembra di capire che la posizione processuale di Corona potrebbe cambiare. Insomma, anche lui da persona informata sui fatti potrebbe finire indagato. E intanto a Napoli foto delle minorenni Roberta e Noemi Letizia riprese con «papi», il Presidente Silvio Berlusconi, sono state messe all’asta. Dal fratello di Roberta, Vincenzo Oronzo.

da lastampa.it/politica
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« Risposta #26 inserito:: Febbraio 10, 2011, 03:26:58 pm »

Politica

10/02/2011 - RIVELAZIONI

La Tommasi: "Delusa da Silvio ma quegli sms non sono miei"

La showgirl: qualcuno ha usato il cellulare che mi era stato rubato


GUIDO RUOTOLO
INVIATO A NAPOLI

Sono andati a casa sua, a Milano, esibendo un decreto di perquisizione. La showgirl Sara Tommasi era già partita per «una vacanza», per dirla con il suo legale, l’avvocato Niccodemo Gentile. Destinazione Dubai, Emirati Arabi Uniti. E a casa, la madre della starlette ha aperto la porta agli investigatori. Tra le altre cose, è stato sequestrato un computer. Altri, li hanno presi nelle perquisizioni fatte a Napoli, a casa di Vincenzo Seiello, detto «Bartolo», e Giosuè Amirante, i due ex soci procacciatori di ragazze per serate commerciali e non solo. E poi ancora a Milano, a casa di Andrea Celentano, un consulente televisivo.

Anche Napoli ha il suo filone d’indagine sulla prostituzione. Uno stralcio, rispetto alla inchiesta principale su un traffico di falsari vicini al clan Mallardo di Giugliano, legato a Gomorra, ai Casalesi. Una inchiesta nata dopo un furto di carta filigranata alla Cartiera di Fabriano.

Da ieri, sono stati iscritti sul registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla prostituzione proprio Vincenzo Seiello e Giosuè Amirante. Scrivono i pm napoletani nel decreto di perquisizione: «Emerge l’esistenza di una organizzazione dedita al favoreggiamento della prostituzione e in particolare al procacciamento di clienti per prestazioni sessuali a pagamento a opera di Sara Tommasi».

La starlette precisa da Dubai: «Non sono una escort. Sono vittima di persecuzioni e ricatti continui e non mi sento tutelata. Berlusconi mi ha colpita positivamente la prima volta che l'ho visto. Oggi posso dire di essere delusa. Uno scandalo del genere può coinvolgere una starlette come me ma non un politico, che dovrebbe dare il buon esempio». L’ex naufraga dell’Isola dei famosi in un’intervista si confessa: «Il mio problema è un impulso insopprimibile a fare sesso. È che mi sciolgono la droga nei bicchieri... Certo, se un ministro mi offrisse 15mila euro... ma è solo un' ipotesi». E al Tg «La 7» di Mentana si difende sostenendo che gli sms «incriminati» non li avrebbe mandati lei, perché il suo cellulare le era stato rubato.

Ieri, intanto, i pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio hanno sentito negli uffici della Mobile di Napoli, uno degli indagati, l’ex socio di «Bartolo», Giosuè Amirante. Il suo interrogatorio è stato secretato. Prima che si tenesse, abbiamo incontrato Amirante da «Gambrinus», l’antico bar di piazza Plebiscito. E’ lui che la sera del 9 settembre insieme all’allora socio «Bartolo» («da allora ho rotto ogni rapporto con lui», dice adesso) doveva prendere Sara Tommasi per portarla da un cliente, un cugino del cantante Gigi D’Alessio, Luigi D’Alessio, titolare di una azienda di pannelli solari. Ma poi «due macchine con le guardie del corpo di Berlusconi - dice Amirante al telefono - se la sono venuta a prendere...».

Giosuè Amirante prende le distanze, adesso, da questo mondo e dal suo ex socio «Bartolo». E racconta un aneddoto. «Era giugno, un sabato di metà giugno. Avevo ingaggiato Sara Tommasi per un’ospitata in un locale di Varcaturo, Licola, lo «Tsunami». A un certo punto Sara risponde al telefono. E’ Vittorio Sgarbi che la convoca immediatamente a Roma. Io naturalmente protesto, stiamo lavorando e lei deve finire la serata. «Quando mi chiamano - insiste - non posso dire di no». Piangeva Sara. Mi metto in macchina e l’accompagno. Alle tre di notte a metà strada, a Caianiello, Sara viene prelevata da Sgarbi, che l’aspettava con autista. Ho saputo poi che sono andati a Sofia, in Bulgaria, con Berlusconi». Tira il fiato e aggiunge: «Solo che il lunedì mattina avevano un servizio fotografico da fare per la campagna “Miss Roberta”. Lei stava male. Riferendosi alla gita a Sofia mi dice: “Mi avranno dato qualcosa...”. Sara nell’ultimo periodo l’ho vista depressa, come se facesse uso di psicofarmaci».

Intanto, sembra confermato il «gelo» calato tra le procure di Milano e Napoli. A Edmondo Bruti Liberati che ribadisce che «non vi è stata e non è prevista alcuna attività di indagine comune con la Procura di Napoli», replica il vertice dell’ufficio inquirente napoletano. Giovandomenico Lepore: «Nessun elemento di connessione sussiste, allo stato, tra le investigazioni in atto e quelle condotte dalla Procura di Milano».

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #27 inserito:: Febbraio 16, 2011, 11:58:09 am »

Cronache

16/02/2011 - IMMIGRAZIONE, GESTIRE L’EMERGENZA

Maroni: pronti settemila posti

Berlusconi salta l’incontro a Catania e rientra a Roma.

La Finanza spara contro un barcone: un ferito

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A CATANIA

Che brutto segnale. E non solo per le ragioni che spiega il ministro Roberto Maroni, anche quelle certo («Speriamo che non sia il primo di una lunga serie...»). Ma perché l’altra notte si è combattuta una piccola battaglia navale a poche centinaia di metri dalla terraferma, a Capo Scalambri, Marina di Ragusa. Poteva scapparci il morto, tra i 63 egiziani sbarcati da un peschereccio.

La cronaca degli eventi è affidata al comunicato stampa del Comando operativo aeronavale della Finanza: «I militari dell’equipaggio di uno dei guardacoste, a seguito dell’inosservanza di ripetute intimazioni di alt e in conseguenza di reiterati tentativi di speronamento, hanno fatto uso delle armi a scopo intimidatorio esplodendo colpi d’arma da fuoco, uno dei quali ha accidentalmente raggiunto un occupante dell’imbarcazione presente in plancia di comando, ferendolo al braccio destro».

Doveva esserci anche Silvio Berlusconi in Prefettura, a Catania, per la conferenza stampa del «fare», del «ghe pensi mi». In poche ore il governo ha trovato una struttura in grado di ospitare «7.000 rifugiati» (dixit Maroni), fronteggiando così «l’emergenza umanitaria» apertasi con la falla tunisina. In poche ore, da quando sarà formalizzata la decisione, i primi 150 spazi saranno arredati dalla Protezione civile «saccheggiando» le strutture allestite per il G8 alla caserma Coppito dell’Aquila.

E invece le note vicende milanesi, l’annuncio del processo immediato fissato per il 6 aprile hanno consigliato il silenzio stampa del premier e il suo rientro precipitoso a Roma.

Senza Berlusconi la scena è stata tutta per il ministro dell’Interno. Se a Lampedusa le condizioni meteo hanno di fatto azzerato gli sbarchi da 48 ore (in tutto sono arrivati 5.337 tunisini), preoccupa Maroni l’indizio ragusano, il primo sbarco di egiziani. Naturalmente il ministro leghista ribadisce le preoccupazioni italiane, la richiesta di coinvolgimento dell’Europa, l’urgenza di un vertice di Capi di Stato e di governo Ue, annunciando l’imminente summit dei ministri dell’Interno dell’area del Mediterraneo (Spagna, Francia, Malta, Cipro, Grecia e Italia). E ancora: precisa che la richiesta di un contributo spese di 100 milioni di euro dalla Ue è riferito solo ai nostri costi sostenuti in tre mesi.

Ma poi, il ministro Maroni rivela anche che in questi tumultuosi giorni di emergenza, abbiamo fatto quattro respingimenti in mare. Lo ammette con molta reticenza. L’altra sera, al Viminale, dopo il Comitato per l’ordine e la sicurezza, Maroni fornendo i numeri dell’emergenza, aveva detto di sfuggita: «344 persone sono state riprese in carica da motovedette tunisine». Ieri, ha aggiunto che «in 4 casi le imbarcazioni sono state riconsegnate alle autorità tunisine, mentre 47 sono sfuggite ai controlli». Mettendo insieme le due dichiarazioni, emerge chiaramente lo scenario dei respingimenti in mare, e cioè della collaborazione tunisina a riprendersi quattro imbarcazioni cariche di 344 passeggeri.

L’obiettivo della missione catanese era quello del sopralluogo al complesso di villette, residence, palestre, campi sportivi, piscina ai margini della base di Sigonella, da utilizzare per l’emergenza di queste ore. Il «primo villaggio della solidarietà», per dirla con Silvio Berlusconi, potrebbe diventare operativo tra un paio di giorni. Per il ministro Maroni in questa cittadella dovrebbero essere ospitati i richiedenti asilo che oggi sono divisi nei Centri di tutt’Italia. Intere famiglie, anche. Sradicate dai territori dove vivono da diverso tempo ormai. Comunque, assicura il ministro, in queste ore i funzionari del Viminale stanno facendo un sondaggio tra i diretti interessati.

da - lastampa.it/cronache
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« Risposta #28 inserito:: Febbraio 25, 2011, 11:09:47 pm »

Esteri

25/02/2011 - REPORTAGE

A Tripoli, assaliti dai miliziani furenti

Schiaffi e calci a un giornalista, poi si accorgono dei visti sui passaporti: «Presto, andate via»

GUIDO RUOTOLO

INVIATO A TRIPOLI
Che impressione quella folla. Silenziosa, muta, dall’altra parte della vetrata. Centinaia e centinaia di uomini e donne, vecchi e bambini, che aspettano di imbarcarsi. Volti scavati dal sonno arretrato, dalla stanchezza. Scappano, come le formiche impazzite quando sentono l’accidenti che si sta per abbattere. Come se sapessero che a Tripoli si prepara la battaglia finale.Con morti e feriti. E macerie. E dopo il check-in, all’ingresso dell’aeroporto, altre migliaia di persone. E il faccione del leader Gheddafi appeso alla parete a mezz’aria, sul manifesto che ricorda il 40° anniversario della rivoluzione. Non il 41°, che troveremo in città. Chissà perché quel manifesto non sostituito. Come se il Leader fosse stato consegnato alla storia.

C’è già il mercato nero che ricorda i teatri di guerra. Il ragazzo che s’avvicina e ti propone 80 dinari per 50 euro. E i taxi che per portarti in centro si stanno facendo milionari. Siamo in nove, giornalisti italiani, e alla fine della trattativa riusciamo a pagare solo 20 euro a testa (sembra che due di Al Jazeera abbiano pagato 500 dollari inquinando il mercato). Insomma, un buon stipendio mensile in Libia.Eccoli gli immigrati che tanta paura fanno all’Europa, ai nostri di Lampedusa. Stanno tornando a casa. Sono egiziani, tunisini, e sono migliaia. Dicono che al porto di Tripoli, invece, ci sono quasi trecento americani che le autorità della città non fanno imbarcare.
Si apre finalmente la porta dell’aeroporto. Poliziotti con manganelli e bastoni. Una moltitudine impressionante di gente seduta. Che aspetta. A terra uno strato di coperte, borsoni, indumenti. Che impressione. Ricorda Brindisi al contrario. Allora, 1991, decine di migliaia di albanesi arrivarono e stazionarono al porto, prima di essere trasferiti nei centri di accoglienza, oggi gente in fuga che vuole tornare a casa.

Che strana sensazione. Manca solo l’elicottero che si alza in volo all’interno del perimetro dell’ambasciata americana con grappoli di persone che tentano di aggrapparsi disperatamente. Sì, ricorda Saigon prima dell’entrata in città dei vietcong, l’aeroporto di Tripoli. Il taxista prende una stradina laterale, di campagna. Alla fine del perimetro dell’aeroporto un primo blocco di miliziani filogheddafiani armati. Arrivano notizie di truppe e carriarmati di Gheddafi che marciano per la riconquista di Misurata e Zawiyah. Intanto, però, l’autostrada che porta in città è deserta. È vero oggi è venerdì, la nostra domenica, giorno di festa dunque. Ma questa vigilia comunque è diversa. Poche macchine per strada. Ne passa una, civile, con le frecce che lampeggiano e una bandiera verde fuori dal finestrino.

Il clima è molto teso. A un semaforo rosso, prima di entrare in città, sbucano ragazzi armati di Kalashnikov insieme a dei poliziotti.
Sono nervosi, molto nervosi. Ci bloccano. Siamo in due taxi, il terzo ce lo siamo perso. Ci fanno scendere, sequestrano i satellitari, fanno gettare a terra gli zaini, i computer e le valigie. Fabrizio Caccia del «Corriere della Sera» viene preso di mira da uno, il più esagitato. Guarda il passaporto. Commenta tra la collera e il disprezzo: «Italiani?!!!». Parte uno sganascione verso il povero Fabrizio. Lo schiaffone è forte, gli saltano gli occhiali. Ci mettono in un gabbiotto. Pensiamo al peggio. Parte anche un calcio. Poi Fabrizio prova a calmare l’aggressore, mostra il passaporto con il visto, dicendogli che eravamo stati invitati dall’ambasciata libica a Roma. Gli faccio vedere il mio passaporto con una decina di visti. La situazione si calma.

L’aggressore stringe la mano a Fabrizio. Scappiamo di corsa, prima che ci ripensino.
E forse abbiamo sbagliato anche noi a non aspettare all’aeroporto che le autorità libiche ci venissero a prendere, così come era concordato. Le mura di cinta di Bab al Azizya sono pittate a nuovo. Nugoli di militari blindano la caserma che è anche una delle residenze del Leader, dove ci sono i resti dell’edificio bombardato da Reagan nel 1986, da dove ha parlato in tv Gheddafi, due sere fa. Una selva di gru spuntano all’improvviso. Decine di scheletri di edifici in costruzione. Stanno nascendo interi quartieri nuovi. Forse sono i primi dei 400.000 appartamenti da costruire decisi dal regime.

Pensando al domani, a quel progetto ambizioso di Gheddafi di trasformare la città nella Dubai del Mediterraneo, con centri commerciali, edifici immensi, alberghi sfavillanti. E invece oggi Tripoli è un fantasma. Quelle immagini dell’aeroporto, la fuga dei cinesi, italiani. E agli americani che stanno al porto. E quel cimitero sulla spiaggia. No, non è una fossa comune, sono tante singole fosse.
È vero è come se si stesse preparando il processo al Tribunale internazionale dei crimini di guerra. Gheddafi come Saddam Hussein. C’è il massacro nel carcere di Abu Salim, 1996, con mille e duecento detenuti uccisi, pronto ad alimentare il fascicolo delle accuse.

Tripoli. Strana. Voci incontrollate, non verificabili. Come quella sugli squadroni della morte mandati da Gheddafi a eliminare i rivoltosi feriti, che stanno negli ospedali. L’appuntamento con gli altri colleghi italiani, era al Marriott, hotel di lusso. Ma lì il personale sta smobilitando, evacuando. Puntiamo verso il Corinthia, dove troviamo ospitalità. L’albergo è deserto. Era sempre pieno di delegazioni, di gruppi di turisti, di ministri. Piscina interna, sauna, vasca Iacuzzi. Oggi è un fantasma anche il Corinthia. Ospita un gruppo di giornalisti italiani. Internet funziona. Ed è già molto. Ma fino a quando? È strana Tripoli. Che si riposa prima dell’ultima battaglia.

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« Risposta #29 inserito:: Marzo 28, 2011, 04:47:17 pm »

Esteri

28/03/2011 - REPORTAGE/1

Bengasi ora cerca giustizia per i crimini del Colonnello

Un ex agente del regime: "Vi racconto l'assalto al consolato italiano nel 2006"

GUIDO RUOTOLO
INVIATO A BENGASI

Si guarda attorno, sull’uscio della porta. E’ incerto, suo figlio non vorrebbe ma lui ha deciso di parlare (a condizione di nessuna foto e di un nome a vanvera) e ci fa entrare nella sua casa. E' la prima volta che Walid, lo chiameremo così, si libera di quel peso che ha sul groppone. Gli servirà anche domani, quando nella nuova Libia del dopo Gheddafi dovrà essere «indagato» perché faceva parte dei Comitati rivoluzionari, della polizia segreta di Muammar Gheddafi: aveva il compito di controllare il lavoro degli uomini del Colonnello.

Walid è uno dei testimoni del «massacro Calderoli», di quei 17 morti del 17 febbraio 2006 per le proteste contro la maglietta anti-islam del nostro ministro leghista. «Tutto era iniziato con le vignette contro Maometto pubblicate dal giornale danese, che colpivano la sensibilità araba e offendevano i sacramenti e la religione. Le piazze arabe protestarono e Gheddafi decise che anche da noi, il primo venerdì utile, gli imam avrebbero dovuto parlarne nei loro sermoni».

Dopo la preghiera del venerdì duemila persone si diederono appuntamento con i vari imam davanti al mausoleo di Omar El Mukhtar. «Il corteo si diresse in centro, imboccando via Algeria, la parallela della via del consolato italiano. "Non c'è dio al di fuori di lui e Maometto è il suo profeta"...». Slogan di una parte dei manifestanti. «All’incrocio di via 23 luglio i giovani abbandonano il corteo e puntano verso il consolato italiano, dove si erano sistemate le forze della sicurezza. Slogan anti-Gheddafi. Da subito fu aperto il fuoco. Alla fine si contarono 7 morti e decine di feriti. Furono ore di guerriglia urbana e di notte fu bruciato il consolato. Se posso commentare, io credo che i giovani non ce l’avessero con gli italiani, ma con le forze di sicurezza, aggiungo che a un certo punto di quel venerdì sera i militari evacuarono il consolato. Ma questo lo dico per sentito dire, non per esserne stato testimone».

Il secondo giorno. I familiari chiedono la restituzione delle salme a un parente del raiss, Gheddafi Eddm, che dà il via libera e stabilisce che una delegazione di autorità si sarebbe dovuta recare a porgere le condoglianze alle famiglie. «Fu deciso che a ognuna di loro fossero dati 20.000 dinari per le spese del funerale e poi altri 130.000 a mo’ di risarcimento. Ma quel giorno morirono dieci feriti degli scontri del giorno precedente».

Walid prende fiato mentre Al Jazeera mostra le piazze delle rivolte in Giordania, in Libia, nel Bahrein, in Siria. «Dopo... vi darò tutto... quando finirà... allora consegnerò i documenti...». Bengasi ricorda la Berlino del Muro appena caduto e Walid il protagonista di «Le vite degli altri». Farid del «Comitato 17 febbraio» dice che con la rivolta «Bengasi ha distrutto il muro della paura». Sarà vero, ma per liberarsi degli incubi vissuti in questi 41 lunghissimi anni, occorrerà molto tempo. Si dovrà fare giustizia dei misteri e dei massacri del regime.

E’ molto sentito il bisogno di giustizia, a Bengasi. Basta andare in piazza Rivoluzione, così l’hanno ribattezzata piazza del Tribunale.
C’è un muro che è diventato il muro del pianto, dei ricordi. Foto, tante foto, dei martiri del regime. Dagli oppositori massacrati nel carcere di Abu Salim nel 1996 alle vittime di questi giorni. L’architetto Abdul Salam Daraz racconta di Dhaf el Garali, un giornalista prima torturato, gli furono mozzate le mani, e poi ucciso: «Un martire della penna. Il regime non sopportava le sue critiche».

Tira il fiato, Bengasi liberata. Di notte è una ronda collettiva di ragazzi che con i kalashnikov presidiano ogni strada. Qui è come se Gheddafi fosse già morto, anche se a meno di due ore si combatte contro i carri armati lealisti, anche se Tripoli è tutt’altro che libera. Ma il timore è che i fedelissimi del regime si trasformino in cecchini della notte. Saranno tremila, raccontano al Consiglio nazionale libico: «Finora ne abbiamo arrestati 300 e ogni notte andiamo a cercarli a casa».

I lealisti. «Quelle carogne una settimana fa pensavano che le truppe di Gheddafi fossero entrate in città e uscirono allo scoperto attaccando una scuola. Per fortuna che arrivarono le bombe francesi. I mercenari che abbiamo arrestato avevano in dotazione un preservativo e il Viagra. Avevano avuto l’ordine di ammazzare gli uomini e i ragazzi e di stuprare le nostre donne». Tutto questo avveniva una settimana fa. L’altro giorno, nella piazza della Rivoluzione gremita all’inverosimile, saranno stati almeno centomila, al sermone dell’imam sventolavano bandiere della Libia, della Francia, dell’Italia.

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