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Autore Discussione: Beppe SEVERGNINI. -  (Letto 69096 volte)
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« inserito:: Agosto 04, 2008, 07:38:39 pm »

L'ondata dei dinieghi. Sono in minoranza gli ordini di buon senso

Divieti, l'estate neo-proibizionista

I diktat transpadani dimostrano impotenza: proibiamo tutto perché non riusciamo a impedire qualcosa



ROMA - Non filmare i figli in piscina! A Trento ti prendono per un pedofilo. Non darti appuntamento con gli amici in un giardino pubblico la sera! A Novara ti considerano un malintenzionato. Non berti una birra all'aperto! A Brescia passi per un ubriacone. Non fumare nei parchi-giochi! A Verona dicono che non sta bene. Non fare il bagno a Sorrento e non raccogliere cozze a Napoli! In Campania il mare di oggi è infido come le strade di ieri. Non avvicinarti alla caletta più bella dell'Asinara! Solo le vacche possono passeggiarci e lasciare enormi souvenir. Non denudarti nelle spiagge dei nudisti! A Ravenna, sul Garda e sull'Adda, come a Palazzo Chigi, ritengono che un capezzolo possa provocare turbamenti (evidentemente, non guardano la Tv). E' l'estate del divieto a go-go. Tutto ciò che si vorrebbe fare costa caro, e il resto è vietato. Non tutti i divieti, ovviamente, sono uguali. Ce ne sono d'inquietanti (Trento), d'impotenti (Novara) e di anacronistici (Ravenna). Alcuni sono segni di disperazione (Brescia); altri contengono una dose di buon senso (Verona). Non c'è dubbio comunque che l'autorità italiana — irrisa dall'inosservanza delle regole — abbia trovato, nella proibizione, una consolazione. Anzi, una ragion d'essere. Veto ergo sum. Cominciamo da Trento. In quella bella e civilissima città se inquadri con la videocamera o il telefonino una vasca piena di bambini diventi sospetto. La piscina — spiega Roberto De Carolis, direttore della società che gestisce 92 impianti sportivi — è infatti un «territorio fertile per un certo tipo di reato». Che dire? La preoccupazione è genuina, ma il rimedio è inquietante. Siamo ridotti come gli Usa, dove i bambini nudi — su una spiaggia o in una foto di famiglia — sono tabù da almeno vent'anni. Perdita dell'innocenza o paranoia collettiva? Siamo per la risposta numero due.

A Novara il sindaco Massimo Giordano impedisce di fermarsi in parchi e giardini dopo le 11 di sera, in più di due persone; a Brescia il collega Adriano Paroli vieta il consumo di alcolici sul suolo pubblico (finirà, di nuovo, come in America, la gente berrà direttamente dal sacchetto). I divieti transpadani equivalgono a una confessione d'impotenza: siccome non riusciamo a impedire qualcosa a qualcuno, proibiamo molto a tutti. Sia chiaro: i bivacchi molesti sono un marchio di questa povera estate italiana, e qualcosa va fatto. Ma per punire spacciatori, ubriaconi e piantagrane c'è — ci sarebbe — il codice penale. In Italia, evidentemente, è troppo difficile far rispettare le norme esistenti. Meglio inventarne di nuove, pur sapendo che finiranno come quelle vecchie. Altri divieti sono più tradizionali: sulla salute delle cozze, a Napoli, c'è più letteratura che su Eduardo De Filippo. Il divieto di fumo nei parchi-giochi a Verona, invece, appare ragionevole: non tanto perché i bimbi, all'aperto, siano vittime del fumo passivo; ma perché non è simpatico saltare e correre tra i mozziconi. Per lo stesso motivo, nella tollerante Sydney, hanno vietato il fumo a Bondi Beach. La spiaggia stava diventando un immenso posacenere. Il divieto logico è tuttavia in minoranza, nell'Italia neo-proibizionista (a parole). Il divieto più buffo è quello di mettersi nudi in luoghi appartati, al mare, al lago o lungo i fiumi. Oggi, siamo certi, neppure Oscar Luigi Scalfaro avrebbe nulla da dire se una dozzina di adulti consenzienti si ritrovassero per dondolare un po' di carne in pubblico. Ma sull'Adda, sul Garda e sull'Adriatico ritengono la cosa assai sconveniente: il senso del pudore cambia, certa gente mai. Un consiglio alle autorità in questione: se vi avanzano agenti in borghese, non sguinzagliateli dietro ai glutei di un vice-preside naturista. Mandateli a Novara o a Brescia dove, oggettivamente, da fare ce n'è.

Beppe Severgnini
www.corriere.it/italians
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04 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 23, 2009, 01:11:06 pm »

Quel che ci vuole per fare un Obama

Beppe Severgnini,


Anche i più cinici, disinformati e superficiali osservatori di cose americane ormai l'ammettono: il presidente Obama qualche qualità la possiede.

Il Partito Democratico italiano, quando si riavrà dall'overdose di eccitazione e invidia, dovrà meditare. Esiste, al suo interno, un personaggio fresco, onesto e coerente? Un candidato in grado di motivare i giovani elettori? Un uomo o una donna in grado di ispirare e rassicurare? Qualcuno capace di far sembrare Silvio Berlusconi superato e ripetitivo?

Molti dirigenti del Pd pensano d'essere la persona giusta; e si domandano com'è possibile che tutti gli altri non se ne siano accorti.

Proposta: analizziamo le carte vincenti del 44° presidente, e vediamo chi le possiede.


ASPETTO Francesco Rutelli. E' vero: per stazza, capello, storia e consorte l'uomo è più clintoniano che obamiano.
Ma con un po' di palestra e qualche sorriso in più può ancora andare.

MOGLIE E FIGLI Enrico Letta. Gianna, oltretutto, non metterebbe mai quel vestito giallo.

NOVITA' Lanfranco Tenaglia. Come, non sapete chi è? Il ministro-ombra della giustizia: è nato nel 1961 come Obama.

PROGRAMMA Walter Veltroni. Le cose che dice Obama, e quelle ripetute dal leader Pd, non sono molto diverse. L'americano, però, sembra volerle fare.

CURIOSITA' Giovanna Melandri. La bionda signora, a far campagna elettorale negli Usa, c'è andata davvero, l'anno scorso. Ha capito che il partito democratico americano è una corazzata; poi è tornata a Roma a lucidare la sua scialuppa.

ECUMENISMO Arturo Parisi. Ulivista e unionista, ha sempre pensato che la sinistra non si debba dividere.
Così facendo, ha diviso la sinistra (ma questo è un altro discorso).

SIMPATIA Pier Luigi Bersani. Uno tra i pochi che, in questo casino, sembra ancora divertirsi. Piacenza non è Chicago, ma bisogna accontentarsi.

AUTOSTIMA D'Alema.

UMILTA' Rosy Bindi. Tra tanti politici cattolici che spiegano, una che ogni tanto tace.

PAZIENZA Antonio Bassolino o Riccardo Villari. Gliene dicono di tutti i colori - comprensibilmente - ma loro - incomprensibilmente - non mollano.

POPOLARITA' Romano Prodi. Be', tutti sanno chi è.

TENACIA Renato Soru. L'uomo ha la testa dura: basalto sardo, come quello lavorato dello scultore Pinuccio Sciola.

REPUTAZIONE Sergio Chiamparino. In una parte d'Italia dove il centrosinistra, da anni, prende cazzotti, ha saputo schivare e spiegare.

INNOVAZIONE Nicola Zingaretti. La provincia di Roma, di cui è presidente, lancia la rete wireless in tutti i comuni: 500 hotspot gratuiti in biblioteche, piazze e parchi. Bel progetto, a patto che non resti un progetto.

Ecco: questo ircocervo politico qualche possibilità l'avrebbe. Ma se riunisse la novità di Prodi, la popolarità di Tenaglia, la reputazione di Bassolino, la pazienza di Soru e l'umiltà di D'Alema? Be', in questo caso Berlusconi potrebbe tornare a star traquillo.

Ammesso che sia mai stato preoccupato.

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 30, 2009, 05:00:52 pm »

Cittadini di un Paese ormai psichedelico




Torno dagli Stati Uniti e volevo raccontarvi di case invendute sotto il sole d'aprile, della crisi dell'auto, degli amici americani che hanno smesso di fare gli spiritosi quando parlano della nostra Fiat. Descrivere la Forgotten Coast, la "costa dimenticata" a nord-ovest della Florida, dove i rednecks della Georgia e dell'Alabama scendono al mare. Parli di "influenza suina" e ti guardano storto: hot dogs con la febbre?

Volevo raccontarvi di queste cose, ma lo farò la prossima volta. Mi sembra, rientrando in Italia, che le urgenze siano altre. Ad esempio: perché quella signorina lo chiama "papi"?

Siamo ormai un Paese psichedelico, guidato da un leader escatologico, con tratti bulimici. I fini ultimo del nostro primo ministro sono misteriosi, ma le sue trovate sono tali e tante da sconfiggere la presunta perfidia dalla stampa estera. "Divertimento dell'imperatore"? Signora Veronica, questa è pop art! Se un corrispondente straniero scrivesse che l'organizzatore del G8 cambia l'agenda per volare a Napoli e partecipare alla festa di una diciottenne in discoteca, in redazione non gli crederebbero.

Neanch'io volevo crederci, mentre scendevo sopra il Piemonte allagato, arrivando dalla notte atlantica. Confesso che non potevo immaginare la nomina di Mara Carfagna, ma poi è successo. Ero incredulo alla notizia che le gemelle De Vivo, fugaci apparizioni all'Isola dei Famosi, fossero ricevute per un'ora a Palazzo Grazioli (prima di un ricevimento a Villa Taverna dall'ambasciatore americano): ma è accaduto. Fatico ad ammettere che letteronze e troniste vengano candidate al Parlamento europeo: ma avverrà (e io non voto).

"Ciarpame senza pudore"? E perché, signora Veronica? Suo marito è l'autobiografia onirica della nazione: fa le cose che tanti sognano. Le proteste a sinistra sono sospette perché preconcette: da quelle parti contestano Berlusconi anche se si gratta il naso. Altre reazioni non ci sono. Nel Dna civile di noi italiani è iscritta la Signoria, come in quello dei russi c'è lo zar: il capo non si critica, al massimo s'invidia. "Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie": la psicologia del potere non è cambiata dai tempi dell'Ariosto. In poche ore si passa dal ricevimento per Lukashenko, l'ultimo dittatore d'Europa, al ciondolo d'oro con diamanti per la ragazzina partenopea. Indignarsi? Sentimento antico, stancante e velleitario. Vediamo di suggerire, invece, qualcosa capace di stupire ancora.

Che so, un Consiglio dei Ministri organizzato come il Grande Fratello, con tanto di televoto: sarà il pubblico a decidere quale ministro dovrà uscire dalla casa. Oppure un altro trasferimento del G8. Non a Roma, non in Sardegna, non in Abruzzo. In discoteca! I colloqui tra i leader avverranno sulla pista da ballo, mentre ministri e diplomatici si divincolano sui cubi, battendo le mani ("Rock the World, Baby!").

Sì, questa è una buona idea. Il mondo, visto quello che sta passando, ha bisogno d'allegria. Di questa materia prima, siamo i più grandi produttori mondiali. Vendiamola cara, al prezzo del petrolio.

(Dal Corriere della Sera, 30 aprile 2009)

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« Risposta #3 inserito:: Maggio 28, 2009, 10:04:13 am »

Noemi, quattro cose ovvie



Beppe Severgnini,

Un pesce rosso convinto d'essere un cardinale, gli economisti che ammettono di non averci capito niente, la politica fuori dalla nomine Rai, José Mourinho che lavora gratis. Sono molte le notizie surreali che avrebbero potuto colorare questa torrida primavera, ma è toccato a una ragazzina e ai suoi bizzarri rapporti col presidente del Consiglio.

Bizzari: ecco la parola. Potete essere di destra o di sinistra, atei e cattolici, giovani o meno giovani, ma sarete d'accordo: se uno sceneggiatore avesse scritto un film con quella trama, gli avrebbero detto "Ragazzo, hai bevuto?". Invece è accaduto. Noemi, le feste, il papi, i genitori, le smentite, i fidanzati che compaiono e scompaiono. I marziani guardano giù dicendo: "E quelli strani saremmo noi?".

Quattro punti ovvii, per ridurre i litigi e provare a ragionare. Il primo: la frequentazione tra un settantenne e una diciassettenne - al di là del ruolo di lui - è insolita. La famiglia Letizia non sembra stupita, decine di milioni d'italiani sì. Una spiegazione plausibile ancora non l'hanno avuta. Se tanti lavorano di fantasia, a Palazzo Chigi non possono stupirsi.

Ovvietà numero due. Alcune affermazioni del protagonista sono state smentite. "L'ho sempre vista coi genitori": poi Noemi - ma cosa s'è fatta? era così carina! - salta fuori alla festa del Milan, sbuca al galà della moda, compare in Sardegna. Per cose del genere, nelle altre democrazie, i potenti saltano come tappi di spumante. Noi siamo più elastici - succubi, rassegnati, distratti, disinformati: scegliete voi l'aggettivo - ma un leader politico, perfino qui, dev'essere credibile.

Ovvietà numero tre. Le abitudini e le frequentazioni di Silvio B. riguardano solo Veronica L. (che peraltro s'è già espressa con vigore sul tema)? Be', fino a un certo punto. Il Presidente del Consiglio guida una coalizione di governo che organizza il Family Day, mica il Toga Party o il concorso Miss Maglietta Bagnata. Michele Brambilla - vicedirettore del "Giornale", bravo collega e uomo perbene - spiega che, per il mondo cattolico, contano le azioni politiche, non i comportamenti coerenti. Io dico: mah!

Ovvietà numero quattro. L'opposizione, in tutte le democrazie, cerca i punti deboli dell'avversario, soprattutto alla vigilia delle elezioni. Dov'è lo scandalo, qual è la novità? Se Piersilvio s'indigna, non ha idea di cosa avrebbe passato suo padre in America, in Germania o in Gran Bretagna (dov'è inconcepibile che i capi di governo possiedano televisioni). Non solo in questi giorni: negli ultimi quindici anni.
Bene: quattro cose ovvie, in attesa di sviluppi. Intanto s'è insediato quietamente il governo Letta. Qualcuno che coordini ci vuole. C'è da lavorare, e il Capo è altrove.

Dal Corriere della Sera del 28 maggio 2009

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« Risposta #4 inserito:: Giugno 02, 2009, 11:44:21 am »

Politica e fumetti

Una sceneggiatura che ricorda le avventure di Topolinia
 

Topolanek nudo! Sembra un allarme lanciato da Superpippo, è invece è l’argomento di cui discutiamo in Italia.
Oggi è la Festa delle Repubblica: se qualcuno avesse dubbi che la nostra democrazia sta assumendo contorni fumettistici, legga i giornali.
Che bisogno abbiamo dei Tremonti Bonds, per aiutare la finanze nazionali? Vendiamo i diritti alla Disney.

La nostra discesa verso gli inferi del ridicolo passa anche da vicende improbabili e nomi impeccabili. Mirek Topolánek, anni 53. Capo del governo a Praga fino al marzo scorso, è separato dalla moglie Pavla Topolánková; ha due figlie, due figli e due nipoti. I suoi idoli sono Churchill, Thatcher e Aznar. Le sue letture Steinbeck, Hemingway e Kundera. I suoi passatempi — informa Wikipedia — includono tennis, golf e guida nei rally. Di naturismo non si parla. Di ragazze neanche.

Villa Certosa sta assumendo, nella fantasie nazionali, tratti leggendari.
Gli amici del protagonista, cercando di minimizzare, contribuiscono ad arricchire la sceneggiatura. Marcello Dell’Utri: «C’è la gelateria. Tu vai lì, e ti servono tutto il gelato che vuoi. Gratis. Se ci pensa, è una trovata molto divertente». Flavio Briatore: «C’è il gioco del vulcano. Si chiacchiera del più e del meno e quando il gruppo si avvicina al laghetto, (Berlusconi) finge di preoccuparsi, dicendo che la Sardegna è una zona vulcanica. E a quel punto si sente un’esplosione pazzesca, ci sono effetti tipo fiamme...». Sandro Bondi, cercando di spiegare il Topolanek desnudo: «Mah... D’altra parte consideri che la villa è a pochi metri dal mare. Una mare, come lei saprà, di una bellezza assoluta».

Per descrivere le festicciole del Capo hanno tirato in ballo di tutto: da Boccaccio a Fellini a Umberto Smaila. Inesatto.
Nessuna Rimini notturna né campagna toscana, niente «Colpo Grosso» o Sodoma Gomorra all’italiana. Villa Certosa è Topolinia (qualcuno lo spieghi al «Times» di Londra).
Una città incredibile dove la Banda Bassotti tira tardi in compagnia del commissario Basettoni, Pluto veglia tra i ginepri e Macchia Nera guarda Minnie che si fa la doccia.

In attesa di sapere se il prodotto è adatto ai bambini, diciamo questo: era da tempo che la politica italiana non produceva una trama altrettanto fantasiosa.
La satiriasi del potere è un fatto storico: imperatori e satrapi, dittatori e autocrati hanno sempre amato riempire le feste di attrazioni e ragazze.
In democrazia la cosa è più complicata, ma la cinica elasticità italiana consentirebbe di raccontare molto, se non proprio tutto. L’ultimo scoglio è la coerenza ufficiale: i politici, anche i più spregiudicati, non sono ancora pronti ad ammettere quello che fanno, temendo che qualcuno lo confronti con quello che dicono.

Durerà poco: l’ipocrisia, nei fumetti, non serve. Ps L’ex primo ministro ceco Mirek Topolanek il 29 maggio ha risposto alle critiche di Silvio Berlusconi il quale, durante l'assemblea di Confesercenti, aveva parlato delle debolezze dell'Europa e della poca autorevolezza della presidenza ceca di turno: «Silvio, amico mio, chiudi la bocca!». Invito accolto, pare.



Beppe Severgnini
02 giugno 2009

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 11, 2009, 05:36:27 pm »

La fulminea ascesa di miss Frangetta



Beppe Severgnini,

Prima il ruvido Soru, il lepido Letta, l'americano Martina, l'ammaliante Madìa, la morbida Mosca, lo scattante Scalfarotto, il rapido Renzi. La speranza del secolo per la settimana in corso, nel Partito Democratico, si chiama Debora Serracchiani. Trentotto anni, vive in Friuli. Gioca a tennis, tifa Roma, ama "Law and order", ha due cani e tre gatti, indossa collane colorate. Bene: e poi? Nulla contro Miss Frangetta, che ha fatto il botto alle Europee e, contrapposta a Lady Brambilla, ha brillato a "Ballarò" (meno difficile, diciamolo).

Ma l'ansia con cui il Pd lancia i suoi campioni è pari alla fretta con cui li abbandona. Un buon risultato elettorale, una candidatura, qualche uscita TV: di solito basta, per sparare in alto un nome nuovo. Intanto, giù a terra, i marpioni aspettano: cadrà, e noi ci sposteremo per non farci male. La scelta della dirigenza sembra casuale. Le selezioni di X Factor sono più serie. Qualcuno dirà: è una strategia per evitare la cooptazione, dal caos uscirà il nome del futuro. Se così fosse, perché tutto quel lavorìo, quelle discussioni, quelle assemblee costituenti, quei ci-vedremo-a-Vedrò. Ora c'è "il gruppo del Lingotto".

Buona fortuna, ma occhio: Torino, a Veltroni, non ha portato bene. Mario Ajello sul "Messaggero" parla di "neopolitica". Termine impeccabile: i nei, sulla politica italiana, non mancano. L'uso emotivo delle nuove leve è tra questi. Perché gli americani insistono con le primarie (vere)? Perché sono un modo di provare un candidato. Idee, carattere, tenuta psicofisica. Obama non è uscito per caso. Viene da anni di tentativi, ragionamenti, esperimenti (www.rockthevote.com), lavoro porta a porta. L'unico "Porta a porta" che appassiona i dirigenti del Pd va in onda su Rai Uno in seconda serata. In attesa di un congresso - alleluia! - qualche dubbio è lecito. I leader democratici sembrano i cavallini meccanici che gareggiano nelle fiere di paese: vanno in testa a turno, e non si capisce perché.

Veltroni ha condotto una coraggiosa campagna elettorale, Franceschini s'è rivelato un vice sorprendente.

Ma nessuno è riuscito a emozionare gli elettori. Dario Di Vico, sul "Corriere", mostra d'aver capito perché la Lega funziona ("Fabbriche e gazebo: la Lega modello Pci").

Perché c'è, discute, semplifica, festeggia, ha una struttura chiara (un generale, quattro colonnelli, seguono ufficiali, sottufficiali e truppa). Dà spesso risposte rozze a problemi delicati: ma almeno le dà. Facebook è importante: ma anche guardarsi in faccia serve. Ecco perché la Lega sopravviverà a Bossi, mentre c'è da domandarsi se il Pdl abbia un futuro dopo Berlusconi. E il Pd? Per sopravvivere dovrebbe prima vivere: siamo in attesa. (Dal Corriere della Sera di giovedì 11 giugno) ----- "Giovani per cosa?" - Oggi alle 15 diretta-video su Corriere.it, con l'on. Alessia Mosca (Pd) e Ivan Scalfarotto, componente dell'Assemblea Nazionale del Partito Democratico.

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« Risposta #6 inserito:: Luglio 09, 2009, 12:21:04 pm »

Così ci guardano i media stranieri

The plot against Italy? Il complotto contro l'Italia, come un romanzo di Philip Roth? Il G8 è stato preceduto da giudizi severi e prese in giro. Prima i media internazionali si sono divertiti con minorenni ed escort, che ormai sbucano come finferli dopo la pioggia. Poi il "Guardian", senza citare una fonte rintracciabile, ha ventilato la nostra espulsione dal G8. Quindi il "New York Times" ha suggerito a Obama di prendere il volante.

Il mondo ce l'ha con l'Italia? No. Ma un certo maligno godimento sembra evidente. Noi dimentichiamo di vivere nel luogo mitico per generazioni di viaggiatori colti - quelli che oggi scrivono e parlano nei media internazionali. Vedere ciò che avremmo potuto diventare, e non siamo diventati, dà il sapore amaro ai commenti. La delusione è il carburante della perfidia.

Ogni nazione offre una narrativa al mondo: e la nostra, da tempo, non è delle migliori. L'Italia 2009 è il surgelato dell'Italia 1994. Max contro Walter, Lega scatenata, Quirinale preoccupato, debito che sale, corrotti in festa. Poi c'è Berlusconi, che noi italiani leggiamo con occhiali speciali, anche perché ci somiglia più di quanto vogliamo ammettere (entusiasmo e incoerenza, affabilità e inaffidabilità, difficoltà a distingere tra pubblico e privato).

Ma le lenti italiane non vengono esportate: gli stranieri guardano gli affari nostri con occhi loro. Le ultime vicende sono strabilianti: sesso e potere, lusso e tivù, silenzi e bugie, famiglie difficili e ragazze facili. L'età della deferenza è finita con Diana, nelle cui lenzuola ha guardato il pianeta. Negli anni '60, Bob Kennedy poteva farsela con Jackie sotto il naso della moglie; negli anni '90 sarebbe finito sui giornali; negli anni Duemila si troverebbe il video su YouTube.

Se Gordon frequentasse un'ipotetica Noemi inglese, i tabloid lo farebbero a fettine come il tacchino servito nei picnic di Ascot. Se Barack usasse la Casa Bianca come Palazzo Grazioli, i consiglieri lo fermerebbero (vero, Ghedini?). Se Nicholas si contraddicesse come Silvio, Carla l'appenderebbe alle finestre dell'Eliseo. Noi italiani siamo diversi? Elastici, spontanei, tolleranti? Cattolici libertini? Moralisti à la carte? Benissimo. Gridiamolo al mondo: siamo un ossimoro nazionale, il primo della storia! Silvio B. è l'autobiografia onirica del Paese: fa ciò che molti sognano!

Invece, stiamo zitti: per pigrizia e pudore da una parte, per timore e servilismo dall'altra. La nostra TV - parliamo di prima serata, dopo siamo tutti liberali - complica le cose, mostrando riflessi di regime: le Istituzioni si scrivono con la maiuscola, e vanno protette, anche se ne combinano di tutti i colori.
Poi è chiaro: il mondo ride, e noi ci restiamo male.

Beppe Severgnini
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« Risposta #7 inserito:: Agosto 23, 2009, 11:50:47 pm »

Superenalotto: Sopravvivere all’improvvisa fortuna

Sei consigli (non richiesti)

Il vincitore eviti Lehman Brothers e anche la Costa Smeralda (troppa gente indebitata»

Il vincitore del Superenalotto, oggi, vuole anonimato, non consigli. Un buon motivo per offrirgliene sei, come i numeri che l’hanno fatto vincere. Avreb­bero potuto essere 147, come i milioni che incasserà. Ma ci sentiamo buoni.



1 Mai più giochi d’azzardo, lotterie, roulette. Consentita solo una tom­bola natalizia, negli anni dispari. Un per­sonaggio di un bel libro di Joseph Con­rad — «Al limite estremo» — dopo aver vinto una lotteria in Oriente, ha creduto di poter ripetere l’impresa. S’è rovinato la vita, e s’è giocato la nave che aveva comprato. Ecco: evitare di comprare qualsiasi oggetto galleggiante, se si trat­ta del primo acquisto del genere.

2 Evitare l’euforia. Partecipare a «Do­menica in», voler ricomprare Ibrahimovic per regalarlo a Mourinho (così smette di piagnucolare), arrampi­carsi sul campanile del paese, baciare per strada la maestra delle elementari, rotolarsi nei giardini pubblici, avvin­ghiati a un bambolotto con le fattezze di Giulio Tremonti (in quanto titolare del ministero cui fanno capo i monopo­li di Stato): sono iniziative estreme e sconsigliate. Tutta l’Italia, presto, cono­scerà l’identità del vincitore. Ma, per qualche giorno, costui o costei mediti in pace sull’impiego del suo capitale.

3 Evitare la paranoia. Vincere 147 mi­lioni è meglio che avere il mal di denti, cadere dalle scale, o vedere un’al­tra fotografia di George ed Elisabetta. È vero: sarà più difficile scegliere l’auto­mobile, non dovendo guardare il prez­zo. Magari un’Alfa 147, visto che il nu­mero porta bene?

4 Scegliersi buoni consiglieri finan­ziari, in vista dell’inevitabile inve­stimento. La moglie va benissimo, così i figli o gli amici al bar. Evitare le ban­che che hanno perso denaro con sconsi­derati investimenti in Lehman Brothers, titoli islandesi, crack Madoff, hedge funds . Quindi: evitare le banche.

5 Scegliere bene le prossime vacan­ze. Un uomo o una donna molto li­quidi devono tenersi alla larga da Costa Smeralda, Portofino e Capri: troppa gen­te indebitata. Meglio l’Adriatico. Si può comprare, mandare via tutti e poi gioca­re con le paperelle.

6 Stilare un elenco di tutti i cono­scenti che si aspettano di ricevere un regalo in contanti. E poi dare i soldi a qualcun altro, che non se li aspetta, ma se li merita.

Consiglio jolly Buttare due milioni in modo sconsi­derato (molti calciatori di serie A saran­no felici di spiegare le modalità dell'ope­razione). A quel punto subentrerà il pentimento, e 145 milioni sono salvi.

Consiglio superstar Non seguite alcun consiglio. Con 147 milioni, che bisogno c’è?

Beppe Severgnini
23 agosto 2009
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 17, 2009, 04:56:38 pm »

IL COMMENTO

Lamento «alla Vate» di una categoria

Libera informazione e democrazia: in poesia o in prosa sono i media che controllano il potere, non viceversa

Pioggia e polemiche in tutta Italia. I media nella bufera. Lamento di una categoria, come l’avrebbe scritto il Va­te.


di BEPPE SEVERGHINI


Taci. Su le soglie / del losco non odo / parole che dici sane; ma odo parole non nuove / che parlano furie e voglie lontane. / Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. / Piove su candidate ministre e comparse, / piove su Fini scaglioso ed irto, / piove su i papi divini, / su i fatti recenti all’estero accolti, / su i colleghi ebbri / di promozioni recenti, / piove sulle nostre chiusu­re la sera, / piove sulla nostra tastiera ignuda, / su i nostri pati­menti leggeri, / su stanchi pensieri che l’anima schiude, / po’ rella, su la favola bella / che ieri c’illuse, che oggi c’illude, o Ita­lia. Odi? La pioggia cade su la solitaria apertura con un crepitio che dura / e varia nell’aria secondo le bande / più rudi, men rudi. Ascolta. Risponde al pianto il canto / delle cicale aziendali, / che il senso professionale non impaura, / né il ciel cinerino. E il Tigì ha un suono, e Chi altro suono, e il Giornale / altro ancora, strumenti diversi / sotto le stesse dita. E stremati noi siam tra destre e sinistre, / d’amare risse travolti; e il tuo volto stanco / è molle di pioggia come una sfoglia, / e il tuo bel nome sbiadisce eccome / trimestre dopo trimestre, o luogo terrestre che hai no­me Italia.


Se non siete tipi poetici, met­tiamola in modo prosaico. In una democrazia sono i media che con­trollano il potere, non il potere che controlla i media.
Vedere il giornali del Capo che assaltano i critici del Capo non è un bello spettacolo: mi dispiace, Vittorio.

E «Porta a Porta», martedì,per­ché è stato un errore? Per almeno tre motivi: ha reso retorica una cosa bella (la consegna delle prime case ai terremotati); ha mo­strato, con quegli ascolti infimi, che il monologo autocelebrati­vo ha fatto il suo tempo (forse anche a Cuba e a Caracas, certa­mente in Italia); ha mostrato che Silvio Berlusconi controlla, se vuole, tutta la televisione in chiaro (spostato «Ballarò» di Rai Tre, cancellato «Matrix» a Canale 5).

Quest’ultimo punto è fondamentale. Solo tonti, distratti e ma­lintenzionati pensano che la Tv non pesi nella formazione del consenso. Non fosse così, spiegatemi perché i candidati presi­denziali americani spendono gli ultimi soldi in martellanti spot Tv. Oppure ditemi come mai il russo Putin ha vietato ogni criti­ca dal piccolo schermo. Giornali e libri, passi. Televisione, niet.

Il nostro Capo dice: «Non possiamo più sopportare che la Rai sia l’unica televisione pubblica al mondo che attacchi il gover­no». Sincero, ma inesatto (tutte televisioni pubbliche criticano il governo). E incompleto. Avrebbe dovuto aggiungere che la te­levisione privata è sua e — ovviamente — non è autorizzata ad attaccare il proprietario.
Ergo, la TV italiana — tutta — dovreb­be star buona: solo elogi, niente critiche. Be’, non è così che funziona una democrazia. E se dicendo questo rientro nel Club dei Farabutti, così sia.


17 settembre 2009

da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 10, 2009, 10:53:59 pm »

La lezione sui trans della Ventura

Quando la tv non fa il suo mestiere


«Ognuno è libero di fare quel­lo che vuole». Così Francesco Totti a «Quelli che il calcio», parlando della vicenda Marrazzo. Simona Ventu­ra gli dà ripetutamente ragione, poi fuo­ri programma spiega: «Sono tantissimi quelli che vanno coi trans, e lo sappia­mo tutti. Non è giusto che un personag­gio pubblico non possa farsi gli affari suoi come tutti gli altri». Se questa è la pedagogia televisiva italia­na, buonanotte.

A Super Totti si potrebbe obiettare che uno NON è li­bero di fare quello che vuo­le, se è costretto a nascon­derlo agli elettori, se si ridu­ce a frequentare spacciatori, se si rende ricattabile. A Su­per Simo potremmo invece ricordare che sono moltissimi — forse addirittura più numerosi — gli italiani che NON vanno coi trans, e forse han­no fatto alcune cose buone per questo povero Paese, dove la Tv pubblica di­venta veicolo di queste trovate.

Nessuno vuole usare la televisione per fare della morale (per carità!), ma cerchiamo almeno di non renderla im­morale, perché molti ragazzi la guarda­no, e rischiano di alzarsi dal divano con le idee confuse. Le grandi democrazie — vi sembrerà strano — sono tali an­che perché esiste un consenso su alcu­ne cose. Per esempio, sul fatto che il ti­tolare di una carica pubblica non deb­ba circondarsi di prostitute, frequenta­re malavitosi e pagare trans. E, se lo bec­cano, non possa trovare difensori in un programma sportivo (sportivo!) del po­meriggio.

È ipocrisia? Allora viva l’ipocrisia. Sono considera­zioni banali? Vero, ma è in­credibile come non le faccia più nessuno. Il metaboli­smo civile italiano, ormai, brucia il veleno e lo trasfor­ma in una risata. Poi non la­mentiamoci, però, se non abbiamo un bel colorito na­zionale.

Siamo convinti che Piero Marrazzo, passata la buriana, ci darebbe ragione. Sarebbe bello lo facessero anche Super Totti e Super Simo. Ma lo riteniamo im­probabile. Le celebrità italiane non si scusano; accusano, semmai, e c’è sem­pre qualche frastornato che gli dà ragio­ne.

Beppe Severgnini

10 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #10 inserito:: Gennaio 05, 2010, 10:23:03 am »

DISTRAZIONI E CIVILTA'

Per la sicurezza serve calma (a Newark e in Veneto non c'è stata)

 di Beppe Severgnini


Attenzione a spedire oggetti insoliti, a dimenticare una borsa in stazione o a compiere gesti scaramantici su un aereo.
Potreste ritrovarvi in arresto prima di riuscire a dire «Gianni Bianchi, piacere!».

Tre buste e una scatola contenenti fili elettrici intercettate dalla sicurezza della Regione Veneto: ma le aveva spedite l’Enel.
Molto più distante, e provocando ben più clamore, un uomo è entrato da un’uscita e ha mandato in tilt l’aeroporto di Newark, che serve New York City. Evacuazione, voli bloccati, passeggeri nervosi e/o furiosi. Falso allarme: il tipo è uscito venti minuti dopo (dalla porta giusta, stavolta).

Prepariamoci. Otto anni e quattro mesi dopo l’11 settembre 2001, questa è l’anormale normalità con cui dovremo convivere.
Sembrava fosse tutto finito; anche i viaggi aerei negli Usa—per tutti gli anni Zero, un test di pazienza — stavano tornando all’antica, statunitense semplicità. È bastato un ragazzo nigeriano, riempito di teorie fasulle e vero esplosivo, per cambiare il modo di viaggiare di un miliardo di persone. Psicosi collettiva? Paranoia? È possibile. Autorità improvvisamente isteriche, dopo esser state colpevolmente distratte? È probabile. Ma mettiamoci nei panni di chi deve garantire la sicurezza di un volo, di un treno o di un ufficio pubblico: cosa deve fare se ha un dubbio o un sospetto?

La disumanità dei nostri avversari non manca di fantasia. Chi avrebbe pensato all’antrace, anni fa? I terroristi l’hanno fatto, e il rischio è stato maggiore di quello rappresentato da un ordigno nucleare artigianale (leggete l’ottimo Fisica per i presidenti del futuro di Richard Muller, tratto da un ciclo di lezioni tenute a Berkeley per studenti di discipline non scientifiche: c’è tutto).

Ormai lo sappiamo. La società occidentale ha capito che la sua virtù — l’apertura—è la sua debolezza. L’alternativa non è chiudersi (sarebbe la vittoria dei nostri nemici). L’alternativa è restare aperti con attenzione, calma e intelligenza. Non le virtù che abbiamo dimostrato alla Regione Veneto e all’aeroporto di Newark, diciamolo.

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« Risposta #11 inserito:: Aprile 18, 2010, 10:08:14 pm »

Il dialogo Il «sedentario», il «viaggiatore» e le riflessioni sulla nostra dipendenza dai jet

La nostra vita senza aerei, addio frutta esotica e sushi

Saltano i commerci e le compagnie perdono un miliardo di euro al giorno


MILANO - Voli a terra, umore pure. Non per tutti, però: chi non ama volare pregusta piccole rivincite. Chi s'affida agli aerei, invece, può riflettere sulla propria dipendenza. Immaginiamo il dialogo tra un Sedentario e un Viaggiatore, alla luce — scusate, all'ombra — della nube vulcanica islandese nei cieli d'Europa.

V. Prima le banche, adesso i vulcani. Questi islandesi: così piccoli e già così casinisti.
S. Dovreste ringraziarli, invece: vi aiutano a riflettere sulla vostra inutile frenesia. Decolla di qui, atterra di là, arriva da lì, riparti di qua. Transfer! Dovreste stamparvelo come un tatuaggio. Si può vivere senza aeroplani, credimi. L'umanità lo faceva, fino a pochi decenni fa.

V. Appunto: lo faceva. Tempo imperfetto. Lo dice il nome stesso: quel tempo andava perfezionato, e abbiamo provveduto. Io spesso vado per lavoro a New York il giovedì e torno il sabato. Stavolta non ho potuto farlo.
S. Bravo, vàntati. Non basta una telefonata? Prefisso di New York: 212.

V. Talvolta basta, talvolta no. Ma non basta per portare frutta esotica a Londra, pesce per il sushi a Milano, concertisti stranieri ad Amburgo, capi di governo a Berlino: tutte cose che in Europa abbiamo dovuto cancellare.
S. Ce ne faremo una ragione. Anche se ammetto che rinunciare al mango mi scoccia.

V. Ma non capisci che volare è viaggiare, viaggiare è conoscere, conoscere è capire, capire è agire, agire è migliorare? Sai quante persone sono già state bloccate dalla nube? Sei milioni. Sai quanto stanno perdendo le compagnie aeree? Un miliardo di euro al giorno. Sai quante merci, scambi e commerci buttati?
S. Secondo me ti interessano soprattutto le miglia aeree. Airmiles! Millemiglia! Solo mille? Perché non centomila? FF, Frequent Flyers! Dovrebbe chiamarvi Folli Frenetici, invece.

V. Dici così perché sai che la nube vulcanica passerà, e tra due o tre giorni potrai tornare a goderti i vantaggi di un mondo connesso, pieno di gente e merci che viaggiano. A proposito: ma in Islanda non avevano quei simpatici geyser d'acqua calda? Cosa gli ha preso?
S. I vantaggi di un mondo connesso! Persone e merci che viaggiano! Parli come una pubblicità della Dhl, o come George Clooney nel film «Lassù tra le nuvole». A proposito, sta ancora con la Canalis?

V. Vedi, l'incoerenza? Come credi che andasse lei da lui? A nuoto? E come veniva George da Los Angeles al lago di Como? In barca?
S. Vorrà dire che avremo una coppia in meno. Elisabetta si fidanzerà con un medico di Sassari, mamma e papà saranno contenti. Molti dei vantaggi dell'aereo, se ci pensi, sono illusori. Ci portano cose di cui possiamo fare a meno. Eli vivrà senza George. Tu resisterai senza andare a Monaco, Madrid, Marsiglia e Manchester nella stessa settimana.

V. Disfattista. Luddista. Non ti sopporto.
S. Oh, no. Tu non sopporti la tua dipendenza da quel tubo di ferro volante. Certo, ogni tanto può essere utile. Ma sai cosa ti dico? Potremmo vivere senza. Sia benedetto il vulcano Eyjafjallajokull! Grazie a lui cominceremo a capire.

V. Cominceremo a capire che ormai l'aereo è utile quanto il telefono. Scusa, dove hai preso quel libro che stai leggendo?
S. Amazon.

V. Amazon Italy non c'è. Quindi il libro è arrivato dall'estero. Uk o Usa. In aereo. Te l'avessero mandato in nave da Seattle l'avresti ricevuto fra due mesi.
S. Benissimo: l'avrei letto sessanta giorni dopo. Internet, quella sì, è indispensabile. Non il trasporto aereo. Meno commerci? Vero. Ma anche meno guerre. Gli americani non vanno in Afghanistan. I talebani non svolazzano di qui e di là combinando disastri. Eccetera.

V. Due ragazzi si conoscono in Erasmus a Vienna. Lei è finlandese, lui italiano. Si scrivono su Facebook, parlano e si vedono con Skype. Ma per baciarsi come fanno? Semplice: prendono un volo low-cost e s'incontrano. Amore a trenta euro. Fantastico no?
S. Amore a trenta euro: lo diceva anche l'Eugenio, quando arrivava al bar proveniente dalla statale.

V. Non solo luddista e antiquato: anche cinico e volgare. Continui a non capire che il mondo procede perché la gente s'incontra, si mescola, s'impegna a imparare. I fenici viaggiavano con le navi, noi con gli aeroplani: stessa roba, cambiano solo i mezzi e i tempi.
S. E se eruttassero altri vulcani? E se il terrorismo trovasse un modo di minacciare qualsiasi volo aereo? Torneremmo indietro di anni.

V. Io dovrei rinunciare alle quattrocentomila miglia che ho accumulato col programma Frequent Flyers.
S. E io al mango.

V. Sarebbe tristissimo. Malpensa ancora più deserto di quanto già sia.
S. Malpensa! Fiore all'occhiello della Lega! Quando riapre? Magari a Bossi vien voglia di mango.

Beppe Severgnini

18 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #12 inserito:: Agosto 25, 2010, 03:46:33 pm »

1960-2010, UN PAESE, DUE IMMAGINI

Il coraggio di costruire


Le nazioni, le famiglie e le squadre di calcio provano nostalgia per il passato prossimo. Hanno l’impressione che, prima, tutto andasse bene. Se non proprio bene, comunque meglio. L’Italia non fa eccezione. Dopo un’estate meteorologicamente incomprensibile e politicamente cattiva, dove la mondanità ha i sorrisi da Photoshop e il tormentone è la battuta di due ragazze sulla spiaggia di Ostia, è normale guardare indietro con rimpianto. Non siamo solo ripetitivi: siamo bloccati. Litighiamo per le stesse cose, nello stesso modo, con le stesse persone. L’Italia non è stata mai perfetta. Ma quasi sempre era un’imperfezione ottimista.

Nell’estate 1960 le Olimpiadi di Roma segnavano la consacrazione di un Paese che ce l’aveva fatta: quindici anni dopo una sconfitta umiliante, l’Italia faceva registrare un aumento del Pil — si tenga saldo, ministro Tremonti — del 8,3%. Mina cantava «Il cielo in una stanza» e quella stanza si poteva affittare: lo stipendio di un operaio era di 47 mila lire al mese e un giorno di pensione sull’Adriatico costava 600 lire. A Roma, quell’estate, si svolsero le Olimpiadi. David Maranis, premio Pulitzer, scrive: «Furono i Giochi che cambiarono il mondo ». Sponsorizzazioni e televisioni, russi e americani, spie e competizioni, doping e rivoluzioni, gli occhiali da sole di Livio Berruti, i piedi nudi di Abebe Bikila e la sfrontatezza di un pugile diciottenne, Cassius Clay, il futuro Mohammed Ali, la prima pop star sportiva della storia. E l’Italia era lì, tramonti romani e gente in festa, teatro di tutto questo.

Non era il paradiso. Era il solito purgatorio: ma le anime, allora, sognavano. Nel 1960 transitarono ben tre governi — Segni 2, Tambroni 1, Fanfani 3 — ma i politici, mentre litigavano, facevano: leggi, case, autostrade. Migrazioni interne, idee nuove, il cardinale Ottaviani che attaccava i socialisti «novelli anticristi». Neppure i drammatici scontri di Genova — centomila manifestanti contro il congresso del Movimento sociale italiano — riuscirono a cambiare l’umore nazionale, raccontato da Gabriele Salvatores nel suo film «1960» attraverso immagini televisive del tempo (sarà fuori concorso il 5 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia).

Il buonumore delle nazioni è una cosa seria. Non dipende solo dal fatto di vivere in tempo di pace: questa è una fortuna di cui godiamo da tempo, ma l’apprezza solo chi ha più di settant’anni, e ricorda la guerra in casa. L’umore nazionale non è neppure soltanto una questione di potere d’acquisto. Da cosa dipende, allora? Semplice: dalla sensazione d’essere dentro una storia che va avanti.

Senza questa capacità narrativa, una comunità non vive: sopravvive. Magari si diverte, spende e spande per mascherare incertezza e delusione. Ci sono abitudini italiane che hanno l’aria d’essere tattiche consolatorie. Penso alle ubique allusioni sessuali (pubblicità in testa), non seguite da un’altrettanto strabiliante esuberanza sessuale; all’ossessione per qualsiasi gadget o al fatto che metà dei maschi adulti siano diventati gourmet, gli altri ciclisti e giardinieri (la libido prende strade strane).

L’Italia del 1960 si sentiva una protagonista in cammino. I genitori faticavano pensando: i nostri figli staranno meglio. Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai.

Beppe Severgnini

25 agosto 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_agosto_25/severgnini_eff3b32c-b005-11df-817a-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #13 inserito:: Settembre 02, 2010, 10:06:27 pm »

La lotteria dei test


I test universitari sono un classico italiano: il proposito è lodevole, la buona volontà innegabile, il metodo sbagliato. Incapaci di soddisfare la domanda, ministri e rettori hanno deciso di ridurre l’offerta, adottando il numero chiuso. Un tempo i ragazzi italiani lottavano per entrare in aule affollate; oggi affrontano quiz esoterici. Sempre test d’ingresso sono. Siamo passati dallo stadio alla lotteria.

Si inizia oggi con medicina: 80 domande a risposta multipla, 8.775 posti a disposizione, circa 90 mila candidati, nessuna graduatoria nazionale. Poi tocca a odontoiatri, veterinari, architetti, professioni sanitarie, formazione primaria. In totale, 52.788 posti. Scienze della comunicazione, psicologia, scienze politiche e ingegneria adottano il numero programmato o prove di valutazione. Alcune università private stabiliscono il numero di posti disponibili.

Cosa non va, nel numero chiuso? Restiamo a medicina. Per cominciare, non tiene conto dei risultati delle superiori. Il motivo è noto: ci sono scuole italiane che i voti li assegnano, altre li regalano. L’università Bocconi di Milano, che prende in considerazione la media del terzo e quarto anno, è stata criticata: chi ha scelto un liceo severo, di fatto, viene penalizzato. Anche l’università americana valuta i candidati durante le superiori. Ma il meccanismo — basato sul Sat (Scholastic Assessment Test) — è nazionale, rodato (esordì nel 1901) e offre garanzie.

Seconda debolezza. I test non affiancano i colloqui attitudinali: li sostituiscono. Come accade in altri settori italiani—dagli appalti al fisco — la norma ingessata v i e n e p r e f e r i t a a l l a discrezionalità ingestibile. L’esperienza, purtroppo, porta a credere che gli attuali docenti riuscirebbero a intrufolare figli e nipoti. Avere un Ordinario per papà, in Italia, è diverso dall’avere un papà ordinario.

Resta un fatto: ogni professione richiede predisposizione e passione—e con i quiz non si vedono. È fondamentale sapere come morì Gandhi, per chi desidera diventare oculista (attentato? avvelenamento? incidente aereo? infarto?). Tutti conosciamo bravi medici che a diciott’anni, a quella domanda, non avrebbero saputo rispondere (forse nemmeno ora: attentato di un fanatico indù, 1948). Un sistema che prevedesse accesso libero, e una barriera al secondo anno, potrebbe essere la soluzione. A patto di trovare strutture e personale per accogliere le matricole (docenti, aule, laboratori, dormitori): ma dove sono? I posti- letto in «case dello studente » in Italia sono il 2%, in Francia, Germania e Spagna tra il 25% e il 40%.

Terza debolezza: il sistema non è elastico. Non tiene conto delle necessità che cambiano. Trent’anni fa, forse, sfornavamo troppi medici; oggi, di sicuro, ne produciamo troppo pochi. Se le malattie respiratorie sono la terza causa di morte in Italia, perché a Pavia ci sono soltanto tre specializzandi in pneumologia, e altri cinque tra Milano e Brescia? Dieci anni fa erano quindici a Milano e una dozzina a Pavia. Risultato: importiamo medici stranieri. La Francia modula l’accesso a medicina secondo la demografia: una buona idea.

Tre debolezze e molta ansia. Questo è il cocktail che attende centinaia di migliaia di studenti nei prossimi giorni. Vogliamo dircelo, almeno tra noi adulti (i ragazzi stanno esercitandosi ai quiz, non ci staranno a sentire)? La Repubblica fondata sullo stage — quella che propone tirocini malpagati e lavoretti precari — ai suoi figli dovrebbe almeno offrire un’università serena, e una speranza vera.

Beppe Severgnini

02 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_02/lotteria-dei-test-editoriale-severgnini_11c725cc-b652-11df-83d3-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #14 inserito:: Ottobre 27, 2010, 09:45:51 am »

Cosa pensa la maggioranza degli italiani? «è uno di noi». E chi non lo pensa, lo teme

Il Cavaliere spiegato ai posteri

Dieci motivi per 20 anni di «regno»

Il segreto della longevità politica del premier e la pancia del Paese


«Berlusconi, perché?». Racconta Beppe Severgnini che nel suo girovagare per il mondo infinite volte si è sentito rivolgere quella domanda da colleghi giornalisti, amici, scrittori di diverso orientamento politico, animati da curiosità più che da preconcetti. E così, cercando una risposta per loro, ha cominciato a elencare i fattori del successo del Cavaliere. Umanità, astuzia, camaleontica capacità di immedesimarsi negli interlocutori. Virtù (o vizi?) di Berlusconi, ma anche del Paese che ha deciso di farsi rappresentare da lui. Disse una volta Giorgio Gaber: «Non ho paura di Berlusconi in sé. Ho paura di Berlusconi in me». Quella frase fa da epigrafe a «La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri», il libro di Beppe Severgnini in vendita da oggi, del quale pubblichiamo l'introduzione

Spiegare Silvio Berlusconi agli italiani è una perdita di tempo. Ciascuno di noi ha un'idea, raffinata in anni di indulgenza o idiosincrasia, e non la cambierà. Ogni italiano si ritiene depositario dell'interpretazione autentica: discuterla è inutile. Utile è invece provare a spiegare il personaggio ai posteri e, perché no?, agli stranieri. I primi non ci sono ancora, ma si chiederanno cos'è successo in Italia. I secondi non capiscono, e vorrebbero. Qualcosa del genere, infatti, potrebbe accadere anche a loro. Com'è possibile che Berlusconi - d'ora in poi, per brevità, B. - sia stato votato (1994), rivotato (2001), votato ancora (2008) e rischi di vincere anche le prossime elezioni? Qual è il segreto della sua longevità politica? Perché la maggioranza degli italiani lo ha appoggiato e/o sopportato per tanti anni? Non ne vede gli appetiti, i limiti e i metodi? Risposta: li vede eccome. Se B. ha dominato la vita pubblica italiana per quasi vent'anni, c'è un motivo. Anzi, ce ne sono dieci.

1) Fattore umano
Cosa pensa la maggioranza degli italiani? «Ci somiglia, è uno di noi». E chi non lo pensa, lo teme. B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. È un uomo dalla memoria lunga capace di amnesie tattiche. È arrivato lontano alternando autostrade e scorciatoie. È un anticonformista consapevole dell'importanza del conformismo. Loda la Chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio e la sera si porta a casa le ragazze. L'uomo è spettacolare, e riesce a farsi perdonare molto. Tanti italiani non si curano dei conflitti d'interesse (chi non ne ha?), dei guai giudiziari (meglio gli imputati dei magistrati), delle battute inopportune (è così spontaneo!). Promesse mancate, mezze verità, confusione tra ruolo pubblico e faccende private? C'è chi s'arrabbia e chi fa finta di niente. I secondi, apparentemente, sono più dei primi.

2) Fattore divino
B. ha capito che molti italiani applaudono la Chiesa per sentirsi meno colpevoli quando non vanno in chiesa, ignorano regolarmente sette comandamenti su dieci. La coerenza tra dichiarazioni e comportamenti non è una qualità che pretendiamo dai nostri leader. L'indignazione privata davanti all'incoerenza pubblica è il movente del voto in molte democrazie. Non in Italia. B. ha capito con chi ha a che fare: una nazione che, per evitare delusioni, non si fa illusioni. In Vaticano - non nelle parrocchie - si accontentano di una legislazione favorevole, e non si preoccupano dei cattivi esempi. Movimenti di ispirazione religiosa come Comunione e Liberazione preferiscono concentrarsi sui fini - futuri, quindi mutevoli e opinabili - invece che sui metodi utilizzati da amici e alleati. Per B. quest'impostazione escatologica è musica. Significa spostare il discorso dai comportamenti alle intenzioni.

3) Fattore Robinson
Ogni italiano si sente solo contro il mondo. Be', se non proprio contro il mondo, contro i vicini di casa. La sopravvivenza - personale, familiare, sociale, economica - è motivo di orgoglio e prova d'ingegno. Molto è stato scritto sull'individualismo nazionale, le sue risorse, i suoi limiti e le sue conseguenze. B. è partito da qui: prima ha costruito la sua fortuna, accreditandosi come un uomo che s'è fatto da sé; poi ha costruito sulla sfiducia verso ciò che è condiviso, sull'insofferenza verso le regole, sulla soddisfazione intima nel trovare una soluzione privata a un problema pubblico. In Italia non si chiede - insieme e con forza - un nuovo sistema fiscale, più giusto e più equo. Si aggira quello esistente. Ognuno di noi si sente un Robinson Crusoe, naufrago in una penisola affollata.

4) Fattore Truman
Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia, se escludiamo quelli sportivi? Cinque milioni. Quanti italiani entrano regolarmente in libreria? Cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti d'informazione? Cinque milioni. Quanti seguono Sky Tg24 e Tg La7? Cinque milioni. Quanti guardano i programmi televisivi d'approfondimento in seconda serata? Cinque milioni, di ogni opinione politica. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. Chiamiamolo Five Million Club. È importante? Certo, ma non decide le elezioni. La televisione - tutta, non solo i notiziari - resta fondamentale per i personaggi che crea, per i messaggi che lancia, per le suggestioni che lascia, per le cose che dice e soprattutto per quelle che tace. E chi possiede la Tv privata e controlla la Tv pubblica, in Italia? Come nel Truman Show, il capolavoro di Peter Weir, qualcuno ci ha aiutato a pensare.

5) Fattore Hoover
La Hoover, fondata nel 1908 a New Berlin, oggi Canton, Ohio (Usa), è la marca d'aspirapolveri per antonomasia, al punto da essere diventata un nome comune: in inglese, «passare l'aspirapolvere» si dice to hoover. I suoi rappresentanti (door-to-door salesmen) erano leggendari: tenaci, esperti, abili psicologi, collocatori implacabili della propria merce. B. possiede una capacità di seduzione commerciale che ha ereditato dalle precedenti professioni - edilizia, pubblicità, televisione - e ha applicato alla politica. La consapevolezza che il messaggio dev'essere semplice, gradevole e rassicurante. La convinzione che la ripetitività paga. La certezza che l'aspetto esteriore, in un Paese ossessionato dall'estetica, resta fondamentale (tra una bella figura e un buon comportamento, in Italia non c'è partita).

6) Fattore Zelig
Immedesimarsi negli interlocutori: una qualità necessaria a ogni politico. La capacità di trasformarsi in loro è più rara. Il desiderio di essere gradito ha insegnato a B. tecniche degne di Zelig, camaleontico protagonista del film di Woody Allen. Padre di famiglia coi figli (e le due mogli, finché è durata). Donnaiolo con le donne. Giovane tra i giovani. Saggio con gli anziani. Nottambulo tra i nottambuli. Lavoratore tra gli operai. Imprenditore tra gli imprenditori. Tifoso tra i tifosi. Milanista tra i milanisti. Milanese con i milanesi. Lombardo tra i lombardi. Italiano tra i meridionali. Napoletano tra i napoletani (con musica). Andasse a una partita di basket, potrebbe uscirne più alto.

7) Fattore harem
L'ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l'apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato («Sono fedele? Frequentemente»), alla fine ha accettato la reputazione («Non sono un santo»). Le rivelazioni non l'hanno danneggiato: ha perso la moglie, ma non i voti. Molti italiani preferiscono l'autoindulgenza all'autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano. Non c'è solo l'aspetto erotico: la gioventù è contagiosa, lo sapevano anche nell'antica Grecia (dove veline e velini, però, ne approfittavano per imparare). Un collaboratore sessantenne, fedele della prima ora, descrive l'insofferenza di B. durante le lunghe riunioni: «È chiaro: teme che gli attacchiamo la vecchiaia».

Fico Fattore Medici
La Signoria - insieme al Comune - è l'unica creazione politica originale degli italiani. Tutte le altre - dal feudalesimo alla monarchia, dal totalitarismo al federalismo fino alla democrazia parlamentare - sono importate (dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Germania, dalla Spagna o dagli Stati Uniti). In Italia mostrano sempre qualcosa di artificiale: dalla goffaggine del fascismo alla rassegnazione del Parlamento attuale. La Signoria risveglia, invece, automatismi antichi. L'atteggiamento di tanti italiani di oggi verso B. ricorda quello degli italiani di ieri verso il Signore: sappiamo che pensa alla sua gloria, alla sua famiglia e ai suoi interessi; speriamo pensi un po' anche a noi. «Dall'essere costretti a condurre vita tanto difficile», scriveva Giuseppe Prezzolini, «i Signori impararono a essere profondi osservatori degli uomini». Si dice che Cosimo de' Medici, fondatore della dinastia fiorentina, fosse circospetto e riuscisse a leggere il carattere di uno sconosciuto con uno sguardo. Anche B. è considerato un formidabile studioso degli uomini. Ai quali chiede di ammirarlo e non criticarlo; adularlo e non tradirlo; amarlo e non giudicarlo.

9) Fattore T.I.N.A.
T.I.N.A., There Is No Alternative. L'acronimo, coniato da Margaret Thatcher, spiega la condizione di molti elettori. L'alternativa di centrosinistra s'è rivelata poco appetitosa: coalizioni rissose, proposte vaghe, comportamenti ipocriti. L'ascendenza comunista del Partito democratico è indiscutibile, e B. non manca di farla presente. Il doppio, sospetto e simmetrico fallimento di Romano Prodi - eletto nel 1996 e 2006, silurato nel 1998 e 2008 - ha un suo garbo estetico, ma si è rivelato un'eredità pesante. Gli italiani sono realisti. Prima di scegliere ciò che ritengono giusto, prendono quello che sembra utile. Alcune iniziative di B. piacciono (o almeno dispiacciono meno dell'alternativa): abolizione dell'Ici sulla prima casa, contrasto all'immigrazione clandestina, lotta alla criminalità organizzata, riforma del codice della strada. Se queste iniziative si dimostrano un successo, molti media provvedono a ricordarlo. Se si rivelano un fallimento, c'è chi s'incarica di farlo dimenticare. Non solo: il centrodestra unito rassicura, almeno quanto il centrosinistra diviso irrita. Se l'unico modo per tenere insieme un'alleanza politica è possederla, B. ne ha presto calcolato il costo (economico, politico, nervoso). Senza conoscerlo, ha seguito il consiglio del presidente Lyndon B. Johnson il quale, parlando del direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover, sbottò: «It's probably better to have him inside the tent pissing out, than outside the tent pissing in», probabilmente è meglio averlo dentro la tenda che piscia fuori, piuttosto di averlo fuori che piscia dentro. Così si spiega l'espulsione e il disprezzo verso Gianfranco Fini, cofondatore del Popolo della libertà. Nel 2010, dopo sedici anni, l'alleato ha osato uscire dalla tenda: e non è ben chiaro quali intenzioni abbia.

10) Fattore Palio
Conoscete il Palio di Siena? Vincerlo, per una contrada, è una gioia immensa. Ma esiste una gioia altrettanto grande: assistere alla sconfitta della contrada rivale. Funzionano così molte cose, in Italia: dalla geografia all'industria, dalla cultura all'amministrazione, dalle professioni allo sport (i tifosi della Lazio felici di perdere con l'Inter pur di evitare lo scudetto alla Roma). La politica non poteva fare eccezione: il tribalismo non è una tattica, è un istinto. Pur di tener fuori la sinistra, giudicata inaffidabile, molti italiani avrebbero votato il demonio. E B. sa essere diabolico. Ma il diavolo, diciamolo, ha un altro stile.

Beppe Severgnini

27 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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