LA-U dell'OLIVO
Marzo 28, 2024, 12:02:23 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 [2] 3 4 ... 9
  Stampa  
Autore Discussione: GOFFREDO DE MARCHIS.  (Letto 70788 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #15 inserito:: Settembre 14, 2009, 11:59:30 am »

Rai, è caos sullo spostamento di Ballarò a favore di Porta a Porta

Il presidente: sprecato un mese. Vana mediazione in extremis

Garimberti-Masi, è alta tensione "Disorganizzazione incredibile"

Ad Annozero il timore che arrivi Euroscena, casa di produzione vicina a Berlusconi

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Una disorganizzazione incredibile". Paolo Garimberti ha cercato in extremis di mettere una pezza, di scongiurare lo slittamento di Ballarò a favore della puntata di Porta a porta sulle case consegnate ai terremotati di Abruzzo. Ma certo il presidente della Rai sa che il problema non è organizzativo. C'entra la politica, il pressing del centrodestra su Raitre e sulle altre trasmissioni fuori dal "pensiero unico" come Anno zero, un'azienda sempre più militarizzata. È un clima generale che può raggiungere il climax con la partecipazione in studio del premier, martedì, nell'orario di massima audience. Adesso la riunione del cda convocata per mercoledì rischia di diventare una polveriera e lì Garimberti proverà a sciogliere qualche nodo.

Ieri ha cercato una soluzione sul filo di lana. Salvando Floris e la "festa" per i primi lotti consegnati a chi vive nelle tendopoli. "Possiamo fare una grande diretta con Vespa nel pomeriggio, quando vengono consegnate le case. Poi, la sera va in onda Ballarò". Un compromesso. Ma era già tutto deciso. La consegna va in prima serata, con i numeri di ascolto al loro picco. E su Raiuno, la rete-ammiraglia, nel contenitore di pregio condotto da Bruno Vespa.

Mauro Masi ha contropoposto la messa in onda di Ballarò giovedì o venerdì. Ha negato fino all'ultimo ragioni politiche, spiegando che Raitre sotto assedio è un'invenzione mediatica. "Partiranno tutte le trasmissioni che si sentono a rischio censura: Dandini, Gabanelli, Ballarò... Tutte. Il caso non esiste", ha detto ai suoi interlocutori. Ma il blitz contro Ballarò è stato un fulmine a ciel sereno. "Si era parlato genericamente della copertura televisiva per i primi risultati della ricostruzione - racconta Garimberti -.

Che il 15 il governo avrebbe consegnato le prime case si sapeva da un mese. Era un evento programmato e programmabile. Avevamo tutto il tempo per evitare di mettere la Rai al centro dell'ennesima polemica politica". È una condanna abbastanza netta dell'operato del direttore generale e del vicedirettore generale Antonio Marano che si occupa del palinsesto.
Così la tensione dentro Viale Mazzini sale alle stelle.

La vicenda Vespa-Floris apre una settimana che si annuncia caldissima. Tanto più che sabato si tiene la manifestazione per la libertà di stampa a Piazza del Popolo, a Roma. Sta per scendere in campo Michele Santoro e pensa di farlo seguendo i suoi canoni che non sono quelli di Paolo Ruffini o di Fabio Fazio.

Annozero vive una situazione paradossale. A pochi giorni dalla messa in onda ha ancora in sospeso il contratto di Marco Travaglio. Il cambio della troupe viene vissuto come un vero attentato. Il consiglio di amministrazione di mercoledì deve affrontare questi casi aperti. Masi vuole che i tecnici del programma siano assegnati attraverso un bando. E nella redazione di Annozero si aggira uno spettro: che alla gara possa partecipare (e vincere viste le referenze...) Euroscena, azienda di fiducia di Silvio Berlusconi. Alle telecamere di Euroscena il Cavaliere ha affidato negli ultimi anni tutti i grandi eventi che lo hanno visto protagonista. Una società di produzione così legata al Cavaliere può lavorare per una trasmissione che da tempo è nel mirino del premier?

(14 settembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #16 inserito:: Ottobre 05, 2009, 06:26:33 pm »

Il retroscena. Il presidente pensa a un richiamo formale al direttore

Il cdr: "I messaggi sono molto duri, arrivano a tutte le redazioni del nostro giornale"

Un mare di mail agita Saxa Rubra e anche i "falchi" chiedono moderazione

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Augusto Minzolini ieri si è preso un giorno libero. Ha parlato con i vicedirettori, con i suoi collaboratori più stretti, ha avuto anche un contatto telefonico con il Cdr, la rappresentanza sindacale della testata. Ma in redazione, fisicamente, ha messo piede solo un paio d'ore prima delle 20, l'ora in cui milioni di italiani si sintonizzano sul telegiornale che dirige. Per un'intera giornata non ha respirato il clima della palazzina in fondo al complesso di Saxa Rubra occupata dagli uffici del Tg1, quasi al confine con la Flaminia, che molti testimoni raccontano come un clima pesante. "Il disagio esiste e non dall'altra sera", racconta Alessandra Mancuso, membro del Cdr. L'altra sera è quella in cui il direttore Minzolini ha trasmesso l'editoriale di attacco alla manifestazione di Piazza del Popolo e di difesa del diritto di Silvio Berlusconi a presentare due querele ad altrettanti giornali, Repubblica e Unità.

Mentre Minzolini era fuori città la redazione del Tg1 ha cominciato ad assumere le sembianze di un terreno di guerra. Uno scontro, raccontano alcuni testimoni, ci sarebbe stato già sabato sera, tra falchi e colombe, tutto interno a giornalisti che fanno riferimento al Pdl. Persino Francesco Giorgino, capo del servizio politico, vicino alla maggioranza, avrebbe suggerito "moderazione". Insomma, di lasciar perdere l'editoriale. Due fedelissimi di Minzolini, Gennaro Sangiuliano e Luigi Monfredi, invece lo avrebbero incoraggiato ad andare avanti. Minzolini, su una linea che cade in continuazione lungo una tratta ferroviaria, ribatte senza scomporsi a queste indiscrezioni: "Cavolate. La redazione è molto tranquilla".

I telespettatori molto meno, però. Si fa cenno alle proteste del pubblico nel comunicato letto ieri sera da Tiziana Ferrario alle 20.30. La Mancuso spiega: "La nostra posta elettronica è piena di mail molto dure. "Vergognatevi", "Minzolini si deve dimettere", "siete servi". Arrivano a tutte le redazioni Interni, Esteri, Economia...". Succede, nei giornali, che qualche lettore si lamenta sempre. Ma questo è un coro, dicono. Il Cdr aspetta la convocazione di Paolo Garimberti e Mauro Masi per spiegare ai vertici dell'azienda "il disagio". E tra dieci giorni convocherà un'assemblea di redazione, prima deve rientrare l'altro membro del Cdr Alessandro Gaeta, inviato nelle zone dello tsunami.

Minzolini non si preoccupa. Dice di aver rispettato tutti, compresi i colleghi del Tg1. "Non ho detto che era sbagliata la manifestazione, ho detto che si poteva criticare. E mi stupisce la sollevazione del Cdr proprio quando si vuole difendere la libertà di tutti di esprimere le proprie opinioni". Nei contatti con il sindacato interno ieri è stato più che cortese. Ha chiesto se volevano uno spazio in mezzo al Tg delle 20 ("ma allora il comunicato dev'essere più breve") o in fondo. Ma ora il direttore del Tg1 non può temere solo la reazione dei suoi giornalisti. Si muove, con uno dei commenti più severi, il presidente della Federazione nazionale della Stampa Roberto Natale, già segretario del potente sindacato dei giornalisti Rai. E il presidente Garimberti, che per votare a favore di Minzolini aveva incassato la prima raffica di polemiche del suo mandato, da tempo ha chiuso ogni rapporto con il direttore. La lettera che manderà oggi a Masi infatti aveva intenzione di scriverla già prima dell'editoriale di sabato. Una censura in piena regola. Con la citazione di 4-5 episodi circostanziati in cui la principale testata Rai aveva omesso notizie rilevanti.

Nell'ipotesi più severa Garimberti sarebbe intenzionato a fare riferimento, in questa missiva, a quello che in Rai si chiama "documento di reciproco impegno". E' il testo di un accordo che l'editore firma con i numeri uno dei telegiornali impegnandoli alla "massima correttezza dell'informazione". Come dire: Minzolini, nei suoi editoriali, può anche dire ciò che vuole, ciò che invece non può fare un giornalista del servizio pubblico è nascondere fatti, dichiarazioni, immagini. A cominciare naturalmente dalle feste a casa Berlusconi e dalle "confessioni" di Patrizia D'Addario. La violazione del "documento" cosa comporta? Il consigliere del Pd Nino Rizzo Nervo lo aveva già richiamato per chiedere la risoluzione del contratto con Minzolini. E' questo l'obiettivo anche di Garimberti?

(5 ottobre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #17 inserito:: Ottobre 08, 2009, 11:50:27 am »

Il segretario del Pd Franceschini: "Faremo muro contro gli attacchi a Napolitano. Di Pietro sbaglia ad attaccare il presidente. Pronti alle elezioni"

"Ora ci aspettano giorni difficili il Cavaliere non si rassegnerà"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Segretario Franceschini, il rischio di autoritarismo che lei denuncia da giorni si fa più concreto dopo gli attacchi di Berlusconi al capo dello Stato?
"Ci aspettano giorni difficili, questo è sicuro. Berlusconi non si rassegnerà facilmente al giudizio della Corte costituzionale sul lodo Alfano. Lo abbiamo visto tante volte alzare il tiro per sollevare un polverone mediatico e coprire il merito dei problemi. Può darsi che abbia funzionato anche questo riflesso nelle sue reazioni. Ma stavolta non possiamo classificare quelle parole come le solite sparate. Me lo immagino il premier in questi momenti: dev'essere una giornata drammatica. Si sarà reso conto che nessuno, nemmeno lui, può essere sopra la Costituzione, la legge e i suoi principi".

Un Berlusconi con questo stato d'animo può davvero sovvertire l'assetto istituzionale del Paese?
"Per me il rischio più forte resta l'assuefazione, l'idea che tutto sia più o meno lecito, inesorabile e scontato. Quindici anni fa sarebbe stato possibile, immaginabile vedere un presidente del Consiglio che insulta la Consulta e il Quirinale per una sentenza del supremo organo di garanzia che lo riguarda? La risposta è no".

Allora il pericolo è reale?
"Da un certo punto di vista la giornata, drammatica per Berlusconi, è positiva per il Paese. La democrazia italiana dimostra di avere regole a anticorpi più solidi della prepotenza e dell'abuso di potere del premier. E registro che nel nostro Paese gli organi di garanzia hanno un'autorevolezza e una libertà superiori a qualsiasi pressione e intimidazione. Perché non dimentico che il ministro delle Riforme Bossi, mentre i giudici costituzionali erano in camera di consiglio, ha cercato di intimidire la Corte invocando il ricorso alla piazza".

Stavolta dunque ha ragione Di Pietro che dà del matto a Berlusconi e ne chiede le dimissioni?
"Guardi, io mi occupo del Pd. Posso garantire che noi non abbasseremo la guardia. Il nostro dovere è una volta di più fare un'opposizione ferma e intransigente nel contrastare le scelte del governo. Poi a noi tocca pure difendere le regole fondative dello Stato, cosa che nessun'altra opposizione del mondo è costretta a fare nel proprio Paese. Per questo mi sembra importante che nel pieno del confronto anche molto aspro tra candidati dello stesso partito per la conquista della segreteria, il Pd sia stato in grado di dare una risposta unita e compatta all'attacco di Berlusconi".

E Di Pietro?
"Lui continua a gridare dimissioni come se gridando le possa ottenere. Poi, fa una scelta giuridicamente sbagliata e politicamente suicida prendendosela con Napolitano perché ha firmato il lodo. Tutte le leggi giudicate incostituzionali dalla Consulta sono necessariamente firmate dal capo dello Stato. Dov'è allora la colpa del presidente? Anche in una giornata come questa Di Pietro ha commesso un grave errore".

Il Pd è in grado di affrontare quelli che lei definisce giorni difficili?
"Un Pd unito come quello che si vede in queste ore assolutamente sì. Stiamo combattendo una battaglia congressuale anche dura eppure ho convocato dopo la sentenza, la segreteria e tutti i candidati alla leadership, e abbiamo preso una posizione comune. Non ci sono distinguo, non ci sono divisioni. Abbiamo saputo mettere in secondo piano la sfida delle primarie. Un risultato raggiunto senza ostacoli e in pochi minuti".

Ma se la situazione dovesse precipitare e il governo entrasse in crisi qual è la via d'uscita immaginata dal Partito democratico? Il governo del presidente, la grande coalizione? E il Pd sarebbe pronto a tornare al voto?
"Mi pare che le minacce di elezioni anticipate siano state usate da Bossi e Berlusconi per condizionare le scelte della Corte. Abbiamo visto con quali risultati. Dopo la sentenza infatti si sono rimangiati tutto e adesso vogliono continuare fino al termine della legislatura. Comunque, se dovessero ripensarci ancora sappiano che il Partito democratico sarebbe pronto, in qualsiasi momento, ad affrontare il voto degli italiani".

© Riproduzione riservata (8 ottobre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #18 inserito:: Ottobre 13, 2009, 09:22:44 am »

IL RETROSCENA.

Franceschini schiera Sassoli e Serracchiani con Bersani il fratello di Prodi, Vittorio.

E il clima si fa rovente

Accuse, sospetti e scontri frontali la battaglia a tre si sposta sulle liste

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Lo scontro in vista delle primarie può "degenerare". È la paura di Massimo D'Alema dopo lo scambio di accuse con Dario Franceschini. Ora i due promettono che la questione è chiusa. "Il segretario pensa di poter impostare la sua campagna elettorale tutta contro di me. Auguri! Io non voglio più rispondere". Franceschini naturalmente nega: "Nessuna campagna contro. Mi sono sentito aggredito in maniera violenta e ho risposto. Voglio tranquillizzare D'Alema comunque: da adesso in poi ci occupiamo di altro". Ma il clima nel Partito democratico sta diventando rovente, alimenta allusioni, sospetti, una battaglia evidente e un'altra sotterranea. E crea anche qualche paradosso. Tutti i leader della mozione Bersani, compreso il candidato, ieri hanno spiegato che l'obiettivo non è cancellare le primarie. Perché questo sarà un argomento della corsa di Franceschini verso il 25 ottobre: Bersani non vuole più dare la parola ai cittadini. Invece Franco Marini, sostenitore del segretario in carica, ha bocciato di nuovo lo strumento dei gazebo: "Preferisco il voto degli iscritti".

L'altra battaglia, da ieri sera, è quella delle liste per le primarie. Lì si peseranno i big e attraverso alcuni nomi e alcune sfide si cercherà di spostare voti da una parte all'altra. Gli elenchi sono collegati ai candidati ai segretari e servono ad eleggere i rappresentanti all'assemblea nazionale e a quelle regionali. Franceschini schiera gli europarlamentari che hanno avuto molti voti la scorsa primavera: Debora Serracchiani, David Sassoli, Sergio Cofferati, Francesca Barracciu. Ha organizzato una sfida Davide contro Golia nel collegio di Posillipo: la senatrice Teresa Armato contro Antonio Bassolino (lista Bersani). Propone Renato Soru in Sardegna, Furio Colombo e Paolo Gentiloni a Roma, Eva Cantarella a Milano.

Pierluigi Bersani risponde sfruttando innanzitutto l'onda del sostegno di Guglielmo Epifani. Con lo sfidante saranno in lista Susanna Camusso e Agostino Megale, segretari confederali della Cgil. Poi la pattuglia dei presidente di Regione, anche loro in funzione di acchiappavoti: Errani, Martini, Bresso, Burlando, Lorenzetti, De Filippo. Romano Prodi non si espone e il suo sospirato endorsement non andrà a nessuno. Ma le persone a lui più vicine hanno fatto una scelta chiarissima. A Bologna Sandra Zampa, parlamentare e portavoce dell'ex premier, è capolista in uno dei due collegi bolognesi della lista "Per Bersani" , così come il fratello Vittorio, ex presidente della Provincia e parlamentare europeo. D'Alema com'è noto correrà nel collegio romano di Cinecittà-Tuscolano-Appio.

È una sfida di contorno quelle dei concorrenti per le assemblee, ma non è affatto irrilevante ai fini del successo per la leadership nazionale. Il 25 ottobre infatti non si vota direttamente uno dei tre sfidanti, ma le liste che portano il loro nome e sono collegate a Franceschini, Bersani e Marino. Gli elenchi non sono zeppi di testimonial illustri perché la regola dice che possono candidarsi solo i tesserati del Partito democratico. Ed è proprio agli iscritti che si rivolgerà per esempio la campagna di D'Alema. "I primi che dobbiamo portare a votare sono quelli che si sono riconosciuti nel Pd prendendo la tessera", dice l'ex ministro degli Esteri. Interpretando le primarie come si interpretano i ballottaggi delle amministrative dove è necessario soprattutto mantenere lo zoccolo duro del primo turno. Se le previsioni sono esatte (due milioni per lo stesso D'Alema, tre secondo alcuni sondaggi) i cittadini che andranno ai gazebo possono sovvertire il risultato dei congressi locali, ma il dato degli iscritti resta una buona base di partenza. Ignazio Marino gioca da terzo incomodo, puntando a tenere i favoriti sotto il 50 per cento per diventare decisivo all'assemblea nazionale del 7 novembre che funzionerebbe come seggio elettorale decisivo per l'elezione del segretario. E anche il senatore-chirurgo schiera i suoi candidati di richiamo, a comninciare da Pietro Ichino in Lombardia. Mina Welby al Tuscolano contro D'alema, Michele Meta al Gianicolense, Civati a Monza, Calipari a Roma Val Melaina, il maestro di strada Marco Rossi Doria (maestri di strada) in Lombardia, Beniamino Lapadula (CGIL) Ferrara, Concia in provincia di Bologna, Simona Marchini nel Lazio, Francesco Siciliano a Rieti, Gianni Borgna al Prenestino, Carlo Rognoni in Liguria.

© Riproduzione riservata (13 ottobre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #19 inserito:: Ottobre 27, 2009, 07:01:08 pm »

Il primo discorso tra la gente, in piedi su una sedia.

"Se stai accanto a questa gente trasmetti energia e ricevi energia. Forza concreta è la mia pedagogia politica"

A Prato comizio in un capannone "Ecco come cambierò il partito"

"Andiamo nei posti con le persone vere. I vecchi socialisti dicevano ai loro dirigenti: tornate ai vostri posti di lavoro"


DI GOFFREDO DE MARCHIS

A Prato comizio in un capannone "Ecco come cambierò il partito"
PRATO - Orditura Villanti, terzisti del tessile, periferia di Prato: è il primo giorno di Pierluigi Bersani segretario del Pd. È anche la fotografia del partito che vuole questo ex comunista emiliano piantato con le radici nella storia. "Né liquido né gassoso. Si deve dire Partito democratico e basta. Un partito che sta vicino alla gente normale. A tutti da ieri mattina dico: andiamo nei posti dove stanno le persone vere. I vecchi socialisti dicevano ai loro dirigenti appena eletti: tornate ai vostri posti di lavoro". Quando c'è, il lavoro. Qui a Prato, travolti dalla crisi, dalla concorrenza cinese, dalla globalizzazione, il posto fisso si perde in un attimo. A volte anche la vita. "Abbiamo avuto decine di suicidi tra i terzisti", racconta una signora al neosegretario.

Un dramma nascosto, che il governo dimentica. Il peggio è passato, dicono a Palazzo Chigi. Fabbriche, artigiani, operai, piccoli imprenditori, il brodo di coltura di Bersani sta tutto sotto il cemento di questo capannone.

"Il Paese ci mangia con questa roba", dice in perfetto bersanese indicando i telai. "E anche oggi un grande partito si costruisce da qui, magari salendo su una sedia. Come si faceva una volta". Applausi, quasi liberatori. Attorno al neosegretario si affollano i lavoratori, i titolari dell'azienda, i dirigenti locali. Una ressa paurosa di gente che si aggrappa all'ennesimo leader del centrosinistra. "Faremo un partito nuovo, non vecchio. Veramente democratico, come dimostrano le primarie, realizzando il dettato costituzionale". Associazione libera di uomini e donne. Senza fronzoli, senza troppa televisione. Che va al cuore dei problemi e fisicamente vicino ai problemi. "Darà un ruolo alle donne? Non lo so, credo proprio di sì. Sicuramente non mi accontento di simboli".
Così cambia il Pd, assicura Bersani. "Forza concreta, senza gli eccessi di una certa simbologia. Questa è la mia pedagogia politica. Se stai accanto a questa gente trasmetti energia, ricevi energia. Non esiste un partito senza truppe, noi dobbiamo recuperarle tutte. Se ti stacchi da loro finisci disorientato tu e finiscono disorientati loro". La sedia di plastica traballante invece del predellino, questo è il messaggio.

"Le primarie sono la risposta straordinaria di gente cocciuta e resistente che vuole contare. È la vera reazione al populismo berlusconiano, quello fatto di un popolo plaudente che unge il principe ogni cinque anni. Il nostro invece è un popolo di cittadini". Il partito sarà organizzato secondo uno schema che a dirlo appare semplicissimo. "Un primo cerchio, quello dei militanti, degli iscritti, più attivo e che avrà tutta la mia attenzione. Un secondo cerchio serve a tenere in piedi tutto questo, è fatto di elettori, della rete di associazioni, di Internet. Li chiameremo ancora ad esprimersi, non solo sul segretario. Sono un popolo bellissimo".

Bersani è un fiume in piena, al microfono le sue parole hanno anche una grinta che raramente ha mostrato in passato, sempre velata dall'abito ministeriale, ingabbiata nella competenza tecnica. Forse non diventerà un tribuno, ma ha alzato il volume.

Ha scelto Prato perché "sono figlio di artigiani" e perché ha avuto un'idea per l'esordio. "Dove li porto i tre milioni di cittadini che hanno votato ieri? Ecco, ho scelto una piccola impresa, il cuore della crisi". Il titolare della MG 94, altra azienda tessile, racconta appoggiato a un telaio: "Questa macchina è costata 80 milioni, oggi vale seimila euro. Tre committenti sono falliti quest'estate e non mi pagheranno mai. E io quando potrò andare in pensione? Quando muoio". Ora l'imprenditore ha gli occhi lucidi, Bersani se ne accorge, gli cinge le spalle, gli abbassa la testa e lo nasconde alle telecamere. Con i giornalisti si sprecano le parole sul futuro del Pd. "Franceschini? Troveremo un mestiere a tutti". "Rutelli se ne va? Abbiamo avuto una spinta straordinaria, nessuno può sottrarsi a una sfida tanto affascinante". "Il dialogo con la maggioranza? E' una parola malata, c'è il Parlamento per il confronto". "Le alleanze del Pd? Guardiamo a tutte le forze dell'opposizione". I pratesi chiedono altro. Una risposta alla crisi. Bersani non si tira indietro. "Il governo è una rosa con le spine. Deve usare il consenso per fare delle scelte, non cercare altro consenso con le sue decisioni. Ci vuole coraggio sennò uno chiude baracca e va a casa". Ci vorrebbe ora, domani una manovra contro la recessione. "Dare fiato alle imprese, mettendo i soldi direttamente nelle loro tasche, non in quelle delle banche". Come? "Per esempio chi ha fatto investimenti nell'anno orribile 2008 e non nel 2006 o nel 2007 avrebbe diritto a un credito d'imposta". Di questo si occupa un partito, delle cose vere. "I 3 milioni di domenica devono servirci a buttare giù il muro tra sistema politica, informazione e realtà". È il suo programma. È un'impresa.

© Riproduzione riservata (27 ottobre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #20 inserito:: Novembre 14, 2009, 10:59:36 am »

Penati: "Non snobbiamo la protesta del 5 dicembre". Lunedì la direzione con Bersani

Al Senato il gruppo dei Democratici già prepara mozioni con i progetti sulla giustizia

Pd, tanti dubbi sul corteo "Molti dei nostri ci andranno"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Organizzeremo iniziative comuni con Idv e Udc, daremo battaglia. Pierluigi Bersani ha preso di petto il tema giustizia, ma ora il ddl sul processo breve lo mette di fronte al primo grande bivio della sua segreteria. I toni alti, lo scontro frontale delle dichiarazioni sembrano avere uno sbocco naturale: la piazza. Il principale collaboratore di Bersani, Filippo Penati, avverte: "È un'ipotesi da non escludere".

Il segretario del Pd si prepara a discuterne nelle riunioni di lunedì con i segretari regionali e con la direzione, le sue prime uscite con gli organismi dirigenti dopo l'ascesa al vertice del partito. Nell'incontro che ha avuto con Antonio Di Pietro, quando ancora il processo breve non era sul tavolo, spiegò che non poteva aderire alla manifestazione dell'Idv contro Berlusconi. "Ma tu vai avanti, tanti militanti ed elettori del Pd, vedrai, saranno in piazza con te".

Dice ora Penati: "Quel corteo non lo snobbiamo affatto, sappiamo bene che potrebbero esserci tanti dei nostri". Tanto più che il 5 dicembre, nella manifestazione organizzata dai blogger, non ci saranno bandiere di partito. "Detto questo, un grande partito, se decide una mobilitazione popolare, lo fa su una sua piattaforma, non si confonde con quella di altri", continua Penati. Ma se la scadenza del 5 dovesse montare, se davvero il popolo democratico fosse ipnotizzato dalla protesta contro premier e leggi ad personam, Bersani dovrà tornare a spiegare la sua posizione e quella del partito.

Il segretario del Pd, abituato agli anni di governo nella sua regione l'Emilia, è un frequentatore di piazze sindacali, di picchetti davanti alle fabbriche, ma sembra più allergico agli appuntamenti "personali" e dichiaratamente ideologici. Alla vigilia del G8 di Genova (alla vigilia, è bene ripeterlo) commentava pasolinianamente la possibilità di essere nel corteo dei contestatori: "Se dovessi andare, starei dalla parte dei poliziotti", disse allora. Oggi tante cose sono cambiate.

Bersani è ora il numero uno del centrosinistra, il prossimo appuntamento elettorale, quello fondamentale delle regionali, è praticamente alle porte, la sua posizione sulla giustizia finora è stato molto chiara: sì a riforme fatte nell'interesse dei cittadini, no secco a provvedimenti per una sola persona, il Cavaliere. Ed è arrivato il processo breve.
Solo in apparenza i toni di Bersani, Casini e Di Pietro coincidono sul nuovo provvedimento che Berlusconi si è ritagliato su misura.

L'ipotesi di piazza continua a essere respinta dal leader centrista. "Il ddl è una porcheria, ma noi siamo coerenti: torniamo al lodo Alfano. E vediamo se il Pd sta dalla nostra parte o da quella di Di Pietro", dice il braccio destro di Casini, Roberto Rao. Il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi è contrario all'iniziativa unilaterale dell'ex pm ma ieri ha spedito una lettera ai capigruppo di Pd e Udc per proporre una mozione comune a favore delle dimissioni di Nicola Cosentino.

Il veltroniano Giorgio Tonini, avversario di Bersani al congresso, concede: "Possiamo anche scendere in piazza, certo, ma i veri riformisti devono avere un loro pacchetto di proposte. Non si limitano a difendere lo status quo". Al Senato il gruppo Pd sta già provando a presentare mozioni con i propri progetti. E in discussione potrebbe esserci anche un lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale: "Andrebbe valutato", dice Tonini. Ecco quindi la prima prova politica di Bersani segretario. "Il nodo esiste", ammette Penati. Come scioglierlo?

© Riproduzione riservata (14 novembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #21 inserito:: Novembre 20, 2009, 03:26:52 pm »

IL RETROSCENA.

L'attesa della decisione con i fedelissimi nella Fondazione Italianieuropei

Schultz: "E' mancato l'impegno del governo italiano"

La "famiglia" socialista alla fine ha tradito Massimo


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Silvio Berlusconi chiama la mattina: "Adesso vado a Bruxelles e ci penso io. Proveremo fino alla fine, parlerò con i premier europei".
Ma quando arriva la telefonata del Cavaliere Massimo D'Alema sa già che la sua missione da difficile è diventata impossibile. In questi ultimi giorni ha parlato a più riprese con Poul Rasmussen, presidente del Partito socialista europeo e suo alleato nella corsa a Mister Pesc. Interlocutore giusto, perché proprio nella famiglia dei socialisti bisognava fare breccia, ma non abbastanza pesante.

"Sono stato frenato da Zapatero, da Brown, dagli accordi tra i governi per i commissari economici. E dal Pse", si è lasciato scappare D'Alema ieri sera dopo la bocciatura non più inattesa. L'accordo tra Gordon Brown e il primo ministro spagnolo ha stretto la corda intorno al collo del concorrente italiano. "Hanno dato diritto di precedenza a chi appartiene al Partito socialista europeo", è stata l'analisi fatta con la pattuglia dei fedelissimi che ha atteso con lui l'esito nella sede della fondazione Italianieuropei. Il Partito democratico è fuori da quel consesso, una scelta che è stata forse compresa dai laburisti inglesi, mai invece dal Psoe spagnolo, partito tra i più gelosi della storia e delle radici del movimento operaio.

D'Alema fa "gli auguri alle persone nominate". Non è pentito di aver giocato "una bella partita. È stato un onore essere candidato per un posto così importante".
La rabbia è concentrata sulla famiglia socialista. Il tentativo di depistaggio di Martin Schulz, custode dell'ortodossia socialista e capogruppo dell'Alleanza tra socialisti e democratici al Parlamento europeo, che ha accusato "il mancato impegno del governo italiano" ha innervosito ancora di più il candidato italiano.
D'Alema infatti non ha niente da recriminare sul comportamento di Palazzo Chigi e Farnesina.

Hanno fatto il possibile. Nemmeno una parola è stata pronunciata contro Berlusconi nella riunione del dopo-nomine alla presenza di Nicola Latorre, dell'eurodeputato Roberto Gualtieri e della portavoce Daniela Reggiani. E ha gradito la presa di posizione di Giorgio Napolitano che ieri pomeriggio dalla Turchia ha detto: "D'Alema ha le carte in regola per il posto di Mr. Pesc".

Quando sono scesi in campo i governi, scavalcando le decisioni del Pse, per D'Alema la strada si è fatta veramente in salita. Al di là delle ideologie e delle tradizioni, D'Alema sa bene che hanno contato altri fattori, ben più decisivi. Si è scelto di aiutare i britannici in difficoltà, a costo di portare avanti il nome poco prestigioso di Catherine Ashton, baronessa di Upholland.

Zapatero ne ha approfittato per dividersi con Nicolas Sarkozy e Angela Merkel le commissioni economiche, quelle con il portafoglio più ricco e il peso strategico maggiore.
"Ne è uscito un compromesso al ribasso - spiega Gualtieri -. Con nomine di profilo non eccelso". Pierluigi Bersani, il segretario del Pd sostenuto da D'Alema, è stato ancora più severo: "Non è una buona partenza per l'Europa di Lisbona. Hanno prevalso le ragioni di Stato e le esigenze del governo di Londra. Penalizzando le competenze".

D'Alema ci ha anche creduto fino in fondo. In alcuni momenti, ha avuto anche la sensazione di poter preparare le valigie. "Ho fatto il conto: al ministro degli Esteri europeo tocca un numero di vertici e riunioni superiore ai giorni dell'anno", diceva qualche giorno fa. Ma non si è mai nascosto i problemi. Mercoledì dava le sue quotazioni "al 20 per cento". Venerdì scorso, aveva incontrato riservatamente il premier ungherese sostenuto dai socialisti Gordon Bajnai, a Roma per un'udienza con il Papa. Bajnai gli aveva fatto un quadro piuttosto fosco: "Non è semplice. Ti remano contro i Paesi dell'Est e soprattutto alcuni premier del Pse". È andata proprio così. Adesso D'Alema torna a occuparsi del Partito democratico e di quello che ogni tanto gli piace definire "il cortile italiano".

© Riproduzione riservata (20 novembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #22 inserito:: Novembre 29, 2009, 03:11:43 pm »

Intervista al neosegretario del Partito democratico

"Il No-B day?
Non è una sfida al Pd, molti di noi ci saranno"

Bersani: "Dialogherò sulle riforme solo se cade il processo breve"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Il processo breve è un'aberrazione agli occhi dei cittadini. Non accelera i procedimenti giudiziari, li abolisce. Perciò si parte da qui. Berlusconi ritiri la norma, poi si può avviare un confronto sulle riforme". A pochi giorni dal No-B day il neosegretario del Pd Pierluigi Bersani conferma la sua linea: le riforme ci vogliono ma senza leggi ad personam. E sulla piazza anti-Cavaliere dice: "Le parole d'ordine e i promotori sembrano mutati. Se sarà così e nessuno ci metterà il cappello andranno i nostri militanti e i nostri dirigenti".

Giorgio Napolitano chiede di fermare lo scontro tra le istituzioni e "più autocontrollo nelle dichiarazioni". Ce l'ha con i magistrati o con Berlusconi?
"L'iniziativa del presidente della Repubblica ha un rilievo particolare e inusuale. Io la interpreto così: in piena crisi sociale si rischia un avvitamento della politica che coinvolge e contrappone pilastri costituzionali. Questa è la sua preoccupazione. E ognuno dà la sua riposta. La nostra è: il governo ritiri il provvedimento che cancella i processi. Subito dopo si apra un confronto nelle commissioni parlamentari, a partire dalla bozza Violante, su una riforma che superi il bicameralismo perfetto, riduca il numero dei parlamentari e riveda i poteri reciproci di governo e parlamento. In quel contesto si possono affrontare anche le questioni del rapporto sistemico tra esecutivo, Parlamento e magistratura".

C'è anche il problema della magistratura?
"Il problema c'è e non ha trovato un punto di equilibrio in tutti questi anni. Ma non va risolto con leggi occasionali, con meccanismi ad personam che fanno deviare totalmente dall'obiettivo. Del resto, se ho ben interpretato, questo è anche l'invito del capo dello Stato. Non procedere mettendo "pezze a colori", ma inquadrando le riforme in un discorso di sistema. Aggiungo un mio personale suggerimento: accompagnerei il confronto parlamentare con risposte sui temi economici e sociali. In modo che chi è su quella trincea non si senta bypassato, isolato o peggio abbandonato".

Andando al sodo, se arrivasse un avviso di garanzia per mafia Berlusconi dovrebbe dimettersi?
"Non faccio scenari del genere, c'è già abbastanza frastuono. Mi limito a dire che quando il presidente del Consiglio fa battute su Cosa nostra abbatte valori e principi radicati profondamente nella coscienza del Paese. Il premier non può ridere della mafia".

Al di là delle leggi ad personam, ci si può mettere al tavolo con Berlusconi?
"Un partito riformista vuole le riforme. Naturalmente partendo dalle sue proposte. Il Pd ha intenzione di rafforzare il sistema parlamentare contro le derive plebiscitarie e populiste. Pone al centro la riforma elettorale contro una legge che consente di nominare i parlamentari. La risposta alla domanda comunque è: sì, noi le riforme le vogliamo. Ma la destra usa questa parola come un mantra per coprire soluzioni improvvisate e strumentali".

Se il processo breve andasse in porto, Napolitano dovrebbe rinviare la legge alle Camere?
"Per il lavoro del presidente della Repubblica c'è bisogno di silenzio e rispetto. Ognuno fa il suo mestiere e Napolitano fa bene il suo".

L'ex capo dello Stato Ciampi però si è sbilanciato: la firma va negata.
"Se fosse stato ancora al Quirinale sono convinto che anche lui avrebbe gradito il silenzio del segretario del maggiore partito di opposizione".

Circolano le prime indiscrezioni sulla manovra economica. Si vede qualcosa di buono?
"Manca l'essenziale. Nessuna manovra che non affronti tre punti, detrazioni fiscali per i redditi medio bassi, interventi veri sulle liquidità alle imprese, investimenti per gli enti locali che non possono spendere un euro e sono invece gli unici organismi in grado di far ripartire l'economia, coglie davvero nel segno. Tremonti venga in Parlamento ammettendo che il problema delle risorse esiste e con qualche idea. Se ce l'ha, siccome governare è una rosa con le spine di qualche spina possiamo farci carico anche noi".

Come fa un segretario eletto da tre milioni di persone a snobbare una manifestazione, il No-B day, cui hanno aderito centinaia di migliaia di cittadini e che nasce dalle associazioni, dalla società civile, non dai partiti?
"Una premessa: se si dice Berlusconi sì o no, dico no. Ma questo è il terreno che preferisce lui. Il terreno più favorevole a noli invece è: siamo sempre sui problemi mai sui problemi nostri. Su questa base faremo a dicembre la nostra campagna. Detto questo, non ho mai guardato al 5 dicembre con ostilità o sufficienza. Osservo anche mutazioni evidenti in quel corteo, sia dal punto di vista dei promotori che delle parole d'ordine. Sembrava essere nata più per strattonare il Pd che Berlusconi. Ora forse appare un'altra cosa. Un'iniziativa dei movimenti e non dei partiti. Se nessuno ci mette il cappello, se nessuno punta a creare una frattura delle opposizioni facendo un regalo al premier, saranno presenti militanti e dirigenti democratici".

Una delegazione ufficiale del Pd?
"Questi formalismi sono vecchi. Non esiste più la delegazione".

E il segretario parteciperà?
"Non sono l'unico dirigente del Pd e non voglio mettere il cappello sul corteo".

Potrebbe essere un modo per svicolare. Ma è vero che molti considerano la sua segreteria lontano dal leaderismo. Un bene o un male?
"L'ho detto subito: farò il leader a modo mio. E lavorare in collettivo è il mio modo. Ho spiegato che c'è bisogno di tutti e tutti devono far crescere una nuova generazione. Sono segretario da sole tre settimane e abbiamo messo 25 quarantenni in altrettanti ruoli chiave del partito. Non era mai successo prima. Il resto sono chiacchiere. Abbiamo già fatto due direzioni con 50 interventi. La famosa unità del partito si realizza nella discussione e nella trasparenza. Per un partito senza padroni non c'è altro modo di farlo lavorare utilmente per il Paese".

In nome dell'accordo con l'Udc è giusto sacrificare, candidandoli alle regionali, due amministratori appena eletti: Emiliano in Puglia e Zingaretti nel Lazio?
"Stiamo cercando alleanze larghe e di progresso per essere alternativi alla destra. Il Pdl fa i suoi conti trionfalistici sulla base dell'ultime europee. Ma noi siamo ben più forti di quei dati e combatteremo ovunque. Senza sacrificare nessuno, cerchiamo solo schieramenti più larghi. Nel Lazio credo che questo obiettivo si possa raggiungere a prescindere dalla figura di Zingaretti. In Puglia dobbiamo costruire un tavolo più grande di forze che ci consenta di far emergere una candidatura vincente".

I vostri ritardi però hanno fatto parlare Casini di inutilità del Pd. Anzi, della sua inutilità.
"Il punto non essere utile o inutile. Noi abbiamo una proposta generale, l'Udc segue la via delle geometrie variabili. Intendiamoci, la cosa non è impensabile. Se ragioniamo in chiave federalista, è giusto che scelgano i territori. Ma il dove, il come e la misura non può deciderla uno solo, cioè Casini. Diciamo che l'eccesso di pregiudiziali non aiuta. Comunque la discussione va avanti. E avremo dei risultati positivi".

© Riproduzione riservata (29 novembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #23 inserito:: Dicembre 07, 2009, 03:58:07 pm »

L'ex segretario: "No alle sfilate di politici ma è assurdo dire come fa la Turco, che andare in piazza è un regalo a Berlusconi"

No-B day, Veltroni si schiera "Incomprensibili esitazioni del Pd"


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Più gente va, meglio è". Walter Veltroni sposa la piazza del No B day.
Un'adesione piena alla ragioni di quella manifestazione, una sintonia assoluta con il popolo che la animerà. Prima di infilarsi nella seduta della commissione Antimafia, chiamata ad ascoltare Antonio Bassolino, il governatore cui aveva chiesto un passo indietro quando era segretario del Pd, Veltroni si ferma a parlare dell'appuntamento di sabato prossimo.

Lui fisicamente non ci sarà. "Alle 15 ho una presentazione del libro, poi il matrimonio di ex agente della mia scorta. Poi, non mi piace la sfilata dei politici davanti alle telecamere, questo no". Almeno su un punto sembra essere d'accordo con Pierluigi Bersani che "non vuole mettere il cappello su un corteo che nasce dal basso". Ma certe posizioni dentro il Partito democratico lo convincono davvero poco. "Ha letto cosa dice Livia Turco all'Unità?". Sfoglia il giornale, vuole essere sicuro di ricordare bene le parole della parlamentare dalemiana.
"Ecco qua, pagina 11. "Esserci vuol dire fare il gioco del premier". Sì, insomma, come se la piazza fosse un regalo a Berlusconi. Non sono d'accordo.
E certe esitazioni mi paiono davvero incomprensibili".

A chi lo ha chiamato in questi giorni per confrontarsi sul nuovo Pd, Veltroni ha mostrato le sue perplessità. Non ha capito dove può portare il dialogo con la maggioranza, come si fa ad aprire un canale con il Cavaliere in questo momento. Ma non è questo il momento per affrontare di petto la questione. Preme invece la data di sabato e le parole della Turco gli paiono davvero il frutto di un malinteso, per dirla con un eufemismo. "Perché dovrebbe essere un regalo? Tutt'altro - dice -. È un fatto molto positivo". Per questo Veltroni si augura una piazza piena, strapiena. Ad alcuni suoi fedelissimi del Pd ha consigliato di andare. Walter Verini, parlamentare democratico e suo braccio destro, gli ha detto che voleva andare. "Ottima scelta", ha risposto l'ex segretario. E avrà apprezzato la scelta di Verini, direttore dimissionario ma ancora in sella di Youdem, la tv del Pd, di trasmettere in diretta la giornata del No B day. I dubbi sull'esserci o non esserci li ha spazzati via la nuova forma dell'appuntamento.

"Non ci saranno le bandiere, non ci sono i partiti a promuoverla, non parleranno i politici dal palco. È la società civile che si muove, i movimenti". E se lo fanno "per denunciare la gravissima situazione democratica che stiamo vivendo, se lo fanno per promuovere e sostenere un radicale cambiamento di questa situazione, vanno appoggiati". Sa che c'è un pericolo di fondo, sa che qualcuno paventa una degenerazione dello spirito di sabato. E sa che il Pd è stato cauto anche per questo. "La piazza la capisco a condizione che non si trasformi in un bis di piazza Navona". Nel luglio 2008 il corteo organizzato da Di Pietro diventò la tribuna di un attacco al Quirinale, delle parole contro il Papa, delle accuse a Mara Carfagna. "Non devono ripetersi i toni, le parole e il clima di quel giorno", insiste Veltroni.

Dopo l'incertezza iniziale l'ex segretario dunque chiarisce la sua posizione. Nei prossimi giorni si attende la risposta di altri dirigenti del Pd. Non ha ancora deciso come comportarsi Dario Franceschini, lo sfidante di Bersani alle primarie. Ma il leader democratico ha confermato la sua linea: il Pd non ferma nessuno, saranno in piazza militanti e dirigenti, chi vuole vada e riempia il corteo. "Ma noi abbiamo le nostre proposte - ha ripetuto ieri alla prima riunione della nuova segreteria -. E il Pd non può seguire la strada del referendum quotidiano su Berlusconi. Anche perché il punto non è solo la questione giudiziaria. C'è il boom della disoccupazione, dati impressionati. Noi dobbiamo andare in piazza soprattutto per questo".

© Riproduzione riservata (2 dicembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #24 inserito:: Dicembre 17, 2009, 09:21:45 am »

Casini: "Per le riforme serve un fronte comune". "Io leader del centrosinistra?

Se continua l'attacco alla Costituzione, sono pronto"

Casini: "Contro i falchi del Pdl fronte della legalità Udc-Pd"

L'Udc dice no al processo breve, ma è pronta a discutere di Lodo e legittimo impedimento

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Si fida ma continua a mettere le mani avanti: "Se Berlusconi coltivasse, o avesse coltivato vista la smentita, l'insano proposito del voto anticipato avrebbe una risposta repubblicana". Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini pensa che questo sia il momento di un percorso costituente, non delle urne. Ma a Bondi che lo accusa di mirare alla guida del centrosinistra risponde: "In condizioni normali non mi preparo a niente. Se il Pdl invece punta a travolgere i poteri costituzionali, allora mi preparo a tutto". La speranza resta un'altra, "che Berlusconi prenda spunto da quello che gli è capitato per cambiare passo e toni, quando tornerà sulla scena".

Cambiare toni rispetto a Cicchitto, presidente Casini?
"Quello è il minimo. Sono amico di Cicchitto e gli dico chiaro e tondo che ha sbagliato. Si lamenta degli insulti alla maggioranza e poi usa lo stesso linguaggio. Mi auguro che le sue parole siano il frutto di un surriscaldamento temporaneo".

E se rispondessero a un percorso logico che arriva fino alle elezioni anticipate?
"Questo disegno francamente non lo vedo. Sono contento che Berlusconi, prima dell'incidente, l'abbia smentito. Ma in questi mesi abbiamo visto due Berlusconi. Il primo è quello del discorso di insediamento alla Camera, dell'emergenza Abruzzo, dell'intervento sul 25 aprile. Un Berlusconi pallido, purtroppo, perché è sparito subito. Sostituito dalla seconda versione: un premier arrembante, che attacca ferocemente gli organi dello Stato al quale non si può che rispondere con il linguaggio della fermezza".

O proponendo un fronte tra Pd, Udc e Idv, come ha fatto lei. I giornali di destra, per questo, l'hanno inserita tra i mandanti morali di Tartaglia.
"Se abbiamo voglia di ridere ridiamo pure. Se invece facciamo le persone serie, allora queste accuse rientrano nella categoria della miseria umana. Solo chi è in malafede fa finta di non capire la differenza tra la politica e l'odio. La politica contempla la presenza di valori diversi, l'odio prevede solo un mondo di nemici".

Ma il Cln contro Berlusconi implica la lotta contro un dittatore, no?
"Rispondo solo di quello che ho detto io. E che confermo. Se Berlusconi coltivasse, o avesse coltivato vista la smentita, l'insano proposito del voto anticipato avrebbe una risposta, come dire, repubblicana e nazionale".

Con voi ci sarebbe anche Fini?
"Questa risposta secondo me troverebbe dalla stessa parte anche molti esponenti del Pdl, non solo Fini".

Cosa significa cambiare passo?
"Non fare cadere l'appello del capo dello Stato al quale un po' tutti abbiamo risposto con un eccesso di strumentalità. Invece dobbiamo ripartire dal voto del Senato sulle riforme. L'ho detto l'altra sera, incontrandoli di persona, a Bersani e D'Alema. L'ho ripetuto al telefono a Berlusconi e a Gianni Letta. Questo è il momento di chiudere i falchi in gabbia e far volare le colombe. Di solito un partito intermedio come il mio si mette sulla riva del fiume e aspetta che implodano i grandi partiti per trarne un vantaggio elettorale. Noi al contrario vogliamo sederci al tavolo con Pd e Pdl per trovare una via d'uscita all'eterna transizione italiana".

Come?
"Con la riforma dello Stato a partire dal superamento del bicameralismo perfetto, dalla precisazione dei poteri del capo del governo, dalla rivisitazione critica del federalismo voluto dalla Lega che è affidato più ai decreti attuativi che alla legge".

Per arrivare a questo risultato, però, bisogna passare dal processo breve.
"Beh, se il Pdl vuole strumentalizzare l'aggressione a Berlusconi per far ingoiare il processo breve al Parlamento, si sbaglia di grosso. Troverà un fronte legalista nell'Udc e nel Pd. Ma sbaglierebbe anche il Pd a confinare i problemi giudiziari nel recinto privato del Cavaliere. Quei problemi riguardano tutti, anche noi. La strada, l'Udc l'ha indicata. Si è astenuta sul lodo Alfano ed è pronta a discutere del legittimo impedimento. A patto che sia soltanto una misura per il premier, come l'ha scritta Vietti".

Deve cambiare passo solo Berlusconi?
"No, tutti dobbiamo farlo. Ma ognuno rimane con le proprie convinzioni. A me non piace il trasformismo o l'arlecchinismo nazionale per cui adesso, dopo Milano, dovremmo abolire le critiche. Così come non mi piace l'idea di mettere a tacere le voci di Internet o della piazza con leggi speciali. Esistono già delle norme precise, basta applicarle".

Difficile che il Pdl si fidi di voi. Secondo Bondi, lei si prepara a fare il leader e candidato premier del nuovo centrosinistra.
"Non mi preparo a niente. In condizioni di normalità. In casi eccezionali mi preparo a tutto. Sono colomba ma fino a un certo punto. Se il Popolo delle libertà pensa di travolgere i poteri costituzionali, allora anche il mio ordine del giorno cambia".

Per le regionali le sue trattative sembrano più avviate con il Pd che con il Pdl. Sta per fare una scelta di campo?
"Non faremo un'alleanza nazionale né con il Pd né con il Pdl. Il turno di marzo per noi non sarà uno spartiacque perché continuiamo a voler cancellare questo bipolarismo. Io li capisco, però. La destra vorrebbe trascinarci in quella che Berlusconi pensa di trasformare in una sua campagna di santificazione. Il Pd in un centrosinistra non ci appartiene. E che non ci spaccino per buongoverno alcune amministrazioni di sinistra dove il buongoverno nessuno l'ha visto. Andremo con i candidati e i programmi più compatibili con noi".

Come digeriranno l'alleanza con Di Pietro i suoi elettori?
"Diciamo così: in condizioni di normalità io e Di Pietro siamo su due pianeti diversi. E io lavoro per una politica normale".

© Riproduzione riservata (17 dicembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #25 inserito:: Dicembre 28, 2009, 05:39:54 pm »

Torna l'indice di gradimento: battute le altre due reti

Marano: "Il confronto è molto positivo per noi, battiamo Mediaset"

A Report e Rai Tre gli oscar della tv di qualità

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Alla Rai torna l'indice di gradimento e celebra il trionfo di Report, una delle trasmissioni più contestate di Raitre, da tempo nel mirino della maggioranza e in particolare di Giulio Tremonti. Milena Gabanelli sbaraglia i concorrenti, anche i programmi cosiddetti "per tutti", cioè con una vasta platea di potenziali sostenitori come "Ulisse" di Piero e Alberto Angela e "Alle falde del Kilimangiaro".

Le polemiche politiche non fanno nemmeno il solletico a Report che dal pubblico viene considerata "una trasmissione accurata, chiara, che rispetta le varie tipologie dello spettatore e divulga una pluralità d'informazioni". Una motivazione persino più gratificante del premio ideale. Altri format nel mirino berlusconiano sono in testa alla classifica di qualità: Che tempo che fa di Fabio Fazio (73 punti, la sufficienza è 56), Ballarò (63) mentre Porta a porta (60) e Annozero (59) camminano appaiati appena sopra la soglia di apprezzamento. E il Tg2 delle 13 batte il Tg1 delle 20.

L'indice di gradimento oggi si chiama Qualitel. È un'indagine condotta da Pragma Dinamiche su un campione di 7530 spettatori intervistati lungo il mese di novembre. Altri mezzi, altro approccio scientifico rispetto al passato. Il 6 scolastico corrisponde a 56, il 7 a 67, l'8-9 a 78. Il sondaggio, il primo del genere commissionato da Viale Mazzini (seguendo le indicazioni del contratto di servizio), è stato voluto dalla direzione generale, da Mauro Masi e dal vicedirettore generale con la delega sul prodotto Antonio Marano. Marano ha già mandato i risultati a tutti i direttori.

Sulla sua scrivania, al sesto piano di Viale Mazzini, è invece rimasto il dossier più riservato, quello che riguarda la concorrenza Mediaset. "Il confronto è molto positivo per noi - dice Marano -. Sì, battiamo le reti del Biscione. Ma anche loro hanno dei programmi di qualità".

Per i capi delle reti e delle testate la ricerca dovrà servire da bussola per valutare programmi ed edizioni dei tg. Non per tagliare teste, garantisce Marano. "Complessivamente, l'offerta della Rai conquista il 63 per cento di gradimento qualitativo. È un buon risultato, ma si può, si deve fare meglio. Per le trasmissioni meno apprezzare le attenuanti possono essere parecchie. I talk show che dividono di più o quelle con un target molto preciso sono penalizzate da questo metodo di sondaggio". Per esempio, X Factor, programma-cult di Raidue è sotto la sufficienza, non paga avere un pubblico di soli giovani e giovanissimi.

Il vero uso del Qualitel è calibrare una programmazione di valore sulla gigantesca piattaforma Rai come si configura oggi col digitale terrestre. "La Bbc ha 9 canali, noi 12. E da giugno l'80 per cento del Paese sarà digitalizzato", ricorda Marano. Il rapporto va letto e pesato per organizzare il palinsesto, spalmare la qualità su ogni canale ed evitare controprogrammazioni. Certo, anche per migliorare il prodotto. "Ma il dato complessivo ci dice che il pubblico giudica la Rai migliore di come la descrivono gli addetti ai lavori", puntualizza Marano.

Il vicedirettore generale considera carente l'offerta "comica" dell'azienda ed è a Zelig che si riferisce quando parla di qualità della concorrenza. Anche se "Parla con me", altra trasmissione bersaglio di critiche dal centrodestra, conquista un buon 65. Da leggere bene, con le lenti suggerite da Marano, i dati negativi della Domenica In di Giletti e Baudo (53) e In mezz'ora di Lucia Annunziata (51). Tra i bocciati, per dire, c'è la popolarissima soap di Rai3 Un posto al sole. L'edizione principale del Tg2 di Orfeo (67) batte di un'incollatura il Tg1 delle 20. Tutti i telegiornali Rai navigano sopra il "6". La fiction preferita è Don Matteo (62) seguita da Un medico in famiglia (61), il quiz più gradito è L'eredità (68), la Prova del cuoco (68) viene promossa.

Il Qualitel rivaluta anche l'Auditel perché i numeri quasi sempre coincidono. E sul tavolo di Marano compare il diagramma delle ultime rilevazioni. La Bibbia dei direttori Rai, l'incubo dei conduttori. E dal sorriso di Marano si capisce che continua a contare più dell'indice di gradimento: nel day time e nel prime time la Rai batte Mediaset sull'analogico e sul digitale.

© Riproduzione riservata (23 dicembre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #26 inserito:: Marzo 16, 2010, 10:30:43 am »

RETROSCENA

Per Berlusconi l'incubo di un bis del voto francese: "Quei pollai televisivi favoriscono l'astensione"

"Anche i leader della sinistra chiamavano. E quella tv crea un clima di angoscia"

E il premier disse: nessun dietrofront io non voglio finire come Sarkozy

di GOFFREDO DE MARCHIS


"Sui talk show non si torna indietro. Volete che sia io a riaprire Annozero, a due settimane dal voto? Ma siete impazziti?". Niente può convincere Berlusconi a ridare voce a Santoro, Floris e Vespa. I "pollai" televisivi, come li chiama lui, creano quel "clima di angoscia" che si può trasformare nel nuovo fantasma scespiriano del Cavaliere: l'astensione di massa, fiumi di elettori moderati che restano a casa e puniscono senza pietà lui e il Pdl. Come è successo 48 ore fa all'alleato e amico Nicolas Sarkozy.

Non potevano perciò bastare la sentenza del Tar, l'indicazione chiara dell'Agcom per una ripresa dei contenitori informativi, i richiami di Zavoli e Garimberti, a convincere il premier. Nemmeno le intercettazioni dell'inchiesta di Trani, con le pressioni sul commissario alle Comunicazioni Innocenzi per tappare la bocca a Michele Santoro, sono un buon motivo per restituire, una volta disvelate, spazi di autonomia alla televisione di Stato. Anche perché Berlusconi non considera le sue telefonate un'interferenza sulla libertà di informazione, figuriamoci. "I premier della sinistra chiamavano i membri dell'authority della loro parte. Come io faccio con i miei. Nessuno mi può dare lezioni su questo e se insistono sono pronto a fare nomi e cognomi". Dunque i "pollai" Annozero, Ballarò, persino la non ostile Porta a porta devono rimanere sigillati. Tanto più ora. Si sta materializzando a Palazzo Grazioli un incubo capace di far perdere il lume della ragione: l'astensione record il 28 e 29 marzo. Da domenica notte, questo pericolo è diventato un mostro a tre teste, un film horror prodotto in Francia. "Visto cosa è successo a Sarkozy?", ha ripetuto per tutto il giorno il premier ai suoi interlocutori.

In Francia il grande alleato di Berlusconi, il leader di destra che punta sulla sicurezza, alimenta a ogni passo la sua grandeur e quindi tanto assomiglia al nostro premier, ha incassato una solenne batosta. Favorita dai suoi errori e da un astensionismo senza precedenti: 53,6 per cento. Elettori persi per strada che hanno punito soprattutto l'Ump. Il bruttissimo sogno può ripetersi nelle 13 regioni italiane tra due settimane. I socialisti francesi hanno superato di tre punti la destra (29 a 26) mentre tre anni fa erano ridotti ai minimi termini surclassati dal futuro marito di Carla Bruni. Al secondo turno il presidente francese può perdere in tutte le 22 aree metropolitane dove si vota. Non mancano le analogie: sono le ultime elezioni importanti in Francia prima delle presidenziali del 2012. Così come le regionali italiane sono il giro di boa finale in vista delle politiche del 2013.

 La risse televisive hanno spesso portato bene a Berlusconi perché nello scontro quasi fisico dei talk show, nel duello tra partigianerie, il popolo del Pdl trova gli stimoli per ricompattarsi e precipitarsi alle urne, quando è il momento. Ma i sondaggi del Cavaliere, di solito molto precisi, dicono che quel popolo è stanco. E può scegliere di "andare al mare". "Ai moderati - spiega Berlusconi - il clima di angoscia non piace, questo è il punto. Ma non devono cadere nel tranello dell'astensionismo". Un appello con il cuore in mano. "Non fatevi tradire dall'indifferenza - è la "supplica" berlusconiana ai suoi -. Sapete bene che non siamo noi i responsabili di questa situazione. È la sinistra a seminare odio e invidia sociale per l'avversario. Per sconfiggerli dovete andare a votare".

Berlusconi, abituato a mostrare sempre piena la bisaccia del centrodestra, ha fissato singolarmente un'asticella bassissima per le regionali. "Sarà un successo conquistare anche tre regioni, una in più della volta scorsa", si è lasciato sfuggire qualche giorno fa. Un dato preoccupante perché secondo i risultati delle Europee di un anno fa, Pdl e Lega dovrebbero passeggiare in dieci sfide su tredici. Giulio Tremonti, perfido, aveva profetizzato per il Pd la sorte di "partito appenninico", una forza minoritaria vincente solo lungo la dorsale che attraversa le regioni rosse Emilia, Toscana e Umbria. Ma se il centrosinistra conquista Lazio e Puglia, conferma Piemonte e Liguria, il quadro cambia. E in Italia, a differenza della Francia, non c'è nemmeno il secondo turno per riscattarsi.

© Riproduzione riservata (16 marzo 2010)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #27 inserito:: Aprile 01, 2010, 07:51:51 am »

Franceschini attacca: "Risultato sotto le europee e l'Udc governa col Pdl"

L'ex sindaco: "Manca una alternativa credibile a Berlusconi"

Pd, la minoranza apre lo scontro interno Veltroni: "La nostra gente è sfiduciata"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "La linea politica di Bersani è fallita, l'ossessione delle alleanze ci porta al disastro. La prossima volta che facciamo, chiamiamo al tavolo anche Beppe Grillo?". Alza il tiro Dario Franceschini, si prende una rivincita sul congresso e attacca: "Mi girano le p... se il segretario dice che prima di lui il Pd era morto. I dati sono chiarissimi: il Pd è sotto il risultato delle Europee". Cioè, quello conquistato da lui. "Per di più con un partito unito, compatto. Figurarsi: ho persino digerito la candidatura sbagliata della Bonino", si sfoga il capogruppo. "Irrilevante al Nord, cancellato al Sud. E la strategia dell'intesa con l'Udc miseramente naufragata. Casini governa con il Pdl in Campania, Lazio e Calabria. Quando mai farà un patto con noi a livello nazionale?", sono i sassolini che si tolgono dalla scarpa i veltroniani interpretando il pensiero del primo segretario democratico. Paolo Gentiloni profetizza: "Faremo la fine del Pci. Per sempre all'opposizione, confinati nelle regioni rosse".

È partita la caccia a Pierluigi Bersani. Nessuno ne chiederà la testa. Pretenderanno il resto del corpo. Anche il dna. Linea politica, quella delle alleanze a tutto campo, da azzerare, ritorno sostanziale alla vocazione maggioritaria, ricambio della classe dirigente. Questi i paletti. Un commissariamento in piena regola. Inaccettabile per un leader pienamente legittimato dalle primarie.

Si riapre una stagione dei veleni nel Partito democratico. La resa dei conti, lo scontro permanente, le lotte personali. Bersani l'ha messa nel conto. A questa sollevazione immanente si deve una conferenza stampa di commento al voto tutta giocata in difesa, nel rifiuto del termine sconfitta, nella spiegazione articolata dei dati per dimostrare la tenuta. "Uno show imbarazzante", dicono gli avversari interni. Non ha voluto lasciare spiragli all'opposizione interna, il segretario. L'ha affrontata nella riunione notturna del coordinamento, l'organismo in cui siedono Veltroni, D'Alema, Fassino, Marini, Fioroni. Bersani, secondo gli oppositori, dovrebbe oggi far camminare sulle sue gambe la strategia degli sfidanti al congresso. "Ma il congresso l'abbiamo vinto noi. Franceschini e Veltroni per tre anni stanno in minoranza", dice battagliero il dalemiano Matteo Orfini. "Se il Pd non lo fa Bersani, lo farà qualcun altro", avverte però Giorgio Tonini. Lo strumento della Fondazione Democratica, che sta per nascere sotto l'imprimatur di Veltroni, può allargare il suo campo d'azione ancora prima del parto, diventare l'alter-ego del partito, incalzarlo, pungerlo, richiamarlo continuamente alle origini del discorso del Lingotto, frenarlo nella ricerca di intese fuori e dentro il Parlamento come vorrebbe Bersani.

Gli elettori scappano dal Pd, dice Gentiloni mostrando un grafico dei flussi elettorali nella riunione della minoranza. Solo il 58 per cento ha rivotato il simbolo con l'Ulivo. "L'Emilia si sta nordizzando", spiega Tonini. Da qui a 3 anni, giurano gli oppositori, nessuno pretende il cambio del segretario. "Nel frattempo che facciamo, discutiamo per mesi di Casini, Vendola e Di Pietro? Il Pd ormai è il partito della spesa pubblica, non parliamo ai ceti produttivi, dobbiamo ricominciare daccapo. Bersani resti al suo posto ma non si chiuda a riccio", insiste Tonini. La minoranza si organizza. Nei prossimi giorni convocherà a Roma un'assemblea dei consiglieri eletti che si rifanno alle proprie posizioni. La maggioranza risponde: Rosy Bindi propone riunioni della direzione e dell'assemblea nazionale. Si rischia una lunga guerra di logoramento. Antonello Soro fa la Cassandra, prevede esiti catastrofici: "Se tutti abbandonassero le rispettive storie personali, D'Alema, Veltroni, Franceschini, Fioroni, se ci fosse un sussulto di generosità, Bersani potrebbe guidare il partito riscoprendo lo spirito degli inizi, l'idea di parlare a tutto il Paese senza delegare ad altri pezzi di elettorato. Ma temo che in questo partito, uno sforzo del genere non lo vedremo mai".

© Riproduzione riservata (31 marzo 2010)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #28 inserito:: Aprile 01, 2010, 09:47:30 am »

L'ex premier: "Il tramonto di Berlusconi è in atto, ma noi non lo intercettiamo

Il bipolarismo non funziona, ma sulla legge elettorale non abbiamo una proposta"

Bersani: "Il vero test sarà nel 2011"

Ma D'Alema incalza: ti devi schierare

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Le regionali? L'ultima tappa di una stagione precedente". Pazienza se Dario Franceschini si offende. Perché Pier Luigi Bersani deve difendere la sua segreteria nata pochi mesi fa da un vento che il centrosinistra conosce bene: il logoramento interiore, la battaglia dentro il suo orticello. "E non è vero che abbiamo tre anni per costruire un progetto: nel 2011 si va alle urne a Milano, Bologna, Napoli, Torino". Come dire: sarà quello il test della sua leadership. Un anno di tempo per trovare la rotta. Ma dopo l'euforia delle campagne elettorali (primarie e elezioni amministrative) il segretario ha potuto misurare i problemi. Ha cominciato a incalzarlo anche il suo alleato Massimo D'Alema, per esempio. Non solo dicendo "che il progetto non è credibile, non si percepisce l'alternativa". Molti, durante la riunione notturna dei big, l'hanno vissuta come una presa di distanza. "Pier Luigi ha ragione quando parla di inversione di tendenza - ha chiarito D'Alema -. Il tramonto di Berlusconi è in atto, ma noi non lo intercettiamo". No, il vero terreno su cui D'Alema ha suonato la sveglia al partito sono le riforme istituzionali. "Devi schierarti", è stato il suo messaggio diretto al segretario.

Su questo punto Bersani si è trovato tra due fuochi. Lo ha criticato Walter Veltroni, lo ha pungolato D'Alema. "Dobbiamo partire dalla riforme sociali, è vero, ma serve anche una riforma dello Stato. E il Pd deve offrire la sua autonoma risposta". Risposta che finora il segretario ha rinviato. "Il bipolarismo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 15 anni è finito - ha continuato D'Alema -. Non il bipolarismo in assoluto, ma quel modello lì. Allora, per non subire l'iniziativa di Berlusconi, dobbiamo avere una nostra proposta". Questa proposta, finora, non si vede. Una legge elettorale sul modello tedesco, il maggioritario? Bersani non ha ancora definito un quadro chiaro della sua posizione. E l'altra notte sullo stesso tema (oltre che sulla sconfitta grave delle regionali) lo ha affrontato anche Veltroni. Avvertendolo dei pericoli "del presidenzialismo berlusconiano" e invitandolo a una scelta di campo opposta a quella immaginata da D'Alema. Ma comunque a una scelta di campo.

Ecco dunque una delle prove che Bersani si troverà ad affrontare nei prossimi mesi. Essere tirato per la giacca dai dirigenti più "pesanti" del partito, avere molte voci che propongono cose diverse. Significherà anche questo la formula scivolosa "nessuno mette in discussione il ruolo del segretario, non si cercano capri espiatori". Beppe Fioroni scansa i problemi istituzionali e punta dritto sulle riforme sociali: "Famiglie, imprenditori, artigiani. Non parliamo a nessuna di queste categorie. Dobbiamo avere proposte per loro". A Fioroni non è piaciuta la reazione iniziale del gruppo dirigente intorno a Bersani. "Discutono di problemi organizzativi, del territorio, di come occuparlo. L'organizzazione non c'entra niente in questa sconfitta". Senza chiedere la testa di Bersani, tutte queste voci sembrano chiedere anche la riapertura del congresso, la correzione di una linea vincente. Bersani non ci pensa proprio, ma è disponibile ad aprirsi ancora più di prima. Già ieri, dopo la debàcle al Nord, si è sentito con Sergio Chiamparino. Il sindaco torinese lo ha difeso, "ha fatto il massimo" è stato il suo commento. Ma non nasconde i problemi di quella macro-area. E ha suggerito l'idea di un coordinatore plenipotenziario per l'Italia settentrionale. Un ruolo che potrebbe essere adatto allo stesso Chiamparino, in scadenza il prossimo anno dal mandato di primo cittadino. Non solo problemi però per il leader democratico. Bersani ha accolto con un sorriso la dichiarazione d'amore di Marco Pannella: "Con Pier Luigi in sella mi piacerebbe prendere la tessera del Pd". "Peccato che nel nostro statuto non ci sia la doppia tessera", è stata la risposta di Bersani. 
 

© Riproduzione riservata (01 aprile 2010)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #29 inserito:: Aprile 05, 2010, 12:17:35 am »

Il retroscena: Treu, Ichino e Livi Bacci

"Non vogliamo un organo di corrente, sarebbe un'arma in mano ai vecchi leader"

"No a Veltroni capo di Democratica"

Rivolta nella Fondazione, slitta il lancio

di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Una riunione molto agitata e alla fine aggiornata a tempi migliori. Doveva essere l'occasione per lanciare Fondazione Democratica, un po' think tank, un po' scuola di formazione legata al nome di Walter Veltroni. E al suo ruolo nel futuro prossimo del centrosinistra. Doveva diventare il momento giusto per indicare come presidente dell'associazione l'ex sindaco di Roma. È finita piuttosto male con una vera e propria rivolta anti-Walter. "Non vogliamo partecipare a un organo di corrente, non siamo a disposizione di nessuno", è stato il ritornello di alcuni partecipanti. Meglio rinviare il lancio, dunque, e tornare a riunirsi intorno al 20 aprile, con più calma.

I nomi dei "rivoltosi" sono di un certo calibro. Tiziano Treu, Pietro Ichino, Massimo Livi Bacci, Albertina Soliani, Claudia Mancina, Mariangela Bastico. Tutti membri del consiglio di amministrazione o supporter autorevoli della Fondazione Scuola di politica, la radice da cui dovrebbe nascere "Democratica". Alcuni di loro si sono visti martedì sera, in una sede al centro di Roma, per ascoltare le proposte del deputato veltroniano e direttore di "Scuola di politica" Salvatore Vassallo, apripista dello sbarco di Veltroni alla guida della nuova sigla culturale. "Creo una scuola perché una generazione rischia di considerare la politica come un mestiere. Ma la politica non è un mestiere - aveva detto qualche settimana fa Veltroni -. È una vocazione. Se non è così, è una schifezza in cui tutto diventa possibile".

Ottime intenzioni, nessuna trama correntizia da parte dell'ex segretario, a onore del vero. Eppure le sue rassicurazioni non hanno frenato il malcontento. "L'idea originaria era di fare una scuola a disposizione del Pd. Se adesso si trasforma in uno strumento a disposizione di Veltroni, cambia tutto e io non ci starò dentro", ha spiegato il senatore Treu alla riunione di martedì. "Non voglio, cioè, che Democratica diventi simile a Italianieuropei o a Red e rappresenti solo una parte del Pd". Il giuslavorista Ichino, presente all'incontro, ha condiviso le parole del collega.

Quella sera era invece assente per motivi di salute la senatrice Soliani. Ma la sua posizione è chiara: "La fondazione non si deve legare a nessuno dei capicorrente democratici e alle loro vicende personali. Non può essere un'arma in mano a qualcuno dei vecchi leader". Anche il senatore e demografo Livi Bacci martedì aveva un altro impegno. "Comunque, il mio pensiero è questo: la scuola serve a rafforzare tutto il Pd. Se cambia la sua natura e diventa un organo di corrente non mi sta più bene e non mi avrà tra i suoi sostenitori". Lo spettro da non replicare, per questi dissidenti, è l'esperienza di Red, costola di Italianieuropei, usata dai dalemiani per contestare la leadership veltroniana.

Agli argomenti della rivolta hanno dato man forte anche la Mancina e la senatrice Magda Negri. Alcuni raccontano dei forti dubbi di Michele Salvati, attuale presidente di "Scuola di politica", per la piega che starebbe prendendo la fondazione. Vassallo ha spiegato martedì quali buoni motivi dovrebbero aprire le porte a Veltroni. Fra gli altri, la possibilità di avere maggiori risorse economiche con finanziatori più sensibili grazie al richiamo del nuovo presidente, Veltroni appunto. "Scuola di politica" organizza già da un po' di tempo dei corsi estivi partecipati e di ottimo livello a Bertinoro, in Romagna. Ma le sue casse languono e anche durante la segreteria Veltroni non sono state granché aiutate.

Ma per i rivoltosi il problema è politico, non di soldi (peraltro Enrico Morando pensa all'azionariato popolare, modello Real Madrid: tutti soci alla pari). Naturalmente, Veltroni chiarirà personalmente, nei prossimi giorni, la sua posizione, proverà a spazzare via gli equivoci che si sono creati. Democratica nascerà ugualmente, con o senza i vecchi sostenitori. Meglio con, però. E senza strappi.

© Riproduzione riservata (04 aprile 2010)
da repubblica.it
Registrato
Pagine: 1 [2] 3 4 ... 9
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!