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Autore Discussione: Beppe SEVERGNINI. -  (Letto 77660 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Febbraio 18, 2013, 12:10:00 pm »

Livorno -Perugia, dove la sinistra vuole vincere

Ma rimpiange Renzi, il «bischero nuovo»

In treno raccogliendo le opinioni politiche dei passeggeri


Di BEPPE SEVERGNINI

Livorno è una città sottovalutata. È aperta al mare e alla polemica, entrambi affascinanti. Il taxista che ci accompagna in stazione ricorda quanto partiva in moto per Trieste con un thermos di ponce, amatissimo intruglio alcolico locale; e quasi si commuove. A Livorno, nel 1921, è nato il Partito Comunista Italiano. La città è di sinistra per carattere e storia, il posto giusto per chiedere a tutti coloro che non scappano davanti a un microfono: come sarebbero queste elezioni se Matteo Renzi fosse al posto di Pierluigi Bersani?

Entriamo in stazione, ci aspetta il treno regionale veloce 3114: il primo aggettivo è indiscutibile, poiché andiamo a Firenze. Dice un ragazzo, impiegato pendolare: Matteo Renzi? La sinistra che mi piace è un’altra, quella che non privatizza il trasporto municipale. Dice una ragazza, Lisa Cappagli, studentessa d’architettura: non so se voto per Matteo Renzi, ma voto. Dice la terza ragazza, Cristina Garcia, diciannove anni, barista a Pisa: chi è Matteo Renzi?

Arriviamo a Santa Maria Novella, il sindaco oggi non è Firenze; però in città arriva Massimo D’Alema, e potrebbe non essere una coincidenza. Claudio Cornini sembra un gentiluomo di campagna britannico, con un capello floscio, ritto davanti al tabellone delle partenze. Fa il banchiere di mestiere, e dice: quando si tratta di aziende pubbliche decotte, la sinistra manca di coraggio. Poi guarda se sbuca l'orario del suo treno, come se fosse una quaglia nella brughiera.

E’ interessante discutere di politica nelle stazioni e sui treni della Toscana: sembra l’unica regione d’Italia dove l’argomento non è considerato un ostacolo alla digestione. Sarà il sole o il dondolìo dei vagoni in collina, ma la gente parla e sorride. Claudio Mamoli, 67 anni, architetto e nonno di Todi: «Renzi candidato premier? Avrebbe spaccato il partito Democratico». Poi riprende a leggere Le Monde Diplomatique, edizione italiana a cura de Il Manifesto. Antonio Carloni, 31 anni, fotografo di Cortona: «Con Mattei Renzi? Il Pd al 60 per cento!». Poi guarda i presenti: «Va be’, forse ho esagerato».

I treni sono una droga leggera: ci si abitua in fretta a queste conoscenze temporanee, alle confidenze senza conseguenze, al rollio logico e meccanico. Gli inglesi, dei treni, amano la prevedibilità: li aspettano al passaggio (trainspotting), ne studiano gli orari e ne apprezzano i riti (rail buffs). Su un treno italiano, invece, non c’è nulla di prevedibile. Nessuno fa mai quello che ti aspetti. Il tipo più schivo, convinto a parlare, si rivela logorroico; la donna più dura si mostra premurosa. Controllori e poliziotti non ci chiedono neppure il permesso alle riprese, di cui siamo regolarmente muniti. Gli sguardi dicono: chi viaggia per dieci giorni ascoltando opinioni politiche è un eroe, un masochista o un matto. Comunque sia, merita solidarietà.

Matteo Renzi, poi, è un buon argomento di conversazione. In Toscana basta il nome per suscitare reazioni: passionali o polemiche, piene di sostegno o di sarcasmo, mai indifferenti. Il sentimento più comune, anche tra coloro che non l’avrebbero votato, è il rimpianto. Con lui in campo ci si sarebbe divertiti: almeno, ripetono in molti, un bischero nuovo. Invece siamo condannati alla ripetizione; e la Toscana è allergica alla noia, come i gatti all’acqua.

Alla stazione di Perugia ritrovo un po’ di ragazzi conosciuti in passato al Festival di Giornalismo. Cecilia, pugliese di Grottaglie; Sara, abruzzese di Pescara; Carmen e Luca, calabresi di Rossano; Diego e Francesco, umbri del capoluogo. Non la pensano allo stesso modo, ma tutti voteranno a sinistra, pare di capire. Dicono cose realistiche. «Certo, se hai un bella idea e non la sai comunicare...». «Se ci fosse stato Renzi, ci saremmo risparmiati il ritorno di Berlusconi». «Non ci sono i soldi per i sogni di Vendola!».

Vuoi vedere che la sinistra si è stancata di perdere? Sarebbe una novità.

15 febbraio 2013 (modifica il 16 febbraio 2013)

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/severgnini-trieste-trapani/notizie/articolo-livorno-perugia_853ddb4e-77b7-11e2-a4c3-479aedd6327d.shtml
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« Risposta #46 inserito:: Febbraio 18, 2013, 12:11:14 pm »

Questa rabbia non è populista ma conta e vota

La ragazza bruna si chiama Esmeralda e guarda sospettosa la telecamera. Per forza: ne ha viste fin troppe. Salta fuori infatti, dopo quindici minuti di conversazione, che ha partecipato a «Uomini e donne» su Canale 5. Per scherzo, dice. Poi si è fidanzata davvero. Lui, se non ho capito male, si chiama Nicola. Lei va a trovarlo a Roma per San Valentino. Il programma politico della signorina E. è piuttosto semplice: «Tutti a zappare la terra, i parlamentari, così capiscono il valore della fatica». Brusio di approvazione nello scompartimento dell'Intercity 511 Torino-Salerno, appena partito da Genova.

Non liquidatelo come populismo ferroviario. E se lo fosse, ricordate che vota anche quello, e conta. Eccome se vota, eccome se conta.

L'Intercity 511 è un treno antico di migrazioni interne, e ne conserva il carattere. Un fascinoso frullatore italiano, capace di mettere insieme geografia, reddito, istruzione e storia. Il carrello delle bibite supera valigie, cani e bambini. Non è quello moderno sui Freccia rossa («Un drink di benvenuto, signore?»). È il carrello per antonomasia, spinto da un signore col cappello e una certa difficoltà a trovare il resto. «Coca fresca! Birre! Tramezzini, patatine e caffè!». Osservo i biscotti Tuc nel loro pacchetto giallo: una presenza rassicurante. Scende il prodotto interno lordo, in Italia, ma ogni mattina su questo treno salgono i Tuc.

Oggi, in Liguria, chiediamo opinioni su Beppe Grillo, ex-ragazzo del posto. Le potete ascoltare, come ogni giorno, nel video su corriere.it . Diciamo solo che ci si poteva aspettare più affetto. Nel carattere ligure c'è una certa diffidenza, e non risparmia neppure i propri figli.

Anna Maria Giuganino immagina un grosso successo per il Movimento 5 Stelle: ma senza il suo voto. Grillo non avrà neppure quello di Stefano Concas, studente di economia: non gli piace che il capo rifiuti il confronto televisivo. Franco Lorenzani, esaurite le lamentele sui bagni chiusi, sostiene che a Genova i partiti tradizionali - leggi Pd - non se la passano male, grazie al sindaco Marco Doria. Elio e Angela Picco, coniugi polemicissimi, non capiscono invece perché Grillo non si candidi, e mandi avanti gli altri. Riassumendo: il M5S prenderà molti voti anche in Liguria, certamente; ma non su questo treno.

Non c'è nulla di eroico nello scendere l'Italia in seconda classe e ascoltare; ma è salutare. Lo scompartimento induce alla conversazione e la costrizione del luogo - come hanno dimostrato, tra gli altri, Totò e Agatha Christie - rivela i caratteri. La misteriosa sparizione di tre carrozze, stamattina, e la conseguente rinumerazione delle rimanenti, avrebbe portato alla nevrosi i viaggiatori dell'Europa del Nord. Non gli italiani che qui si battono con posti sbagliati e immense valigie, si informano, si guardano, si consolano a vicenda.

«Sapesse, signora...!» sarebbe un buon motto da cucire sulla bandiera. Perché la signora, in fondo, lo sa.

Una coppia napoletana - madre e figlia - legge Diva e donna , viaggia con fiori e sacchetti pieni, si dice possibilista sul ritorno di Berlusconi e decide di prendersi cura della nostra alimentazione: appaiono piccoli panini misteriosi con cubetti di pancetta, focacce alle erbe e mandarini. Fuori, nel sole, la Liguria scoscesa corre verso la Toscana. Il capotreno ha un'aria stanca e filosofica. Confessa il suo amore per questi vecchi scompartimenti, ma è perplesso dalla geografia ferroviaria su questa costa: «Le gallerie sono piccole, sono sempre quelle di una volta. Ogni tanto guardo e penso: riusciremo a infilarci lì dentro e uscirne fuori?».

Vorrei dirgli: è la stessa domanda che ci facciamo tutti prima delle elezioni, ma è meglio non pensarci e andare avanti.

Beppe Severgnini

15 febbraio 2013 (modifica il 16 febbraio 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/severgnini-trieste-trapani/notizie/articolo-genova-livorno-severgnini_5ccb97f0-773f-11e2-a4c3-479aedd6327d.shtml
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« Risposta #47 inserito:: Febbraio 18, 2013, 12:18:14 pm »

Pescara - Benevento

La tentazione dell'astensione?

Continua il viaggio in treno per raccogliere gli umori degli italiani alla vigilia del voto


Salire sul Freccia Bianca 9803 diretto a Foggia, dopo due giorni di su e giù dai regionali tra Livorno e Pescara, è come passare da una barca remi a un cabinato. Tavolino! Sedile spazioso! Rumore contenuto! Finestrino pulito! Stordito da tanto lusso, nella quieta ferroviaria festiva, apro il giornale e leggo di terremoti in zona, scandali dovunque, condanne, colossali fandonie. Poi guardo le facce intorno a me: sanno tutto.



Partenza ore 12.40. Prima non ci sono treni utili, ma è un vantaggio. Pescara va esplorata, e la domenica mattina è il momento ideale. E’ una città di mare che non dimentica di essere sul mare; una città aiutata dalla geografia e portata alla fantasia (D’Annunzio, Flaiano); una “P City” piena di potenziale. Ma come le consorelle alfabetiche - Perugia, Pisa, Parma, Pavia, Padova - rischia di impigrirsi, complicare e rimandare. Eppure avrebbe tutto per essere felice.

Il treno corre lungo l’Adriatico, entra in Molise. Il mare è grigio-azzurro, gli stabilimenti balneari bianchi e vuoti aspettano momenti migliori. Sirena Beach, Bagni Blu Tuf, poi la città di Termoli: un’altra T in questo viaggio da Trieste a Trapani. Nell’entroterra, a pochi chilometri, c’è Montenero di Bisaccia, patria del desaparecido politico Antonio Di Pietro. Dune, spiagge, pini marittimi. Tutto diventa più spazioso, più calmo, diverso. Da queste parti, invisibile, passa la frontiera del sud.

Il Gargano appare nella foschia, oltre campi piatti e vigne. Matteo Di Palma, 20 anni, studia infermieristica a Modena, torna a Manfredonia per votare. Spiega che Trenitalia, presentando la tessera elettorale, offre andata e ritorno col 70% di sconto. Arriviamo a Foggia, dove sono stato recentemente per questioni libresche, ospite del liceo “Lanza”. Penso agli studenti che ho conosciuto e al curioso destino del sud italiano: se le città non cambiano, i ragazzi non restano; se i ragazzi non restano, le città non cambiano. Uno strano “Catch 22” mediterraneo, dal quale dovremmo provare a uscire.

Decido di importunare l’intera carrozza 7 del treno 9354 diretto a Benevento per un sondaggio: andrete a votare il 24 e 25 febbraio? Il livello di tollerenza verso l’importuno è alto; la percentuiale di astensione annunciata è bassa. Gli astenuti dichiarati non superano il 10%. Certo: chi annuncia pubblicamente di astenersi lo farà, quasi certamente. Mentre chi promette di andare alle urne potrebbe cambiare idea, oppure mentire in cerca di approvazione. Tra le persone anziane si nota un certo orgoglio elettorale; tra i più giovani un vago, rassegnato senso del dovere.

Nicola Guaraniella, barese, 36 anni, ritiene che la vera spaccatura non sia generazionale, ma tra persone informate (voteranno) e persone disinformate (potrebbero astenersi). Francesca Ruggeri viaggia con il marito e due bimbi verso Roma, dove si reca periodicamente per motivi sanitari. Non intendeva votare, dice, ma ha cambiato idea. Andrà alle urne, sperando che serva a qualcosa; ma non ci conta. Quando racconta le difficoltà familiari, con la bambina in braccio, e giudica chi eleggeremo, non s’arrabbia. Diventa triste. “A niente. Non vogliono rinunciare a niente”.

Entriamo in Campania, attraversiamo un angolo verde d’Irpinia, arriviamo a Benevento, equidistante tra Tirreno e Adriatico. In stazione, poliziotti e suore nel deserto domenicale. Appena fuori i manifesti elettorali con i nomi e le promesse di sempre. Sui giornali Crosetto Carfagna Caldoro Cosentino Di Girolamo e Nitto Paola che dice a Enrico Letta “Come osa?”. “La crisi spegne la movida in centro. Ridotta la vigilanza”, annuncia l’edizione locale del “Mattino”. “Più fallimenti e meno divorzi: colpa della crisi”, titola “Il Sannio”. Più calma e più matrimoni, dunque. Ma arrivarci così non va bene.

Beppe Severgini
@beppesevergnini

18 febbraio 2013 | 8:31© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/severgnini-trieste-trapani/notizie/articolo-Pescara-Benevento_e51923f8-7996-11e2-9a1e-b7381312d669.shtml
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« Risposta #48 inserito:: Febbraio 19, 2013, 11:34:00 pm »

Benevento-Taranto, tra Vendola e l'Ilva


Ho sviluppato un'antipatia feroce per zio Giuseppe, continuamente evocato al telefono dalla mia dirimpettaia tra Benevento e Bari (via Foggia). Non c'è campagna elettorale che tenga: gli audiomolestatori sono tra noi, e non parlano di politica. Chiamano cinque parenti, quattro colleghi, vecchi amici. Non si tratta di telefonate urgenti; solo un modo di passare il tempo e infastidire il prossimo. Trenitalia non dovrebbe distribuire ai passeggeri la rivista «La Freccia», bensì un bavaglio. Molti di noi saprebbero come usarlo.

Più educato e interessante si rivela Pablo, barboncino vendoliano, interista e barese. La sua accompagnatrice, Angela Paltera, sostiene che lo porterà alle urne: forse un modo di tirarsi su di morale. Il viaggio prosegue loquacemente - se allo zio Giusepe serve un biografo, siamo pronti - e Bari ci attende nel sole. Palme, stazione ocra, donne rapide e brune, poliziotti ubiqui che chiedono l'autorizzazione alle riprese.

Sul binario, ritto e solitario come un uomo di Magritte, aspetta Enzo Bartalotta. Si presenta come pubblicitario con sedi a Milano, Londra, Padova e Noci (Bari), esperto di «processi psicometrici junghiani»; nonché responsabile del Movimento 5 Stelle per il suo Comune. Spiega: «Beppe Grillo non va in televisione perché ha paura di vincere troppo». Vendola? «I pugliesi hanno capito di non capire. C'è tanto fumo dietro le parole del governatore. Non avrà successo».

Chiediamo ancora di Nichi, vagabonda gloria locale. La signora Paltera e Pablo, sul treno da Benevento, tifavano per lui. Anna Mele, impiegata, lo ama meno: «Prevedo voto di protesta. C'è molto scontento in giro, e Vendola non lo intercetta». Scontento in genere o sull'operato del governatore? «L'uno e l'altro». Più generosa Annabella De Robertis, classe 1991, studentessa di lettere classiche. «Per i giovani pugliesi, Vendola qualcosa ha fatto. Ha reso possibili piccoli sogni». Tant'è vero che lei intende restare a Bari: «Non è male come si dice». Arrivano altri e il marciapiede davanti alla stazione si trasforma in un talk show. Il consigliere comunale Massimo Maiorano si avvicina e canta le lodi del trasporto su ferro.

Il nostro prossimo treno, parte dal «binario tronco Taranto», situato tra il binario 3 e binario 4. Per saperlo, però, bisogna essere Harry Potter. L'indicazione è vaga, le valigie ingombranti: arriviamo trafelati mentre il capotreno si sbraccia e grida «Su! Su!». A lui non chiederemo né di Vendola né di Taranto: manca il fiato.

Dopo Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle - la toponomastica pugliese è poetica - il regionale 3163 scende verso il Mar Ionio tra ulivi, viti, cieli profondi e tetti piatti. La nostra presenza non passa inosservata: due ragazzine s'allarmano, il capotreno saluta, un'insegnante osserva. Il treno è corto, pulito, colorato, efficiente; al centro dei vagoni dispone di vezzose postazioni a bovindo. È stato acquistato coi soldi dell'Unione Europea, ci informa un ragazzo.

L'immensa acciaieria Ilva di Taranto, cupa regina delle cronache giudiziarie e sanitarie, appare di colpo sulla sinistra. Chiudere o non chiudere? Un giovane avvocato spiega: «Nessun partito ha preso una posizione precisa. È come scegliere tra salute e lavoro, non se la sentono». Una forestiera che lavora in città: «Non c'è più artigianato, l'agricoltura è in ginocchio. La presenza dell'Ilva è un danno. Ma la chiusura sarebbe un danno maggiore». Una voce dal fondo del vagone: «Ma che campagna elettorale. Da noi si parla solo di Sara Scazzi e dell'Ilva! Cronaca nera».

Ci ascolta Rosa Salemme: «È da ventisette anni che respiro l'aria di Taranto. Noi consideriamo l'Ilva come inevitabile: non è così, dobbiamo cominciare a immaginare un'alternativa. Andate al quartiere Tamburi, sta proprio sotto le ciminiere: è arancione». Tamburi a Taranto arrivando da Trieste e andando a Trapani: le T-junctions cominciano a diventare tante.

Beppe Severgnini

19 febbraio 2013 | 12:04© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/severgnini-trieste-trapani/notizie/benevento-taranto190213_3c407914-7a56-11e2-896e-599d001aa8d7.shtml
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« Risposta #49 inserito:: Febbraio 21, 2013, 11:51:15 am »

I PERICOLI DEL FENOMENO GRILLO

Con le battute non si governa

Comunque vada e chiunque vinca, saranno ricordate come le elezioni di Beppe Grillo. Citarne gli alleati non significa sminuirne l'abilità. Perché non c'è dubbio: la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle è stata condotta, con metodo e determinazione, dagli avversari. Ogni volta che un'amministrazione affogava nei debiti e negli scandali, ogni volta che una banca si copriva di vergogna, ogni volta che un partito sperperava denaro pubblico, cosa facevano gli elettori? Registravano mentalmente la casa politica dei responsabili. E concludevano: basta, di questa gente non se ne può più. Tutti i leader dei movimenti di protesta sognano d'essere scelti e votati per il programma: ma non è così. O è vero solo in parte. Il sostegno al Movimento 5 Stelle somiglia a quello che ha portato in alto la Lega, vent'anni fa. Molti elettori di Umberto Bossi erano disposti a sorvolare sulle sue fanfaronate; e sapevano poco di federalismo. Capivano però che la Lega era nuova, ed era invisa al potere politico del tempo. Qualcosa del genere è accaduto di nuovo nel 1994: un voto a Forza Italia, a qualcuno, è sembrato un voto contro il sistema dei partiti che aveva prodotto Tangentopoli.

Questo è un merito di Beppe Grillo: aver sottratto voti all'astensione. Il Movimento 5 Stelle - piaccia o non piaccia - sta fornendo un canale di sfogo alla rabbia e alla frustrazione. I partiti tradizionali non sono stati capaci di indicarne un altro. Non solo. Se abbiamo evitato sassi e bastoni in campagna elettorale è anche grazie a Grillo. A questo siamo ridotti: a dover lodare il confuso populismo.

Perché di questo si tratta. Il guru - che non è candidato - rifiuta le interviste perché non sarebbe facile, da solo e senza suggeritori, difendere certe affermazioni, o spiegare il proprio generico programma. «Uscire dall'euro». E come, di grazia? «Introdurre un sussidio di disoccupazione garantito». Con che soldi? «Investimenti nella ricerca universitaria». Bene, ma non è il caso di essere precisi? Un conto è adattare un copione, di piazza in piazza; un altro offrire piani realistici e rispondere a ragionevoli obiezioni. Ci sono poi gli eletti del Movimento 5 Stelle, che saranno numerosi, e con cui dovremo fare i conti. È vero, far peggio di alcuni parlamentari uscenti appare impossibile. Ma il dubbio rimane. Le «Parlamentarie», con cui sono stati scelti, hanno coinvolto 32 mila persone: un numero irrisorio. Prendiamo l'Umbria, dove sono passato nel mio viaggio politico e ferroviario da Trieste a Trapani. Tiziana Ciprini, con 84 preferenze è stata la più votata tra gli 81 candidati, ed è capolista alla Camera. Ha 37 anni, una laurea in Psicologia ed è dipendente della Regione. Tra le sue proposte, al primo posto: «Rivoluzione culturale: abbandono del sistema della delega e del menefreghismo civico e promozione di sistemi, metodi e stili di vita basati sulla partecipazione». Mah.

C'è un aspetto scenografico e narcisistico, nella dirigenza politica italiana: c'è sempre stato. L'opinione pubblica non solo lo accetta, ma lo invoca, rinunciando alle precauzioni elementari in una democrazia. Pretendiamo invece dettagli, assicurazioni, spiegazioni. Chi non risponde in campagna elettorale - ai potenziali elettori, ai giornalisti, alle critiche - non risponderà mai più. Vladimir Ilyich Lenin, nel 1923, poteva emettere il «comunicato politico numero cinquantatré»; non Beppe Grillo nel 2013. I leader carismatici devono essere controllati, per il nostro e per il loro bene. Se rinunciamo a farlo, aspettiamoci amare sorprese.

Beppe Severgnini

21 febbraio 2013 | 9:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_febbraio_21/con-battute-non-governa_8ce1c560-7be8-11e2-9e78-60bc36ab9097.shtml
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« Risposta #50 inserito:: Febbraio 22, 2013, 07:03:54 pm »

Catania-Palermo sul treno deserto

Nasce il ministero contro gli sprechi

Lettori appassionati! Discussioni accese! Siciliani in fermento!

Nulla di tutto questo

La Sicilia senza luce è irriconoscibile. Lasciamo Catania nel primo pomeriggio, sotto un cielo opaco e strano, in una calma innaturale. Porterà un violentissimo nubifragio - città allagata, macchine sommerse, passanti travolti - ma il regionale 3853 lo anticipa, ci scivola sotto e si dirige nell’entroterra. Un treno impeccabile, pulito, puntuale, l’unico per Palermo: vuoto.

E’ difficile, a tre giorni dalle elezioni, raccontare una giornata vuota: di avvertimenti, di avvenimenti, di passeggeri, di discussioni. Ma questa è un’isola di sorprese; e il nostro viaggio politico e ferroviario da Trieste a Trapani deve raccontare quel che trova. Oggi, poco o niente. Elettori appassionati! Discussioni accese! Siciliani in fermento! Nulla di tutto questo. Davanti dalla stazione di Catania il furgone del gelataio - “Gelsi" e "Fragola” - fiuta grami affari. Dentro, in biglietteria, Salvatore Zuccaro cerca di farci coraggio da dietro un vetro: “Qui c’è poca cultura del treno. A Palermo ci vanno in autobus o in auto. Perché diciamolo: è poco comodo, non tutti i treni sono come questo”.

Il nostro treno, in effetti, è impeccabile: se Trenitalia conoscesse in anticipo i nostri spostamenti, potrei sospettare che è stato messo qui per compiacere la telecamera. Invece scopro che il regionale è sempre questo, ed è spesso vuoto. Siamo in otto, macchinista e capotreno compresi. I vagoni sembrano gli spogliatoi di una piscina durante il corso di nuoto: azzurri, vuoti, in attesa.

Il treno sale verso Enna e dentro un paesaggio incantevole: verde, mosso, montagne basse e poche case. Per ingannare il tempo, e fornire un’occupazione ai pochi passeggeri, convoco nei sedili centrali - disposti convenientemente ad anfiteatro - un Consiglio dei Ministri. Ognuno si scelga un dicastero e dica cosa farebbe, come prima cosa.

Dopo una breve contesa sul ministero dei Trasporti - erano in tre, lo volevano in due - la discussione comincia, sotto gli occhi divertiti del capotreno. Antonella Calamera, di Bompensiero (Caltanissetta), studentessa di storia a Messina, sceglie il ministero dell’Istruzione: vuole soldi per borse di studio e scuole che non cadano a pezzi. Non le sembra d’aver sentito parlare di questi temi, in campagna elettorale. Salvatore Torretta dice di appartenere alla “grande famiglia delle ferrovie”. In quanto ministro dei Trasporti pensa all’Alta Velocità in Sicilia; ma teme che finisca come il Ponte sullo Stretto. Salvatore Distefano, ex commercialista, è il più entusiasta: sceglie il dicastero del Tesoro e chiede di diventare ministro alle Uscite. Addetto a calcolare gli sprechi, dice soddisfatto.

Il treno si ferma alla stazione di Enna (vuota) e a Caltanissetta Xirbi (deserta); solo a Termini Imerese, tornati verso il mare, qualcuno sale. Il capotreno Paolo Minagra, giacca d’ordinanza e jeans, non è contento: in Sicilia, per le note difficoltà finanziarie della Regione, sono stati tagliati molti treni locali, il rischio che questo faccia la stessa fine. “E poi noi vogliamo l’auto, sempre l’auto! Partire da sotto casa e posteggiare davanti alla destinazione, a costo di lasciarla in tripla fila”. Noi chi? chiedo. Noi italiani? Mi guarda sorpreso: “Noi siciliani!".

Arriviamo a Palermo con cinque minuti di ritardo: nessun cartello con il nome della città, un dettaglio che sarebbe piaciuto a Buzzati. Serata fresca, luci gialle. Il neo-ministro delle Uscite, fedele al suo mandato, ci indica come lasciare la stazione. Una ragazza ingiubbottata vede la cinepresa, si stacca dai suoi quattro amici e pretende una domanda. Butto lì: “Veniamo da Catania, abbiamo preso il treno. Abbiamo fatto bene?”. “Da Catania? Treno?!”. Scoppia in una risata convulsa. Se è un benvenuto a Palermo, non ci dispiace. E’ bello vedere qualcuno allegro, a poche ore da elezioni come queste.

Beppe Severgnini
21 febbraio 2013 (modifica il 22 febbraio 2013)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/severgnini-trieste-trapani/notizie/catania-palermo-severgnini_bdbe0ce0-7c63-11e2-9e78-60bc36ab9097.shtml
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« Risposta #51 inserito:: Febbraio 26, 2013, 05:49:09 pm »

I PERICOLI DEL FENOMENO GRILLO

Con le battute non si governa

Comunque vada e chiunque vinca, saranno ricordate come le elezioni di Beppe Grillo. Citarne gli alleati non significa sminuirne l'abilità. Perché non c'è dubbio: la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle è stata condotta, con metodo e determinazione, dagli avversari. Ogni volta che un'amministrazione affogava nei debiti e negli scandali, ogni volta che una banca si copriva di vergogna, ogni volta che un partito sperperava denaro pubblico, cosa facevano gli elettori? Registravano mentalmente la casa politica dei responsabili. E concludevano: basta, di questa gente non se ne può più. Tutti i leader dei movimenti di protesta sognano d'essere scelti e votati per il programma: ma non è così. O è vero solo in parte. Il sostegno al Movimento 5 Stelle somiglia a quello che ha portato in alto la Lega, vent'anni fa. Molti elettori di Umberto Bossi erano disposti a sorvolare sulle sue fanfaronate; e sapevano poco di federalismo. Capivano però che la Lega era nuova, ed era invisa al potere politico del tempo. Qualcosa del genere è accaduto di nuovo nel 1994: un voto a Forza Italia, a qualcuno, è sembrato un voto contro il sistema dei partiti che aveva prodotto Tangentopoli.

Questo è un merito di Beppe Grillo: aver sottratto voti all'astensione. Il Movimento 5 Stelle - piaccia o non piaccia - sta fornendo un canale di sfogo alla rabbia e alla frustrazione. I partiti tradizionali non sono stati capaci di indicarne un altro. Non solo. Se abbiamo evitato sassi e bastoni in campagna elettorale è anche grazie a Grillo. A questo siamo ridotti: a dover lodare il confuso populismo.

Perché di questo si tratta. Il guru - che non è candidato - rifiuta le interviste perché non sarebbe facile, da solo e senza suggeritori, difendere certe affermazioni, o spiegare il proprio generico programma. «Uscire dall'euro». E come, di grazia? «Introdurre un sussidio di disoccupazione garantito». Con che soldi? «Investimenti nella ricerca universitaria». Bene, ma non è il caso di essere precisi? Un conto è adattare un copione, di piazza in piazza; un altro offrire piani realistici e rispondere a ragionevoli obiezioni. Ci sono poi gli eletti del Movimento 5 Stelle, che saranno numerosi, e con cui dovremo fare i conti. È vero, far peggio di alcuni parlamentari uscenti appare impossibile. Ma il dubbio rimane. Le «Parlamentarie», con cui sono stati scelti, hanno coinvolto 32 mila persone: un numero irrisorio. Prendiamo l'Umbria, dove sono passato nel mio viaggio politico e ferroviario da Trieste a Trapani. Tiziana Ciprini, con 84 preferenze è stata la più votata tra gli 81 candidati, ed è capolista alla Camera. Ha 37 anni, una laurea in Psicologia ed è dipendente della Regione. Tra le sue proposte, al primo posto: «Rivoluzione culturale: abbandono del sistema della delega e del menefreghismo civico e promozione di sistemi, metodi e stili di vita basati sulla partecipazione». Mah.

C'è un aspetto scenografico e narcisistico, nella dirigenza politica italiana: c'è sempre stato. L'opinione pubblica non solo lo accetta, ma lo invoca, rinunciando alle precauzioni elementari in una democrazia. Pretendiamo invece dettagli, assicurazioni, spiegazioni. Chi non risponde in campagna elettorale - ai potenziali elettori, ai giornalisti, alle critiche - non risponderà mai più. Vladimir Ilyich Lenin, nel 1923, poteva emettere il «comunicato politico numero cinquantatré»; non Beppe Grillo nel 2013. I leader carismatici devono essere controllati, per il nostro e per il loro bene. Se rinunciamo a farlo, aspettiamoci amare sorprese.

Beppe Severgnini

21 febbraio 2013 | 9:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_febbraio_21/con-battute-non-governa_8ce1c560-7be8-11e2-9e78-60bc36ab9097.shtml
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« Risposta #52 inserito:: Marzo 04, 2013, 06:23:03 pm »

LIMITI ED ERRORI DEL SUCCESSO M5S

La maschera e le macerie

Beppe Grillo sembra affezionato alla parola «macerie». L'ha usata più volte, per descrivere la situazione italiana attuale e quella che verrà. In una intervista alla Bbc sostiene che «destra e sinistra si metteranno insieme e governeranno un Paese di macerie di cui sono responsabili». Ma durerà poco, prevede: un anno, al massimo. Poi «ci saranno nuove elezioni e una volta ancora il Movimento 5 Stelle cambierà il mondo».

In attesa di cambiare il mondo, vien da dire, proviamo a cambiare l'Italia? La demolizione talvolta è necessaria, per poter ricostruire; e Grillo certamente non s'è tirato indietro, quando si trattava di manovrare la benna. L'hanno aiutato, nell'operazione, i partiti tradizionali, incapaci di recepire la richiesta - anzi, la supplica - di cambiamento che saliva dalla Nazione. Abbiamo cominciato vent'anni fa, con il voto alla Lega iconoclasta e il plebiscito nei referendum di Mario Segni; poi l'apertura di credito verso Silvio Berlusconi e la speranza nell'Ulivo nascente. Ogni volta, all'illusione, è seguita la delusione.

Perché non finisca così anche stavolta - il tempo passa, la stanchezza cresce, l'Italia scivola indietro in ogni classifica internazionale - il Movimento 5 Stelle deve fare la sua parte. Nessuno può imporgli di governare; nessuno deve suggerirgli se allearsi e con chi allearsi. Ma tutti possiamo ricordargli questo: non ha solo diritti, ormai. Ha anche qualche dovere.
Incassare il successo elettorale significa legittimare le regole e le istituzioni attraverso cui quel successo è arrivato. Opposizione, governo, appoggio esterno: il Movimento ora deve cambiare passo. Non è tollerabile giocare con il futuro del Paese, che è il futuro di tutti. Siamo legati all'Europa, abbiamo obblighi precisi. L'incertezza ha un costo, e lo stiamo già pagando. Se la strategia di Grillo è aumentare quest'incertezza, far crescere quei costi, provocare altre macerie economiche e politiche, lo dica. Chi ci rimarrà sotto, almeno, saprà chi ringraziare.

Sono materie, queste, su cui il leader - non eletto, ricordiamolo - ha il dovere di consultare i suoi 163 parlamentari (109 deputati, 54 senatori). Non sono automi; non li può «cacciare a calci», come ieri ha minacciato di fare «se cambiano casacca» (alla faccia dell'articolo 67 della Costituzione, secondo cui «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»). Hanno in media 39 anni (32 alla Camera, 46 al Senato); le donne sono il 36 per cento; i laureati l'88 per cento. Molti appartengono alla generazione Erasmus, che conosce e rispetta l'Europa. È difficile credere che vogliano le macerie, come biglietto da visita internazionale.

Per finire, una preghiera. Il Movimento 5 Stelle è ormai un protagonista della vita italiana. Deve mostrarsi e spiegarsi in Italia. Le riunioni segrete e le mascherate - letterali - del capo possono far sorridere, all'inizio; ma poi diventano patetiche. L'insulto come metodo di discussione non è liberatorio: è imbarazzante e volgare. L'abitudine a parlare solo con i media stranieri non è sofisticata, ma provinciale. Sapere quali sono le intenzioni di un sesto del Parlamento italiano leggendo le anticipazioni di un'intervista di Beppe Grillo alla rivista tedesca Focus è umiliante: per lui, per noi, per tutti.

Beppe Severgnini
@beppesevergnini

4 marzo 2013 | 7:52© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_marzo_04/severgnini-maschera-e-le-macerie_b64fe0ec-8491-11e2-aa8d-3398754b6ac0.shtml
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« Risposta #53 inserito:: Marzo 18, 2013, 04:35:58 pm »

GRILLO E LA RIVOLTA DELLA RETE

L'anarchia della balena

Beppe Grillo ha buttato la rete nel malcontento italiano, e la pesca elettorale è stata abbondante. Perché il malcontento è grande e giustificato; perché il pescatore è stato abile a manovrare la barca. Ha saputo mescolare rivendicazioni e rimostranze, solidarietà e sarcasmo, tempismo e tecnologia. Non è il primo a esercitarsi in questo tipo di attività, nella politica italiana ed europea. Ma nessuno aveva ottenuto risultati così clamorosi. Perché nella rete di Grillo non c'è pesce: c'è una balena. Come definire, altrimenti, quasi nove milioni di elettori che hanno investito nel Movimento 5 Stelle molte speranze, lo hanno incaricato di rappresentare le proprie delusioni e ora s'aspettano che trovi soluzioni? Come classificare un numero di parlamentari capace di rendere difficilissima una maggioranza di governo?

Per il gran pescatore politico, passata l'euforia, si pone un problema. Gigantesco, come la sua conquista. La balena non si può tirare a bordo: la barca si rovescerebbe. Ma non si può lasciare lì a lungo, prigioniera nella rete. Perché prima o poi il cetaceo elettorale si sveglia. E allora, per chi sta in superficie, sono guai. I primi segni del risveglio della balena sono evidenti. I voti che hanno consentito a Pietro Grasso di arrivare alla presidenza del Senato erano prevedibili. La psicologia, talvolta, può più della strategia: chi era tanto orgoglioso di mostrarsi alle famiglie nel Parlamento degli italiani, non poteva avallare il «Tanto peggio, tanto meglio!» invocato dal pescatore-capo chiuso nella sua villa sul mare. E poi diciamolo. Se Beppe Grillo è un «portavoce» - così si definisce - il suo ruolo è comunicare la volontà degli eletti; non imporre la propria.

Il segnale inequivocabile del risveglio della balena è però un altro. Dopo il comunicato di centosedici parole («Trasparenza e voto segreto»), con cui Grillo rimette bruscamente in riga gli eletti del M5S, il blog s'è rivoltato. Moltissimi hanno protestato, anche per la rinuncia alla diretta-video della discussione alla vigilia del voto. Altrettanti si sono detti delusi e amareggiati. Vogliamo un movimento nuovo dove si decide insieme, hanno scritto (prima di essere in parte rimossi). Non un partito dove il capo emette comunicati, non risponde alle critiche e lascia intendere: pensatela come volete, basta che la pensiate come me.

La balena s'è svegliata, e dimostra di avere una certa personalità, come il capitano Achab imparò a sue spese con Moby Dick. Cosa farà il mastodonte, è presto per dirlo. Mentre Mario Monti mulina la piccozza, dimostrando di conoscere poco le tecniche di pesca, Silvio Berlusconi e il Pdl appaiono preoccupati. Ma come potevano pensare che la balena dormisse a lungo? Il problema è che nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà. Non Bersani, non Monti, non Berlusconi. Neppure Beppe Grillo. Non basta aver l'aspetto del lupo di mare. Bisogna esserlo davvero.

Beppe Severgnini
@beppesevergnini

18 marzo 2013 | 7:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_marzo_18/l-anarchia-della-balena-beppe-severgnini_92cdeb30-8f8d-11e2-a149-c4a425fe1e94.shtml
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« Risposta #54 inserito:: Marzo 21, 2013, 06:03:50 pm »

GRILLO E LA RIVOLTA DELLA RETE

L'anarchia della balena

Beppe Grillo ha buttato la rete nel malcontento italiano, e la pesca elettorale è stata abbondante. Perché il malcontento è grande e giustificato; perché il pescatore è stato abile a manovrare la barca. Ha saputo mescolare rivendicazioni e rimostranze, solidarietà e sarcasmo, tempismo e tecnologia. Non è il primo a esercitarsi in questo tipo di attività, nella politica italiana ed europea. Ma nessuno aveva ottenuto risultati così clamorosi. Perché nella rete di Grillo non c'è pesce: c'è una balena. Come definire, altrimenti, quasi nove milioni di elettori che hanno investito nel Movimento 5 Stelle molte speranze, lo hanno incaricato di rappresentare le proprie delusioni e ora s'aspettano che trovi soluzioni? Come classificare un numero di parlamentari capace di rendere difficilissima una maggioranza di governo?

Per il gran pescatore politico, passata l'euforia, si pone un problema. Gigantesco, come la sua conquista. La balena non si può tirare a bordo: la barca si rovescerebbe. Ma non si può lasciare lì a lungo, prigioniera nella rete. Perché prima o poi il cetaceo elettorale si sveglia. E allora, per chi sta in superficie, sono guai. I primi segni del risveglio della balena sono evidenti. I voti che hanno consentito a Pietro Grasso di arrivare alla presidenza del Senato erano prevedibili. La psicologia, talvolta, può più della strategia: chi era tanto orgoglioso di mostrarsi alle famiglie nel Parlamento degli italiani, non poteva avallare il «Tanto peggio, tanto meglio!» invocato dal pescatore-capo chiuso nella sua villa sul mare. E poi diciamolo. Se Beppe Grillo è un «portavoce» - così si definisce - il suo ruolo è comunicare la volontà degli eletti; non imporre la propria.

Il segnale inequivocabile del risveglio della balena è però un altro. Dopo il comunicato di centosedici parole («Trasparenza e voto segreto»), con cui Grillo rimette bruscamente in riga gli eletti del M5S, il blog s'è rivoltato. Moltissimi hanno protestato, anche per la rinuncia alla diretta-video della discussione alla vigilia del voto. Altrettanti si sono detti delusi e amareggiati. Vogliamo un movimento nuovo dove si decide insieme, hanno scritto (prima di essere in parte rimossi). Non un partito dove il capo emette comunicati, non risponde alle critiche e lascia intendere: pensatela come volete, basta che la pensiate come me.

La balena s'è svegliata, e dimostra di avere una certa personalità, come il capitano Achab imparò a sue spese con Moby Dick. Cosa farà il mastodonte, è presto per dirlo. Mentre Mario Monti mulina la piccozza, dimostrando di conoscere poco le tecniche di pesca, Silvio Berlusconi e il Pdl appaiono preoccupati. Ma come potevano pensare che la balena dormisse a lungo? Il problema è che nessuno ha idea, oggi, di quale direzione prenderà. Non Bersani, non Monti, non Berlusconi. Neppure Beppe Grillo. Non basta aver l'aspetto del lupo di mare. Bisogna esserlo davvero.

Beppe Severgnini
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18 marzo 2013 | 9:25© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_marzo_18/l-anarchia-della-balena-beppe-severgnini_92cdeb30-8f8d-11e2-a149-c4a425fe1e94.shtml
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« Risposta #55 inserito:: Marzo 22, 2013, 06:33:32 pm »

Regole e metodi

Gli stellati che non brillano in educazione

La fuga di Grillo dopo le consultazioni

Si fossero comportati così Berlusconi, Bersani o Monti avreste detto, giustamente: l'arroganza del potere davanti alle regole


«Per sfuggire ai giornalisti, ai cameramen e ai fotografi che lo inseguivano a bordo di moto e scooter, l'auto di Beppe Grillo, uscita dal Quirinale, è passata 3-4 volte col rosso, ha preso la corsia preferenziale di corso Rinascimento e ha effettuato un paio di inversioni a U dove non era consentito».

Dettaglio della cronaca di ieri, che sottoponiamo agli elettori del Movimento 5 Stelle. Si fossero comportati così Berlusconi, Bersani o Monti avreste detto, giustamente: l'arroganza del potere davanti alle regole. Poiché lo ha fatto Beppe Grillo, nessuna obiezione. O almeno non ne abbiamo ancora lette, tra le migliaia di commenti sulla giornata. Anzi: traspare un certo orgoglio davanti alle gesta del capo, campione di slalom urbano e variazioni democratiche (a quale titolo era al Quirinale? Non si sa).

Grillo capisce di comunicazione, non c'è dubbio. Ma quello che capisce lui ormai lo abbiamo capito anche noi. L'uomo ha intuito il valore della scarsità in tempi di eccesso. Meno si fa sentire, più viene ascoltato. Meno si fa vedere, più diventa prezioso. Le fotografie artigianali col cellulare e le immagini ballonzolanti di una diretta streaming diventano gioielli, per i media ricchi di canali d'uscita e poveri di informazioni in entrata. Produrre vetro e venderlo come diamante: il sogno erotico-professionale di ogni uomo di marketing.

Capiamo che ogni paragone tra Grillo e Berlusconi possa risultare indigesto ai sostenitori del primo. In effetti i personaggi non potrebbero essere più diversi, come storia, psicologia, ideologia e tricologia. Ma come venditori sono entrambi dei fuoriclasse. E, quando si tratta di non rispondere, sono due campioni. Perché diciamolo: tra un blog senza contraddittorio e un videomessaggio non c'è poi molta differenza.

Detto ciò: che Grillo ci provi, non è bello; ma ci sta. La delusione è vedere i suoi elettori entusiasti di queste tattiche. Non dev'essere per forza così, lo hanno dimostrato loro stessi. Dopo essersi ribellati in Rete al diktat del capo, che minacciava punizioni per i voti in Senato a Pietro Grasso, gli stellati - gli elettori del Movimento 5 Stelle - hanno ottenuto subito un risultato. Grillo ha ammorbidito i toni, nessuna punizione o espulsione. Perché non far sentire la propria voce anche in materia di trasparenza, comunicazione, accessibilità?
Risposta facile: poiché in Italia, in queste materie, siamo immaturi. Gli elettori di un partito ragionano come tifosi di una squadra: i propri colori vanno difesi sempre e comunque, alla faccia dell'evidenza, della logica e del buon senso. Pensate ai comunisti degli anni 70, ai socialisti degli anni 80, ai leghisti negli anni 90, agli azzurri berlusconiani negli ultimi vent'anni. Gli stellati sono nel solco della tradizione: una brutta tradizione, però.

Prendiamo le inesattezze - al limite della falsità - ripetute come un mantra, sperando che diventino verità. Ieri la coppia Crimi-Lombardi ha spiegato: abbiamo chiesto l'incarico al presidente Napolitano «in quanto primo partito del Paese». Questo, semplicemente, non è vero. Non solo il M5S ha 162 parlamentari su 945, ma è il secondo partito anche come numero di voti: 8.784.499 contro 8.932.615 del Partito democratico. Ma chi l'ha fatto notare, in Rete, è stato sbeffeggiato. Gli stellati più educati si sono limitati a dire: al primo posto Pd si arriva calcolando anche le circoscrizioni estere, e quelle non contano. Perché? «Perché Striscia ha dimostrato che sono truccate», spiega @ludopice. E va be'.

Gli esempi non sono limitati alla giornata di ieri. Abbiamo visto conferenze stampa col divieto di porre domande. Interviste riservate alla stampa straniera. La tattica - un po' leninista, diciamolo - di pretendere ogni apertura dal sistema che si cerca di infiltrare e conquistare; chiudendo invece la porta sulla propria organizzazione e i propri metodi.
Tutto questo cambierà solo quando iscritti, elettori e simpatizzanti del M5S lo chiederanno: non prima. Ci sono persone giovani, oneste e preparate, all'interno del Movimento. Hanno l'autorità, la serenità e il tono per chiedere un cambio di passo. Non devono farlo per compiacere i media. Devono farlo per diventare grandi: ormai è ora.

Beppe Severgnini

22 marzo 2013 | 8:45© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_22/stellati-educazione-severgnini_be29a214-92bd-11e2-b43d-9018d8e76499.shtml
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« Risposta #56 inserito:: Aprile 26, 2013, 11:01:01 pm »

LE MOLTE COSE DA FARE IN FRETTA

Il contatto con la realtà

Omissioni, guasti, irresponsabilità, lentezze, esitazioni, calcoli strumentali, tatticismi, sperimentalismi, sterilità, autoindulgenza, nulla di fatto, corruzione, sordità e dispute banali. Sono le precise parole usate da Giorgio Napolitano per definire l'operato della classe politica, nell'ordine in cui sono state pronunciate. Davanti a lui, i parlamentari applaudivano freneticamente. Delle due l'una: o avevano capito, e si concedevano un applauso liberatorio; oppure non avevano capito, e si esibivano in un applauso di circostanza.

Esiste, a dire il vero, una terza possibilità: che avessero capito, e abbiano già dimenticato. L'incarico a Enrico Letta non ha ancora 48 ore, e già si sentono i soliti commenti bellicosi, le consuete dichiarazioni stentoree, i proclami con le condizioni irrinunciabili per aderire a un governo che - lo sappiamo - non ha alternative. A sinistra e a destra, molti sono intenti a piantare paletti, come in un film di vampiri.

La pazienza degli italiani è antica, e la nostra saggezza è spesso preterintenzionale. Ma la pazienza, prima o poi, finisce; e la saggezza rischia di diventare rassegnazione. In febbraio, il voto massiccio al Movimento 5 Stelle è stato un urlo, un monito e una richiesta di aiuto. Molti elettori capivano che una moderna democrazia non può affidarsi alle idee, ai metodi e al personale politico messo in campo da Beppe Grillo. Eppure lo hanno votato. Ma quando una democrazia è costretta a scegliere l'incompetenza come antidoto all'inefficienza è messa male. Molto male.

Questa è l'ultima spiaggia della Penisola: più in là c'è solo il mare in tempesta. Il voto - in queste condizioni sociali ed economiche, con questa legge elettorale - è un azzardo pericoloso. Ci sono molte cose da fare molto in fretta: la storia non aspetta i dibattiti ideologici sul come tagliare le tasse. Lavoro per i più giovani, cassa integrazione, crediti per le imprese, l'Iva che il 1° luglio - in assenza d'iniziative - salirà d'un punto, affossando definitivamente i consumi. Sono cose che sappiamo tutti, eletti ed elettori. Quindi, avanti: si cambia.

I saggi nominati dal presidente Napolitano si sono rivelati concreti. In poco tempo hanno prodotto poche pagine di buone idee: nel Paese pleonastico, una piccola rivoluzione. Se siamo tutti d'accordo, cosa ci vuole per sostituire questo Senato-fotocopia con un Senato delle Regioni, più utile e agile? Per ridurre e regolare il finanziamento pubblico ai partiti? Per abolire le inutili Province? Sono riforme sostanziali, simboliche e salutari. L'Italia ha voglia di novità. È primavera: bisogna cambiare aria nelle stanze del cervello.

Capiranno, i partiti, che hanno un'opportunità e nessuna alternativa? Il recente passato induce alla cautela. La grottesca irriconoscenza verso Mario Monti - che ha sbagliato a candidarsi, ma era stato chiamato al governo d'urgenza, come un medico al pronto soccorso - s'è mescolata infatti con una furbesca amnesia (chi aveva ridotto l'Italia così, se non l'inefficienza dei partiti e dell'amministrazione?). Ora hanno l'opportunità di giudicare e decidere: non la sprechino.

Enrico Letta è un uomo competente, calmo e relativamente giovane. Le prime due qualità gli serviranno per navigare; la terza caratteristica è stata valutata con favore dall'Europa, che non può smettere di guardarci. Ma non vuole vedere un altro film di vampiri. Roba vecchia: e non c'è mai il lieto fine.

Beppe Severgnini

26 aprile 2013 | 7:37© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_aprile_26/contatto-realta_c25b67b8-ae2a-11e2-b304-d44855913916.shtml
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« Risposta #57 inserito:: Maggio 09, 2013, 04:39:33 pm »

Il Grillo canta, non insulta!


Dopo un fondo sul “Corriere”, una partecipazione a “Ballarò” e una a “Otto e mezzo”, dove ho espresso opinioni sul Movimento 5 Stelle, ho raccolto una cascata di commenti aggressivi, volgari o minacciosi. Soprattutto su www.beppegrillo.com (ma gli insulti non erano vietati?), sul canale Youtube Rai (chi lo modera?), su Facebook e Twitter. Esagero? Cosa direste, se qualcuno scrivesse di voi “Non vale nemmeno il prezzo del colpo che meriterebbe ampiamente di ricevere in mezzo agli occhi”?

 

Sono spaventato? No. Offeso? Nemmeno. Dispiaciuto? Certo. Perché questo è ormai il dibattitto pubblico in Italia. E il web – l’ho scritto, lo ripeto – non è un’attenuante: è un’aggravante. Internet è troppo importante, affascinante e libera perché bande di incoscienti, travestiti da libertari, possano rovinarla.

 

Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio diranno: e noi cosa ci possiamo fare? Rispondo: molto, potete fare. Potreste dire a vostri sostenitori, per esempio, che reagire così a ironie o critiche è assurdo. Potreste aggiungere che una formazione politica nuova e originale – il Movimento 5 Stelle – non può e non deve ospitare attacchi personali di questo tipo (il commento citato sopra è ancora sul blog www.beppegrillo.com – firmato andrea f. 26.04.13 12:30).

 

Soprattutto, caro Grillo, lei potrebbe evitare d’aizzare i suoi elettori. Se dopo una frase scherzosa – “Il dibattito in streaming tra Enrico Letta e Vito Crimi? Come mettere di fronte Bayern Monaco e Sambenedettese: quasi scorretto!” – lei pubblica una mia foto, titola “Mescolarsi vuol dire sporcarsi di merda”, storpia il mio nome e quello del “Corriere”, insulta Lilli Gruber e dice che, in altri tempi, io avrei “decantato il Duce, Pinochet e Gromiko”, è chiaro: i suoi elettori penseranno che è legittimo spingersi più in là (oltre a chiedersi chi diavolo era Gromiko).

 

Non sono preoccupato, ripeto, non denuncerò nessuno e so che molti altri italiani hanno ricevuto il “trattamento a cinque stelle”. Ma credo sia venuto il momento di dirlo: adesso, basta. Non si può vivere d’insulti. Cominci lei, Grillo. Ricordi d’essere un leader cui nove milioni di persone hanno dato fiducia. Il desiderio di stupire, e il fastidio per il dissenso, porta a considerare ogni avversario un nemico, ogni obiezione un’offesa, ogni dubbio un tradimento.

 

Ho letto “Il Grillo canta sempre al tramonto”: non mi pare d’aver trovato una liberatoria dell’insulto. Il Movimento 5 Stelle – come la Lega, in tempi recenti – è servito a incanalare pacificamente la protesta e l’insofferenza: lo riconosco. E, per adesso, non vedo un collegamento tra toni minacciosi ed episodi di violenza. Ma è tempo di voltare pagina. L’Italia ora ha un governo, e ha bisogno di un’opposizione battagliera e informata. Tocca a voi. Le urla, le minacce e le volgarità non sono degne del più originale movimento politico di questo secolo. L’Italia si cambia con le idee in testa, non con la bava alla bocca.

 

Aspetto una risposta. Ma le risposte, come i sorrisi, dalle vostre parti sono merce rara.

 

(dal Corriere della Sera 9.5.2013)

 
Beppe Severgnini

da - http://italians.corriere.it/2013/05/09/il-grillo-canta-non-insulta/
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« Risposta #58 inserito:: Luglio 16, 2013, 06:17:18 pm »

L'ALIMENTO MALSANO DEL POPULISMO

Oltre il limite della decenza

Beppe SEVERGNINI

«Quando vedo il ministro Kyenge non posso non pensare a un orango». È incoraggiante sapere che il senatore Roberto Calderoli pensa, ogni tanto.
Non abbastanza, però. Se riflettesse, l'inventore del Porcellum , nefasta legge elettorale, capirebbe che zoologia e politica non vanno d'accordo. Se s'informasse, e sapesse cosa dicono di lui e di noi nel mondo, il vicepresidente del Senato lascerebbe l'incarico e chiederebbe scusa.
Non solo a Cécile Kyenge, ma agli italiani che rappresenta.

L'intervista al Corriere , ieri, ci presenta invece un uomo inconsapevole, che con ogni affermazione aggrava la propria posizione: «Amo gli animali. E poi il mio era un giudizio estetico, non politico». Non faccia l'ingenuo, il senatore Calderoli: non può non sapere che certi accostamenti fanno parte dell'arsenale dei razzisti. L'impressione è un'altra. Superato lo stupore per la reazione pubblica, il leader leghista ha capito che quell'uscita offensiva gli serve a riconquistare il centro della scena, dove la Lega ultimamente è transitata solo per litigi grotteschi, appropriazioni indebite e scandali in famiglia.

Se questo sospetto fosse fondato, sarebbe grave. Significa che tutto vale, per alcuni personaggi e per certi movimenti, quando serve a raccattare qualche applauso e un po' di consenso. La Lega non è sola, infatti, a scegliere questa strategia: altri, in questi mesi e anni, l'hanno utilizzata con cinismo. Il disagio della maggioranza degli italiani non conta; l'imbarazzo internazionale nemmeno. L'importante è eccitare le proprie truppe.

Chi lo conosce lo sa: Roberto Calderoli è tutt'altro che uno sprovveduto. Quella frase - come altre simili che l'hanno preceduta - rappresenta una sorta di istinto calcolato, comune ai populisti di tutto il mondo. Non importa se un'affermazione è volgare, aggressiva, imbarazzante. Basta che piaccia ai potenziali elettori.

È un calcolo pericoloso. Perché le parole sono semi: chi li sparge non può disinteressarsi di cosa crescerà. Se i capi si permettono di paragonare una donna di colore a un orango, i seguaci si riterranno autorizzati a giudicare una persona per il colore della sua pelle. Si sentiranno giustificati quando la liquideranno con una battuta, la offenderanno con un paragone, la umilieranno con uno sguardo o un «tu» ingiustificato.

Leader viene da to lead, condurre. Chi comanda deve guidare, non seguire; consigliare, non assecondare; ispirare, non istigare. Non è fastidiosa «correttezza politica» quella che spinge i media di tutto il mondo, in queste ore, a riportare e deprecare la vicenda Calderoli. È la consapevolezza che tutti i faticosi passi avanti contro il razzismo rischiano di diventare inutili. L'Italia è un grande, generoso Paese europeo; non può ragionare come un piccolo, astioso retrobottega.

Ho ascoltato l'audio del comizio di Roberto Calderoli a Treviglio, pubblicato da Corriere.it: la frase non gli è sfuggita, era il terminale di un ragionamento. È grave che gli uomini politici - non solo leghisti - considerino i comizi una zona franca, dove l'eccesso e l'offesa servono per conquistarsi l'applauso. È un errore di giudizio pari a quello di chi considera Internet un posto senza regole. Comizi, piazze, blog e social network sono luoghi pubblici, dove occorre tenere comportamenti decenti. Perché il contrario di decenza è indecenza. Ne circola abbastanza, di questi tempi, per aggiungerne altra.

16 luglio 2013 | 7:57
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Beppe Severgnini@beppesevergnini

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_16/oltre-limite-decenza_fced56d2-edd8-11e2-98d0-98ca66d4264e.shtml
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« Risposta #59 inserito:: Agosto 04, 2013, 11:40:38 am »

Visti dall'estero

Il mondo ci guarda (e non capisce): quello che pensano e dicono di noi

Per tedeschi o americani è sospetta ogni interferenza sui magistrati.

Soltanto un giornale russo difende Berlusconi


Giovedì sera, pochi minuti dopo la pronuncia della Corte di cassazione, sulle frequenze di Bbc World Service è andata in onda una curiosa conversazione. Lucio Malan, senatore del Pdl, spiegava con convinzione che la condanna era ingiusta e Silvio Berlusconi era innocente.
Il conduttore, serafico, ha ribattuto: «Mi scusi, ma come può dir questo? Tre gradi di giudizio hanno stabilito il contrario».

Nella sua semplicità, lo scambio illustra il nostro vero, grande rischio nazionale: all'estero non capiscono. Non capisce l'opinione pubblica internazionale. Non capiscono i giornali, le televisioni, le radio e i siti web. Non capiscono i conservatori, i liberali e i socialisti. Nessuno capisce come, in una democrazia, una parte del potere politico possa rivoltarsi contro il potere giudiziario, pur di difendere il proprio capo.

È un coro unanime. The Independent (inglese): «Berlusconi come Al Capone». Süddeutsche Zeitung (tedesco): «Machiavelli di celluloide». Libération (francese): «Berlusconi, naufragio all'italiana». Washington Post (americano) si chiede quale villa Berlusconi sceglierà per la reclusione. The Guardian, da Londra: «Silvio Berlusconi ai domiciliari, forse nella villa del bunga-bunga». El País, da Madrid: «È così la vecchia volpe (el viejo zorro), grande conoscitore dell'idiosincrasia italiana, ha ottenuto quello che sarebbe difficilmente immaginabile in ogni altro Paese del mondo: convertire i panni sporchi giudiziari in combustibile per l'ultima tappa della carriera politica. La cosa più allucinante, e anche la più triste per l'Italia, è che il trucco funziona».

Vignette, grafici, cronologie giudiziarie, commenti. Nel duello, riassunto da Luigi Ferrarella, «tra la volontà della magistratura di applicare a Berlusconi le regole valide per tutti e la sua pretesa di esserne esonerato a causa del consenso», i media del mondo non sembrano aver dubbi: stavolta, e non per la prima volta, stanno con la magistratura.

Il potere giudiziario - da Washington a Londra, da Berlino a Tokyo - è considerato l'arbitro della vita civile. Un arbitro discusso e discutibile: ma comunque l'arbitro. E se tre arbitri, uno dopo l'altro, decidono che una persona è colpevole, significa colpevolezza: il giudizio umano, oltre, non può andare. Le nostre diatribe italiane sull'accanimento giudiziario risultano incomprensibili. «Berlusconi è stato indagato e processato come nessun altro!», protestano i sostenitori in Italia. La reazione, fuori d'Italia, si può riassumere così: «Bene. Ora processate anche gli altri».

Opinioni brutali? Considerazioni sempliciste? Ma l'opinione pubblica internazionale è, spesso, brutale e semplicista. Pensate a quanto sappiamo noi sul funzionamento della democrazia americana o tedesca (l'equilibrio tra i poteri, i controlli incrociati). I cittadini tedeschi e americani sanno altrettanto (poco) della democrazia italiana. Sanno però che il legislatore legifera, il governo governa e il potere giudiziario giudica. Ogni interferenza appare sospetta. Le norme spinte in Parlamento per alleggerire la propria posizione processuale, durante gli anni di governo: questo sì, di Silvio Berlusconi, viene spesso ricordato.

All'agenzia Nuova Cinao al quotidiano giapponese Asahi Shimbun non interessa se la magistratura italiana ha un'agenda politica. Quest'ultimo si limita a scrivere che «un ex premier è stato condannato per frode fiscale» (è l'unico che non mette il nome di Berlusconi nel titolo). Solo il quotidiano russo Kommersant si schiera dalla parte del condannato. Titola: «Berlusconi non è stato scomunicato dalla politica» e definisce la sentenza «scandalosa» perché mira a terminarne la carriera politica.

La vulgata berlusconiana, raffinata negli anni dai media di proprietà, è che esista una cricca di italiani - giornalisti, accademici, qualche politico - in grado di influenzare le opinioni nei luoghi che contano, Londra e New York in particolare. Considerato l'accesso alle informazioni nel XXI secolo, questa spiegazione appare surreale, astuta o infantile (fate voi). È più logico e più semplice accettare l'evidenza. Sono ormai molti, all'estero, a condividere l'opinione sintetizzata in un titolo dell' Economist nel 2001: Berlusconi è inadatto a guidare l'Italia.

Certo, i media più influenti - quelli che i mercati consultano e gli investitori ascoltano - non hanno mai mostrato indulgenza per il personaggio. Dopo otto di governo inefficace, quattro anni di scandali sessuali, una dozzina di processi, sette prescrizioni e una condanna, sembrano aver perso la pazienza. «Cala il sipario sul buffone di Roma», è il titolo spietato del Financial Times . Il New York Times, secondo cui la vicenda «mette il fragile governo italiano sulla strada della crisi», scrive: «È opinione diffusa che Mr. Berlusconi voglia conservare un ruolo pubblico nella speranza di esercitare l'influenza politica di cui ha bisogno per proteggere i propri interessi economici».

Certo dev'essere sgradevole, per un elettore di centrodestra, leggere opinioni tanto sfavorevoli; ed è doloroso, per ogni italiano, sapere che l'opinione negativa su un leader ricade anche, inevitabilmente, sul Paese che rappresenta. Ma bisogna prenderne atto, e mantenere la calma.

Se un uomo mite come Sandro Bondi evoca «il rischio di guerra civile» non dobbiamo stupirci se i media internazionali ci trattano talvolta con fastidio. Una dichiarazione irresponsabile, dal satellite e sulla banda larga, viaggia più veloce del magnifico lavoro di tanti connazionali, in ogni campo. Pdl significa Popolo della Libertà, non Perdere di Lucidità. Qualcuno, nel partito, trovi il coraggio di spiegare al padre-padrone che non può trascinare con sé tutta l'Italia. I nostri amici nel mondo non capirebbero; e i nostri avversari non aspettano altro.

4 agosto 2013 | 9:36
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Beppe Severgninibeppesevergnini

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_04/berlusconi-mondo-non-capisce-pensano-dicono-noi_5e036ed8-fccb-11e2-ac1e-dbc1aeb5a273.shtml
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