LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. => Discussione aperta da: Admin - Marzo 04, 2008, 11:27:14 pm



Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS.
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2008, 11:27:14 pm
POLITICA

Il leader antimafia potrebbe candidarsi con Di Pietro: "Dimenticata la lotta ai boss"

Alla fine della riunione un brindisi alla "Marini" con l'amaro Lucano

Lumia, Ceccanti e i cattolici Ds vittime della guerra dei seggi

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Beppe Fioroni in assetto da battaglia, maniche di camicia e telefonino sul tavolo, impegnato a difendere con i denti le candidature cattoliche ed ex popolari. Maurizio Migliavacca imperturbabile ma spietato: su tutti i candidati di provenienza Ds il vecchio coordinatore del partito ha detto l'ultima parola. Nel bene e nel male. Dario Franceschini col portatile davanti agli occhi occupatissimo a spostare, tagliare e infilare nomi e a garantire gli accordi presi dal vertice del partito. Alla fine, alla cinque di ieri mattina, hanno anche brindato alla chiusura delle liste.

È stato Migliavacca a ricordare l'antica usanza di Marini, un tempo re delle trattative sindacali prima elettorali poi, oggi sostituito da Fioroni: "Franco finiva la nottata con un bicchierino di amaro Lucano". Franceschini allora ha ordinato una bottiglia per il cin cin senza bollicine. Ai tanti esclusi, ai morti e feriti lasciati sul campo non avrà fatto piacere.

È stata davvero una notte lunghissima, è stata anche l'ultima volta al Botteghino per una riunione importante. Si sono visti lì, a Via Nazionale nella sala dedicata a Willy Brandt, i segretari regionali, gli ambasciatori delle correnti (ma Rosy Bindi si è rappresentata da sola con tabelle, quote, pronta a far valere la sua percentuale alle primarie del 14 ottobre) e i candidati che non volevano essere tagliati fuori all'ultimo minuto.

Decine di persone, ma erano pochissimi quelli che avevano il potere di vita o di morte sui candidati. Fra loro, oltre ai tre big, il veltroniano Goffredo Bettini, il franceschiniano Antonello Giacomelli, il dalemiano Nicola Latorre. Loro hanno lasciato il posto libero a Tiziano Treu, che in extremis ha ottenuto da Veltroni il lasciapassare, loro hanno tagliato i cattolici che ai tempi del maggioritario avevano scelto i Ds anziché il Ppi e la Margherita.

Mimmo Lucà è rimasto di sasso per la collocazione al nono posto in Piemonte, casella che garantisce più la trombatura che il seggio sicuro. Si è già dimesso da coordinatore dei Cristiano sociali e stamattina il piccolo gruppo riunisce il suo organismo. Di quella pattuglia c'è però Giorgio Tonini, capolista nelle Marche, ma "lui è un cattolico veltroniano", sibila Lucà. Fratelli coltelli, questi cattolici. "Vedo che ci sono tutti gli organizzatori del convegno della scorsa settimana: Fioroni, Franceschini, i teodem. Veltroni ha scelto loro e emarginato noi", dice Lucà incavolato.

Non entreranno in Parlamento, oltre al coordinatore, Marcella Lucidi e Stefano Ceccanti, il costituzionalista che lavorato gomito a gomito con Veltroni in queste settimane e che si è cercato invano di recuperare a tarda sera. In Sicilia la tagliola delle candidature ha fatto molte vittime. Loredana Ilardi, lavoratrice del call center presentata dal leader Democratico a Palermo come capolista, è scivolata al nono posto nella circoscrizione occidentale.

Ma è l'esclusione di Giuseppe Lumia a fare più rumore. Il vicepresidente della commissione Antimafia non ha ottenuto la deroga. Adesso incassa la solidarietà piena della Confindustria siciliana, dei movimenti siciliani anticriminalità. Ma le sue considerazioni sono comunque amarissime. Come il liquore servito al Botteghino. "Legalità e sviluppo non sono presenti nelle liste siciliane del Pd - osserva Lumia - basta leggerle. Io vedo il nome di Crisafulli, per esempio. Insomma, la lotta alla mafia non è una priorità del Pd e il rinnovamento in Sicilia non esiste". Lumia spiega che la Sicilia è stata trattata come terra di conquista dai paracadutati di Roma, è convinto che da oggi "gli imprenditori che fanno la battaglia contro il pizzo sono più soli". A questo punto, il leader antimafia ha tutte le caratteristiche per passare con Antonio Di Pietro. Lui non lo esclude e risponde: "Vediamo".

In Sicilia, Nuccio Cusumano, il senatore che ruppe con Mastella per salvare Prodi, non è tra i candidati sicuri. È uno sgarbo che, dice, "non mi fa piacere".

La notte di Via Nazionale ha portato ad altre esclusione eccellenti. Il veneto Gabriele Frigato aveva la deroga garantita, ma nelle liste è scivolato oltre la soglia di sicurezza. La sottosegretaria toscana Beatrice Magnolfi, appena una legislatura e mezza nel curriculum, non è stata ricandidata: "Sono amareggiata, ma non è una tragedia. Dico solo che nella selezione il merito individuale non ha premiato".

Alcuni ingressi dell'ultima ora invece sono destinati a far discutere. Salvatore Cardinale, in Sicilia, ha rinunciato la seggio, ma verrà sostituito dalla figlia Daniela, 26 anni. A sorpresa nel Lazio 2, il "regno" di Fioroni, la capolista sarà Donatella Ferranti, pm che a Viterbo diede vita a una Mani pulite locale prima dell'arresto di Mario Chiesa e che oggi è il segretario generale del Csm. E accanto agli imprenditori, il Pd schiera una fetta della Cgil: Paolo Nerozzi corre in Veneto mentre Achille Passoni, che lavorava già con Veltroni alla campagna elettorale, l'uomo che organizzò la manifestazione dei tre milioni per Sergio Cofferati, sarà eletto in Toscana.

(4 marzo 2008)

da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS.
Inserito da: Admin - Luglio 15, 2008, 05:22:16 pm
POLITICA IL RETROSCENA

Massimo schiera centristi e sinistra è l'anteprima del congresso Pd

L'ex vicepremier, attaccato dai veltroniani, riunisce le opposizioni

Il segretario: confronto interno sulle riforme.

Oggi si decide sulle Europee

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - "Ci potevo pensare prima sul sistema tedesco? Beh, le esperienze vanno fatte e questo è il bilancio di quindici anni: un disastro", dice Massimo D'Alema in un angolo a Cesare Salvi. Dal palco gli risponde Walter Veltroni: "È vero, la Seconda repubblica non ha funzionato ma non si può tornare al periodo precedente. Dobbiamo muoverci fuori dalle nostalgie". I due leader del Pd parlano a breve distanza nel giro di venti minuti concludendo il seminario sulle riforme organizzato da Italianieuropei, Astrid e altre 12 fondazioni. È un confronto che ha il sapore dell'antipasto congressuale, di una sfida di linee e di prospettive: su alleanze, riforme, dialogo. Ma al residence di Ripetta ci sono anche molti ospiti di partiti diversi, professori, un pubblico non solo democratico. È un seminario, non una sede di partito. Il confronto dentro il Pd è rimandato, ma avverrà. Anche presto, se è vero che Veltroni pensa a un'occasione di confronto sul sistema elettorale tutta interna al Partito democratico "perché la nostra posizione non si può costruire in un'arena nobile ma estranea al Pd. Così si fa confusione su un tema molto rilevante". Insomma, sulle riforme non ci si deve far dettare l'agenda, né da Casini né da Rifondazione e neanche da D'Alema, naturalmente. Dunque se ne riparlerà o in un appuntamento ad hoc o al congresso tematico di autunno. Quella di ieri è stata solo un'anteprima.

A un seminario che conta sulla presenza di costituzionalisti illustri (gli ex presidenti della Consulta Onida e Capotosti per esempio), costituzionalisti più giovani (Andrea Giorgis e Anna Chimenti tra gli altri), il duello vero del Partito democratico è stato affidato agli esperti delle rispettive squadre. Il pasdaran veltroniano Salvatore Vassallo ricorda all'ex ministro degli Esteri quando era un fervente sostenitore del modello francese, presidenziale e a doppio turno, cioè il contrario del metodo proporzionale come quello in vigore a Berlino. L'altro esperto vicinissimo a Veltroni Stefano Ceccanti affonda il documento istruttorio del convegno accusandolo di essere fuori dallo statuto e dal programma del Partito democratico e di puntare "un Pd piccolo". Alludendo anche al fatto che D'Alema insegue "un modello alternativo", che proprio nel giorno della presa della Bastiglia, il presidente di Italinieuropei mostra la sua disposizione vandeana, cioè una posizione conservatrice, mentre per una volta bisogna essere giacobini.

Ma lo sviluppo della giornata ha fatto capire che i margini di manovra per i sostenitori del tedesco sono veramente stretti, "quasi impossibili" sottolinea persino il tifoso Salvi dopo la chiusura netta di Fabrizio Cicchitto e la diplomazia inusuale di Roberto Calderoli. Dunque alla fine Veltroni ha fatto finta di niente, corteggiando nientedimeno che il terzo incomodo di questo congresso democratico in piccolo, Pier Ferdinando Casini. Ha accolto la proposta del leader Udc del quorum di due terzi per l'elezione dei presidenti delle Camere, ha evitato di rispondergli sul governo ombra definito da Casini "uno strumento di pura propaganda, un regalo a Berlusconi".
D'Alema può dire di aver riunito, intorno a una proposta comune, una larga fetta dell'opposizione, dall'Udc a chi è fuori dal Parlamento come la sinistra radicale. Al seminario c'era anche Antonio Di Pietro, che ha parlato. Ma poi hanno preso la parola anche Cicchitto e Calderoli. La loro chiusura ha fatto capire che chi nel Pd cercava sponde dentro la maggioranza per smontare la linea veltroniana, oggi ha pochissimo spazio. D'Alema si è messo idealmente alla guida di un fronte composito, almeno sulle riforme, ma che è molto lontano da una maggioranza parlamentare. "Per me la qualità dei governi è molto più importante della stabilità", spiega. E di fronte a questo assunto non si preoccupa neanche di una eventualità che il sistema tedesco mette nel conto: la grande coalizione. "Non mi sembra una prospettiva spaventosa. Fa parte fisiologicamente di una democrazia dell'alternanza".

Solo una battuta per Ceccanti: "I giacobini fecero una brutta fine. Finirono a forconate...". Dibattito accademico dunque? Francesco Rutelli ricorda che il referendum elettorale scoccherà la prossima primavera, una linea ci vuole e subito. Lui è contrario, lo considera l'arma che ha ucciso il governo Prodi. D'Alema concorda: "Una consultazione al limite del colpo di Stato", sentenzia. È un nodo che può venire al pettine, dentro il Partito democratico. Ma prima tocca alle legge per le Europee. Oggi la direzione del Pd discuterà anche di questo. Perché sono tutti d'accordo su uno sbarramento al 3 per cento con le preferenze. Ma Berlusconi ha un'altra idea (5 per cento e abolizione delle preferenze). E come dimostra il seminario di ieri è il Cavaliere a decidere.

(15 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Ma il Cavaliere studia la scalata al Quirinale ...
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2008, 06:07:53 pm
Sarebbe facilmente eletto in questa legislatura, ma l'erede di Napolitano sarà scelto dal prossimo Parlamento

Bossi pronto a votare il premier: sarà lui il prossimo presidente. Anche Gianni Letta tra i papabili

Ma il Cavaliere studia la scalata al Quirinale "Con la mia storia perché non pensarci?"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Un giornalista sportivo lo inquadrò alla prima rivoluzionaria conferenza stampa da neopresidente del Milan, nel lontano marzo '86: "Questo qui un giorno leggerà il messaggio di fine anno". Quel commento di 22 anni fa oggi è qualcosa più di una profetica battuta perché Silvio Berlusconi è sceso in campo nel '94, è a Palazzo Chigi per la terza volta, è un leader per il momento senza rivali "nella politica, nei poteri forti e tra la gente", dice sconsolato il centrista Bruno Tabacci.

Malgrado Giorgio Napolitano occupi egregiamente e saldamente la poltrona di presidente della Repubblica con un mandato che scade nel 2013, il sogno quirinalizio del Cavaliere viene evocato sempre più spesso. Berlusconi ha due strade per cullarlo: il voto parlamentare con le regole attuali o l'elezione diretta del capo dello Stato decisa da una riforma che instauri una repubblica presidenziale. "Uno con la mia storia perché non dovrebbe pensarci", si è lasciato sfuggire il premier tradendo la sua cautela sull'argomento.

La Grande riforma è stata "disegnata" due settimane fa, a grandi linee, dal potente coordinatore di Forza Italia Denis Verdini: "Il centrodestra è maggioranza nel Paese da anni. Avrà il diritto di eleggere un capo dello Stato? Se non ci siamo ancora riusciti è perché va corretto l'attuale sistema di elezione". È l'annuncio di un progetto di repubblica presidenziale? Il senatore del Pdl Gaetano Quagliariello coordina il gruppo di lavoro sulle riforme lavorando soprattutto sul premierato.

Ma ai vertici del Pdl ha svelato anche un'altra carta: "È vero però che i sistemi presidenziali, in un momento di crisi della politica, ti offrono una riserva più ampia di legittimità". Quagliariello la chiama "una riflessione di fondo". Poi il Cavaliere sale su un predellino e trasforma la riflessione di fondo in un fatto compiuto...

Bossi ha parlato di Berlusconi al Quirinale domenica: "Sarà lui il prossimo presidente, noi lo voteremo". Con la consueta franchezza, il leader del Carroccio ha svelato un segreto di Pulcinella: il vero traguardo del premier. Che sarebbe realtà certa se si votasse per il Colle in questa legislatura e con questo Parlamento: Berlusconi andrebbe in carrozza al Quirinale. Ma il calendario è diverso: con le scadenze naturali e la Costituzione vigente saranno le prossime Camere a eleggere il presidente, il mandato di Napolitano finisce infatti tra cinque anni, dopo le elezioni politiche.

Toccherebbe perciò affrontare dei passaggi preliminari, una nuova campagna elettorale (a 77 anni) e il voto del popolo. Una strada più impervia che autorizza l'ipotesi di altre soluzioni, a cominciare dalla possibile revisione della Carta.

Il diretto interessato si è sempre tenuto alla larga da questi discorsi, a parte un "non escludo una candidatura al Colle" nel 2005 con la precisazione che anche "il dottor Letta" poteva essere un ottimo nome. Letta è il braccio destro del Cavaliere, ma può diventare un concorrente nella lunga marcia al Colle. Walter Veltroni sembra saperlo molto bene.

Il segretario del Pd ha stuzzicato il Cavaliere dopo la chiusura positiva del caso Alitalia esaltando il ruolo del sottosegretario alla presidenza, "il suo senso di responsabilità. Io e Gianni Letta abbiamo la stessa cultura". Come dire: lui sì che è un uomo delle istituzioni. Berlusconi si è vendicato pochi giorni dopo mettendo uno contro l'altro Veltroni e D'Alema. E attribuendo all'ex ministro degli Esteri il merito di aver fermato il leader del Pd che "giocava per la rottura".

Schermaglie contingenti, ma a gioco lungo si possono leggere anche in chiave-Quirinale. Segnalano che per il dialogo tra maggioranza e opposizione e alla lunga per il Colle Letta è una figura decisiva.

Nell'ottica di un salto di qualità si muove anche Giulio Tremonti. La poltrona di ministro dell'Economia è un trampolino per la presidenza della Repubblica (vedi Carlo Azeglio Ciampi). Tremonti coltiva rapporti bipartisan attraverso l'Aspen Institute (è di due giorni fa un dibattito sulla religione con D'Alema e il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone).

L'alternativa è la leadership del Pdl per la quale la sfida è con Gianfranco Fini. Il Pd osserva le mosse, ma si schiera. D'Alema ha "autorizzato" l'ascesa di Berlusconi al Colle con un sistema presidenziale: "In quel caso ci sarebbero pesi e contrappesi". Meglio del presidenzialismo strisciante di oggi, ma l'ex ministro ha chiarito: "Io non sono presidenzialista. Penso a una legge elettorale tedesca e al rafforzamento delle Camere".

Veltroni dice un no netto a Berlusconi e all'elezione diretta. Però Tabacci punta il dito: "Il centrosinistra ha contribuito a creare questo clima presidenzialista. Hanno proposto la repubblica presidenziale, ci hanno ripensato, poi l'hanno proposta di nuovo. Ed era Veltroni a cavalcare il sindaco d'Italia. Ma il sindaco d'Italia ora lo fa Berlusconi". Se il Cavaliere può coltivare il sogno presidenziale quindi, la colpa è anche un po' del Pd.

(3 ottobre 2008)

da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Veltroni vede l'incubo scissione Qui salta tutto non solo io
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2008, 10:49:37 am
Anche Bettini insiste. Follini: caso Villari figlio di molti errori.

Le due linee del Pd

Dalemiani critici: "Massimo si era messo a disposizione, ma nessuno gli ha detto nulla"

"Dobbiamo uscire presto dal torbido" pressing su Veltroni per il congresso

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - "Rivendico la linearità del nostro comportamento sulla vicenda della Vigilanza". Walter Veltroni tiene il punto. Nessuna autocritica, nessun cedimento. Anche dopo che si è consumata l'espulsione di Riccardo Villari dal gruppo democratico del Senato e lui però resta al suo posto: presidente della commissione sulla Rai. Eppure il caso Villari sembra aver aperto, nel Pd, una lunga, forse lunghissima fase congressuale, in cui cominciano a delinearsi schieramenti contrapposti che presto potrebbero diventare una maggioranza e una minoranza.

Nell'ipotesi migliore, più normale, naturale, verrebbe da dire democratica, visto che a sinistra certi conti si sono regolati spesso in un'altra maniera: con le scissioni. Ecco perché il segretario difende i passaggi politici che hanno segnato il faticosissimo percorso della Vigilanza: "La lealtà verso Di Pietro, la trattativa condotta di comune accordo con Casini, l'individuazione del nome migliore da mettere sul tavolo, quello di Zavoli". Ma a prescindere dall'esito finale, i suoi avversari cercheranno di metterlo con le spalle al muro criticando la gestione del caso, le scelte, le alleanze, i comportamenti.

Che nel Pd stiano emergendo con chiarezza due linee, sintetizzate, anzi semplificate con la solita formula dalemiani-veltroniani, ormai è chiaro. Processi, sospetti, veleni e pizzini: questi sono i termini più usati in queste ore. Marco Follini viene indicato come vicino alle posizione di Massimo D'Alema. Ha ottimi rapporti con Nicola Latorre. Si è espresso a favore dell'espulsione di Villari "perché si è creato un contrasto reale tra lui e il partito".

Ma nel direttivo del gruppo ha parlato a lungo anche degli errori di Veltroni, dei suoi passi falsi, della pessima conduzione della vicenda: "Villari è semplicemente il figlio di una linea sbagliata". Perciò spiega che il "congresso nel Pd è già cominciato". Il dramma è "che il partito avrebbe bisogno di uno scontro duro, anche durissimo, ma leale. Invece vive in un perenne confronto apparentemente meno aspro, però opaco, poco chiaro e quindi per niente leale".

Giorgio Tonini, vicino a Veltroni, sottoscrive le parole di Follini. Lui chiede il congresso dal giorno dopo la sconfitta elettorale e la vicenda Villari ha solo radicato la sua scelta. "I nostri elettori sono nauseati da un duello fatto di veleni, pugnali e pizzini.

Parteciperebbero invece con passione a un vero confronto. Dunque o trasformiamo la conferenza programmatica di gennaio in una cosa seria oppure meglio un congresso anticipato". Goffredo Bettini, braccio destro del segretario, ieri lo ha ripetuto direttamente a Veltroni: "Dobbiamo anticipare il congresso, non è possibile aspettare le Europee".

Al "partito del congresso" la risposta di Veltroni è sempre la stessa: "No". Per ora. Ma il coordinamento del Pd, convocato per martedì, ruoterà intorno a questa domanda. In quella sede si capirà come la pensano Franceschini e Fioroni, l'anima popolare. Non sapremo lì qual è la valutazione di D'Alema e dei dalemiani che non fanno parte dell'organismo.

"D'Alema fa parte della maggioranza, ma non è stato informato quando si è costituito il coordinamento, si è messo a disposizione ma non ha ricevuto risposte. Allora, forse è bene che nel partito le posizioni vengano chiarite", dice il dalemiano Roberto Gualtieri.

Succederà probabilmente il 15 dicembre, nella direzione, slittata a dopo le elezioni abruzzesi. Tonini spiega i dubbi del segretario sulle assise: "Non vuole dare l'impressione di un partito concentrato tutto su se stesso". E se nei fatti fosse già così? "Quando succede qualcosa come l'elezione di Villari bisogna uscire dal torbido", insiste Tonini. Il "processo" dei senatori contro il loro collega Villari ha finito per interessare persino il Quirinale.

A riunione appena finita, la capogruppo Anna Finocchiaro si è infilata di corsa nella sua stanza: "Mi sta cercando il presidente della Repubblica", ha detto ai suoi collaboratori. Giorgio Napolitano non voleva certo immischiarsi nelle tensioni interne del Pd, semmai capire come stava evolvendo una situazione che coinvolge le istituzioni. Ma tanti dirigenti e tanti elettori invece si chiedono: cosa accade tra i democratici?

(21 novembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: Scontro Pd, ma il congresso sfuma
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2008, 10:53:25 pm
Scontro Pd, ma il congresso sfuma

Veltroni critica il premier: tutto concesso

 
■ Il leader del Pd: in Italia giustizia negata, no alle riforme imposte
ROMA (21 novembre) - Affondo di Walter Veltroni contro il premier Silvio Berlusconi oggi: «Voglio vedere domani i giornali - ha detto - se noi avessimo sciolto i nostri partiti in dieci minuti, come ha fatto oggi Forza Italia, avremmo avuto 12 editoriali contro. Ma per loro, in questo momento, tutto gli è concesso».

Veltroni al bivio sul congresso. In casa Pd è scontro. Sale la tensione tra le diverse componenti del partito. La vicenda Vigilanza ha contribuito a creare le tensioni. Pochi però sostengono l'opportunità di un congresso anticipato prima delle europee, ipotesi che i veltroniani rilanciano come sfida ai critici interni. «Abbiamo toccato un livello bassissimo, è necessario trovare i modi per discutere», invocano molti big del partito, come Anna Finocchiaro. Le questioni da risolvere non sono poche.

C'è chi, come Rosy Bindi, critica «il tasso di ambiguità e strumentalità» da parte dei vertici del partito nella vicenda Vigilanza, definisce «insopportabile la logica delle decisioni calate dall'alto» e avverte che «non ci faremo stritolare» dalle «antiche rivalità tra ex Ds e sulle quali si innestano i metodi degli ex democristiani». E, nonostante sembrasse essere stata raggiunta un'intesa sul Pd federato in Europa con il Pse, è di nuovo scontro aperto, dopo le parole di Francesco Rutelli, tra l'area ex Dl che contesta l'ingresso nel Pse e chi, come gli ex Ds, critica chi mette veti.

Quanto basta per preoccupare Veltroni ed i vertici del partito. «Credo che sia arrivato il momento - è l'altolà di Bersani - di dire basta ai lanci di pietre. Nel Pd bisogna discutere». Discutere sì ma per molti non è il caso di convocare un congresso «sia perché - spiega un dirigente - sarebbe difficile organizzarlo in un partito che non ha ancora finito le iscrizioni sia perchè, non essendoci evidenti linee alternative, si risolverebbe in una resa dei conti alla vigilia delle europee».

E in molti sono convinti che alla fine anche Veltroni non ascolterà gli ultras del congresso ma gli chiedono di intervenire «perchè questo Paese - sostiene Finocchiaro - ha bisogno di un Pd forte e autorevole e non lacerato».
 
da ilmessaggero.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Veltroni vede l'incubo scissione Qui salta tutto non solo io
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2008, 10:38:59 am
Il leader blinda l'unità del Pd. L'ex pm: siate più umili

Verso nuove sanzioni. Fassino: non scarichiamo sul passato i problemi di oggi

Veltroni: "Subito pulizia nel partito"

Di Pietro: via dalle giunte campane


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Una lunghissima riunione del coordinamento: tre ore di analisi per uscire dall'angolo. Walter Veltroni ora guarda a un altro giorno difficile, quello di domani quando si riunisce la direzione. All'emergenza si risponde scegliendo un metodo che tenga insieme tutte le anime del Pd: il segretario ha ascoltato i membri dell'esecutivo, oggi sentirà altri dirigenti nazionali e locali, poi scriverà una relazione "unitaria", spiega il portavoce Andrea Orlando.

Il chiarimento tanto atteso, in un momento così delicato, alla fine si trasformerà in un tentativo di blindatura. Anche il voto finale non sarà la conta che molti si aspettavano prima della bufera giudiziaria. Non ci si esprimerà più probabilmente sulla relazione del segretario, ma su un documento finale al quale tutti saranno chiamati a partecipare. Un documento che dovrà essere un segnale di forte unità.

Ma andranno registrate alcune delle questioni emerse ieri. Piero Fassino (e con lui Pierluigi Bersani) ha contestato l'idea dei vecchi partiti che risucchiano il nuovo Pd: "Non scarichiamo le colpe di oggi sulle esperienze precedenti". Acceso il confronto anche sulle primarie. Ormai una larga parte del partito è favorevole a una frenata della consultazione diretta, Veltroni compreso.

Goffredo Bettini insiste per un ricambio accelerato: "Non possiamo aspettare il congresso". Il segretario domani parlerà dell'etica della politica e insisterà per un forte ricambio dei dirigenti, per l'innovazione, per la nascita vera del partito nuovo. La questione morale sarà al centro del suo discorso di domani. Ma lascerà ad altri il compito di illustrare le nuove misure per tutelare il partito dalle indagini di tutta Italia. Il presidente del collegio dei garanti Luigi Berlinguer presenterà un aggiornamento dello statuto che oggi non prevede sanzioni nemmeno per gravi casi di coinvolgimento in procedimenti penali.

Anche i commissariamenti, secondo le regole attuali, non sono appannaggio della segreteria centrale. Diventeranno più semplici per Veltroni e il gruppo dirigente. Così scatteranno i provvedimenti per la Sardegna, l'Abruzzo e forse altre regioni. "Dobbiamo stabilire un principio d'ordine", spiega il deputato Salvatore Vassallo che contribuisce a scrivere quella che assomiglia a una nuova "legge speciale" per affrontare l'emergenza arresti. Sono integrazioni previste, obbligate, dicono, ma danno il segno di un partito nella bufera.

Il rilancio dello spirito di innovazione significa che Veltroni considera ancora salda la sua leadership. E che non ci sono sponde per chi la contesta, per chi l'ha messa nel mirino. Della fase di piena emergenza però è figlia la proposta di Sergio Chiamparino. "Se vogliamo farci gratuitamente del male parliamo pure di sostituire Veltroni - dice il sindaco di Torino all'Espresso -. Io pongo un altro problema: va costruito intorno a Walter un assetto che garantisca la rappresentanza reale del Pd nel paese. La situazione è drammatica. Serve un segnale di straordinarietà. Un gabinetto di crisi che guidi il Pd nei prossimi mesi".

Alla direzione è destinato a rispuntare il tema di un partito più radicato sul territorio, della nascita di una serie di leadership locali. Non a caso anche il sindaco di Firenze Leonardo Domenici sostiena la proposta di Chiamparino. "Dobbiamo passare da un Pd federazione di correnti a un Pd federazione di territori", insiste il primo cittadino torinese.

Certo, Antonio Di Pietro non molla l'osso. Vuole dare il colpo di grazia al Pd. Eppure raccontano di un Veltroni che sul tema dell'alleanza con l'ex pm non ha intenzione di dilungarsi troppo. Non crede che sia lì il punto. Il leader dell'Italia dei Valori attacca: "La questione morale non è stata risolta siamo ancora in mezzo al guado e noi non possiamo restare a guardare. Il Pd invece di prendersela con noi dovrebbe fare un bel bagno di umiltà". Lui reagisce a modo suo, con messaggi efficaci nella sua chiarezza. Via dalla giunta di Napoli, per cominciare. Via da tutte le giunte campane "finché non sarà risolto il nodo della questione morale". E Tonino sarà a Napoli lunedì per rendere ancora più scenografica questa decisione. All'ex pm risponde Dario Franceschini: "Le alleanze non vanno decise adesso. Ma non creiamo un'inutile competizione tra di noi".

(18 dicembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Veltroni vede l'incubo scissione Qui salta tutto non solo io
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2009, 06:22:36 pm
IL RETROSCENA /

Giro di colloqui diplomatici di Franceschini per ottenere una tregua fino al voto.

Gli ex popolari temono soprattutto il feeling tra Rutelli e Casini

Veltroni vede l'incubo scissione "Qui salta tutto, non solo io"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Assediato dai "cacicchi", con il partito commissariato in molte zone d'Italia (l'arrivo di Vannino Chiti a Firenze per vigilare sulle primarie è più di una semplice supervisione), Veltroni si è dato una scadenza per sé e anche per il futuro del Pd: le elezioni europee e le amministrative di giugno. "Adesso impegniamoci tutti insieme, poi si vedrà", ha detto durante la riunione del governo ombra, giovedì. E a molti dei presenti è sembrato liberarsi di un peso mentre pronunciava queste parole. Ma in quali condizioni arriverà il Partito democratico a quegli appuntamenti, la leadership veltroniana reggerà ancora cinque mesi, lo spettro di una scissione può materializzarsi prima?

Se lo chiedono quasi tutti i dirigenti del Pd. Dario Franceschini, il vicesegretario, su mandato del leader ha cominciato un giro d'orizzonte fatto di incontri riservati, di contatti, di attività diplomatica alla ricerca di una tregua. Franceschini ne ha già parlato con Massimo D'Alema nei giorni scorsi, ha visto Franco Marini, ha sentito Piero Fassino. Parola d'ordine: non farsi del male fino alle Europee, anche perché al Nazareno circolano sondaggi pessimi che collocano il partito intorno al 25 per cento, ben al di sotto della soglia di di sopravvivenza del 27 per cento.

In ballo non c'è più solo il posto di Veltroni ma l'intero progetto. Gli ex popolari sono preoccupati per l'offensiva dei rutelliani e di Francesco Rutelli in persona. I suoi messaggi verso il centro di Pier Ferdinando Casini, il suo disagio all'interno del Pd "che somiglia troppo al Pci" colpisce soprattutto loro, l'anima cattolica del partito. "Perché il messaggio di Rutelli arriva a una fetta del nostro elettorato", dice sconsolato il braccio destro di Franceschini, Antonello Giacomelli. E l'altro collaboratore del vicesegretario, Francesco Saverio Garofani, si spinge oltre: "Se il segretario dell'Udc, dico il segretario, soffia sulla scissione di un altro partito e invita i rutelliani nella Costituente di centro, vuol dire che qualcosa si può concretizzare davvero". Ossia che una scissione non poi un'idea peregrina.

Le divisioni quindi sono trasversali anche ai vecchi partiti, Ds e Margherita. Quelli sono contenitori pronti ad accogliere un eventuale ritorno al passato e le polemiche sui soldi sono soprattutto dettate dalle difficoltà politiche. È chiaro che due forze sedute su una montagna di soldi (come sono appunto la Quercia e Dl) hanno la possibilità di ricominciare daccapo la loro attività. La direzione del 19 dicembre aveva segnato una tregua, ma era stata punteggiata di interventi all'insegna della nostalgia per le antiche sigle. Dei diessini e della Margherita (lo stesso Rutelli aveva ricordato come il Pd avesse perso ben un terzo dei voti di Dl).

Ma dopo quella data ci sono state le crisi di Pescara (con il ritiro delle dimissioni di D'Alfonso), le dichiarazioni del governatore del Trentino Lorenzo Dellai, le dimissioni di Nicolais a Napoli e l'incredibile episodio della riunione registrata dal sindaco Rosa Russo Jervolino. Un ritorno ai "giocarelli", ai vecchi partiti, era stato dipinto tre settimane fa da Veltroni "come un suicidio collettivo" con tanto di citazione del reverendo James e della sua setta del Tempio di Dio.

Ma adesso Veltroni sembra aver messo nel conto anche il sacrificio di massa e chiede al partito di evitare bagni sangue almeno fino alle Europee. Che significa anche interrompere il risiko della leadership, che vede ora in campo Renato Soru, il governatore della Sardegna, e altri fra i quali il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che dice: "Per il momento do il mio contributo, poi si vedrà". Ma leadership di cosa? Ancora del Partito democratico? È questa la vera domanda.


(10 gennaio 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS.
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2009, 03:52:13 pm
L'INTERVISTA.

Dario Franceschini risponde ai dubbi sul sì al Referendum

"Se vuole il premier vince da solo anche con la legge attuale"

"La linea è decisa, basta sbandare in politica non si cambia per paura"

"In direzione 100 hanno votato per il sì e 5 per il no dopo questo voto non si può riaprire un dibattito già risolto"

di GOFFREDO DE MARCHIS


 ROMA - "Abbiamo discusso, abbiamo votato, abbiamo deciso. E da segretario dico che un partito non può sbandare continuamente. Chiti e Rutelli chiedono di ripensare il sostegno al referendum? Capisco tutto, anche lo spirito costruttivo con cui mi rivolgono questo appello, ma la mia riposta è no". Dario Franceschini parla al telefono dal treno con cui attraversa la Basilicata e la Puglia. "Siamo impegnati in una campagna elettorale d'ascolto. Cerchiamo di entrare in contatto con l'Italia che non si vede in televisione, vogliamo accendere i riflettori sui problemi tenuti nascosti dal governo. Un grande partito riformista può fare il bene del proprio Paese anche stando all'opposizione. Abbiamo il dovere di seguire questa strada, non di riaprire un dibattito che si è già risolto nella direzione, dopo tanti approfondimenti, con più di 100 voti a favore del Sì e 5 contrari".

Ma lei sa che la richiesta di una marcia indietro cresce per via del pronunciamento di Silvio Berlusconi. Il timore è che il premier approfitti di un successo del referendum per tornare al voto e conquistare, da solo, la maggioranza assoluta.
"Che partito sarebbe un partito che cambia idea, ripeto: dopo aver a lungo discusso, solo perché il premier distrattamente ha detto a Varsavia che sosterrà il Sì. La domanda alla quale gli italiani devono rispondere il 21 giugno è la seguente: volete abrogare la legge porcata, quella che sottrae agli elettori il diritto di scegliersi non solo i partiti ma anche le persone da mandare in Parlamento? Togliendo di mezzo la politologia, chi ha contrastato con durezza quella norma non può che rispondere Sì. Poi ci saranno 4 anni, qualunque sia l'esito referendario, per fare una buona legge elettorale".

Non bisogna tenere conto delle parole di autorevoli dirigenti del Pdl che hanno già detto: nessuna riforma, se passano i quesiti si applica la norma uscita dalle urne?
"Ricordo al Pdl e a coloro che si mostrano impauriti per le dichiarazioni di Cicchitto e Gasparri che il partito di Berlusconi ha 271 deputati su 630. Tutti gli altri sono più che sufficienti per varare un nuovo sistema di voto. E a chi mi chiede di ascoltare la Lega e il suo appello contro il referendum, rispondo: se vincono le astensioni o il No la stessa Lega dirà che il voto degli italiani conferma la legge Calderoli. Capisce cosa significa? Ce la dovremo tenere a vita. Sarebbe un pessimo risultato per chi l'ha sempre contrastata, non crede?".

Resta il pericolo di un Berlusconi piglia-tutto se il premio di maggioranza va al partito maggiore.
"Chi crede, o finge di credere, alla presunta minaccia di Berlusconi, sciolgo le Camere e riporto il Paese alle urne, dovrebbe riflettere su un dato molto semplice: non c'è bisogno di alcun referendum per dare seguito a questo progetto. Il Cavaliere può cavalcarlo anche con la legge attuale: va da solo e se arriva primo si prende la maggioranza dei seggi. Questa paura dunque è insensata. E quando in politica vince la paura si commettono errori fatali".

Oggi però le voci di dissenso dentro il Pd sono molte. Tre disegni di legge in campo per altrettanti modelli elettorali, comitati per l'astensione, alleati schierati con il No. Dopo le elezioni europee, il Pd potrebbe riesaminare la sua scelta?
"Ho preso un impegno con l'assemblea costituente che mi ha eletto e finché sono il segretario intendo mantenerlo. L'impegno è questo: ci si chiude nelle sale riunioni, si discute, se capita si litiga ma non sui giornali o in pubblico. Poi, democraticamente si decide e tutti insieme si sostiene la stessa linea. È esattamente ciò che abbiamo fatto sul referendum. Perciò sono convinto che queste mie parole chiudano definitamente il dibattito".

Intanto Di Pietro approfitta delle vostre divisioni, cambia idea e annuncia una battaglia contro il referendum che consegna l'Italia a Berlusconi. I distinguo del Pd ricominciano a fare danni?
"Io so che la nostra posizione è giusta e l'abbiamo decisa a larghissima maggioranza. Quanto a Di Pietro, mi sono impegnato a non fare polemiche con i "colleghi" dell'opposizione. Abbiamo tutti un avversario più grande: la destra. Ma se uno cambia idea come riflesso condizionato per le parole di Berlusconi dopo aver raccolto con entusiasmo le firme per i quesiti, come ha fatto proprio Di Pietro mica noi, beh c'è un problema irrisolto con la politica. Sa una cosa? Sono veramente preoccupato all'idea di vedere Di Pietro su un palco accanto a Bossi e Calderoli che gridano insieme: "Votate no". Proponendo cioè all'Italia di tenersi la legge porcata...".

Rutelli spiega che la tattica del Pd non ha funzionato: inutile far finta che il referendum non esista sperando che fallisca il quorum. Chiti raccoglie firme sotto il suo disegno di legge con l'Udc prefigurando nuove possibili alleanze. È già cominciato lo scontro per il congresso del Pd?
"Non è possibile vedere dietro ogni critica chissà quale retroscena. E io stimo sia Rutelli sia Chiti. Ma da segretario, finché sono al mio posto, dico: il Partito democratico ha discusso e deciso. Adesso concentriamoci sui problemi veri degli italiani".

(12 maggio 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Rai, via libera a Minzolini... (l'ancella premiata. ndr).
Inserito da: Admin - Maggio 19, 2009, 10:08:10 am
IL RETROSCENA.

Domani è previsto un primo pacchetto di nomine

Mazza a RaiUno, Orfeo al Tg2. Petruni a RaiDue. L'opposizione non voterà

Rai, via libera a Minzolini per il Tg1 ma la Lega blocca le vicedirezioni

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Oggi la comunicazione ai consiglieri, domani le nomine. Sembra ormai decisa la road map per la scelta dei nuovi direttori della Rai. L'improvvisa accelerazione serve soprattutto a blindare l'accordo raggiunto nel centrodestra dopo le mille tensioni di questi giorni. Si è risolto il conflitto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, anche se in zona Cesarini, potrebbe esplodere quello con la Lega. E se manca il voto della consigliere leghista Giovanna Bianchi Clerici salta tutto.

Il direttore generale ha pronto un pacchetto di otto nomine. I nomi sono quelli di Augusto Minzolini, editorialista della Stampa, per la direzione del Tg1, la poltrona più ambita. Mauro Mazza, oggi alla guida del Tg2, va a dirigere Raiuno. Mario Orfeo, oggi direttore del Mattino, prenderà il posto di Mazza al telegiornale della seconda rete. Susanna Petruni, da anni inviata del Tg1 al seguito del Cavaliere, finirà alla direzione di Raidue. Verranno decisi anche i vicedirettori generali: Antonio Marano, che viene da Raidue, Lorenza Lei, Gianfranco Comanducci e Giancarlo Leone (per lui una conferma).

Ma su Marano rischia di aprirsi un caso che può bloccare tutto. Masi infatti sarebbe intenzionato a lasciare i suoi vice senza deleghe, per il momento. Uno smacco per il dirigente legato al Carroccio che già puntava a essere da solo il numero due dell'azienda e ha dovuto ingoiare gli affiancamenti. Strappando però la promessa delle competenze più importanti, quelle sul prodotto. Anche la Lei punterebbe al salto di qualità: vicedirettore vicario. Ma è un'altra richiesta che sta provocando un terremoto al settimo piano di Viale Mazzini. Se queste matasse verranno sbrogliate nella notte Masi presenterà stamattina curricula e motivazioni delle sue scelte al Cda.

L'opposizione dei consiglieri sarà fermissima. Quasi certamente di fronte al pacchetto di nomine Nino Rizzo Nervo (Pd), Rodolo De Laurentiis (Udc) e Giorgio Van Straten (Pd) lasceranno la stanza del consiglio rifiutandosi di votare. Dice Rizzo Nervo: "Viene confermato lo schema uscito dal vertice di Palazzo Grazioli. Queste nomine sono state fatte a casa del premier. E 4 vicedirettori alla Rai non si vedevano dalla Prima repubblica". Aggiunge Van Straten: "La nostra reazione sarà durissima". Per Paolo Gentiloni, responsabile della politica televisiva del Partito democratico, nel blitz che si prepara "c'è tutta l'esibizione del conflitto d'interessi: persone scelte a Palazzo Grazioli e insediate alla vigilia delle elezioni". L'opposizione annuncia un muro contro muro, batterà sul tasto del blitz in piena campagna elettorale, solleverà il tema del conflitto d'interessi. Proprio mentre la tv di Stato affronta il lancio del digitale terrestre, con uno sforzo notevole: lettere agli abbonati, spot, la garanzia del presidente Paolo Garimberti: "Nessuno sarà lasciato indietro e saremo i primi nell'innovazione".

Berlusconi ha messo nel conto il conflitto. Pensa alla contromossa: nomine fatte domani, ma operative dopo l'8 giugno per dribblare l'accusa di "occupazione" militare. L'Usigrai, il sindacato dei giornalisti di Viale Mazzini, ha però scritto a Giorgio Napolitano per difendere il pluralismo. Lettera giudicata da Maurizio Gasparri "una gravissima intimidazione".

(19 maggio 2009)


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il presidente della Rai sulla graticola: la sua ...
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2009, 10:22:18 am
Il presidente della Rai sulla graticola: la sua mediazione non ha trovato l'appoggio del Pd e della parte che lo ha proposto.

Il prossimo nodo sarà il contratto Sky

I consiglieri Pd e Udc non fanno sconti "Paolo, metti a rischio il ruolo di garante"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - "Così metti a rischio il tuo ruolo di garanzia. Lasciati qualche margine di manovra". I consiglieri di minoranza della Rai Nino Rizzo Nervo, Giorgio Van Straten, Rodolfo De Laurentiis hanno provato fino all'ultimo a cercare una via d'uscita, ad evitare lo schiaffo a Paolo Garimberti in questa prima vera prova da presidente bipartisan della Rai. Ma alla fine lo schiaffo è arrivato. Con il loro gesto, l'uscita dalla sala al momento di votare le nomine, hanno voluto certificare la frattura schiacciando il numero uno di Viale Mazzini solo su una parte, quella della maggioranza di governo. Anche Dario Franceschini, l'artefice della sua elezione, lo ha in qualche modo "scaricato" lasciandolo senza la copertura del Partito democratico: "Su questa linea non posso seguirti", era il testo del messaggino arrivato ieri mattina sul cellulare del presidente. Alla fine della lunga giornata in trincea, Garimberti ha potuto verificare sulla sua pelle, scorrendo le reazioni democratiche, di avere scavato un fossato con chi lo aveva scelto per quella poltrona. E certo il voto favorevole al pacchetto di promozioni non lo ha aiutato.

Nella riunione del Cda il presidente ha tirato fuori gli schemini usciti sui giornali dopo il vertice di Palazzo Grazioli, casa del premier, per mostrare che la casella del Tg1 aveva subito un cambiamento. Ha letto una dichiarazione di Silvio Berlusconi che dall'Aquila un mese fa intimava: "Le nomine vanno fatte tutte insieme". Ha anche parlato con i consiglieri dissidenti uno a uno, prima del consiglio. Ma non li ha portati dalla sua parte. Si aspettava perciò l'uscita fragorosa dalla sala del settimo piano di Rizzo Nervo, Van Straten e De Laurentiis. L'affronto (e le conseguenze).

A quel punto gli avevano consigliato di astenersi, in fondo avrebbe anche avuto il pretesto dello strappo plateale della minoranza. Invece c'è il suo sì, insieme con quelli dei consiglieri di Pdl e Lega, sotto le nomine di Minzolini, Mazza e dei quattro vicedirettori generali.
"Per coerenza", dicono i suoi collaboratori. "Proprio per non usare le armi ipocrite della politica". Non poteva fare finta di niente di fronte a una mediazione che lui stesso aveva faticosamente costruito. E al secondo round potrà avere più forza per correggere, cancellare i desiderata della maggioranza, spiegano. A questa promessa non detta Garimberti affida la speranza di ricucitura con il Pd e l'Udc, con il presidente della commissione di Vigilanza Sergio Zavoli in vista dell'altro giro di nomine a metà giugno. Ma adesso la valanga è travolgente, il Pd non gli fa sconti, l'Udc tantomeno, l'Italia dei Valori è pronta a usare le nomine come arma della campagna elettorale piazzando una manifestazione sul pluralismo a due giorni dal voto. E il Pd non ne uscirà indenne.

Nella riunione del consiglio lo scontro è ruotato intorno alla figura del presidente. Rizzo Nervo, Van Straten e De Laurentiis hanno supplicato Garimberti di prendere le distanze dalle nomine.

Per un attimo i consiglieri di Pd e Udc hanno pensato di poter giocare di sponda con Angelo Maria Petroni. Il membro del cda indicato dal ministero dell'Economia, l'uomo di Giulio Tremonti alla Rai, ha voluto far sapere quello che pensa l'inquilino di via XX settembre delle manovre berlusconiane sulla Rai. "Forse è vero, si potevano trovare dei nomi migliori. E non condivido la nomina di 4 vicedirettori generali che sembrano più collaboratori di staff che manager aziendali". Un critica che però non si è spinta fino alla spaccatura della maggioranza. I tre "dissidenti" si sono alzati e hanno sbattuto la porta infilandosi in un'altra stanza di Viale Mazzini per la conferenza stampa quando ha parlato Guglielmo Rositani, membro in quota An. "State portando la politica nel consiglio di amministrazione. ". E' stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Speravano in un intervento deciso di Garimberti. Non c'è stato. "Sei spudorato", hanno risposto a Rositani.

Il presidente della Rai ha comunque tirato dritto. Confermando l'urgenza delle nomine a Raiuno e Tg1, per l'efficienza del servizio. Precisando che da Masi si aspetta una riorganizzazione aziendale più chiara. Ma adesso bisognerà lavorare per riavviare il dialogo. Già il 10 giugno il cda potrebbe essere riconvocato per una nuova tornata di promozioni. Allora toccherà anche al centrosinistra dare qualche nome per le posizioni che la politica gli assegna nella mappa dell'azienda. Le tensioni su Raitre e Tg3 per il momento sono rimaste sottotraccia, ma sembrano destinate ad esplodere proprio dopo le elezioni europee e amministrative quando le preferenze degli eletti e i risultati generali delineeranno i nuovi equilibri di Largo del Nazareno.

La poltrona più ambita è quella della rete, oggi occupata da Paolo Ruffini alla quale ambisce Antonio Di Bella. Secondo le indiscrezioni, Franceschini punta a mantenere lo status quo, ma i dalemiani penserebbero a un ricambio. Il congresso democratico rischia di cominciare nelle stanze di Viale Mazzini.

(21 maggio 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Malumori dopo il successo Serracchiani
Inserito da: Admin - Giugno 15, 2009, 06:40:27 pm
Bersani fa sapere che non si ferma ma per la segreteria c'è anche l'ipotesi Zingaretti

Franceschini: sempre alla stessa partita.

Malumori dopo il successo Serracchiani

"Modello Debora", proteste nel Pd rispunta il duello D'Alema-Veltroni

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
Debora Serracchiani
ROMA - Incredibile ma vero. La nuova guerra del Pd è quella vecchia, il duello tra due bandoleri evidentemente non stanchi ma sempre gli stessi. Così la racconta un uomo vicinissimo a Franceschini, uno di quelli che ha la stanza accanto alla sua nell'ala nobile del secondo piano di Largo del Nazareno dove le applique sono di design e gli infissi delle porte più rifiniti. "D'Alema e Veltroni tirano la giacca di Dario da domenica notte. Massimo ci ha fatto arrivare mille messaggi per organizzare un incontro e studiare un percorso sul dopo. L'altro ieri attraverso i suoi ambasciatori ci aveva annunciato che avrebbe in qualche modo rotto la tregua perché tirava una brutta aria, voci su candidati dalemiani poco votati, su regioni a loro vicine cedute al Pdl, insomma veleni, hanno detto, cui dovevano rispondere. La reazione di Walter è stata uguale e contraria. Ha spiegato a Dario che il grande successo è quello degli eletti veramente nuovi, i sinceri democratici come li chiama lui: Sassoli, Crocetta... E che per non darla vinta ai conservatori Bersani e D'Alema un segnale di novità in vista del congresso sarebbe stato il ticket con la Serracchiani".

Un vero "lavaggio del cervello" dal quale il segretario si è difeso con l'arma imparata sui banchi della Democrazia cristiana: fare finta di essere lì per caso. "Aspettiamo i ballottaggi per aprire le danze. E poi lo sapete che il mio mandato scade a ottobre, non mi chiedete niente adesso perché neanche io so se mi ricandido o meno".

La tregua non ha retto e non è che Franceschini si facesse molte illusioni. Conosce l'irresistibile attrazione del centrosinistra per la tempesta perfetta, per la litigiosità permanente. I risultati elettorali non hanno aiutato a placare gli animi. Sotto sotto farebbe a meno del sostegno sia di D'Alema sia di Veltroni. Per dire, il segretario ha candidato la Serracchiani, l'ha sostenuta, la stima, si scambia con lei messaggini continui, ma da qui a immaginarla accanto a lui nella battaglia congressuale ce ne corre. "Anche il neo-onorevole Mario Pirillo ha battuto Berlusconi in Calabria come ha fatto Debora in Friuli. Eppure nessuno ne parla, nessuno lo candida a posti di rilievo nazionale. Potenza del sistema mediatico...", sospirano i suoi fedelissimi. Franceschini ha annusato anche che sulla pelle della nuova star democratica si sta giocando un fragoroso scontro sul tema del ricambio generazionale e quindi ci vuole molta cautela per non smarrire quel poco di tessuto organizzativo rimasto sul territorio.

Tanti dirigenti locali sono infuriati non per il successo di Debora ma per il "modello Serracchiani", dove il criterio di selezione della nuova classe dirigente è solo "stare al posto giusto nel momento giusto", com'è capitato a lei all'assemblea dei circoli del 21 marzo dove pronunciò il suo ottimo discorso rimbalzato sui tanti blog democratici. "E pensare che andò al microfono perché al Friuli toccava scegliere una donna", racconta Maurizio Migliavacca, l'organizzatore di quell'evento.

Una settimana fa, a notte fonda, il segretario provinciale di Prato si sfogava con Gianni Cuperlo: "Mi sento mortificato da questa storia della Serracchiani. Non per lei, per il messaggio che è passato. La promozione casuale, il mito dell'outsider, dell'extra politico. Noi allora che ci stiamo a fare?". Tanti nuovi dirigenti locali sono professionisti, impiegati che si fanno il giro dei circoli prima di tornare a casa la sera, dopo il lavoro. E se il loro impegno venisse a mancare?
Franceschini ha letto le parole di D'Alema a Repubblica (anche se fa di nuovo finta di niente "leggerò l'articolo dopo i ballottaggi") con un certa soddisfazione nell'ottica dell'ipotetica sfida con Pierluigi Bersani. Il ritorno al centrosinistra col trattino? "Se questo è il profilo di Pierluigi, gli innovatori siamo noi", esulta il dirigente vicinissimo al segretario. E per la proprietà transitiva conservatore è anche l'ex ministro degli Esteri. Alla fine di marzo, durante una cena sopra il porto di Valparaiso in Cile, Franceschini si lasciò scappare una battuta su D'Alema: "Gioca sempre lo stesso schema. Ha riflessi vecchi, superati".

Commentava l'appello di Gianfranco Fini per riforme condivise e soprattutto l'immediata apertura di credito del presidente di Italianieuropei. Bersani viene ora dato in difficoltà, ma lui fa sapere che non si ferma. "So preparando la piattaforma. Farò il mio percorso tra gli iscritti e tra gli elettori. Così si fa il congresso del Pd". I ruoli si ribaltano: l'ex ministro dell'Industria prepara l'appello al popolo delle primarie, Veltroni si muove da kingmaker sponsorizzando il nuovo. Ma tanti giovani promossi proprio da lui, da Vinicio Peluffo, ad Andrea Orlando, a Andrea Martella, non ci stanno a farsi scavalcare da Debora. Hanno individuato da tempo il terzo candidato. "Ma non mi posso muovere da qui per il momento", ha risposto Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma. Che nel curriculum sembra davvero alternativo: un uomo di apparato capace però di vincere nella Capitale mentre Alemanno saliva al Campidoglio.

(11 giugno 2009)
da repubblica.it


Titolo: Goffredo De Marchis Derby con l'arena Bindi-Bersani: «Se vinciamo un simbolo...
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2009, 11:27:34 am
17/7/2009


Derby con l'arena Bindi-Bersani: «Se vinciamo un simbolo più ulivista»


di Goffredo De Marchis - da La Repubblica


Bandiere dell'Ulivo, tirate fuori dal cassetto del cuore. Rosy Bindi ha tappezzato la sala della sua convention di sostegno a Bersani con il simbolo della stagione prodiana. «Non è un vezzo, è un programma politico», spiega. Nella platea dell'Auditorium di Via Rieti a Roma molti supporter sognano anche qualcosa di più. «Se vinciamo cambieremo il simbolo del Pd. Il ramoscello diventerà più visibile». Bersani certo non può dirlo adesso, in piena campagna elettorale, ma il logo democratico gli è sempre piaciuto poco. «Noi ne abbiamo cambiati tanti, non ci facciamo più caso. Ma sono proprio i giovani ad avere bisogno di un richiamo forte. Di un simbolo vero», diceva a febbraio, quando lanciò la sua candidatura.


Anche oggi non si fa pregare: il rametto va fatto crescere, non può essere solo un apostrofo verde tra le parole partito e democratico: «Riapriremo il cantiere dell' Ulivo», annuncia. A via Rieti si fa l'Ulivo, all'Acquario di Roma, dove Dario Franceschini lancia la sua candidatura, si costruisce invece il Partito democratico autentico, secondo l' interpretazione maliziosa di Piero Fassino. «Avete visto, qui c'è il vero Pd, fatto di tante componenti, tante teste, largo, plurale. Questa eterogeneità è una ricchezza, non un punto debole». Da contrapporre, sottinteso, all'egemonia diessina dell' altro campo, al profilo solo identitario di Bersani.

Sono partite dunque le sfide incrociate, a distanza per ora, in attesa di un faccia a faccia, si scalda il gioco delle primarie democratiche. Appuntamenti contemporanei e per questo considerati ostili come quello organizzato dalla Bindi, con l'inevitabile gioco a chi ha l' ultima parola di giornata. Ieri per esempio se l'è presa la Bindi, dopo aver addomesticato un' assemblea che le ha chiesto conto della scelta a favore dell'ex comunista: «Ho dato una scorsa veloce alle parole di Franceschini e confermo: Pierluigi ha più spessore». Ma il confronto è anche più diretto, l'ultima parola è sempre la penultima. Dice Franceschini descrivendo il suo Pd ideale, un mix di iscritti ed elettori «per fare un partito solido, che non significa tornare ai modelli di 50 anni fa». Bersani risponde da lontano: «Solo un cretino può pensare ai partiti di 50 anni addietro. Non credo che Dario si riferisse a me». Comunque lui quel cretino non è, fa intendere.

Franceschini cancella per sempre il trattino del centrosinistra, il Pd può rappresentare quel campo per larga parte. Bersani invece non ha paura degli aggettivi del secolo scorso: «Il Pd è un partito popolare, laico e di sinistra, non bisogna temere questa parola, che vuol dire pari dignità e uguaglianza per tutti». È il confronto vero che tutti aspettavano, dal quale dovrà uscire il profilo di un partito che finora ha macinato traumi, sconfitte, liti interne. Il segretario ha già alcuni sondaggi che lo danno saldamente in testa per il giorno che conta, il 25 ottobre. «Basterebbero la metà dei voti che hanno preso alle Europee Sassoli, la Serracchiani, Cofferati e la Barraciu, tutti schierati con noi, per cantare subito vittoria», spiegano spavaldi gli uomini del suo staff.

Eppure nel derby si comincia a vedere con chiarezza che sia Franceschini sia Bersani possono muoversi su un terreno comune. Le primarie, per esempio. Bersani pensa a una riforma, ma non alla cancellazione. Franceschini le difende, però gli dà una robusta sforbiciata: «Valgono solo per il segretario nazionale». Vanno abolite quindi per l' elezione dei segretari regionali. Il pontiere Franco Marini scommette senza dubbi su un accordo per il dopo. «Chiamiamola gestione unitaria o come volete. Ma per salvare il partito alla fine del congresso è necessaria un'intesa. Io ne ho parlato con tutti, anche con D'Alema. In fondo, Dario e Pierluigi sono complementari. E tutto il mondo è paese. Anche in America, dove alle primarie scorre il sangue, oggi Obama è il presidente e Hillary Clinton segretario di Stato».


da democraticidavvero.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. L'Ipsos ribalta i dati Ipr: Franceschini in vantaggio.
Inserito da: Admin - Agosto 19, 2009, 12:04:36 pm
L'Ipsos ribalta i dati Ipr: Franceschini in vantaggio.

E Bersani va da Cl

L'ex ministro attacca Di Pietro, il segretario avverte: "Il nemico è Berlusconi"

Congresso Pd, la guerra dei sondaggi

Accantonate le promesse di fair play

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - La guerra dei sondaggi: Franceschini, dagli inizi di agosto, tiene nel cassetto una ricerca commissionata all'Ispos di Nando Pagnoncelli che ribalta i risultati del pronostico dell'Ipr. Altro che 20 punti di vantaggio per Bersani. Il segretario, a due mesi dalle primarie del 25 ottobre, è in testa di 10 punti e sfonda nei territori dello sfidante. La guerra delle parole: Franceschini ha atteso di vedere lo slogan dell'avversario ("un senso a questa storia") e ha deciso di giocare di contropiede. Nel "titolo" della sua campagna ci sarà un riferimento al "futuro" in contrapposizione alla "storia" di Bersani (e di Vasco Rossi...). Nuovo contro vecchio, in poche parole. La guerra della simbologia: Franceschini sfida Massimo D'Alema, grande sponsor di Bersani, nella tana del lupo, a Gallipoli. In Salento, dopo il debutto alla festa democratica di Genova lunedì, farà una delle sue prime tappe dopo le vacanze mercoledì 26 invitato dall'ex fedelissimo dalemiano Flavio Fasano (l'ex ministro è stato anche suo testimone di nozze), oggi capo della mozione del segretario in Puglia.

Il congresso del Partito democratico sta per entrare nel vivo e le promesse di fair play rischiano di andare a farsi benedire. Per esempio, la lettura del sondaggio di Pagnoncelli che si fa nello staff di Franceschini è molto maliziosa. Di più: tendenziosa. Il segretario avrebbe dieci punti complessivi di vantaggio su Bersani nelle primarie del 25 ottobre. E il suo successo verrebbe costruito proprio nelle regioni che per storia e competenze (le piccole e medie imprese, l'artigianato) dovrebbero invece favorire lo sfidante. In Piemonte, Liguria, Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia Franceschini è largamente in testa. Lo sarebbe, e qui il dato va sicuramente verificato, persino in Emilia Romagna, l'orticello di casa bersaniano, roccaforte del dalemismo, con il governatore Vasco Errani schierato ventre a terra dalla parte dell'uomo delle liberalizzazioni. Franceschini ha un largo vantaggio nelle grandi città, cioè dove si forma il voto di opinione. È in difficoltà invece nel Sud, al massimo regge un testa a testa ma in molti casi si ferma sotto la quota di Bersani. Come dire: nelle aree dominate dai signori delle tessere, Bersani corre in discesa.

Ma Franceschini non si ferma qui. Ha già commissionato un nuovo sondaggio per il 15 settembre, quando sarà finita la sarabanda delle feste di partito, dei convegni post vacanzieri e dei dibattiti in riva al mare. E un nuovo pronostico Pagnoncelli dovrà sfornarlo tra il 5 e il 10 ottobre, alla vigilia del congresso quando la sfida interna, quella del voto degli iscritti, sarà già decisa. Mancheranno però ancora due settimane prima del bagno popolare delle primarie, il verdetto definitivo. Il sondaggio dice anche che potenzialmente Franceschini è più forte nell'elettorato di centrosinistra, Pd a parte. Mentre Bersani gode di un maggiore apprezzamento tra i cittadini del centrodestra. Questa sottolineatura a occhio e croce è un'altra stoccata. Ma lo stesso studio conferma il pronostico sugli iscritti: quella partita molto probabilmente la vincerà lo sfidante.

Ai sostenitori di Franceschini non è piaciuto il mancato invito al Meeting di Cl, dove invece sarà protagonista Pierluigi Bersani. Franceschini comunque rilancia sul fronte cattolico annunciando la sua partecipazione all'assemblea delle Acli. Ma è Di Pietro a scaldare gli animi tra i duellanti. Bersani liquida l'Italia dei Valori come fenomeno passeggero. "Se costruiamo un'alternativa credibile al governo, tanti torneranno con noi e non soffriremo più il fenomeno Di Pietro". Capitolo chiuso, perciò, l'alleanza del 2008. Franceschini risponde telegraficamente su Twitter: "Il nostro avversario è Berlusconi, non Di Pietro".

(19 agosto 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il presidente della Camera ospite dei Democratici a Genova
Inserito da: Admin - Agosto 27, 2009, 04:27:31 pm


POLITICA

       
Il presidente della Camera ospite dei Democratici a Genova

Applausi, richieste di autografi, la sala piena ad ascoltare

Dal testamento biologico ai migranti così Gianfranco scalda la Festa del Pd

di GOFFREDO DE MARCHIS


GENOVA - Gli applausi, le richieste di autografo, la sala sul molo piena, gli extracomunitari che si fermano ad ascoltare seduti un po' in disparte, il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ma c'è anche un altro Gianfranco Fini, è uno storico militante comunista del quartiere Cornigliano, volontario alla friggitoria della Festa democratica, che gli mostra la sua carta d'identità: "Adesso questo nome non mi imbarazza più". Tocca al presidente della Camera frenare l'entusiasmo dicendo all'omonimo, con un sorriso, almeno due cose di destra. "Beh, prima di Fiuggi avrai avuto qualche problema". Poi, rigirando il documento tra le dita: "Hai visto il numero? Comincia con An. Abbiamo qualcos'altro in comune.".

La fine della visita di Fini alla kermesse del Pd è uguale all'inizio: accoglienza caldissima, nemmeno l'ombra di una contestazione, scontro ideologico lontano, sepolto, battimani ripetuti e convinti di una platea che accoglie anche elettori del Pdl ma è a larghissima maggioranza democratica. L'attacco alla Lega sull'immigrazione, la posizione ferma contro la legge sul testamento biologico voluta dalla maggioranza, la difesa della laicità, persino l'accenno a una ferita ancora aperta a Genova gradito e applaudito.

Tutto piace ai militanti della Festa del nuovo Fini, del "compagno" Fini, quello in abito blu, senza parannanza. "A proposito di G8, come italiano sono soddisfatto che la Corte europea abbia detto in maniera inequivocabile che Placanica ha agito per legittima difesa". Un secondo di silenzio, il ricordo del 2001 che scorre, Carlo Giuliani a terra, le immagini con l'assalto alla camionetta dei Carabinieri. In quei giorni Fini era qui, nella sala operativa delle forze dell'ordine.

Cambia il vento o no nella sala gremita al Porto antico? No. La gente apprezza e Fini risalendo in macchina commenterà: "Mi ha colpito molto quell'applauso". Gli altri momenti a suo favore li aveva messi in conto e non poteva essere diversamente. La sua nettezza sui temi etici i democratici vorrebbero sentirla dai loro leader. Per ora si accontentano delle parole del presidente della Camera.

Accanto all'ex presidente del Senato Franco Marini, nel dibattito condotto dal direttore del Tg2 Mario Orfeo, Fini parla così della laicità: "Io non ho il dono della fede, anche se riconosco il grande ruolo della Chiesa, la sua storia, i suoi valori. Ma la contrapposizione su certi argomenti non può essere tra laici e cattolici. Lo sapevano bene due credenti come Elia e Scoppola. Lo scontro c'è solo tra laici e clericali". Lui sta con i primi, deciso a far sì che il testo della legge sul testamento biologico cambi arrivando alla Camera. "Non si tratta di favorire la morte, ma di prendete atto dell'impossibilità di impedirla". E "senza fare crociate contro i cattolici" se qualcuno pensa che "decide il Vaticano e non il Parlamento, io, Costituzione alla mano, dico no".

Fini ripete spesso di voler guardare avanti, che lui "nelle vecchie gabbie di destra e sinistra" non si riconosce più. "Le differenze esistono, ma lo scontro ideologico è finito", sentenzia raccontando le discussioni con la figlia più grande. E' alle nuove generazioni che bisogna guardare anche quando si parla di immigrazione, di diritto alla cittadinanza. Arrivando a mettere in discussione una parola chiave della destra italiana: patria. "In tutte le lingue europee significa terra dei padri. Ma oggi cosa diciamo ai figli nati qui che hanno genitori nati altrove e vestono le maglie delle nostre nazionali, come Balotelli o i giovani campioni juniores di cricket?". Non sono italiani anche loro? E non sono esseri umani quelli che muoiono nel Mediterraneo o riescono ad arrivare stremati sulle nostre coste? Le risposte della Lega a queste domande "sono superficiali, propagandistiche e vagamente razziste".

Marini naturalmente condivide e declina il problema in termini economici: "Andatelo a chiedere alle industrie se non abbiamo bisogno di loro. O alle famiglie con le badanti". Aggiunge Fini: "La Chiesa lancia un messaggio di carattere universale, non fa comizi di periferia. Ma anche i trattati ci impogono di rispettare la dignità dell'uomo".

Nessun lassismo "perché la Lega comunque ha colto una questione vera", ma ricette nuove sì. Aiuti ai Paesi poveri, più cooperazione, "minore accondiscendenza con certe dittature", più impegno della parte ricca del mondo. Se poi il Pdl "sui temi dell'immigrazione si limita a produrre la fotocopia dell'originale, alla gente piacerà sempre l'originale, cioè la Lega. Sarebbe il caso di affinare l'approccio". E aggiunge: "Dicono: è colpa di Malta. Mi viene da ridere. Malta è un piccolo Paese dell'Unione europea, che può fare? A Strasburgo piuttosto destra e sinistra lavorino a una soluzione comune".

(27 agosto 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La destra all'assedio finale del fortino rosso di Raitre
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2009, 11:18:16 am
Dopo il caso Gabanelli, contratto in ritardo per Fazio. Rinvii e direzione sotto scacco

Il direttore della rete: "Puntano su una tv McDonald, tutta uguale. Ed è un grave errore"

La destra all'assedio finale del fortino rosso di Raitre

L'ironia della Littizzetto: "Non capisco dove Silvio veda da noi tutto 'sto comunismo"


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Un editto soft, una goccia cinese che scava la roccia fino all'obiettivo finale: addomesticare la Gabanelli, Fazio, la Littizzetto, Bertolino, "Parla con me", ridimensionare, cancellare forse. Silvio Berlusconi l'ha anche detto: quei programmi di Raitre non mi piacciono.
Senza i toni concitati di Sofia, ma l'ha detto. E da tempo il direttore generale Mauro Masi lavora per trovare un sostituto di chi Raitre la dirige con quei volti, con quegli artisti. Gioca di sponda, propone nomi su nomi, cerca professionisti dal curriculum impeccabile. Non spiega esattamente per quale motivo, ma va sostituito Paolo Ruffini, che gestisce la baracca da sette anni. Il resto, la normalizzazione dei programmi sgraditi, verrà da sé. "Dove lo vede Silvio tutto questo comunismo a Raitre, cosa c'è di anormale? Se il problema è che Fazio è un uomo e io una donna, ci operiamo. Così rientriamo nei loro canoni di normalità", scherza Luciana Littizzetto, appuntamento fisso del week-end di Che tempo che fa, pubblico trasversale, risate a sinistra e a destra. Magari questo dà fastidio.

La Rai della nuova era Berlusconi non vuole mandare nessuno a Casablanca, ma qualcuno a casa sì. Il pressing sul Partito democratico per avvicendare i vertici di Tg3 e Raitre e incrinare un'identità non è solo un'indiscrezione. Comunque ci sono anche gli indizi, i dati di fatto: l'intenzione resa esplicita da Masi di togliere la tutela legale a un programma di inchiesta che giocoforza si porta dietro grane su grane come "Report". E un giallo finora rimasto sottotraccia su "Che tempo che fa". Il contratto tra Rai e Endemol, la produzione del programma, non è ancora stato firmato. Un ritardo che appare poco tecnico e molto politico a sole tre settimane dalla messa in onda (3 ottobre).

Il senso di Raitre secondo Fazio è "mettere in luce la vera funzione del servizio pubblico: che è somma di voci, non sottrazione. È scambio di idee, pluralità, polifonia in una grande azienda culturale". L'idea di chiudere qualche bocca (e qualche programma) "mi sembra ancora prima che sbagliata anti-moderna. La televisione di tutti deve far parlare tutti anziché limitarsi a non dire niente".

Semmai la critica rivolta a Fazio è quella di essere troppo moderato, poco cattivo, accomodante. "Ma capisco l'imbarazzo di alcuni. Da noi si respira un'aria di libertà, per altri invece è scontato che i programmi si costruiscano sentendo le segreterie dei partiti".

Il paradosso dello scontro campale giocato sulla pelle di Raitre è che tutti i programmi sono ormai in rampa di lancio. "Parla con me" scatta il 29 settembre, "Report" cascasse il mondo, anche senza copertura legale, l'11 ottobre, Fazio la settimana prima. Ruffini gira come una trottola per le conferenze stampa della nuova stagione. Poi torna in trincea, nell'ufficio al primo piano di Viale Mazzini. Non pronuncia mai la parola censura, ma difende il carattere della rete che fu del maestro Guglielmi, il suo essere portabandiera del servizio pubblico. "Un'offerta multipla arricchisce la Rai, non la penalizza.

Il pluralismo è patrimonio collettivo", dice Ruffini. E se la direzione generale la pensa diversamente, commette un errore. "Perché fare delle tre reti un indistinto omogeneizzato? Avremmo l'effetto McDonald, che ha gli stessi panini in tutte le parti del mondo".

Dicono le malelingue che un ottimo uomo Rai come Giovanni Minoli sarebbe disposto a ridimensionare i volti noti e di successo della rete, sbarcando al posto di Ruffini. Dicono che non si preoccupi dell'opposizione dei consiglieri del Pd, pronto a incassare soltanto i voti della maggioranza. Ma dagli artisti, ai dirigenti e ai 100 lavoratori della terza rete, Ruffini continua a ottenere in queste ore sostegno e riconoscimenti che superano persino la prova del settimo anno di vita in comune.

Il direttore di Raitre sarà in piazza il 19 per la libertà di stampa. Anche Milena Gabanelli parteciperà. Con l'occhio sempre attento allo sviluppo della trattativa con la Rai per la tutela legale. "Report" punta allo scudo di Viale Mazzini perché se si crede in un prodotto lo si difende, altrimenti lo si cancella. E la filosofia della stakanovista Gabanelli è che delle due l'una: o si lavora pancia a terra a caccia di scoop o si perde la giornata a parlare con gli avvocati. "Ruffini - racconta Fazio - ha sempre garantito a me e alla mia squadra condivisione del progetto e assoluta autonomia. Sono elementi essenziali di qualsiasi lavoro, compreso il nostro".

Eppoi gli ascolti di Raitre vanno bene, dunque la "prima domanda non è chi al posto di chi, ma perché. Perché bisogna cambiare?". Per creare un coro monocorde al servizio del pensiero unico berlusconiano? "Nel servizio pubblico devono esserci tante verità - dice Ruffini - . Questa è la sua missione, nel rispetto degli spettatori, dell'editore, delle persone. Si vuole invece una verità di Stato? Allora siamo in Unione sovietica".

La Littizzetto, con la sua leggerezza, spiega bene cosa non va nell'assedio al fortino di Raitre. Per la comica c'entra la politica sì, ma anche "una grande confusione del Paese in cui nessuno si fida di nessuno e proliferano i più realisti del re". Gli ospiti di "Che tempo che fa" davvero importanti, davvero graditi dal pubblico non sono i Prodi, i Veltroni, gli esponenti della sinistra che secondo i falchi del Pdl occupano le poltrona bianca di fronte a Fazio senza contraddittorio e senza un bilanciamento di ospiti a destra. "Il nostro merito è di mettere in onda volti nuovi, assolutamente spiazzanti. Ceronetti non ha niente di televisivo, è un personaggio inconsueto, fuori dal coro e dal circuito. Eppure la sua presenza dà i brividi". L'"alto" dello scrittore torinese, il "basso" delle battute fulminanti della Littizzetto pochi minuti dopo. Anche questa è Raitre. "A Ruffini darei il Telegatto", esclama Luciana. Ma i vertici della Rai appoggeranno la candidatura?

(11 settembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Rai, è caos sullo spostamento di Ballarò a favore di ...
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2009, 11:59:30 am
Rai, è caos sullo spostamento di Ballarò a favore di Porta a Porta

Il presidente: sprecato un mese. Vana mediazione in extremis

Garimberti-Masi, è alta tensione "Disorganizzazione incredibile"

Ad Annozero il timore che arrivi Euroscena, casa di produzione vicina a Berlusconi

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Una disorganizzazione incredibile". Paolo Garimberti ha cercato in extremis di mettere una pezza, di scongiurare lo slittamento di Ballarò a favore della puntata di Porta a porta sulle case consegnate ai terremotati di Abruzzo. Ma certo il presidente della Rai sa che il problema non è organizzativo. C'entra la politica, il pressing del centrodestra su Raitre e sulle altre trasmissioni fuori dal "pensiero unico" come Anno zero, un'azienda sempre più militarizzata. È un clima generale che può raggiungere il climax con la partecipazione in studio del premier, martedì, nell'orario di massima audience. Adesso la riunione del cda convocata per mercoledì rischia di diventare una polveriera e lì Garimberti proverà a sciogliere qualche nodo.

Ieri ha cercato una soluzione sul filo di lana. Salvando Floris e la "festa" per i primi lotti consegnati a chi vive nelle tendopoli. "Possiamo fare una grande diretta con Vespa nel pomeriggio, quando vengono consegnate le case. Poi, la sera va in onda Ballarò". Un compromesso. Ma era già tutto deciso. La consegna va in prima serata, con i numeri di ascolto al loro picco. E su Raiuno, la rete-ammiraglia, nel contenitore di pregio condotto da Bruno Vespa.

Mauro Masi ha contropoposto la messa in onda di Ballarò giovedì o venerdì. Ha negato fino all'ultimo ragioni politiche, spiegando che Raitre sotto assedio è un'invenzione mediatica. "Partiranno tutte le trasmissioni che si sentono a rischio censura: Dandini, Gabanelli, Ballarò... Tutte. Il caso non esiste", ha detto ai suoi interlocutori. Ma il blitz contro Ballarò è stato un fulmine a ciel sereno. "Si era parlato genericamente della copertura televisiva per i primi risultati della ricostruzione - racconta Garimberti -.

Che il 15 il governo avrebbe consegnato le prime case si sapeva da un mese. Era un evento programmato e programmabile. Avevamo tutto il tempo per evitare di mettere la Rai al centro dell'ennesima polemica politica". È una condanna abbastanza netta dell'operato del direttore generale e del vicedirettore generale Antonio Marano che si occupa del palinsesto.
Così la tensione dentro Viale Mazzini sale alle stelle.

La vicenda Vespa-Floris apre una settimana che si annuncia caldissima. Tanto più che sabato si tiene la manifestazione per la libertà di stampa a Piazza del Popolo, a Roma. Sta per scendere in campo Michele Santoro e pensa di farlo seguendo i suoi canoni che non sono quelli di Paolo Ruffini o di Fabio Fazio.

Annozero vive una situazione paradossale. A pochi giorni dalla messa in onda ha ancora in sospeso il contratto di Marco Travaglio. Il cambio della troupe viene vissuto come un vero attentato. Il consiglio di amministrazione di mercoledì deve affrontare questi casi aperti. Masi vuole che i tecnici del programma siano assegnati attraverso un bando. E nella redazione di Annozero si aggira uno spettro: che alla gara possa partecipare (e vincere viste le referenze...) Euroscena, azienda di fiducia di Silvio Berlusconi. Alle telecamere di Euroscena il Cavaliere ha affidato negli ultimi anni tutti i grandi eventi che lo hanno visto protagonista. Una società di produzione così legata al Cavaliere può lavorare per una trasmissione che da tempo è nel mirino del premier?

(14 settembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il cdr: "I messaggi sono molto duri, arrivano a tutte ...
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2009, 06:26:33 pm
Il retroscena. Il presidente pensa a un richiamo formale al direttore

Il cdr: "I messaggi sono molto duri, arrivano a tutte le redazioni del nostro giornale"

Un mare di mail agita Saxa Rubra e anche i "falchi" chiedono moderazione

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - Augusto Minzolini ieri si è preso un giorno libero. Ha parlato con i vicedirettori, con i suoi collaboratori più stretti, ha avuto anche un contatto telefonico con il Cdr, la rappresentanza sindacale della testata. Ma in redazione, fisicamente, ha messo piede solo un paio d'ore prima delle 20, l'ora in cui milioni di italiani si sintonizzano sul telegiornale che dirige. Per un'intera giornata non ha respirato il clima della palazzina in fondo al complesso di Saxa Rubra occupata dagli uffici del Tg1, quasi al confine con la Flaminia, che molti testimoni raccontano come un clima pesante. "Il disagio esiste e non dall'altra sera", racconta Alessandra Mancuso, membro del Cdr. L'altra sera è quella in cui il direttore Minzolini ha trasmesso l'editoriale di attacco alla manifestazione di Piazza del Popolo e di difesa del diritto di Silvio Berlusconi a presentare due querele ad altrettanti giornali, Repubblica e Unità.

Mentre Minzolini era fuori città la redazione del Tg1 ha cominciato ad assumere le sembianze di un terreno di guerra. Uno scontro, raccontano alcuni testimoni, ci sarebbe stato già sabato sera, tra falchi e colombe, tutto interno a giornalisti che fanno riferimento al Pdl. Persino Francesco Giorgino, capo del servizio politico, vicino alla maggioranza, avrebbe suggerito "moderazione". Insomma, di lasciar perdere l'editoriale. Due fedelissimi di Minzolini, Gennaro Sangiuliano e Luigi Monfredi, invece lo avrebbero incoraggiato ad andare avanti. Minzolini, su una linea che cade in continuazione lungo una tratta ferroviaria, ribatte senza scomporsi a queste indiscrezioni: "Cavolate. La redazione è molto tranquilla".

I telespettatori molto meno, però. Si fa cenno alle proteste del pubblico nel comunicato letto ieri sera da Tiziana Ferrario alle 20.30. La Mancuso spiega: "La nostra posta elettronica è piena di mail molto dure. "Vergognatevi", "Minzolini si deve dimettere", "siete servi". Arrivano a tutte le redazioni Interni, Esteri, Economia...". Succede, nei giornali, che qualche lettore si lamenta sempre. Ma questo è un coro, dicono. Il Cdr aspetta la convocazione di Paolo Garimberti e Mauro Masi per spiegare ai vertici dell'azienda "il disagio". E tra dieci giorni convocherà un'assemblea di redazione, prima deve rientrare l'altro membro del Cdr Alessandro Gaeta, inviato nelle zone dello tsunami.

Minzolini non si preoccupa. Dice di aver rispettato tutti, compresi i colleghi del Tg1. "Non ho detto che era sbagliata la manifestazione, ho detto che si poteva criticare. E mi stupisce la sollevazione del Cdr proprio quando si vuole difendere la libertà di tutti di esprimere le proprie opinioni". Nei contatti con il sindacato interno ieri è stato più che cortese. Ha chiesto se volevano uno spazio in mezzo al Tg delle 20 ("ma allora il comunicato dev'essere più breve") o in fondo. Ma ora il direttore del Tg1 non può temere solo la reazione dei suoi giornalisti. Si muove, con uno dei commenti più severi, il presidente della Federazione nazionale della Stampa Roberto Natale, già segretario del potente sindacato dei giornalisti Rai. E il presidente Garimberti, che per votare a favore di Minzolini aveva incassato la prima raffica di polemiche del suo mandato, da tempo ha chiuso ogni rapporto con il direttore. La lettera che manderà oggi a Masi infatti aveva intenzione di scriverla già prima dell'editoriale di sabato. Una censura in piena regola. Con la citazione di 4-5 episodi circostanziati in cui la principale testata Rai aveva omesso notizie rilevanti.

Nell'ipotesi più severa Garimberti sarebbe intenzionato a fare riferimento, in questa missiva, a quello che in Rai si chiama "documento di reciproco impegno". E' il testo di un accordo che l'editore firma con i numeri uno dei telegiornali impegnandoli alla "massima correttezza dell'informazione". Come dire: Minzolini, nei suoi editoriali, può anche dire ciò che vuole, ciò che invece non può fare un giornalista del servizio pubblico è nascondere fatti, dichiarazioni, immagini. A cominciare naturalmente dalle feste a casa Berlusconi e dalle "confessioni" di Patrizia D'Addario. La violazione del "documento" cosa comporta? Il consigliere del Pd Nino Rizzo Nervo lo aveva già richiamato per chiedere la risoluzione del contratto con Minzolini. E' questo l'obiettivo anche di Garimberti?

(5 ottobre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Ora ci aspettano giorni difficili il Cavaliere non si ...
Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2009, 11:50:27 am
Il segretario del Pd Franceschini: "Faremo muro contro gli attacchi a Napolitano. Di Pietro sbaglia ad attaccare il presidente. Pronti alle elezioni"

"Ora ci aspettano giorni difficili il Cavaliere non si rassegnerà"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Segretario Franceschini, il rischio di autoritarismo che lei denuncia da giorni si fa più concreto dopo gli attacchi di Berlusconi al capo dello Stato?
"Ci aspettano giorni difficili, questo è sicuro. Berlusconi non si rassegnerà facilmente al giudizio della Corte costituzionale sul lodo Alfano. Lo abbiamo visto tante volte alzare il tiro per sollevare un polverone mediatico e coprire il merito dei problemi. Può darsi che abbia funzionato anche questo riflesso nelle sue reazioni. Ma stavolta non possiamo classificare quelle parole come le solite sparate. Me lo immagino il premier in questi momenti: dev'essere una giornata drammatica. Si sarà reso conto che nessuno, nemmeno lui, può essere sopra la Costituzione, la legge e i suoi principi".

Un Berlusconi con questo stato d'animo può davvero sovvertire l'assetto istituzionale del Paese?
"Per me il rischio più forte resta l'assuefazione, l'idea che tutto sia più o meno lecito, inesorabile e scontato. Quindici anni fa sarebbe stato possibile, immaginabile vedere un presidente del Consiglio che insulta la Consulta e il Quirinale per una sentenza del supremo organo di garanzia che lo riguarda? La risposta è no".

Allora il pericolo è reale?
"Da un certo punto di vista la giornata, drammatica per Berlusconi, è positiva per il Paese. La democrazia italiana dimostra di avere regole a anticorpi più solidi della prepotenza e dell'abuso di potere del premier. E registro che nel nostro Paese gli organi di garanzia hanno un'autorevolezza e una libertà superiori a qualsiasi pressione e intimidazione. Perché non dimentico che il ministro delle Riforme Bossi, mentre i giudici costituzionali erano in camera di consiglio, ha cercato di intimidire la Corte invocando il ricorso alla piazza".

Stavolta dunque ha ragione Di Pietro che dà del matto a Berlusconi e ne chiede le dimissioni?
"Guardi, io mi occupo del Pd. Posso garantire che noi non abbasseremo la guardia. Il nostro dovere è una volta di più fare un'opposizione ferma e intransigente nel contrastare le scelte del governo. Poi a noi tocca pure difendere le regole fondative dello Stato, cosa che nessun'altra opposizione del mondo è costretta a fare nel proprio Paese. Per questo mi sembra importante che nel pieno del confronto anche molto aspro tra candidati dello stesso partito per la conquista della segreteria, il Pd sia stato in grado di dare una risposta unita e compatta all'attacco di Berlusconi".

E Di Pietro?
"Lui continua a gridare dimissioni come se gridando le possa ottenere. Poi, fa una scelta giuridicamente sbagliata e politicamente suicida prendendosela con Napolitano perché ha firmato il lodo. Tutte le leggi giudicate incostituzionali dalla Consulta sono necessariamente firmate dal capo dello Stato. Dov'è allora la colpa del presidente? Anche in una giornata come questa Di Pietro ha commesso un grave errore".

Il Pd è in grado di affrontare quelli che lei definisce giorni difficili?
"Un Pd unito come quello che si vede in queste ore assolutamente sì. Stiamo combattendo una battaglia congressuale anche dura eppure ho convocato dopo la sentenza, la segreteria e tutti i candidati alla leadership, e abbiamo preso una posizione comune. Non ci sono distinguo, non ci sono divisioni. Abbiamo saputo mettere in secondo piano la sfida delle primarie. Un risultato raggiunto senza ostacoli e in pochi minuti".

Ma se la situazione dovesse precipitare e il governo entrasse in crisi qual è la via d'uscita immaginata dal Partito democratico? Il governo del presidente, la grande coalizione? E il Pd sarebbe pronto a tornare al voto?
"Mi pare che le minacce di elezioni anticipate siano state usate da Bossi e Berlusconi per condizionare le scelte della Corte. Abbiamo visto con quali risultati. Dopo la sentenza infatti si sono rimangiati tutto e adesso vogliono continuare fino al termine della legislatura. Comunque, se dovessero ripensarci ancora sappiano che il Partito democratico sarebbe pronto, in qualsiasi momento, ad affrontare il voto degli italiani".

© Riproduzione riservata (8 ottobre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. E il clima si fa rovente
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2009, 09:22:44 am
IL RETROSCENA.

Franceschini schiera Sassoli e Serracchiani con Bersani il fratello di Prodi, Vittorio.

E il clima si fa rovente

Accuse, sospetti e scontri frontali la battaglia a tre si sposta sulle liste

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Lo scontro in vista delle primarie può "degenerare". È la paura di Massimo D'Alema dopo lo scambio di accuse con Dario Franceschini. Ora i due promettono che la questione è chiusa. "Il segretario pensa di poter impostare la sua campagna elettorale tutta contro di me. Auguri! Io non voglio più rispondere". Franceschini naturalmente nega: "Nessuna campagna contro. Mi sono sentito aggredito in maniera violenta e ho risposto. Voglio tranquillizzare D'Alema comunque: da adesso in poi ci occupiamo di altro". Ma il clima nel Partito democratico sta diventando rovente, alimenta allusioni, sospetti, una battaglia evidente e un'altra sotterranea. E crea anche qualche paradosso. Tutti i leader della mozione Bersani, compreso il candidato, ieri hanno spiegato che l'obiettivo non è cancellare le primarie. Perché questo sarà un argomento della corsa di Franceschini verso il 25 ottobre: Bersani non vuole più dare la parola ai cittadini. Invece Franco Marini, sostenitore del segretario in carica, ha bocciato di nuovo lo strumento dei gazebo: "Preferisco il voto degli iscritti".

L'altra battaglia, da ieri sera, è quella delle liste per le primarie. Lì si peseranno i big e attraverso alcuni nomi e alcune sfide si cercherà di spostare voti da una parte all'altra. Gli elenchi sono collegati ai candidati ai segretari e servono ad eleggere i rappresentanti all'assemblea nazionale e a quelle regionali. Franceschini schiera gli europarlamentari che hanno avuto molti voti la scorsa primavera: Debora Serracchiani, David Sassoli, Sergio Cofferati, Francesca Barracciu. Ha organizzato una sfida Davide contro Golia nel collegio di Posillipo: la senatrice Teresa Armato contro Antonio Bassolino (lista Bersani). Propone Renato Soru in Sardegna, Furio Colombo e Paolo Gentiloni a Roma, Eva Cantarella a Milano.

Pierluigi Bersani risponde sfruttando innanzitutto l'onda del sostegno di Guglielmo Epifani. Con lo sfidante saranno in lista Susanna Camusso e Agostino Megale, segretari confederali della Cgil. Poi la pattuglia dei presidente di Regione, anche loro in funzione di acchiappavoti: Errani, Martini, Bresso, Burlando, Lorenzetti, De Filippo. Romano Prodi non si espone e il suo sospirato endorsement non andrà a nessuno. Ma le persone a lui più vicine hanno fatto una scelta chiarissima. A Bologna Sandra Zampa, parlamentare e portavoce dell'ex premier, è capolista in uno dei due collegi bolognesi della lista "Per Bersani" , così come il fratello Vittorio, ex presidente della Provincia e parlamentare europeo. D'Alema com'è noto correrà nel collegio romano di Cinecittà-Tuscolano-Appio.

È una sfida di contorno quelle dei concorrenti per le assemblee, ma non è affatto irrilevante ai fini del successo per la leadership nazionale. Il 25 ottobre infatti non si vota direttamente uno dei tre sfidanti, ma le liste che portano il loro nome e sono collegate a Franceschini, Bersani e Marino. Gli elenchi non sono zeppi di testimonial illustri perché la regola dice che possono candidarsi solo i tesserati del Partito democratico. Ed è proprio agli iscritti che si rivolgerà per esempio la campagna di D'Alema. "I primi che dobbiamo portare a votare sono quelli che si sono riconosciuti nel Pd prendendo la tessera", dice l'ex ministro degli Esteri. Interpretando le primarie come si interpretano i ballottaggi delle amministrative dove è necessario soprattutto mantenere lo zoccolo duro del primo turno. Se le previsioni sono esatte (due milioni per lo stesso D'Alema, tre secondo alcuni sondaggi) i cittadini che andranno ai gazebo possono sovvertire il risultato dei congressi locali, ma il dato degli iscritti resta una buona base di partenza. Ignazio Marino gioca da terzo incomodo, puntando a tenere i favoriti sotto il 50 per cento per diventare decisivo all'assemblea nazionale del 7 novembre che funzionerebbe come seggio elettorale decisivo per l'elezione del segretario. E anche il senatore-chirurgo schiera i suoi candidati di richiamo, a comninciare da Pietro Ichino in Lombardia. Mina Welby al Tuscolano contro D'alema, Michele Meta al Gianicolense, Civati a Monza, Calipari a Roma Val Melaina, il maestro di strada Marco Rossi Doria (maestri di strada) in Lombardia, Beniamino Lapadula (CGIL) Ferrara, Concia in provincia di Bologna, Simona Marchini nel Lazio, Francesco Siciliano a Rieti, Gianni Borgna al Prenestino, Carlo Rognoni in Liguria.

© Riproduzione riservata (13 ottobre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Il primo discorso tra la gente, in piedi su una sedia.
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2009, 07:01:08 pm
Il primo discorso tra la gente, in piedi su una sedia.

"Se stai accanto a questa gente trasmetti energia e ricevi energia. Forza concreta è la mia pedagogia politica"

A Prato comizio in un capannone "Ecco come cambierò il partito"

"Andiamo nei posti con le persone vere. I vecchi socialisti dicevano ai loro dirigenti: tornate ai vostri posti di lavoro"


DI GOFFREDO DE MARCHIS

A Prato comizio in un capannone "Ecco come cambierò il partito"
PRATO - Orditura Villanti, terzisti del tessile, periferia di Prato: è il primo giorno di Pierluigi Bersani segretario del Pd. È anche la fotografia del partito che vuole questo ex comunista emiliano piantato con le radici nella storia. "Né liquido né gassoso. Si deve dire Partito democratico e basta. Un partito che sta vicino alla gente normale. A tutti da ieri mattina dico: andiamo nei posti dove stanno le persone vere. I vecchi socialisti dicevano ai loro dirigenti appena eletti: tornate ai vostri posti di lavoro". Quando c'è, il lavoro. Qui a Prato, travolti dalla crisi, dalla concorrenza cinese, dalla globalizzazione, il posto fisso si perde in un attimo. A volte anche la vita. "Abbiamo avuto decine di suicidi tra i terzisti", racconta una signora al neosegretario.

Un dramma nascosto, che il governo dimentica. Il peggio è passato, dicono a Palazzo Chigi. Fabbriche, artigiani, operai, piccoli imprenditori, il brodo di coltura di Bersani sta tutto sotto il cemento di questo capannone.

"Il Paese ci mangia con questa roba", dice in perfetto bersanese indicando i telai. "E anche oggi un grande partito si costruisce da qui, magari salendo su una sedia. Come si faceva una volta". Applausi, quasi liberatori. Attorno al neosegretario si affollano i lavoratori, i titolari dell'azienda, i dirigenti locali. Una ressa paurosa di gente che si aggrappa all'ennesimo leader del centrosinistra. "Faremo un partito nuovo, non vecchio. Veramente democratico, come dimostrano le primarie, realizzando il dettato costituzionale". Associazione libera di uomini e donne. Senza fronzoli, senza troppa televisione. Che va al cuore dei problemi e fisicamente vicino ai problemi. "Darà un ruolo alle donne? Non lo so, credo proprio di sì. Sicuramente non mi accontento di simboli".
Così cambia il Pd, assicura Bersani. "Forza concreta, senza gli eccessi di una certa simbologia. Questa è la mia pedagogia politica. Se stai accanto a questa gente trasmetti energia, ricevi energia. Non esiste un partito senza truppe, noi dobbiamo recuperarle tutte. Se ti stacchi da loro finisci disorientato tu e finiscono disorientati loro". La sedia di plastica traballante invece del predellino, questo è il messaggio.

"Le primarie sono la risposta straordinaria di gente cocciuta e resistente che vuole contare. È la vera reazione al populismo berlusconiano, quello fatto di un popolo plaudente che unge il principe ogni cinque anni. Il nostro invece è un popolo di cittadini". Il partito sarà organizzato secondo uno schema che a dirlo appare semplicissimo. "Un primo cerchio, quello dei militanti, degli iscritti, più attivo e che avrà tutta la mia attenzione. Un secondo cerchio serve a tenere in piedi tutto questo, è fatto di elettori, della rete di associazioni, di Internet. Li chiameremo ancora ad esprimersi, non solo sul segretario. Sono un popolo bellissimo".

Bersani è un fiume in piena, al microfono le sue parole hanno anche una grinta che raramente ha mostrato in passato, sempre velata dall'abito ministeriale, ingabbiata nella competenza tecnica. Forse non diventerà un tribuno, ma ha alzato il volume.

Ha scelto Prato perché "sono figlio di artigiani" e perché ha avuto un'idea per l'esordio. "Dove li porto i tre milioni di cittadini che hanno votato ieri? Ecco, ho scelto una piccola impresa, il cuore della crisi". Il titolare della MG 94, altra azienda tessile, racconta appoggiato a un telaio: "Questa macchina è costata 80 milioni, oggi vale seimila euro. Tre committenti sono falliti quest'estate e non mi pagheranno mai. E io quando potrò andare in pensione? Quando muoio". Ora l'imprenditore ha gli occhi lucidi, Bersani se ne accorge, gli cinge le spalle, gli abbassa la testa e lo nasconde alle telecamere. Con i giornalisti si sprecano le parole sul futuro del Pd. "Franceschini? Troveremo un mestiere a tutti". "Rutelli se ne va? Abbiamo avuto una spinta straordinaria, nessuno può sottrarsi a una sfida tanto affascinante". "Il dialogo con la maggioranza? E' una parola malata, c'è il Parlamento per il confronto". "Le alleanze del Pd? Guardiamo a tutte le forze dell'opposizione". I pratesi chiedono altro. Una risposta alla crisi. Bersani non si tira indietro. "Il governo è una rosa con le spine. Deve usare il consenso per fare delle scelte, non cercare altro consenso con le sue decisioni. Ci vuole coraggio sennò uno chiude baracca e va a casa". Ci vorrebbe ora, domani una manovra contro la recessione. "Dare fiato alle imprese, mettendo i soldi direttamente nelle loro tasche, non in quelle delle banche". Come? "Per esempio chi ha fatto investimenti nell'anno orribile 2008 e non nel 2006 o nel 2007 avrebbe diritto a un credito d'imposta". Di questo si occupa un partito, delle cose vere. "I 3 milioni di domenica devono servirci a buttare giù il muro tra sistema politica, informazione e realtà". È il suo programma. È un'impresa.

© Riproduzione riservata (27 ottobre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Pd, tanti dubbi sul corteo "Molti dei nostri ci andranno"
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2009, 10:59:36 am
Penati: "Non snobbiamo la protesta del 5 dicembre". Lunedì la direzione con Bersani

Al Senato il gruppo dei Democratici già prepara mozioni con i progetti sulla giustizia

Pd, tanti dubbi sul corteo "Molti dei nostri ci andranno"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Organizzeremo iniziative comuni con Idv e Udc, daremo battaglia. Pierluigi Bersani ha preso di petto il tema giustizia, ma ora il ddl sul processo breve lo mette di fronte al primo grande bivio della sua segreteria. I toni alti, lo scontro frontale delle dichiarazioni sembrano avere uno sbocco naturale: la piazza. Il principale collaboratore di Bersani, Filippo Penati, avverte: "È un'ipotesi da non escludere".

Il segretario del Pd si prepara a discuterne nelle riunioni di lunedì con i segretari regionali e con la direzione, le sue prime uscite con gli organismi dirigenti dopo l'ascesa al vertice del partito. Nell'incontro che ha avuto con Antonio Di Pietro, quando ancora il processo breve non era sul tavolo, spiegò che non poteva aderire alla manifestazione dell'Idv contro Berlusconi. "Ma tu vai avanti, tanti militanti ed elettori del Pd, vedrai, saranno in piazza con te".

Dice ora Penati: "Quel corteo non lo snobbiamo affatto, sappiamo bene che potrebbero esserci tanti dei nostri". Tanto più che il 5 dicembre, nella manifestazione organizzata dai blogger, non ci saranno bandiere di partito. "Detto questo, un grande partito, se decide una mobilitazione popolare, lo fa su una sua piattaforma, non si confonde con quella di altri", continua Penati. Ma se la scadenza del 5 dovesse montare, se davvero il popolo democratico fosse ipnotizzato dalla protesta contro premier e leggi ad personam, Bersani dovrà tornare a spiegare la sua posizione e quella del partito.

Il segretario del Pd, abituato agli anni di governo nella sua regione l'Emilia, è un frequentatore di piazze sindacali, di picchetti davanti alle fabbriche, ma sembra più allergico agli appuntamenti "personali" e dichiaratamente ideologici. Alla vigilia del G8 di Genova (alla vigilia, è bene ripeterlo) commentava pasolinianamente la possibilità di essere nel corteo dei contestatori: "Se dovessi andare, starei dalla parte dei poliziotti", disse allora. Oggi tante cose sono cambiate.

Bersani è ora il numero uno del centrosinistra, il prossimo appuntamento elettorale, quello fondamentale delle regionali, è praticamente alle porte, la sua posizione sulla giustizia finora è stato molto chiara: sì a riforme fatte nell'interesse dei cittadini, no secco a provvedimenti per una sola persona, il Cavaliere. Ed è arrivato il processo breve.
Solo in apparenza i toni di Bersani, Casini e Di Pietro coincidono sul nuovo provvedimento che Berlusconi si è ritagliato su misura.

L'ipotesi di piazza continua a essere respinta dal leader centrista. "Il ddl è una porcheria, ma noi siamo coerenti: torniamo al lodo Alfano. E vediamo se il Pd sta dalla nostra parte o da quella di Di Pietro", dice il braccio destro di Casini, Roberto Rao. Il capogruppo dell'Idv alla Camera Massimo Donadi è contrario all'iniziativa unilaterale dell'ex pm ma ieri ha spedito una lettera ai capigruppo di Pd e Udc per proporre una mozione comune a favore delle dimissioni di Nicola Cosentino.

Il veltroniano Giorgio Tonini, avversario di Bersani al congresso, concede: "Possiamo anche scendere in piazza, certo, ma i veri riformisti devono avere un loro pacchetto di proposte. Non si limitano a difendere lo status quo". Al Senato il gruppo Pd sta già provando a presentare mozioni con i propri progetti. E in discussione potrebbe esserci anche un lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale: "Andrebbe valutato", dice Tonini. Ecco quindi la prima prova politica di Bersani segretario. "Il nodo esiste", ammette Penati. Come scioglierlo?

© Riproduzione riservata (14 novembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La "famiglia" socialista alla fine ha tradito Massimo
Inserito da: Admin - Novembre 20, 2009, 03:26:52 pm
IL RETROSCENA.

L'attesa della decisione con i fedelissimi nella Fondazione Italianieuropei

Schultz: "E' mancato l'impegno del governo italiano"

La "famiglia" socialista alla fine ha tradito Massimo


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Silvio Berlusconi chiama la mattina: "Adesso vado a Bruxelles e ci penso io. Proveremo fino alla fine, parlerò con i premier europei".
Ma quando arriva la telefonata del Cavaliere Massimo D'Alema sa già che la sua missione da difficile è diventata impossibile. In questi ultimi giorni ha parlato a più riprese con Poul Rasmussen, presidente del Partito socialista europeo e suo alleato nella corsa a Mister Pesc. Interlocutore giusto, perché proprio nella famiglia dei socialisti bisognava fare breccia, ma non abbastanza pesante.

"Sono stato frenato da Zapatero, da Brown, dagli accordi tra i governi per i commissari economici. E dal Pse", si è lasciato scappare D'Alema ieri sera dopo la bocciatura non più inattesa. L'accordo tra Gordon Brown e il primo ministro spagnolo ha stretto la corda intorno al collo del concorrente italiano. "Hanno dato diritto di precedenza a chi appartiene al Partito socialista europeo", è stata l'analisi fatta con la pattuglia dei fedelissimi che ha atteso con lui l'esito nella sede della fondazione Italianieuropei. Il Partito democratico è fuori da quel consesso, una scelta che è stata forse compresa dai laburisti inglesi, mai invece dal Psoe spagnolo, partito tra i più gelosi della storia e delle radici del movimento operaio.

D'Alema fa "gli auguri alle persone nominate". Non è pentito di aver giocato "una bella partita. È stato un onore essere candidato per un posto così importante".
La rabbia è concentrata sulla famiglia socialista. Il tentativo di depistaggio di Martin Schulz, custode dell'ortodossia socialista e capogruppo dell'Alleanza tra socialisti e democratici al Parlamento europeo, che ha accusato "il mancato impegno del governo italiano" ha innervosito ancora di più il candidato italiano.
D'Alema infatti non ha niente da recriminare sul comportamento di Palazzo Chigi e Farnesina.

Hanno fatto il possibile. Nemmeno una parola è stata pronunciata contro Berlusconi nella riunione del dopo-nomine alla presenza di Nicola Latorre, dell'eurodeputato Roberto Gualtieri e della portavoce Daniela Reggiani. E ha gradito la presa di posizione di Giorgio Napolitano che ieri pomeriggio dalla Turchia ha detto: "D'Alema ha le carte in regola per il posto di Mr. Pesc".

Quando sono scesi in campo i governi, scavalcando le decisioni del Pse, per D'Alema la strada si è fatta veramente in salita. Al di là delle ideologie e delle tradizioni, D'Alema sa bene che hanno contato altri fattori, ben più decisivi. Si è scelto di aiutare i britannici in difficoltà, a costo di portare avanti il nome poco prestigioso di Catherine Ashton, baronessa di Upholland.

Zapatero ne ha approfittato per dividersi con Nicolas Sarkozy e Angela Merkel le commissioni economiche, quelle con il portafoglio più ricco e il peso strategico maggiore.
"Ne è uscito un compromesso al ribasso - spiega Gualtieri -. Con nomine di profilo non eccelso". Pierluigi Bersani, il segretario del Pd sostenuto da D'Alema, è stato ancora più severo: "Non è una buona partenza per l'Europa di Lisbona. Hanno prevalso le ragioni di Stato e le esigenze del governo di Londra. Penalizzando le competenze".

D'Alema ci ha anche creduto fino in fondo. In alcuni momenti, ha avuto anche la sensazione di poter preparare le valigie. "Ho fatto il conto: al ministro degli Esteri europeo tocca un numero di vertici e riunioni superiore ai giorni dell'anno", diceva qualche giorno fa. Ma non si è mai nascosto i problemi. Mercoledì dava le sue quotazioni "al 20 per cento". Venerdì scorso, aveva incontrato riservatamente il premier ungherese sostenuto dai socialisti Gordon Bajnai, a Roma per un'udienza con il Papa. Bajnai gli aveva fatto un quadro piuttosto fosco: "Non è semplice. Ti remano contro i Paesi dell'Est e soprattutto alcuni premier del Pse". È andata proprio così. Adesso D'Alema torna a occuparsi del Partito democratico e di quello che ogni tanto gli piace definire "il cortile italiano".

© Riproduzione riservata (20 novembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Intervista al neosegretario del Partito democratico
Inserito da: Admin - Novembre 29, 2009, 03:11:43 pm
Intervista al neosegretario del Partito democratico

"Il No-B day?
Non è una sfida al Pd, molti di noi ci saranno"

Bersani: "Dialogherò sulle riforme solo se cade il processo breve"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Il processo breve è un'aberrazione agli occhi dei cittadini. Non accelera i procedimenti giudiziari, li abolisce. Perciò si parte da qui. Berlusconi ritiri la norma, poi si può avviare un confronto sulle riforme". A pochi giorni dal No-B day il neosegretario del Pd Pierluigi Bersani conferma la sua linea: le riforme ci vogliono ma senza leggi ad personam. E sulla piazza anti-Cavaliere dice: "Le parole d'ordine e i promotori sembrano mutati. Se sarà così e nessuno ci metterà il cappello andranno i nostri militanti e i nostri dirigenti".

Giorgio Napolitano chiede di fermare lo scontro tra le istituzioni e "più autocontrollo nelle dichiarazioni". Ce l'ha con i magistrati o con Berlusconi?
"L'iniziativa del presidente della Repubblica ha un rilievo particolare e inusuale. Io la interpreto così: in piena crisi sociale si rischia un avvitamento della politica che coinvolge e contrappone pilastri costituzionali. Questa è la sua preoccupazione. E ognuno dà la sua riposta. La nostra è: il governo ritiri il provvedimento che cancella i processi. Subito dopo si apra un confronto nelle commissioni parlamentari, a partire dalla bozza Violante, su una riforma che superi il bicameralismo perfetto, riduca il numero dei parlamentari e riveda i poteri reciproci di governo e parlamento. In quel contesto si possono affrontare anche le questioni del rapporto sistemico tra esecutivo, Parlamento e magistratura".

C'è anche il problema della magistratura?
"Il problema c'è e non ha trovato un punto di equilibrio in tutti questi anni. Ma non va risolto con leggi occasionali, con meccanismi ad personam che fanno deviare totalmente dall'obiettivo. Del resto, se ho ben interpretato, questo è anche l'invito del capo dello Stato. Non procedere mettendo "pezze a colori", ma inquadrando le riforme in un discorso di sistema. Aggiungo un mio personale suggerimento: accompagnerei il confronto parlamentare con risposte sui temi economici e sociali. In modo che chi è su quella trincea non si senta bypassato, isolato o peggio abbandonato".

Andando al sodo, se arrivasse un avviso di garanzia per mafia Berlusconi dovrebbe dimettersi?
"Non faccio scenari del genere, c'è già abbastanza frastuono. Mi limito a dire che quando il presidente del Consiglio fa battute su Cosa nostra abbatte valori e principi radicati profondamente nella coscienza del Paese. Il premier non può ridere della mafia".

Al di là delle leggi ad personam, ci si può mettere al tavolo con Berlusconi?
"Un partito riformista vuole le riforme. Naturalmente partendo dalle sue proposte. Il Pd ha intenzione di rafforzare il sistema parlamentare contro le derive plebiscitarie e populiste. Pone al centro la riforma elettorale contro una legge che consente di nominare i parlamentari. La risposta alla domanda comunque è: sì, noi le riforme le vogliamo. Ma la destra usa questa parola come un mantra per coprire soluzioni improvvisate e strumentali".

Se il processo breve andasse in porto, Napolitano dovrebbe rinviare la legge alle Camere?
"Per il lavoro del presidente della Repubblica c'è bisogno di silenzio e rispetto. Ognuno fa il suo mestiere e Napolitano fa bene il suo".

L'ex capo dello Stato Ciampi però si è sbilanciato: la firma va negata.
"Se fosse stato ancora al Quirinale sono convinto che anche lui avrebbe gradito il silenzio del segretario del maggiore partito di opposizione".

Circolano le prime indiscrezioni sulla manovra economica. Si vede qualcosa di buono?
"Manca l'essenziale. Nessuna manovra che non affronti tre punti, detrazioni fiscali per i redditi medio bassi, interventi veri sulle liquidità alle imprese, investimenti per gli enti locali che non possono spendere un euro e sono invece gli unici organismi in grado di far ripartire l'economia, coglie davvero nel segno. Tremonti venga in Parlamento ammettendo che il problema delle risorse esiste e con qualche idea. Se ce l'ha, siccome governare è una rosa con le spine di qualche spina possiamo farci carico anche noi".

Come fa un segretario eletto da tre milioni di persone a snobbare una manifestazione, il No-B day, cui hanno aderito centinaia di migliaia di cittadini e che nasce dalle associazioni, dalla società civile, non dai partiti?
"Una premessa: se si dice Berlusconi sì o no, dico no. Ma questo è il terreno che preferisce lui. Il terreno più favorevole a noli invece è: siamo sempre sui problemi mai sui problemi nostri. Su questa base faremo a dicembre la nostra campagna. Detto questo, non ho mai guardato al 5 dicembre con ostilità o sufficienza. Osservo anche mutazioni evidenti in quel corteo, sia dal punto di vista dei promotori che delle parole d'ordine. Sembrava essere nata più per strattonare il Pd che Berlusconi. Ora forse appare un'altra cosa. Un'iniziativa dei movimenti e non dei partiti. Se nessuno ci mette il cappello, se nessuno punta a creare una frattura delle opposizioni facendo un regalo al premier, saranno presenti militanti e dirigenti democratici".

Una delegazione ufficiale del Pd?
"Questi formalismi sono vecchi. Non esiste più la delegazione".

E il segretario parteciperà?
"Non sono l'unico dirigente del Pd e non voglio mettere il cappello sul corteo".

Potrebbe essere un modo per svicolare. Ma è vero che molti considerano la sua segreteria lontano dal leaderismo. Un bene o un male?
"L'ho detto subito: farò il leader a modo mio. E lavorare in collettivo è il mio modo. Ho spiegato che c'è bisogno di tutti e tutti devono far crescere una nuova generazione. Sono segretario da sole tre settimane e abbiamo messo 25 quarantenni in altrettanti ruoli chiave del partito. Non era mai successo prima. Il resto sono chiacchiere. Abbiamo già fatto due direzioni con 50 interventi. La famosa unità del partito si realizza nella discussione e nella trasparenza. Per un partito senza padroni non c'è altro modo di farlo lavorare utilmente per il Paese".

In nome dell'accordo con l'Udc è giusto sacrificare, candidandoli alle regionali, due amministratori appena eletti: Emiliano in Puglia e Zingaretti nel Lazio?
"Stiamo cercando alleanze larghe e di progresso per essere alternativi alla destra. Il Pdl fa i suoi conti trionfalistici sulla base dell'ultime europee. Ma noi siamo ben più forti di quei dati e combatteremo ovunque. Senza sacrificare nessuno, cerchiamo solo schieramenti più larghi. Nel Lazio credo che questo obiettivo si possa raggiungere a prescindere dalla figura di Zingaretti. In Puglia dobbiamo costruire un tavolo più grande di forze che ci consenta di far emergere una candidatura vincente".

I vostri ritardi però hanno fatto parlare Casini di inutilità del Pd. Anzi, della sua inutilità.
"Il punto non essere utile o inutile. Noi abbiamo una proposta generale, l'Udc segue la via delle geometrie variabili. Intendiamoci, la cosa non è impensabile. Se ragioniamo in chiave federalista, è giusto che scelgano i territori. Ma il dove, il come e la misura non può deciderla uno solo, cioè Casini. Diciamo che l'eccesso di pregiudiziali non aiuta. Comunque la discussione va avanti. E avremo dei risultati positivi".

© Riproduzione riservata (29 novembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Veltroni si schiera Incomprensibili esitazioni del PD
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2009, 03:58:07 pm
L'ex segretario: "No alle sfilate di politici ma è assurdo dire come fa la Turco, che andare in piazza è un regalo a Berlusconi"

No-B day, Veltroni si schiera "Incomprensibili esitazioni del Pd"


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Più gente va, meglio è". Walter Veltroni sposa la piazza del No B day.
Un'adesione piena alla ragioni di quella manifestazione, una sintonia assoluta con il popolo che la animerà. Prima di infilarsi nella seduta della commissione Antimafia, chiamata ad ascoltare Antonio Bassolino, il governatore cui aveva chiesto un passo indietro quando era segretario del Pd, Veltroni si ferma a parlare dell'appuntamento di sabato prossimo.

Lui fisicamente non ci sarà. "Alle 15 ho una presentazione del libro, poi il matrimonio di ex agente della mia scorta. Poi, non mi piace la sfilata dei politici davanti alle telecamere, questo no". Almeno su un punto sembra essere d'accordo con Pierluigi Bersani che "non vuole mettere il cappello su un corteo che nasce dal basso". Ma certe posizioni dentro il Partito democratico lo convincono davvero poco. "Ha letto cosa dice Livia Turco all'Unità?". Sfoglia il giornale, vuole essere sicuro di ricordare bene le parole della parlamentare dalemiana.
"Ecco qua, pagina 11. "Esserci vuol dire fare il gioco del premier". Sì, insomma, come se la piazza fosse un regalo a Berlusconi. Non sono d'accordo.
E certe esitazioni mi paiono davvero incomprensibili".

A chi lo ha chiamato in questi giorni per confrontarsi sul nuovo Pd, Veltroni ha mostrato le sue perplessità. Non ha capito dove può portare il dialogo con la maggioranza, come si fa ad aprire un canale con il Cavaliere in questo momento. Ma non è questo il momento per affrontare di petto la questione. Preme invece la data di sabato e le parole della Turco gli paiono davvero il frutto di un malinteso, per dirla con un eufemismo. "Perché dovrebbe essere un regalo? Tutt'altro - dice -. È un fatto molto positivo". Per questo Veltroni si augura una piazza piena, strapiena. Ad alcuni suoi fedelissimi del Pd ha consigliato di andare. Walter Verini, parlamentare democratico e suo braccio destro, gli ha detto che voleva andare. "Ottima scelta", ha risposto l'ex segretario. E avrà apprezzato la scelta di Verini, direttore dimissionario ma ancora in sella di Youdem, la tv del Pd, di trasmettere in diretta la giornata del No B day. I dubbi sull'esserci o non esserci li ha spazzati via la nuova forma dell'appuntamento.

"Non ci saranno le bandiere, non ci sono i partiti a promuoverla, non parleranno i politici dal palco. È la società civile che si muove, i movimenti". E se lo fanno "per denunciare la gravissima situazione democratica che stiamo vivendo, se lo fanno per promuovere e sostenere un radicale cambiamento di questa situazione, vanno appoggiati". Sa che c'è un pericolo di fondo, sa che qualcuno paventa una degenerazione dello spirito di sabato. E sa che il Pd è stato cauto anche per questo. "La piazza la capisco a condizione che non si trasformi in un bis di piazza Navona". Nel luglio 2008 il corteo organizzato da Di Pietro diventò la tribuna di un attacco al Quirinale, delle parole contro il Papa, delle accuse a Mara Carfagna. "Non devono ripetersi i toni, le parole e il clima di quel giorno", insiste Veltroni.

Dopo l'incertezza iniziale l'ex segretario dunque chiarisce la sua posizione. Nei prossimi giorni si attende la risposta di altri dirigenti del Pd. Non ha ancora deciso come comportarsi Dario Franceschini, lo sfidante di Bersani alle primarie. Ma il leader democratico ha confermato la sua linea: il Pd non ferma nessuno, saranno in piazza militanti e dirigenti, chi vuole vada e riempia il corteo. "Ma noi abbiamo le nostre proposte - ha ripetuto ieri alla prima riunione della nuova segreteria -. E il Pd non può seguire la strada del referendum quotidiano su Berlusconi. Anche perché il punto non è solo la questione giudiziaria. C'è il boom della disoccupazione, dati impressionati. Noi dobbiamo andare in piazza soprattutto per questo".

© Riproduzione riservata (2 dicembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Casini Contro i falchi del Pdl fronte della legalità Udc-PD
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2009, 09:21:45 am
Casini: "Per le riforme serve un fronte comune". "Io leader del centrosinistra?

Se continua l'attacco alla Costituzione, sono pronto"

Casini: "Contro i falchi del Pdl fronte della legalità Udc-Pd"

L'Udc dice no al processo breve, ma è pronta a discutere di Lodo e legittimo impedimento

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Si fida ma continua a mettere le mani avanti: "Se Berlusconi coltivasse, o avesse coltivato vista la smentita, l'insano proposito del voto anticipato avrebbe una risposta repubblicana". Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini pensa che questo sia il momento di un percorso costituente, non delle urne. Ma a Bondi che lo accusa di mirare alla guida del centrosinistra risponde: "In condizioni normali non mi preparo a niente. Se il Pdl invece punta a travolgere i poteri costituzionali, allora mi preparo a tutto". La speranza resta un'altra, "che Berlusconi prenda spunto da quello che gli è capitato per cambiare passo e toni, quando tornerà sulla scena".

Cambiare toni rispetto a Cicchitto, presidente Casini?
"Quello è il minimo. Sono amico di Cicchitto e gli dico chiaro e tondo che ha sbagliato. Si lamenta degli insulti alla maggioranza e poi usa lo stesso linguaggio. Mi auguro che le sue parole siano il frutto di un surriscaldamento temporaneo".

E se rispondessero a un percorso logico che arriva fino alle elezioni anticipate?
"Questo disegno francamente non lo vedo. Sono contento che Berlusconi, prima dell'incidente, l'abbia smentito. Ma in questi mesi abbiamo visto due Berlusconi. Il primo è quello del discorso di insediamento alla Camera, dell'emergenza Abruzzo, dell'intervento sul 25 aprile. Un Berlusconi pallido, purtroppo, perché è sparito subito. Sostituito dalla seconda versione: un premier arrembante, che attacca ferocemente gli organi dello Stato al quale non si può che rispondere con il linguaggio della fermezza".

O proponendo un fronte tra Pd, Udc e Idv, come ha fatto lei. I giornali di destra, per questo, l'hanno inserita tra i mandanti morali di Tartaglia.
"Se abbiamo voglia di ridere ridiamo pure. Se invece facciamo le persone serie, allora queste accuse rientrano nella categoria della miseria umana. Solo chi è in malafede fa finta di non capire la differenza tra la politica e l'odio. La politica contempla la presenza di valori diversi, l'odio prevede solo un mondo di nemici".

Ma il Cln contro Berlusconi implica la lotta contro un dittatore, no?
"Rispondo solo di quello che ho detto io. E che confermo. Se Berlusconi coltivasse, o avesse coltivato vista la smentita, l'insano proposito del voto anticipato avrebbe una risposta, come dire, repubblicana e nazionale".

Con voi ci sarebbe anche Fini?
"Questa risposta secondo me troverebbe dalla stessa parte anche molti esponenti del Pdl, non solo Fini".

Cosa significa cambiare passo?
"Non fare cadere l'appello del capo dello Stato al quale un po' tutti abbiamo risposto con un eccesso di strumentalità. Invece dobbiamo ripartire dal voto del Senato sulle riforme. L'ho detto l'altra sera, incontrandoli di persona, a Bersani e D'Alema. L'ho ripetuto al telefono a Berlusconi e a Gianni Letta. Questo è il momento di chiudere i falchi in gabbia e far volare le colombe. Di solito un partito intermedio come il mio si mette sulla riva del fiume e aspetta che implodano i grandi partiti per trarne un vantaggio elettorale. Noi al contrario vogliamo sederci al tavolo con Pd e Pdl per trovare una via d'uscita all'eterna transizione italiana".

Come?
"Con la riforma dello Stato a partire dal superamento del bicameralismo perfetto, dalla precisazione dei poteri del capo del governo, dalla rivisitazione critica del federalismo voluto dalla Lega che è affidato più ai decreti attuativi che alla legge".

Per arrivare a questo risultato, però, bisogna passare dal processo breve.
"Beh, se il Pdl vuole strumentalizzare l'aggressione a Berlusconi per far ingoiare il processo breve al Parlamento, si sbaglia di grosso. Troverà un fronte legalista nell'Udc e nel Pd. Ma sbaglierebbe anche il Pd a confinare i problemi giudiziari nel recinto privato del Cavaliere. Quei problemi riguardano tutti, anche noi. La strada, l'Udc l'ha indicata. Si è astenuta sul lodo Alfano ed è pronta a discutere del legittimo impedimento. A patto che sia soltanto una misura per il premier, come l'ha scritta Vietti".

Deve cambiare passo solo Berlusconi?
"No, tutti dobbiamo farlo. Ma ognuno rimane con le proprie convinzioni. A me non piace il trasformismo o l'arlecchinismo nazionale per cui adesso, dopo Milano, dovremmo abolire le critiche. Così come non mi piace l'idea di mettere a tacere le voci di Internet o della piazza con leggi speciali. Esistono già delle norme precise, basta applicarle".

Difficile che il Pdl si fidi di voi. Secondo Bondi, lei si prepara a fare il leader e candidato premier del nuovo centrosinistra.
"Non mi preparo a niente. In condizioni di normalità. In casi eccezionali mi preparo a tutto. Sono colomba ma fino a un certo punto. Se il Popolo delle libertà pensa di travolgere i poteri costituzionali, allora anche il mio ordine del giorno cambia".

Per le regionali le sue trattative sembrano più avviate con il Pd che con il Pdl. Sta per fare una scelta di campo?
"Non faremo un'alleanza nazionale né con il Pd né con il Pdl. Il turno di marzo per noi non sarà uno spartiacque perché continuiamo a voler cancellare questo bipolarismo. Io li capisco, però. La destra vorrebbe trascinarci in quella che Berlusconi pensa di trasformare in una sua campagna di santificazione. Il Pd in un centrosinistra non ci appartiene. E che non ci spaccino per buongoverno alcune amministrazioni di sinistra dove il buongoverno nessuno l'ha visto. Andremo con i candidati e i programmi più compatibili con noi".

Come digeriranno l'alleanza con Di Pietro i suoi elettori?
"Diciamo così: in condizioni di normalità io e Di Pietro siamo su due pianeti diversi. E io lavoro per una politica normale".

© Riproduzione riservata (17 dicembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS A Report e Rai Tre gli oscar della tv di qualità
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2009, 05:39:54 pm
Torna l'indice di gradimento: battute le altre due reti

Marano: "Il confronto è molto positivo per noi, battiamo Mediaset"

A Report e Rai Tre gli oscar della tv di qualità

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Alla Rai torna l'indice di gradimento e celebra il trionfo di Report, una delle trasmissioni più contestate di Raitre, da tempo nel mirino della maggioranza e in particolare di Giulio Tremonti. Milena Gabanelli sbaraglia i concorrenti, anche i programmi cosiddetti "per tutti", cioè con una vasta platea di potenziali sostenitori come "Ulisse" di Piero e Alberto Angela e "Alle falde del Kilimangiaro".

Le polemiche politiche non fanno nemmeno il solletico a Report che dal pubblico viene considerata "una trasmissione accurata, chiara, che rispetta le varie tipologie dello spettatore e divulga una pluralità d'informazioni". Una motivazione persino più gratificante del premio ideale. Altri format nel mirino berlusconiano sono in testa alla classifica di qualità: Che tempo che fa di Fabio Fazio (73 punti, la sufficienza è 56), Ballarò (63) mentre Porta a porta (60) e Annozero (59) camminano appaiati appena sopra la soglia di apprezzamento. E il Tg2 delle 13 batte il Tg1 delle 20.

L'indice di gradimento oggi si chiama Qualitel. È un'indagine condotta da Pragma Dinamiche su un campione di 7530 spettatori intervistati lungo il mese di novembre. Altri mezzi, altro approccio scientifico rispetto al passato. Il 6 scolastico corrisponde a 56, il 7 a 67, l'8-9 a 78. Il sondaggio, il primo del genere commissionato da Viale Mazzini (seguendo le indicazioni del contratto di servizio), è stato voluto dalla direzione generale, da Mauro Masi e dal vicedirettore generale con la delega sul prodotto Antonio Marano. Marano ha già mandato i risultati a tutti i direttori.

Sulla sua scrivania, al sesto piano di Viale Mazzini, è invece rimasto il dossier più riservato, quello che riguarda la concorrenza Mediaset. "Il confronto è molto positivo per noi - dice Marano -. Sì, battiamo le reti del Biscione. Ma anche loro hanno dei programmi di qualità".

Per i capi delle reti e delle testate la ricerca dovrà servire da bussola per valutare programmi ed edizioni dei tg. Non per tagliare teste, garantisce Marano. "Complessivamente, l'offerta della Rai conquista il 63 per cento di gradimento qualitativo. È un buon risultato, ma si può, si deve fare meglio. Per le trasmissioni meno apprezzare le attenuanti possono essere parecchie. I talk show che dividono di più o quelle con un target molto preciso sono penalizzate da questo metodo di sondaggio". Per esempio, X Factor, programma-cult di Raidue è sotto la sufficienza, non paga avere un pubblico di soli giovani e giovanissimi.

Il vero uso del Qualitel è calibrare una programmazione di valore sulla gigantesca piattaforma Rai come si configura oggi col digitale terrestre. "La Bbc ha 9 canali, noi 12. E da giugno l'80 per cento del Paese sarà digitalizzato", ricorda Marano. Il rapporto va letto e pesato per organizzare il palinsesto, spalmare la qualità su ogni canale ed evitare controprogrammazioni. Certo, anche per migliorare il prodotto. "Ma il dato complessivo ci dice che il pubblico giudica la Rai migliore di come la descrivono gli addetti ai lavori", puntualizza Marano.

Il vicedirettore generale considera carente l'offerta "comica" dell'azienda ed è a Zelig che si riferisce quando parla di qualità della concorrenza. Anche se "Parla con me", altra trasmissione bersaglio di critiche dal centrodestra, conquista un buon 65. Da leggere bene, con le lenti suggerite da Marano, i dati negativi della Domenica In di Giletti e Baudo (53) e In mezz'ora di Lucia Annunziata (51). Tra i bocciati, per dire, c'è la popolarissima soap di Rai3 Un posto al sole. L'edizione principale del Tg2 di Orfeo (67) batte di un'incollatura il Tg1 delle 20. Tutti i telegiornali Rai navigano sopra il "6". La fiction preferita è Don Matteo (62) seguita da Un medico in famiglia (61), il quiz più gradito è L'eredità (68), la Prova del cuoco (68) viene promossa.

Il Qualitel rivaluta anche l'Auditel perché i numeri quasi sempre coincidono. E sul tavolo di Marano compare il diagramma delle ultime rilevazioni. La Bibbia dei direttori Rai, l'incubo dei conduttori. E dal sorriso di Marano si capisce che continua a contare più dell'indice di gradimento: nel day time e nel prime time la Rai batte Mediaset sull'analogico e sul digitale.

© Riproduzione riservata (23 dicembre 2009)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. E il premier disse: io non voglio finire come Sarkozy
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2010, 10:30:43 am
RETROSCENA

Per Berlusconi l'incubo di un bis del voto francese: "Quei pollai televisivi favoriscono l'astensione"

"Anche i leader della sinistra chiamavano. E quella tv crea un clima di angoscia"

E il premier disse: nessun dietrofront io non voglio finire come Sarkozy

di GOFFREDO DE MARCHIS


"Sui talk show non si torna indietro. Volete che sia io a riaprire Annozero, a due settimane dal voto? Ma siete impazziti?". Niente può convincere Berlusconi a ridare voce a Santoro, Floris e Vespa. I "pollai" televisivi, come li chiama lui, creano quel "clima di angoscia" che si può trasformare nel nuovo fantasma scespiriano del Cavaliere: l'astensione di massa, fiumi di elettori moderati che restano a casa e puniscono senza pietà lui e il Pdl. Come è successo 48 ore fa all'alleato e amico Nicolas Sarkozy.

Non potevano perciò bastare la sentenza del Tar, l'indicazione chiara dell'Agcom per una ripresa dei contenitori informativi, i richiami di Zavoli e Garimberti, a convincere il premier. Nemmeno le intercettazioni dell'inchiesta di Trani, con le pressioni sul commissario alle Comunicazioni Innocenzi per tappare la bocca a Michele Santoro, sono un buon motivo per restituire, una volta disvelate, spazi di autonomia alla televisione di Stato. Anche perché Berlusconi non considera le sue telefonate un'interferenza sulla libertà di informazione, figuriamoci. "I premier della sinistra chiamavano i membri dell'authority della loro parte. Come io faccio con i miei. Nessuno mi può dare lezioni su questo e se insistono sono pronto a fare nomi e cognomi". Dunque i "pollai" Annozero, Ballarò, persino la non ostile Porta a porta devono rimanere sigillati. Tanto più ora. Si sta materializzando a Palazzo Grazioli un incubo capace di far perdere il lume della ragione: l'astensione record il 28 e 29 marzo. Da domenica notte, questo pericolo è diventato un mostro a tre teste, un film horror prodotto in Francia. "Visto cosa è successo a Sarkozy?", ha ripetuto per tutto il giorno il premier ai suoi interlocutori.

In Francia il grande alleato di Berlusconi, il leader di destra che punta sulla sicurezza, alimenta a ogni passo la sua grandeur e quindi tanto assomiglia al nostro premier, ha incassato una solenne batosta. Favorita dai suoi errori e da un astensionismo senza precedenti: 53,6 per cento. Elettori persi per strada che hanno punito soprattutto l'Ump. Il bruttissimo sogno può ripetersi nelle 13 regioni italiane tra due settimane. I socialisti francesi hanno superato di tre punti la destra (29 a 26) mentre tre anni fa erano ridotti ai minimi termini surclassati dal futuro marito di Carla Bruni. Al secondo turno il presidente francese può perdere in tutte le 22 aree metropolitane dove si vota. Non mancano le analogie: sono le ultime elezioni importanti in Francia prima delle presidenziali del 2012. Così come le regionali italiane sono il giro di boa finale in vista delle politiche del 2013.

 La risse televisive hanno spesso portato bene a Berlusconi perché nello scontro quasi fisico dei talk show, nel duello tra partigianerie, il popolo del Pdl trova gli stimoli per ricompattarsi e precipitarsi alle urne, quando è il momento. Ma i sondaggi del Cavaliere, di solito molto precisi, dicono che quel popolo è stanco. E può scegliere di "andare al mare". "Ai moderati - spiega Berlusconi - il clima di angoscia non piace, questo è il punto. Ma non devono cadere nel tranello dell'astensionismo". Un appello con il cuore in mano. "Non fatevi tradire dall'indifferenza - è la "supplica" berlusconiana ai suoi -. Sapete bene che non siamo noi i responsabili di questa situazione. È la sinistra a seminare odio e invidia sociale per l'avversario. Per sconfiggerli dovete andare a votare".

Berlusconi, abituato a mostrare sempre piena la bisaccia del centrodestra, ha fissato singolarmente un'asticella bassissima per le regionali. "Sarà un successo conquistare anche tre regioni, una in più della volta scorsa", si è lasciato sfuggire qualche giorno fa. Un dato preoccupante perché secondo i risultati delle Europee di un anno fa, Pdl e Lega dovrebbero passeggiare in dieci sfide su tredici. Giulio Tremonti, perfido, aveva profetizzato per il Pd la sorte di "partito appenninico", una forza minoritaria vincente solo lungo la dorsale che attraversa le regioni rosse Emilia, Toscana e Umbria. Ma se il centrosinistra conquista Lazio e Puglia, conferma Piemonte e Liguria, il quadro cambia. E in Italia, a differenza della Francia, non c'è nemmeno il secondo turno per riscattarsi.

© Riproduzione riservata (16 marzo 2010)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Veltroni: "La nostra gente è sfiduciata"
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 07:51:51 am
Franceschini attacca: "Risultato sotto le europee e l'Udc governa col Pdl"

L'ex sindaco: "Manca una alternativa credibile a Berlusconi"

Pd, la minoranza apre lo scontro interno Veltroni: "La nostra gente è sfiduciata"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "La linea politica di Bersani è fallita, l'ossessione delle alleanze ci porta al disastro. La prossima volta che facciamo, chiamiamo al tavolo anche Beppe Grillo?". Alza il tiro Dario Franceschini, si prende una rivincita sul congresso e attacca: "Mi girano le p... se il segretario dice che prima di lui il Pd era morto. I dati sono chiarissimi: il Pd è sotto il risultato delle Europee". Cioè, quello conquistato da lui. "Per di più con un partito unito, compatto. Figurarsi: ho persino digerito la candidatura sbagliata della Bonino", si sfoga il capogruppo. "Irrilevante al Nord, cancellato al Sud. E la strategia dell'intesa con l'Udc miseramente naufragata. Casini governa con il Pdl in Campania, Lazio e Calabria. Quando mai farà un patto con noi a livello nazionale?", sono i sassolini che si tolgono dalla scarpa i veltroniani interpretando il pensiero del primo segretario democratico. Paolo Gentiloni profetizza: "Faremo la fine del Pci. Per sempre all'opposizione, confinati nelle regioni rosse".

È partita la caccia a Pierluigi Bersani. Nessuno ne chiederà la testa. Pretenderanno il resto del corpo. Anche il dna. Linea politica, quella delle alleanze a tutto campo, da azzerare, ritorno sostanziale alla vocazione maggioritaria, ricambio della classe dirigente. Questi i paletti. Un commissariamento in piena regola. Inaccettabile per un leader pienamente legittimato dalle primarie.

Si riapre una stagione dei veleni nel Partito democratico. La resa dei conti, lo scontro permanente, le lotte personali. Bersani l'ha messa nel conto. A questa sollevazione immanente si deve una conferenza stampa di commento al voto tutta giocata in difesa, nel rifiuto del termine sconfitta, nella spiegazione articolata dei dati per dimostrare la tenuta. "Uno show imbarazzante", dicono gli avversari interni. Non ha voluto lasciare spiragli all'opposizione interna, il segretario. L'ha affrontata nella riunione notturna del coordinamento, l'organismo in cui siedono Veltroni, D'Alema, Fassino, Marini, Fioroni. Bersani, secondo gli oppositori, dovrebbe oggi far camminare sulle sue gambe la strategia degli sfidanti al congresso. "Ma il congresso l'abbiamo vinto noi. Franceschini e Veltroni per tre anni stanno in minoranza", dice battagliero il dalemiano Matteo Orfini. "Se il Pd non lo fa Bersani, lo farà qualcun altro", avverte però Giorgio Tonini. Lo strumento della Fondazione Democratica, che sta per nascere sotto l'imprimatur di Veltroni, può allargare il suo campo d'azione ancora prima del parto, diventare l'alter-ego del partito, incalzarlo, pungerlo, richiamarlo continuamente alle origini del discorso del Lingotto, frenarlo nella ricerca di intese fuori e dentro il Parlamento come vorrebbe Bersani.

Gli elettori scappano dal Pd, dice Gentiloni mostrando un grafico dei flussi elettorali nella riunione della minoranza. Solo il 58 per cento ha rivotato il simbolo con l'Ulivo. "L'Emilia si sta nordizzando", spiega Tonini. Da qui a 3 anni, giurano gli oppositori, nessuno pretende il cambio del segretario. "Nel frattempo che facciamo, discutiamo per mesi di Casini, Vendola e Di Pietro? Il Pd ormai è il partito della spesa pubblica, non parliamo ai ceti produttivi, dobbiamo ricominciare daccapo. Bersani resti al suo posto ma non si chiuda a riccio", insiste Tonini. La minoranza si organizza. Nei prossimi giorni convocherà a Roma un'assemblea dei consiglieri eletti che si rifanno alle proprie posizioni. La maggioranza risponde: Rosy Bindi propone riunioni della direzione e dell'assemblea nazionale. Si rischia una lunga guerra di logoramento. Antonello Soro fa la Cassandra, prevede esiti catastrofici: "Se tutti abbandonassero le rispettive storie personali, D'Alema, Veltroni, Franceschini, Fioroni, se ci fosse un sussulto di generosità, Bersani potrebbe guidare il partito riscoprendo lo spirito degli inizi, l'idea di parlare a tutto il Paese senza delegare ad altri pezzi di elettorato. Ma temo che in questo partito, uno sforzo del genere non lo vedremo mai".

© Riproduzione riservata (31 marzo 2010)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani: "Il vero test sarà nel 2011"
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 09:47:30 am
L'ex premier: "Il tramonto di Berlusconi è in atto, ma noi non lo intercettiamo

Il bipolarismo non funziona, ma sulla legge elettorale non abbiamo una proposta"

Bersani: "Il vero test sarà nel 2011"

Ma D'Alema incalza: ti devi schierare

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Le regionali? L'ultima tappa di una stagione precedente". Pazienza se Dario Franceschini si offende. Perché Pier Luigi Bersani deve difendere la sua segreteria nata pochi mesi fa da un vento che il centrosinistra conosce bene: il logoramento interiore, la battaglia dentro il suo orticello. "E non è vero che abbiamo tre anni per costruire un progetto: nel 2011 si va alle urne a Milano, Bologna, Napoli, Torino". Come dire: sarà quello il test della sua leadership. Un anno di tempo per trovare la rotta. Ma dopo l'euforia delle campagne elettorali (primarie e elezioni amministrative) il segretario ha potuto misurare i problemi. Ha cominciato a incalzarlo anche il suo alleato Massimo D'Alema, per esempio. Non solo dicendo "che il progetto non è credibile, non si percepisce l'alternativa". Molti, durante la riunione notturna dei big, l'hanno vissuta come una presa di distanza. "Pier Luigi ha ragione quando parla di inversione di tendenza - ha chiarito D'Alema -. Il tramonto di Berlusconi è in atto, ma noi non lo intercettiamo". No, il vero terreno su cui D'Alema ha suonato la sveglia al partito sono le riforme istituzionali. "Devi schierarti", è stato il suo messaggio diretto al segretario.

Su questo punto Bersani si è trovato tra due fuochi. Lo ha criticato Walter Veltroni, lo ha pungolato D'Alema. "Dobbiamo partire dalla riforme sociali, è vero, ma serve anche una riforma dello Stato. E il Pd deve offrire la sua autonoma risposta". Risposta che finora il segretario ha rinviato. "Il bipolarismo come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 15 anni è finito - ha continuato D'Alema -. Non il bipolarismo in assoluto, ma quel modello lì. Allora, per non subire l'iniziativa di Berlusconi, dobbiamo avere una nostra proposta". Questa proposta, finora, non si vede. Una legge elettorale sul modello tedesco, il maggioritario? Bersani non ha ancora definito un quadro chiaro della sua posizione. E l'altra notte sullo stesso tema (oltre che sulla sconfitta grave delle regionali) lo ha affrontato anche Veltroni. Avvertendolo dei pericoli "del presidenzialismo berlusconiano" e invitandolo a una scelta di campo opposta a quella immaginata da D'Alema. Ma comunque a una scelta di campo.

Ecco dunque una delle prove che Bersani si troverà ad affrontare nei prossimi mesi. Essere tirato per la giacca dai dirigenti più "pesanti" del partito, avere molte voci che propongono cose diverse. Significherà anche questo la formula scivolosa "nessuno mette in discussione il ruolo del segretario, non si cercano capri espiatori". Beppe Fioroni scansa i problemi istituzionali e punta dritto sulle riforme sociali: "Famiglie, imprenditori, artigiani. Non parliamo a nessuna di queste categorie. Dobbiamo avere proposte per loro". A Fioroni non è piaciuta la reazione iniziale del gruppo dirigente intorno a Bersani. "Discutono di problemi organizzativi, del territorio, di come occuparlo. L'organizzazione non c'entra niente in questa sconfitta". Senza chiedere la testa di Bersani, tutte queste voci sembrano chiedere anche la riapertura del congresso, la correzione di una linea vincente. Bersani non ci pensa proprio, ma è disponibile ad aprirsi ancora più di prima. Già ieri, dopo la debàcle al Nord, si è sentito con Sergio Chiamparino. Il sindaco torinese lo ha difeso, "ha fatto il massimo" è stato il suo commento. Ma non nasconde i problemi di quella macro-area. E ha suggerito l'idea di un coordinatore plenipotenziario per l'Italia settentrionale. Un ruolo che potrebbe essere adatto allo stesso Chiamparino, in scadenza il prossimo anno dal mandato di primo cittadino. Non solo problemi però per il leader democratico. Bersani ha accolto con un sorriso la dichiarazione d'amore di Marco Pannella: "Con Pier Luigi in sella mi piacerebbe prendere la tessera del Pd". "Peccato che nel nostro statuto non ci sia la doppia tessera", è stata la risposta di Bersani. 
 

© Riproduzione riservata (01 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il retroscena: Treu, Ichino e Livi Bacci
Inserito da: Admin - Aprile 05, 2010, 12:17:35 am
Il retroscena: Treu, Ichino e Livi Bacci

"Non vogliamo un organo di corrente, sarebbe un'arma in mano ai vecchi leader"

"No a Veltroni capo di Democratica"

Rivolta nella Fondazione, slitta il lancio

di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Una riunione molto agitata e alla fine aggiornata a tempi migliori. Doveva essere l'occasione per lanciare Fondazione Democratica, un po' think tank, un po' scuola di formazione legata al nome di Walter Veltroni. E al suo ruolo nel futuro prossimo del centrosinistra. Doveva diventare il momento giusto per indicare come presidente dell'associazione l'ex sindaco di Roma. È finita piuttosto male con una vera e propria rivolta anti-Walter. "Non vogliamo partecipare a un organo di corrente, non siamo a disposizione di nessuno", è stato il ritornello di alcuni partecipanti. Meglio rinviare il lancio, dunque, e tornare a riunirsi intorno al 20 aprile, con più calma.

I nomi dei "rivoltosi" sono di un certo calibro. Tiziano Treu, Pietro Ichino, Massimo Livi Bacci, Albertina Soliani, Claudia Mancina, Mariangela Bastico. Tutti membri del consiglio di amministrazione o supporter autorevoli della Fondazione Scuola di politica, la radice da cui dovrebbe nascere "Democratica". Alcuni di loro si sono visti martedì sera, in una sede al centro di Roma, per ascoltare le proposte del deputato veltroniano e direttore di "Scuola di politica" Salvatore Vassallo, apripista dello sbarco di Veltroni alla guida della nuova sigla culturale. "Creo una scuola perché una generazione rischia di considerare la politica come un mestiere. Ma la politica non è un mestiere - aveva detto qualche settimana fa Veltroni -. È una vocazione. Se non è così, è una schifezza in cui tutto diventa possibile".

Ottime intenzioni, nessuna trama correntizia da parte dell'ex segretario, a onore del vero. Eppure le sue rassicurazioni non hanno frenato il malcontento. "L'idea originaria era di fare una scuola a disposizione del Pd. Se adesso si trasforma in uno strumento a disposizione di Veltroni, cambia tutto e io non ci starò dentro", ha spiegato il senatore Treu alla riunione di martedì. "Non voglio, cioè, che Democratica diventi simile a Italianieuropei o a Red e rappresenti solo una parte del Pd". Il giuslavorista Ichino, presente all'incontro, ha condiviso le parole del collega.

Quella sera era invece assente per motivi di salute la senatrice Soliani. Ma la sua posizione è chiara: "La fondazione non si deve legare a nessuno dei capicorrente democratici e alle loro vicende personali. Non può essere un'arma in mano a qualcuno dei vecchi leader". Anche il senatore e demografo Livi Bacci martedì aveva un altro impegno. "Comunque, il mio pensiero è questo: la scuola serve a rafforzare tutto il Pd. Se cambia la sua natura e diventa un organo di corrente non mi sta più bene e non mi avrà tra i suoi sostenitori". Lo spettro da non replicare, per questi dissidenti, è l'esperienza di Red, costola di Italianieuropei, usata dai dalemiani per contestare la leadership veltroniana.

Agli argomenti della rivolta hanno dato man forte anche la Mancina e la senatrice Magda Negri. Alcuni raccontano dei forti dubbi di Michele Salvati, attuale presidente di "Scuola di politica", per la piega che starebbe prendendo la fondazione. Vassallo ha spiegato martedì quali buoni motivi dovrebbero aprire le porte a Veltroni. Fra gli altri, la possibilità di avere maggiori risorse economiche con finanziatori più sensibili grazie al richiamo del nuovo presidente, Veltroni appunto. "Scuola di politica" organizza già da un po' di tempo dei corsi estivi partecipati e di ottimo livello a Bertinoro, in Romagna. Ma le sue casse languono e anche durante la segreteria Veltroni non sono state granché aiutate.

Ma per i rivoltosi il problema è politico, non di soldi (peraltro Enrico Morando pensa all'azionariato popolare, modello Real Madrid: tutti soci alla pari). Naturalmente, Veltroni chiarirà personalmente, nei prossimi giorni, la sua posizione, proverà a spazzare via gli equivoci che si sono creati. Democratica nascerà ugualmente, con o senza i vecchi sostenitori. Meglio con, però. E senza strappi.

© Riproduzione riservata (04 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: DE MARCHIS. D'Alema: costituente democratica con l'ex leader di An e Casini
Inserito da: Admin - Aprile 17, 2010, 11:36:04 pm
IL CASO

D'Alema: costituente democratica con l'ex leader di An e Casini

Il presidente del Copasir: "Se il Pd avesse un piano potrebbe trovare interlocutori a tutto campo".

Lite con Franceschini. Il capogruppo: alleanze fantasiose

dal nostro inviato GOFFEDRO DE MARCHIS


VALMONTONE - Ora e qui. Il Pd deve presentare subito il suo progetto di riforme istituzionali. L'emergenza è adesso, dice Massimo D'Alema, "ci vorrebbe un costituente democratica" e se il Pd avesse già pronto un piano potrebbe "trovare interlocutori a tutto campo", a cominciare da "Fini e Casini".

Così il presidente del Copasir entra nel "divorzio" tra Berlusconi e il presidente della Camera. "Se noi facciamo una proposta - ripete - Fini e Casini discuteranno con noi". Non dice quale dev'essere la riforma, ma esclude in maniera categorica il presidenzialismo. "Un partito non autoreferenziale evita di avanzare ipotesi che fanno da sponda a Berlusconi. Non si cancella un potere sopra le parti facendolo diventare di parte. Altrimenti si indebolisce il Paese". Un'altra idea invece sarebbe benvenuta. "Possiamo dare la forza di rompere le gabbie di liberarsi a chi si sente prigioniero dall'altra parte".

Al convegno della componente Liberal del Pd, organizzato da Enzo Bianco a Valmontone, i protagonisti sono Pierluigi Bersani, D'Alema, Dario Franceschini, Ignazio Marino, Luigi Zanda, Manzella e Maccanico. Si affilano le armi per la direzione di oggi. All'ex ministro degli Esteri risponde il capogruppo alla Camera e si avvia lo scontro. "Non dobbiamo partire dalle alleanze, ma dalla nostra identità". Frena sulle riforme. Dice, provocando la reazione dura di D'Alema, che "se Fini si piega anche stavolta è difficile dargli credito in futuro". E al sogno di una "costituente democratica" con Fini e Casini, che sembra in tutto e per tutto il disegno di un nuovo asse per le riforme, Franceschini risponde: "Il presidente della Camera? Con lui si può fare una battaglia insieme solo c'è un'emergenza democratica. Ma la sua partita è nel centrodestra. Il resto sono fantasie".

Il duello dialettico si gioca anche sul bipolarismo, sul ruolo dell'Udc, difeso da D'Alema. "In questo bipolarismo il problema non è il potere di ricatto di chi ha l'8%, ma di chi ha lo 0,5. E non mi si dica che io penso solo alle alleanze. Sono strumenti da comizio, solo slogan". D'Alema si stupisce per il muro eretto davanti a Fini in questo momento. "Lui non è solo quello che contesta Berlusconi nella destra. Può essere un interlocutore vero sui contenuti, con me lo è stato. Su immigrazione e bioetica". Il ragionamento è chiaro: "La rottura nel Pdl è nettissima, politica. Non so se questo sfocerà in una crisi parlamentare, ma il rischio c'è". E il Pd ne deve approfittare, senza perdere tempo. Anche per questo D'Alema si schiera con Andrea Orlando. "Sulla giustizia ha fatto una proposta interessante, apprezzata anche dai magistrati".

A Bersani tocca il compito di tenere unito il partito, tanto più ora. Quindi anche Franceschini e D'Alema. "Votare adesso sarebbe una follia", dice il segretario. Si toglie un sassolino dalla scarpa: "Avevo detto che il Pdl non ha vinto le elezioni. I fatti ci stanno dando ragione altrimenti perché questa frattura?". Condivide però l'idea di una crisi irreversibile del sistema. Difende il ruolo del capo dello Stato così com'è oggi: "Dà equilibrio e garanzia". Su Fini però resta cauto: "Un interlocutore? Per il momento sta di là". L'obiettivo è non dividere oggi alla direzione il Pd proprio mentre il centrodestra deflagra.

Ma il confronto potrebbe essere aspro. L'anteprima l'ha offerta sempre D'Alema polemizzando con il moderatore Stefano Menichini, direttore di Europa. Si parla di Puglia e di Vendola, un contestatore della sala rivendica il ruolo di Nichi. "Avremmo vinto anche con Boccia alleati all'Udc - risponde D'Alema -. Abbiamo vinto a Bari, Foggia, Taranto, Brindisi. E lì Vendola non era candidato".

© Riproduzione riservata (17 aprile 2010)
da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Scoppia un caso su Saviano
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2010, 06:58:15 pm
Scoppia un caso su Saviano

La Rai taglia la trasmissione 

Al Cda di martedì le puntate preparate dallo scrittore con Fabio Fazio.

La squadra del conduttore di Che tempo fa: "Se dimezzano, non se ne fa niente".

Ma a viale Mazzini temono le serate sull'Aquila e sui rifiuti

di G.DE MARCHIS


ROMA - Come il sarto di Gomorra, anche la Rai si prepara a usare le forbici. Contro Roberto Saviano. La trasmissione che lo scrittore condurrà su Raitre con Fabio Fazio rischia di essere ridimensionata, passando da 4 serate a due. Taglio netto. Che non si giustifica soltanto con la pubblica idiosincrasia manifestata dalla maggioranza e da Berlusconi per l'autore del best seller sulla criminalità organizzata. A Viale Mazzini infatti sono arrivate indiscrezioni sugli argomenti che Saviano vuole trattare in "Vieni via con me", il nome del programma. Una puntata sarà dedicata a Piergiorgio Welby, il malato che chiese e ottenne la sospensione dell'alimentazione forzata per morire. Un'altra alla 'ndrangheta. Ma sono i titoli delle altre serate ad attivare le antenne dei dirigenti al settimo piano. Saviano sta scrivendo due puntate che possono gettare un'ombra sui fiori all'occhiello del governo Berlusconi, peraltro già appassiti dopo l'inchiesta sulla cricca e Guido Bertolaso: una sulla ricostruzione post terremoto in Abruzzo, la seconda sulla vicenda dei rifiuti in Campania.

Nella squadra di Fazio e Saviano l'allarme è già scattato. E la reazione a caldo è da arma finale. "Se ci tolgono due puntate non vanno in onda neanche le altre. Il programma non si fa", tuonano. O tutto il pacchetto o niente. Anche perché la scelta della Rai sarebbe inspiegabile dal punto di vista aziendale. Gli special di Saviano a "Che tempo che fa" hanno avuto enorme successo e la pubblicità per "Vieni via con me" si vende come il pane. Cancellare o ridimensionare la trasmissione è un autogol economico.

I palinsesti per la nuova stagione arrivano sul tavolo di Mauro Masi stamattina. Poi toccherà al consiglio di amministrazione battagliare e decidere, nella riunione di martedì. Ma a Viale Mazzini confermano l'ipotesi del taglio. "Vediamo. Dobbiamo coordinare i programmi su tutte le reti. Forse andranno due puntate quest'anno e due l'anno prossimo". È una soluzione non gradita allo scrittore e alla sua produzione, che sono invece pronti a partire a fine ottobre per quattro serate al mercoledì. Martedì il cda esaminerà anche il taglio di "Parla con me". Il programma, nella bozza circolata ieri, perde una serata sulle quattro settimanali, a vantaggio delle trasmissioni sui 150 anni dell'Unita d'Italia che verranno spalmate anche su Raidue.

Ma i consiglieri affrontano anche il caso Ruffini. L'ex direttore di Raitre è stato reintegrato al suo posto dal giudice. Il suo successore Antonio Di Bella non ci pensa proprio a fare resistenza se non si troverà una soluzione adeguata. "Sono pronto a dimettermi se verrà deciso il reintegro del mio amico Ruffini - avverte Masi -. E fino a quel momento difendo l'autonomia della rete". Come ha fatto anche la Dandini chiedendo di non toccare il programma, per esempio. Il direttore generale quindi deve trovare una via d'uscita. Pensa di proporre a Ruffini la direzione di Raicinema (andando incontro a un no) o la guida di Rainews24, con l'inevitabile sollevazione di Corradino Mineo, già impegnato in una protesta con sit in (oggi) per le parole del viceministro Paolo Romani. Ruffini ha detto a Repubblica: "Voglio tornare a Raitre". E la sentenza del giudice del lavoro è esecutiva. E secondo alcuni consiglieri e lo stesso presidente Garimberti, dicono le voci di corridoio, o Masi trova la strada oppure martedì il cda deve rimettere al suo posto Ruffini. Monta la protesta da destra e sinistra anche per l'ipotesi di uno stop al Fatto del giorno di Monica Setta.

(04 giugno 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/04/news/scoppia_un_caso_su_saviano_la_rai_taglia_la_trasmissione-4560133/?ref=HRER2-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bondi: "L'alleanza con Casini? Scelta legittima ...
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2010, 10:38:52 am
GOVERNO

Bondi: "L'alleanza con Casini? Scelta legittima, Bossi deve capire"

Il ministro della Cultura: anche Bersani si apra al confronto. Il leader della Lega ha la sensibilità politica e il buon senso per guardare con rispetto a questo processo politico


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - È un altolà al veto di Bossi sull'allargamento della maggioranza a Casini. Nella forma moderata, soft tipica del coordinatore del Pdl e ministro della Cultura Sandro Bondi. Ma la sostanza non cambia. "Il leader della Lega - dice Bondi - possiede il buon senso e la sensibilità politica per guardare con rispetto a questo processo politico, che non intacca minimamente l'attuale alleanza".

Le minacce del Carroccio però sembrano molto serie.
"Qualche giorno fa sulla Padania ho scritto che l'alleanza tra il Pdl e la Lega è indispensabile per modernizzare l'Italia. E ho aggiunto che tra il Pdl e la Lega esiste un nucleo di valori comuni. Ma non posso non considerare che Pdl e Udc fanno parte allo stesso titolo del Ppe e perciò, anche al di là di una comune ispirazione moderata, condividono gli stessi valori di fondo e gli stessi programmi. Per questa ragione, è legittimo che il Pdl continui a perseguire un diverso rapporto con l'Udc, fino a non escludere la possibilità di un riavvicinamento e di una nuova alleanza di governo. Fermo restando il rispetto per la coraggiosa scelta di autonomia di Casini".

Un Pdl diviso è in grado di fare questa operazione? Alemanno sostiene che la vostra gente è stanca dello stillicidio di polemiche tra Fini e Berlusconi. Schifani si augura una pace subito o una rottura definitiva.
"Sono stato probabilmente il primo a dire chiaro e tondo che Fini aveva il merito di aprire una dialettica democratica all'interno del nostro partito. Il problema che ho posto in diverse occasioni è il modo in cui questo confronto viene inteso e condotto. Il modo di questo confronto ha a che fare con la saggezza della politica. Non riesco a concepire Fini come il capo di una corrente interna. Tanto più nel mentre riveste la responsabilità di presidente della Camera, non lo vedo impegnato in una polemica quotidiana con il premier. Lo vedrei di più come co-protagonista, con le proprie idee, del cambiamento del Paese".

Se il Pdl si sfasciasse quali sarebbero le conseguenze? Per il partito ma soprattutto per il governo.
"Il Pdl è un traguardo irreversibile, almeno per i nostri elettori. Sono certo che se prevarrà la razionalità della politica, la saggezza della politica, sapremo riprendere la strada maestra indicata dai cittadini".

Schifani parla di mossa ad effetto di Berlusconi in caso di divorzio. Lei a cosa pensa?
"Credo che mai come in questo momento Berlusconi stia seguendo un percorso ispirato alla politica, alla pazienza certosina e allo sforzo quotidiano di costruire una prospettiva politica solida per il Paese".

Ci sta riuscendo?
"Per fare questo ha bisogno di interlocutori seri e credibili, sia all'interno del partito e penso naturalmente a Fini che fuori del partito, mi riferisco al Pd. Interlocutori capaci di assumere posizioni politiche aperte ad un confronto non lacerante e distruttivo".

Verdini, Cappellacci, il dossier su Caldoro: nel Pdl esplode una gigantesca questione morale. Verdini e Cosentino non dovrebbero dimettersi?
"La questione morale affonda nel sistema partitocratico, che ci è completamente alieno. Per il resto, la cultura del Pdl non è quella del giustizialismo, tanto meno della condanna anticipata tramite i giornali. Questo principio vale per tutti: per i nostri avversari politici e anche per gli esponenti del nostro partito. Compreso Denis Verdini, a cui va la solidarietà di tutto il Pdl. Per quanto riguarda la vicenda campana è noto a tutti che pur essendo io stato amico di Cosentino ho fin dall'inizio, indipendentemente dalle inchieste, proposto il nome di Caldoro per la regione".

Berlusconi odia le correnti. Ma sono uno strumento democratico.
"Le correnti evocano il passato peggiore delle grandi formazioni politiche. Berlusconi prospetta un nuovo movimento politico fondato prevalentemente sugli eletti, privilegiando una partecipazione democratica capillare e resa possibile da strumenti più moderni. Diversi dal semplice tesseramento".

(12 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/12/news/bondi_intervista-5526326/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Vendola: "Posso essere l'Obama bianco ho già spiazzato ...
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2010, 12:28:29 pm
L'INTERVISTA

Vendola: "Posso essere l'Obama bianco ho già spiazzato i cecchini dei dossier"

Il Governatore pugliese e leader della SEL: spariglierò il centrosinistra. La vera storia del caso Marchionne

"D'Alema dice che ci sono politici- poeti migliori di me?

Una cosa è sicura: i prosatori del Pd dovranno pur fare un rendiconto, visto che il loro genere letterario ha portato solo sconfitte 

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Se lo paragonano a Barack Obama, se lo chiamano l'Obama bianco, non si schermisce: "È una definizione sconfinatamente lusinghiera. Il presidente americano ha rappresentato la corsa di un outsider. Ha sparigliato nelle primarie, come vorrei fare anch'io, i giochi di palazzo del grande partito democratico. Ha usato un suo svantaggio apparentemente incolmabile, il fatto di essere nero, di venire da una certa periferia, capovolgendolo in un elemento di consenso". Nichi Vendola prende molto sul serio la sua candidatura a leader del centrosinistra. E non lo fa certo da solo. Per dire: mercoledì sera a Roma c'erano più di tremila persone sedute sul prato ad ascoltare il suo dibattito alla festa di Sinistra e libertà.

Presidente Vendola, perché ha lanciato la sfida così presto, "fuori contesto" dice Bersani? Non è anche un tradimento al mandato pugliese ottenuto appena 4 mesi fa?
"Per me era importante rendere esplicita questa opzione che se posso dirlo non è solo una mia libera scelta, ma espressione di una connessione sentimentale con un popolo. Ed è un impegno che esalta il mio lavoro in Puglia. Il contrario di una fuga. Era anche importante farlo perché altrimenti una candidatura che cresceva nelle cose e nelle piazze ma che io non ufficializzavo mi esponeva a essere facile target per i cecchini. Mi sono fatto un po' le ossa e so che la lotta politica si può fare con i dossier, i gossip, la diffamazione. Una candidatura esplicita ridimensiona questi rischi. Oggi infatti renderebbe evidente il carattere strumentale di certi attacchi, come è successo nelle primarie pugliesi. Allora, il tentativo di coinvolgermi in un'inchiesta assurda incontrò una reazione straordinaria della gente".

Sta dicendo che il centrosinistra potrebbe fare a lei quello che il Pdl ha fatto a Caldoro in Campania?
"Io parlo della cattiva politica, che sta dappertutto. A sinistra e a destra".

Non la spaventa la definizione di Obama bianco, che alcuni usano con sarcasmo?
"Mi lusinga. Quando la politica diventa un incontro forte con la vita e con le sue domande allora si ha davvero la percezione che sia il campo dell'alternativa. È l'ingresso del principio speranza di Ernst Bloch, è l'utopia di Altiero Spinelli capace di immaginare al confino il manifesto del federalismo europeo. È uno sguardo sul futuro. Così è andata in America".

Ma questa è l'Italia.
"In Puglia ha funzionato, può funzionare in tutto il Paese. La Puglia è uno dei laboratori della destra, è il luogo del tatarellismo. Qui non ho sconfitto una destra qualunque, ma una politica con una classe dirigente qualificata".

Cosa vuole dire quando parla di nuovo "racconto", di una diversa "narrazione"? D'Alema ironizza su queste suggestioni.
"Non parlo di letteratura, non penso mica a Cesare Pavese. Vuole un esempio concreto?".

Sì.
"Quando una parte del Pd ipotizza che per battere Berlusconi si può fare un governo con Tremonti ferisce a morte la possibilità di uno sguardo autonomo, di un pensiero originale. Tremonti ha trasformato l'Italia in uno stato sudamericano, ne ha fatto uno dei Paesi più squilibrati socialmente e più ingiusti al mondo. Ma il ceto politico vive dentro il Palazzo e cerca le forme dell'estromissione del sovrano senza rendersi conto che il punto è mutare la cultura del regno".

D'Alema dice che se la politica è poesia, beh ci sono poeti migliori di lei...
"Una cosa è sicura: i prosatori del Pd dovranno pur fare un rendiconto di questi anni visto che il loro genere letterario ha portato solo sconfitte".

L'unico ad aver battuto due volte Berlusconi è stato Prodi. Un personaggio molto diverso da lei, un moderato.
"Prodi ha rovesciato alcuni modelli di lotta politica. A me piaceva il tono elevato del suo discorso antipopulista. Mi piaceva la costruzione di una leadership per strada rompendo l'autoreferenzialità del ceto politico. Per me è un esempio da guardare con molta attenzione. Ma non c'è un prototipo e l'idea che si vince solo giocando al centro è davvero fuori tempo e fuori contesto. Appartiene al cinismo che tanto affascina il Palazzo ma ha il difetto di partorire insuccessi a ripetizione. È l'espressione di una straordinaria inadeguatezza culturale".

La Fiat dopo Pomigliano porta la fabbrica in Serbia. La sinistra ha reagito bene?
"Marchionne è uno dei protagonisti della cattiva globalizzazione per cui si mettono in competizione 2 miliardi e mezzo di operai dei Paesi emergenti e 1 miliardo e mezzo di operai dei Paesi occidentali. Una competizione la cui logica conseguenza si chiama schiavismo. In forma moderna, ma schiavismo. La destra fa il suo mestiere: difende l'accordo di Pomigliano, esulta al Senato quando si licenziano i lavoratori di Termoli. Questo è il loro racconto. E quello della sinistra? Il Pd ha prodotto o imbarazzanti e imbarazzati silenzi su Pomigliano o delicati rimbrotti metodologici sul trasferimento in Serbia".

Alla prima uscita da candidato ha definito eroe Carlo Giuliani mettendolo sullo stesso piano di Falcone e Borsellino. Un errore grave, no?
"Per fortuna esiste Youtube, esiste il sito www.lafabbricadinichi.it. 1 Si può vedere e toccare con mano. Non ho mai messo Giuliani sullo stesso piano di Falcone e Borsellino. Ma ricordare cos'è stato il luglio del 2001, la sospensione della democrazia che ci fu a Genova, mi pare doveroso. Le cricche dello squallore agirono anche alla Diaz e a Bolzaneto e appartengono alla storia verminosa e oscura di un potere violento. Si può dire questo o è vietato?".

(25 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2010/07/25/news/vendola_posso_essere_l_obama_bianco_ho_gi_spiazzato_i_cecchini_dei_dossier-5812129/?ref=HREC1-2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Pd, sulle primarie il gelo di Bersani
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2010, 10:50:41 am
LA POLEMICA

Pd, sulle primarie il gelo di Bersani

"La priorità va data alla coalizione"

Dubbi soprattutto nell'ipotesi di un patto con l'Udc. Cacciari: bisogna farlo subito. Il segretario ripete: "Inventate da noi, le faremo".
Ma il "dogma" non è più indiscutibile, e l'autocandidatura di Vendola risveglia gli anti-gazebo

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Prima c'è la politica, poi i gazebo". Nelle parole di Pier Luigi Bersani e dell'attuale gruppo dirigente del Pd non c'è una bocciatura delle primarie per la scelta del candidato premier ("le abbiamo inventate noi e le faremo", ha ripetuto qualche giorno fa il segretario), ma una distanza culturale sì. Politica non significa necessariamente politicismo. Quando Bersani insiste sulle "primarie di coalizione" vuole soprattutto dire che oggi la coalizione non c'è. Non per i ritardi democratici, spiegano i bersaniani, ma perché si aspetta di sapere cosa succede nell'altro campo. Un'implosione del centrodestra? O un patto sul filo di lana tra Berlusconi e Fini? Casini a quel punto verso quale lato guarderebbe? Se Pd e Udc dovessero alla fine avvicinarsi, com'è nei sogni di Bersani, le primarie sarebbero l'ultimo dei problemi. Bisognerebbe innanzitutto costruire l'alternativa Berlusconi e solo in fondo al cammino della consultazione per la premiership, per niente amata dai centristi.

La discesa in campo di Nichi Vendola ha rotto le uova nel paniere di un Pd aperto a varie soluzioni e speranzoso di movimenti in uscita dal Pdl. Da qui le reazioni fredde, a volte acide. Ma sta facendo venire allo scoperto lo scetticismo, se non la vera e propria ostilità dei democratici nei confronti delle primarie. Ed è destinata ad aprire un fronte di scontro tra le varie anime di Largo del Nazareno. Anche a breve. Franco Marini le aborrisce e non ne ha mai fatto mistero. Massimo D'Alema evita di prenderle di petto, ma spesso le ha commentate con sarcasmo non lusinghiero: "La festa delle primarie". Oppure: "Più che le primarie occorre vincere le secondarie, cioè le elezioni". C'è un partito nel partito che i gazebo non li capisce e non li accetta. Beppe Fioroni, un dirigente dato con un piede nel Pd e un altro fuori, è pronto a scommettere: "Il candidato premier non lo sceglieremo con le primarie. Al massimo faremo delle primarie finte come quelle di Prodi". È convinto, Fioroni, che al momento giusto "uscirà fuori un nome forte dal mondo dell'Italia che produce. E anche Vendola farà un passo indietro". Sembra di capire che quel nome forte non sia Bersani, per statuto il candidato unico del Pd alle primarie per Palazzo Chigi. Massimo Cacciari va dritto al punto: "Dove c'è incertezza è giusto fare una consultazione". Ma lui dubbi non ne avrebbe: "Un grande partito andrebbe subito da Casini. Per offrirgli l'alleanza e la candidatura a premier". Quindi, in un colpo solo, il Pd nato dai gazebo rinuncerebbe al suo strumento fondativo e alla corsa del suo segretario. Mamma mia! "Mossa audace? Questo fanno le forze politiche quando sono davvero grandi, se non pensano solo alle rendite di posizione. Non era audace il compromesso storico?", ribatte il filosofo.

Arturo Parisi, l'inventore delle primarie italiane, non ha dubbi: "Il gruppo dirigente, di cui D'Alema è il vero leader ha un teorema chiaro sulle primarie: se si può è bene evitarle. Sono lontanissime dalla cultura tradizionale alla quale appartengono e fa un po' ridere quando dicono che le hanno inventate loro". E l'avvitamento sul tema fa parte "delle tante contraddizioni del Pd". Un esempio? "Attaccano Vendola perché è partito troppo presto. Se è per questo i democratici sono partiti ancora prima visto che lo statuto sancisce: il candidato premier è il segretario del partito, punto. Cioè quello che abbiamo eletto quasi un anno fa!". Qualche crepa voluta nel meccanismo è evidente. Nel Lazio domani l'assemblea regionale si accinge a eleggere il segretario locale e si prepara ad aggirare le primarie nel caso il candidato Piero Latino vada sotto al quorum. Alla Festa dell'Unità di Roma qualche giorno fa Enrico Letta ha spiegato la sua linea sulle comunali di Milano (primavera 2011) criticando la corsa di Pisapia, compagno di partito di Vendola. "Dobbiamo trovare un candidato civico, un Guazzaloca di centrosinistra meneghino (si era pensato all'ipotesi quasi sfumata di Livia Pomodoro ndr). Possiamo battere la Moratti, ma il nostro Guazzaloca non va sottoposto alle primarie - ha detto -. Soffocherebbero le sue possibilità di successo".

Le consultazioni di Milano, Napoli, Torino e Bologna, ossia le prossime scadenze certe, sono destinate ad aprire fragorosamente il problema. Dice Dario Franceschini: "La penso diversamente da Letta: in quelle città le primarie vanno fatte. Prima di Natale. Prendiamo subito questo impegno". E i gazebo nazionali? "È impensabile che non si faccia la consultazione per il premier", scandisce sillaba per sillaba il capogruppo alla Camera. Condivide, sospirando, Nicola Latorre, dalemiano doc: "Si faranno. Perché non si può tornare indietro", aggiunge.

E Vendola? Osserva i movimenti democratici senza troppi timori: "Sterilizzare le primarie? Il Pd può anche decidere il suo suicidio ma a me pare improbabile. Vanno fatte e non perché le chiedo io o Pisapia. Ma perché sono l'unica terapia per guarire il centrosinistra".
 

(28 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/28/news/pd_sulle_primarie_il_gelo_di_bersani_priorit_alla_coalizione_-5879876/?ref=HRER2-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "A Casini, Vendola e Di Pietro chiedo di evitare veti".
Inserito da: Admin - Agosto 06, 2010, 02:53:48 pm
L'INTERVISTA

Bersani: "Dobbiamo liberarci di Berlusconi. Tremonti? Bene ciò che serve a cambiare"

"A Casini, Vendola e Di Pietro chiedo di evitare veti".

"La legge elettorale deve consentire al cittadino di scegliere gli eletti".

L'Unione? È una formula vecchia".

"Senza la nostra mozione su Caliendo non ci sarebbe stata l'astensione di Fini, Rutelli e dell'Udc"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Non si tratta solo di mandare a casa un governo. Dobbiamo superare una fase lunga sedici anni, non due. Dobbiamo liberarci di Berlusconi. Per questo non vado troppo per il sottile e mi rivolgo a tutti. Se è vero che rischia la democrazia, se la posta in gioco è quella, ognuno si assuma le proprie responsabilità. Accorciamo le distanze tra i partiti che vogliono archiviare questa stagione ed evitiamo veti reciproci". Pier Luigi Bersani punta a rimettere al centro dell'opposizione il Partito democratico. "Ora, amichevolmente, sono io a fare qualche domanda a Casini, Vendola, Di Pietro". E a qualche "ribelle" del Pd. Insiste su un governo di transizione e spiega perché. Continua a non escludere nessuna strada anche un esecutivo a guida Tremonti: "Tutto quello che va nella direzione del cambiamento è benvenuto".

L'appello a tutti sembra la chiamata a un Cln antiberlusconiano.
"L'idea del Cln l'ha tirata fuori Casini qualche tempo fa, mica io. Dico una cosa diversa. Se il terreno dello scontro nei prossimi mesi è quello del rapporto tra politica e legalità la proposta del Pd non può che essere molto larga, cioè rivolgersi a tutte le forze di opposizione. Poi ne misureremo la praticabilità, ma questo è il primo passo, il più sensato. Adesso siamo noi a chiedere agli altri di fare una scelta chiara. Il leader dell'Udc vuole fare il terzo polo o il secondo che può diventare il primo? Cos'è precisamente la sua area di responsabilità nazionale? Di Pietro vuole cavalcare tutte le tigri capaci di dividere irrimediabilmente l'opposizione o dare una mano a far cadere Berlusconi? La narrazione di Vendola prende la forma di una compiuta responsabilità di governo? Sono loro a doverci delle risposte. E quando sento dire che il Pd è fuori dai giochi mi torna in mente la vecchia freddura consolatoria degli inglesi: tempesta sulla Manica, Europa isolata".

Eppure qualcuno osserva che il Pd non ha una linea chiara.
"Io vedo che oggi Berlusconi e Bossi fanno la voce grossa, ma sono totalmente nel pallone. Come sono arrivati a questo punto? Grazie all'iniziativa incalzante del Pd e dell'opposizione. Per essere chiari: senza la nostra mozione su Caliendo non ci sarebbe stata l'astensione di Fini, Casini e Rutelli. Non ci sarebbe stato, cioè, il trauma del governo che perde la maggioranza. E' un punto a nostro favore che va rivendicato. Per di più lo abbiamo segnato sul tema clou della disarticolazione del Pdl: la legalità. I commentatori che parlano dell'assenza del Pd dovrebbero sapere che il mestiere della minoranza, nell'era berlusconiana del conformismo e del controllo dell'informazione, è più difficile. Nonostante questo ci stiamo infilando nelle loro crepe e prepariamo l'alternativa con il nostro progetto per l'Italia".

Corteggiando la Lega per un governo-ponte? Non è contraddittorio oltre che una perdita di tempo?
"Non stiamo corteggiando nessuno. Anzi, sfidiamo sia la Lega sia Berlusconi. Da Cosentino a Brancher passando per Caliendo e le leggi ad personam vogliamo capire come fa Bossi a gridare ancora Roma ladrona e a salvare sempre i ladroni di Roma. Quanto a Berlusconi chi crede di spaventare minacciando le elezioni? Il voto anticipato certificherebbe il suo fallimento".

Quindi voi invocate il governo di transizione per stanare Berlusconi, non perché avete paura del voto anticipato.
"In questa situazione, con la barca che fa acqua, non si può andare a un immediato scontro elettorale. Bisogna affrontare i temi sociali, cambiare una legge elettorale deleteria, bonificare le norme che favoriscono la corruzione. Non è un ribaltone, è una fase che consente al Paese di scegliere alternative che non siano nel vecchio film. è il nostro modo per predisporre il sistema alle elezioni. Ma non temiamo affatto il voto. Se ci si arriva però dev'essere chiaro che è Berlusconi a far precipitare tutto. Per problemi suoi, solo suoi. Io non divido con lui questa responsabilità".

Questa benedetta modifica della legge elettorale, senza una definizione, sembra una scusa.
"Il Pd ha approvato un documento molto chiaro. Prima di tutto l'elettore va messo in condizione di scegliersi il parlamentare e di farlo su base territoriale, cioè coi collegi. Poi vogliamo una legge che sia ispirata alla logica bipolare ma con una maggiore flessibilità".

Le coalizioni si decidono prima o dopo il voto?
"I cittadini devono sapere a quale maggioranza affidano il proprio consenso".

Con la legge elettorale volete anche cambiare il quadro delle alleanze del Pd? O rischiate di fare l'Unione-bis?
"L'Unione è una formula vecchia, non più praticabile se non altro perché noi vogliamo offrire al Paese una proposta diversa. Ma non ragiono in vitro. Per il momento mi rivolgo a tutti e chiedo di evitare veti. Chi li mette se ne assume la responsabilità".

Il terzo polo è più un concorrente o un alleato?
"Il terzo polo è qualcosa in divenire. Considero il voto dell'altro ieri un evoluzione importante verso la fine del berlusconismo. Ma per gli italiani quello bipolare è un sistema ormai assodato".

Come si fa indicare Tremonti premier per il governo-ponte dopo aver definito la sua manovra la più iniqua nella storia repubblicana?
"Si fa per principio perché un partito ha il dovere di esprimere inclusioni ed esclusioni nello studio del capo dello Stato. Ma quando si parla di superamento di una fase, è ovvio che più novità ci sono meglio è".

La strada maestra per sconfiggere politicamente Berlusconi non sono le elezioni?
"Certo che sono le elezioni ma c'è modo e modo di arrivarci. Berlusconi se le vuole subito sarà costretto a sceglierne il terreno e il significato. E lo aspetto lì. Fosse il processo breve ne vedremo delle belle".

Cacciari le propone di andare da Casini per offrirgli l'alleanza e la candidatura a premier.
"Mi sembra una pensata tattica. Nel nostro sistema non ci sono più i partiti che distribuiscono le candidature. Abbiamo meccanismi partecipativi. ".

Vuol dire che le primarie ci saranno sicuramente?
"Nello statuto sono previste le primarie di coalizione. Siamo affezionati a questo strumento, anche se non possiamo dettare il compito agli altri".

(06 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/06/news/bersani_intervista-6100711/?ref=HREA-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Profumo "Può essere il papa straniero del Pd"
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2010, 04:59:59 pm
IL CASO

E Profumo finisce già in politica "Può essere il papa straniero del Pd"

Il partito ne misurerà la popolarità con un sondaggio. Chiamparino: "Per come lo conosco, non è interessato a un ruolo pubblico".

Il manager ha votato per due volte alle primarie: nel 2005 (candidato Prodi) e poi nel 2007, quando la moglie si candidò con la Bindi

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Neanche il tempo di uscire dalla porta secondaria di Piazza Cordusio e Alessandro Profumo finisce nel totonomi dei futuri leader del Pd. La suggestione del Papa straniero, rilanciata da Walter Veltroni, lo precipita nella mischia, suo malgrado. Segno di un partito agitato, ancora instabile. Tutti dicono: "Impossibile". Ma ne parlano. Dice Sergio Chiamparino, uno dei dirigenti democratici più vicini al banchiere: "Una discussione del tutto assurda. Per quello che lo conosco Profumo non è interessato alla carriera politica". Ma è sicuramente un uomo d'area, un cittadino-elettore del Partito democratico.

Per due volte Profumo si è messo in fila e ha votato alle primarie del centrosinistra. La prima nel 2005 quando fu scelto Romano Prodi. La seconda nel 2007, quando la moglie Sabina Ratti si candidò con Rosy Bindi per entrare nell'assemblea nazionale del Pd. Una partecipazione attiva, pubblica, trasparente. Lasciò molti di stucco. Evidentemente Profumo crede (o credeva) sia nello strumento sia nei principali concorrenti di quella competizione. E nonostante le parole di Chiamparino, in passato gli è stata attribuita la tentazione della politica.

Profumo ha sicuramente un buon rapporto con Massimo D'Alema. Non solo perché Unicredit è la proprietaria della Roma, squadra del cuore dell'ex premier. Nel 2006 il banchiere partecipò a un Forum di Italianieuropei a Sesto San Giovanni insieme con Montezemolo e Enrico Letta che fu soprattutto una celebrazione del ruolo internazionale di D'Alema, allora ministro degli Esteri. Con Pier Luigi Bersani si scontrano due caratteri molto diversi, ma la stima del segretario Pd è indubbia. Piace un manager "vicino" che ha saputo tenere fuori la politica da Unicredit. La Bindi lo ha incontrato un paio di volte con la moglie durante la campagna per le primarie 2007. "Venne alla casa della Carità di don Virginio Colmegna". Luogo di volontariato. Che Profumo frequenta spesso, evitando come la peste i salotti. Scelse dunque la Bindi nel 2007, avversaria di Veltroni in quella corsa. Ma se c'è oggi un uomo libero in grado di scompaginare le carte del centrosinistra e avere il profilo del Papa straniero, quell'uomo può essere Profumo.

Il Pd farà monitorare attraverso i sondaggi il grado di popolarità di un personaggio che ha sempre preferito l'ombra. Succederà nei prossimi giorni. Per ora dirigenti di diversi orientamenti hanno reazioni del tipo "oddio, un'altra grana no". "Io non cerco un papa straniero. E mi sembra eccessivo candidare una persona che mezz'ora fa ha lasciato la sua banca", dice il prodiano Giulio Santagata. Urticante il commento di Beppe Fioroni: "Prendere come leader uno che è appena stato cacciato mi pare un'idea singolare della politica". Ma in privato non sottovaluta affatto le chanche di Profumo: "Un manager di straordinario rilievo". Alle prese con i guai interni i democratici scacciano nuovi fantasmi. Bindi spiega: "È una questione di rispetto. Non possiamo tirare la giacca di un banchiere che ha appena vissuto un momento difficile. E va rispettato un partito che non può subire tutti i giorni il totonomi". Il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca condivide la linea: "Evitiamo mancanze di riguardo sia verso Profumo sia verso il Pd". Antonio Di Pietro, altro cacciatore di papi esterni alla politica, boccia a suo modo l'idea: "Ognuno faccia il suo mestiere. Di ragionieri che hanno gestito il potere delle lobby l'Italia può fare a meno". Eppure, senza dubbio, i leader Pd cercano o cercheranno Profumo. Sonderanno le sue intenzioni. Se qualcuno punterà su di lui si ricordi che il giro giusto è questo. L'ex ad di Unicredit ha firmato il "patto generazionale" promosso da Luca Josi. Una carta che impegna i contraenti a mollare tutte le poltrone a 60 anni. Profumo ne ha 53.

(22 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2010/09/22/news/profumo_pd-7301264/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Non ci sarà pareggio uno dei due via dalla Rai"
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2010, 11:21:54 pm
POLITICA E INFORMAZIONE

Annozero, Michele alla sfida finale "Non ci sarà pareggio uno dei due via dalla Rai"

Andare alla 7 ?

Al dg piacerebbe tenermi alla Rai, ma in un angolo a fare niente Questo non si può fare.

L'inferno si scatena puntualmente alla vigilia della puntata.

È un massacro, una via crucis. Ma vado avanti

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - La sfida finale nell'Italia del conflitto d'interessi passa anche da qui: Borgo Sant'Angelo 26, redazione di Annozero. "Siamo arrivati allo "show down", dice Michele Santoro. Al momento in cui "una parte salta". Non c'è pareggio. Vincitore o vinto. Viaggio senza ritorno. "O io o Masi", annuncia ai suoi collaboratori. "La storia si avvia all'epilogo". La terza via non esiste, il ritorno a un normale confronto tra il dipendente e la sua azienda impossibile . Perché la sfida è più grande sia di Santoro sia di Masi. Sull'informazione Silvio Berlusconi gioca una battaglia campale senza più freni. "È vero, una parte salta. Siete sicuri che sarò io?". Il conduttore non getta la spugna. Osserva con un sospiro: "Sempre di mercoledì...". Ovvero: "Alla vigilia della puntata si scatena regolarmente l'inferno. È un massacro, una via crucis. Ma vado avanti, rispetto gli impegni presi con il pubblico. E non dimentico che tanta gente sta peggio di me".

Santoro sa che il direttore generale della Rai vive un momento di grande difficoltà. Lunedì scorso ha riunito i 5 consiglieri di maggioranza proponendo il licenziamento del giornalista. "Voi mi seguite in consiglio?". Risposta negativa. Licenziamento rimangiato. Il premier si lamenta perché nessuno degli obiettivi (pubblici dopo le intercettazioni di Trani: Ruffini, Santoro...) è stato portato a casa. La sua delusione aumenta il livello dello scontro. I 10 giorni di sospensione ne sono la conseguenza più immediata. Ma c'è altro? Quando Santoro chiede "siete sicuri che salto io" allude a qualcosa o si limita provocare?

Il conduttore di Annozero affiderà all'editoriale di stasera i suoi pensieri, le prossime mosse. Che per il momento cercano di stare lontano dalla politica. Preferiscono piuttosto inchiodare i vertici della Rai alla pura gestione aziendale. "Ci mettono i bastoni tra le ruote tutte le settimane. Ora ci tagliano due puntate. Basta chiedere a Carlo Freccero, uno che di televisione ne sa più di tutti, cosa significa per un programma appena partito".
Annozero fa ascolti record: milioni di spettatori, inserzionisti che si ingolosiscono e pagano profumatamente la pubblicità nel programma. La sua forza sta qui. La trasmissione cresce di 300 mila ascoltatori a puntata, dalla partenza di quest'anno. "E loro ci fermano - si sfoga Santoro - . Vuol dire ricominciare daccapo quando torneremo in onda".

Ha passato il pomeriggio con gli avvocati. Per studiare l'ennesimo ricorso. Dice di non essere "né rassegnato né stanco". E che sentenza che obbliga la Rai a dargli la prima serata si può aggirare se il Cda vuole. "Masi e il consiglio sono liberi di fare una scelta chiara - ripete nella sua stanza al primo piano di Borgo Sant'Angelo -. La sentenza non costringe la Rai a tenermi. Arriviamo a dicembre, facciamo le nostre 12-13 puntate e chiudiamo lì". Così finirebbero i sabotaggi, i contratti non firmati, i provvedimenti disciplinari, "questo spararci nelle gambe ogni volta che ci muoviamo". Si fa una trattativa, si scioglie il contratto e Santoro può guardarsi intorno, magari puntando l'occhio a La7. "A qualcuno sarebbe piaciuto che me ne andassi gratis dalla Rai, ma questo è impossibile. A Masi piacerebbe tenermi ma in un angolo a fare niente. E anche questo non si può fare". I contratti si strappano, "non c'è bisogno del mobbing".

Tornare alla normalità dei rapporti aziendali sarebbe "la soluzione migliore", dice Santoro. Che ribalta l'accusa di Masi, difende l'editoriale. Era la base per un confronto civile, sostiene. "C'era stato un lungo braccio di ferro - racconta a Freccero che si affaccia nella sua stanza -, l'avvio difficile della nuova stagione. Ma il messaggio era chiaro: ok, adesso si ricomincia". Invece è ricominciato il duello. Alle mosse del direttore generale risponde Santoro con il suo discorso settimanale al popolo di Annozero. La stessa storia, tutti i giovedì. Adesso siamo all'epilogo, secondo il conduttore. O io o lui non è solo uno scontro personale. È una diversa idea di tv, di informazione.

(14 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/14/news/annozero_michele_alla_sfida_finale_non_ci_sar_pareggio_uno_dei_due_via_dalla_rai-8031191/?ref=HREC1-3


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Rai, pubblicità a picco in "zona Tg1" ...
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2010, 06:49:03 pm
POLITICA E TV

Rai, pubblicità a picco in "zona Tg1" "Da luglio a settembre persi tre milioni"

Il telegiornale di Minzolini è il solo a perdere secondi di spot. Ma l'audience è un po' migliorata.

Masi annuncia il piano tagli: meno appalti e blocco del turn over

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Meno 19,5 per cento nel trimestre luglio-settembre, 23 mila secondi invece dei 28 mila dell'anno precedente, quasi 3 milioni di ricavi persi. È la fotografia negativa della raccolta pubblicitaria che ruota intorno alla principale edizione del Tg1, quello delle 20. Sono dati non ufficiali. La Sipra, concessionaria degli spot per la tv pubblica, non fornisce il dettaglio del suo lavoro. Giustamente. Perché non si possono dare elementi di valutazione alla concorrenza. Ma le voci filtrano. Le ha raccolte il responsabile informazione del Pd Matteo Orfini. Ora il senatore Vincenzo Vita annuncia una sua iniziativa: "Chiederò un'audizione dei vertici della Sipra nella commissione di Vigilanza per capire come il conclamato calo dell'ascolto del Tg1 abbia influito sulle entrate pubblicitarie". Di fronte all'organismo di controllo, i manager degli spot dovranno portare le cifre ufficiali.

I mancati ricavi del Tg di Augusto Minzolini sono una goccia nell'oceano del deficit Rai. Mauro Masi sta affrontando il piano industriale in una serie di incontri con i sindacati. Bisogna arginare un rosso che quest'anno si avvicinerà ai 120 milioni di euro, ma che senza un intervento lacrime e sangue può arrivare a 600 milioni nel 2012. Per Viale Mazzini sarebbe il collasso. Ieri il direttore generale ha annunciato una parte della ricetta anti-crisi. Parte subito il taglio del 20 per cento degli appalti esterni, delle consulenze, delle trasferte, delle auto blu. Ancora più doloroso sembra il blocco del turn over e delle retribuzioni. La riunione con i sindacati a Viale Mazzini è durata tre ore. Alla fine le sigle dei lavoratori hanno parlato di una "manovra" molto dura "che richiederà una risposta altrettanto dura".

La goccia del Tg1però marcia insieme con il calo degli ascolti, le polemiche sugli editoriali del suo direttore, la sanzione dell'Agcom per lo squilibrio a favore del centrodestra e di Berlusconi. "Per la Rai, purtroppo, non c'è esclusivamente un problema di credibilità e ascolti, ma anche una conseguente grave perdita di risorse", osserva Orfini. Dalla Sipra giungono indiscrezioni anche sui prossimi listini legati al telegiornale di Raiuno. Dal 1 gennaio la concessionaria sarebbe orientata ad abbassare i prezzi gli spot inseriti nel notiziario delle 20. Sarebbe un altro colpo alle casse dell'azienda. Ma va sottolineato che nell'ultimo mese il Tg1 ha recuperato gli ascolti allontanandosi dai record negativi dei mesi precedenti. Supera stabilmente il Tg5, suo principale concorrente e consolida il suo ruolo di prima fonte informativa del Paese. Oggi viaggia intorno al 27-28 per cento di share. La vendita degli spot da qui a gennaio potrebbe dunque subire un'inversione di tendenza.

Oggi il confronto con gli altri tg Rai è negativo. Secondo Sipra il Tg2 nella sua edizione principale (20,30) guadagna il 9 per cento di secondi pubblicitari venduti. Una crescita in linea con gli ascolti che hanno portato la testata diretta da Mario Orfeo a scavalcare spesso il muro dei 3 milioni di spettatori nel mese di ottobre. Il Tg3 di Bianca Berlinguer guadagna un punto percentuale. I telegiornali dell'emittenti privati hanno gli spot all'interno del notiziario, per quelli Rai invece si vendono gli spazi all'inizio del tg e alla fine. Nel caso della testata di Minzolini si calcola anche la pubblicità che segue l'anticipazione dei titoli in onda alle 19,50. Per l'opposizione la caduta pubblicitaria del Tg1 dimostra che il problema non è solo la linea politica. "Per Reporters sans frontières, addirittura, la libertà di stampa nel nostro Paese è pari a quella del Burkina Faso", sostiene Orfini. Che attacca soprattutto Masi: "Chi dirige la Rai dovrebbe preoccuparsi un po' meno delle ossessioni censorie del presidente del Consiglio e un po' più di questo drammatico calo di credibilità che danneggia, anche economicamente, l'azienda".

(26 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Nessun voto o mozione mi farà dimettere
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2010, 06:02:57 pm
L'INTERVISTA

"Nessun voto o mozione mi farà dimettere Santoro? Non so se a gennaio andrà in onda"

Il direttore generale di viale Mazzini risponde all'autore di Gomorra: "Mi rivedrò bene il programma". "Pronto a cancellare le partite dell'Italia per salvare i posti in Rai

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Ora la protesta contro Mauro Masi prende corpo con atti concreti superando il confine degli attacchi verbali. Da oggi si celebra il referendum indetto dal sindacato dei giornalisti (Usigrai) per costringerlo alle dimissioni. Il 22, alla Camera, si discute la mozione dei finiani che condanna il direttore generale della Rai "mosso da criteri di opportunità politica". Masi non si scompone. Nella sala riunioni al settimo piano di Viale Mazzini, sfodera solo sorrisi. Rimarrà al suo posto comunque. Niente dimissioni. Anzi. "Dopo la sospensione di Santoro - racconta - sto vivendo un'esperienza nuova: l'esposizione mediatica. Non è male. Mi fermano in strada per l'autografo, mi fanno i cori allo stadio...". A Roberto Saviano, che ancora ieri lo attaccava su Repubblica per la censura a "Vieni via con me", replica: "Saviano sbaglia". Ieri sera ha visto il programma di Raitre in cui Benigni lo ha citato più volte: "L'ho seguito solo a tratti. È una trasmissione articolata, voglio rivederla per dare un giudizio compiuto".

Se il referendum la sfiducia si dimette?
"Io rispondo al cda e all'azionista. Ma i giornalisti devono sapere che ho due obiettivi. Il risanamento dei conti, già avviato. E rendere effettivamente pluralista la Rai. Cioè, far vivere sul serio le regole del contraddittorio. Il mio più grande nemico è il pensiero unico. Se per portare a casa questi risultati devo incassare delle sfiducie ne prendo anche una al giorno".

Il cda è paralizzato. Tiene ferme da cinque mesi le nomine. La maggioranza non sembra seguirla più.
"Il consiglio è definito dalla Gasparri. Una legge che codifica un meccanismo di relazione tra gruppi parlamentari e gran parte dei consiglieri. La Rai risente per forza del clima politico complessivo. Nel consiglio ci sono personalità molto forti, ma tutti insieme stiamo facendo un lavoro serio e rigoroso. Il piano industriale, per esempio, è stato votato all'unanimità".

Partendo con enorme ritardo.
"Non è vero. Ho cercato di salvaguardare il più possibile la pace aziendale".

E lo sciopero dei dipendenti fissato per dicembre?
"Lo hanno proclamato alcune sigle, che rispetto, non la Cisl che è d'accordo sul nostro percorso. Troveremo un'intesa, alla fine. Ma la Rai deve darsi una mossa. Per troppo tempo è rimasta a galleggiare. L'avrei potuto fare anch'io aspettando una leggina ad hoc che ci aiutava dall'esterno con soldi pubblici. Invece no. La Rai deve fare con le sue forze. E un bilancio sano va in parallelo con un riequilibrio delle voci in tv nei programmi d'informazione".

Riequilibrio significa cancellare alcune trasmissioni: Parla con me, Report, Annozero, Vieni via con me?
"Non sono un censore, non ho mai messo il bavaglio a nessuno. Voglio essere giudicato sui fatti. I fatti dicono che tutte le trasmissioni sono in onda. Ma tutti dovrebbero rispettare le stesse regole".

Saviano ha raccontato come ha provato a fermarlo.
"Se insiste su questo sbaglia".

Che ha usato l'arma dei compensi per ostacolare il programma.
"Sui compensi anche osservatori poco teneri con me condividono la linea dell'azienda. Ci sono sprechi da eliminare. Abbiamo già iniziato. Faremo una riflessione molto seria anche sui diritti sportivi. Certe cifre folli non possiamo permettercele. Una partita della nazionale, che pure il servizio pubblico deve seguire, costa ormai parecchi milioni e noi siamo alle prese con un risanamento che punta a mantenere i livelli occupazionali. Tra una partita dell'Italia e i posti di lavoro io scelgo i posti di lavoro".

Per cancellare il pensiero unico di sinistra ha provato a sostituirlo con quello di Berlusconi?
"Questa è un'enormità. Lo dimostra il fatto che a destra mi criticano perché ci sono troppi talk show di segno opposto".

La mozione di Fli sostiene il contrario.
"Dal punto di vista formale, quel documento non cambia nulla. Rispondo al cda e all'azionista. Ma inviterei i deputati che l'hanno scritto a guardare bene il palinsesto della Rai dove il pluralismo è garantito. Del resto, sono un economista abituato a ragionare con i numeri. La Rai sta stravincendo la battaglia degli ascolti. Questo significa qualcosa. Se il pubblico trovasse delle deficienze politiche o di prodotto non ci seguirebbe così numeroso".

Santoro fa ascolti straordinari. Lo vedremo in onda anche a gennaio?
"Non è detto. Non escludo nulla e anche Santoro, che è sempre imprevedibile, non esclude nulla. Con lui avevamo avviato una trattativa utile per tutti. La Rai poteva recuperare uno spazio editoriale che Santoro occupa grazie a due sentenze uniche nel mondo civile, ma penso anche nella galassia più sperduta. Roba da extraterrestri. Allo stesso tempo l'azienda poteva usare la professionalità di Michele in altro modo".

Il Tg1 invece perde pubblico. Ha perso anche il record di imbattibilità con il Tg5.
"Ma ha vinto per un anno intero... I tg stanno pagando la nuova grande offerta dei canali digitali. In più, c'è la nascita di nuovi protagonisti".

Quindi il TgLa7 toglie spettatori al Tg1.
"La presenza di Mentana si sente sull'intero mercato. Ma moltissime critiche a Minzolini sono assolutamente apodittiche".

Alcune sono giuste?
"Lui sa che ci sono degli appunti anche da parte mia. Ma non ne parlo pubblicamente". 

(09 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Saviano La Lega dica perché tace sulla mafia infiltrata ...
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2010, 09:11:15 am
L'INTERVISTA

Saviano: "La Lega dica perché tace sulla mafia infiltrata al Nord"

Lo scrittore dopo le accuse di Maroni: "Inquietante, mi sfida come Sandokan. Se Berlusconi vuole venire a fare un elenco come gli altri, nessun problema. Il nostro successo? Un miracolo"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Un attacco del tutto immotivato". Roberto Saviano risponde al ministro dell'Interno Maroni che ha definito "infame" la ricostruzione sulle infiltrazioni di mafia in Lombardia, terra della Lega. "Vieni via con me", alla sua seconda puntata, ha registrato un pazzesco record di ascolti. "Un miracolo", dice Saviano e la sua voce si accende. Ma c'è anche la polemica frontale con il Carroccio. Maroni e lo scrittore si stimano. Ora forse meno. Soprattutto per colpa di un passaggio nelle dichiarazioni del titolare del Viminale. Lì dove sfida Saviano a ripetere le accuse di lunedì "guardandolo negli occhi". Dice Saviano: "Una frase che mi ha molto inquietato".

Perché?
"Mi ha ricordato un altro episodio. Su Repubblica scrissi una lettera a Sandokan Schiavone dopo l'arresto del figlio. Lo invitavo a pentirsi. L'avvocato di Schiavone mi rispose: voglio vedere se Saviano ha il coraggio di dire quelle cose guardando Sandokan negli occhi. Per la prima volta, da allora, ho riascoltato questa espressione. E sulla bocca del ministro dell'Interno certe parole sono davvero inquietanti".

Si può accettare lo stesso la sfida di Maroni?
"La mia risposta è: dove e quando vuole. Posso guardare negli occhi tutti".

Quindi gli sarà concesso il diritto di replica?
"Posso dire questo. Non so che trasmissione abbia visto Maroni. Io non ho fatto altro che raccontare l'inchiesta condotta dalla Boccassini e da Pignatone. Se il ministro deve appellarsi a qualcuno, lo faccia all'Antimafia. Ho segnalato che il politico leghista incontrato dal boss Pino Nieri non è stato arrestato. Ho raccontato che la penetrazione della 'ndrangheta a Milano è gigantesca. Ho citato un'intervista di Miglio, il Professùr come lo chiamavano loro, in cui si propone di costituzionalizzare la mafia. Ma ho riconosciuto il contrasto culturale di Maroni e della Lega, in particolare quella degli esordi, verso la criminalità organizzata. Ho dato atto al ministro di un'operatività vera nei confronti della camorra. Dopo di che, dire, a ogni blitz, "stiamo sconfiggendo le mafie" è un'ingenuità, una miopia".

Anche la denuncia della politica contro i rom e contro gli immigrati era un duro attacco alla politica del Viminale.
"Noi sogniamo un'Italia diversa. Ma non facciamo un programma politico, tantomeno una tribuna politica: è narrazione. Non cerco lo scontro ideologico, non sono entrato nel merito della vicenda politica. Certo, ho raccontato una storia dal mio punto di vista. La logica secondo cui si debba, in ogni occasione, dare spazio anche al punto di vista contrario è tutt'altro che democratica. In questo modo si cerca il litigio, non il racconto. Ciascuno ha la possibilità di rispondere nei propri spazi, il pluralismo è determinato dalle diverse voci".

Non diceva che Maroni era uno dei migliori ministri dell'Interno degli ultimi anni?
"L'ho visto al lavoro nel Casertano e mi è piaciuta la sua capacità operativa. Ma la mia analisi rimane la stessa. Continuo a criticare la serie di proclami ripetuti a ogni arresto. E critico il silenzio culturale sull'infiltrazione della mafia in Lombardia. È un problema cruciale che imprenditori e politici lombardi rimuovono perché non vogliono rinunciare ai capitali del narcotraffico investiti nella regione. Il mio compito è rompere questo silenzio".

Maroni invece tace?
"Si potrebbe fare molto di più anziché prendersela sempre con chi racconta. Si dovrebbe guardare i fatti, andare oltre, non limitarsi a tirare un sospiro di sollievo perché il consigliere regionale leghista non è stato arrestato. Chiedersi perché gli 'ndranghetisti cercano di interloquire con la Lega. Dire la verità, ossia che c'è un nord completamente infiltrato. Io voglio parlare anche a quella parte dell'elettorato leghista che si fa condizionare dai dirigenti e sembra vedere tutto il bene al Nord e tutto il male al Sud. Non è così. Far finta che la 'ndrangheta sia sporca quando spara e pulita quando investe è un problema enorme".

Come spiega il clamoroso successo del programma?
"Non sono un televisivo. Non so come questo miracolo avvenga. Fabio Fazio costruisce la grammatica della trasmissione, gran parte del merito è suo. Credo che a premiarci sia il pubblico giovane, la differenza vera la fanno loro"

Fa piacere strappare spettatori al Grande fratello?
"Sono contento che i giovani possano spostarsi su Raitre divertendosi e ascoltando delle storie. È la dimostrazione che si può rendere concreto il sogno di una tv diversa".

Ci saranno politici il prossimo lunedì?
"Credo di no".

Berlusconi lo inviteresti?
"Se vuol venire a fare un elenco come tutti gli altri, nessun problema".

(17 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/17/news/saviano_intervista-9190844/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Musica e Costituzione, il Pd prepara la piazza
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2010, 07:20:37 pm
L'INIZIATIVA

Musica e Costituzione, il Pd prepara la piazza

Sabato due cortei per lanciare l'alternativa. Prima del comizio di Bersani lettura di articoli della Carta.

Posto d'onore tra i cantanti a Neffa: la sua "Cambierà" è l'inno preferito dal segretario

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - La parte più organizzata della manifestazione riempirà piazza San Giovanni con 100 mila persone. È il risultato di 18 treni speciali, 1500 pullman, di una nave democratica in arrivo dalla Sardegna, tutto preparato dal partito. Ma sabato dovranno essere molti di più i partecipanti perché abbia successo quella che Pier Luigi Bersani definisce "una festa, anzi una festa di liberazione". Il segretario parlerà alla fine, unico politico di un lungo pomeriggio romano, mentre gli altri dirigenti saranno sotto il palco. Tutti o quasi hanno garantito la loro presenza dimenticando mal di pancia, correnti e critiche. D'Alema, Veltroni, Franceschini, Finocchiaro, Zingaretti, anche il criticatissimo Matteo Renzi che nel giro di una settimana passerà dal pranzo di Arcore al corteo anti-Cavaliere. I rottamatori saranno in strada accanto a quelli che vogliono mandare casa, prima o poi. Pippo Civati aderisce con entusiasmo: "A me piacerebbe che ci fosse tutto il centrosinistra e le associazioni e i movimenti".

I cortei che si muoveranno verso l'appuntamento di San Giovanni saranno non più uno ma due. Si muovono alle 14 da Piazza della Repubblica e da Piazzale dei Partigiani. In una festa non può mancare la musica. Ad aprire le due sfilate sono state chiamate due bande musicali, una dalla Basilicata, una dal Piemonte. I Giovani democratici hanno organizzato un pullman-discoteca che si piazzerà al centro del corteo sul modello dei Gay Pride o delle feste rave. Il palco di
Piazza San Giovanni assomiglierà dunque al raduno del Primo maggio, il concertone di Cgil, Cisl e Uil. Bersani interviene alle 15,30-16, quando ancora il sole non è calato. Nella precedente ora e mezza si alterneranno le note dei musicisti.

Comincia la Med Free Orkestra, polifonica con composizione multietnica. Poi tocca a Roy Paci, Nina Zilli, Simone Cristicchi. Il senso di una manifestazione globale è affidato ai collegamenti in streaming con i cortei del Pd all'estero. Due le piazze: Zurigo e Sidney (quest'ultima registrata visto il fuso orario, 12 ore avanti). Il vertice del Pd non vuole parlare di piazza-spallata, ma se si manifesta alla vigilia di un voto di fiducia decisivo qualche segnale bisogna pur mandarlo.

Se quello che unisce i 316 deputati pronti a votare contro Berlusconi è la difesa delle democrazia, delle istituzioni, la denuncia di un premier che non rispetta né l'una né l'altra, non mancherà in piazza la Costituzione, "la più bella del mondo" secondo Bersani. Cinque persone, dal ragazzo all'ottantenne leggeranno altrettanti articoli della Carta: il primo, il terzo, l'articolo 9 sulla cultura già declamato martedì sera da Daniel Barenboin alla Scala, l'articolo 53 sulla tassazione... Questi sono i principi ispiratori del Pd. Questi testi tengono insieme le generazioni, gli uomini e le donne. Al cantante Neffa viene riservato un posto d'onore. Rapper, autore di canzoni molto popolari ma non di culto come altri suoi predecessori, Giovanni Pellino (il suo nome all'anagrafe) ha composto "Cambierà", la colonna sonora scelta dal segretario per chiudere le assemblee democratiche. Abbandonati Vasco Rossi, Jovanotti, Ivano Fossati, i cantautori storici, Bersani si affida a un cantante sperimentale e commerciale insieme (il suo ultimo successo è "Fare a meno di te" in coppia con J-Ax). Neffa suonerà appena prima dell'intervento del leader, fuori dal segmento musicale. Alle 15,30-16 è il momento di Bersani. Farà il bilancio del berlusconismo al tramonto, entrerà nel dettaglio del futuro, del governo di responsabilità, dei rapporti con Fini, Casini, il terzo polo. Spiegherà come sta nascendo l'alternativa.

Alla sede del Pd si compulsano freneticamente i siti del meteo. Le previsioni sono buone, ma l'organizzazione coordinata da Nico Stumpo e finanziata dal tesoriere Antonio Misiani, prevede gagdet sul modello Forza Italia. In caso di pioggia saranno distribuiti ombrelli del Pd. In caso di vento freddo addirittura degli scaldacollo, come quelli che portano i calciatori quando vanno a giocare su campi ghiacciati. Adesso occorre solo aspettare. Per capire quanta gente seguirà il Partito democratico di piazza. E cosa succede da qui a dopodomani nel campo della maggioranza.

(09 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/09/news/manifestazione_11_pd-9988405/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani: "Ora alleanza col terzo polo"
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2010, 09:01:19 pm
L'INTERVISTA

Bersani: "Ora alleanza col terzo polo"

Il Pd pensa a sacrificare le primarie

Il leader democratico invoca un nuovo patto per superare Berlusconi.

"Ora si rimette tutto in discussione"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Un patto per la riforma della Repubblica. Un'alleanza per lavoro e crescita. Pier Luigi Bersani prepara una "piattaforma democratica". E la offre a tutte le forze di opposizione, Terzo polo in testa, per andare "non contro Berlusconi ma oltre Berlusconi, oltre il populismo. Non penso a un Cln anti-Cavaliere. Il Pd vuole aprire una fase fondativa".

Segretario, dopo la vittoria numerica ma non politica di Berlusconi alla Camera, perché non chiedete le elezioni anticipate?
"Se ci saranno le elezioni in primavera non avremo paura di affrontarle e vincerle. Ma non toglieremo le castagne dal fuoco a Berlusconi. Lui ha detto al Parlamento "voglio tre voti in più per la stabilità". Adesso vediamo quale stabilità e quale governo è capace di garantire. Se alla fine si andrà al voto dovrà pagare il prezzo: del suo fallimento e dell'ennesima promessa non mantenuta".

Intanto è fallita la vostra spallata al premier ed è tramontato il governo di responsabilità. Il Pd non deve cambiare linea?
"Di quale fallimento stiamo parlando? Avevano 70 voti in più, ora ne hanno 3. Certo, nella nuova fase l'esecutivo di transizione sembra meno praticabile. Ma la sostanza politica c'è ancora. E il Pd, entro gennaio, vuole presentare una proposta a tutte le forze di opposizione di centro e di centrosinistra che può avere anche un profilo elettorale".

Qual
è il senso di questa proposta?
"Partiamo dalla situazione che abbiamo davanti. Il governo Berlusconi punta solo a una sopravvivenza spregiudicata. Cercherà di galleggiare rapinando qualche voto, spargendo veleni come la voce di dirigenti del Pd pronti a passare con lui, mostrando quindi il volto peggiore della politica. Tutti quelli che non vogliono cedere a questa deriva devono prendersi la responsabilità di essere non solo contro Berlusconi ma di andare oltre".

Come?
"Guardando in faccia quello che ci consegna il tramonto del berlusconismo, la crisi di sistema in cui ci ha precipitato. Costruendo da subito una risposta positiva. Per mettere in sicurezza la democrazia e dare una speranza di futuro ai giovani. Noi ci candidiamo a presentare una piattaforma per la riforma della Repubblica, per la crescita e il lavoro".

Nel dettaglio cosa significa?
"Posso dare dei titoli. Riforme istituzionali. Riforma elettorale. Misure per la legalità e sui costi della politica. L'informazione. La riforma della giustizia per i cittadini".

E sul fronte sociale?
"Una riforma fiscale che carichi sull'evasione e le rendite alleggerendo lavoro, impresa e famiglie. Una nuova legislazione sul lavoro che affronti il dramma del precariato. Qualcosa l'abbiamo già detta: abbassare il costo del lavoro stabile, alzare quello del lavoro precario. Un pacchetto di liberalizzazioni".

Questa piattaforma con chi la discuterete?
"Con tutte le forze di opposizione, con le forze sociali. E con il Paese. A gennaio comincerò un tour delle regioni per parlare dei problemi reali. C'è un Italia che vuole cambiare".

Il Terzo polo una risposta ve l'ha già data. In caso di elezioni andranno da soli. Né Pd né Pdl. Perché volete sbattere di nuovo il grugno?
"Vedo che il terzo polo è stato battezzato con una certa urgenza per respingere le sirene berlusconiane. Li capisco, il timore è fondato. Ma se puntano a un ruolo di condizionamento del centrodestra presto dovranno convincersi che è un'illusione. Berlusconi non tratta, compra. L'idea stessa di un Berlusconi condizionato è un ossimoro. Perciò facciamo maturare nel Terzo polo una riflessione. Sapendo che l'idea e il confronto che proponiamo vivrebbero in ogni caso".

Nelle sue parole è scomparsa la formula Nuovo Ulivo. Di Pietro invece vi chiede un immediato matrimonio a tre. Volete abbandonare l'ex pm e Vendola?
"No. Nessun abbandono di nessun genere. Ma chi vuol discutere con noi deve accettare di confrontarsi seriamente con l'esigenza che poniamo. Quella di una riforma democratica e di una riscossa italiana che richiedono da parte di tutti una straordinaria apertura politica".

Siete consapevoli che per allearvi con il terzo polo dovrete rinunciare alle primarie?
"In nome di una strategia che chiede a ogni forza politica di non peccare di egoismo e di dare qualcosa, siamo pronti a mettere in discussione anche i nostri strumenti. Ci interessa l'obiettivo. Poi c'è un problema che riguarda soprattutto noi: le primarie per le amministrative. Possono inibire rapporti più aperti e più larghi non solo con i partiti ma con la società civile. E possono portare elementi di dissociazione dentro il Pd che non fanno bene a nessuno. Bisogna dunque riformarle".

È vero che la scorciatoia per stringere un patto con il Centro passa per l'offerta a Casini della candidatura a Palazzo Chigi?
"Queste sono fantasie. Non banalizziamo il tema parlando di organigrammi".

Ma lei sarebbe disponibile a un passo indietro nella corsa alla premiership?
"Non ho fatto passi avanti e non faccio passi indietro. Metto davanti a tutto il progetto".

Il Pd è impermeabile a nuove fughe e scissioni?
"Sì. Lo ha dimostrato la manifestazione di Piazza San Giovanni, piena di giovani e famiglie, lo dimostrano le battaglie parlamentari di queste settimane. Siamo un partito elastico ma proprio per questo non ci spezziamo".

Non rischiate di appannarvi e svenarvi nella ricerca di alleanze difficili?
"È il contrario. Come si è capito metto il profilo del Pd prima di discussioni astratte sugli alleati. Del resto questa responsabilità ci compete. Perché senza il nostro progetto non è possibile immaginare alleanze vincenti che superino il berlusconismo".

I giovani hanno manifestato martedì scatenando la loro violenza. Come si può fermare in tempo questo fenomeno?
"Tocca alla politica dare una risposta non ambigua di condanna rispetto alla violenza e noi lo facciamo, tocca alle forze dell'ordine fermare i violenti e pur nelle difficoltà l'impegno c'è stato. Bisogna però lavorare di più per prevenire infiltrazioni organizzate. Tocca agli studenti avere estrema attenzione nelle forme organizzative delle loro proteste, di rimarcare la distanza da ogni strumentalizzazione che può vanificare la loro voce, il loro comprensibile disagio". 

(17 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/17/news/bersani_ora_alleanza_col_terzo_polo_il_pd_pensa_a_sacrificare_le_primarie-10302796/?ref=HREA-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il rilancio della Lega ultimo jolly anti-voto
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2010, 12:15:55 am
GOFFREDO DE MARCHIS

Il rilancio della Lega ultimo jolly anti-voto

Non è un buon segnale per Berlusconi l’intervista di Calderoli a "Repubblica". Al di là dell’irrealistica ipotesi di un sostegno di Pd e Fini al federalismo in cambio della riforma elettorale, dimostra che la Lega non si fida per niente dei risicatissimi tre voti di maggioranza alla Camera. E crede ancora meno alla propaganda sulla nuova risolutiva campagna acquisti lanciata dal premier.

La sicurezza del Cavaliere (arriveremo al 2013, i numeri sono aumentati) si scontra fragorosamente con la sfiducia del Carroccio che continua a puntare tutto sulle elezioni anticipate in primavera. Con i numeri a Montecitorio così ballerini, con le commissioni parlamentari praticamente ingovernabili, Bossi vede sfumare la realizzazione delle rifome, soprattutto quella cara alle regioni del Nord. La commissione per l’attuazione del federalismo, fra le altre, non ha più una maggioranza, sono decisivi i voti di Pd e Fli (da posizioni differenti favorevoli a una forma federale dello Stato) e quelli dell’Udc (contraria all’assetto sognato dai leghisti).

Le innumerevoli aperture del Pdl a Casini stanno irritando il Carroccio che non ci sta a farsi soffiare la golden share del governo. E le parole di Calderoli vogliono dire che anche loro hanno margini di manovra fuori dal cerchio berlusconiano, se vogliono. Il Pd cercherà di infilarsi in questa frattura presentando entro il prossimo mese la sua piattaforma programmatica in cui, è la promessa, ci saranno scelte chiare nette. Sullo sfondo resta la sentenza della Consula sul legittimo impedimento. In caso di responso negativo per il premier la Lega farà la forzatura finale.

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2



Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il Cavaliere resiste l'opposizione attacca
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2011, 12:23:01 pm

di GOFFREDO DE MARCHIS

Il Cavaliere resiste l'opposizione attacca


"Dimettermi? Ma che siete matti!". Silvio Berlusconi mette a tacere le voci sempre più insistenti sul suo passo indietro. A tarda sera si presenta alla riunione degli avvocati del Pdl alla Camera e al solito mostra i muscoli. Montatura mediatica, nessun reato, niente di niente: questa la sua reazione all'inchiesta di Milano. Eppure per tutto il giorno si sono ricorse le ipotesi su un dopo-Cavaliere con la stessa maggioranza. Per la successione i tre nomi già noti: Tremonti, Letta, Alfano. Ma il premier resta il dominus del centrodestra e soprattutto del Pdl. Detta tempi e decisioni. Dunque, o supererà la tempesta di queste ore o la strada più probabile sono le elezioni anticipate.

Nelle aule di Camera e Senato, i capigruppo del Pd Franceschini e Finocchiaro hanno chiesto solennemente le dimissioni del capo del governo. Senza indicare la soluzione alternativa. Nel Partito democratico si fa largo ormai un gruppo che prende atto della situazione e invoca le elezioni anticipate. Sparito il governo tecnico e l'alleanza democratica. Resiste una pattuglia di irriducibili. Tra loro, Franceschini e Gentiloni per esempio che vogliono escludere il ricorso alle urne. Ma anche il Terzo polo appare rassegnato. Casini ripete in maniera sospetta che il Centro è pronto al voto. Stra-pronta la Lega per cui le elezioni, a questo punto a maggio, sono il piano A.

http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La Bindi candidata premier piace anche a Romano Prodi
Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2011, 12:16:37 pm
IL CASO

La Bindi candidata premier piace anche a Romano Prodi

L'augurio del professore al compleanno di Rosy.

L'idea di Vendola scuote il Pd. D'Alema: "Scelta da concordare con la coalizione"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Non è solo Nichi Vendola a indicare Rosy Bindi come candidato premier dell'alleanza democratica. Ieri a Montecitorio, dopo l'intervista del governatore della Puglia a Repubblica, molti democratici commentavano anche lo scambio di battute tra Romano Prodi e la Bindi durante la festa dei 60 anni del presidente Pd celebrata sabato scorso. "Ti auguro di diventare presidente del Consiglio, sei la persona giusta", ha detto il Professore alla festeggiata. L'omaggio di sabato scorso è diventato ieri, "non partecipo al totopotere", risposta ufficiale di Prodi a una domanda precisa. Resta la sostanza. In pochi giorni è arrivata una doppia investitura. Da due personalità che nel mondo del centrosinistra godono di popolarità e peso indiscutibili.

Con questi sponsor l'ipotesi finisce per agitare le acque del Partito democratico. Bindi fa i passi necessari a disinnescare la mina. Di buon'ora telefona a Pier Luigi Bersani e gli legge la dichiarazione per le agenzie. "Quello di Vendola è un passo positivo perché finalmente riconosce che c'è bisogno di una larga coalizione democratica", dice Bindi. Eppoi: "Lo ringrazio per la stima ma dobbiamo ripartire dalla politica, senza farci condizionare con nomi e candidature". Ma il gelo del Pd è evidente. Non si sa se indirizzato più verso la presidente o verso Vendola. Massimo D'Alema mette in guardia rispetto a iniziative estemporanee. "Voglio ringraziare Vendola per aver indicato una persona di grande valore - dice
l'ex premier -. Naturalmente, visto che si parla di grande coalizione, il candidato deve essere concordato e non imposto". La bocciatura netta di Giovanna Melandri racconta l'umore dei veltroniani. "Per una grande alleanza vedo bene Mario Monti. Bindi non può federare un'alleanza da Vendola al Terzo polo". Lo stesso Walter Veltroni, nei suoi colloqui privati, esprime un giudizio negativo.

Non ci sono solo le diffidenze. Il presidente della Provincia di Genova Alessandro Repetto scrive una lettera a Bersani per sostenere la Bindi: "Fai un gesto nobile, lancia lei". Paola Concia applaude: "Sono d'accordo con Nichi, occorre una leadership femminile. Ma tutti devono essere d'accordo". Alcuni vedono nelle parole di Vendola un'operazione, l'ennesima, studiata a tavolino per dividere il Partito democratico. Bersani cerca di tamponare ripetendo le parole della presidente. "Non mettiamo il carro davanti ai buoi - dice -. Prima costruiamo la coalizione, prima ancora arriviamo alle elezioni anticipate. Dopo sceglieremo chi saprà interpretare meglio il progetto". Bindi o non Bindi, l'ipotesi del governatore pugliese s'insinua nella maggiore difficoltà del centrosinistra: individuare il leader. "Vendola bleffa. Non indichi la Bindi, offra soluzioni alla crisi. Il modo migliore per aiutare questa maggioranza allo sfascio è indicare nomi e metodi per scegliere i candidati", dice Fioroni. Massimo Donadi dell'Idv considera "la Bindi una persona di qualità ma prima ci sia un incontro delle opposizioni". Il segretario di Prc Paolo Ferrero precisa: "Sì alla Bindi, senza Fini però".

(17 febbraio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani Niente passi indietro il patto col Terzo Polo ...
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2011, 11:53:23 pm
L'INTERVISTA

Bersani: "Niente passi indietro il patto col Terzo Polo si farà"

Il segretario Pd: "La riforma Alfano? Diversivo populista. Non escludo affatto la mia candidatura per la premiership.

Il governo non arriverà a fine legislatura, anche se Berlusconi userà tutta la sua determinazione per galleggiare"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - La linea resta uguale: arrivare a un'alleanza "tra moderati e progressisti", tra il Terzo polo e il centrosinistra classico.
"Abbiamo delle buone occasioni per realizzare questo incontro - spiega Pier Luigi Bersani -. Alle amministrative, nel passaggio dal primo al secondo turno. In Parlamento, con le battaglie sui temi costituzionali". E se nel Partito democratico qualcuno mette in dubbio la strategia, in vista di tempi lunghi per il voto, "deve con precisione indicare un'altra strada. I semplici dubbi non è che non aiutino me, non aiutano l'alternativa a Berlusconi". Il segretario del Pd parla anche della contestata raccolta di firme per le dimissioni del premier, costellata di sostenitori fasulli online, da Stalin a Hitler a Ruby. "Sono contento che abbia firmato Paperino. Credo invece che contro Berlusconi non firmerà mai la Banda Bassotti".

Fini è sicuro che quest'anno non ci saranno le elezioni anticipate. Lo pensa che lei?
"Non faccio previsioni. So però che le fasi non cambiano ogni 15 giorni. E la fase che stiamo vivendo è quella del tramonto berlusconiano. Sarà un crepuscolo che creerà tensioni drammatiche sul piano politico e istituzionale. Berlusconi si difenderà con tutte le energie per sopravvivere e alla fine del ciclo la ricostruzione democratica avrà bisogno di un concorso di forze. Sono parole che ho pronunciato un anno e mezzo fa. Non ho cambiato idea".

La "linea della fermezza", dopo la sconfitta del 14 dicembre e il voto più lontano, rischia di farle pagare un prezzo anche nel Pd?
"Sfortunatamente l'idea che le fasi cambino a ogni piè sospinto fa breccia anche nel centrosinistra. Pur non facendo pronostici, credo che il governo non arriverà alla fine della legislatura. Allora dico che il nostro campo si deve reggere su tre parole-chiave: tenuta, grinta e progetto. Berlusconi userà tutta la sua determinazione. Noi dobbiamo avere più grinta e più tenuta, non di meno. Nonostante la sua tenacia i sondaggi dimostrano che sta perdendo la presa sull'opinione pubblica mentre l'opposizione migliora la sua capacità di parlare ai cittadini. Eppoi si vota, altro che. A maggio dieci milioni di italiani vanno alle urne per le amministrative. A loro diciamo: vota per la tua città ma anche per il tuo Paese".

Ha detto che sarà un test nazionale. Se l'esito fosse negativo, si dimetterà?
"Non ci penso nemmeno a un esito negativo. So che si voterà in universo politico trasformato rispetto a cinque anni fa. Ma mi aspetto un buon segnale rispetto ai dati delle politiche, delle Europee e delle regionali. Sarebbe un messaggio nazionale".

Ci sono dubbi sull'autenticità dei dieci milioni di firme contro il premier. Online sono tantissime quelle taroccate.
"Fra quelle già raccolte e quelle che arriveranno ai milioni di moduli distribuiti alle famiglie l'obiettivo è raggiunto. Sapevamo che su Internet ci saremmo esposti alla goliardia del centrodestra. Ma chi vuole metterla in burla sbaglia. Abbiamo una certa esperienza di banchetti: non è mai stato così facile raccogliere adesioni. Il nostro compito adesso è tenere viva questa straordinaria partecipazione.
I sondaggi confermano che per gli italiani Berlusconi è l'ostacolo alla soluzione dei problemi. E non parliamo dell'immagine all'estero.
Nei rapporti con certi regimi ci vuole il senso della misura. Il baciamano a Gheddafi è parso l'omaggio a un dittatore non alla Libia.
Oggi rischiamo di pagare un prezzo salato nel rapporto con quei popoli".

Il progetto del Pd è oscurato dalle incertezze sulle alleanze?
"Ho sempre detto che prima delle alleanze c'è il progetto di governo e che il Pd ha la responsabilità di proporlo. Abbiamo un pacchetto di riforme sociali e sulla democrazia. Da lì partiamo. La proposta politica del partito resta assolutamente ferma, si rivolge ai moderati e ai progressisti. Al momento giusto tireremo le somme. L'importante è che il Pd abbia questa impostazione generosa e aperta che ora viene compresa dai cittadini più ancora che dalle forze politiche".

La riforma della giustizia non è una legge ad personam. Il Pd può almeno aspettare il testo prima di emettere la sentenza?
"Le carte vanno viste, per carità. Il punto è che da 17 anni non vediamo mai niente di accettabile. Io non mi aspetto niente di buono.
E nel frattempo ci sono nell'aria e in Parlamento ipotesi di ulteriori leggi ad personam che vanno inquadrate in un'offensiva generale del premier contro la magistratura alla quale ci opporremo. È la solita bandiera populistica di Berlusconi, il solito modo di non andare ai problemi concreti, la solita chiamata a un giudizio di Dio sulla sua persona. Le chiacchiere non possono nascondere che la giustizia è l'unico settore che non ha visto uno straccio di cambiamento a favore dei cittadini. La riforma è solo un grande diversivo e la ricerca di un terreno di scontro".

Sui referendum il Pd ha le idee chiare?
"Sì all'abrogazione del legittimo impedimento. Sì all'abrogazione della legge sul nucleare non per ragioni ideologiche ma perché siamo contro il piano del governo. Peraltro l'esecutivo ha appena fatto un danno alle energie rinnovabili, uno dei pochi settori in crescita, mettendolo nell'assoluta incertezza. Sull'acqua valuteremo. Abbiamo un progetto contro la privatizzazione, l'esito referendario ci porta verso una soluzione non convincente".

23 parlamentari del Pd hanno abbandonato il partito in questi tre anni. Non è preoccupato?
"Mi dispiace molto. Ma registro che nel Paese siamo compresi meglio. Lo dicono i sondaggi".

Scegliere subito il candidato premier darebbe una mano all'opposizione?
"Quando ci saranno le elezioni sarà chiaro lo schieramento e verrà definito il leader che come in tutte le democrazie deve emergere da un processo politico. Anche negli Stati Uniti si decide il candidato in ragione della scadenza elettorale. Una certa deformazione del concetto di leadership è il riflesso del berlusconismo che è in noi, come diceva Gaber".

Lei è sempre in campo?
"Non escludo affatto la mia candidatura. Per il leader del maggior partito di opposizione oltre che un problema di volontà è un dovere d'ufficio esserci. Questo non significa mettere la persona davanti al processo politico".

(07 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. (Ferrara si paragona a Montanelli ecc ecc pover'uomo)...
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2011, 09:52:19 am
POLITICA E TELEVISIONE

Ferrara: "Tremila euro al giorno così difendo Silvio senza ipocrisie"

Da lunedì "Qui Radio Londra" su RaiUno: "Devo denunciare una crociata neo-puritana".

Io a Palazzo Grazioli? Posso andare a pranzo con chi mi pare Montanelli non lo faceva con Spadolini?


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Si comincia lunedì, alle 20 e 30, su Raiuno. Una breve sigla, l'inconfondibile sagoma di Giuliano Ferrara seduto alla scrivania girevole. Poi le luci si accendono e il direttore del Foglio, in splendida solitudine, parlerà agli italiani. Ogni giorno dal lunedì al venerdì un editoriale di cinque minuti. Spazio nobilissimo. Il programma si chiama Qui Radio Londra. "Spero di fare polemica, di rompere la cappa di ipocrisia, di dispiacere a certi giornali, a certi commentatori. L'Italia è occupata non da Berlusconi, ma da una mentalità, da un cultura e da un modo di essere delle élite che mi fa venire l'orticaria".

Ma quale credibilità ha un conduttore che fa anche il consigliere del premier?
"Non sono il consigliere di Berlusconi. Faccio un giornale, scrivo dei commenti e in questo senso do consigli alla politica. Sono stato consigliere di Veltroni suggerendogli la vocazione maggioritaria e il partito liquido. Sono stato consigliere della Chiesa cattolica tifando per Ratzinger. E se lavorassi per Berlusconi il mio nome sarebbe nella lista dei bonifici del ragionier Spinelli".

Lei va Palazzo Grazioli quando si riuniscono i direttori dei giornali amici, una sorta di consiglio di guerra. Questo è un fatto.
"Di che parliamo? Posso andare a pranzo con chi mi pare? Montanelli non andava a pranzo con Spadolini, con i segretari dei partiti? È assolutamente normale per un giornalista andare dal premier,
quando viene invitato".

Quanto guadagnerà?
"Tremila euro a puntata, 15 mila euro a settimana. Contratto di due anni, opzione per il terzo".
Arriviamo nel periodo in cui si decide la successione al Quirinale. Ma Berlusconi è fuori dalla corsa, no?
"Non mi sembra. Il presidente della Repubblica lo eleggono i parlamentari, saranno loro a valutare il suo senso dello Stato".

Il bunga bunga è un ostacolo insormontabile, non crede.
"Sapevamo cosa faceva Gronchi nella sua vita privata? E quello che combinava Merzagora, a lungo presidente del Senato? È già uno scandalo sapere di Berlusconi quello che sappiamo. La crociata neopuritana è la vergogna dello Stato italiano".

Sappiamo già come tratterà il processo Ruby. Ma il servizio pubblico è di tutti.
"Il Cavaliere mi darà mille occasioni per parlare male di lui. Sull'inchiesta di Milano però ho le idee chiare: è un processo stregonesco, messo in piedi da pedinatori, giornalisti e magistrati. Un boomerang per gli oppositori del premier. L'alternativa ai leader si costruisce con la politica".

Occuperà lo stesso spazio di Enzo Biagi. Si confronterà con il grande successo di pubblico del giornalista scomparso.
"Il successo di Biagi non è colpa mia. L'avrò visto due volte in tutto".

E se fa flop?
"Ferrara non fa ascolto, gli spettatori scappano. Vedo già i titoli di alcuni giornali".

I dati dei tg dicono che non c'è bisogno di un bilanciamento a favore di Berlusconi. Straripa.
"Straripa perché parlano delle sue riforme o perché è perseguitato dai magistrati? Se mi accusano di aver stuprato la Madonnina vado anch'io tutti i giorni in televisione ma preferirei non esserci".

Il tono del programma è da tv di Stato?
"Non sono Biagi, non accarezzo il pelo del gatto nel verso giusto. Ho messo in conto le critiche. E conosco l'apologo di Arbasino: brillante promessa quando lavoravo a Raitre, solito stronzo quando andai sulle tv di Berlusconi, venerato maestro a Otto e mezzo dove volevano venire tutti. Per un certo ambiente, ora, tornerò il solito stronzo". 

(10 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Giustizia, la diffidenza del Terzo polo
Inserito da: Admin - Marzo 12, 2011, 03:22:29 pm


di GOFFREDO DE MARCHIS

Giustizia, la diffidenza del Terzo polo

Una cauta apertura. Ma la disponibilità ad esaminare insieme i punti della riforma della giustizia ha molte condizioni da parte di Fini e Casini. "Non è cupidigia di accordi o inciucio, ma è responsabilità definire le regole dello stare insieme non a colpi di maggioranza ma cercando il confronto di tutte le forze politiche", dice il presidente della Camera lasciando la porta aperta. È una posizione diversa dal no pregiudiziale. Questa risposta non appartiene al Terzo polo. "Noi al tavolo ci saremo, ci sediamo perché il nostro compito, anche dall'opposizione, è quello di contribuire a una legislazione migliore ma con la giusta dose di diffidenza", chiarisce il leader dell'Udc.

Il dialogo è solo all'inizio e può riservare ancora molte incognite.

Ma queste parole bastano ad Angelino Alfano per individuare e isolare le tessere mancanti al mosaico.

"Il Pd - dice il Guardasigilli - ci dica la sua idea, ne discuteremo in Parlamento. Dall'Anm invece vedo solo la difesa di posizioni corporative.

Il Partito democratico però resta fermo sul no, sulla chiusura totale. Anche Walter Veltroni non è disponibile: "In questo clima devo difficile la strada delle riforme. L'ostacolo principale è Berlusconi". Semmai il Pd continua a seguire la via di un rapporto con la Lega sul federalismo. C'è l'apertura di Pier Luigi Bersani: "Se il Carroccio vuole parlare noi siamo qua. Ma non dica che il miliardario sostiene il federalismo".

E ai dissensi interni, ultimo quello di Chiamparino, risponde: "Sotterriamo i picconi. Per me il Pd ha un futuro e lo dimostrano i sondaggi che ci danno in crescita".

da - http://www.repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Libia, un asse premier-Colle - L'ira leghista
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2011, 03:23:33 pm


di GOFFREDO DE MARCHIS

Libia, un asse premier-Colle

L'ira leghista

Stavolta Palazzo Chigi e Quirinale marciano a braccetto. Silvio Berlusconi tiene informato Giorgio Napolitano delle decisioni prese sull'intervento militare in Libia. Lo chiama al telefono appena concluso il vertice di Parigi. L'Italia mette a disposizione le basi militari per il decollo degli aerei. E' pronta a intervenire attivamente come annuncia il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Anche se il premier per il momento esclude. "Mettiamo a disposizione le basi che sono indispensabili. Più avanti valuteremo un intervento diretto".

E assicura: "Le armi di Gheddafi non sono in grado di colpire l'Italia". Ma il nostro Paese è pronto, con i caccia e le portaerei.

Napolitano si compiace con il governo per l'esito del vertice di Parigi e "per l'impegno assunto". Le opposizioni, con qualche maldipancia, garantiscono il loro sostegno all'intervento. Da questo quadro unitario si sfila però la Lega. E se l'operazione militare dovesse avere tempi lunghi la posizione del Carroccio potrebbe diventare imbarazzante per la maggioranza. Non a caso il Pd e Casini mettono l'accento sull'atteggiamento irresponsabile dei leghisti.

Berlusconi minimizza: "Quella di Bossi è solo cautela". Ma questo fronte tutto italiano rischia di allargarsi.

da - repubblica.it/politica


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il voto sulla Libia e i diktal della Lega
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2011, 04:53:23 pm


di GOFFREDO DE MARCHIS 

Il voto sulla Libia e i diktal della Lega


E' braccio di ferro sulle mozioni da presentare in Parlamento sull'intervento militare in Libia. Bossi tiene in pugno il centrodestra, chiede condizioni precise soprattutto per fermare l'ondata di immigrati che può partire alla volta dell'Italia. Oggi Pdl e Lega si riuniscono per concordare una posizione comune. Massimo D'Alema conferma il sostegno del Pd alla risoluzione dell'Onu ma avverte: "Non voteremo una mozione contenente pasticci solo per accontentare il Carroccio". Lo stesso D'Alema denuncia la caduta di leadership del nostro paese: "Berlusconi sembra uno spettatore davanti alla guerra. E alcuni suoi ministri, come Maroni e Frattini, speculano sulla tragedia dei migranti".

Si comincia dal Senato, il voto sulla Libia potrebbe arrivare già nel pomeriggio. Poi toccherà alla Camera. Su tutti gli schieramenti c'è la "moral suasion" del Quirinale per avere una soluzione condivisa su un tema tanto delicato. Intanto il capo dello Stato Giorgio Napolitano appoggia la linea del governo per un passaggio del comando alla Nato.

Giornata chiave anche per il federalismo regionale. Se il governo non cede alle richieste del Pd e delle Regioni si può avere il bis del voto sul fisco municipale, cioè un pareggio. Ma la maggioranza berlusconiana continua a seguire il fronte della giustizia. Nella commissione parlamentare rispunta la prescrizione breve, Pdl e Lega l'approvano, il processo Mills che vede imputato Berlusconi con questa norma è virtualmente già concluso. Le opposizioni reagiscono: adesso sappiamo cosa nasconde la riforma della giustizia, dicono, la solita legge ad personam.

da - repubblica.it/politica 


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani: "Governo tecnico è tramontato, si deve votare"
Inserito da: Admin - Aprile 04, 2011, 11:06:25 am
   
DEMOCRATICI

Parla Bersani: "Alfano servile il Pd in piazza per la giustizia"

Il leader del Partito democratico: "Il guardasigilli è un ministro impastato di arroganza e servilismo".

"Governo tecnico è tramontato, si deve votare"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Alfano è arrogante come Berlusconi e servile a Berlusconi". Dunque si scordi il confronto, il "fumoso" dialogo. "Quando annunciò la sua epocale riforma della giustizia - ricorda Pier Luigi Bersani - dissi che entro 15 giorni saremmo tornati alle leggi ad personam. Da martedì voteremo una prescrizione costruita su misura del premier e sul fatto che Ruby è la nipote di Mubarak. Più chiaro di così".

È allarmante anche l'appello alla piazza del ministro della Giustizia?
"Mi allarma innanzitutto l'immagine di Alfano come emerge dall'intervista a Repubblica. Un ministro impastato di arroganza e servilismo. Un ministro che tradisce il suo mestiere e ha uno stile sartoriale perché adatta sempre i suoi provvedimenti ai voleri del capo. Quanto alla chiamata del popolo è un'affermazione sconsiderata. Ma lo avverto: è difficile arrampicarsi sulle piazze quando ci si arrampica sugli specchi".

Il Pd, rifiutando ogni confronto, rischia di apparire conservatore e succube dei magistrati. Ha messo in conto gli effetti negativi di questa posizione?
"Non siamo il partito dei giudici. Anzi, siamo pronti a disturbare i magistrati in nome di un servizio più efficiente per i cittadini come persino Alfano può arguire leggendo le nostre proposte di legge. Ma la riforma costituzionale ha un punto essenziale che è inaccettabile: dà alla politica un potere improprio nell'esercizio
della giustizia. Contro questo e contro le leggi ad personam combatteremo in Parlamento e nelle piazze".

Il Guardasigilli è convinto che il vostro no sia dettato dalla fretta. Per molti dirigenti del Pd, dice, il tempo è quasi scaduto.
"Faccia bene il suo mestiere e queste cose le lasci dire al suo capo".

Sicuro che il Pd riuscirà a reggere senza fratture il doppio binario in piazza e in Parlamento?
"Sarebbe una novità davvero singolare che un grande partito popolare dicesse no alla piazza o no alle aule parlamentari. Non conosco partiti popolari che si facciano di questi problemi".

Ma nel Pd qualcuno invoca l'Aventino e qualcun altro teme scivolamenti verso il dipietrismo.
"Allora chiariamo. Noi combattiamo in Parlamento. Lo rispettiamo e non l'abbandoniamo. Poi ci sono le tattiche parlamentari. Ma Aventino è una parola grossa. Significa andare via dal Parlamento, non uscire dall'aula in certe occasioni".

E la piazza? I vostri potenziali alleati capiranno?
"Noi vogliamo avere un colloquio diretto con i cittadini che a loro volta hanno voglia di essere protagonisti. Martedì saremo al Pantheon. Poi, le notti bianche sulla scuola diventeranno anche per la democrazia. I manifesti contro la Lega tappezzeranno il Nord. I cittadini sono parte di questa battaglia. In modo democratico e civile.

Non siamo noi quelli delle monetine".
Lei chiede le elezioni anticipate. Sotto sotto non pensa ancora a un governo tecnico?
"Ho detto e ripeto: qualsiasi soluzione è migliore dello sfascio attuale. Ma dopo il 14 dicembre e la scesa in campo dei mitici responsabili - che hanno creato un cestino dove si mettono le uova che puoi comprare ovunque - il governo di transizione più che indebolito è tramontato. Per questo dico: si vada subito al voto. Non è una forzatura, basta guardare agli ultimi mesi. Il governo ha prodotto la scossa all'economia finita in un comunicato stampa, la riforma epocale della giustizia invece siamo sempre intorno a Ruby, la posizione ambigua sulla Libia, Parmalat, Edison e tutta la moda che volano verso l'estero".

Sull'arrivo dei profughi il governo sbandiera il successo dei trasferimenti da Lampedusa.
"Invece è un disastro. Noi abbiamo avanzato una proposta. A Tunisi Berlusconi chieda di bloccare i flussi. A chi è già qui si dia lo status temporaneo per circolare in Europa come è successo ai tempi del Kosovo. No alle tendopoli, sì all'accoglienza diffusa. Ma se lo spettacolo è che ogni mattina un ministro dice solidarietà e l'altro fora di ball, allora fanno da soli".

Condivide l'idea di Tremonti: frenare lo "shopping" in Italia con una nuova Iri?
"I buoi sono scappati e loro hanno dormito per due anni. La nostra posizione è chiara: non si possono allestire strumenti pubblici senza avere uno straccio di idea sulle politiche pubbliche. Quando ero all'Industria proposi degli indirizzi di politica industriale. Il governo faccia lo stesso e siamo pronti a discuterne. Ma faremo una battaglia dura contro ipotesi di Iri o Mediobanche organizzate nella versione del sistema di potere".

Proprio martedì e mercoledì al Senato si decide sull'arresto del senatore Pd Tedesco. Alcuni democratici vorrebbero votare contro. Rischiate un cortocircuito con le piazze anti-Berlusconi?
"Ho detto ai senatori: leggete bene le carte e fatevi un vostro legittimo convincimento perché in ballo c'è la libertà personale. E sappiate che il partito non ha niente da tutelare".

Lei come voterebbe?
"Bisognerebbe conoscere bene gli atti giudiziari. Ma posso dire che il Pd ha a cuore un profilo di assoluto rigore".

Ad appena 51 anni Zapatero annuncia che non si ricandiderà alle prossime elezioni. Un fenomenale spot per il rottamatore Renzi.
"Penso esattamente il contrario".

In che senso?
"È una straordinaria pubblicità alla nostra idea di leadership".

Come dice?
"Dopo due legislature è assolutamente necessario un ricambio del leader".

Il vostro album di famiglia è sempre lo stesso da decenni.
"Ma la differenza con l'esperienza spagnola e con altre, non è il ricambio, è la stabilità. Le maggioranze sono garantite per un'intera legislatura e questa garanzia viene dai partiti non dal ghe pensi mi".

Il nuovo può essere Montezemolo?
"Ho trovato positivo il suo appello alle classi dirigenti e agli imprenditori che conoscono benissimo il crollo di credibilità dell'Italia nel mondo. Lo dico da tempo: chi tace oggi come potrà parlare domani?".

Quindi tifa per un suo impegno in politica?
"Tutto quello che mette nuova energia nella cosa pubblica è benvenuto. Purché sia chiaro un punto. Il tramonto di Berlusconi deve coincidere con la fine di un'illusione: una sola persona non ha la bacchetta magica. Il Pd vuole innovare, riformare le istituzioni e i partiti. Ma proprio per avere sia le istituzioni sia i partiti. È il tempo di leadership che siano dentro un collettivo. Solo in Italia si pensa che i problemi si risolvono con la scelta di una singola persona". 

(04 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/04/news/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Lo schiaffo della Ue al governo
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2011, 06:40:00 pm
di GOFFREDO DE MARCHIS

Lo schiaffo della Ue al governo

"Mi chiedo se davvero abbia un senso continuare a far parte dell'Unione europea", dopo che questa ha lasciato da sola l'Italia a gestire l'emergenza immigrati. Sono le parole choc di Roberto Maroni dopo lo schiaffo ricevuto dall'Italia a livello europeo. Parole che lasciano il segno, alle quali l'opposizione risponde con durezza. "Vuole che finiamo nell'Unione africana?", si chiede Pier Luigi Bersani. Non dev'essere una boutade, quella del ministro dell'Interno. Maroni rivela che Berlusconi la pensa come lui. Ma le reazioni, anche dalle cancellerie del Vecchio continente, sono allarmate.
La minaccia della Lega fa quasi passare in secondo piano la giornata sul fronte giudiziario. Allo show di Berlusconi davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, dove ha fatto un vero e proprio comizio davanti alla sua rumorosa claque, replica senza mezzi termini Gianfranco Fini: "Il premier non è Superman".  Poi attacca la maggioranza: "Questo è il governo Berlusconi-Scilipoti". E sul processo breve aggiunge: "La legge dev'essere veramente uguale per tutti. Qui invece si sta trascurando l'interesse generale perchè Berlusconi si occupa di una cosa sola". Per Di Pietro il comizio di Berlusconi a Milano "è eversivo" ed Enrico Letta (Pd) per una volta la pensa come l'ex pm.  "Siamo al limite dell'eversione. Berlusconi è andato oltre. Il centrodestra ha vinto le elezioni e ha diritto di governare fino al 2013, ma per favore cambi il presidente del Consiglio perchè sarebbe utile per l'Italia e per loro". E domani la Camera torna ad occuparsi della prescrizione breve che "ucciderà" il processo Mills-Berlusconi: l'approvazione è prevista per mercoledi sera.

da - www.repubblica.it/politica/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Berlusconi: test alle amministrative
Inserito da: Admin - Aprile 18, 2011, 04:35:18 pm
di GOFFREDO DE MARCHIS

Berlusconi: test alle amministrative

Dunque avremo presto un assaggio delle elezioni politiche anticipate che sono nell'aria da tempo ma che non arrivano mai. Lo ha detto per primo Pier Luigi Bersani qualche settimana fa: "Le amministrative sono una prova nazionale". Oggi lo ha confermato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: "Il voto per sindaci e province è un test nazionale". Il 15 maggio ci si misura anche sull'idea di Paese e sulle forze in campo dopo gli ultimi mesi di scontro frontale. La sfida è aperta.
Il Cavaliere cerca la "conferma che il berlusconismo non è al tramonto", come dice alla presentazione della candidata milanese Letizia Moratti. Ma gli aspiranti sindaci gli interessano fino a un certo punto. Vuole un referendum su di sè nel pieno della bufera giudiziaria che lo riguarda. "Dovete spiegare che cosa sono i comunisti - dice -, spiegare che cosa ha fatto la sinistra al governo. Dovete dire: devi votare per tutelare i tuoi diritti ma anche i tuoi interessi patrimoniali". I primi comunisti per lui restano i magistrati e in particolare i procuratori di Milano. Per non copiare alla lettera i manifesti apparsi nel capoluogo lombardo li definisce "una cellula rossa". Ma quel riferimento alle Br dev'essergli piaciuto non poco. E infine parla di un "patto scellerato" tra i giudici e Gianfranco Fini. Che oggi decide di rispondergli: "Non conosce vergogna".

da repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Casini con noi prima delle elezioni o Berlusconi vincerà...
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2011, 10:33:23 pm
L'INTERVISTA

"Casini con noi prima delle elezioni o Berlusconi vincerà un'altra volta"

Veltroni: "Battere il clima d'odio. Costretti a cercare una soluzione che avvii una fase simile a una ricostruzione postbellica"

di GOFFREDO DE MARCHIS

"Casini con noi prima delle elezioni o Berlusconi vincerà un'altra volta" L'ex segretrario del Partito democratico Walter Veltroni
ROMA - Per Walter Veltroni la prima scelta resta il governo di decantazione, proposta lanciata insieme con il senatore del Pdl Beppe Pisanu. «Siamo costretti a cercare una soluzione che dia la garanzia della fine del berlusconismo. E avvii una fase simile a quella della ricostruzione post bellica». Quali sono le alternative? «La prosecuzione del governo Berlusconi, ossia un disastro per l'Italia. E le elezioni anticipate. Siamo sicuri che un nuova campagna elettorale uguale alle precedenti e dall'esito incerto possa risolvere i problemi?».

Casini e Bersani hanno archiviato l'esecutivo di transizione e puntano dritti al voto anticipato. Stanno sbagliando tutto?
«No. Però mi piacerebbe che la richiesta di elezioni avvenisse contestualmente all'impegno comune per costruire in campagna elettorale uno schieramento di forze largo e sicuramente vincente. Chiedere le elezioni per andare separati rischia di creare le condizioni in cui Berlusconi torna a essere il vincitore. Si ripeta cioè l'errore del ‘94. E in condizioni drammatiche come quelle prodotte alle accelerazioni e dalla forzature di Berlusconi, compresa quella annunciata sulla legge elettorale del Senato».

I sondaggi dicono che anche la coalizione Pd-Idv-Sel avrebbe la meglio sul centrodestra. Vendola nell'intervista a Repubblica propone infatti un patto di consultazione tra queste forze.
«Ho visto i sondaggi. Dicono che il centrosinistra prevale di mezzo punto percentuale. Ma vanno considerati alcuni particolari. Nei sondaggi loro sono spesso sottostimati rispetto a noi; sempre più gente si vergogna di ammettere il voto per il Pdl; Berlusconi ha dimostrato una capacità di recupero nelle campagne elettorali. Non possiamo più permetterci di rischiare. Dobbiamo trovare la strada che garantisca la chiusura della stagione berlusconiana e non la sua riproposizione. Questa garanzia viene da un governo di decantazione o da un'alleanza elettorale di tutte le forze politiche che stanno insieme per un percorso di transizione, poi tornano a dividersi in un bipolarismo maturo e civile. Questo Paese è stanco, ha di fronte sfide difficili, come quella di risanare il bilancio - e nel 2013 ci vorrà una manovra durissima - e evitare l'impoverimento del lavoro e dell'impresa».

E le ambizioni del riformismo italiano dove finiscono?
«La fine di Berlusconi e della sua cultura ci saranno solo quando gli italiani avranno la percezione che comincia una fase nuova. Come succede negli Usa o in Gran Bretagna. Abbiamo il dovere di trasmettere il senso di un ciclo storico, una ennesima pagina della malattia del populismo, che si chiude. Per riuscirci è necessario che scenda in campo il riformismo».

Un governo di passaggio non è la summa dell'antiberlusconismo?
«Non è così. Superare Berlusconi significa liberare la vita pubblica del Paese. Non è un obiettivo di poco conto. Se è possibile farlo già oggi con un governo che marchi una netta discontinuità con il passato, attenui il clima di odio e faccia la riforma elettorale, per me è la soluzione migliore. Del resto è la proposta che il Pd ha avanzato più di un anno fa. La prosecuzione del governo Berlusconi sarebbe un disastro. Napolitano gira per l'Italia e per il mondo dando del nostro Paese l'immagine positiva della sua grandezza. Ma come Penelope lui tesse una tela che si sfascia ogni volta che il premier apre bocca. L'altra strada sono le elezioni anticipate. Temo però che invocare il voto non faccia altro che ingrossare le fila dei responsabili. Altra cosa è delineare la possibilità di un esecutivo non di ribaltone guidato da una figura che comunichi un senso di sicurezza al Paese come fu Ciampi e porti a una transizione morbida verso una vera Seconda repubblica».

Va esclusa la possibilità di una sua ricandidatura a Palazzo Chigi?
«Escludo che se ne debba discutere adesso. Il grande difetto del centrosinistra di questi ultimi anni è aver concentrato il confronto sui nomi. Ne sono stati divorati decine. È un chiaro elemento di fragilità. Ma non si può più giocare. Questo è il tempo di pensieri lunghi, per usare le parole di Berlinguer».

Il clima di odio è alimentato anche da Asor Rosa?
«Certo. L'idea di congelare la democrazia per salvarla è pericolosa. Come lo sono le minacce dei tassisti milanesi all'assessore regionale del Pdl, come lo è quel manifesto che accosta le Br alle procure, come lo è l'incredibile silenzio di Berlusconi su quell'episodio. Perché il Paese vuole bene a Napolitano come ne ha voluto a Ciampi e Scalfaro? Perché li vede come elementi di unità, perché non si piegano alla logica della politica spettacolo. Dovremmo ispirarci a questa politica piuttosto che a certe trasmissioni tv dominate dagli urlatori».

Movimento democratico, la sua area, ha criticato la segreteria Bersani per i sondaggi che inchiodano il Pd al 25 per cento. Ora c'è un lento recupero.
«Il Pd ha preso il 33,4 per cento nelle condizioni più difficili, dopo la travagliata esperienza del governo Prodi. Se abbiamo raggiunto quella soglia nel 2008, in un momento più vantaggioso non possiamo accontentarci. Esiste un elettorato potenziale per il Pd che si aggira intorno al 42 per cento. Dobbiamo guardare a quell'obiettivo. E io ho fiducia che si possa raggiungere».

Un Partito democratico che vuole tenere insieme opposizione parlamentare e piazze è in grado di puntare a quella cifra?
«Le piazze vanno benissimo. Ma poi il discorso pubblico del Pd deve scegliere alcuni temi-chiave. Faccio degli esempi: la fine del precariato con la proposta Ichino; le politiche per far diventare il Pd il più grande partito ecologista italiano; la scelta inequivoca di scuola, università, ricerca e cultura come volano del Paese; una politica più lieve, partiti più leggeri».

Alle amministrative il Pd può dare una spallata a Berlusconi?
«Spallata è un'espressione che mi fa orrore anche perché i teorici delle spallate spesso finiscono in ortopedia. Certo, questo test può avere effetti rilevanti, ma i cittadini vanno a votare per il sindaco, cioè per la persona che più influisce sulla loro vita. Sbagliare scelta significa vivere peggio».

È possibile un'alleanza con il Terzo polo al ballottaggio?
«Me lo auguro. A Napoli tra il candidato sostenuto da Cosentino e Morcone i centristi non dovrebbero avere dubbi. Vedo però che il Terzo polo rivendica un ruolo autonomo. Così torniamo alla logica dei due forni, dei governi contrattati. Invece il futuro del Paese sta in un bipolarismo virtuoso. Per averlo penso sia necessaria una fase di passaggio. Ma come ho detto la fine del berlusconismo ci sarà solo se emergerà una vera e nuova alternativa riformista. Una sfida per togliere al Paese paura, immobilismo e odio affermando innovazione, speranza e spirito di comunità».
 

(21 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/21/news/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. I sospetti di Bersani: "Puntano a isolarmi ma nel partito..
Inserito da: Admin - Ottobre 12, 2011, 12:02:50 pm
Il retroscena

I sospetti di Bersani: "Puntano a isolarmi ma nel partito restano una minoranza"

Il movimentismo di Walter e gli attacchi espliciti di Gentiloni hanno ferito il segretario.

Ma il segretario, sul governo di transizione, rilancia: "Sono stato io il primo a parlarne, c'è anche la prova filmata del discorso". 

Il nervosismo sulla leadership è legato anche alla vicenda Penati

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Bersani continua a sospettare un uso improprio della bandiera "governo di transizione" da parte di Veltroni. Un modo per schiacciarlo sull'alleanza di Vasto (la foto con lui, Di Pietro e Vendola) e per metterlo ai margini di un ipotetico e remoto esecutivo-ponte. "Ma il primo a parlarne sono stato io", ricorda ai suoi interlocutori. C'è anche la prova filmata: il discorso a Montecitorio sul voto di fiducia alla manovra datato 28 luglio 2010, più di un anno fa.

"Il berlusconismo è finito, il Pd è pronto a una fase di transizione", disse quel giorno. E il video corre su Facebook nelle pagine dei fedelissimi bersaniani. Ma il segretario vuole evitare la polemica, anche se ha registrato le punzecchiature dell'assemblea di Movimento democratico. "Non ho alcuna intenzione di polarizzare lo scontro. C'è stata una riunione della minoranza del partito. Hanno partecipato anche Letta e Franceschini ma non mi risulta si siano iscritti a Modem. E le tesi sostenute in quella sede, esecutivo di transizione a parte, continuano a essere largamente minoritarie nel Pd".

Assemblea più che legittima, ma stavolta Bersani non ne condivide lo spirito. Non a caso ha evitato di farsi vedere, a differenza della convention al Lingotto di Torino dello scorso gennaio dove accettò con calore l'invito e intervenne dal palco.

Il movimentismo di Veltroni (venerdì scorso ha tessuto la sua tela incontrando a pranzo il presidente della Camera Gianfranco Fini),
le parole di dissenso di Paolo Gentiloni ("non è scontato che Bersani sia il nostro leader, neanche se si vota nel 2012) lo hanno ferito. Ha apprezzato invece l'intervento di ieri di Beppe Fioroni che ha chiarito un punto cruciale nella minoranza. "Chi pensa che siamo qui per dire Bersani a casa non ha capito nulla". Modem sulla leadership ha scelto un profilo basso, nessun attacco diretto, nessuna sconfessione. Eppure il ruolo di Bersani rimane nel mirino di più fronti. Magari contrapposti, divisi, ma lo stesso insistenti.

L'annuncio di Matteo Renzi va in questa direzione. "Il big bang del sindaco di Firenze - dice Matteo Orfini, membro della segreteria, alla guida del gruppo di trenta-quarantenni anti-rottamatori - è carico di fuffa. La cornice sarà diversa, però la valanga di idee darà sempre la stessa musica, cioè il tentativo di imprimere una svolta neomoderata al Pd". E Veltroni? "Forse non è la linea di Walter ma in alcune settori di Modem la voglia di logorare Bersani esiste. Ma ieri non c'è stato l'affondo. Semmai un'operazione che punta ad allargare la minoranza sulla base di alcune politiche economiche". Il riferimento è a Enrico Letta e alla condivisione della lettera della Bce a Berlusconi.

La sfida sulla leadership resta dunque sottotraccia. Ma c'è un nervosismo evidente nel Pd e intorno al segretario. Anche e soprattutto per fattori esterni al dibattito interno. Il 21 ottobre, fra dieci giorni, il Tribunale del Riesame decide sulla richiesta di arresto per Filippo Penati da parte della procura di Monza. Sarà riuscito a convincere i pm, domenica, della sua buona fede? Quel "verdetto" rischia di far precipitare di nuovo nella bufera il partito e il suo segretario. Perché è vero che Penati è stato sospeso, ma rimane l'ex capo della segreteria di Bersani.

Sulla questione morale la tensione tra le varie anime del Pd continua a essere visibile e scoperta. Tanto per dire ieri su Facebook se le sono date di santa ragione due giovani leve democratiche, il direttore di Youdem, la tv ufficiale, Chiara Geloni, bersaniana e Pina Picierno, vicinissima a Franceschini ed ex leader dei giovani della Margherita. Una lite feroce intorno alla vicenda Penati e all'acquisto dell'autostrada Milano-Serravalle condita da parolacce, accuse di "berlusconismo" e riferimenti (scherzosi ma non troppo) all'assunzione di stupefacenti.

Bersani cerca di mantenere la barra dritta. Visti i toni morbidi di Modem sulla sua persona, ha ordinato ai suoi collaboratori di non fare commenti. Da D'Alema ha incassato il riferimento all'intervento alla Camera del 2010: "Il segretario è stato il primo a parlare di transizione. Tutti seguono la sua linea".

Ma il governo di emergenza gli appare una chimera difficilissima da raggiungere. Proprio per questo l'unità oggi è tanto più indispensabile. E a Largo del Nazareno sperano che non arrivino spaccature dai prossime tre week end in cui i giovani del Pd si dividono. Prima la riunione dei 30-40enni guidati da Andrea Orlando e Orfini all'Aquila (con Zingaretti e Enrico Rossi guest star), poi Civati e la Serracchiani a Bologna e infine la Leopolda 2 di Renzi a Firenze. Ma sul punto Veltroni dà una mano al vertice del Pd piazzando una frase velenosa: "Ben vengano i tre convegni dei giovani anche se alcuni di loro li conosco da trent'anni...".

(11 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/10/11/news/sospetti_bersani-23018297/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani e la manifestazione del Pd
Inserito da: Admin - Novembre 04, 2011, 02:50:23 pm
LA PROTESTA

Bersani e la manifestazione del Pd "In piazza con noi chi ha a cuore l'Italia"

Domani il Partito democratico a San Giovanni a Roma. "Via Berlusconi, ricostruiamo il Paese".

Di Pietro ci sarà. Attesi 4 treni, 2 navi, oltre 700 pullman.

Vendola: "Guardo con grande simpatia"


di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Il Partito democratico "riapre" Piazza San Giovanni alle grandi manifestazioni dopo il sabato nero degli scontri, tre settimane fa. Lo fa per un appuntamento che sarà sicuramente pacifico, ma ha tutte le intenzioni di mandare un chiaro messaggio agli italiani: Berlusconi deve andare a casa. Domani la grande piazza di Roma sarà invasa dal popolo democratico con il caldo suggerimento del segretario Pier Luigi Bersani di sventolare soprattutto bandiere tricolori. "Il nostro intento è di riunire tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese per avviare insieme una ricostruzione democratica, sociale ed economica", dice il leader del Pd. Non verranno invocate elezioni, si dirà che c'è bisogno di un cambio a Palazzo Chigi. Subito.

La manifestazione scatta alle 12,30 con la musica, altra protagonista della kermesse. Si comincia con le note dell'ensemble multietnico Med free Orkestra e con Ziggy. Più tardi sul palco saliranno Marlene Kuntz e Roberto Vecchioni. Ma il clou scatta alle 14,30 quando Bersani e gli ospiti daranno un senso politico alla giornata. Sono stati invitati a parlare il leader della Spd Sigmar Gabriel, il candidato alle presidenziali francesi, il socialista François Hollande e il vicepresidente della Dc cilena Jorge Burgos. Sono stati Beppe Fioroni e Lucio D'Ubaldo a organizzare l'arrivo del dirigente sudamericano. In qualche modo andava equilibrata la presenza dei socialisti con un esponente cattolico che desse il senso di un partito progressista, che è fuori dall'alveo del socialismo classico.

In piazza ci saranno banchetti per la raccolta di fondi in favore delle zone alluvionate della Liguria e della Toscana. A rompere le parole dei politici puri, Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissario per i rifugiati, parlerà degli immigrati, dei richiedenti asilo. "Per riprendere il posto che ci meritiamo nel mondo c'è bisogno di uno sforzo corale. Per questo chiediamo a tutti di venire in piazza con noi, alle diverse associazioni impegnate nella società, ai movimenti civili, a coloro che hanno a cuore il futuro degli italiani", dice ancora Bersani in un invito aperto. I militanti del Pd si sono già mossi. È prevista un'affluenza record con 14 treni, 2 navi, oltre 700 pullman già riempiti. Si spera nella clemenza del meteo.

La manifestazione verrà trasmessa in diretta sul sito del Pd (www.partitodemocratico.it), sul twitter di pdnetwork (con # cinque11), sul sito di Youdem, la televisione del partito (www.youdem.tv) e sul satellite (canale 808 della piattaforma di Sky), ma anche sul sito dell'Unità e di Europa, su repubblica.it e corriere. it, su Rainews24 e Skytg24. Ci saranno l'Idv e il suo leader Antonio Di Pietro. Ci sarà anche Matteo Renzi, che partirà per Roma subito dopo la posa della prima pietra della tramvia a Firenze. Mancherà Nichi Vendola che quel giorno accoglie Napolitano in Puglia. Ma il capo di Sel guarda "con grandissima simpatia alla manifestazione". E tifa perché dal popolo Pd sorga un movimento per le elezioni anticipate, scavalcando l'idea di un governo di emergenza. "Auguro un successo a Bersani - spiega Vendola - perché considero l'appuntamento del Pd un pezzo importante della costruzione di un cantiere comune". L'area Marino avrà una sua folta rappresentanza. "La manifestazione è certamente un passaggio importante per mandare a casa il governo Berlusconi", dice il coordinatore Michele Meta.

(04 novembre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/04/news/manifestazione_pd-24391605/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Veltroni sposa l'ipotesi Monti "Niente voto e governo...
Inserito da: Admin - Novembre 08, 2011, 10:00:31 am
L'intervista

Veltroni sposa l'ipotesi Monti "Niente voto e governo di transizione"

Parla Walter Veltroni: il partito ascolti le preoccupazioni di Prodi. 

"Il Cavaliere ora è solo contro tutti e oscilla tra infantilismi e l'idea di trascinarci alle urne in un finale da Caimano".

Su Renzi: "Non condivido né certe forzature del sindaco di Firenze né reazioni di stampo antico del tipo 'fai il gioco del Cavaliere'"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Un modello per il dopo Berlusconi? Il socialista Papandreou, ancor più che Zapatero. "Il premier greco ha dimostrato cosa significa essere un uomo di Stato. Pur avendo la maggioranza, ha operato per un governo di unità nazionale facendosi da parte". Il parallelo con la Grecia fa capire quanto Walter Veltroni veda nerissimo il futuro di un'Italia con Berlusconi in sella anche solo per qualche giorno. "Sta trascinando il Paese verso un esito che può diventare davvero difficile e persino drammatico", scolpisce l'ex segretario del Pd.

Siamo lontanissimi dai numeri devastanti della crisi ellenica, non crede?
"Certo. Ma il pericolo per l'Italia non sono le sue potenzialità, i suoi fondamentali. È piuttosto un presidente del Consiglio che si ostina a non volere riconoscere la realtà. In questo momento è solo contro tutti: contro i mercati, contro le cancellerie europee, contro i giornali italiani e internazionali, contro parte consistente della sua stessa maggioranza. Berlusconi invece oscilla tra l'asilo infantile con dichiarazioni del tipo "voglio vedere in faccia chi tradisce" e l'idea di trascinare l'Italia a elezioni in un clima che rischia di assomigliare al finale de Il Caimano. I parlamentari del centrodestra devono sapere che l'obiettivo del premier è la corsa alle urne non certo la conclusione della legislatura né la trasformazione in atti parlamentari della lettera alla Ue".

C'è lo spazio per un governo di transizione?
"Io lo sostengo da tempo, l'ho scritto in un appello firmato con Beppe Pisanu molti mesi fa. Vedo che questa mia convinzione è oggi un dato oggettivo. Si può andare a votare con la verifica trimestrale del Fondo monetario, con i mercati che possono attivare meccanismi di esposizione debitoria del Paese tali da non essere sopportabili? No. L'Europa si attende da noi riforme strutturali, misure serie, un clima all'altezza della situazione".

Perché il voto anticipato non garantisce una fase nuova, come avviene in Spagna?
"Perché in Italia c'è una legge elettorale che fa nominare i parlamentari. E rende ancora più indigeribile per i cittadini la politica e la sua macchina organizzativa. Perché contro quella legge sono state raccolte un milione e 200 mila firme referendarie. Perché quella norma non dà alcuna garanzia su un sicuro vincitore in tutti e due i rami del Parlamento. Per tutti questi motivi un governo di transizione è chiamato anche al cambiamento della legge elettorale".

Condivide la scelta di Bersani di dire no sia un governo Letta sia a un governo Schifani?
"Sì. Occorre un segno di discontinuità profonda e al tempo stesso nulla che appaia un ribaltone, cioè una soluzione ostile al centrodestra. Quello che mi sta a cuore è il profilo della personalità che verrà indicata per guidare l'esecutivo. Più è lontana dagli schieramenti, più ha autorevolezza in Europa, più si è tenuta fuori dal conflitto politico degli ultimi anni, meglio è".

È il profilo di Monti. Pdl e Lega possono accettarlo?
"Premessa: sarà il capo dello Stato a valutare la via d'uscita. Per fortuna è persona nella quale si riconoscono tutti gli italiani, un presidio importante delle istituzioni. Monti è una personalità che non può essere considerata ostile dal centrodestra visto che fu nominato commissario europeo proprio da Berlusconi. E il centrosinistra non potrebbe non considerarlo positivamente. Ma come il suo ci sono altri nomi".

È normale che i partiti deleghino a figure super partes il destino dell'Italia?
"Ci sono momenti nella storia di un Paese in cui le forze politiche devono dimostrare di avere una sintonia con lo stato d'animo dell'opinione pubblica. Fu così dopo la Resistenza, è stato così durante gli anni del terrorismo quando non era certo facile far convivere il partito di Berlinguer e il partito di Andreotti e ora siamo costretti a farlo per un breve periodo perché si affaccia la più pericolosa delle minacce per una comunità che viva in democrazia: la recessione".

Non la spaventa un governo che nasce sotto la regia di personaggi come Pomicino e con le fughe di ultrà berlusconiani come Stracquadanio e Carlucci?
"Proprio per questo dico che il nuovo governo non deve essere frutto di operazioni simili a quelle che fa Berlusconi. Anche se i parlamentari che lasciano il Pdl lo fanno, mi sembra, mossi da un autentico disagio e soprattutto consapevoli di non avere altri strumenti, dentro il partito, per esprimerlo".

Il Pd si rifugia di nuovo dietro un esecutivo tecnico?
"Ora la responsabilità di una grande forza riformista consiste nell'evitare il tracollo. Il resto viene dopo. Ma sono convinto sia proprio questo il momento del Pd. Io ho cominciato il mio lavoro di segretario dopo la sfortunata stagione dell'Unione quando Berlusconi aveva il pieno del consenso. Adesso invece il Pd ha di fronte a sé un immenso spazio. Ed è giusto ascoltare la preoccupazione di Prodi sulla difficoltà a raccogliere fino in fondo il consenso. Il Pd dovrebbe far vivere quella che chiamai la sua vocazione maggioritaria e lanciare sui contenuti la sfida riformista. Un partito unito ed aperto. Da questo punto di vista, né certe forzature di Matteo Renzi usate nel passato né, tantomeno, atteggiamenti di chiusura e reazioni di stampo antico del tipo "fai il gioco di Berlusconi" corrispondono all'idea in cui io e altri abbiamo creduto anche quando altri non ci credevano. L'idea di una grande forza riformista, nuova, di cui al Lingotto definimmo contenuti e lineamenti".

Se nasce un governo Monti, poi lo candiderete alle prossime elezioni?
"Non consumiamo altri nomi, altre persone, come abbiamo fatto con una bulimia folle in questi anni. Ripeto: ora una forza riformista cerca di evitare il tracollo del paese e i prezzi sociali. Il resto viene dopo. Sapendo che la vera sfida non è solo quella del rigore ma è quella dell'innovazione, della crescita, dell'equità e soprattutto del cambiamento, anche morale, più coraggioso e radicale. Ciò di cui ha bisogno l'Italia, ciò per cui è nato il Pd".
 

(08 novembre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/08/news/intervista_veltroni-24625616/?ref=HREA-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Fassina dixit - (per quel che vale).
Inserito da: Admin - Novembre 29, 2011, 12:53:27 am
Fassina: Capisco Ichino ma è il 2% del Pd

25 novembre 2011 —     

POLITICA INTERNA

ROMA - Niente di personale, dice Pietro Ichino. Niente di personale, replica Stefano Fassina, responsabile economico del Pd di cui i liberal hanno chiesto la testa per le posizioni sul mondo del lavoro e sulle ricette economiche dell' Europa. Fassina, anzi, ringrazia il giusvalorista per aver sgombrato il campo dalla polemica sulle dimissioni. Ognuno resta al suo posto. «La vicenda è chiusa. Hanno parlato i vertici, i segretari regionali, i militanti. Tutti mi hanno difeso», sottolinea Fassina. Meglio così. Restano però le linee opposte all' interno del Partito democratico. E prima o poi, quando il governo comincerà a muoversi sul terreno delle riforme, questa divisione emergerà di nuovo.

Ichino predica una rivoluzione del mercato del lavoro che coniughi la massima flessibilità e la massima sicurezza del lavoratore.
Fassina immagina una rivoluzione contraria considerando fallimentare il ventennio di precarizzazione dell' impiego, bocciando il modello Pomigliano e difendendo la Fiom. «Non voglio alimentare la polemica, siamo un partito serio, guardiamo avanti e io sono concentrato sulla nostra assemblea con il mondo del lavoro e con le piccole e medie imprese di domani a Monza. Verranno tutti gli invitati».

Le sue dunque sono solo precisazioni, ragionamenti. «Nel Pd ci sono due linee su questi temi», ammette Fassina e Ichino sottoscrive. Entrambe hanno diritto di cittadinanza. Però c'è un orientamento prevalente. Di gran lunga prevalente. «Una linea ha il 2 per cento, l'altra il 98 per cento», sottolinea Fassina. «Io capisco Ichino. Lui rappresenta quel 2 per cento e per farlo valere, per difenderlo ha bisogno di andare sui giornali tutti i giorni». Ma la rotta è un' altra, questo dicono i numeri. Il punto è che il governo tecnico sembra pronto a sposare la linea Ichino. «Questoè vero solo in parte - precisa Fassina -. Ho ascoltato il primo intervento pubblico del ministro del Welfare Fornero. Non ho trovato elementi in contrasto con le nostre idee. Ha detto che interverrà sulla vicenda Fiat, che serve un confronto tra le parti, che i diritti dei lavoratori sono una conquista. Mi è piaciuta moltissimo».

E comunque, continua Fassina, «il governo Monti non è il governo del Pd. Ci convivono forze politiche con idee e culture contrapposte, su cui il governo è chiamato a trovare un bilanciamento. Tenere chiaro il profilo del Pd è la migliore assicurazione per la durata di Monti. Così si capirà quali sacrifici fanno i partiti nell' interesse del Paese. Mi sembra che facciano più danni quelli che tirano per la giacca il premier cercando di caratterizzare politicamente il governo».

Ma la sua profezia sui tempi non garantisce lunga vita all' esecutivo: primavera 2012. «Era una battuta, detta prima della sua nascita. Quando ho visto che non c' erano politici e la caratura dei ministri, ho condiviso le parole di Bersani: nessun paletto sulla durata». -

GOFFREDO DE MARCHIS

da - http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/11/25/fassina-capisco-ichino-ma-il-del-pd.html


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Napolitano scuote la politica
Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2011, 10:45:43 pm
LA LETTERA

Europa del futuro e Welfare. Napolitano scuote la politica

Le reazioni alla missiva del capo dello Stato sulle riforme pubblicata su Reset e anticipata da Repubblica.

Urso: "Intervento coraggioso. Napoli: "E' una sfida".

L'economista D'Antoni: "Alcuni hanno perso i propri riferimenti e li cercano altrove"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 
ROMA - La vicenda di Giorgio Napolitano si iscrive per lunghi anni nella storia della sinistra italiana. Ecco perché dalla sua lettera Reset pubblicata ieri da Repubblica 1 si sentono interrogati molti dirigenti dell'attuale Partito democratico. Enrico Morando, dirigente liberal del Pd, stimato esperto economico, ha molto apprezzato le parole del presidente della Repubblica. "Il capo dello Stato approfondisce un punto evidente della cultura politica di sinistra, direi della sua ideologia: la difficoltà, negli anni passati, dell'incontro tra il riformismo e la tradizione liberale. Per anni - dice Morando - siamo stati sulla frontiera del noi e loro. Oggi Napolitano spiega che il riformismo della cultura socialista è il liberalsocialismo. Non c'è più il noi e loro". Morando, che fa parte della minoranza di Modem, considera il testo del presidente uno "stimolo anche per il Pd, un invito ad accelerare il suo processo verso un incontro con la cultura liberale".

Naturalmente la grande attualità, legata alle riforme di oggi, è il tema del Welfare, del suo aggiornamento, del taglio alla spesa pubblica. "La sinistra - spiega Morando - non incontrando la cultura liberale ha finito per sostenere uno statalismo assistenziale. Una revisione integrale del concetto di spesa pubblica è necessario. In Italia e in Europa". Per Matteo Orfini, giovane responsabile
Cultura del Pd, vicino all'area di Bersani, "già il Pds aveva fatto i conti con la cultura liberale, accettandola e facendola sua. Cose successe quindi anni fa. Il liberalismo è patrimonio della storia socialista riformista, il neoliberismo no". Ad Orfini è piaciuta la citazione di Tony Judt "autore di uno straordinario libro che condanna i neoliberisti e invita gli americani a guardare al modello del Welfare europeo". Ma che quel modello oggi debba cambiare "siamo tutti d'accordo e condividiamo le parole di Napolitano. Che si debba mettere mano allo squilibrio delle tutele, pure. È di questo che stiamo discutendo nel Pd. E mi sembra che Napolitano non sposi nessuna soluzione particolare". Non è piaciuto invece, almeno su Facebook, a Massimo D'Antoni, il testo del presidente. Senza citarlo l'economista bocconiano, editorialista dell'Unità e legato al responsabile economico Stefano Fassina, critica le parole di Napolitano. "C'è gente che ha perso i propri riferimenti e li cerca altrove, usa termini altrui e non riconosce neanche le proprie conquiste". Insomma, dice D'Antoni con quelli che sono dei semplici post, "c'è chi ha passato una vita nel Pci ma è convinto di venire dal Pli". Sono pensieri "quasi" privati. Ma va tenuto conto che l'articolo del capo dello Stato prende le mosse da una riflessione sulla figura di Einaudi. Era impossibile sottrarsi a ragionamenti sulla cultura liberale.

Napolitano non coinvolge solo la sinistra. "Il richiamo del presidente della Repubblica alle forze riformiste affinché sia realizzata una radicale riforma del welfare è tempestivo, coraggioso e pienamente condivisibile", dice il presidente di Fareitalia Adolfo Urso. Per Osvaldo Napoli, vice capogruppo Pdl "ci vuole oggi un atto di coraggio per superare quella che Napolitano ha diagnosticato come crisi di leadership a livello europeo. Anche sul terreno delle istituzioni l'Italia è chiamata a vincere una sfida forse più decisiva dello spread". Fabrizio Cicchitto, che nel Partito socialista ci ha trascorso una vita, non perde l'occasione per attaccare il vecchio Pci. "La ragione di fondo della distanza fra Einaudi e la sinistra sta nel fatto che in quest'ultima il riformismo era assolutamente minoritario. Nel suo nocciolo duro il Pci era distante sia dal liberalismo sia dal socialismo democratico e ciò pesò, e non poco, nella nascita dell'Europa". Bene quindi ha fatto Napolitano a ripercorrere quella storia. "Serve più riformismo. E in Europa una profonda modifica dell'assetto dell'euro".
 

(30 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/12/30/news/europa_del_futuro_e_welfare_napolitano_scuote_la_politica-27380774/?ref=HREC1-3


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Che cos’è l’Anti-politica »
Inserito da: Admin - Gennaio 01, 2012, 06:50:44 pm
« Hallelujah

Che cos’è l’Anti-politica »

La normalità al potere

Marco DAMILANO

Si è presentato nelle case degli italiani all’ora di cena, nei tg delle otto, con un semplice buonasera. Niente retorica, neppure un sorriso, solo alla fine una battuta in puro stile anglosassone. Buonasera, eccomi qua, sono il professor Mario Monti: l’Ufo del Palazzo romano, il Supermario di Bruxelles, descritto nei giorni scorsi come il salvatore della Patria sceso in terra (dagli adulatori, già schierati in forze) o come il capo del complotto demo-pluto-ecc. (dalla ridotta della Valtellina berlusconiana), si è mostrato infine con il volto dell’italiano normale chiamato a fare uno sforzo straordinario.

Il cambio di stile è rivoluzionario. Bastava vedere, qualche minuto prima, il videomessaggio del premier uscente. E dire che Silvio Berlusconi, almeno in questo caso, aveva tentato di indossare i panni dello statista buono che per generosità e amore nei confronti del Paese fa un passo indietro. Niente da fare: sia pure moderato nella forma, il Cavaliere del congedo era il solito Berlusconi che abbiamo conosciuto in questi anni. Ego straripante, tutto un ripetere la parola Io, diminutivo di dio, assolutamente convinto di sé e della propria funzione provvidenziale per l’Italia, anche quando i fatti si sono incaricati di smentirlo così pesantemente. «Quando si sente dire che serve un governo tecnico al Consiglio dei ministri ci mettiamo a ridere. Non vedo nessun tecnico in giro che abbia la mia stessa autorevolezza personale e politica», aveva ridicolizzato la sola ipotesi di essere sostituito l’uomo di Arcore il 9 settembre, appena due mesi fa, ad Atreju, la festa dei giovani del Pdl a Roma. Ieri sera, forse, avrebbe voluto ripeterlo. E invece gli toccava ripetere meccanicamente responsabilità e generosità, termini a lui ignoti.

La parola io non esiste, invece, per il professor Monti. Non perché sia privo di autostima: anzi, se c’è una cosa che unisce il premier incaricato a quello uscente è proprio la certezza di essere un numero uno, un’eccellenza. Ma oggi è il tempo dell’emergenza, per affrontarla servono gli uomini normali, come altre volte nella storia. L’entrata in scena di Monti fa la stessa impressione che dovette fare nel 1945 l’arrivo al Viminale dopo il ventennio fascista di personaggi come Ferruccio Parri, il comandante partigiano Maurizio, l’azionista che fu il primo presidente del Consiglio dopo la Liberazione, o come Alcide De Gasperi, che era stato deputato del Parlamento austriaco. Austeri, sobri, anti-retorici, non a caso marchiati all’epoca come stranieri, o addirittura invasori, da una parte del Paese. I nostalgici del lungo e tragico carnevale mussoliniano, i qualunquisti di Guglielmo Giannini, progenitore dei Feltri, dei Sallusti, dei Ferrara di oggi.

Anni fa il filosofo Remo Bodei in “Il noi diviso” le definì passioni grigie, le virtù degli eroi borghesi, inevitabilmente minoritarie, eppure essenziali nei momenti di emergenza: «scarsamente diffuse in Italia, respingono il fanatismo e l’estremismo, prediligono l’efficienza e la normalità. Pongono in primo piano i diritti e i doveri, la ragionevolezza, l’onestà, la serietà. Si presentano grigie e impiegatizie, modeste e di routine soltanto a coloro che considerano la democrazia un regime orientato dai gusti volgari e dalle opinioni superficiali delle folle o retto da potenti lobbies che manipolano spregiudicatamente il consenso». Eroi come Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giorgio Ambrosoli che nella lettera-testamento alla moglie Anna aveva lasciato detto di educare i figli al dovere verso il loro Paese, «si chiami Italia o si chiami Europa».

Italia e Europa sono oggi la posta in gioco. E già ieri sera il professor Monti, con sobrietà e severità, senza darlo a vedere, ha dichiarato chiusa l’era del Truman Show, il mondo a parte dei ristoranti pieni propagandati fino a una settimana fa. Via all’operazione verità, a una cura dolorosa ma necessaria. Con «un’accresciuta attenzione all’equità sociale», un modo garbato per dire che in questi anni l’attenzione è stata nulla. E «un futuro concreto di dignità e di speranza», un cammino faticoso da compiere tutti insieme, non la scorciatoia virtuale di un miracolo che non c’è mai stato.

Un cammino pieno di ostacoli, di serpenti sotto le foglie. La prima mina da disennescare spetta allo stesso Monti, quando presenterà la lista dei ministri: il suo sarà il governo dei competenti, per fortuna, ma i competenti – si spera – non si trovano solo alla Bocconi o alla Cattolica ma anche in qualche università pubblica, non sono solo di sesso maschile, non sono solo uomini di una certa età. Il governo Monti non può nascere lontano, troppo lontano dal vento di cambiamento che ha soffiato in questi ultimi mesi: il movimento delle donne, le elezioni di Milano e di Napoli, i referendum, il modello Pisapia, l’esigenza di ritrovare una partecipazione civile. Il secondo rischio è legato al primo: la cessione di sovranità della politica, con pesanti ripercussioni sulla democrazia. Un pericolo ben presente nell’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: oggi c’è bisogno di uno sforzo comune, poi le forze politiche torneranno a dividersi alle elezioni, senza confondersi e senza perdere la loro identità. La scelta di Monti arriva dopo la dissoluzione del Pdl (mesi di «rotture e tensioni», ha fatto notare il capo dello Stato), l’arbitro Napolitano ha fischiato la sospensione della partita per inagibilità del campo, troppi fallacci, troppe scorrettezze, troppo fango. Ora arriva il Commissario, a ripulire, a ricominciare, a ricostruire. E poi, dopo la tregua, la partita dovrà riprendere: si spera con magliette pulite, regole del gioco rispettate, squadre rimaneggiate con nuovi acquisti, nuovi allenatori, nuovi giocatori.

È questa la sfida che si apre da questa mattina. Per l’Italia è «la sfida del riscatto», come ha detto ieri sera Monti. Per la politica la tregua è la grande occasione: dimostrare di essere all’altezza, trovare la capacità di autoriformarsi, quella che i partiti non sono riusciti a mettere in campo da soli, senza essere costretti dalla forza dei fatti. Quanto sta accadendo è poco rassicurante: paletti, condizioni, veti reciproci, veleni, tentazioni di delimitare la sfera di azione del nuovo governo. Sul ministero della Giustizia, ad esempio, ieri sera circolava addirittura la voce che il Pdl avesse proposto come nome tecnico il magistrato Augusta Iannini, capo dipartimento di via Arenula, la moglie di Bruno Vespa. La solita partita sulla Giustizia, il ricatto berlusconiano su cui andò a infrangersi anche la Bicamerale. E il Cavaliere ha già avvertito: senza di me il governo non ha la maggioranza.

Si vedrà nelle prossime ore. Lo scontro è tra chi vuole un governo forte che consenta ai partiti di rinnovare la politica prima di ridare la parola ai cittadini e chi lo vuole fin da ora trasformare in un governicchio natalizio, un decreto sui conti pubblici e via. Se fosse così, il tentativo Monti si ridurrebbe a ben poca cosa: una manovra salva-Italia, qualche mese di governo dell’economia e poi si tornerà a votare. Ma le ambizioni del Professore sembrano ben altre. Sono le ambizioni straordinarie di un uomo normale. La normalità al potere.

da - http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/11/14/la-normalita-al-potere/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO Napolitano vede Bersani e Alfano.
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2012, 04:52:33 pm
Il caso

Riforme, il Colle prepara un nuovo appello ma sulla legge elettorale intesa lontana

Napolitano vede Bersani e Alfano. Oggi nuovi incontri.

Il capo dello Stato è preoccupato per le distanze registrate durante gli incontri con i leader politici.

Ma sui regolamenti parlamentari l'accordo c'è già

di GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO


ROMA - La modifica dei regolamenti parlamentari è praticamente pronta. Frutto di un accordo tra i vicecapigruppo del Senato di Pdl e Pd, Gaetano Quagliarello e Luigi Zanda, che si è sbloccato nel momento in cui è caduto il governo Berlusconi. Visto che quelle norme regolano soprattutto il rapporto di maggioranza e opposizione è stato più facile raggiungere un'intesa ora che i grandi partiti sono nella coalizione di Mario Monti con il Terzo polo.

Ma Giorgio Napolitano chiede di più. Ieri ha visto Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano. Oggi è il turno di Lega e Italia dei Valori. Già domani tornerà a convocare i presidenti delle Camere Fini e Schifani per chiudere il giro. E quasi sicuramente affiderà a una nuova nota, sottoscritta anche dagli altri due vertici istituzionali, il suo pensiero sulle riforme, legge elettorale compresa. Allarmato dalle distanze registrate nei suoi colloqui.

Le forze politiche, senza una decisa spintarella del Colle, rischiano di non trovare alcun accordo. I colloqui di ieri hanno confermato a Napolitano l'assenza di una sintonia sui contenuti delle riforme. E che la strada è ancora tutta in salita, l'intesa appare lontana. Ma proprio questo è il momento, secondo il Quirinale, di rilanciare. Le distanze si possono colmare con il tempo, il punto è partire con il treno delle riforme.

In questo senso la collaborazione dei presidenti delle Camere è fondamentale. E l'idea del capo dello Stato è di non
separare la riforma elettorale dal resto delle modifiche istituzionali: dalla riduzione del numero dei parlamentari al Senato federale. Sarebbe insensato scrivere un nuovo sistema di voto senza tenere conto di un rinnovamento del resto dell'architettura istituzionale.

Tempi troppo lunghi, un'operazione troppo ambiziosa che rischia così di mandare in tilt l'addio al Porcellum? Se la volontà politica c'è davvero, ha detto Napolitano a Bersani e Alfano, il cantiere delle riforme in sei mesi può dare i frutti sperati.

 Si combatte soprattutto intorno alle spoglie della "porcata", un caro estinto in realtà vivo e vegeto. La legge attuale piace pochissimo al capo dello Stato. E ancora meno convince il segretario del Pd: "Quando vedo riaffiorare antiche legami tra Bossi e Berlusconi penso che potrebbero andare avanti con il disastroso meccanismo del Porcellum. Per noi la riforma è un'urgenza assoluta", dice Bersani subito dopo la visita al Colle. Nel pomeriggio tocca ad Alfano con i capigruppo Gasparri e Cicchitto. "Occorre ridurre i parlamentari e avere senatori e deputati scelti dai cittadini", comunica il segretario del Pdl via twitter.

Cosa significa, la rinuncia al Porcellum? Maurizio Gasparri precisa: "Dipende. Si può anche fare un Porcellum con un po' di preferenze, c'è il modello spagnolo, ci sono altri sistemi. L'importante è accelerare e rilanciare. Con riforme complessive. Anche il presidenzialismo non è un tabù". Il tema sarà al centro di un vertice del Pdl con Berlusconi a Palazzo Grazioli oggi.

Gli sherpa e gli esperti dei partiti si vedono. Casini tiene sul tavolo l'arma di una riunione con gli altri segretari della maggioranza Pdl, Pd e Terzo polo. Ma il Pd teme le mosse del centrodestra. Per questo pensa di dare seguito agli appelli di Napolitano presentando alla Camera mozioni che impegnino il Parlamento a fare le riforme. Poi si discuterà dei modelli. A quel punto il Pdl dovrebbe votare e scoprire le carte. In parallelo partirà una campagna di comunicazione dei democratici per mostrare un partito che le riforme le vuole. E frenare l'ondata di antipolitica che da sempre travolge in particolare la sinistra.
 

(19 gennaio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/19/news/riforme_colle-28395623/


Titolo: G. DE MARCHIS. Dal 2013 basta governissimi nuovo premier e coalizione diversa
Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2012, 11:17:20 pm
L'INTERVISTA

"Dal 2013 basta governissimi nuovo premier e coalizione diversa"

Parla il segretario del Pd Bersani. "Staccare la spina? Semmai attaccarla meglio. Lasciando passare uno strappo dopo l'altro rischiamo il cortocircuito. Sull'articolo 18 serve un'intesa, troppe battute dai ministri"


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Pier Luigi Bersani non vuole staccare la spina al governo Monti. "Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l'altro ci trovassimo in una situazione complicata e ci fosse un cortocircuito". Lo preoccupa la nascita di un "nuovo sport. Quello per cui dietro la copertura di un formale sostegno all'esecutivo ci sia la convergenza tra chi insulta Monti come la Lega o Scilipoti e il Pdl. Questa è una presa in giro".

E se le prese in giro continuano?
"Ribadiamo a tutti gli interlocutori la nostra scelta di appoggiare un governo che abbiamo voluto in nome dell'Italia prima di tutto. Anzi, anticipo il nostro nuovo slogan: Italia bene comune. Non pretendiamo che assuma il 100 per cento delle nostre proposte. Ma il punto è non aprire un fossato tra l'esecutivo e l'opinione pubblica. Se passa l'idea che si può allungare l'età pensionabile di un infermiere di 4 anni ma non si possono toccare notai, banche e titolari di farmacie si crea un problema serio. Lo dico per dare forza al governo non per indebolirlo. Stia attento alle trappole".

Rai, responsabilità civile dei giudici e liberalizzazioni. Sono questi i temi?
"La vicenda della Rai è grave non solo per le ultime nomine ma anche per certe frasi che sento pronunciare ad autorevoli esponenti del Pdl. Del tipo "un intervento del governo sull'azienda sarebbe illegittimo". Ma scherziamo? È
surreale. Una società interamente pubblica può e deve essere sottoposta a un intervento legittimo del governo. Per cambiare la governance di un'azienda oggi ingestibile".

Giustizia.
"Si parte con una posizione formale del governo e una del Pdl che dice di essere d'accordo. Poi vedo applausi a scena aperta per un emendamento della Lega su un tema delicatissimo come quello della responsabilità civile. A quel voto va posto rimedio. E aggiungo: siccome abbiamo le orecchie lunghe sento che attorno al decreto liberalizzazioni si muovono meccanismi della vecchia maggioranza Pdl-Lega per indebolirlo. Invece noi vogliamo rafforzarlo perché l'effetto sulla vita dei cittadini risulti visibile".

Troppe carezze di Monti al Pdl visto che sono la maggioranza uscente?
"Non credo. Se fosse così è chiaro che sarebbe un errore. Il Pdl ha molte più responsabilità delle nostre per come si è arrivati all'emergenza conclamata in cui ci troviamo. Loro, a maggior ragione, non possono ottenere il 100 per cento".

I ministri e il premier non riescono a sottrarsi dalle battute sull'articolo 18. L'ultima è del ministro Cancellieri. Le dà fastidio?
"Qualcosa si potrebbe rimproverare ai membri del governo ma so bene che alle domande si risponde. Il punto è un altro: come mai la nostra discussione pubblica è inchiodata da anni su questo punto e non si sposta il riflettore su come creare lavoro?".

Lo ha detto a Monti?
"Conosco il pensiero del presidente del Consiglio e so che per lui la questione è molto più complessa della frase sulla monotonia. Ma è vero che alcune dichiarazioni sembrano protrarre il dibattito ideologico degli ultimi anni, cioè del governo Berlusconi. E questo è un male. Guai se nei prossimi mesi ci fosse una spaccatura sulle regole che sono solo una parte del problema".

Ma all'articolo 18 ci arriverete.
"I partiti non possono permettersi di accendere fuochi. Noi stiamo zitti e non interferiamo su questo tema. C'è un tavolo del governo con le parti sociali. Accetteremo qualunque accordo nato in quella sede. Abbiamo le nostre proposte innovative che non toccano l'articolo 18. Ma non escludiamo perfezionamenti nella sua gestione a cominciare dai percorsi giurisdizionali. Ma vorremmo rivoltare l'agenda partendo dalla domanda: come si crea un po' di lavoro?".

Siete tentati da un patto Pdl-Pd sulla legge elettorale?
"La premessa è che bisogna parlare con tutti. Le forze che sono in Parlamento e quelle fuori. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Non mi interessa invece un uso strumentale della riforma dove due soggetti lasciano fuori gli altri. Il Pd non è disponibile".

E così si possono fare legge elettorale e riforme costituzionali?
"La priorità è cancellare il Porcellum, toglierlo di mezzo. Anche qui il Pd ha la sua proposta ma è assolutamente flessibile a discutere fatti salvi alcuni paletti. Sento che Bossi dice "non si tocca nulla". In questo modo torniamo al nuovo sport di cui parlavo prima. Se scattano istinti di vecchia maggioranza ci teniamo il Porcellum. Ma questo è un punto dirimente".

Che può mettere in discussione il governo?
"Un punto che porterebbe a un confronto politico molto acceso".

Il caso Lusi riapre la questione morale nel Pd?
"Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c'entra nulla".

Ma Lusi è un senatore del Pd.
"Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Di una persona iscritta al partito coinvolta in casi giudiziari si occupa la commissione di garanzia".

Troppi soldi ai partiti dal finanziamento pubblico?
"Andiamo a vedere come viene finanziata la politica negli altri Paesi europei e adeguiamoci ai migliori parametri".

Scopriremo che gira più denaro o meno?
"A occhio direi la stessa quantità. Con delle voci singole da modificare come si è fatto per i parlamentari colpendo vitalizi e rimborsi delle spese. È necessario che i bilanci siano certificati dalla Corte dei conti. Annullare i meccanismi che consentono di sopravvivere anche ai partiti estinti ed evitare che nascano gruppi parlamentari che non si sono presentati alle elezioni. Ma dai tempi di Pericle si riconosce il fatto che l'attività politica va sostenuta se si intende avere una democrazia".

Il caso Lusi viene affiancato al cosiddetto sistema Penati, al finanziamento occulto dei Ds.
"Penso solo al Pd. Le calunnie non le leggo nemmeno. Passo tutto agli avvocati per le querele".

Quando farete le primarie per il candidato premier?
"Intanto faccio notare che senza polemiche e sotto la neve stiamo organizzando le primarie per le amministrative dappertutto. Faremo anche quelle nazionali. Il percorso è il solito: il patto di coalizione e qualche mese prima dell'appuntamento elettorale, né troppo presto né troppo tardi, le primarie".

E se le riforme del governo Monti avessero bisogno di una grande coalizione per andare avanti?
"Non si può andare in campagna elettorale proponendo governissimi. Anzi. Lo stesso percorso di certe leggi che stiamo approvando adesso, ci dice che una vera opera di riforme e di ricostruzione devi farla chiedendo un impegno al corpo elettorale".

(07 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/07/news/intervista_bersani-29457266/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Cambiare la legge sui rimborsi ai partiti
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2012, 05:24:49 pm
di GOFFREDO DE MARCHIS

Cambiare la legge sui rimborsi ai partiti

Il governo in campo


Lo scandalo Lega e il caso Lusi aprono il fronte del finanziamento ai partiti. E il governo non intende stare a guardare, ossia non farà come sulla legge elettorale delegando tutto ai partiti. Monti dal Medioriente dov'è in vista ufficiale annuncia che l'esecutivo sta riflettendo sulla materia. Paola Severino si spinge anche più in là: "Il ministro della Giustizia è pronto ad intervenire sul tema del finanziamenti ai partiti, fornendo il proprio contributo tecnico, non appena il Parlamento e i presidenti di Camera e Senato lo richiederanno", si legge in una nota di Via Arenula. Severino immagina anche gli strumenti: o un emendamento al ddl anticorruzione. O addirittura un decreto legge.

Sono veri e propri atti di sfida ai partiti, consapevoli della gravità degli ultimi episodi ma sempre gelosi delle proprie prerogative quando si parla di soldi, anche se sono soldi pubblici. E' probabile che la prossima settimana Alfano, Bersani e Casini s'incontrino in un vertice a tre per mandare un segnale di trasparenza. Ma sulla Lega e sulla gestione dei loro rimborsi continuano a uscire le carte delle Procura. Carte che non solo suggeriscono a Roberto Maroni il grido "pulizia, pulizia, pulizia" ma costringono tutte le forze politiche a mettere un freno all'anti-politica.


da - http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Svolta del governo sull'assegnazione delle frequenze ...
Inserito da: Admin - Aprile 10, 2012, 11:19:49 pm
LA DECISIONE

Tv, governo azzera il 'beauty contest' frequenze messe all'asta a pacchetti

Svolta del governo sull'assegnazione delle frequenze televisive. Non saranno concesse gratuitamente, annuncia il ministro Passera.

Per lo Stato introito possibile fino a 1,2 miliardi.

Mediaset ora punta a uno sconto sul canone

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Nessuna frequenza in regalo per le televisioni. Mediaset e gli altri network non avranno gratis nuovi canali di trasmissione. "Il beauty contest verrà azzerato", annuncia Corrado Passera confermando l'orientamento espresso da Monti e dallo stesso ministro dello Sviluppo economico al momento del loro insediamento.

Tra nove giorni scade la pausa di riflessione che il governo si era preso per esaminare la decisione del precedente esecutivo. Ma Passera ha già sciolto il nodo e individuato il percorso per assegnare i multiplex di frequenze d'intesa con l'Europa e l'Autorità delle Comunicazioni.

Si farà una vendita pubblica, ma il bene complessivo verrà spacchettato. "La prossima asta - spiega Passera - sarà fatta di pacchetti di frequenze con durate verosimilmente diverse". È una riapertura dei giochi in piena regola, è un segnale che va nella direzione di un mercato veramente aperto.

Un'ipotesi è che la banda larga 700 (2 o 3 multiplex dei 6 totali in palio) venga aggiudicata per un periodo di 3 anni, da qui al 2015. Per quella data infatti una commissione dell'Onu ha previsto lo spostamento di reti dalle tv all'accesso a Internet.

Ed è proprio la banda 700, una rete superveloce, il bene più prezioso del lotto visto che fa gola agli operatori del web, cioè al futuro delle comunicazioni. Il resto dei canali più strettamente televisivi può invece essere assegnato per un periodo più lungo.

La scelta del governo deve ora passare al vaglio della commissione europea. E all'esame dei partiti di maggioranza, senza dimenticare l'incrocio delicato con il rinnovo dei vertici della Rai. Sarà poi l'Agcom a stabilire tempi e modalità dell'asta. Già domani possono arrivare risposte importanti.

Il commissario Ue all'agenda digitale Neelie Kroes sarà infatti a Roma per un convegno della Confindustria con Passera. L'occasione buona per fare il punto sulle frequenze tv. Secondo Mediobanca lo Stato può incassare 1-1,2 miliardi dalla vendita dei multiplex. Se non ci saranno intoppi, prima dell'estate l'Authority potrebbe indire l'asta.


SI RIPARTE DA CAPO
Il governo Berlusconi, per scelta del ministro dello Sviluppo Paolo Romani, aveva stabilito l'assegnazione di 6 multiplex di frequenze tv attraverso il beauty contest, in italiano concorso di bellezza. In pratica, niente asta ma una concessione gratuita dei canali a chi aveva i requisiti.

La pratica del beauty contest non è una prerogativa solo italiana. Lo è invece il conflitto d'interessi che coinvolge il Cavaliere e fece leggere la decisione del precedente governo come un regalo a Mediaset. Peraltro la "gara" indetta imponeva un vincolo di proprietà di soli 5 anni. Cioè: l'omaggio di oggi poteva essere rivenduto a caro prezzo in tempi brevi.

Monti e Passera, dopo il loro insediamento, stabilirono di sospendere il beauty contest. "Non credo sia buona cosa cedere gratuitamente beni di valore dello Stato", disse il nuovo ministro dello Sviluppo economico. La pausa di riflessione è finita. La decisione del 19 aprile viene ora anticipata da Passera. La vecchia procedura sarà azzerata.


LA NUOVA GARA
Si punta a introdurre regole diverse in funzione di alcune prese di posizione internazionali e di un'apertura del mercato verso soggetti diversi da quelli puramente televisivi. L'asta verrà spacchettata. Una tranche di multiplex, quella forse più appetibile, verrà ceduta a concorrenti tv solo per tre anni, fino al 2015. Dopo quella data le Nazioni unite hanno stabilito che una serie di reti vengano trasferite dalla televisione all'accesso a Internet. Si parla della banda larga 700 che dovrebbe interessare 2 o 3 multiplex dei 6 complessivi.

Su quella "strada" digitale possono correre contenuti a velocità super e gli operatori del web attendono gli sviluppi del mercato per valutare nuove offerte e nuove possibilità. In sostanza, ciò che oggi vale 10 domani può valere 100.

Le compagnie telefoniche, Tim, Vodafone, Wind e 3, si sono tirate fuori da questa partita. Non più tardi di sei mesi fa hanno investito quasi 4 miliardi per la LTE, il 4G. Ma non è escluso che a breve siano in grado di tornare a competere. Il resto dei multiplex, meno preziosi, verrebbe invece assegnato per un periodo più lungo a imprese puramente televisive.


IL VALORE
Il bollettino di Mediobanca di febbraio ha calcolato in 1-1,2 miliardi il possibile incasso dello Stato dall'asta delle frequenze tv. Non siamo ai livelli del 4 G, costato circa 370 milioni a multiplex (erano 9). Ma rispetto al regalo è una cifra considerevole. Se i passaggi parlamentari e in sede europea avranno buon esito, l'Autorità delle Comunicazioni seppure in fase di rinnovo, è in grado di varare il nuovo bando entro l'estate.


LA REAZIONE DI MEDIASET
Al momento della sospensione, Fedele Confalonieri aveva attaccato Passera e l'azienda si preparava a ricorsi in tutte le sedi, italiane ed europee. Adesso il network di Berlusconi punta ad alzare la posta su altri fronti. Ad esempio, il canone sulle frequenze. Mediaset lamenta il pagamento di 32 milioni l'anno, calcolati sulla base del fatturato.

Nessun altra tv paga così tanto. Confalonieri chiede al governo un criterio diverso per il canone fondato sul valore dei canali. In questo caso non si esclude che Cologno Monzese possa anche partecipare all'asta per la banda 700. Risparmiando in 3 anni 96 milioni di euro.

(10 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/04/10/news/cancellato_beauty_contest-33032732/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani: "Il centrosinistra non basta ma il premier ...
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2012, 11:39:32 pm
L'INTERVISTA

Bersani: "Il centrosinistra non basta ma il premier stavolta tocca al Pd"

Il leader dei Democratici: Casini scelga tra noi e il polo regressivo. Vogliamo allargarci ma non puntiamo a rifare l'Unione. 

Ci rivolgiamo a intellettuali, autorità morali, società civile

DI GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - "Il candidato premier tocca a noi. Il Pd vuole allargarsi e aprirsi, il centrosinistra non è sufficiente per governare. Noi puntiamo a un patto di legislatura più ampio. Ma la guida la proporrà il Partito democratico". Preoccupato per la situazione italiana, triste per la morte di Cevenini. Ma Pier Luigi Bersani, dopo il voto amministrativo, vede il traguardo. Con tutta la consapevolezza di un sistema quasi al collasso.
C'è veramente da festeggiare se il Pd tiene ma non cresce?
"Non mi riconosco nelle analisi che leggo e sento in questi giorni. Quando si parla di amministrative si contano quanti comuni uno vince e quanti ne perde e i raffronti si fanno con le precedenti comunali. Il Pd ottiene una vittoria nettissima al primo turno e si presenta in vantaggio per il secondo".
Con molti candidati che non vengono dal Pd.
"Nella stragrandissima maggioranza sono espressione del Pd. Laddove non lo sono per noi è un onore sostenerli. Vogliamo essere l'infrastruttura del centrosinistra, abbiamo inventato le primarie per metterci al servizio della coalizione. A Milano ha vinto Pisapia e il Pd ha ottenuto il record storico di voti. Si vede che la gente ci capisce meglio di alcuni analisti".
Insomma, avete vinto.
"Ma non lo dico per orgoglio di partito. Lo dico perché sono preoccupato. Temo che qualcuno coltivi l'illusione schumpeteriana di una distruzione creativa del sistema politico. Sfasciamo anche
l'unico che è rimasto in piedi perché arriverà qualcosa di buono. Significa fare gli apprendisti stregoni su un problema che può franare addosso a tutti".
Bisogna farsi carico anche del crollo del centrodestra?
"Dobbiamo guardare chi incrocia l'effetto dello tsunami che ha colpito Pdl e Lega. Lo fa il Terzo polo? No. Lo fa il centrosinistra? No. Questo conferma due cose. Il transito da un campo all'altro in Italia è molto limitato. E pensare che la crisi del centrodestra possa portare acqua a posizioni centrali o tecnocratiche è un'illusione assoluta. A destra c'è un vuoto, ma l'elettorato non è scomparso. È in cerca di autore e la risposta che cerca non sarà un pranzo di gala, non avrà l'abito della festa".
Cioè non sarà un professore o Passera o Montezemolo?
"Sarà l'incarnazione di una proposta che mi auguro minoritaria ma somiglierà a quelle forze che in Europa interpretano tendenze regressive e populiste. No Unione, no tasse, no immigrati. Un misto di Le Pen, Sarkozy e Lega nostrana".
Perché non ci prova il Pd a occupare il vuoto moderato?
"Ci proviamo. Il centrosinistra per la prima volta può sfondare il muro di gomma tra guelfi e ghibellini che è radicato nella storia d'Italia. È una responsabilità nuova e il Partito democratico non basta. Vogliamo essere più aperti nei programmi e nelle proposte. Ci rivolgiamo a intellettuali, autorità morali, rappresentanti della vita economica per dire diamoci la mano. Penso a un rassemblement democratico contro il ripiegamento difensivo della destra".
Metterete in lista gli esterni?
"Assolutamente sì, saranno liste aperte. Ma non guardo solo a intese elettorali, non puntiamo mica a rifare l'Unione. Penso a una società civile che vuole far parte di questa scommessa. Il Pd si mette a disposizione".
Uno spazio che rischia di essere già occupato da Grillo.
"Il suo è un voto gonfiato dalla protesta ma non c'è solo protesta in quel partito. C'è anche una domanda di stili nuovi di partecipazione, di sobrietà della politica, di cura dei problemi del territorio. Alle provocazione di Grillo rispondo con durezza. Ma il mio atteggiamento verso il movimento 5 stelle è di attenzione. Non abbiamo guerra da fare con loro. Ci sono domande che lì non possono trovare risposta di governo".
A Monti ha detto che non si vede niente di positivo da mesi. È una minaccia?
"Abbiamo scarpinato per l'Italia e c'è una situazione acutissima di sofferenza. Al governo ribadisco lealtà, ho una sola parola. Ma dico: attenzione. Il voto dimostra che nel Paese ci siamo dappertutto. Allora ascoltateci".
Cosa avete da dire?
"Con la vittoria di Hollande Monti ha ora lo spazio e l'autorevolezza per aprire nuovi tavoli di confronto in Europa. Ma i tempi della crescita non sono compatibili con la situazione italiana. Monti deve insistere sulla mini golden rule per sbloccare investimenti. E occorre affrontare subito il tema dei pagamenti alle imprese per far arrivare un bel po' di miliardi di liquidità nel giro di poche settimane. Infine va risolta l'ingiustizia intollerabile degli esodati".
Monti però ha appena confermato la linea del rigore.
"Mica diciamo di far saltare i conti. Se c'è da trovare qualche soldo, troviamolo".
Si può pensare a un rinvio del pareggio di bilancio?
"Se ci danno la golden rule, probabilmente non ce ne sarà bisogno. Ma vedo che la Spagna si prepara a ricontrattare quell'obiettivo. Facciamolo anche noi se serve".
Il voto anticipato non vi tenta?
"Anche per strada qualcuno mi chiede: perché non vuoi andare a votare ad ottobre? Rispondo così: siamo ancora in una situazione delicatissima, abbiamo la possibilità di giocarci una partita in Europa e di correggere un po' le nostre politiche interne per metterci in una zona di ulteriore sicurezza".
Tanto ci penserà il Pdl a staccare la spina.
"Non entro nel campo avverso. Ma non possono scaricare sull'Italia i loro problemi. E non possono pensare di andare avanti tendendo imboscate al governo".
Casini vi avverte: non verremo mai con la foto di Vasto. Con chi lo fate lo schieramento più largo?
"Non inseguo le dichiarazioni quotidiane. Mi affido ai processi di fondo. Quando la dialettica sarà tra un polo democratico e uno che dà risposte regressive ognuno si assumerà le sue responsabilità. Il Pd vuole allargare ma sa di dover essere il baricentro di una proposta alternativa. Anche rinunciando a qualcosa di suo".
Lasciando la candidatura alla premiership a un moderato?
"No. Il dato che si ricava da queste elezioni è che tocca al Pd. Saremo noi a proporre un nome. Non per metterci al comando ma per rendere un servizio e guidare questa fase. Il guidatore lo dobbiamo scegliere noi".
A Palermo il centrosinistra rischia di frantumarsi a meno che voi non scegliate Orlando
"Il candidato è Ferrandelli. Se decidi di fare le primarie le rispetti. Ma aggiungo che si è esaurita la fase politica di Lombardo in regione. Il gruppo dirigente siciliano del Pd deve lavorare per avere al più presto le elezioni".
Il punto dirimente alla fine è sempre quello dell'affidabilità di un centrosinistra con Sel e Idv. È in grado di governare?
"Il voto locale ci dice che non c'è un centrosinistra autosufficiente. La solidità e la credibilità di governo nascono da un centrosinistra affidabile e da un patto di legislatura più ampio. Teniamo fermo questo punto e ci si convincerà che non esiste una strada diversa, non ci sono altre risposte".

(10 maggio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/10/news/intervista_bersani-34831526/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Casini aspetta "Risolvano prima i loro problemi"
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2012, 07:14:11 am
Il retroscena

Alleanza con Pd-Sel, Casini aspetta "Risolvano prima i loro problemi"

Il leader Udc: "Io intanto penso a organizzare i moderati". E tra i democratici spunta l'idea delle primarie a doppio turno.

Nuovi contatti col Pdl sulla riforma del voto, le distanze restano su premio e preferenze

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Quello di Vendola è stato un balletto, ma non mi voglio impantanare nelle loro dispute". Pier Ferdinando Casini guarda a distanza il dibattito dentro il centrosinistra. "Dinamiche loro", taglia corto parlando con i suoi collaboratori. Eppure sa che i passi avanti del governatore pugliese sono concreti e lo sforzo di Bersani autentico. "Infatti rispetto molto il loro dibattito. Però sia chiaro: non cerchiamo posti o strapuntini. Io organizzo la mia area, Pd e Sel la loro". L'Udc, prima di stringere l'asse progressisti-moderati sognato dal segretario del Pd, aspetta soprattutto la legge elettorale. E dentro quella riforma, soprattutto come verrà articolato il premio di maggioranza.

Se una quota di parlamentari aggiuntiva andrà al partito vincente, Casini e Bersani hanno già simulato l'ipotesi di un'alleanza elettorale, dichiarata ma non vincolata da leggi. Se invece il premio dovesse finire alla coalizione, le scelte andranno fatte prima del voto e siglate ufficialmente. Questa è la prima variabile. La seconda è abbastanza evidente: i centristi continuano ad osservare le mosse del fronte destro, la composizione o meglio la scomposizione dello schieramento di Berlusconi.

Bersani, che con il leader dell'Udc parla ogni giorno e spesso lo incontra in segreto a Bologna, non si preoccupa per scherzi dell'ultimo minuto: "Sono tranquillissimo, conosco la posizione di Pier". Ieri è stata una giornata molto positiva, il resto verrà. La marcia di avvicinamento alle elezioni procede come programmato a Largo del Nazareno, la sede democratica. Non si stupisce, il leader Pd, nemmeno per la marcia indietro di Vendola sull'alleanza con il Centro. "Questo percorso è difficile per noi, figuriamoci per chi guida un partito come Sel. Ma l'evoluzione di oggi (ieri ndr) è gigantesca", è il commento consegnato ai fedelissimi.

Secondo Bersani l'incontro, seguito ideale della presentazione della carta d'intenti che mette il punto all'identità del partito, è andato bene. "E pensare che un anno fa si parlava dell'Opa ostile di Nichi contro di noi". Oggi invece il governatore riconosce la centralità del Pd. La rottura con Di Pietro completa l'opera.

Si sono costruite la basi, quindi, non solo per un patto ma anche per un'ipotetica lista unica Pd-Sel, come ha scritto ieri l'Unità. Se il premio di maggioranza andasse al partito vincente un rassemblement sotto lo stesso simbolo diventerebbe la strada maestra, anche per un'intesa con i moderati. Altrimenti ognuno avrebbe la sua sigla in una coalizione dichiarata in anticipo.

Anche la candidatura di Vendola alle primarie non è una sorpresa. Era data per scontata a Largo del Nazareno. Bersani l'ha accolta con grande fair play. Oggi i concorrenti sono lui, il leader di Sel, Matteo Renzi, Bruno Tabacci, Stefano Boeri. Almeno sulla carta. Manca però il regolamento. Sempre di più Bersani, con il sostegno di Enrico Letta, Francesco Boccia ed altri, pensa al doppio turno. Per dare una legittimità maggiore a chi vince, per fargli superare il 50 per cento. In caso contrario, la frammentazione consegnerebbe l'immagine di un centrosinistra inaffidabile. È il modello francese quello che ha portato Hollande al successo prima dentro il suo partito, poi alle presidenziali.

Loro hanno copiato dall'Italia l'idea delle primarie, i democratici potrebbero copiare il metodo usato a Parigi. Renzi continua a stare alla finestra. Non parla, aspetta le regole della competizione, lascia fare la sua strada a Bersani. Certo, un ritiro è difficile da mettere nel conto, si è spinto troppo avanti nel chiederla.

Le "consultazioni" del segretario del Pd proseguono oggi con il Terzo settore. Le associazioni verranno in larga parte ascoltate. Ma per un'alleanza progressisti-moderati la legge elettorale diventa un passaggio fondamentale. Il dialogo è ripreso al Senato, può portare a una conclusione a settembre. Maurizio Migliavacca ha contatti con Denis Verdini e Lorenzo Cesa. Ma le distanze rimangono su preferenze e premio. Distanze che interessano anche il Pd.

Un'apertura di Bersani sulle preferenze non sarebbe accolta bene da una fetta del suo partito, guidata da Dario Franceschini e Rosy Bindi. Due nomi pesanti nella geografia Pd: il primo capogruppo, la seconda presidente. Per le preferenze invece tifa Beppe Fioroni, convinto che l'area ex popolare possa diventare decisiva negli equilibri con gli ex Ds. Ma questi appaiono al vertice democratico problemi superabili. Anche l'accordo con Vendola, dopo mesi di lavoro, sembra metabolizzato. Persino Fioroni applaude: "Possiamo costruire un'area riformista ed evitare gli estremismi di sinistra che hanno danneggiato i governi Prodi".
 

(02 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/02/news/alleanza_pd-sel_casini_prende_tempo_risolvano_prima_i_loro_problemi-40187494/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il "grande patto" dei maggiorenti l'organigramma che ...
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2012, 04:17:58 pm
IL RETROSCENA

Il "grande patto" dei maggiorenti l'organigramma che blinda i big del Pd

Lo schema prevede Bersani premier, Veltroni alla presidenza della Camera e D'Alema ministro. E' più sicuro se si evitano le primarie e lo scontro con il sindaco Renzi.

L'accordo sta garantendo una tregua nel partito tra i big. Franceschini verso la segreteria, Fioroni e Bindi al
governo.

Il nodo del Quirinale

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Il patto di potere tra i big a cui si riferisce Matteo Renzi è anche l'organigramma dell'ultimo giro. È la spartizione di poltrone dei "vecchi", come si evince chiaramente dalle parole del trenta-quarantenne Matteo Orfini, unito al sindaco di Firenze solo dalla voglia non di mandare tutti a casa ma di non vederli più in prima fila. "Nessuno ex ministro dovrà tornare al governo nel 2013", avverte Orfini facendo capire che molti invece scaldano i muscoli. Ma anche Antonello Soro, prudente e navigato ex capogruppo del Pd alla Camera ora transitato all'authority per la privacy, descriveva, alla vigilia dell'estate, una futuribile divisione dei compiti: "Franceschini spera nella presidenza della Camera, ma per quel posto è in corsa Veltroni. A Dario daranno la segreteria del Pd".

Qualcosa più di una voce, dunque. Qualcosa, anzi molto meno di un patto blindato che sarebbe comunque sottoposto a un numero infinito di variabili, la prima della quale non è irrilevante: vincere le elezioni e gestire il ricambio di governo. In questo caso, quello che il Foglio ha chiamato "papello" ma che in realtà è vero un toto-poltrone, disegna così l'Italia del 2013. Pier Luigi Bersani premier, Rosy Bindi vicepremier, Veltroni presidente della Camera, D'Alema ministro degli Esteri o commissario europeo, Franceschini segretario del Pd, Fioroni ministro. Secondo Renzi questo tipo di intesa spiega l'insolita assenza di litigiosità tra le correnti democratiche. E sta alla base, per esempio, dell'equidistanza di Veltroni sulle primarie mentre gran parte dei veltroniani riconoscono nel sindaco di Firenze il vero erede del programma illustrato al Lingotto nel 2007. Ma la pianificazione a tavolino è reale? Pur coinvolto direttamente, sono mesi che Beppe Fioroni mette in guardia i suoi colleghi dalla sindrome dell'ultimo giro. "E se alla fine ci spazzassero via tutti?", dice.

In nome di quell'organigramma, si alzerebbero anche le dichiarazioni di chi vorrebbe evitare le primarie. La Bindi (pronta a correre nella complicata gara per il Quirinale) dice che non sa se si faranno, lo stesso Fioroni chiede a Renzi di dimettersi da sindaco se davvero ha intenzione di correre, Veltroni - che in subordine potrebbe approdare ad un "megaministero" per i Beni culturali e le Comunicazioni - vuole capire "primarie per cosa". Il duello interno come grimaldello per rinnovare il partito e soprattutto far saltare "l'organigramma", insomma. È così? Orfini le interpreta anche in questa chiave: "È chiarissimo perché qualcuno non le vuole. Scompaginano antiche consuetudini, rimettono in discussione big senza voti. Ma sono utili proprio per questo. Le primarie tra Renzi e Bersani si devono fare. Pier Luigi le vincerà". Con quali garanzie per i dirigenti più esperti?

Domande, dubbi, timori. Persino qualche ironia sulla recensione fatta da D'Alema sull'Unità al nuovo libro di Veltroni: sarebbe un'altra prova dell'entente cordiale. Sulle indiscrezioni, sullo scontro generazionale, sulle insinuazioni di cui "l'organigramma" fa parte a pieno titolo perché tira in ballo nomi molto conosciuti, Bersani rischia di vedere spaccarsi il partito. Orfini sa essere diretto come un cazzotto: "Il segretario uscirà da candidato premier nella sfida con Renzi. Ma io sarei ancora più sicuro della vittoria se fosse uno scontro diretto tra i due. Temo che il sostegno dei notabili a Pier Luigi si trasformi in una zavorra". È Bersani a dover sbrogliare la matassa di questo incredibile caso. Il leader ha già annunciato un ricambio robusto delle liste per il Parlamento e ha spiegato la sua alchimia per un eventuale governo di centrosinistra. "Qualche presidio di esperienza e tanti volti nuovi come ministri", ha spiegato. Un identikit e non un organigramma. Da sempre Bersani è uno dei dirigenti democratici più attenti ai giovani. Ha creato una segreteria di quarantenni, "scopre" ragazzi sui territori e li appunta su un quaderno, non gli dispiace l'idea di avviare una ristrutturazione del centrosinistra per lasciare spazio al nuovo. Ma, come dice D'Alema, Bersani deve anche tenere unito il partito. E da qualche giorno, vedendo allargarsi la polemica generazionale, insiste sul tasto in ogni occasione, in ogni festa democratica. "Non dimentichiamoci di chi ci ha portato fin qui". Che sono gli stessi che lo hanno portato alla segreteria nel congresso del 2009. Bindi gli ha chiesto di fermare la deriva del duello a distanza sull'età, gli anni in Parlamento, il limite dei mandati, gli "editti" di Renzi o di Orfini, l'epurazioni a mezzo stampa. Bersani farà chiarezza. Ma senza prendere la bandiera di una o dell'altra squadra. Sapendo che il rinnovamento potrebbe essere dettato dall'esterno. Dalle liste di Grillo, dai giovani che sceglierà Nichi Vendola per il suo partito, dalle mosse di Berlusconi.
 
(05 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/05/news/il_grande_patto_dei_maggiorenti_l_organigramma_che_blinda_i_big_del_pd-41976089/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Se perdo le primarie non vado via ma se vinco sarò io ...
Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2012, 02:54:11 pm
L'INTERVISTA

"Se perdo le primarie non vado via ma se vinco sarò io premier, non Monti"

Renzi risponde alle critiche di Eugenio Scalfari su Repubblica: non voglio che i democratici restino una riserva indiana. "Sono più di sinistra le riforme che premiano il merito anziché quelle che tutelano rendite di posizione. In Italia abbiamo conosciuto le seconde più delle prime"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Certo che esiste una differenza tra destra e sinistra. Ma non accetto di veder relegata la sinistra nei confini ideologici del passato". Matteo Renzi vuole mettere un punto rispetto alle accuse che si susseguono da quando ha lanciato la corsa alle primarie con lo slogan: "Voglio i voti dei delusi del Pdl". Eugenio Scalfari ha spiegato 2 che il sindaco di Firenze è più di centrodestra che di centrosinistra. E che lo schieramento progressista, in caso di sua vittoria, non potrà che sfasciarsi perché smetteranno di riconoscersi nel Pd gli elettori che pensano a un partito riformista di centrosinistra.

Le tappe del suo tour in giro per l'Italia sono piene di ex elettori di Berlusconi e della destra. Lei non si fa domande su questa realtà?
"Le primarie secondo me servono ad allargare il campo del Partito democratico. Non è un male che le piazze si riempiano dei delusi di vari schieramenti e non solo del Pdl. Ci sono, e sono tantissimi, anche quelli di sinistra, del Movimento 5 stelle, quelli che non vanno a votare o pensano di non votare più Pd. Questo è il senso delle primarie. Altrimenti ci schiacciamo sulla vocazione minoritaria dei Fassina perdendo di vista la vocazione maggioritaria che è la scintilla originaria del Pd".

Non manca un'identità al "suo" Pd se togliamo il refrain della rottamazione?
"Rispetto i giudizi di Scalfari. Ha fatto la storia del giornalismo. Continuerò a essere un suo lettore anche se lui non sarà mai un mio elettore. Però mi aspetterei da lui un approfondimento sui contenuti della mia campagna invece di un pregiudizio gratuito. E, ripeto, è ingeneroso non rendersi conto di quello che sta succedendo nel Paese: più partecipazione, più interesse, maggiore vicinanza tra la politica e la gente. Per me questo è un valore".

E dopo questo?
"La sinistra corre un serio rischio: consegnare non tanto Monti ma i contenuti della sua azione di governo a un'ipotesi centrista. Sarebbe la sconfitta del Pd. Io vorrei un centrosinistra che fosse capace di migliorare e innovare l'agenda Monti, senza tornare indietro. Lo abbiamo già fatto una volta, durante il governo Prodi, abolendo lo scalone sulle pensioni e buttando 9 miliardi. Io mi preoccupo che il Pd non vada verso un modello "riserva indiana". Le primarie sono proprio l'occasione per dare forza al centrosinistra, per evitare la Grande coalizione. Con tutte le conseguenze che già vediamo, basti pensare ai veti sull'anti-corruzione".

Lei sembra alimentare una certa ambiguità sul significato di destra e sinistra. Sono categorie davvero superate?
"Esiste una differenza, certamente. Ma non voglio relegare la sinistra nei confini del passato. Per essere chiari, sono più di sinistra, per me, le riforme che premiano il merito anziché quelle che tutelano rendite di posizione. In Italia abbiamo conosciuto le seconde più delle prime. L'Ocse ci dice che il figlio di un operaio italiano ha 4 volte in meno le possibilità di laurearsi del figlio di un operaio francese. Invertire questa tendenza è di sinistra".

D'Alema e Scalfari, due personalità piuttosto lontane, sostengono che lei sfascerà il centrosinistra in caso di successo. Sbagliano entrambi?
"È un'ipotesi che ho sentito dire solo da loro due. Il Pd è anche casa mia, non ne uscirò mai, nemmeno se mi cacciano. Ma se vinco voglio fa rivivere il sogno del Partito democratico che non è nato per accordarsi con i partiti moderati, non è nato per fare patti elettorali con i Casini di turno ma per sconfiggerli. Semmai la questione è un'altra: io prometto lealtà se perdo, mi aspetto dal gruppo dirigente una parola di lealtà nel caso di una mia vittoria anziché agitare lo spauracchio di una possibile divisione".

Se vince lei passerà la mano a un Monti bis?
"Chi vince le primarie sarà il candidato premier".

Parliamo delle elezioni, in questo caso.
"Chi vince le elezioni va a Palazzo Chigi. Non è pensabile fare le elezioni come se fossimo su Scherzi a parte: si vota e poi appare il cartello 'abbiamo giocato'. Il destino personale di Monti è molto importante per i mercati oggi e per vari ruoli istituzionali domani. Quello che conta sono i contenuti del lavoro del premier. Vanno migliorati, ma non è che appena va via il supplente ricomincia il casino di prima".

Il mancato incontro con Bill Clinton da grande occasione si è trasformato in un buco nell'acqua.
"Sarà più facile incontrarlo lontano da Firenze. C'era solo lo spazio per una photo opportunity, ma io volevo un incontro vero. Abbiamo sbagliato anche noi a far filtrare la notizia, non c'è stata nessuna pressione del Pd per annullare il colloquio. Con Blair sono stato due ore a chiacchiera, volevo farlo anche con Clinton. Per me sono due giganti assoluti degli anni '90". 

(01 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/01/news/se_perdo_le_primarie_non_vado_via_ma_se_vinco_sar_io_premier_non_monti-43611860/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il passo indietro di Montezemolo "Non mi candido, staremo..
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2012, 06:11:46 pm
Il caso

Il passo indietro di Montezemolo "Non mi candido, staremo con Monti"

Il capo di "Italia Futura" ha deciso di non candidarsi. "Non chiedo posti o leadership, ma staremo al fianco dell'attuale premier.

Il Paese prenda atto della disponibilità del Professore a continuare il lavoro Per quanto mi riguarda, il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno.

Oltre a Monti occorre mettere in campo una politica diversa da quelle del passato che ci hanno portato dove l'Italia non merita"

di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Finisce qui il tormentone sull'impegno di Luca di Montezemolo in politica. Anzi, è finito giovedì quando Mario Monti, da New York, ha offerto se stesso per la guida del governo anche dopo il 2013. "Io non chiedo né ruoli né incarichi - dice adesso il presidente di Italia Futura -. Tantomeno chiedo posti o leadership". Il leader c'è già e non sarà lui, dunque. "Bisogna che il Paese prenda atto della disponibilità del premier a continuare il suo lavoro". Montezemolo esce così da un limbo durato cinque anni imboccando la porta di una discesa in campo non diretta, non personalistica. Una "ritirata strategica" che non significa improvviso disimpegno. L'imprenditore si candida a reclutare associazioni, sigle, cittadini e società civile per aggregarli nel nucleo fondativo di una lista Monti. E presentarsi in questo modo alle prossime elezioni.
Montezemolo prepara già oggi una "comunicazione importante", dicono dal suo staff, sui prossimi passi di Italia Futura, la fondazione che conta sedi territoriali e 60165 iscritti (dato aggiornato alle 20,13 di ieri). È confermata la convention di metà novembre con altre associazioni, con Fermare il declino, il gruppo liberale di Oscar Giannino con cui i montezemoliani si muovono in totale simbiosi. "Oltre a Monti - spiega Montezemolo - occorre mettere in campo una politica diversa da quella del passato che ci hanno portato sin qui, in una posizione desolante che l'Italia non merita".

Come si muoverà nell'affollato campo moderato e del Monti-bis, il capo della Ferrari è un dettaglio non trascurabile. Ma ora secondario rispetto alla scelta a favore del Professore. Sul terreno presidiato dall'Udc di Pier Ferdinando Casini, Montezemolo sembra presentarsi come un concorrente. Le polemiche a distanza, anche pesanti, non sono mancate. Ma se l'obiettivo è lo stesso sarà difficile non ritrovarsi. Emma Marcegaglia e Corrado Passera, che hanno espresso la loro preferenza per l'Udc, non sono affatto considerati avversari dal presidente Ferrari, ma compagni di strada. I cattolici di Todi, che a ottobre torneranno a farsi sentire con un nuovo seminario, sono un altro pezzo del puzzle. Situazione fluida, ma su dove condurre Italia Futura Montezemolo ha le idee chiare. "Spingerò l'associazione - dice - a dare una mano alla prospettiva di un Monti bis con uomini e donne nuovi. Con idee nuove. Per far nascere una nuova politica, con quelli che ci vogliono stare e cambiare".

Il presidente della Ferrari immagina di contribuire al "secondo tempo" di Monti, ossia alla crescita, allo sviluppo, con il programma di "If" elaborato da Nicola Rossi, Andrea Romano, Carlo Calenda con il contributo delle idee giunte via Internet. Il bacino di riferimento è quello dell'imprenditoria. Piccola e grande. Montezemolo torna a difendere Sergio Marchionne in maniera netta e non ambigua "perché in Italia è difficile fare impresa, qui sta il punto. Me ne sono accorto in prima persona con l'avventura dei treni Ntv. Abbiamo avuto un sacco di problemi a liberare veramente il mercato". Tra gli sfidanti Marchionne e Della Valle, Montezemolo sceglie quindi il primo. E proprio all'amministratore delegato della Fiat ha confidato, tra i primi, la sua scelta di rinunciare a una corsa personale in politica. Lo scambio di battute avvenuto qualche giorno fa al salone dell'Auto di Parigi assume i contorni di una rivelazione più che di affettuosità tra amici. Marchionne spiegò di aver consigliato a "Luca" di stare lontano dalla mischia. Lui rispose: "Di solito tengo conto dei consigli degli amici". Adesso la scelta è definitiva. Le parole scelte da Montezemolo per ufficializzarla sembrano studiate a lungo e scolpite come una sentenza: "Per quanto mi riguarda alla politica non chiedo né ruoli né incarichi, tantomeno posti o leadership. Il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno".

La sorte di Italia Futura si lega ora alla capacità di aggregare forze fresche, società civile e agli accordi che saprà realizzare con altre componenti dello schieramento moderato. Il tempo degli scontri, delle gelosie, dei protagonismi deve finire. Si attende la riforma della legge elettorale, ma i sondaggi non sono positivi: Italia futura da sola prende ben poco. Da parecchie settimane il gruppo di lavoro dell'associazione cerca di allargare il suo orizzonte: da Oscar Giannino ai montiani del Pd, dalle imprese ai transfughi di un Pdl travolto dagli scandali e dagli sbandamenti del dopo-Berlusconi. Ma adesso Montezemolo ha trovato un leader. E non è lui, che fa un passo indietro.

(30 settembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/30/news/il_passo_indietro_di_montezemolo_non_mi_candido_staremo_con_monti-43559615/?ref=HREA-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Da Gallino a De Magistris, a sinistra del Pd parte la ...
Inserito da: Admin - Novembre 06, 2012, 10:19:57 pm
IL RETROSCENA

Da Gallino a De Magistris, a sinistra del Pd parte la rincorsa ai voti dei grillini

Un manifesto aperto a movimenti ed associazioni, appoggiati dai sindaci, per preparare una lista che coaguli le forze contro Monti.

Il candidato premier della galassia potrebbe essere l'ex pm di Palermo Ingroia

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Pezzi di sinistra che vogliono incrociare pezzi di elettorato "in liquefazione". L'astensionismo siciliano (53 per cento) e i sondaggi che danno il non voto a livello nazionale vicino al 40 stanno "accendendo" una serie di movimenti alla sinistra del Pd e anche di Sel. L'ultimo in ordine di tempo è il Manifesto di Marco Revelli, Paul Ginsborg, Luciano Gallino e Livio Pepino. "Cambiare si può" dicono nel titolo e puntano a "creare le condizioni per una presenza elettorale alternativa alle elezioni politiche del 2013". Alternativa a che cosa? A Bersani, a Grillo, a Vendola che "firmando la carta d'intenti del Pd si è vincolato in sostanza all'agenda Monti", spiega il professor Revelli. Si sono dati tempo fino a un'assemblea fissata per il primo dicembre. Se una parte dell'elettorato darà la risposta attesa, se le mille schegge di quel campo riusciranno a trovare un'intesa, la lista elettorale sarà nella scheda.

È una galassia mista e ancora piuttosto confusa. Il che non è certo un vantaggio a pochi mesi dal voto politico. C'è il Movimento dei sindaci, ossia la lista Arancione guidata da Luigi De Magistris, guardata con simpatia da Leoluca Orlando, a caccia di altri sostegni a cominciare da Marco Doria per finire a Giuliano Pisapia (molto complicato). Un tentativo solo abbozzato di creare le condizioni per un "partito" che non avrà i primi cittadini candidati ma la loro benedizione e il loro sostegno. C'è il corteggiamento
nei confronti della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici in guerra con Marchionne e al quale l'amministratore delegato della Fiat fa una bella pubblicità con le sue "iniziative" quotidiane. Maurizio Landini, il segretario delle tute blu, ha dichiarato con nettezza che il sindacato non scenderà in campo, non cederà alle lusinghe di nessuno, nemmeno a quelle di Tonino Di Pietro che con Maurizio Zipponi cerca in tutti i modi di agganciare le sue alle lotte degli operai. Ma quel bacino di voti fa gola a molti. "Noi - dice Revelli - ci muoviamo su una proposta molto vicina a quella della Fiom".

L'obiettivo sono i consensi degli astenuti e quelli di Grillo che vengono da sinistra. "Oggi l'unica offerta contro questo governo è il comico - dice Revelli -. Noi ci proponiamo di costruire un altro contenitore per quel tipo di protesta". Fra i firmatari del Manifesto Sabina Guzzanti, Massimo Carlotto, don Gallo, Haidi Giuliani, l'operaio Fiom di Pomigliano Antonio Di Luca, don Marcello Cozzi di Libera. Se il tentativo non potrà ambire a traguardi superiori "alla mini-testimonianza di bandiera" verrà archiviato. Si parla di un target oltre la soglia del 5 per cento. Il termometro saranno le adesioni sul sito www. cambiaresipuo. net. La legge elettorale invece è una variabile minore. "Per l'ampiezza dell'elettorato in libertà il sistema di voto ci interessa poco", dice Revelli. E con il Porcellum Antonio Ingroia sembra il candidato premier più adatto.

Ma i movimenti hanno certamente bisogno di un coordinamento perché nello stesso spazio si muove da tempo la Federazione della sinistra, ancora quotata nei sondaggi intorno al 2 per cento. La frammentazione non li aiuterà a raccogliere i voti in uscita e ad arginare il boom dei 5 stelle. Il primo dicembre, giorno dell'assemblea, è subito dopo le primarie del Partito democratico. Che diranno qualcosa su dove andrà il centrosinistra.   

(06 novembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/06/news/movimenti_sinistra-45992338/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La paura di Bersani: "Non mi bastano i voti di Vendola"
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2012, 11:23:27 pm
La paura di Bersani: "Non mi bastano i voti di Vendola"

Il segretario lavora sui consensi ottenuti da Renzi in Umbria, Piemonte e Toscana.

E il sindaco ora medita una virata a sinistra

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Bersani non si fida. Non è sicuro che i voti di Nichi Vendola siano sufficienti a conquistare la vittoria finale anche perché, va dicendo ai suoi collaboratori con fare scherzoso, "vedrete la virata a sinistra che farà Renzi. Finisce che ce lo ritroviamo in Rifondazione".

Che la svolta del sindaco di Firenze porti qualche vantaggio è tutto da dimostrare. Che la minaccia di un partito nuovo, nei sondaggi renziani dato tra il 12 al 25 per cento, sia una cosa seria pure. "Punta solo a scaldare l'ambiente. Ma io non ho mai avuto segnali di questo tipo parlando con Matteo", è il pensiero del segretario. Semmai sono i fedelissimi bersaniani a coltivare il sospetto che il sindaco abbia mire fuori dal Pd. Comunque il problema oggi è un altro: se i voti di Sel non sono sufficienti, bisogna lavorare sui consensi di Matteo Renzi. Lì dove ha vinto o ha sfiorato la vittoria: Umbria, Piemonte e Toscana.

La strategia del recupero sui renziani poggia su due pilastri. Primo: sottolineare il robusto ricambio su cui Bersani lavora da tempo. "Un rinnovamento nei fatti, non a chiacchiere". Volti nuovi nel suo comitato, negli organismi dirigenti locali, nella scelta degli ospiti Pd che vanno in televisione. Da giorni ormai, nei talk show, si fa largo una nuova generazione di democratici: da Stefano Bonaccini a Paola De Micheli, da Antonella Moretti a Stefano Fassina a Matteo Orfini a Tommaso Giuntella.

Sono scomparsi quasi del tutto gli appartenenti alla cosiddetta nomenklatura. Si vuole dimostrare così che sono morte le correnti, che non esistono più dalemiani, veltroniani, bindiani, che il distacco di Bersani da una stagione del passato non è più solo quello lampante della non ricandidatura di D'Alema e Veltroni o dei rapporti non idilliaci con Rosy Bindi.

È in atto una rottura vera e profonda con i vecchi schemi, questo è il messaggio. "Dobbiamo convincere che la nostra non è solo tattica, che il rinnovamento c'è già e va avanti", dice un fedelissimo del segretario. "E non si torna indietro". Come dire che la classe dirigente del centrosinistra degli ultimi due decenni non rispunterà all'indomani del voto di domenica.

Questo pilastro è strettamente legato all'altro. L'analisi del voto, secondo i bersaniani, dimostra che una parte delle preferenze a Renzi rientra in un gigantesco regolamento di conti tra correnti a livello locale. Per esempio in Toscana, dove Bersani non immaginava una sconfitta tanto bruciante (52 per cento Renzi, 35 lui). O in Umbria. O in Piemonte. Tutte regioni che Bersani toccherà nei prossimi giorni. "Non ci sono dubbi. In alcune realtà, il voto a Renzi non è contro Bersani ma contro alcuni dirigenti eterni, contro logiche superate - spiega Giovanni Lolli, deputato abruzzese e bersaniano che fu l'uomo macchina della segretaria Veltroni nei Ds -. La novità è che stavolta, invece di mollare tutto, i militanti delusi hanno trovato un'alternativa dentro al partito grazie a Renzi. Le primarie sono state anche una grande valvola di sfogo".

Così si spiega il giro di Bersani nelle swinging regions (le regioni in bilico) e il messaggio su una "rottamazione" soft che deve continuare. Dall'altra parte appare scontato un viaggio di Matteo Renzi al sud. Il sindaco ha riunito ieri a Firenze tutti i coordinatore regionali. Riunione blindata nella notte dopo aver affrontato l'emergenza pioggia. Alla rete locale lo sfidante chiede come virare a sinistra sui temi concreti senza diventare ideologico e senza tracimare nel campo dell'anti-Monti, bandiera del vendolismo.

Una piccola componente dei voti Sel può automaticamente andare nel bacino di Renzi: sono quelli per il ricambio generazionale, quelli contro l'apparato. Ma certamente non sono il grosso dei consensi finiti al governatore pugliese. Il comitato di Bersani guarda con molta diffidenza certe mosse del sindaco, compresa la riunione di ieri sera. "Se fa le primarie per creare un nuovo partito, ne risponderà agli elettori", dicono alcuni fedelissimi del segretario. Ma Bersani si rifiuta di credere a un'ipotesi del genere. E non solo per una questione di fair play.
 

(28 novembre 2012) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Monti non vuole strappi e cerca un'intesa con il Pd
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2012, 11:55:00 pm
Monti non vuole strappi e cerca un'intesa con il Pd

Il Professore affronta il nodo del suo futuro e pensa a un accordo con il Partito Democratico: "Ma il primo passo tocca a loro".

Anche il segretario del Pd vuole un chiarimento prima che il premier decida cosa fare.

Torna l'ipotesi di un tandem tra Bersani e Monti, con tanto di staffetta

di GOFFREDO DE MARCHIS


NON ROMPERE con Pierluigi Bersani. E riflettere ancora su una candidatura alle elezioni, con la voglia e l'orgoglio di provarci ma solo nell'ipotesi di una collaborazione con il Partito democratico. "Di questo parlerò con il presidente Napolitano, ascolterò i suoi consigli", spiega Mario Monti alla vigilia dell'incontro di oggi al Quirinale.

Nello studio del capo dello Stato sarà quindi evocato il candidato premier del centrosinistra, intenzionato a godersi la domenica nella sua casa di Piacenza prima di rientrare a Roma lunedì. La lunga attesa intorno alla decisione del premier ha innervosito il Pd. Eppure da entrambe le parti c'è il desiderio di un chiarimento. Un primo passo è stato già fatto, raccontano, con una telefonata "molto recente" nonostante la smentita del segretario: "Non ci sentiamo da due giorni".

Monti scioglierà la riserva dopo l'approvazione della legge di stabilità e l'atto formale delle dimissioni nelle mani di Giorgio Napolitano. Ossia, venerdì o sabato. In meno di una settimana si gioca così il destino della legislatura che verrà. Una partita a tavolino che non annulla il passaggio fondamentale del voto, ma disegna equilibri, ruoli e programmi dei prossimi cinque anni sotto gli occhi attentissimi della comunità internazionale.

Il Professore è sottoposto a pressioni di tutti i tipi. Dalle liste di centro, per schierarsi apertamente con loro e affrontare le urne alla guida di una coalizione moderata. Dal Pdl, che nel giro di un paio di giorni ha rovesciato la sua posizione. L'offerta di Silvio Berlusconi al premier è stata rispedita al mittente persino con un po' di ribrezzo. E il Cavaliere ha mutato linea in un amen, senza sorprendere chi ha assistito al balletto della settimana appena finita.

Oggi infatti è il Pdl a premere in maniera insistente su Palazzo Chigi perché Monti resti "neutrale", mantenga il "profilo istituzionale degli esordi", si "faccia da parte" senza troppe discussioni. Siccome non sarà mai il leader dei moderati come lo intende Berlusconi, l'ambasciatore berlusconiano Gianni Letta gli ha fatto sapere che non deve prendere posizione: né candidatura, né endorsement, né nome nel simbolo di qualche "partitino". Berlusconi si è fatto intervistare ieri sera dal Tg5 per rendere esplicito al suo popolo che l'operazione è fallita. Non ha mai citato il premier, nemmeno indirettamente. Monti ha chiuso la porta e l'ex premier torna a cercare una diversa via d'uscita.

Si apre così un altro scenario: le forme di una collaborazione tra il Professore e il centrosinistra. Monti vuole "superare le perplessità del Pd". Non si è lasciato impressionare dall'intervista di D'Alema al Corriere ("Una candidatura del premier? Sarebbe moralmente discutibile"). Il suo interlocutore è Bersani, al quale riconosce l'autorevolezza della premiership decisa dalle primarie. Sono state una prova di partecipazione democratica vera e di grande impatto, il Professore lo sa. Anche per questo si aspetta che sia il segretario democratico a parlargli in maniera chiara di un'eventuale intesa sul futuro. "È un candidato già in pista, pienamente legittimato. Tocca a lui introdurre l'argomento".

Si è discusso, negli ultimi giorni, di un sostegno del centrosinistra e del centro per l'elezione al Colle di Monti. Si è ventilata l'ipotesi di un ruolo di governo, all'Economia, sul modello di Carlo Azeglio Ciampi nell'esecutivo Prodi. Ma sul piatto resta, come sottinteso molto concreto, la possibilità di una prosecuzione del lavoro a Palazzo Chigi in vista di un altro anno di crisi dura. "Le riforme vanno portate avanti, seguite e attuate - ha detto qualche giorno fa il premier -. Altrimenti è meglio non farle". Insomma, l'idea di un accordo tiene dentro anche il Monti bis, pure in presenza di un candidato premier favorito in tutti i sondaggi.

Nel colloquio di oggi al Quirinale sarà probabilmente il tema-chiave. Il presidente Napolitano, ormai vicino alla scadenza del suo mandato, avrà ancora una posizione centrale nel disegno istituzionale. Può esercitare la sua moral suasion, anche sul leader del Pd, per verificare i contorni di questa "collaborazione" con la consapevolezza che dalle risposte dei prossimi giorni dipenderà la scelta di Monti. Un patto di legislatura che preveda il tandem Monti-Bersani non dispiace a una fetta del Pd, dai montiani doc agli ex Popolari. È tornata a risuonare una formula che appartiene al passato: la staffetta. Con il Professore che lascia il posto al segretario del Pd superato lo scoglio del prossimo anno. Monti quindi si prepara a valutare le numerose soluzioni. Ma appare chiaro che lo farà senza strappare con il Pd.

(16 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Primarie Pd, la carica dei mille.
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2012, 11:58:35 pm
Primarie Pd, la carica dei mille.

I decani rischiano lo sgambetto

Seggi aperti il 29 e 30 ai gazebo: gli elettori di Pd e Sel potranno votare per i parlamentari che correranno alle prossime elezioni politiche.

Obbligo di doppia preferenza: una deve andare a una donna. A Bari c'è il fratello di Emiliano. Bindi in Calabria

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Meno due giorni alle primarie per i parlamentari del Pd. Si vota il 29 e in alcune regioni il 30. Corrono quasi mille e cinquecento candidati e alla fine avremo alcuni esclusi eccellenti. Soprattutto nelle grandi città dove molti parlamentari uscenti sfidano nomi nuovi o nomi antichi dotati di un grande bacino elettorale. In Sicilia per esempio corre l'ex segretario della Cisl Sergio D'Antoni, da anni deputato. Ma lui, come altri onorevoli, fronteggia la forza di uomini dal consenso radicato come Davide Faraone, il renziano che corse per la carica di sindaco, e Pino Apprendi. Solo un esempio, ma la storia si ripete a Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze.

Alla vigilia del voto, non mancano le polemiche. La Puglia è una delle regioni più calde. Perché è quella dove saranno in competizione il maggior numero di consiglieri regionali, ben quattro, travolti da un mare di critiche. Loro si sono giustificati così: se Vendola viene eletto (cosa sicura) cadrà il consiglio, abbiamo il diritto di tentare un'altra strada. Giustificazione ammessa. A Bari è in pista anche il fratello del sindaco e presidente del Pd pugliese Michele Emiliano. Si chiama Alessandro, ha 50 anni, è un imprenditore. "Ho provato a dissuaderlo, ma non potevo più fermarlo", racconta il primo cittadino. "Ha già rinunciato nel 2010". Alessandro è stanco di "essere il fratello di". Corrono nella regione i deputati bersaniani Francesco Boccia (Barletta-Trani-Andria) e Dario
Ginefra (Bari). Mentre a Taranto sbarca oggi Anna Finocchiaro, la capogruppo al Senato, per giocarsi la conferma in un collegio complicato.

A Roma sono a caccia di voti gli unici due membri della segreteria a essersi messi in gioco: Stefano Fassina e Matteo Orfini. Si batteranno contro un gruppone di consiglieri uscenti del Lazio, contro il segretario locale Miccoli, contro la deputata Marianna Madia, ex assessori del calibro di Roberto Morassut. A Firenze l'ondata di candidati renziani è data per favorita dopo il tracollo delle truppe bersaniane in regione. A Torino rischiano il tutto per tutto un ex ministro come Cesare Damiano, un deputato uscente come Stefano Esposito mentre l'operaio della Thyssen Antonio Boccuzzi ha rinunciato in accordo con il partito.

Nel grande risiko i più esposti sono, per una volta, i maschi grazie alla regola del doppio voto da dare obbligatoriamente a un uomo e una donna. Tra gli esclusi illustri non bisognerà sorprendersi se la parte del leone la faranno i candidati di sesso maschile. Anche a Milano, tra i tanti candidati, si presentano gli uscenti Emanuele Fiano e Emilio Quartiani, accanto a Barbara Pollastrini, un'altra ex ministro. Giorgio Gori corre a Bergamo. A Napoli, dove è in campo il presidente provinciale Massimiliano Manfredi, Anna Maria Carloni, la moglie di Bassolino, senatrice uscente, denuncia di essere stato abbandonata dalla sua corrente.

Tra i big gli occhi sono puntati su Rosy Bindi, che partecipa in Calabria e per la precisione nella provincia di Reggio, e su Beppe Fioroni che corre a Messina. A partire da oggi sbarcheranno nel loro collegio per una campagna elettorale di 48 ore, massimo 72.

All'organizzazione del Pd e di Sel che tiene le sue primarie negli stessi giorni verrà chiesto uno sforzo straordinario. Ci sono molti rischi di ricorsi e polemiche nel dopo-voto. Nel partito di Vendola per esempio si contesta la quota protetta del 20 per cento. In Veneto si sente ancora l'eco degli attacchi al sindaco di Este Giancarlo Piva, eletto pochi mesi fa ma ora candidato alle primarie. Il punto è che Este presto sarà accorpato a un altro comune e il municipio non esisterà più.

(27 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/27/news/primarie_parlamento_pd_carica_mille-49496551/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani contro Casini: "Vuole comandare senza voti"
Inserito da: Admin - Gennaio 15, 2013, 12:14:59 am
Bersani contro Casini: "Vuole comandare senza voti"

L'allarme del segretario del Pd: "Così regalano spazi al Cavaliere".

Pressioni su Ingroia perché non si presenti al Senato in tre regioni strategiche per il centrosinistra

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Con tutta la buona volontà, è inaccettabile". I pranzi settimanali a Bologna, la stima reciproca, il lavoro comune in Parlamento, l'alleanza sempre sul punto di nascere: la campagna elettorale cancella il buon rapporto tra Casini e Bersani. Perché il segretario del Pd ha individuato nel leader Udc il più accanito avversario del centrosinistra dentro l'area moderata.

E Casini non fa nulla per nascondere le sue intenzioni: sbarrare la strada al Pd, creando lo stallo al Senato che gli impedirebbe l'ingresso a Palazzo Chigi. "La teoria di Pier secondo cui comanda chi prende meno voti, la considero insostenibile, oltre che inaccettabile", dice Bersani commentando l'ennesimo attacco del centrista. Ma l'intera operazione montiana comporta dei pericoli. E dovrebbe far suonare un campanello d'allarme anche tra chi l'ha costruita.

La rimonta di Berlusconi spaventa il Pd ma dovrebbe avere lo stesso effetto su Mario Monti. "Loro - spiega il candidato democratico - continuano a sfruculiare lì nel mezzo, a speculare su una posizione che per il momento porta a un solo risultato. Significa dare spazio a Berlusconi, quello spazio che aveva inesorabilmente perso". L'esempio della corsa al Pirellone, secondo il segretario, rimane lampante. "Lì Berlusconi, grazie ad alcune scelte, sta recuperando terreno. Il centro sembra comportarsi come se esistesse il doppio turno. Ma sa bene che alle regionali si vota con un turno solo. La Lombardia è la prova provata di quanto siano rischiose certe decisioni". La corsa lombarda inciderà anche sull'esito del Senato. In quella regione si eleggono 49 membri di Palazzo Madama, un quorum altissimo. Il premio di maggioranza dà diritto a 27 seggi. "Casini può dire quello che vuole. Sul Senato ognuno fa le sue valutazioni e si prende le sue responsabilità - dice il segretario del Pd ragionando con i suoi collaboratori - ma, ripeto, la teoria di Pier è inaccettabile".

Siamo di fronte a un botta e risposta che si gioca nel campo di una futura collaborazione riformista tra il centrosinistra e il centro. Ma il modo migliore per cancellare i tatticismi e le alchimie delle alleanze è una vittoria netta della coalizione Pd-Vendola, che dia in mano a Bersani il pallino della politica post-voto da una posizione di forza. Per questo, anche se mancano 40 giorni alle elezioni, i democratici cominciano una partita alla loro sinistra: la partita del voto utile. In grande anticipo e a Largo del Nazareno avrebbero voluto aspettare ancora. Ma l'intenzione non è andare allo scontro con le forze che si muovono nello stesso perimetro. Semmai, trovare forme d'intesa. L'accelerazione si spiega così, con una forma di prevenzione. Il problema si chiama Antonio Ingroia e il suo movimento Rivoluzione civile. Il relativo "dossier" è stato affidato a Dario Franceschini.

I sondaggi sono molto chiari. Dal momento della scesa in campo del pm palermitano, Pd e Sel hanno pagato qualcosa. Soprattutto in Campania e Sicilia. Due regioni fondamentali per il Senato almeno quanto la Lombardia, viste le loro dimensioni. "La lista Ingroia rischia di consegnare il premio di maggioranza alla destra", avverte il capogruppo alla Camera. Certo, la formula del voto utile non porta bene alla lunga vicenda del centrosinistra. Nel 2008 fece sparire Rifondazione dal Parlamento e non aiutò il Pd a vincere. "Ma i numeri sono numeri e la scaramanzia passa in secondo piano", dice Franceschini. Il vero obiettivo del Pd, più del richiamo al voto utile, è il ritiro di Rivoluzione civile in Campania, Sicilia e Lombardia. "Io spero ancora che Ingroia, De Magistris e Orlando non presentino le loro liste al Senato in quelle tre regioni", spiega il capogruppo.

Partita complicatissima, in particolare nelle aree dominate dai sindaci di Napoli e Palermo e dalla provenienza del pm siciliano. Sono il principale bacino di voti del neonato partito. È appena più semplice in Lombardia dove Rivoluzione civile è accreditata del 4 per cento, voti fondamentali per far vincere il centrosinistra e Ambrosoli, ma che non permetterebbero l'elezione di alcun senatore.

Il "dossier" di Franceschini ha un nome: desistenza. È questa sostanzialmente la proposta lanciata dal capogruppo al movimento di Ingroia. Un'altra parola sfortunata nella storia delle coalizioni di centrosinistra. Segnò la prima vittoria di Prodi nel '96, con gli esiti successivi che si conoscono. Ma la posta in gioco è troppo alta e i segni premonitori vanno esorcizzati.

(14 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Dopo di me non ci sono solo le elezioni"
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2013, 06:52:56 am
Pd, Bersani ora rinuncia all'ultimatum.

"Dopo di me non ci sono solo le elezioni"

"Ma mai un governo con Berlusconi". Le frizioni con il Quirinale.

Secondo i fedelissimi del segretario, anche Napolitano "deve discutere con noi".

Il leader democratico rilancerà i suoi otto punti per l'accordo con il M5S

di GOFFREDO DE MARCHIS


Per tenere unito il Pd, Bersani non minaccerà le elezioni a giugno, eviterà l'aut aut "o il mio governo o si torna a votare". Anche Giorgio Napolitano, con il quale i rapporti non sono idilliaci in questa fase, osserva le mosse della direzione democratica. Ma il segretario pianterà un paletto che sembra destinato a escludere qualsiasi forma di collaborazione con gli avversari di sempre. E quindi a restringere il campo di un'alternativa alla sua impresa.

"Che sia tecnico, del presidente, di emergenza, per me non esiste alcun governo con Berlusconi". Con il politico che "compra De Gregorio", che secondo la procura avrebbe avvicinato "anche Razzi e Scilipoti", non si tratta e non si vota la fiducia.

Il paletto può essere accettato da tutti e scongiurare una conta che, all'indomani della sconfitta, rischierebbe di spaccare il Partito democratico definitivamente seppellendolo sotto le macerie. Ognuno però ascolterà le parole del segretario con un retropensiero diverso, con orizzonti che non hanno lo stesso colore. Per i bersaniani di più stretta osservanza la partita non è ancora persa. "Qualcosa si muoverà nel Movimento di Grillo. Noi dobbiamo proporci con umiltà e con senso di responsabilità. Dando la prova di un cambiamento radicale".

Questa prova è affidata agli 8 punti del programma: Europa (correzione delle politiche Ue, non solo rigore ma crescita), misure urgenti per il lavoro e sul fronte sociale, riforma della politica, leggi contro corruzione e mafia, conflitti di interesse, green economy ed efficienza energetica, diritti, istruzione e ricerca. È la base di un corteggiamento che ha già registrato molti rifiuti netti dai grillini. Secondo Bersani, però, non sta in piedi una seconda scelta "e anche Napolitano deve discutere con noi", dice un collaboratore del leader.

Ma la linea oltranzista, nel corso di questi giorni, è stata abbandonata. Anche Bersani si chiede se non ci sia uno sbocco differente, anche senza Berlusconi, magari rinunciando a guidare in prima persona l'esecutivo. Il segretario ha perso pezzi della sua maggioranza interna sulla trincea delle elezioni immediate. Da D'Alema a Enrico Letta, i suggerimenti di prudenza sono arrivati forti e chiari.

I due dirigenti hanno garantito lealtà assoluta al tentativo bersaniano, ma avvertendolo: "Se non va in porto l'intesa con Grillo, si azzera tutto e si ricomincia daccapo". Cioè, la parola passa al capo dello Stato e si esaminano anche soluzioni nuove che non portino il Paese dritto dritto alle urne.  Stavolta D'Alema e Matteo Renzi navigano nella stessa identica direzione. Il sindaco di Firenze conferma che "non pugnalerà Bersani" e che non gradisce le prese di distanza del giorno dopo. Ma è convinto che il segretario non ce la farà.

La direzione di oggi segnerà anche un passaggio importante per la storia futura del Partito democratico. Renzi infatti, seppure sulla posizione della lealtà estrema, prenderà la parola. È la prima volta che lo fa in quella sede, davanti alla nomenklatura del Pd che non lo ama. In altre occasioni si era sempre limitato a un'assenza giustificata (si fa per dire) o una breve visita prima di riprendere al volo il treno.

Renzi non pugnala perciò, ma sente "l'odore del sangue". "Non c'è dubbio, il suo discorso sarà uno spartiacque. Mette un piede dentro al partito per conquistarlo", è l'opinione di D'Alema e Letta. Quando alludono all'azzeramento, l'ex premier e il vicesegretario pensano del resto anche alla leadership del Pd, al ruolo di Bersani, che in caso di bocciatura del governo Pd-M5s, è destinato a lasciare la segreteria aprendo la corsa alla successione. Con Renzi grande favorito.

Bersani si gioca tutto, sul fronte del governo e sul fronte del Pd. A invocare le elezioni anticipate sono rimasti i giovani turchi di Matteo Orfini e Stefano Fassina. Non a caso, ieri, esclusi dalle consultazioni del segretario e del suo staff. Il segretario non li segue, preferisce giocarsi le sue carte in Parlamento e al Quirinale. Perché il suo obiettivo è far partire comunque un governo, presentandolo alle Camere, cercando lì i voti necessari ad andare avanti. "Un sentiero strettissimo, ma quello di una maggioranza con Berlusconi lo è anche di più".

(06 marzo 2013) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Se il leader fallisce, avanti una donna.
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2013, 05:10:45 pm
Se il leader fallisce, avanti una donna.

Il Pd vuole evitare un altro tecnico

Il Colle preoccupato per il veto sul Pdl.

Se l'M5S dirà no, tornerà l'ipotesi di un rapporto con il centrodestra ma senza Berlusconi.

Idea Finocchiaro.

Gira anche il nome di Barca, se fosse necessario dare un segno di netta discontinuità

di GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO


ROMA - Il no a Berlusconi risuona più forte del sì alla trattativa impossibile con Beppe Grillo. Ed è il segno che il Partito democratico, a dispetto delle apparenze, scivola verso un piano B che si chiama ritorno al voto in poche settimane. "La vera riunione della direzione - dicono infatti i sostenitori delle elezioni immediate - sarà la prossima". Quella in cui il Pd potrebbe essere costretto a certificare il fallimento del tentativo di Bersani e dovrà fare i conti (e la conta interna) con l'ipotesi di un governo del presidente che tenga nella maggioranza anche il Pdl. Ma le alternative non si fermano alle urne. Ce n'è una che viaggia su un binario sotterraneo e per ora viene tenuta coperta. È quella di un rapporto con il centrodestra de-berlusconizzato (come lo ha dipinto ieri D'Alema) che non prevede un tecnico alla guida di Palazzo Chigi, ma un altro esponente del Pd. In questo caso occorrerebbe dare il senso di una netta discontinuità con il passato, rappresentare cioè una novità assoluta nella storia repubblicana. Una donna premier corrisponde a questo identikit.

Se è vero che in caso di rifiuto del Movimento 5stelle "si azzera tutto", come dicono a Largo del Nazareno, alcuni, tra le tante ipotesi, ragionano anche sulla soluzione a sorpresa: perché non dovrebbe essere il Pd a gestire un nuovo tentativo, cambiando protagonista? Si fa il nome di Fabrizio Barca, ministro tecnico del governo Monti, ma vicinissimo ai democratici. La novità
però sarebbe un volto femminile e il pensiero corre subito ad Anna Finocchiaro. È solo una suggestione perché in questo momento il piano A è in campo senza subordinate. E perché Berlusconi regna incontrastato nel suo partito. Non ha fatto alcun passo indietro.

Anche ieri, nella telefonata tra Bersani e Napolitano, non si è parlato di vie d'uscita diverse da quelle di un governo del segretario Pd. Il presidente della Repubblica ha molto gradito il gesto di cortesia, così come ha registrato con soddisfazione che nessuno, nella direzione, ha fatto cenno alle elezioni anticipate, immaginando "disegni precostituiti" che Napolitano aveva con durezza criticato. Questo non significa che il Colle non continui ad avere dei dubbi sull'aggancio dei 5Stelle. E che il no forte e chiaro del Pd rispetto a un dialogo con il Cavaliere sia un ulteriore ostacolo sulla strada di costruire un governo in tempi brevi, come da giorni chiedono tutte le Cancellerie rivolgendosi all'unico presidio certo rimasto: il Quirinale.

Molto si capirà dal gioco di incastri per le presidenze delle Camere. "Quando arrivi a decidere come vengono assegnate Camera e Senato, hai capito anche come va a finire il rebus del governo", dicono al Pd. Se Berlusconi si ritira dalla corsa di Palazzo Madama, si può votare un esponente del Pdl? La partita è apertissima. I sondaggi del dopo voto arrivati sul tavolo di Largo del Nazareno dicono che non soffia una buona aria per i democratici. Dunque, la via del ritorno alle urne è poco conveniente. Ma le bocce sono ferme e gli otto punti di Bersani per il "governo di cambiamento" hanno appena cominciato a essere seminati nel campo dei grillini.

Fino alle consultazioni del capo dello Stato, il Pd è unito intorno al suo segretario. Cosa succederà però se il tentativo di Bersani fallisce? Ieri si è capito bene che il partito potrebbe esplodere. Che le tante voci favorevoli a un possibile governo del presidente (apprezzate da Napolitano) rischiano di scontrarsi con chi nega in radice una maggioranza con il Pdl e il ritorno di un tecnico. C'è davvero il pericolo serio di spaccatura definitiva nel Pd. Per questo, per evitare lo showdown, può uscire dal cassetto l'idea di mandare avanti un altro esponente del Pd.

(07 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/07/news/pd_evitare_tecnico-54018555/?ref=HRER2-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il segretario pronto a incontrare i 5Stelle: "Il mio ...
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2013, 05:55:56 pm
Il segretario pronto a incontrare i 5Stelle: "Il mio sarà l'esecutivo del cambiamento"

La proposta al Colle, ma nel partito c'è anche l'ipotesi Grasso.

Spunta anche il nome di Enrico Letta per un secondo tentativo, ma lui nega.

Per il leader non esistono soluzioni alternative e tantomeno larghe intese col Pdl 

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Governo del cambiamento". È una proposta secca quella che Pier Luigi Bersani porterà stasera al Colle. Rivendicando non la guida per sé, ma spiegando che solo il centrosinistra, e quindi il suo candidato premier, può riuscire nell'impresa. Significa che non esistono soluzioni alternative, tantomeno maggioranze del passato come l'asse che ha retto il governo Monti con Silvio Berlusconi protagonista. "Sabato si mobilitano in piazza a Roma contro i magistrati. Un governo col Pdl? Ma di cosa stiamo parlando", dicono in queste ore a Largo del Nazareno.

Per il vertice democratico la strada rimane una sola: un esecutivo con il Movimento 5stelle, con Sel, con Scelta civica. Magari con un'astensione tecnica della Lega. Mai con il Cavaliere. Sul nome del premier, il segretario si rimetterà al capo dello Stato, com'è doveroso. Che non vuole dire aprire a un'altra ipotesi. "Si parte dal voto del 24 e 25 febbraio - dicono i suoi fedelissimi - e dal candidato di quelle elezioni. Il cambiamento può guidarlo solo Pierluigi".

Questa sono le basi su cui Bersani intende poggiare l'incarico, che dopo le prime consultazioni di Giorgio Napolitano, appare più vicino. I numeri del Senato, ovvero la maggioranza che non c'è, sono il rovello del presidente della Repubblica. Lo ha ripetuto più volte ieri alle delegazioni salite al Colle. "E i voti?". Già, un problema da niente.

Ieri sono venuti a mancare anche quelli di Scelta civica che preferisce un esecutivo di larghe intese. "Ma ogni giorno il quadro può cambiare", ripetono gli uomini più vicini al segretario del Pd. "E se i grillini e Monti non ci stanno, non si farà il governo del cambiamento. Ma ognuno si assumerà le proprie responsabilità". Sembrano parole di resa, ma l'interpretazione autentica dei bersaniani è che siamo davanti a "una sfida".

Bersani la gioca senza pensare al domani, ma muovendosi a tutto campo. Sta aprendo ai suoi interlocutori su tutto: le vicepresidenze delle Camere, le presidenze di commissione, i questori dei due rami del Parlamento. Mosse disperate secondo alcuni, anche dentro il Pd. Una prova di subalternità inconcepibile e pericolosa per le istituzioni. Eppure si può avere anche un diverso punto di vista. "Non credo stia pensando a se stesso, Pierluigi. Si sta facendo carico di nuovi equilibri. Cerca di tirare dentro le istituzioni anche chi ne è stato fuori fino a tre giorni fa - spiega Antonello Giacomelli, che pure viene dalla dolorosa rinuncia alla Camera del suo amico Franceschini - è cambiato il mondo, il segretario ne prende atto. Bersani sta lasciando qualcosa anche per il dopo, se non dovesse farcela". Un riconoscimento pieno.

Il leader del Pd si presenta davanti al capo dello Stato con il mandato della direzione (votato all'unanimità). Mandato che parla chiaro: dialogo con Grillo, apertura ai montiani, otto punti di programma urgenti e dettagliati, mai con Berlusconi. Dalla riunione del parlamentino democratico, sono però passati alcuni giorni e le risposte dei potenziali alleati sono tutt'altro che incoraggianti. Il segretario ha sparigliato sulle presidenze delle Camere, è riuscito ad aprire un cuneo nei 5stelle al Senato, ha dialogato fino all'ultimo con Scelta civica offrendogli la presidenza della Camera. Ma alla fine, arrivati al bivio cruciale delle consultazioni, la situazione di partenza non è mutata. Certo, anche al Senato, prima del voto su Pietro Grasso, si è navigato a vista. Poi, i grillini si sono spaccati e il Pdl è stato sconfitto. Ma la partita oggi è più complicata.

Il giorno di Bersani è arrivato. Se avrà il via libera del Colle, potrà giocarsi le sue carte nelle consultazioni da premier incaricato. Sul no al Pdl, il segretario è convinto di poter reggere evitando spaccature nel partito, anche se il segnale arrivato martedì nel voto per il capogruppo è stato ricevuto. Forte e chiaro. Una crepa nella strategia del leader. L'alternativa di Grasso per un governo istituzionale è ben presente a una larga fetta dei dirigenti Pd. Sta lì, a disposizione di Napolitano. Ci sono anche sirene per Enrico Letta, potrebbe essere a lui a guidare un secondo tentativo. Ma, raggiunto da queste voci, il vicesegretario ha fatto sapere di non aver avuto nessun abboccamento di questo tipo e che la proposta non è in campo. Non esiste, insomma.

I bersaniani sono sicuri che il partito non dirà mai di sì a un esecutivo con il centrodestra, anche di scopo. Se si arrivasse a questo snodo, andrebbe riunita di nuovo la direzione e la conta potrebbe rivelarsi sanguinosa. Detto questo, c'è chi lavora sull'ipotesi Grasso e non crede allo show down, cioè a elezioni immediate. Il voto che ha eletto Roberto Speranza capogruppo alla Camera dimostra che è finita la compattezza del Pd intorno all'impresa difficilissima del segretario.

Ma il film può cambiare. Al Senato, sabato scorso, è già cambiato, no? Ieri Bersani ha parlato a lungo con Nichi Vendola e Riccardo Nencini, dopo i loro colloqui al Quirinale. Ha avuto la conferma che nella Sala alla Vetrata non si ragiona su piani B. Ma quello che conta sono le consultazioni di oggi e il faccia a faccia con il presidente. Il punto è agganciare Grillo. Da premier incaricato Bersani si prepara a incontrare lui e Casaleggio, come farà oggi il presidente della Repubblica. Sarà quella la "sfida" decisiva.
 

(21 marzo 2013) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani vuole la sfida in Parlamento
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2013, 12:04:00 pm
Bersani vuole la sfida in Parlamento

Al premier incaricato mancano ancora numeri certi, ma a Napolitano chiederà di andare in Aula.

Presenterà un calendario di scadenze e riforme da realizzate entro 18 mesi.

E avverte Berlusconi: sul Quirinale non puoi imporre nomi. Monti decisivo

di GOFFREDO DE MARCHIS


Prepararsi al secondo round al Quirinale. Senza offrire la certezza dei numeri che Giorgio Napolitano ha chiesto espressamente. Mancano ancora due giorni di consultazioni, fra l'altro quelle decisive con i partiti, ma Bersani pensa già all'appuntamento di giovedì al Colle.

Ha messo in conto lo stallo e l'ipotesi di proporre al capo dello Stato "un avvio della legislatura" con il suo governo anche in mancanza di un paracadute sicuro. Il presidente dovrebbe quindi compiere un atto di fede. Credere, insieme con il segretario del Pd, nel miracolo.

Oggi e domani Bersani si giocherà le carte finali. Cominciando da Scelta civica perché se anche Mario Monti si sfila, non si può nemmeno tentare l'azzardo. Ieri il premier incaricato e quello uscente hanno parlato a lungo al telefono. Al Professore si chiede un appoggio pieno al governo del cambiamento, sulla base di una forte impronta europeista. Bersani ha sottolineato l'esito del dibattito di ieri alla Camera, la paradossale sintonia di Pdl e Movimento 5stelle in una critica all'Unione. Il tutto condito da attacchi feroci a Monti. "Noi ci stiamo, ma vogliamo un esecutivo che non nasca sulla base di uscite dall'aula o voti sparsi - ha risposto il premier - Dev'essere stabile e con una maggioranza riconoscibile". L'apertura c'è. L'appello alla responsabilità in un momento delicatissimo può fare il resto e regalare, dopo le consultazioni di oggi, il sì dei centristi. Ma anche così i voti non sono sufficienti e per questo Bersani lavora sul doppio binario delle riforme istituzionali con il centrodestra.

La prima di queste "riforme", la più sentita da Berlusconi, è la scelta del nuovo presidente della Repubblica. La vera garanzia risiede al Colle, dura sette anni e, come si è visto nel recente passato, è centrale per i destini di ogni governo, ogni maggioranza. La trattativa è avviata, ma non registra passi in avanti. La minaccia del Partito democratico però cresce d'intensità. "Possiamo tagliare fuori il Pdl dall'elezione del presidente. Gli conviene?". I numeri, in questo caso, sono certi. Il quorum per eleggere l'inquilino del Colle, a maggioranza semplice, è 505 voti. Il centrosinistra, con i delegati regionali, dispone di 480 preferenze. "Noi - ragionano a Largo del Nazareno - abbiamo tre risultati utili a disposizione. Berlusconi uno solo". Il Pd può eleggere il capo dello Stato con una maggioranza larga che comprenda il Pdl, ed è la strada offerta al centrodestra, come ha detto ieri Enrico Letta. Ma può farlo con Monti e basta. In casi estremi, riuscirebbe ad eleggerlo da solo, magari proponendo un nome gradito ai grillini (che sono 160) sul modello Pietro Grasso. "Questi conti - spiegano gli sherpa democratici - Berlusconi li ha fatti prima di noi". Detto questo, il Cavaliere avrebbe la possibilità di trovare l'intesa su un nome, non di avanzarne uno suo. Ma è proprio questo che sta chiedendo con insistenza al Pd attraverso i mediatori in campo. Di essere lui a indicare il presidente, di pescare dal mazzo la persona giusta, anche in una rosa di centrosinistra. Sarebbe il suggello di un vero accordo politico con i democratici. "Con 480 voti contro, la proposta è irricevibile", risponde un leader del Pd.

Le difficoltà di Bersani con i voti al Senato e l'ipoteca di Berlusconi sul Quirinale rendono oggi la strada del premier incaricato complicatissima. Per questo ieri appariva molto più vicino il ritorno alle urne. "Non accetto sotterfugi - ragionava il Cavaliere con i suoi collaboratori - Sono disponibile a un'intesa alla luce del sole, politica. Altrimenti, andiamo al voto e la facciamo finita". Il segretario del Pd si prepara al colloquio con il capo dello Stato puntando su impegni garantiti anche se non ci sono numeri certi. A partire dal profilo dei ministri, che rivelerà a Napolitano. Saranno uomini e donne scelti con la massima apertura e dal curriculum impeccabile. In grado di aprire un confronto dentro tutte le forze parlamentari, dai grillini alla Lega. "Ognuno troverà qualcosa di positivo nel nostro governo", ha detto qualche giorno fa Bersani e si riferiva alla squadra. Al presidente della Repubblica presenterà anche il calendario delle riforme istituzionali (riduzione dei parlamentari, Senato delle autonomie, legge elettorale) con le scadenze per ogni provvedimento presentato. Tra i 12 e i 18 mesi, il percorso dovrebbe essere completato. Sarebbe quello anche l'orizzonte temporale dell'esecutivo.

A Largo del Nazareno scommettono che su queste basi Napolitano possa convincersi e "mandare il governo alle Camere per cercare la fiducia sulla base del programma e delle competenze". Un governo del Presidente non potrebbe fare di più e di meglio, dicono gli uomini del segretario. "Sarebbe una via ancora più stretta della mia", ripete Bersani. Oggi e domani bisogna ancora giocarsi la carta delle alleanze possibili. Perché la risposta del Quirinale in caso di numeri certificati si conosce già. Quella davanti a un'avventura più rischiosa, no.

(26 marzo 2013) © Riproduzione riservata

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Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Democratici senza guida, partito-caos "Ora rischiamo...
Inserito da: Admin - Maggio 09, 2013, 03:35:44 pm
Democratici senza guida, partito-caos "Ora rischiamo la liquefazione"

E scoppia la guerra tra D'Alema e il segretario dimissionario e ne fanno le spese Cuperlo ed Epifani.

Civati: "Siamo vicini al disastro totale"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Regge solo l'asse Bersani-Letta, più amicizia che intesa politica. Intorno ci sono solo macerie, incertezza sul futuro e lotte violente nell'area degli ex Ds. Sono stati sacrificati sull'altare dell'odio tra Massimo D'Alema e il segretario uscente due candidati per la segreteria del Pd che avevano un po' di peso e di consenso: Gianni Cuperlo e Guglielmo Epifani. Il secondo in particolare era considerato un elemento di garanzia per il governo sia dal premier sia da Franceschini. Niente di fatto. Cuperlo troppo dalemiano, Epifani troppo bersaniano. Bruciati, archiviati. Marco Minniti ha lanciato l'allarme durante il caminetto: "Ci siamo già rotti l'osso del collo, ora ci rompiamo il resto". Pippo Civati vede arrivare "il disastro totale. Berlusconi condannato, Nitto Palma alla commissione giustizia, Formigoni rinviato a giudizio e appena eletto alla presidenza della commissione Agricoltura. Portiamo la croce e non abbiamo ancora capito perché stiamo al governo".

Il Pd sembra finito, liquefatto e non si capisce come nei due giorni che mancano all'assemblea nazionale possa essere rianimato. Da chi? Come? "C'è solo il congresso - insiste Civati - . Facciamolo subito, a giugno. Con le primarie, certo. Abbiamo un albo degli elettori, usiamolo. Usciamo dalle logiche correntizie. Se ci chiudiamo adesso non ci vota più nessuno".

Ma non è ancora arrivato il momento delle responsabilità. Si consumano vendette tremende dopo la partita del Quirinale e i 101 franchi tiratori. Bersani ha messo nel mirino D'Alema. E viceversa. L'ex premier è fuori da tutto. Lo descrivono furibondo. Al segretario uscente rimprovera la condotta per l'elezione del capo dello Stato. E ancora prima l'esclusione dalle liste elettorali. Il suo nome non sarebbe mai stato proposto a Berlusconi per il Colle. Malgrado una consultazione riservatissima tra i grandi elettori condotta dai capigruppo lo avesse inserito di fatto nella rosa. Bersani invece vede la mano di D'Alema nella vicenda che ha portato alle sue dimissioni. "Presto risolveremo il problema", dicono velenosamente i bersaniani. Senza contare che in questa guerra diessina si è infilato anche Walter Veltroni stoppando Cuperlo.

Renzi ha sentito l'odore delle vecchie battaglie oligarchiche e, saggiamente, si è chiamato fuori. "Andrebbe bene Roberto Speranza. Diamo il segnale di una svolta generazionale. Ma su Finocchiaro non metto veti". In realtà, chiede di tenere almeno un piede dentro al Pd 2.0. Ossia, un posto al sole per Luca Lotti come responsabile organizzativo o per Yoram Gutgeld al dipartimento economico o per Angelo Rughetti agli Enti locali. Ruoli centrali della macchina, in pratica dei vice segretari. Però nell'area renziana si assiste con un certo distacco alla dissoluzione del Partito democratico. Loro hanno una via d'uscita: giocarsi tutto fuori dal recinto Pd, con un'altra forza politica da costruire ex novo e la bandiera Renzi a catalizzare i voti. Come continua a ripetere Matteo Righetti, il fedelissimo che immagina la salvezza solo attraverso una nuova Cosa. Con una novità: da qualche giorno i sondaggi sulla popolarità dei leader segnano un arretramento del sindaco di Firenze e una crescita di Enrico Letta.

Il premier ieri voleva partecipare alla riunione dei big facendo sentire fisicamente il bisogno di un appoggio sostanziale e formale del suo partito. Ma ha capito che la riunione non sarebbe approdata a nulla e la tragedia di Genova era molto più importante. È volato dai feriti della Torre dei piloti. Non prima di aver sentito Bersani. "Pierluigi, così il Pd mi lascia solo". Il segretario dimissionario gli ha garantito il sostegno. "Qui sta crollando tutto ma io non torno indietro, non farò il traghettatore fino al congresso. Però ti assicuro che l'assemblea comincerà con una relazione sul governo. Non ti mancherà la fiducia del partito".

Beppe Fioroni racconta come il disastro può scaricarsi sul governo. Doveva fare il presidente di commissione, ma si è tirato indietro. "Mi hanno detto o ci sei tu o c'è la Ferranti. Ha cominciato a chiamarmi l'Anm. "Non sappiamo con chi parlare al Pd. Per favore, abbiamo bisogno della Ferranti alla Giustizia. Sa, con Nitto Palma al Senato...". E io ho risposto obbedisco ai magistrati, mica al Pd". Letta gli ha inviato un sms: "Contrariato?". Fioroni, con un altro messaggino: "No. Ma mi preparo a contrariare te". Non è solo una battuta. L'ex ppi organizza le truppe per sabato, chiede un congresso subito, prima dell'estate. Proprio ciò che il premier vuole evitare. Perché peggio di un Pd morente c'è solo un Pd che comincia subito a litigare sul leader.

Lo scontro c'è comunque. Il giovane turco Matteo Orfini rimprovera a Bersani l'assenza di regia: "Un comportamento scandaloso per un ex segretario. Ci sta lasciando senza rete". I giovani di #Occupypd si presenteranno davanti alla Fiera di Roma il giorno dell'assemblea. Con i loro striscioni, con la loro protesta: "Resettiamo la classe dirigente, spalanchiamo le porte. Parlate con i circoli, con i militanti". Il giovanissimo dalemiano di ferro Fausto Raciti ha proposto un incontro domani pomeriggio: "Discutiamone". Gli hanno replicato: "Noi veniamo a Roma con i nostri mezzi, non possiamo permetterci una notte in albergo". La sfida infatti non è più soltanto generazionale. È tra l'apparato e la base, oggi completamente scollati.

(09 maggio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/05/09/news/caos_pd-58387421/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Tutto in alto mare alla vigilia della assemblea.
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2013, 10:55:33 pm
Pd, tra i veti incrociati di corrente riprende quota il reggente esperto

Tutto in alto mare alla vigilia della assemblea.

Su Speranza il no di D'Alema e Veltroni.

In corsa Fassino, Chiti, Epifani.

Black list coi 101 anti-Prodi

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Parliamo di come sistemare il palco, della scaletta degli interventi, dell'organizzazione del voto". Ivan Scalfarotto fotografa l'impazzimento del Pd a 24 ore dall'assemblea nazionale chiamata ad eleggere il nuovo segretario e a costruire il proprio futuro nel governo con Silvio Berlusconi. È l'immagine di una forza politica allo sbando: confusa, ferita, disorientata, ma con Enrico Letta a Palazzo Chigi. Il comitato ristretto chiamato a trovare il nome di un nuovo leader unitario, di cui Scalfarotto fa parte, naviga al buio, si occupa di logistica con la piantina della Fiera di Roma, il luogo scelto per la riunione, e aspetta che si consumino gli scontri e le vendette delle correnti. Il giovane capogruppo Roberto Speranza appare la soluzione giusta per mandare un segnale di novità all'esterno, ai circoli in subbuglio, alla base di #Occupypd. Lo sostengono Bersani, Renzi e Franceschini. Ma sulla sua strada ci sono i veti di D'Alema e Veltroni, i dubbi di alcuni sulla scarsa esperienza. Per questo, alla fine di un'altra giornata buttata, riemerge l'usato sicuro incarnato da Piero Fassino. Segretario transitorio per eccellenza, impegnato com'è al Comune di Torino, tamponatore di falle e incassatore come pochi.

Ma a pochissime ore dal momento della verità, la soluzione è in alto mare. Sono di nuovo in pista Chiti, Finocchiaro, Epifani, il quarantenne lombardo Maurizio Martina. Un caos totale. L'assemblea, malgrado gli sforzi organizzativi del comitato, rischia di essere senza rete. Tutti contro tutti. Non è
escluso che possa venire fuori anche un concorrente alternativo alla soluzione unitaria. Anzi, al momento è più certo l'identikit dello sfidante che quello dello sfidato. Pippo Civati si scalda a bordo campo. Osserva le mosse degli altri, scuote la testa: "Non c'è più un filo, forse non c'è più il Pd", dice da giorni.

Civati è il grande accusatore dei 101 franchi tiratori che hanno impallinato Romano Prodi per il Quirinale e portato Bersani alle dimissioni uccidendo il partito di maggioranza relativa. "Peccato che non si possano fare quei nomi", dice. Ma gira la voce che presto potrebbe spuntare un Anonymous democratico. Un gruppo di misteriosi militanti sta lavorando sulla black list dei manovratori anti-Prodi. E sembra siano pronti a mettere l'elenco (molto presunto) dei 101 su Internet. Se dovesse succedere domani, sarebbe una bomba.

In mezzo a queste macerie, c'è il premier, il suo governo, la maggioranza. A Letta sarà dedicato uno spazio speciale all'interno dell'assemblea. Parlerà dal palco, verificherà la tenuta del suo lavoro, metterà alla prova il Pd. "Ecco, io mi preoccupo soprattutto di Enrico", ha spiegato Bersani che ieri ha riunito la sua corrente. Un esordio assoluto sulla scena del partito. L'ex segretario si era sempre mosso in solitaria o con il gruppo dei fedelissimi emiliani. Adesso questa adunata suona come una dichiarazione di guerra. Per domani e per il futuro.

Letta troverà applausi ma anche voci critiche, a cominciare da quella di Laura Puppato. Non sarà la sola. Fuori dalla sala i giovani dei circoli manifesteranno la loro insofferenza. Lo stesso giorno a Roma Sel chiama in piazza l'altra sinistra. Con Vendola e Rodotà. A questa parte del cielo continua a guardare Fabrizio Barca, iscritto Pd impegnato nel suo tour per l'Italia, tentato dall'idea di una nuova sinistra. Da fare "senza scissioni" dentro al Pd. Oppure fuori da quel recinto, in caso di resistenze insormontabili. È un altro problema, per fortuna non immediato. Il Partito democratico dovrebbe uscire dall'angolo in maniera brillante, con una soluzione fresca e innovativa. Allo stesso tempo, il governo ha bisogno di un riferimento solido, con le spalle larghe. In questo senso Fassino, Chiti o Finocchiaro sono i più adatti. Ma come reagirebbero i militanti, cosa si scatenerebbe sui social network? Sono le domande che si pone un partito molto malato, in balia dei tweet e dei post.

(10 maggio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/05/10/news/veti_pd-58460500/?ref=HREC1-3


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Torna l'asse tra Bersani e gli ex Ppi.
Inserito da: Admin - Giugno 12, 2013, 05:46:07 pm
Torna l'asse tra Bersani e gli ex Ppi.

"Abbiamo vinto noi, Matteo non esageri"

Zingaretti corteggiato dal fronte anti-sindaco, ha però già rifiutato.

A Letta fa comodo una sfida con più candidati in vista del congresso: "Ma io sono neutrale"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Frenare Renzi. O meglio, stoppare la sua corsa verso la segreteria del Partito democratico. Dopo le elezioni amministrative, una parte del Pd fa la prima mossa. E per farla deve rompere l'asse Bersani-Letta-Franceschini che oggi regge il Pd. La corrente dell'ex segretario marcia (per il momento) da sola presentando un documento anti-Renzi. Lo firmano solo i fedelissimi di Bersani: Maurizio Martina in rappresentanza del Nord, Stefano Fassina (Centro) e Alfredo D'Attorre (Sud). I lettiani stanno a guardare mantenendo una totale neutralità. Gli ex Ppi, i franceschiniani, non si schierano ma non si sottraggono ad alcune manovre che puntano a rallentare il sindaco. Enrico Letta osserva. Da lontano.

...

Amico di tutti, schierato con nessuno. E se il congresso del Partito democratico avrà candidature contrapposte, cioè se Renzi avrà uno o più sfidanti, tanto meglio. Non perché il premier voglia parteggiare per qualcuno, ma perché lui avrà così la possibilità di ritagliarsi, da Palazzo Chigi, il ruolo di baricentro del Pd. "Non mi faccio coinvolgere nel congresso", ripete a tutti il Letta.

In nessun modo il presidente del Consiglio ha favorito l'iniziativa del suo amico "Pierluigi". Ma l'ipotesi di un candidato alternativo a Renzi (oltre a Gianni Cuperlo, già in campo da tempo) gli permette nuovi margini di manovra. L'obiettivo vero resta quello di un patto con il sindaco. Ma anche questo traguardo è più facile di fronte a una sfida interna al Pd combattuta sul serio. Soprattutto dopo le elezioni amministrative. Che secondo lui hanno rafforzato l'esecutivo delle larghe intese e il suo presidente del Consiglio. In un modo o nell'altro, il futuro segretario del Pd dovrà fare i conti con Enrico Letta. E viceversa.

Anche i bersaniani sfruttano l'onda del voto per i sindaci. La scelta di tempo per la presentazione del documento non è casuale. "Abbiamo vinto noi la sfida dei sindaci. Adesso Matteo non può esagerare". Non lo è nemmeno il sorriso di Bersani, il suo ritorno alla battaglia politica contro "il personalismo, contro i partiti proprietari". In parole povere, contro Renzi. E contro il nuovo alleato di Renzi: Massimo D'Alema, nemico giurato dell'ex leader del Pd. I bersaniani non possono rimanere a guardare, non vogliono rimanere stretti nella morsa del dalemiano Cuperlo e dell'avversario delle primarie Renzi. Perciò il documento non basta. Serve un candidato. Che sarebbe stato individuato in Nicola Zingaretti. Corteggiato a lungo in queste settimane, il governatore del Lazio ha detto no. Per ora.

A Zingaretti guardano in molti. Un gruppo di deputati giovani e trasversali, da Massimiliano Manfredi a Dario Ginefra, hanno apprezzato le parole del governatore contro le correnti, per un Pd che si ricostruisce sui parlamentati eletti con le primarie. I Giovani Turchi vogliono giocare fuori dai rigidi schemi delle componenti. "Siamo liberi di pensare con la nostra testa", dice Matteo Orfini. La militarizzazione dei bersaniani apre ai "turchi" nuovi orizzonti. Ma la corsa del presidente del Lazio è una chimera. E allora si ritorna al punto di partenza: c'è Renzi in pista, praticamente senza avversari. Ma i pericoli possono anche non essere in carne e ossa. Possono nascondersi nelle regole del congresso, come ha denunciato il sindaco. Ieri i renziani sembravano impazziti a Montecitorio. Vedono grandi manovre sui meccanismi di elezione del segretario. Sospettano che dietro ci sia Dario Franceschini perché una regola di cui si vocifera è mutuata dalla Margherita: pesare in maniera diversa il voto degli iscritti e il voto dei cittadini e degli amministratori locali. Insomma, non "una testa un voto", non primarie aperte.

La prima riunione della commissione per le regole è lunedì. Con una grana che rischia di spaccarla prima ancora di cominciare. Il vertice ha deciso di chiamare a presiederla Davide Zoggia, ex braccio destro di Bersani. Una soluzione che piace anche ai franceschiniani. Ma si ribellano in molti: renziani e giovani turchi, minacciando clamorose dimissioni. La richiesta è semplice: eleggere il presidente.

(12 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/12/news/documento_bersaniani-60911688/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Franceschini a la Repubblica: Matteo è la nostra carta ...
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2013, 05:27:21 pm
Franceschini a la Repubblica: Matteo è la nostra carta vincente ma partito e premier vanno distinti; bisogna fare due primarie separate

28 Luglio 2013

Ho proposto due primarie aperte.

Gli aderenti al Pd votano per la segreteria.

Tutti gli elettori italiani possono votare per scegliere il candidato premier del centrosinistra

la Repubblica

di GOFFREDO DE MARCHIS

Dario Franceschini interviene alla direzione del Pd e scoppia la rivolta tra i militanti sui social network. «Se la mia proposta fosse stata "eleggiamo il segretario di notte, soltanto tra gli iscritti nel chiuso delle sezioni", la contestazione avrebbe tutte le ragioni del mondo. Ma chi mi ha ascoltato sa che ho detto cose diverse. E a chi ha frettolosamente riferito all'esterno, dico che nei 140 caratteri di un tweet è difficile concentrare un ragionamento così articolato». Il ministro dei Rapporti col Parlamento chiarisce perciò il suo "lodo" per il congresso democratico: «Due primarie aperte. Gli aderenti al Pd votano per la segreteria. Tutti gli elettori italiani votano, o meglio possono votare, per scegliere il candidato premier del centrosinistra».

Allora, ministro, lei propone primarie riservate agli iscritti per scalare la segreteria del Pd. Questo è l'atto di accusa di molti dirigenti e del popolo democratico.

«Ed è un modo di ragionare che trasforma tutto in rissa o in folli accuse di tradimento. Sgombriamo subito il campo dalle interpretazioni delle mie parole, fatte più o meno in buonafede. Io penso a due meccanismi di primarie aperte. Aperte a tutti gli elettori - senza albi, senza vincoli, senza trucchi - per il candidato premier con l'approvazione di una norma statutaria che stabilisca che le primarie si tengono obbligatoriamente anche in caso di elezioni anticipate. Le primarie per eleggere il segretario del Pd invece si fanno tra gli aderenti al partito».

Torniamo a bomba: vale a dire tra gli iscritti.

«Figuriamoci, è impossibile pensare alla platea degli attuali tesserati. In gran parte del Paese non ci sono neanche più. Penso piuttosto a un sistema totalmente aperto per cui un cittadino si presenta ai gazebo, ai circoli e anche un minuto prima di votare, aderisce al partito. Un modo per aprire il Pd a nuove energie, non per rinchiudersi».

Traduzione terra terra: Matteo Renzi prepari la corsa per Palazzo Chigi e lasci stare il Pd.

«La mia traduzione è diversa. Eleggere un segretario e un candidato premier con la stessa fonte di legittimazione può essere causa di inevitabili contrapposizioni. Penso che Matteo sia una carta vincente per le elezioni. Anche per questo propongo di blindare nello statuto primarie aperte per il premier. Ma, fatte le regole, sarà lui a scegliere. Se vuole fare il lavoro di segretario del Pd o se viceversa punta a guidare il Pd e la coalizione al voto delle politiche. Oggettivamente, mi sembrano due mestieri diversi. Dire questo, significa anche proporre un ragionamento sul Pd».

Quale ragionamento?

«Ho letto tante stupidaggini sulla distinzione tra innovatori e conservatori. Alla direzione ho posto, consapevolmente in maniera un po' brutale, la questione cruciale del congresso sulla natura del Pd. I partiti del futuro devono essere luoghi di formazione, di studio, di militanza, di elaborazione di idee o devono rassegnarsi a diventare soltanto dei comitati elettorali a sostegno di volta in volta del candidato sindaco o presidente di regione o premier?».

Lei partecipò da candidato alle primarie aperte del 2009 per la segreteria. Perché ha cambiato idea?

«Nel 2007, quando il Pd è nato, il sistema puntava a diventare in fretta bipartitico, quindi era naturale far coincidere la figura del segretario e del candidato premier. Alle primarie alle quali partecipai, tutti quelli che andarono a votare sapevano che, nei fatti, stavano scegliendo il segretario che avrebbe corso alle elezioni successive ».

E adesso?

«Adesso non sono io che ho cambiato idea. È cambiato il sistema politico. Siamo in uno schema tripolare in cui nessuna forza raggiunge il 30 per cento. Io spero che si torni presto a una normalità europea ma quando sei intorno al 25 per cento dei voti puoi scrivere quello che vuoi nello statuto, anche che il tuo segretario diventa automaticamente re. Serve a poco. Per andare al governo, in questa situazione, servirà un'alleanza. Non è escluso ma non è nemmeno automatico che il leader del Pd sia il candidato di tutta la coalizione. Anzi, per il lavoro di cucitura che dovrà svolgere, potrebbe partire svantaggiato nella gara per Palazzo Chigi».

Per essere chiari: il tema vero di questa battaglia delle regole è come difendere Letta e il governo delle larghe intese?

«È abbastanza insopportabile immaginare che ogni proposta sul congresso sia legata all'esigenza di far sopravvivere il governo. Come se questo fosse un problema di chi ne fa parte e non di tutto il Pd. Il mio ragionamento non c'entra nulla con il governo».

Nelle settimane scorse, lei ha evocato il rischio-scissione. Ha ancora questa paura?

«Condivido ciò che ha detto Cuperlo in direzione: le regole congressuali non vanno modificate a maggioranza ma con un' intesa generale. Mi auguro che anche altri abbiano lo stesso approccio al problema. Partendo da un principio basilare: prima il Paese, poi il partito, poi i destini personali. Se siamo d'accordo su questo, diventa tutto più facile».

È possibile la convivenza tra Letta e Renzi?

«Non credo sia impossibile. Ma temo un qualche disagio nell'elettorato di sinistra, che è la parte prevalente del nostro mondo. Con Letta premier e Renzi segretario potrebbe non sentirsi rappresentato».


da - http://areadem.info/adon.pl?act=doc&doc=17389


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. L'ira del premier su Matteo "Ormai è inaffidabile"
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2013, 11:23:28 am

L'ira del premier su Matteo "Ormai è inaffidabile"

Enrico Letta pensa ad una sua possibile candidatura al vertice del Pd.

Ma al Colle ha promesso: io non corro. E la sua corrente, allora aspetta il via libera per presentare un suo candidato anti-Renzi

di GOFFREDO DE MARCHIS



PRESSATO dai fedelissimi, Enrico Letta ha spiegato perché non vuole candidarsi alla segreteria del Pd, pur avendo accarezzato l’idea.
È una promessa solenne che ha fatto a Giorgio Napolitano. La promessa è non immischiarsi nelle vicende del partito mentre guida la faticosa maggioranza delle larghe intese. Non si rimangerà la parola "come fece Monti" quando si candidò con una sua lista alle elezioni politiche.
Assieme ai dirigenti della sua area, aveva esaminato l'ipotesi di un candidato di riferimento, ma per mantenere una vera equidistanza si era opposto anche a questa soluzione. Adesso però, sulla seconda ipotesi almeno, i lettiani tornano alla carica con il premier aspettando un suo via libera. "L'atteggiamento di Renzi è insostenibile. Non ci possiamo fidare di lui, ormai è chiaro. Dal momento in cui sarà segretario non darà tregua al governo. L'accusa di ieri è gravissima e merita una risposta forte".

Ormai nel Pd si gioca una partita con due soli sfidanti. Sono saltati ambasciatori e mediatori. Guglielmo Epifani, dopo l'accordo clamorosamente saltato ieri all'assemblea nazionale, ha perso il ruolo di cuscinetto esercitato finora. Fuori i secondi, sono rimasti sul ring solo Letta e Renzi. Faccia a faccia, in una riedizione delle sfide democristiane della Prima repubblica. Con la cattiveria 2.0, imposta dalla mutazione genetica della comunicazione, dai tempi che viviamo: meno sottile e più diretta. D'Alema, Bersani, Cuperlo, Civati sono solo i comprimari dello scontro epocale che si annuncia senza tregua. Dario Franceschini ha provato a fare da pontiere schierandosi per il sindaco (e incassando con dolore l'accusa di tradimento), ma ieri ha capito che la strada della convivenza è piena di trappole. "Ho sempre detto: ci vuole un accordo tra i due. Ma adesso comincio a pensare che sia impossibile", ripeteva il ministro dei Rapporti con il Parlamento dietro le quinte dell'assemblea nazionale nelle fasi concitate del pasticcio.

Per Renzi non è un pasticcio. "È un'operazione orchestrata da Letta. Da lui in prima persona e portata avanti da Bersani in assemblea - raccontava una deputata vicinissima al sindaco - . Enrico sta giocando sporco". Il Rottamatore è sicuro che il premier punti ancora a un rinvio delle primarie. Con un doppio obiettivo: chiudere la finestra elettorale della prossima primavera a Renzi, prima di tutto. Ma non solo. "Letta vuole vedere come finisce con Berlusconi. Se il Cavaliere stacca la spina a breve, allora si candiderà alla segreteria del Pd". In quel caso la promessa a Napolitano sarebbe sciolta e i lettiani non hanno dubbi: il loro capo dovrebbe sfidare il sindaco e correre per la leadership.

Intorno al match Letta-Renzi, il Pd rischia più della scissione. Rischia la sopravvivenza, le macerie. Bersani fa capire che la data dell'8 dicembre non è poi così sicura. L'obiettivo dell'ex segretario e dei bersaniani è riportare Letta a Palazzo Chigi con le elezioni. "Vediamo di limitare i danni - dice Alfredo D'Attorre, vicinissimo a Bersani - . Si può trovare un'intesa e svolgere il congresso l'8. Ma Renzi la smetta di sparare sul pianista, di giocare allo scaricabarile. Noi abbiamo rispettato i patti. Basta. È incredibile che quello che viene considerato il segretario in pectore non si preoccupi di tenere unito il Pd". La richiesta che arriva dagli anti-Renzi è un impegno concreto per la corsa alla premiership. "Il sindaco dovrebbe compiere un atto politico: garantire che non farà valere la regola del segretario-candidato a Palazzo Chigi. Come è successo con lui", spiega D'Attorre. Impegnarsi cioè a trasferire la sfida a distanza di oggi, in una partita a viso aperto contro Letta nei gazebo. Quando giungerà l'ora delle elezioni. 


(22 settembre 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/22/news/l_ira_del_premier_su_matteo_ormai_inaffidabile-67005464/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi: riforme e rimpasto dopo il milleproroghe
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2013, 11:53:35 pm
Renzi: riforme e rimpasto dopo il milleproroghe

Sul patto di governo partita decisiva a gennaio. Il segretario del Pd all'attacco: "Inonderemo Palazzo Chigi di proposte"
di GOFFREDO DE MARCHIS
   
ROMA - Il segretario del Pd Matteo Renzi incalza Enrico Letta su un rimpasto di governo, una nuova squadra di ministri che dia il segno del cambiamento. In un messaggio all'esecutivo e alle Camere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiede "massimo rigore" sui decreti. Per il premier nel 2014 "serve il riordino del processo legislativo ". Forza Italia e M5S premono per l'impeachment del Colle. Per il lavoro sono stati sbloccati 6 miliardi di fondi Ue.

Letta accusa il colpo d'immagine per l'esecutivo, vara il "mille proroghe" e corre ai ripari annunciando lo sblocco di 6 miliardi di fondi europei: "Dobbiamo cambiare passo, ci saranno altri blitz per dare fiato all'economia". Da Palazzo Vecchio, Matteo Renzi osserva l'ingorgo istituzionale tenendosi a distanza. Prepara il pressing di gennaio per segnare una svolta. "Siamo caricatissimi  -  dice ai suoi interlocutori  - , inonderemo Palazzo Chigi con le nostre proposte per il patto di coalizione". Ma per aumentare la pressione su Letta, il segretario del Pd lavora anche su una richiesta molto più onerosa: il rimpasto, una squadra di ministri rinnovata che dia l'impronta di un cambiamento. "Il governo è debole  -  spiega uno degli uomini più vicini al sindaco  -  e le idee nuove camminano sulle gambe delle persone".

LA LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Nella mattinata, Laura Boldrini legge in aula il testo di un messaggio del capo dello Stato inviato ai presidenti di Camera e Senato e per conoscenza a Letta. "Dovete verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione", scrive il capo dello Stato. È una sferzata che coinvolge soprattutto Palazzo Madama. È lì che il decreto salva Roma, poi bocciato dal Colle, è stato riempito di quelle che i 5stelle chiamano marchette e chi li ha presentati "emendamenti microsettoriali", comunque estranei alla materia del provvedimento. Con la sua lettera, Napolitano apre anche un varco per le riforme. Suggerisce un intervento sui regolamenti parlamentari. Ma non è questo il punto. In realtà, accelera sulle modifiche alla Costituzione, a partire dalla richiesta di Renzi per la fine del bicameralismo, ossia l'abolizione del Senato. E naturalmente per una revisione della legge elettorale.

LETTA: CI SERVA DA SCOSSA
In consiglio dei ministri, il premier avverte i colleghi: "Gli interventi in Parlamento devono servire a togliere, non a mettere ". Gli aiuti a Roma e la norma contro gli affitti d'oro finiscono nel decreto "mille proproghe". I finanziamenti a pioggia, invece, nel cestino della carta straccia. "Ma questa lezione  -  ammette Letta  -  deve servirci da scossa. È uno stimolo in più per fare le riforme nel 2014". L'iter delle leggi non funziona, non si può continuare a "giocare" con un tira e molla delle due Camere. Il ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello proporrà, nell'accordo di coalizione per il 2014, una norma "che impedisca il proliferare della spesa attraverso mille rivoli ed emendamenti".

IL RIMPASTO DI RENZI
Il segretario del Pd è pronto a far salire l'intensità del suo pressing su Letta e Napolitano, anche se è stato proprio il presidente della Repubblica a creare una situazione favorevole per gli interventi decisivi di gennaio. "I tre milioni di persone che hanno votato alle primarie mi hanno dato un mandato in nome del cambiamento e dell'efficienza della politica. Il pasticcio del salva Roma va in un'altra direzione", spiega il sindaco. Per questo, il patto di governo, che sarà siglato entro il 15, deve portare soprattutto la sua firma. Riforma elettorale, abolizione del Senato, job act, cultura. Ma non basta. "Il tema del rimpasto esiste eccome, solo che non voglio essere io a porlo ", dice Renzi. Oggi però ha una sponda: Mario Monti. Infatti, il sindaco appoggia la richiesta di Scelta civica di un riequilibrio dei ministri. "Ci sono due rappresentanti centristi nell'esecutivo, Mauro e D'Alia. Dopo la loro scissione, entrambi stanno con Casini. Non va bene", è il ragionamento dei renziani. Il partito del Professore può essere lo strumento per mettere Letta al corde.

LAVORO E GIUSTIZIA NEL MIRINO
Nel mirino del segretario, ci sono il Lavoro, guidato da Enrico Giovannini, e la Giustizia retta da Annamaria Cancellieri, molto stimata da Napolitano. Il rimpasto perciò è una materia delicata. Renzi rischia di entrare di nuovo in rotta di collisione con il Colle. Non vuole farlo, perché c'è un disgelo tra i due. Semmai, il Quirinale si aspetta una maggiore presenza del segretario sulla scena. Per sbloccare soprattutto il capitolo riforme. Poi, c'è la frenata di Letta. Il premier sa che i rimpasti indeboliscono i governi, non li rafforzano. A meno che non siano il frutto di un accordo generale, condiviso. Accordo che al momento non si vede all'orizzonte. Renzi ha fatto sapere a Palazzo Chigi che lui punta tutto sul patto di governo e sui documenti preparati dalla segreteria. "Ma è vero che il partito di Alfano è sovradimensionato con 5 ministri e il Pd è fuori da dicasteri di peso: Giustizia, Esteri, Interno, Difesa", dice una fonte vicinissima al sindaco. La partita per un vero patto Letta-Renzi è solo all'inizio. Manca la fiducia reciproca. Anche se il premier, dopo il 2014, giura che non si metterà di traverso. "Ho già il biglietto prepagato per l'Australia con data aprile 2015", scherza sempre con i suoi collaboratori.

LA TENSIONE BOLDRINI-GRASSO
Sullo sfondo si affaccia il primo vero momento di frizione tra i presidenti delle due Camere. Laura Boldrini considera la bacchettata di Napolitano rivolta esclusivamente a Grasso. E i suoi uffici ricordano che la presidente già a giugno aveva avvertito il collega di Palazzo Madama prendendo spunto da una lettera del presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia. "Al Senato vengono spesso introdotte numerose e sostanziali modifiche che non sono coerenti con i criteri di ammissibilità adottati dalla Camera", era la segnalazione di Boccia. Boldrini ne parlò con Grasso, lo invitò "a porre fine alla vistosa diversità di disciplina". Convocò una riunione dei capigruppo e dei presidenti di commissione per mettere a verbale di averne parlato con il presidente del Senato. Ma non è servito. Sei mesi dopo è scoppiato il caso del decreto salva Roma.

© Riproduzione riservata 28 dicembre 2013

Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/28/news/renzi_riforme_e_rimpasto_dopo_il_milleproroghe-74635319/?ref=HREC1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi: "Ho dovuto forzare, non ho più alibi".
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2014, 08:04:41 am
Renzi: "Ho dovuto forzare, non ho più alibi".
Tensione su Giustizia e Esteri

Vertice di quasi tre ore al Colle.
Il premier ha difeso la sua intenzione di mettere Gratteri al dicastero di via Arenula, ma ha dovuto cedere. Segnale di discontinuità con il cambio alla Farnesina

di GOFFREDO DE MARCHIS
   
Renzi: "Ho dovuto forzare, non ho più alibi". Tensione su Giustizia e EsteriRenzi al Quirinale, in mano ha l'appunto con la lista dei ministri (reuters)

Due ore e quarantacinque minuti di tensione al Quirinale. L'incontro tra Matteo Renzi e Giorgio Napolitano comincia in salita. Il ritardo con il quale il premier incaricato raggiunge lo studio del presidente della Repubblica viene sottolineato, anche perché era stato l'ex sindaco ad annunciare l'orario. Ma per l'attenzione ai dettagli del capo dello Stato, è ancora più grave la lista dei ministri che gli viene consegnata. Non è la stessa giunta al Colle poche ore prima, presenta delle caselle vuote e alcuni ballottaggi, proprio come nei totoministri che si sono letti sui giornali.

Una falsa partenza, che è solo il preludio a una dura trattativa sui nomi. Ma è evidente che il lunghissimo colloquio di ieri rappresenta un cambiamento di fase nei rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Dopo l'epoca dei governi tecnici o semi-tecnici inevitabilmente legati a doppio filo al Colle, Renzi "fa il Renzi" anche in quest'occasione, rottamando le prassi degli ultimi anni. "Volevo un governo ancora più politico, ma non funzionava. Allora ho forzato, ho puntato tutto sul fatto che si passasse dal Letta-Alfano al governo Renzi - racconta ai fedelissimi il premier - Perché sia chiaro: questo governo risponde solo a me. Se sbagliamo è colpa mia, solo mia. Se c'è una responsabilità è mia, punto. Non ci sono più alibi".

Dopo i preliminari, inizia la partita sui ministeri. Un ping pong e si può quasi immaginare un pallottoliere che registra i punti nella sfida delle conferme, degli spostamenti, dei nomi cassati. Napolitano individua i punti critici: Giustizia, Esteri e Sviluppo economico. Il nodo dell'Economia invece appare risolto in anticipo: non c'è il politico sognato da Renzi, ma un tecnico come voleva il capo dello Stato. "Ma Padoan non è Saccomanni. Poletti è uno straordinario uomo di sinistra, uno che quando ci saranno le crisi aziendali andrà in mezzo alla gente anziché stare seduto burocraticamente al tavolo del negoziato", dice Renzi quando torna al Nazareno.

Al ministero di Via Arenula, Renzi punta tutto sul procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, simbolo della lotta alla criminalità. Nella sua lista il nome del magistrato è scritto a caratteri cubitali. Il premier difende la scelta. "Per me è il candidato migliore, non voglio cedere. È il segnale più importante della discontinuità che intendo dare al mio esecutivo". Qui il braccio di ferro va in scena platealmente. "La regola non scritta per la Giustizia è mai un magistrato in quel dicastero. Mai", replica Napolitano.
Renzi insiste, affronta il presidente, che però lo stoppa: "Questa regola è insormontabile". Un punto a favore del Quirinale.

Scatta l'effetto domino che attraversa l'intera squadra. Andrea Orlando si sposta dall'Ambiente a Via Arenula. Va bene a Renzi perché "Andrea è un dirigente della sinistra e faceva il responsabile giustizia con Bersani". Va benissimo al presidente che lo conosce da tempo. Per gli aggiustamenti in corso d'opera, il premier è costretto a lasciare lo studio di Napolitano. Si rifugia nel "salottino napoleonico" a telefonare, giustificando la trombatura dei papabili, discutendo con i partiti i cambiamenti dell'ultimo minuto. Così se ne va un'ora. Ma sugli Esteri il punto lo segna il segretario del Pd.

Napolitano non ha veti personali sul nome di Federica Mogherini ma difende la continuità della politica diplomatica in un "momento internazionale difficile". Vuole la conferma di Emma Bonino. Renzi s'impunta e sa che può forzare. "Da oggi in Italia non vale più che una donna di 40 anni non possa andare alla Farnesina - spiega - non vale più che una donna non sia adatta al ministero della Difesa. È una risposta alle politiche di questi anni che non mi sembrano piene di successi". Mogherini viene descritta da Renzi come "una tosta, anche spigolosa". Gli piace. "Eppoi l'obiettivo era dare alle donne un ruolo non ornamentale". Vale anche per Federica Guidi, sulla quale Napolitano ha dei dubbi per il vecchio ruolo in Confindustria. "Però il pacchetto economico va visto nel suo complesso - risponde Renzi - Dovevo riequilibrare politicamente Padoan e Poletti. E la Guidi sa parlare sia con le imprese sia coi lavoratori".

Gli ultimi due sono quindi punti segnati da Renzi, che il capo dello Stato lascia passare perché la Mogherini la conosce da anni e perché lo Sviluppo economico non è certo il ministero della Giustizia. Renzi twitta dal salottino "Arrivo, arrivo", rivolto ai giornalisti e al pubblico collegato ai siti e alle tv. È soddisfatto, si vede: "C'è un elemento simbolico in questo passaggio. Oggi il figlio di un insegnante di ginnastica che un giorno si è messo in testa di fare l'imprenditore può diventare presidente del Consiglio e fa un governo di questo tipo. Capite cosa significa? Significa che le barriere saltano". A chi gli dice che il "governo di questo tipo" somiglia a un Letta bis risponde: "So che non è il governo Leopolda, con le facce nuove e il linguaggio di quella manifestazione. L'avrei fatto se avessi vinto le elezioni. Non è andata così". Ma sono parole che non sconfessano la squadra chiamata stamattina al giuramento solenne al Quirinale, anzi. "Non c'è un renziano nella lista, ad eccezione di Delrio e della Boschi. Ed è il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni, con una nuova generazione che si prende una straordinaria responsabilità".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/22/news/tensioni_su_giustizia_esteri-79315943/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Finocchiaro: "Sono disgustata dallo scaricabarile"
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2014, 10:35:15 pm
Immunità Senato, Finocchiaro: "Sono disgustata dallo scaricabarile"
Parla il presidente della Commissione Affari Costituzionali: "L'esecutivo ha vistato due volte i nostri testi, sapeva tutto, e ora mi fanno passare per quella che protegge i corrotti e i delinquenti. Non c'è più gratitudine in politica".

Di GOFFREDO DE MARCHIS
23 giugno 2014

ROMA - "Cosa vogliono da me? Vogliono dire che la Finocchiaro protegge i corrotti e i delinquenti? Ma stiamo scherzando. È questo il loro giochino? Sono disgustata. Allora racconto com'è andata davvero la storia dell'immunità". Anna Finocchiaro ha la voce affilata di una persona furibonda, che vorrebbe spaccare tutto. Al telefono si sente che accende una sigaretta prima di cominciare la ricostruzione. La presidente della commissione Affari costituzionali del Senato è in Sicilia dov'è tornata dopo il lavoro sugli emendamenti che hanno in parte riscritto la riforma di Palazzo Madama. "Di tutto quello che abbiamo fatto è rimasta soltanto la storia dell'immunità. Questo mi dispiace". Ha capito che è in corso uno scaricabarile da parte del governo sui relatori e sulle loro proposte di modifica: Renzi e Boschi, nel disegno di legge originale, avevano tolto lo scudo, i relatori lo hanno rimesso. "La gratitudine non è di questo mondo e so che in politica è ancora più vero. Ma non riesco ad abituarmi a questo andazzo barbaro".

L'immunità per i senatori porta la firma sua e di Calderoli, è un dato di fatto.
"Mettiamo subito in chiaro. La riforma dell'immunità dopo Tangentopoli, nel '93, porta la mia firma. L'ho scritta di mio pugno, dall'inizio alla fine. C'è la mia firma anche nella battaglia contro i reati ministeriali che la destra voleva allargare. Questa sono io".

Adesso però gli emendamenti del Senato che reintroducono l'immunità portano il suo nome. Nel testo del governo quella norma non c'era.
"Noi il Senato lo abbiamo ridisegnato. Il Senato del governo era completamente diverso. Non aveva le stesse funzioni, le stesse competenze...".

Sta dicendo che il ddl Boschi era un guscio vuoto quindi era normale che non ci fosse lo scudo?
"Lasciamo perdere. Questo lo dice lei".

Perché i nuovi senatori devono avere delle garanzie?
"Se attribuisci a una Camera alcune funzioni sulle politiche pubbliche, così com'è nella riforma emendata, non ci può essere disparità con l'altro ramo del Parlamento. E non lo dico io, lo dicono tutti i costituzionalisti. Stamattina in televisione per esempio l'ho sentito affermare con precisione dal professor Ainis. Ciò detto, i relatori non scrivono gli emendamenti di testa loro. Raccolgono le indicazioni che emergono durante il dibattito e hanno il dovere di valutarle quando scrivono le loro proposte. Ma se mi chiede come la penso io, allora rispondo: la Finocchiaro pensa che l'immunità non va bene così neanche per i deputati. Si figuri".

Aveva elaborato un emendamento diverso?
"Avevo proposto che a decidere sulle autorizzazioni all'arresto e alle intercettazioni dovesse essere una sezione della Corte costituzionale e non il Parlamento. Valeva sia per il Senato sia per la Camera. È una proposta di legge che ho presentato in questa legislatura e anche nella precedente. È chiara la mia posizione? Stavolta l'avevo scritta in un emendamento".

Poi che è successo?
"È sparito dal testo perché il governo ritiene che non si debba appesantire il lavoro della Corte costituzionale".

Quindi il governo sapeva. Difficile che torni indietro.
"Non lo so. Ma so che l'esecutivo ha vistato due volte i nostri emendamenti, compreso quello sull'immunità. Conosceva il testo, sapeva tutto. Ha fatto una scelta".

Così si crea una disparità tra consiglieri regionali e sindaci. Ci saranno quelli con lo scudo e quelli senza.
"I senatori avranno funzioni di controllo che vanno difese dalla limitazione della libertà. I costituzionalisti sono d'accordo su questo punto. Come lo sono i partiti, da Forza Italia al Pd, alla Lega, all'Ncd e anche M5S. E noi abbiamo raccolto i loro pareri. Io però penso che l'articolo 68 non deve coprire gli atti svolti da sindaco o da consigliere regionale. Per quei fatti l'autorizzazione a procedere non dovrebbe essere necessaria. Fermo restando che la mia proposta è un'altra: rimettere il tema dell'immunità alla Consulta. Ma il governo mi ha risposto di no, motivandolo con la necessità di non pesare troppo sui giudici costituzionali. Ho preso atto. Perciò mi chiedo: cosa vogliono da me?".

Che farà adesso?
"Sto pensando di proporre addirittura un emendamento al mio emendamento per far passare l'idea del rinvio alla Corte. Sono favorevole anche a uno scudo valido solo per le espressioni e i voti dati in aula. Risponderò così a questo fastidioso scaricabarile su di me. Però è incredibile che tutto si riduca all'immunità".

Perché?
"Abbiamo fatto un lavoro pazzesco tutti insieme. Ne è venuto fuori un Senato vero ma innovativo. Non può rimanere solo la vicenda dell'immunità".

© Riproduzione riservata 23 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/23/news/immunita_senato_finocchiaro_disgustata-89755078/?ref=nrct-2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La sfida di Matteo: non contano i tempi, ma se non...
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2014, 11:45:45 am
La sfida di Matteo: non contano i tempi, ma se non passano le riforme si torna a votare
"Si va avanti, io non vado in ferie e ogni giorno di ostruzionismo è un punto in più nei sondaggi".
Il premier prima apre al rinvio su Galan poi, dopo le minacce di Brunetta, ci ripensa: "Niente ricatti"


Di GOFFREDO DE MARCHIS
23 luglio 2014
   
ROMA - Nessuna mediazione è possibile. Anche perché "a ogni giorno di ostruzionismo corrisponde, per me, un punto guadagnato nei sondaggi", spiega Matteo Renzi ai suoi fedelissimi. Per il momento va bene così. "Siamo alla prova di forza finale. Vogliono andare fino al 15 agosto? Ok, tanto io non vado in ferie". Il punto semmai è un altro: "Questo Parlamento è a un bivio: o dimostra di essere capace di cambiare facendo le riforme o si condanna da solo e si torna a votare". La trattativa non è un'ipotesi sul campo. Il premier la snobba senza mezzi termini: "Figuriamoci". Ieri ha sbattuto la porta in faccia persino all'alleato principale, Forza Italia.

La nuova giornata di totale impazzimento, conclusa con zero voti sulla legge costituzionale, Renzi la racconta ai suoi collaboratori offrendo una versione che disegna un triangolo tra Camera, Senato e Palazzo Chigi. È il voto sull'arresto di Giancarlo Galan a rallentare i lavori di Palazzo Madama. Di prima mattina il sottosegretario Luca Lotti, braccio destro del premier, riceve la telefonata di un dirigente di Forza Italia. La richiesta è molto semplice: rinviamo il voto sul carcere per l'ex governatore veneto di una settimana. Galan è in ospedale, diamogli la possibilità di difendersi in aula. Lotti riferisce a Renzi, il quale non si formalizza: "Si può fare". Ma alla conferenza dei capigruppo Renato Brunetta, che rema contro il patto del Nazareno, la mette giù dura: "O votiamo il rinvio o saltano le riforme". Il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza informa Palazzo Chigi dell'ultimatum. "Se la mettono così, niente rinvio. Non accetto ricatti da nessuno, nemmeno da loro", risponde Renzi. E la trattativa, come dire, "umanitaria" fallisce. Infatti alla Camera l'arresto viene votato, Galan si trasferisce al carcere di Opera e al Senato Forza Italia si vendica votando contro le tappe forzate del nuovo calendario dei lavori. Calendario che passa con appena 5 voti di scarto. "Sapete che c'è - dice Renzi nei suoi colloqui -, gli abbiamo dato una lezione. Posso dimostrare che le riforme si fanno anche senza Berlusconi e senza la Lega".

Renzi è dunque nella versione "guerra contro tutti". Ad eccezione degli elettori: effettivamente i sondaggi continuano a dare il Pd in crescita. Quella del premier è una sfida a tutto campo: sui tempi, sulle mediazioni negate, sul dialogo con i partiti. Alla domanda di qualche suo collaboratore "perché non vai in Senato" la risposta è secca: "Io sto lavorando". Ma a Palazzo Chigi sono consapevoli che le trappole sono ovunque. La questione del calendario non è affatto secondaria. Chi conosce bene i meccanismi parlamentari esclude che i senatori saranno al loro posto nella settimana di Ferragosto. "Non succederà mai", dicono i tecnici. Ed è una previsione che si ritorce tutta contro la maggioranza delle riforme perché è Renzi a dover portare a casa il risultato. Agli altri basta uno scivolone, un rinvio. Il pericolo si annida anche nell'orario no stop deciso ieri da Piero Grasso e dalla conferenza dei capigruppo. Tenere i parlamentari inchiodati al loro banco dalla 9 alle 24, farli lavorare sabato e domenica, non sarà affatto un'impresa semplice. Significa che quando si comincerà finalmente a votare, il rischio se lo prende tutto Renzi. La maggioranza dovrà essere presente in massa a tutte le votazioni, non sbagliare una mossa, controllare uno per uno i senatori e i loro movimenti, persino quelli verso la toilette. Alle opposizioni, agli ostruzionisti o secondo la terminologia renziana "ai gufi e rosiconi", basterà invece un solo piccolo successo, con l'esecutivo che va sotto e un loro emendamento approvato, per cantare vittoria.

È uno scenario davvero da Vietnam, secondo alcuni sostenitori della riforma "ingestibile e incontrollabile". Tanto è vero che ieri al Senato persino qualche renziano si domandava: "Matteo vuole davvero approvare la riforma prima della pausa?". Renzi continua a ripetere che "non si impicca a una data". Attende i prossimi sviluppi per immaginare altre accelerazioni, come la ghigliottina ossia il contingentamento dei tempi. Decisione delicata, che farebbe la gioia di chi urla alla svolta autoritaria e che comunque è in capo al presidente del Senato. Anche il Quirinale, dopo l'intervento chiarissimo di ieri, guarda con attenzione alle scelte di Grasso: punta a tempi veloci, compatibilmente con il regolamento. Ma più che la minaccia di un conclave chiuso a chiave anche a Ferragosto, diventa ogni giorno più concreta, più vera, persino più plausibile proprio per lo scenario complicato del voto ad oltranza, l'altra minaccia: quella del voto anticipato. Usato finora come ballon d'essai, come strumento per ammansire parlamentari e frenatori fuori e dentro il Pd che con le elezioni andrebbero a casa, si sta trasformando in una prospettiva che ritorna nelle discussioni tra i fedelissimi renziani. Andare alle urne con la legge proporzionale uscita dalla Consulta e contare sul consenso del presidente del Consiglio. Roberto Giachetti è tornato ieri a indicare questa strada. E Giachetti conosce a menadito le insidie dei lavori parlamentari. Ma a sorpresa l'opzione è stata rilanciata dal presidente del Pd Matteo Orfini, esponente della minoranza lealista, dirigente che ormai si confronta ogni giorno con il premier. "Tutti devono sapere che comunque si vota - ha detto Orfini a In Onda su La7 - O le riforme o alle elezioni anticipate. Sappiamo che questa legislatura è legata alle materie istituzionali. Se non vanno in porto, la legislatura finisce". Se i sondaggi dicono la verità, il Pd può puntare alla maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Certo, senza premio e con le preferenze. Ma anche con le soglie di sbarramento lasciate intatte dalla Corte costituzionale che eliminerebbero i partitini, spesso citati come un male da Renzi.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/07/23/news/la_sfida_di_matteo_non_contano_i_tempi_ma_se_non_passano_le_riforme_si_torna_a_votare-92178316/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_23-07-2014


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Pd senza base, solo 100mila tessere.
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2014, 07:43:19 pm
Pd senza base, solo 100mila tessere. In un anno persi 400mila iscritti

I dati shock di settembre. In Sicilia, Basilicata, Molise, Sardegna e Puglia il reclutamento non è praticamente partito. Mentre aumentano gli elettori, nei 7.200 circoli la militanza langue. È la mutazione genetica del partito, sempre più simile al modello Usa. Anche le casse sono in sofferenza

Di GOFFREDO DE MARCHIS
03 ottobre 2014

ROMA - Nel Pd è sparita la base. Gli iscritti, i militanti, quelli che si facevano autografare la tessera plastificata dal segretario e dai dirigenti alle feste dell'Unità. Gli elettori ci sono, tantissimi, fino a raggiungere la cifra record del 40,8 per cento delle Europee. Le tessere non più. L'allarme è scattato dopo il flop di affluenza alle primarie dell'Emilia Romagna, la storica regione rossa: solo 58 mila elettori ai gazebo. Ma il dato non ha sorpreso chi conosce i numeri segreti del Nazareno: siamo sotto quota 100 mila iscritti in tutta Italia, 5 volte meno del 2013 quando i tesserati erano 539.354. Nei corridoi, forse per colpa del panico, si diffondono voci ancora più catastrofiche. Qualcuno parla infatti di 60 mila iscritti. Significherebbe che poco più di un militante su 10 ha rinnovato la sua fede nel Partito democratico. Come dire: la spina dorsale del Pd non esiste più.

Il quadro, regione per regione, presenta alcuni buchi neri assoluti. Il tesseramento non è praticamente partito in Sicilia, Basilicata, Molise, Sardegna, Puglia. E mancano solo tre mesi alla fine dell'anno. In Campania idem. Nel 2013 Napoli e le altre province contavano 70 mila iscritti. Oggi le tessere, raccontano, si possono calcolare nell'ordine delle centinaia, nemmeno migliaia. Qualcuna nel capoluogo, qualcun'altra a Salerno dove l'attivismo dell'eterno sindaco Vincenzo De Luca mette una pezza. Fine. I circoli sono tristemente deserti anche nei quartieri delle percentuali bulgare per Valenzi e Bassolino: Ponticelli, Barra, San Giovanni. Era molto affollata invece la Fonderia delle idee, un'iniziativa organizzata lo scorso week end dall'eurodeputata Pina Picierno per lanciare la sua candidatura alla regione. Però in quella sede non compariva un solo simbolo del Pd. Neanche piccolo piccolo.

La mutazione genetica del partito nasce così. Ci si apre alla società, ma i circoli (7200 in Italia, 89 all'estero) languono e la militanza scompare. Un modello che a destra conoscono bene, dalla discesa in campo di Berlusconi. Ma che per l'altra parte rappresenta ancora uno choc. La "base" è stata la storia e la memoria della sinistra, come raccontò l'indimenticabile documentario di Nanni Moretti La Cosa (1990). Adesso non più. È l'altra faccia dell'effetto Renzi. Il leader carismatico, attivissimo, presente su tutti i media compresi i social, capace di traghettare i democratici al record del 41 per cento ha come contraltare la debolezza della struttura. La ditta ha molti clienti ma un solo poliforme trascinatore. E le tessere crollano.
A Torino e provincia gli iscritti erano 10 mila lo scorso anno, oggi sono appena 3000. A Venezia partecipavano all'attività delle sezioni 5500 persone nel 2013, scese a 2000 nel 2014. In Umbria si è passati da 14 mila tesserati a poco meno della metà, anche se le stime sono molto provvisorie. Se tutto va bene, dicono a Perugia, si toccherà il traguardo dei 10 mila prima di dicembre, il 40 per cento. Soffrono anche i luoghi dello zoccolo duro, dove la sinistra non perdeva mai iscritti.


Altri tempi, certo. E la crisi delle "vocazioni" a sinistra non è una novità dell'ultimo anno. In fondo, il partito liquido è un'idea di Walter Veltroni datata 2007, ormai 7 anni fa. Ma il dato di 100 mila fa lo stesso impressione. Matteo Renzi ha un modello di partito completamente diverso dal passato. La Fonderia delle idee non è altro che l'epigono meridionale della Leopolda, l'appuntamento dei renziani a Firenze, anche quello rigorosamente svuotato dalle simbologie del Pd. Anche quest'anno il premier risponderà alla manifestazione dei sindacati sull'articolo 18 dalla Leopolda anziché da una barbosa conferenza sul lavoro targata Partito democratico. L'identificazione presidente del Consiglio-segretario porta poi il primo a oscurare il secondo. Il capo temporaneo accentra su di sé attenzioni e responsabilità mentre la macchina partitica passa decisamente in secondo piano. Se il crollo degli iscritti non è voluto, è dunque messo nel conto, sviluppo naturale di un'idea diversa della rappresentanza politica, forse più al passo della storia. Semmai gli oppositori osservano: "Non c'è più il partito, ma c'è la disciplina di partito". Oppure: "Se chi vuole discutere è sempre un gufo o un rosicone, i circoli si svuotano". I renziani obiettano: "Ma le urne sono piene" e lo testimoniano gli 11 milioni e 200 mila voti delle Europee.

Le primarie in Emilia, il tonfo del tesseramento sono però i sintomi di un problema, che coinvolge identità e ruolo del Pd, dei partiti in generale. Tanto più quando la crisi della militanza si accompagna alla progressiva morte del finanziamento pubblico. Il Pd riceverà nel 2014 12,8 milioni. Nel 2011 erano 60. Le casse quindi sono in sofferenza. Ieri il tesoriere Francesco Bonifazi ha spedito una mail a tutti i parlamentari settentrionali. Oggetto: "Cena del Nord". Ognuno deve portare 5 imprenditori, che pagheranno 1000 euro a testa, a un evento in programma a novembre. Dove la star ovviamente sarà Renzi. Obiettivo: raccogliere 1 milione. Si chiama fundraising, il modello sono gli Usa, Obama. La rottamazione è anche di sistema, non solo delle persone.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/03/news/pd_crollo_iscrizioni-97212221/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_03-10-2014


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il premier Renzi punta al 51%: le simulazioni del...
Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2014, 05:29:47 pm
Il premier Renzi punta al 51%: le simulazioni del voto anticipato
Uno studio che gira tra i corridoi del Senato ha testato le proiezioni di un voto con la legge elettorale attualmente in vigore, ovvero il Consultellum. I risultati sono sorprendenti. Basterebbe ottenere un risultato intorno al 44-45 per cento (che gli sbarramenti favorirebbero) per avere la maggioranza sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama

Di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Puntare al 51 per cento. O avvicinarsi molto, che avrebbe lo stesso effetto. Uno studio che gira tra i corridoi del Senato ha testato le proiezioni di un voto con la legge elettorale attualmente in vigore, ovvero il Consultellum: proporzionale puro con le preferenze e sbarramenti piuttosto alti. I risultati sono sorprendenti. Basterebbe ottenere un risultato intorno al 44-45 per cento (che gli sbarramenti favorirebbero) per avere la maggioranza sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama. Il Pd, grazie al 40,8 delle Europee, è già abbastanza vicino. Un allargamento ai pezzi della sinistra di Sel e ai centristi di Scelta civica lo lancerebbe verso il traguardo. "Quei numeri sono alla nostra portata", ripete Renzi ai fedelissimi.

Da questo punto di vista e ascoltate le parole del premier-segretario, molti degli esponenti della direzione Pd si sono convinti che tutto sembra muoversi verso le elezioni anticipate la prossima primavera. Su questo il premier avrebbe sondato il terreno presso Forza Italia. Ma è un'aria che viene annusata in tutto il Parlamento. Dal Pd ai berlusconiani. E non solo. Da giorni Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello stanno riflettendo su una exit strategy per non trovarsi schiacciati tra Largo del Nazareno e Arcore. I sondaggi descrivono una situazione pericolosa per i transfughi dell'ex Pdl. "Dobbiamo cambiare nome al partito", dicono. Solo un inizio, anche se il traguardo è chiaro. Un'alleanza con il Partito democratico nel caso dovesse essere confermato il premio di maggioranza alla coalizione. Un ingresso sotto le ali renziane se invece prevalesse la linea di un bonus alla singola lista. Oppure, se alla fine il voto venisse consumato con il sistema uscito dalla Corte costituzionale, con il 2,5 per cento dei sondaggisti, l'adesione al Pd sarebbe inevitabile.

È un percorso, quello immaginato dai vertici dell'Ncd, che non si può certo fare all'insegna del "centrodestra". Da qui il lavorìo sulla modifica della ragione sociale. Premessa obbligata al dialogo con il premier.

Renzi definisce questo modello aperto a tutti, realizzatore di una vera vocazione maggioritaria nei numeri, il Partito della Nazione. Una forza politica capace di parlare a diversi strati della società, di farsi votare trasversalmente: dai giovani e dagli anziani, dai datori di lavoro e dai lavoratori, dagli uomini e dalle donne. Assomiglia in modo impressionante a come è stata costruito l'appuntamento della Leopolda, negli ultimi 4 anni. Una kermesse dove, da Nord a Sud, si possono sentire protagonisti persone molto diverse fra loro. Negli Stati uniti si chiama catch all party ossia il "partito pigliatutto".



Uno studio molto simile a quello che passa di mano in mano al Senato è contenuto in una cartellina che Denis Verdini si porta sempre dietro. In una riunione l'ha anche mostrato al presidente del consiglio. Ed è l'argomento forte che il plenipotenziario fiorentino usa per convincere Silvio Berlusconi ad aprire alle modifiche dell'Italicum suggerite da Renzi. "Senza di te che sei incandidabile e con le preferenze, Forza Italia rischia seriamente di sparire", sussurra Verdini nell'orecchio dell'ex Cavaliere. "E Matteo può avere la maggioranza comunque".

Dunque, da Arcore la proposta è accelerare sull'Italicum, anche con le modifiche. Compresa l'idea di cancellare dal testo l'articolo 2. Quell'articolo è la clausola di salvaguardia pretesa dalla minoranza del Pd e da Forza Italia (quattro mesi fa): prevede che la nuova legge elettorale sia valida solo per la Camera, in attesa della definitiva cancellazione del Senato. Un norma anti-elezioni anticipate. Ma se Verdini e Renzi cominciano a lavorare sull'annullamento della clausola, la prova di una voglia elettorale che coinvolge sia Largo del Nazareno sia Arcore diventerebbe certa. Come le impronte digitali o il Dna. Allora nel Pd la scissione non sarebbe più solo una chiacchiera.

Andrea Romano è solo l'apripista di Scelta civica. Lo hanno preceduto Gregorio Gitti e Lorenzo Dellai, transitando senza clamori nel gruppo Pd alla Camera. Ma so- no pronti a seguirlo i senatori Linda Lanzillotta, Pietro Ichino e Alessandro Maran. Tre ex Pd che finalmente si riconoscerebbero nella linea di Largo del Nazareno dopo aver sbattuto la porta ai tempi di Bersani. Quindi, un'intera storia verrebbe rinnegata. Una stagione passerebbe agli archivi e il partito cambierebbe davvero verso o meglio natura. Stefano Fassina si sfogava ieri alla fine della direzione: "Il punto è: su quale asse di cultura politica e di programma il Pd si allarga e diventa altro? Dietro l'abbraccio a tutti porta avanti gli interessi dei più forti?". Gianni Cuperlo ironizza, ma a modo suo, dicendo la sua verità: "Finché non arrivano Razzi e Scilipoti, io resisto". Però dall'ex sfidante è arrivato l'attacco più sottile ieri pomeriggio. Quando parla di "partito parallelo" Cuperlo parla di un partito diverso, non quello che hanno costruito i Ds, anche i Ds.

Ma Renzi vuole smontare il tabù identitario del Pd, stravolgerlo, consegnarlo alla storia e passare oltre. "Manca Verdini - sibila Pippo Civati citando Bennato -. Poi si parte. Prima stella a destra, questo è il cammino...". Anche se, almeno all'apparenza, sono gli altri a seguire il cammino di Renzi, a essere ipnotizzati dal leader del Pd, dalla sua forza e dai suoi consensi.

© Riproduzione riservata 21 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/21/news/il_premier_punta_al_51_le_simulazioni_del_voto_anticipato-98617525/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_21-10-2014


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Il premier: “Vado avanti, nessuno capirebbe una crisi”.
Inserito da: Admin - Aprile 04, 2015, 11:27:22 am
Italicum, Renzi avverte: “Da Bersani solo pretesti non cedo ai loro veti”
 Il premier: “Vado avanti, nessuno capirebbe una crisi”.
Documento di mediazione di una parte della minoranza

Di GOFFREDO DE MARCHIS
03 aprile 2015
   
 ROMA -   A Bersani Renzi risponde che i numeri ci sono, "che dopo Pasqua il clima sarà molto più tranquillo". Perché arriveranno delle modifiche all'Italicum? Perché il premier andrà incontro alla minoranza? Il contrario. "Quella di Pier Luigi è una polemica pretestuosa spiega Renzi parlando con i suoi collaboratori -. Ha sbagliato i toni. E noi andiamo avanti". I margini di una trattativa sono dunque ridotti all'osso. Come prima. Più di prima. Il capogruppo Roberto Speranza garantisce che ci proverà fino all'ultimo. Ha parlato anche ieri mattina con il segretario. Ma Renzi non appare ben disposto e racconta il perché. "Bersani sbaglia perché una crisi di governo su una legge elettorale discussa, modificata e votata tre volte non la capirebbe proprio nessuno". Chi vota contro, secondo Palazzo Chigi, si ritroverebbe isolato nel partito, nel Paese e nel Parlamento. Una missione kamikaze, quindi. Comunque la base di discussione non può essere quella emersa nel colloquio dell'ex segretario con Repubblica. "Sostanzialmente lui ha posto un veto sull'intera legge. L'ha demolita pezzo a pezzo. Ma che succede se io accetto un veto del genere? Che me ne ritrovo altri 10 sul tavolo, dagli alleati piccoli o meno piccoli, dalla minoranza del mio partito - è il ragionamento del premier -. Così non si finisce più. Eppoi io non sono l'uomo dei veti, questo dovrebbe essere chiaro ormai".

Secondo il segretario la prossima settimana tornerà il sereno sul Pd e sui destini dell'Italicum. Ma come? Se lui va avanti e non modifica neanche una virgola del testo che dev'essere approvata in via definitiva a Montecitorio, una parte del partito non lo seguirà. Non solo Bersani. "A Matteo - racconta Speranza - continuo a dire che non può permettersi di far vivere la legge elettorale su una maggioranza ristretta perdendo anche un pezzo del Pd". Il capogruppo ricorda i passaggi della norma. "Siamo partiti da un appello a tutti i partiti, compresi i grillini. Abbiamo siglato un patto con Berlusconi che poi si è sfilato. È rimasta la coalizione di governo ma se non vota una parte dei democratici, questo terreno diventa ancora più piccolo". Questo è il tema di cui discutono insieme Renzi e Speranza, ancora prima di entrare nella mischia delle preferenze, dei nominati o del doppio turno. "Io dico: ascoltiamoci tutti quanti. Siamo rimasti con il 51 per cento che se si sfilano alcuni deputati del Pd diventa il 49. Così si rischia di far passare l'Italicum con il soccorso di Verdini", avverte Francesco Boccia.

Renzi ascolta, ma non ha, per ora, scelto la strada della mediazione. Anzi. "Se faccio qualche concessione divento quello che molla - ripete ai collaboratori -. E io non mollo". Partendo da qui, è bene fare qualche conto. Nella commissione Affari costituzionali sono 11 i componenti del Pd appartenenti alla minoranza. Tra loro Bersani, Cuperlo, Rosy Bindi, D'Attorre. Il loro voto unito a quelli delle opposizioni potrebbe creare maggioranze a favore di emendamenti cambiando il testo. Ovvero quello che non vuole il governo. La partita vera si svolgerà in aula (la legge vi arriva il 27), ma la spaccatura può diventare lampante già in commissione. L'assemblea del gruppo parlamentare infatti verrà convocata il 20 aprile perché le votazioni in commissione cominceranno quel giorno e si rischia una polemica dirompente tra sostituzioni di dissidenti e la resistenza di altri.

Sullo sfondo resta il tema del voto di fiducia. Un'arma che Renzi continua a tenere carica e che ridurrebbe di molto l'area del dissenso che oggi conta fino a 110 parlamentari dem. L'obiettivo finale è contenere lo strappo a 30 deputati al massimo ma cosa succederà sui singoli emendamenti presentati dai ribelli? Uno di questi, sicuramente, proporrà il ritorno al Mattarellum, la legge su cui è nato l'Ulivo. E stavolta non potrà essere evitato con il canguro com'è successo al Senato.
 
© Riproduzione riservata 03 aprile 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/04/03/news/italicum_renzi_avverte_da_bersani_solo_pretesti_non_cedo_ai_loro_veti_-111105576/?ref=HREC1-9


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Italicum, Matteo Renzi e le ombre della scissione: Ma io...
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2015, 11:38:01 am
Italicum, Matteo Renzi e le ombre della scissione: "Ma io vado avanti"
Il retroscena: "Più di un anno di lavoro sulla legge elettorale fatto con il contributo di tutti".
Il pressing su Speranza

Di GOFFREDO DE MARCHIS
15 aprile 2015

ROMA - Dicono, renziani e dissidenti, che il tempo dei penultimatum è finito. Ci si conta e si decide. Il rischio è scattare la seguente fotografia: il capogruppo (Speranza), l'ex segretario e candidato premier (Bersani), gli sfidanti delle primarie (Cuperlo e Civati), ovvero una parte dello stato maggiore democratico, che vota contro la linea di Renzi. La certificazione di una frattura forse definitiva nel Pd. E se si dovesse confermare nel voto dell'aula a maggio, porterebbe dritti alla scissione.

Avendo questo possibile scenario presente Matteo Renzi si prepara alla battaglia nell'assemblea dei deputati: "Ricostruirò il percorso che abbiamo fatto fin qui. Più di un anno di lavoro sulla legge elettorale fatto con il contributo di tutti. Spero che il gruppo non si spacchi, ma non posso preoccuparmi più di tanto". Bersani prova a scherzarci su: "Mi rifugerò dal Papa. Francesco mi piace molto". Non prima di aver combattuto l'Italicum fino in fondo. Con quali truppe però? Sulla carta la minoranza conta su 110 deputati. E' un numero che non apre una ferita nel Pd ma mette in pericolo la stessa approvazione della legge, visto anche l'alto numero di voti segreti quasi certi. Ma è un numero molto ballerino.

Già ieri durante la riunione di Area riformista, la componente di Speranza, tanti hanno fatto capire che la strategia non è quella del muro contro muro. "Segniamo un punto politico in dissenso al gruppo. Ma poi al momento del voto vero ci atteniamo alle decisioni della maggioranza ", è la rotta indicata da Dario Ginefra. Come lui la pensano in tanti. Ancora una volta l'area dei dissidenti può spaccarsi favorendo la corsa del segretario. Gli occhi sono soprattutto puntati sul capogruppo Speranza. "Deve decidere cosa vuole fare da grande", spiega il vicesegretario Lorenzo Guerini.

Come dire: sceglie di stare con il futuro o rimane legato alla vecchia guardia? Su Speranza il pressing del mondo renziano è forte da tempo. Più o meno benedetti dal capo, sono parecchi a volergli fare le scarpe, malgrado finora abbia sempre tenuto unito un gruppo parlamentare che conta più di 300 teste. Ora circola la voce che potrebbe essere lo stesso Speranza a farsi da parte, a dare le dimissioni.

Il passaggio non è indolore. Stamattina il capogruppo vedrà Renzi per fare il punto. Ha una posizione netta sull'Italicum: va cambiato e non è giusto che lo approvi una maggioranza risicata con un Pd spaccato. Renzi potrebbe mettere sul piatto un ipotetico ritocco alla riforma costituzionale spostando il problema. Per alcuni può essere sufficiente. Per i più oltranzisti no. Adesso il pressing per le dimissioni Speranza lo deve subire anche dai suoi amici. Il gesto clamoroso di un capogruppo "moderato" e non antirenziano avrebbe l'effetto di terremotare il Pd molto più delle accuse di ex sconfitti.

Speranza replica con molta calma. "Aspettiamo di sentire Renzi. Ci sono ancora 24 ore per trovare una soluzione e dopo il gruppo altri 15 giorni per ragionare". Non c'è dubbio però la conta di oggi segnerà un punto di non ritorno. "E' un giorno cruciale  -  ripete Alfredo D'Attorre, bersaniano  -  Non sono possibili scambi con la riforma costituzionale. Forse perderemo qualche pezzo ma non credo che rimarremo 20-30 che è la vulgata renziana". Gianni Cuperlo fa ancora un appello a Renzi per l'apertura ad alcune modifiche mirate. Ma non nega la difficoltà del momento: "Stavolta i dissidenti non potranno abbandonare l'aula quando si voterà. Perché lo faranno anche le opposizioni e mancherebbe il numero legale". Insomma, bisognerà votare si o no, niente scorciatoie. Francesco Boccia invita il premier a fidarsi del Pd: "Approviamo insieme Senato e Italicum a luglio, facendo correzioni condivise".

L'obiettivo dei trattativisti è prendersi tutto il tempo possibile. Ci si aggrappa alla possibilità che i 12-13 membri della commissione Affari costituzionali contrari all'Italicum si facciano spontaneamente da parte lasciando il posto a fedelissimi renziani. Sono pronti a resistere solo Carlo Lauricella e Rosy Bindi. In questo modo ci sarebbero altre due settimane di contatti senza plastiche divisioni in commissione. Ma sono toppe temporanee. Resta un passaggio importante per una minoranza divisa e confusa ma anche per un segretario chiamato a difendere l'assetto di un partito del 41 per cento, con tutte le sue anime.

© Riproduzione riservata
15 aprile 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/04/15/news/italicum_il_premier_e_le_ombre_della_scissione_ma_io_vado_avanti_-111979661/?ref=HREA-1


Titolo: Azzollini, la linea bipartisan di Renzi: Nessuno può impormi diktat, giusta...
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2015, 10:16:43 pm
Azzollini, la linea bipartisan di Renzi: "Nessuno può impormi diktat, giusta la libertà di coscienza"
Il retroscena: il premier è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato.
Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza


Di GOFFREDO DE MARCHIS
30 luglio 2015

ROMA. La scelta della libertà di coscienza è di Matteo Renzi e sapeva che avrebbe contribuito a "salvare" Antonio Azzollini dall'arresto. Palazzo Chigi l'ha comunicata al capogruppo Luigi Zanda nei giorni scorsi e ha trovato il terreno giusto per farla passare senza problemi: "Qui erano in tanti ad avere dei dubbi sulla richiesta della Procura", ha replicato Zanda. Anche la scelta di far litigare i due vicesegretari del Pd, esponendoli su fronti opposti, va ricondotta direttamente al premier.

Nessuno dei due ha fatto la propria mossa prima di consultarsi con il segretario. E lui ha risposto: "Fate quello che credete giusto, quando c'è un voto libero, com'è normale per le misure cautelari, è giusto esprimersi altrettanto liberamente ". Così Debora Serracchiani ha coperto il lato giustizialista e imbarazzato del Partito democratico mentre Lorenzo Guerini difendeva la scelta dei senatori e cercava di calmare il furioso Zanda, scaricato da uno dei vertici di Largo del Nazareno, dopo aver concordato i passaggi con gli uomini del premier.

Renzi adesso è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato. Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza, certo molte meno di quelle che dividono sulle tasse, sulla scuola, sulle riforme. Solo Gianni Cuperlo e Alfredo D'Attorre hanno contestato la posizione del partito. Soprattutto la sua incoerenza.

Dopo aver votato sì all'arresto in commissione, in aula la rotta è decisamente cambiata. "Ma la verità -  spiegano a Palazzo Chigi -  è che l'opportunità politica ci ha condizionato nella decisione della commissione, non nel successivo voto dell'aula ". Insomma, prima Renzi e il Pd si sono lasciati influenzare dal danno d'immagine che poteva venire dal no all'arresto.

Solo più tardi hanno seguito la via maestra, secondo il quartier generale del Pd: leggere bene le carte e lasciare ai senatori la "libertà di convincimento", come ha scritto Zanda. Come dire: non si deve smentire l'indirizzo garantista che Renzi ha impresso fin dall'inizio evitando dimissioni di sottosegretari indagati. Indirizzo che è un messaggio ai magistrati: non può essere la giustizia, fino alla condanna definitiva, a decidere chi e come può stare in politica. Soprattutto nessuno può pensare di mettere la politica sotto controllo.

Poi ci sono gli equilibri della maggioranza. Azzollini era stato scaricato dal Nuovo centrodestra, ma è stato il capogruppo dello stesso Ncd Renato Schifani a battersi perché ce la facesse sapendo di poter contare su una caratteristica particolare del senatore. Quella di aver fatto a lungo il presidente della commissione Bilancio, cioè di aver ricevuto richieste e pressioni per le risorse della legge di stabilità da una buona fetta dei membri di Palazzo Madama. Da moltissimi di loro.

La minoranza, con le sue voci sparute, chiede chiarimenti. E lo farà ancora nei prossimi giorni. Non tanto sull'arresto mancato ma sul progetto di fondo del renzismo, ossia il Partito della Nazione, una forza con il cuore a sinistra ma che pesca voti a destra. Sembrava tramontato dopo le amministrative, ma i dissidenti lo vedono affacciarsi di nuovo all'orizzonte. La vicenda Azzollini accostata alla presentazione del gruppo dei verdiniani alimenta il sospetto che il premier voglia sostituire i ribelli (e i loro voti tra la gente, pochi o tanti che siano) con pezzi della destra ( e i sentimenti di chi li ha votati per 20 anni). Questo è il vero punto di dissenso di Cuperlo e D'Attorre e l'accusa silenziosa di tanti altri.

Renzi comunque punta a uscire dalla vicenda come chi non è mai intervenuto nè a favore nè contro la soluzione finale. In questo senso, la doppia dichiarazione dei vicesegretari è stata "benedetta" a Palazzo Chigi. Del resto nè Serracchiani nè Guerini negano di aver consultato il segretario prima di parlare. La governatrice del Friuli Venezia Giulia aveva anche un obbligo in più per criticare la decisione dei senatori Pd. Segue direttamente la crisi di Molfetta, la città di Azzollini, dove il sindaco dem Paola Natalicchio si è dimessa contro il Pd locale, secondo lei troppo invischiato con la destra del posto, compreso il senatore Ncd. A difendere Natalicchio ci sono Vendola, Emiliano, Boccia, manca però la voce ufficiale del partito. Ed è la Serracchiani che prova a farla sentire fino in Puglia, anche con le sue parole su Azzollini.

Ma basta aver sparato contro il voto dopo e non prima che avvenisse? Cuperlo risponde di no. E l'allusione è a un gioco delle parti, per difendere la scelta vera di Renzi: libertà di coscienza e un esito scritto per la vicenda Azzollini.

© Riproduzione riservata
30 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/30/news/la_linea_bipartisan_di_renzi_nessuno_puo_impormi_diktat_giusta_la_liberta_di_coscienza_-120080065/?ref=fbpr


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Azzollini, la linea bipartisan di Renzi
Inserito da: Admin - Agosto 06, 2015, 11:30:12 am
Azzollini, la linea bipartisan di Renzi: "Nessuno può impormi diktat, giusta la libertà di coscienza"
Il retroscena: il premier è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato.
Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza

Di GOFFREDO DE MARCHIS
30 luglio 2015

ROMA. La scelta della libertà di coscienza è di Matteo Renzi e sapeva che avrebbe contribuito a "salvare" Antonio Azzollini dall'arresto. Palazzo Chigi l'ha comunicata al capogruppo Luigi Zanda nei giorni scorsi e ha trovato il terreno giusto per farla passare senza problemi: "Qui erano in tanti ad avere dei dubbi sulla richiesta della Procura", ha replicato Zanda. Anche la scelta di far litigare i due vicesegretari del Pd, esponendoli su fronti opposti, va ricondotta direttamente al premier.

Nessuno dei due ha fatto la propria mossa prima di consultarsi con il segretario. E lui ha risposto: "Fate quello che credete giusto, quando c'è un voto libero, com'è normale per le misure cautelari, è giusto esprimersi altrettanto liberamente ". Così Debora Serracchiani ha coperto il lato giustizialista e imbarazzato del Partito democratico mentre Lorenzo Guerini difendeva la scelta dei senatori e cercava di calmare il furioso Zanda, scaricato da uno dei vertici di Largo del Nazareno, dopo aver concordato i passaggi con gli uomini del premier.

Renzi adesso è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato. Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza, certo molte meno di quelle che dividono sulle tasse, sulla scuola, sulle riforme. Solo Gianni Cuperlo e Alfredo D'Attorre hanno contestato la posizione del partito. Soprattutto la sua incoerenza.

Dopo aver votato sì all'arresto in commissione, in aula la rotta è decisamente cambiata. "Ma la verità -  spiegano a Palazzo Chigi -  è che l'opportunità politica ci ha condizionato nella decisione della commissione, non nel successivo voto dell'aula ". Insomma, prima Renzi e il Pd si sono lasciati influenzare dal danno d'immagine che poteva venire dal no all'arresto.

Solo più tardi hanno seguito la via maestra, secondo il quartier generale del Pd: leggere bene le carte e lasciare ai senatori la "libertà di convincimento", come ha scritto Zanda. Come dire: non si deve smentire l'indirizzo garantista che Renzi ha impresso fin dall'inizio evitando dimissioni di sottosegretari indagati. Indirizzo che è un messaggio ai magistrati: non può essere la giustizia, fino alla condanna definitiva, a decidere chi e come può stare in politica. Soprattutto nessuno può pensare di mettere la politica sotto controllo.

Poi ci sono gli equilibri della maggioranza. Azzollini era stato scaricato dal Nuovo centrodestra, ma è stato il capogruppo dello stesso Ncd Renato Schifani a battersi perché ce la facesse sapendo di poter contare su una caratteristica particolare del senatore. Quella di aver fatto a lungo il presidente della commissione Bilancio, cioè di aver ricevuto richieste e pressioni per le risorse della legge di stabilità da una buona fetta dei membri di Palazzo Madama. Da moltissimi di loro.

La minoranza, con le sue voci sparute, chiede chiarimenti. E lo farà ancora nei prossimi giorni. Non tanto sull'arresto mancato ma sul progetto di fondo del renzismo, ossia il Partito della Nazione, una forza con il cuore a sinistra ma che pesca voti a destra. Sembrava tramontato dopo le amministrative, ma i dissidenti lo vedono affacciarsi di nuovo all'orizzonte. La vicenda Azzollini accostata alla presentazione del gruppo dei verdiniani alimenta il sospetto che il premier voglia sostituire i ribelli (e i loro voti tra la gente, pochi o tanti che siano) con pezzi della destra ( e i sentimenti di chi li ha votati per 20 anni). Questo è il vero punto di dissenso di Cuperlo e D'Attorre e l'accusa silenziosa di tanti altri.

Renzi comunque punta a uscire dalla vicenda come chi non è mai intervenuto nè a favore nè contro la soluzione finale. In questo senso, la doppia dichiarazione dei vicesegretari è stata "benedetta" a Palazzo Chigi. Del resto nè Serracchiani nè Guerini negano di aver consultato il segretario prima di parlare. La governatrice del Friuli Venezia Giulia aveva anche un obbligo in più per criticare la decisione dei senatori Pd. Segue direttamente la crisi di Molfetta, la città di Azzollini, dove il sindaco dem Paola Natalicchio si è dimessa contro il Pd locale, secondo lei troppo invischiato con la destra del posto, compreso il senatore Ncd. A difendere Natalicchio ci sono Vendola, Emiliano, Boccia, manca però la voce ufficiale del partito. Ed è la Serracchiani che prova a farla sentire fino in Puglia, anche con le sue parole su Azzollini.

Ma basta aver sparato contro il voto dopo e non prima che avvenisse? Cuperlo risponde di no. E l'allusione è a un gioco delle parti, per difendere la scelta vera di Renzi: libertà di coscienza e un esito scritto per la vicenda Azzollini.

© Riproduzione riservata
30 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/30/news/la_linea_bipartisan_di_renzi_nessuno_puo_impormi_diktat_giusta_la_liberta_di_coscienza_-120080065/?ref=fbpr


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi stoppa Bersani: "Si scordi i caminetti, chi rompe...
Inserito da: Arlecchino - Settembre 23, 2015, 09:59:38 am
Senato, Renzi stoppa Bersani: "Si scordi i caminetti, chi rompe ne risponderà"
Per il premier l'intesa resta vicina: "Ma non farò tavoli con la minoranza. Adesso vorrebbero rivedere il numero dei seggi, che invece hanno già votato anche loro"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
20 settembre 2015

ROMA - Matteo Renzi è sorpreso fino a un certo punto dai toni battaglieri di Bersani sulla riforma costituzionale: "Pierluigi vorrebbe ricostituire i vecchi caminetti del Pd. Un bel tavolo informale maggioranza-opposizione in cui si prendono tutte le decisioni più importanti. Ma a questo tipo di gestione del partito, fuori dagli organismi ufficiali, non mi piegherò mai". Semmai non capisce come farà l'ex segretario a giustificare un'eventuale rottura sul Senato, ora che il traguardo sembra a portata di mano. "Per me la strada di un accordo è aperta - spiega il premier ai collaboratori -, ma non si ricomincia daccapo. Adesso vorrebbero persino rivedere il numero dei parlamentari, una cosa su cui hanno votato anche loro della minoranza. Questo è troppo, ma le nostre porte sono aperte per miglioramenti e correzioni. Se si rompe, però, si prenderanno la responsabilità".

Il segretario dunque continua a considerare vicina l'intesa finale sulla riforma. Anche perché coglie alcune crepe nella minoranza, come dimostrano le parole di Gianni Cuperlo. Mentre Bersani attaccava, e non solo sulle riforme, l'ex presidente del Pd parlava di accordo vicino, vicinissimo: "Se, come mi pare di poter dire, si farà avremo un saldo attivo per tutti", è la posizione di Cuperlo. Ma il fronte renziano è più pessimista del premier. Giachetti invoca ancora una volta le elezioni, Guerini e Serracchiani puntano il dito contro l'ex segretario, Orfini si prepara alla rottura definitiva. In effetti, i bersaniani in senso stretto hanno rilanciato la battaglia. "Non c'è niente di chiaro, nessuna dichiarazione ufficiale, solo pissi pissi bau bau. Non è così che si fanno gli accordi", avverte Massimo Mucchetti che ha accompagnato Bersani in una visita a Brescia.

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20 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/20/news/matteo_stoppa_pierluigi_si_scordi_i_caminetti_chi_rompe_ne_rispondera_-123261456/?ref=nrct-2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Tra i candidati a sindaco Gabrielli e Giachetti, che però...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 14, 2015, 03:03:51 pm
Roma, Renzi ha già deciso: "Niente primarie per il dopo-Marino. Il nome lo scelgo io"
Tra i candidati a sindaco Gabrielli e Giachetti, che però resistono.
In corsa anche Moretti, Lanzillotta, Gentiloni

Di GOFFREDO DE MARCHIS
09 ottobre 2015

ROMA -  "Ora basta. Marino se ne deve andare e senza condizioni, senza trattative, senza buonuscite". Ieri mattina la telefonata definitiva tra Matteo Renzi e Matteo Orfini, commissario del Pd a Roma, si conclude così. "È finita e forse era meglio che finisse anche prima". I due sono sulla stessa lunghezza d'onda. Insieme avevano deciso di tenere in piedi il sindaco fino alla fine del Giubileo per votare nel 2017, con una sostanziale sovrapposizione del partito e dei suoi uomini nella gestione del Campidoglio. Ma la situazione è precipitata: con le parole di Papa Francesco e con la vicenda degli scontrini di "rappresentanza".

I tempi più brevi, con il voto in primavera accanto alle consultazioni di Milano, Napoli, Torino e Bologna, ha cambiato in corso la strategia del premier e del Pd capitolino. Renzi, già da alcune settimane, ha una lista di nomi per il prossimo candidato a sindaco, però non pensava di doverla tirare fuori subito. Soprattutto in questo contesto. Si parte da una certezza: non si faranno le primarie. La linea è: abbiamo già combinato troppi pasticci, non aggiungiamone altri. "Non ci sono le condizioni politiche per andare ai gazebo. Punto", dice un renziano. Ma l'argomento pubblico, quando partirà il tormentone primarie sì-primarie no, sarà diverso. "Con il Giubileo in corso sarebbe davvero singolare fare anche una competizione interna", dicono a Palazzo Chigi. Evitare altri guai, altre tensioni è la parola d'ordine visto che sarà già difficilissimo trovare un candidato competitivo. Per il momento infatti non c'è la solita corsa a mettersi in mostra per partecipare. Il contrario semmai. Si assiste in queste ore a un fuggi-fuggi generale.

Renzi si muove con due schemi. Un nome della società civile, capace di mascherare i problemi del Pd e di non farsi sfiorare dal processo di Mafia capitale che a maggio, mese del voto, sarà in pieno svolgimento con due udienze a settimane e una sfilata di politici come imputati o come testi. O un dirigente politico puro in grado di affrontare la battaglia onorevolmente anche con la prospettiva, al momento, di una sconfitta probabile.

Nel primo caso la scelta del premier è caduta da tempo sul prefetto Franco Gabrielli. Ma l'ex capo della Protezione civile ha detto di no, in maniera definitiva. E ha parecchi argomenti per motivare il rifiuto. Fino a novembre 2016 sarà il supercommissario al Giubileo e dopo si prepara a occupare la poltrona di capo della Polizia. Nel secondo caso l'uomo giusto, secondo il premier, è Roberto Giachetti. Ma il no del vicepresidente della Camera è altrettanto netto e irrevocabile.

Allora si affacciano altre soluzioni. Tra i tecnici spunta Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica, però Renzi ci pensa perché "non possiamo spostare i pilastri di un sistema". Per una partita dall'esito, come dire, incerto poi. In pista c'è anche Giovanni Malagò, attuale presidente del Coni, ma le sue chance vanno verificate e già nei prossimi giorni il Pd chiederà sondaggi a tutti per capire i margini dei nomi in ballo e del partito stesso. Con Alfio Marchini, Renzi si è incontrato in gran segreto una volta, proprio grazie alla "mediazione" di Malagò. Non è scattato un vero feeling e Marchini ha lasciato capire che il suo obiettivo è fare il candidato unitario del centrodestra con buone chance di arrivare al ballottaggio. È in campo anche Alfonso Sabella, l'ex assessore alla Legalità. E sullo sfondo l'ipotesi di un abboccamento con Luca di Montezemolo.

L'altro nome politico è Paolo Gentiloni. Fare il sindaco di Roma è il suo sogno, ma risale a prima della nomina al ministero degli Esteri. Oggi agli amici Gentiloni ripete "non ci penso proprio" ma qualche elemento in più di valutazione potrebbe convincerlo a buttarsi. Matteo Orfini si chiama fuori anche perché, ha spiegato, "con Renzi siamo d'accordo, sarò io con il segretario a gestire la partita". Ma come regista. Gira il nome di Fabrizio Barca ma ha maggiori possibilità Marianna Madia. Fu la prima a denunciare il marcio del Pd romano ma oggi fa il ministro della Pubblica amministrazione e come altri non sembra felice di buttarsi in un'impresa abbastanza disperata. Se ci fossero problemi con queste scelte, sarà fatto un tentativo con Linda Lanzillotta o, cercando un candidato di sinistra che annulli problemi con gli alleati, con Walter Tocci. Senatore dissidente, duro e puro, ma molto stimato da Renzi.

Per il momento, Renzi tace. Lo fa in maniera ostentata nel suo giro in Emilia, dove è arrivato nel pomeriggio, a distanza di sicurezza dalle beghe del Campidoglio. Una scelta che ha tutto il sapore di essere voluta, cercata. E che lo tiene lontano per 24 ore dalla confusione romana.

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09 ottobre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/10/09/news/renzi_ha_gia_deciso_niente_primarie_il_nome_lo_scelgo_io_-124662736/?ref=fbpr


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bersani: “Chi se ne va sbaglia, senza Pd addio sinistra.
Inserito da: Arlecchino - Novembre 07, 2015, 09:44:51 pm
Bersani: “Chi se ne va sbaglia, senza Pd addio sinistra. Nella manovra errori ma anche del buono”
L’ex segretario prende le distanze dalla mini-scissione.
Ma incalza il leader: “Darsi un profilo è importantissimo, non ci si rafforza pescando qua e là”


Di GOFFREDO DE MARCHIS
06 novembre 2015
   
ROMA -  Pier Luigi Bersani si accende un cigarillo. Non è il prezioso Romeo y Julieta donato da Matteo Renzi. "Forse sono demodè ma i regali fatti raccontandoli prima ai giornalisti non li gradisco. "Siamo uomini o caporali?" tanto per citare Totò che piace anche Renzi. L'ho lasciato a Speranza. Poi, i cubani sono dolciastri. Semmai mi fumo i toscani...". Dopo molto tempo l'ex segretario torna a parlare. Nel frattempo ha consegnato pillole del suo pensiero ipercritico con il premier: copia Berlusconi, l'abolizione della Tasi è contro la Costituzione, il Pd isolato e inconsistente. Insofferenza palpabile. Se ne sono anche andati via Fassina e D'Attorre, bersaniani in purezza. Come l'avvisaglia di qualcosa di più grosso. Ecco, premette Bersani, non è così. "Se io resto nel Pd non lo faccio perché ho una nostalgica passionaccia per la ditta, per motivi sentimentali. Lo faccio perché senza il Pd il centrosinistra non esiste perciò mi chiedo come fanno altri a pensare di costruirlo fuori dal Pd. La mia idea d'Italia sta qui. E se gli elettori abbandoneranno il partito, temo sia più facile che finiscano nelle braccia di Grillo piuttosto che in quelle di una sinistra che non è nel Pd".

Il "suo" Pd è ulivista, di centrosinistra, civico, diverso dal partito pigliatutto che sembra avere in mente il segretario. "Dare un profilo al partito è importantissimo. Lui pensa di rafforzarsi pescando qua e là, per me è il contrario. Più sei senza identità, più il tuo consenso è contendibile. Penso per esempio all'idea della Lorenzin: a Roma un bel patto trasversale dal Pd a Forza Italia intorno a Marchini. La via maestra per la vittoria dei 5stelle". Della manovra dice che non è il male assoluto. Ci sono cose "positive" e altre negative, a cominciare dal "balletto diplomatico e un po' ipocrita sulla sanità pubblica: duecento milioni sono tagli agli sprechi, dodici miliardi in tre anni sono il colpo di grazia, sparirebbe. Davanti alla salute per me non c'è nè ricco nè povero. Se un pensionato viene costretto a pagarsi la risonanza magnetica spende l'equivalente di due Tasi".

Il premier però spiega: non condanno il Pd al suicidio, la sinistra deve abbassare le tasse. La minoranza è il partito delle tasse?
"La legge di stabilità non si giudica con gli slogan. Chi sa leggere la manovra, dalla Corte dei conti a Bankitalia all'ufficio parlamentare del bilancio, esprime garbatamente una preoccupazione: oggi si fa una scommessa ardita ma dal 2017 può essere rimesso in discussione il percorso di risanamento. Allora, se vogliamo discutere sul serio, esiste un solo modo per mettere in sicurezza i conti: prendere, nel 2016, almeno un pezzo del programma antievasione proposto dal Nens. Solo così, tra clausole di salvaguardia, sovrastima dei tagli e andamento del deficit, proteggi i conti pubblici".

La crescita non basta?
"La crescita c'è, anche se a livello embrionale. Ma attenti agli slogan, ripeto, e all'ottimismo. Può diventare pericoloso anche a livello elettorale. Non basta dire: ho portato il bel tempo. Sa che fa la gente quando c'è il sole? Esce, si muove, si mette in libertà, va un po' dove gli pare. Proprio quando le cose prendono la piega giusta non è detto che gli elettori votino chi li ha messi in quelle condizioni favorevoli. In Polonia, che ha una crescita molto più alta, è successo proprio questo. Quindi bisogna rafforzare il proprio profilo, un profilo di centrosinistra. E occorre togliere gli impedimenti alla crescita. Si fa con investimenti pubblici e privati, il lavoro viene solo da lì. L'altro aspetto è la disuguaglianza, quella impedisce la crescita vera. In Parlamento, adesso, rafforziamo ciò che c'è di buono e correggiamo ciò che è sbagliato".

C'è del buono, quindi?
"Sì".

E' una notizia.
"L'ammortamento al 140 per cento sull'acquisto dei macchinari è un'ottima idea. Così come il ritorno dell'antico ecobonus. Se aggiungiamo qualche altra misura di questo tipo e la incentiviamo per il Sud, aiuteranno molto".

A proposito di disuguaglianza, viene introdotto il fondo per la povertà.
"Qualche soldino c'è, chi lo nega. Ma il vero contrasto alla povertà si regge su due gambe: welfare universale ovvero pensioni e salute, e fedeltà e progressività fiscali".

Si formerà un'asse contro il governo tra la minoranza e i governatori?
"Finora ho assistito a un balletto diplomatico mentre sarebbe giusto raccontare alla gente come stanno le cose: già nel 2016, ma ancora di più nel 2017 e nel 2018, i tagli previsti farebbero saltare il sistema sanitario. E' un punto interrogativo grande come una casa e bisogna uscire dall'ipocrisia".

Renzi dice che abolendo la Tasi si aiutano i pensionati non i benestanti. Lei invece parla di misura incostituzionale. Due mondi lontanissimi.
"Ho detto che è contro i valori della Costituzione. Ci vuole progressività: un terzo dei contribuenti quella tassa può pagarla a beneficio di altri interventi fiscali, come l'abolizione delle imposte sulle compravendite. In ogni caso, non mi piacciono certi slogan. Il centrosinistra non dice meno tasse per tutti. Dice meno tasse perché, a chi e per che cosa. Meno tasse per tutti è uno slogan da anarchismo dei ricchi. Meno tasse ok, ma per dare lavoro. E che le paghino tutti. Non puoi rubare il salario come cantava Pierangelo Bertoli, però non puoi nemmeno rubare agli altri italiani non pagando le imposte".

Renzi l'ha sfidata sul contante: vedremo se cambia qualcosa con il tetto a 1000 o a 3000 euro.
"Il tetto a 3000 euro facilita l'evasione a valle. Mi sembra quasi un insulto all'intelligenza spiegare che non è normale girare con 3000 euro in tasca. Chi lo fa o evade o ricicla. Dice Renzi: ma facciamo le banche dati. E io devo sentire un premier e un ministro del Tesoro che dicono queste cose? Il nero come fa a finire nella banca dati, su".

È una manovra di destra allora?
"Nell'insieme questa legge ha dentro degli spunti interessanti. Ma bisogna cautelarsi sulle prospettive e puntare di più su investimenti e riduzione delle disuguaglianze".

Voterà la fiducia?
"Non c'è bisogno della fiducia. Il Parlamento può migliorare la legge. Speranza e Cuperlo hanno presentato le correzioni necessarie".

La minoranza non rischia la sindrome del can che abbaia non morde? In fondo l'uscita di D'Attorre e Fassina si spiega anche così.
"Riconosco che la nostra posizione debba essere più netta, più visibile ma credo che l'alternativa noi dobbiamo costruirla nel Pd. Non sarò io, ovviamente. Sarà un altro e vedremo chi. L'alternativa è un Pd che non ammaina la sua bandiera, che non fa il partito della Nazione, che costruisce il centrosinistra ulivista, civico, riformista, moderno. Non sono contento, come invece sembra essere Renzi, del fatto che parecchi escano. In loro c'è un pezzo di forza del Pd. Ma ho anche qualcosa da dire a quelli che se ne vanno".

Cosa?
"Con Fassina e D'Attorre siamo d'accordo su ciò che serve all'Italia. Non serve un partito neocentrista. Loro escono dicendo che vogliono costruire un nuovo centrosinistra. Ma dove? Senza il Pd il centrosinistra non lo fai più. Se il Pd fosse irrecuperabile, quella prospettiva verrebbe cancellata, punto. E se è così la nostra gente va prima da Grillo che nella sinistra nascente".

Un bel viatico per il nuovo soggetto che nasce domani...
"Non lo dico con inimicizia, anzi spero che ci ritroveremo. Ma la penso così. E non credo che la sinistra nel Pd sia una ridotta indiana".

Se arrivano Verdini e altri forzisti può succedere.
"Per me è impossibile che il Pd perda la sua missione e cioè i suoi veri punti di forza. Pensare che la destra ti faccia fare il suo mestiere è alla lunga illusorio, velleitario. La destra esiste. Esiste ormai in maniera strutturale anche Grillo. Se non alzi le tue bandiere ti disarmi".

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06 novembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/11/06/news/bersani_chi_se_ne_va_sbaglia_senza_pd_addio_sinistra_nella_manovra_errori_ma_anche_del_buono_-126737952/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_06-11-2015


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS Il doppio forno di Renzi Su alcuni temi si dialoga con l'M5S
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2015, 07:10:17 pm
Il doppio forno di Renzi: "Su alcuni temi si dialoga con l'M5S"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
17 dicembre 2015

ROMA. Matteo Renzi ha preso atto della vittoria dei falchi sulle colombe dentro Forza Italia e la mozione di sfiducia al governo ha certificato un dato di fatto. "Con Berlusconi non si possono fare più accordi. E' incapace di tenere uniti i suoi. Se la loro linea è quella di scimmiottare Grillo e Salvini, allora tanto vale fare l'accordo con i Cinque Stelle", è stato il ragionamento del premier. Il minimo comun denominatore, quando gli azzurri lo trovano, ricalca semmai la linea Brunetta, cioè lo scontro frontale con il governo. Così è nato il cambio di rotta, che ironicamente il leader pd definisce il "Risveglio della forza". Ne ha parlato con il capogruppo Ettore Rosato, regista delle operazioni in Parlamento. "All'ultima votazione il 20 per cento dei deputati di Forza Italia non si è nemmeno presentato in aula - ha spiegato Renzi ai suoi collaboratori -. Senza contare quanti di loro hanno sabotato l'intesa". Era impossibile non mutare strategia. Tanto più con la benedizione di Sergio Mattarella, sempre più preoccupato dallo stallo sull'elezione di ben tre giudici costituzionali.

A quel punto Renzi ha persino usato la mozione di sfiducia individuale presentata dai grillini contro Maria Elena Boschi e ha provato a girarla a suo favore. "Secondo me, questo è il momento giusto per fare un accordo con Grillo". Perché i grillini avranno subito l'occasione di evitare la trappola dell'inciucio. "Loro hanno la mozione su Maria Elena. Possono fare casino lì. Ma adesso conta portare a casa i giudici".

Approfittare dell'attimo, dunque, senza farsi illusioni su collaborazioni future. E' vero che l'ala dialogante del Movimento 5stelle era la più soddisfatta dell'accordo e come notava un deputato del Movimento Luigi Di Maio in Transatlantico "camminava a un metro da terra". Ma il patto della Consulta non avrà un seguito. Anzi, la prossima settimana sarà di nuovo battaglia sul caso della Banca Etruria. Anche se a Palazzo Chigi contano di tornare a parlare con il Movimento: sulle unioni civili e sulla riforma delle banche, ad esempio.

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17 dicembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/12/17/news/il_doppio_forno_di_renzi_su_alcuni_temi_si_dialoga_con_l_m5s_-129642943/?ref=nrct-2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Azzollini, la linea bipartisan di Renzi: "Nessuno può ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 30, 2015, 06:02:40 pm
Azzollini, la linea bipartisan di Renzi: "Nessuno può impormi diktat, giusta la libertà di coscienza"
Il retroscena: il premier è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato.
Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza

Di GOFFREDO DE MARCHIS
30 luglio 2015

ROMA. La scelta della libertà di coscienza è di Matteo Renzi e sapeva che avrebbe contribuito a "salvare" Antonio Azzollini dall'arresto. Palazzo Chigi l'ha comunicata al capogruppo Luigi Zanda nei giorni scorsi e ha trovato il terreno giusto per farla passare senza problemi: "Qui erano in tanti ad avere dei dubbi sulla richiesta della Procura", ha replicato Zanda. Anche la scelta di far litigare i due vicesegretari del Pd, esponendoli su fronti opposti, va ricondotta direttamente al premier.

Nessuno dei due ha fatto la propria mossa prima di consultarsi con il segretario. E lui ha risposto: "Fate quello che credete giusto, quando c'è un voto libero, com'è normale per le misure cautelari, è giusto esprimersi altrettanto liberamente ". Così Debora Serracchiani ha coperto il lato giustizialista e imbarazzato del Partito democratico mentre Lorenzo Guerini difendeva la scelta dei senatori e cercava di calmare il furioso Zanda, scaricato da uno dei vertici di Largo del Nazareno, dopo aver concordato i passaggi con gli uomini del premier.

Renzi adesso è sicuro che non dovrà pagare un prezzo troppo alto per il voto di ieri in Senato. Perché la libertà di coscienza ha spaccato il Pd eppure non ha lasciato molte tracce nei rapporti con la minoranza, certo molte meno di quelle che dividono sulle tasse, sulla scuola, sulle riforme. Solo Gianni Cuperlo e Alfredo D'Attorre hanno contestato la posizione del partito. Soprattutto la sua incoerenza.

Dopo aver votato sì all'arresto in commissione, in aula la rotta è decisamente cambiata. "Ma la verità -  spiegano a Palazzo Chigi -  è che l'opportunità politica ci ha condizionato nella decisione della commissione, non nel successivo voto dell'aula ". Insomma, prima Renzi e il Pd si sono lasciati influenzare dal danno d'immagine che poteva venire dal no all'arresto.

Solo più tardi hanno seguito la via maestra, secondo il quartier generale del Pd: leggere bene le carte e lasciare ai senatori la "libertà di convincimento", come ha scritto Zanda. Come dire: non si deve smentire l'indirizzo garantista che Renzi ha impresso fin dall'inizio evitando dimissioni di sottosegretari indagati. Indirizzo che è un messaggio ai magistrati: non può essere la giustizia, fino alla condanna definitiva, a decidere chi e come può stare in politica. Soprattutto nessuno può pensare di mettere la politica sotto controllo.

Poi ci sono gli equilibri della maggioranza. Azzollini era stato scaricato dal Nuovo centrodestra, ma è stato il capogruppo dello stesso Ncd Renato Schifani a battersi perché ce la facesse sapendo di poter contare su una caratteristica particolare del senatore. Quella di aver fatto a lungo il presidente della commissione Bilancio, cioè di aver ricevuto richieste e pressioni per le risorse della legge di stabilità da una buona fetta dei membri di Palazzo Madama. Da moltissimi di loro.

La minoranza, con le sue voci sparute, chiede chiarimenti. E lo farà ancora nei prossimi giorni. Non tanto sull'arresto mancato ma sul progetto di fondo del renzismo, ossia il Partito della Nazione, una forza con il cuore a sinistra ma che pesca voti a destra. Sembrava tramontato dopo le amministrative, ma i dissidenti lo vedono affacciarsi di nuovo all'orizzonte. La vicenda Azzollini accostata alla presentazione del gruppo dei verdiniani alimenta il sospetto che il premier voglia sostituire i ribelli (e i loro voti tra la gente, pochi o tanti che siano) con pezzi della destra ( e i sentimenti di chi li ha votati per 20 anni). Questo è il vero punto di dissenso di Cuperlo e D'Attorre e l'accusa silenziosa di tanti altri.

Renzi comunque punta a uscire dalla vicenda come chi non è mai intervenuto nè a favore nè contro la soluzione finale. In questo senso, la doppia dichiarazione dei vicesegretari è stata "benedetta" a Palazzo Chigi. Del resto nè Serracchiani nè Guerini negano di aver consultato il segretario prima di parlare. La governatrice del Friuli Venezia Giulia aveva anche un obbligo in più per criticare la decisione dei senatori Pd. Segue direttamente la crisi di Molfetta, la città di Azzollini, dove il sindaco dem Paola Natalicchio si è dimessa contro il Pd locale, secondo lei troppo invischiato con la destra del posto, compreso il senatore Ncd. A difendere Natalicchio ci sono Vendola, Emiliano, Boccia, manca però la voce ufficiale del partito. Ed è la Serracchiani che prova a farla sentire fino in Puglia, anche con le sue parole su Azzollini.

Ma basta aver sparato contro il voto dopo e non prima che avvenisse? Cuperlo risponde di no. E l'allusione è a un gioco delle parti, per difendere la scelta vera di Renzi: libertà di coscienza e un esito scritto per la vicenda Azzollini.

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30 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/30/news/la_linea_bipartisan_di_renzi_nessuno_puo_impormi_diktat_giusta_la_liberta_di_coscienza_-120080065/?ref=fbpr


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Fini: "Meloni presuntuosa e sconclusionata.
Inserito da: Arlecchino - Marzo 19, 2016, 04:55:52 pm
Fini: "Meloni presuntuosa e sconclusionata.
Berlusconi? Altro che fascisti, non sa innovare"
L'intervista. "Roma, ballottaggio già scritto: Raggi e Giachetti"

Di GOFFREDO DE MARCHIS

17 marzo 2016
   
Fini: "Meloni presuntuosa e sconclusionata. Berlusconi? Altro che fascisti, non sa innovare"
ROMA. Proprio parlando di Roma Berlusconi ha rispolverato una categoria, "i fascisti", che nel 1993 aveva definitivamente archiviato indicando Gianfranco Fini come la scelta giusta per il Campidoglio. "È una battuta di cui non conosco le origini. Non so nemmeno chi ci sia nella lista Noi con Salvini, non li conosco e penso che non li conoscano neanche i romani, come si vedrà dai risultati elettorali. Il problema del centrodestra è molto più complesso di quella battuta. Anzi, direi che è un dramma". Fini è seduto nel suo studio da ex presidente della Camera. Il telefonino squilla spesso: "Sono gli amici che vogliono capire come andrà a finire a Roma".

Qual è il dramma?
"Che il centrodestra, come lo abbiamo conosciuto, è finito. Che ormai è nato un blocco di destra, che è naturale chiamarlo lepenista, formato da Meloni e Salvini divenuto il baricentro di quello schieramento politico, oggi".

E Berlusconi?
"Berlusconi vuole tenere unito tutto il fronte, federarlo come fece 20 anni. Un'impresa impossibile. Come fa la Merkel con Alternative di Frauke Petry o come Sarkozy con Marine Le Pen, Berlusconi dovrebbe considerare avversari Salvini e Meloni, non alleati. Purtroppo Silvio ha perso qualsiasi capacità innovativa e non per un dato anagrafico. Se qualcuno vuole farmi incazzare mi parli di rottamazione. Non è l’età che va cambiata, ma lo schema e Berlusconi avrebbe ancora qualche freccia da tirare".

Per esempio non mollando Bertolaso.
"Esattamente. Non lo farà e se anche fosse Bertolaso a ritirarsi, dubito che il giorno dopo Silvio darebbe l'appoggio alla Meloni. Nei prossimi 15 giorni potrebbero esserci delle sorprese".

Comunque sia non ha scelto Berlusconi la fine del centrodestra. Sono stati Salvini e Meloni a scaricarlo.
"Ma per Forza Italia può essere un'opportunità. Riprenda un'identità e un posizionamento che in termini di contenuto non sia solo quello di tenere unita la coalizione a ogni costo, non accetti mai più le parole d'ordine del blocco lepenista, faccia opposizione a Renzi ma con la cultura di governo che significa che non c'è bisogno di dire di no a tutto".

Lei chi voterà a Roma?
"Storace ha governato la regione, non ha pendenze penali ed è sicuramente il più competente. Sulla destra abbiamo idee molto diverse ma qui si sceglie il sindaco. Bertolaso è bravo nelle emergenze ma finora le ha gestite su direttive politiche di altri. Marchini ha fatto un'esperienza in consiglio comunale ed è trasversale. Meloni rappresenta una parte del mondo di An".

Quindi?
"Ho ancora un po' di tempo per decidere. Non voglio fare Ponzio Pilato ma direi che al momento il ballottaggio Giachetti-Raggi è già scritto".

Salvini sostiene che Bertolaso sia un candidato a perdere per coprire un patto con Renzi sulle aziende.
"Nella domanda c'è la risposta. E questo sarebbe un alleato?".

Meloni comunque è l'ultima scelta per lei.
"La sua candidatura è frutto del tatticismo e degli errori. È costretta a fare la corsa. Poteva dire di sì a Marchini, che ha persino vinto le primarie della Lega, invece Marchini mai. Venti giorni fa ha detto sì a Bertolaso poi ha detto di no. L'obiettivo di Giorgia non era far vincere il centrodestra ma rafforzare Fratelli d'Italia. Ha agito in modo sconclusionato e quando si è accorta che Storace raccoglie una base identitaria e ha la forza di un'esperienza amministrativa, ci ha ripensato altrimenti Fdi sarebbe stata asfaltata. Aggiungo che Meloni non parla con Storace, che pure può prendere il 5-6 per cento. Credo per presunzione. O forse per disistima".

Il punto è che Forza Italia ormai ha meno voti della Lega.
"Ma se insegue quei presunti alleati non attirerà mai più i voti dei cosiddetti moderati. Il primo passaggio di una nuova unità potrebbe essere il referendum costituzionale, il modo in cui si dirà no a Renzi".

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17 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/17/news/gianfranco_fini_giorgia_presuntuosa_e_sconclusionata_teme_storace_berlusconi_altro_che_fascisti_il_dramma_e_che_non_-135663899/?ref=HREC1-13


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Fermare Renzi", bufera sul consigliere Csm Morosini.
Inserito da: Arlecchino - Maggio 07, 2016, 11:50:09 am

"Fermare Renzi", bufera sul consigliere Csm Morosini. Orlando chiede chiarimenti
Il magistrato di Md, membro del Consiglio superiore, partecipa alla campagna del No al referendum: "Rischio democrazia autoritaria, bisogna bloccare il premier".
Il Guardasigilli chiede un incontro "formale" al vicepresidente del Csm Legnini che dice: "Inaccettabili attacchi al governo".
Ermini (Pd): "Sarei terrorizzato a farmi giudicare da uno come lui".


Di GOFFREDO DE MARCHIS
05 maggio 2016

ROMA - Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha chiesto al vice presidente del Csm Legnini "un incontro formale per un chiarimento" sulla vicenda dell'intervista del consigliere del Csm Piergiorgio Morosini pubblicata dal Foglio e smentita dal consigliere. Lo ha detto lo stesso Legnini durante il plenum del Consiglio superiore della magistratura che ha discusso la vicenda. "Sono inaccettabili gli attacchi a esponenti di governo e parlamento - dice Legnini -. Noi pretendiamo rispetto per le nostre funzioni, ma per farlo dobbiamo prima di tutto assicurare rispetto ai rappresentanti dei poteri dello Stato". Il vicepresidente del Csm prende atto della rettifica di Morosini, ma evidentemente, per lui, non basta.

Parlando con il Foglio, Morosini, ex Gip a Palermo oggi consigliere del Csm in quota Magistratura democratica, la corrente di sinistra, annuncia che parteciperà attivamente alla campagna per il No al referendum costituzionale. Girerà per le città, ha già pronto un tour. "Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria. Un rapporto equilibrato tra Parlamento e organi di garanzia va preservato. Per questo occorre votare No ad ottobre". Quindi, l'obiettivo è fermare Renzi, anche se Morosini precisa: "Non vedo l'ora di tornare in trincea", ovvero a fare il magistrato. "Al Csm è tutto politica. Correnti, membri laici...".
Durante il plenum del Csm, Morosini si difende: "Mi sento ferito. Le mie parole sono state travisate". Giovanni Legnini però non molla. Critica anche la partecipazione del consigliere alla campagna referendaria. Definisce "inaccettabili" anche i suoi giudizi sui colleghi Gratteri e Cantone, che nell'intervista vengono definiti "uomini Mondadori". Annuncia che porterà il caso anche al presidente della Repubblica che guida anche il Consiglio superiore. Interviene pure il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio: "Delegittimare i poteri dello Stato, denigrare i magistrati anch'essi servitori dello Stato lede l'immagine del Csm e l'indipendenza della magistratura".

Era già scoppiato il caso politico con la dura reazione del responsabile Giustizia del Pd David Ermini. Ma la presa di posizione di Orlando e Legnini sposta ora il terreno sul piano istituzionale.

"Avrei terrore a farmi giudicare da uno così", è la replica di Ermini alle parole di Morosini. Ennesimo atto dello scontro tra i democratici e le toghe. Durante la trasmissione Omnibus, Ermini critica le dichiarazioni del magistrato e si preoccupa per il suo ritorno in Procura. "Avrei terrore a farmi giudicare da uno così". Così politicizzato, intende.

L'intervista alimenta i sospetti che già serpeggiano a Palazzo Chigi da giorni, quelli di una manovra delle procure contro Renzi collegando l'inchiesta di Tempa Rossa, all'indagine sul presidente del Pd campano Stefano Graziano fino all'arresto di Simone Uggetti, sindaco di Lodi dem. Ma la linea non cambia. "Per noi garantismo non significa difendere i singoli indagati, anche quando pensiamo che siano puliti - spiega Ermini -. Significa invece ricordare tutti i provvedimenti anticorruzione che abbiamo approvato. Strumenti utili ai magistrati per combattere il fenomeno e anche per procedere più velocemente. Questo è anche il modo per non essere simili a Berlusconi nel rapporto con la giustizia. I magistrati dovrebbero riconoscerlo al Pd, invece di dire che non è cambiato niente".

Morosini conferma il "colloquio informale" con il Foglio, ma ne smentisce il contenuto: "Mi sono state attribuite delle affermazioni che non ho mai fatto e dalle quali prendo con nettezza le distanze. Prima fra tutte quella del titolo: non ho mai detto che Renzi va fermato". Smentita che non è bastata nè a Orlando nè a Legnini.

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05 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/05/news/il_pd_contro_morosini_membro_del_csm_fa_politica_come_puo_essere_un_giudice_imparziale_-139123757/?ref=HRER1-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Staino a Renzi: "Allarghi il cerchio magico, basta ...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 13, 2016, 01:01:12 pm
Staino a Renzi: "Allarghi il cerchio magico, basta circondarsi di fedelissimi"
Appello dell'inventore di Bobo sull'Unità: "Diamo un cuore al Pd".
Firma anche Francesco Guccini


Di GOFFREDO DE MARCHIS
09 giugno 2016

ROMA - "Lo statista è lui, tocca a lui tenere unito il partito. Allarghi il cerchio magico, basta con la logica dei fedelissimi". Sergio Staino, l'inventore di Bobo, il narratore a fumetti dei travagli della sinistra, pubblica oggi sull'Unità un appello a ritrovare l'anima del Pd, un'anima progressista e si rivolge in primo luogo a Matteo Renzi. L'appello ha già ricevuto il sostegno di Francesco Guccini, Sergio Givone, Massimo Cirri, Mario Primicerio e Silvio Greco. Si attendono altre firme.

Staino, stavolta se la prende con Renzi?
"Il mio appello è rivolto a tutti. Matteo però è il segretario, la responsabilità di unire il Pd è principalmente sua".

Non la sta esercitando?
"Lo aveva fatto all'inizio cercando una gestione collegiale. Penso alla presidenza del partito conquistata da Gianni Cuperlo e poi passata ad Orfini. Penso all'offerta della direzione dell'Unità allo stesso Cuperlo. Poi si è chiuso a riccio. Per esempio tante persone dentro al Pd, in modo scorretto, vivono il referendum costituzionale come l'occasione per far cascare il premier. Ma c'è tanta altra gente nella sinistra che ha dei dubbi in buona fede, sia sulla legge costituzionale, sia sulla legge elettorale. Possiamo ascoltare anche queste voci senza farci prendere dall'ira?".

Cosa deve fare Renzi?
"So cosa non deve fare. Non deve più fare il duro e basta. Nel partito ci sono tante sensibilità e soprattutto c'è molta umanità. Usi di più il cuore. Se vuole ricostruire un gruppo dirigente guardi al curriculum delle persone e non al loro posizionamento nel gioco delle correnti interne. A me dispiacerebbe molto se andasse a sbattere. Ma se non vuole sbattere deve cambiare qualcosa".

Sono in parte gli argomenti di Bersani.
"D'Alema e Bersani non vedono l'ora di riprendersi il partito, il giocattolo. Ma con tutto il rispetto per la loro storia, secondo me dovrebbero mettersi a fare film, come Veltroni. O il vino. Certo, meglio i film perchè almeno danno un contributo alla sinistra...".

E Renzi?
"Se lo statista è lui, deve fare la prima mossa per dare un cuore al Pd. Un partito di soli renziani doc non esiste, non fa molta strada. Non perdiamo l'anima di sinistra. Sono i nostri compagni".

Fassina compreso, che dà il titolo al suo ultimo libro?
"Fassina ha dato indicazione di votare scheda bianca al ballottaggio di Roma tra Raggi e Giachetti. Per me è irrecuperabile".

© Riproduzione riservata
09 giugno 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/06/09/news/staino_a_renzi_allarghi_il_cerchio_magico_basta_circondarsi_di_fedelissimi_-141624202/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-06-2016


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Olimpiadi a Roma Renzi prepara un nuovo affondo contro i 5S
Inserito da: Arlecchino - Giugno 18, 2016, 12:06:25 pm
Olimpiadi a Roma, Renzi prepara un nuovo affondo contro i 5 stelle
Il premier inaugura la nuova sede del volley, occasione per attaccare ancora Virginia Raggi e Beppe Grillo.
Presto andrà a Rio de Janeiro per i giochi brasiliani accompagnato dalla famiglia. Arrivo il 3 agosto, ritorno il 7.
Vedrà le gare dei suoi "amici" Nibali e Fiamingo


Di GOFFREDO DE MARCHIS
09 giugno 2016

ROMA - Che c'azzecca, nell'agenda di un presidente del Consiglio, l'appuntamento di oggi a mezzogiorno: inaugurazione della nuova sede della Federazione Italiana Pallavolo? C'entra molto se Matteo Renzi ha deciso di puntare tutte le carte, per rimontare la sfida della Capitale, sulla candidatura olimpica del 2024.

Il premier prepara dunque un nuovo affondo contro i "no" dei 5Stelle. Il sogno delle Olimpiadi viene individuato da Palazzo Chigi come il tema forte che consentirà a Roberto Giachetti di colmare lo svantaggio prima del secondo turno di domenica 19. Obiettivo: trasformare il ritorno alle urne in un "referendum" olimpico. La politica del "sì" contro i dubbi di Virginia Raggi, la politica dello sviluppo (posti di lavoro, Pil, riassetto urbano) contro la decrescita felice sempre sostenuta da Beppe Grillo.

Secondo Renzi questo è l'unico argomento in grado di spostare gli equilibri a Roma. "Tutti dicono che sono matto, ma penso che Roberto ce la possa fare", ripete continuamente il premier. E l'appuntamento di oggi è uno dei passaggi della sua campagna per i ballottaggi. Lontano dai candidati, con i quali non farà più manifestazioni pubbliche, ma vicino ai programmi che possono aiutarli a conquistare la vittoria.

La scelta della Federazione Pallavolo non è casuale. Il volley porterà alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che cominciano il 5 agosto, ben 30 atleti, il record assoluto di partecipazione per quello sport. Gareggeranno sia la squadra maschile sia quella femminile e per la prima volta l'Italia ha tre coppie nel beach volley: 2 maschili e una femminile.

Insomma, la pallavolo è un fiore all'occhiello della spedizione azzurra. Renzi ha stabilito un filo diretto con il presidente della Fipav Carlo Magri che è a suo modo un simbolo dell'anti-rottamazione: ha 76 anni e guida la pallavolo italiana da ben 21 anni. Ma tra i due c'è feeling. All'inaugurazione della nuova sede sarà presente anche il presidente del Coni Giovanni Malagò.

Roma 2024, Malagò: "Incontro con Raggi? Molto positivo, lei non è prevenuta"
Le Olimpiadi sono una scommessa di Renzi, a prescindere dal voto comunale. Il premier infatti volerà a Rio de Janeiro per i Giochi brasiliani. Arriverà il 3 agosto per l'inaugurazione di Casa Italia dove sono invitati tutti i membri del Cio (comitato olimpico internazionale), gli stessi che avranno l'ultima parola sulla città che organizzerà le gare del 2024. Il 4 assisterà all'alzabandiera nel villaggio olimpico e la sera vedrà il capo di Stato brasiliano. Il 5 c'è la cerimonia d'apertura, il 6 invece è giorno di sport.

Renzi vedrà dal vivo le prove di Vincenzo Nibali, il vincitore del giro d'Italia, e di Rossella Fiamingo, spadista catanese, campionessa mondiale, destinata a diventare uno dei volti più belli di questa edizione dei Giochi. 

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09 giugno 2016

Da – repubblica.it


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Vertice senza Renzi, il premier: "Un avvertimento, ma non..
Inserito da: Arlecchino - Settembre 26, 2016, 05:23:40 pm
Vertice senza Renzi, il premier: "Un avvertimento, ma non smetterò di criticare la Ue"
Il retroscena.
Il governo resta sulle posizioni di Bratislava: "Una palude che mette a rischio l’Unione"


Di GOFFREDO DE MARCHIS
24 settembre 2016

"NON VOGLIO essere complice di questa palude, di un clamoroso errore. Non voglio che si pensi, tra sei mesi, che ho assecondato una strategia che non funziona e anzi mette a rischio l'Europa". Renzi dice di non essere stupito dalla convocazione del direttorio franco-tedesco di mercoledì, officiante Juncker, che lo esclude e cancella in parte i risultati di Ventotene.

Non è nemmeno arrabbiato, garantisce parlando con i suoi collaboratori. Ma certamente, spiega, quel vertice senza l'Italia non fermerà la sua ondata di accuse all'Unione: per le regole vecchie, per il patto di stabilità inconcludente, per la gestione dei migranti e per il ritardo sulla crescita. "Continuerò a criticare la deriva dell'Europa con ancora maggiore intensità. Lo dico con convinzione assoluta. L'ho fatto anche in Emilia ripetendo che la sicurezza dei nostri figli viene prima dei rituali di Bruxelles".

Il film dell'incontro di Berlino, secondo il premier, è già scritto. "Fanno finta che sia un meeting sull'agenda tecnologica - spiega ancora ai suoi fedelissimi - ma il vero obiettivo è blindare un percorso che porta dritto al vertice di Roma 2017", quando nella Capitale si celebreranno, in primavera, i 60 anni della firma dei Trattati, con Renzi padrone di casa. "Vogliono arrivare a quella data con una specie di nulla di fatto. Come a Bratislava dove è finita come tutti sappiamo, con un documento vuoto e del tutto inutile".

Non esclude che i leader di Francia e Germania, insieme con il presidente della Commissione, gliela stiano facendo pagare. Troppi attacchi alla Ue, troppe richieste da parte dell'Italia. "Casualmente - ironizza - , dopo la rottura di Bratislava non vengo invitato. Conoscendo il modo di ragionare della Merkel si può interpretare l'appuntamento di Berlino come un segnale a me, un avvertimento. Ma deve sapere che per me non cambia nulla". Se l'Unione, e l'asse che la guida, puntano a fermare le proposte italiane, "devono essere consapevoli che io continuerò a martellare".

Se anche Giorgio Napolitano sposa le critiche a Bruxelles ma gli suggerisce di mantenere una dialogo con le istituzioni europee, il premier replica che lui non si può permettere di essere complice "di questo andazzo". E osserva con i suoi collaboratori: "Dopo lo schiaffo della Brexit, con Angela Merkel e François Hollande eravamo d'accordo che l'Europa avesse bisogno di un rilancio serio, di uno scatto. Ventotene rispondeva a questa logica. Poi è venuta Bratislava". Il premier ha già ricordato che le scadenze elettorali della Germania, della Francia (nel 2017) e anche dell'Italia (il referendum sulla riforma costituzionale) condizionano le scelte e le mosse dei leader. “Lo capisco, naturalmente". Ma non capisce come non si veda lo sbaglio di tanti messaggi che portano tutti a un solo risultato: "L'Europa non riesce a riformare se stessa".

Il meeting di Berlino, con quel copione scontato, per Renzi sarà la conferma di questa verità. Forse si poteva fare buon viso a cattivo gioco, forse si potevano ascoltare le rassicurazioni della Cancelliera che nega qualsiasi intento discriminatorio nei confronti dell'Italia, forse conveniva rimanere aggrappati agli incontri di Ventotene e al duetto con la Merkel di Maranello, avvenuti recentissimamente. Ma la preoccupazione di Renzi è quella di una "nuova occasione mancata", come dice al Washington Post. "Carpe diem", sintetizza. Ai fedelissimi ripete: “Il momento è adesso. O L'Unione riesce a rilanciare il suo progetto, le sue istituzioni o finisce male". E conclude: "Io non voglio essere complice della seconda ipotesi".

© Riproduzione riservata 24 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/24/news/ma_la_cancelliera_non_vuole_provocare_un_caso_italia_-148406581/?ref=HRER3-1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi rottama House of cards: "Ho smesso di guardarla...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2016, 12:46:42 pm
Renzi rottama House of cards: "Ho smesso di guardarla già dalla seconda stagione"
Il presidente del Consiglio, alla direzione del Pd nel 2014, aveva lanciato l'idea di creare una scuola di partito studiando anche le serie tv americane.
L'autore del libro Michael Dobbs all'epoca inviò al segretario dem un messaggio: "È solo intrattenimento e non un manuale di istruzioni"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
20 ottobre 2016

ROMA - La House of Cards è crollata, almeno agli occhi di Matteo Renzi. "In realtà ho smesso di guardare la serie già dalla seconda stagione, quando Frank Underwood uccide la giornalista. Va bene appassionarsi agli intrighi di potere, ma non esageriamo, mi è sembrato un po' troppo…".

La sera della cena di Stato, il premier e la moglie hanno avuto l’occasione di visitare la parte privata della Casa Bianca. Sono scesi dalla Yellow Oval insieme con Michelle e Barack Obama e nelle stanze dell’appartamento si sono preparati prima di presentarsi agli invitati. Proprio in quell’area, ricostruita in studio, si consumano le trame della coppia presidenziale, per fiction, Frank e Claire Underwood impersonati da Kevin Spacey e Robin Wright. Cinici, spietati, ambiziosi, senza scrupoli, pronti veramente a tutto, anche all’omicidio, per raggiungere l’apice.

La serie in verità piace moltissimo a Obama. Ma Renzi fece di più che giudicarla da spettatore. La indicò, con altri prodotti la cui trama ruota intorno al mondo della politica, come un elemento di formazione delle nuove classi dirigenti. "Proporrei - disse alla direzione del 29 maggio 2014 - di creare una scuola di partito". Ma non usando solo gli strumenti tradizionali. "Bisogna studiare - spiegò - anche le serie tv americane, so che qualcuno si mette le mani nei capelli ma imparare da un racconto è importante". Ma pochi giorni dopo fu lo stesso autore del libro Michael Dobbs che raccontò: "Quando ho saputo che Renzi aveva acquistato una copia in libreria di House of Cards ho ritenuto prudente inviargli una nota per ricordargli che il libro è solo intrattenimento e non un manuale di istruzioni".

Renzi non citò esplicitamente House of Cards, ma tutti pensarono a quell’opera. Lo fecero soprattutto gli avversari interni, che scambiarono l’interesse di Renzi per un’immedesimazione nel carattere del personaggio di Spacey: spregiudicatezza, cinismo, ambizione sfrenata. Ci tornò sopra Enrico Letta, detronizzato proprio da Renzi, con parole di totale disprezzo verso la serie. "Io detesto House of Cards, credo che sia la peggiore delle fiction televisive che si possa far passare, l’idea di politica che esce da lì è una politica tutta fatta di intrighi, di cose terrificanti". Parlava di Renzi usando la metafora del telefilm?

Adesso però, complice la visita a Washington, si scopre che anche il premier, dopo aver pensato di farne un modello, ha abbandonato Underwood. E forse vuole abbandonare anche un’immagine di sé.

© Riproduzione riservata
20 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/10/20/news/renzi_house_of_cards-150224839/?ref=HREC1-4


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una ...
Inserito da: Arlecchino - Novembre 03, 2016, 12:14:37 pm
Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una sola incompiuta: sarebbe stata un ottimo presidente della Repubblica"
La sua erede politica ricorda l'esponente della Dc: "Dalla Resistenza alla lotta alla P2, ha reso più forte la democrazia".
E commossa dice: "E' scomparsa proprio il giorno dei santi..."


Di GOFFREDO DE MARCHIS
01 novembre 2016

Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una sola incompiuta: sarebbe stata un ottimo presidente della Repubblica"

ROMA - Rosy Bindi aveva 38 anni. "Cominciai a fare politica con la candidatura alle Europee in Veneto, nel 1989. Lo feci solo perchè Tina Anselmi, il mio principale punto di riferimento, aveva rinunciato al seggio e mi aveva promesso il suo appoggio. Io venivo dalla Toscana e non avrei mai vinto quell'elezione senza il suo aiuto". Donna, cattolica fino al midollo, esponente della sinistra democristiana, in prima linea nella battaglia per la moralizzazione della politica. Le storie di Bindi e Anselmi hanno molto in comune. La presidente della commissione Antimafia infatti è sempre stata considerata l'erede di Tina Anselmi. Con la voce spezzata dalla commozione ricorda oggi quella madre putativa. Con il rimpianto "di non aver più potuto ascoltare la sua voce da troppi anni. Una delle malattie del nostro secolo l'ha inchiodata al silenzio". Però anche nella morte Bindi vede un segno. "Dopo questa malattia infinita è scomparsa proprio il giorno dei santi...". Sta proponendo una canonizzazione? "Non ce n'è bisogno. Senza salire sugli altari ha servito il Paese seguendo gli indirizzi della sua confessione. E' stata quello che è stata anche perchè era una donna di fede". 

Nei ricordi di queste ore Tina Anselmi è per tutti una grande italiana. In che cosa?
"Ha costruito la Repubblica con la Resistenza. Ha reso forte la nostra democrazia come democratico cristiana, come donna delle istituzioni legando il suo nome a una grande riforma come quella della sanità. E' stata la prima donna ministro. Ha combattuto i poteri occulti presiedendo la commissione P2. Un percorso straordinario, direi".

Un percorso completo?
"Per tutti noi resta una pagina incompiuta. Tina Anselmi poteva essere un ottimo presidente della Repubblica. Sarebbe stata la prima donna e una donna che era d'esempio per tante italiane. Eppure questa incompiuta rende ancora più forte la sua testimonianza. E' sempre stata un punto riferimento del mondo cattolico. Non la sola, ma del suo livello erano in pochi".



Quale esperienza ricordava con più entusiasmo?
"La radice repubblicana e costituzionale della sua esperienza di staffetta partigiana, con il nome di battaglia Gabriella. Era una donna della Costituzione anche se non aveva partecipato alla Costituente. Non dimenticava mai le fondamenta e non soltanto per motivi evocativi, ma perchè da lì tutto nasce e cresce. Certo, anche la presidenza della commissione sulla loggia P2, che chiude il suo ciclo politico. L'inizio e la fine, della sua vita pubblica. Personalmente poi non posso dimenticare il sostegno per la moralizzazione della Democrazia cristiana durante la vicenda di Tangentopoli. Senza di lei, senza Maria Eletta Martini e Rosa Russo Jervolino per parlare solo delle donne, la battaglia avrebbe incontrato molti più ostacoli".

Come interpretava il rapporto con il potere?
"La sua storia parla da sé. Con la schiena dritta. Come tutti quelli che fanno politica, con il potere ci devi convivere. Ma lei lo ha fatto con quella libertà che bisogna avere verso gli interessi forti e i poteri occulti. Il suo è stato un comportamento integerrimo".

Anche la lotta ai poteri deviati è un'incompiuta?
"Dal mio punto di osservazione, la commissione Antimafia, sì. E' complicato pensare alla lotta alle mafie senza fare i conti con i poteri che le sostengono, che interloquiscono con la criminalità organizzata. E tra questi c'è sicuramente la massoneria deviata".

Il suo ultimo ricordo?
"Siamo andate a trovarla, un gruppo di noi. E ci ha riconosciute, nonostante la malattia. Ci siamo abbracciate".

© Riproduzione riservata
01 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/01/news/_una_vita_straordinaria_con_una_sola_incompiuta_sarebbe_stata_un_ottimo_presidente_della_repubblica_-151072082/?ref=nrct-3


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. L'ex premier rientra a Roma con un piano per rinnovare la..
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 12, 2017, 05:24:57 pm
L'ex premier rientra a Roma con un piano per rinnovare la segreteria. Spazio a sindaci e associazioni

Di GOFFREDO DE MARCHIS
10 gennaio 2017

ROMA - Ripartire dai punti deboli evidenziati nel referendum del 4 dicembre: il voto dei giovani e il rapporto con gli intellettuali. Matteo Renzi torna oggi a Roma (per fare ritorno a casa domani, il giorno del suo compleanno) ed è chiamato a fare quello che ha fatto poco in tre anni: il segretario del Pd. Le priorità sono la squadra, sulla quale fondare il Pd che andrà alle elezioni, e il profilo identitario del partito. "Ma non sarà un reset - dice il leader dem - Il renzismo non è un incidente di percorso, una parentesi della storia. Questo Pd rappresenta ancora la sinistra riformista italiana".

Anche se pubblicamente l'analisi della sconfitta è stata veloce e non molto approfondita, la pausa natalizia è servita a Renzi per fare luce sui suoi difetti e su quelli del Partito democratico. Il segretario ha in mente un "piano giovani" che parta non dalle ideologie ma dalle proposte: partite Iva, ricerca e innovazione, strumenti previdenziali per i precari. Tre o quattro politiche concrete, dicono i suoi fedelissimi, che spostino l'asse generazionale. Oggi il bacino degli under 40 è in gran parte appannaggio dei 5 stelle. Se non si lavora su quella fascia d'età, le elezioni sono perse sicuro. A questa parte del programma lavoreranno Tommaso Nannicini, per gli interventi economici e sociali, e il presidente dell'associazione Volta Giuliano Da Empoli per la parte innovazione. Il segretario immagina anche un appuntamento nazionale sulle politiche giovanili che raduni le idee e le metta in circolo.

Il rapporto con gli intellettuali, un pallino della sinistra fin dai tempi del Pci, è un'altra debolezza del renzismo. È un mondo che giorno dopo giorno ha preso le distanze dal Renzi premier, la cultura che aveva molto spazio alle Leopolde degli esordi, ha lasciato solo l'ex premier. Lo scrittore, ex magistrato ed ex senatore Gianrico Carofiglio entrerà nella nuova segreteria e toccherà a lui tenere i fili con studiosi, artisti, professori. Ma non basta. Renzi ha letto i "manifesti" post referendum sul futuro della sinistra di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani (lo ha convinto più il secondo del primo). Il suo Pd dev'essere ora in grado di proporre una piattaforma alternativa convincente e attrattiva. Rilanciando il renzismo, su una base più studiata.

La squadra è anche importante. L'intenzione di Renzi è l'azzeramento della segreteria, con l'eccezione dei due vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani e di Filippo Taddei, il responsabile economico. Per farlo senza traumi ha bisogno di un criterio: fuori tutti i parlamentari che sono oggi 15 su 18. E spazio ai "territori" con il giovane sindaco di Mantova, Mattia Palazzi, 37 anni, ex Arci, nuovo pupillo renziano, al quale verrebbe affidato lo scouting di nuove leve per il Pd, il primo cittadino di Reggio Calabria Falcomatà e forse quello di Ercolano Bonajuto. Piero Fassino andrà agli Esteri. Il ministro Maurizio Martina (non parlamentare) entrerà, non all'organizzazione dove Renzi vuole mettere un fedelissimo. Ma i nomi della segreteria sono legati all'obiettivo principale di Renzi: le elezioni a giugno. Togliere tutti i parlamentari significa farsi qualche "nemico" tra coloro che dovranno staccare la spina a Paolo Gentiloni. Dunque, il repulisti non è ancora deciso in via ufficiale.

E il congresso? Non è nella testa di Renzi che pensa al suo viaggio in Italia in chiave elettorale anziché congressuale. Ma Michele Emiliano lo tallona e dalla Puglia è partito un documento che chiede il congresso subito firmato, tra gli altri, da Francesco Boccia e Dario Ginefra. "Le assise sono inevitabili, anche se si vota a giugno - dice Boccia - Serve a tranquillizzare il Pd, serve anche a Renzi se non sceglie l'autolesionismo di chi si chiude nel suo cerchio stretto".

© Riproduzione riservata 10 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/10/news/pd_renzi_squadra-155719033/


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Governo, l'irritazione di Palazzo Chigi per la mozione ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 11, 2017, 11:51:26 am
Governo, l'irritazione di Palazzo Chigi per la mozione anti tasse dei renziani
I sottoscrittori non mollano: "Votare la manovrina? Vedremo".
Questa partita fiscale sembra ormai la chiave principale per determinare la caduta di Gentiloni e la corsa verso il voto. Molto più della legge elettorale o del dibattito sul congresso del Pd.
Ma Palazzo Chigi smentisce


Di GOFFREDO DE MARCHIS
10 febbraio 2017

ROMA - Fastidio di Palazzo Chigi. E fastidio del ministero dell'Economia. È il risultato della mozione parlamentare contro il governo Gentiloni promossa da un gruppo nutrito di deputati renziani per il possibile aumento delle accise su benzina e sigarette. Si conferma così l'incrinatura, almeno su questo fronte, tra il premier e Matteo Renzi, in un momento molto complicato per il Pd, alla vigilia della direzione di lunedì.

Al dicastero retto da Pier Carlo Padoan si predica l'understatement ("non entriamo nelle dinamiche parlamentari") ma il giudizio sul documento dei renziani è durissimo: "Fuori dalla realtà". Si ricorda infatti che Padoan è lo stesso ministro che ha sempre sostenuto il calo delle tasse in totale sintonia con Renzi. Ma oggi il bivio è molto chiaro, a prescindere dalla minaccia di una procedura d'infrazione: se si aumenta il deficit si aumenta il debito pubblico. Se sale il debito pubblico aumenta la spesa per interessi che invece, tenuta sotto controllo, ha portato 45 miliardi di risparmi negli anni 2014-2015-2016, ovvero i mille giorni renziani. Una cifra da super manovra economica nemmeno paragonabile ai 3,2 miliardi che ci chiede oggi Bruxelles.

A Gentiloni non è piaciuto l'attacco diretto mentre si trovava a Londra per parlare con Theresa May e intervenire alla London School of Economics attraverso "pensosi documenti sulle imposte", dicono con una certa ironia a Palazzo Chigi. Anche perché le 40 firme sotto la mozione sono un macigno sul lavoro di raccordo con la commissione e sulle misure da adottare per colmare l'extradeficit. Ma l'ufficio stampa di Palazzo Chigi smentisce: "E' infondata e fantasiosa qualsiasi reazione alla mozione Pd attribuita al presidente o alla presidenza del Consiglio".

Roberto Giachetti, deputato gentiloniano, si limita a dire che "una mozione di quella rilevanza che coinvolge direttamente le politiche dell'esecutivo viene di solito promossa dall'intero gruppo parlamentare, non da una serie di parlamentari. Io non l'ho firmata perché non l'avevo neanche vista. Ma di regola firmo o quelle del gruppo o quelle promosse da me". Il capogruppo Ettore Rosato però non fa un dramma del documento presentato da Edoardo Fanucci. E un renziano di peso dice: "I parlamentari sono liberi di prendere l'iniziativa. Volevano marcare una distanza rispetto al messaggio che è uscito sulle accise. E forse far capire al governo che prima di prendere certe decisioni, Padoan si deve confrontare con noi".

Appeso com'è alla direzione di lunedì, il Partito democratico è in stato confusionale. Ma cosa succederebbe se l'esecutivo procedesse sulla strada tracciata da Padoan per la manovrina correttiva? I renziani della mozione voterebbero la correzione dei conti in aula? "Vediamo - dice Anna Ascani -. Se proprio dobbiamo andare avanti con questo governo e io spero al contrario che si voti prima, a giugno, Padoan venga a spiegarci di cosa parliamo. Poi discuteremo e valuteremo".

Il promotore della mozione Edoardo Fanucci prende tempo: "Siccome le tasse su benzina e sigarette cambiano tutta la politica fiscale del Pd ci vuole prima una discussione in Parlamento. Alla fine io farò il soldato e voterò come decide la maggioranza". Ma l'impressione è che questa partita fiscale sia ormai la chiave principale per determinare la caduta del governo e una corsa verso il voto. Molto più della legge elettorale o del dibattito sul congresso del Pd. E che anzi serva a impostare tutto il tono del discorso che Renzi pronuncerà lunedì.

Comunque la mozione sta diventando oggetto di scontro tra le varie anime dem. Francesco Boccia, che chiede da sempre il congresso subito accanto a Michele Emiliano, parla di un testo "strumentale. È evidente che si tratta di una mozione politica che non entra nelle dinamiche economiche, sarebbe opportuno sapere se è stato il Partito ad ispirarla perché in quel caso sarebbe molto grave".
 

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10 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/10/news/l_irritazione_di_palazzo_chigi_per_la_mozione_anti_tasse_dei_renziani-157999674/?ref=HREC1-2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Gentiloni, il pressing di Europa e Colle allunga ...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 06, 2017, 04:11:48 pm

Gentiloni, il pressing di Europa e Colle allunga l'orizzonte del governo
Retroscena: svanisce l'ipotesi di elezioni a settembre.
Sui voucher l'intenzione di correggerli con i sindacati. Referendum, data in arrivo

GOFFREDO DE MARCHIS
06 marzo 2017

ROMA. "Sulla durata del governo decide Gentiloni", aveva detto sibillino Matteo Renzi  domenica scorsa in tv. Una settimana dopo, Paolo Gentiloni gli comunica, sempre in tv, che ha deciso: il suo esecutivo dura fino a febbraio 2018, la fine regolare della legislatura. L'asse Gentiloni-Mattarella ha deciso che il percorso è questo, che non si può scrivere il Def, il documento di programmazione economica, senza collegarlo direttamente alla legge di bilancio (da presentare a metà ottobre), che va pensata un'agenda di riforme con il passo più lungo del giorno per giorno. Poi c'è il pressing europeo per avere garanzie sulla stabilità dell'Italia: si è fatto sempre più forte e insistente. Così come una pressione interna del mondo economico e imprenditoriale. Compresi quelli che hanno votato Sì al referendum di dicembre, osservano a Palazzo Chigi. Cioè, a favore di Renzi.

In questi sette giorni si è abbattuta anche la tempesta giudiziaria che investe il giglio magico e il padre dell'ex segretario, Tiziano. Una coincidenza. Non il fattore determinante per il cambio di passo di Gentiloni. Ma così "sono maturate tutte le condizioni" per far capire a Renzi che occorre variare lo schema e non si può stare fermi in attesa che venga confermata la sua leadership del Pd. Niente elezioni anticipate, dunque. La finestra di giugno era già chiusa causa primarie fissate il 30 aprile. Ora vengono sbarrati anche gli infissi per un'improbabile chiamata alle urne a fine settembre, sulla quale però l'ex segretario continua a coltivare il sogno. Il premier in carica si trasforma da "provvisorio" in definitivo. Da governo a tempo, qualche mese e via, Gentiloni allunga l'orizzonte fino al traguardo finale. Da sprinter a maratoneta.

Lo strappo, il premier lo fa alla sua maniera. Non ingaggia un braccio di ferro, si limita ad aspettare il tempo giusto per dettare le sue condizioni. C'è un'intesa con Renzi? Evidentemente no. Ma sono le circostanze a incaricarsi di mostrare al predecessore di Gentiloni che il quadro è mutato. "Non mi pare che abbia detto niente di nuovo. Non vedo la novità", dice l'ex segretario ai suoi collaboratori. Segno che la mossa di Gentiloni non era concordata.

Il presidente del Consiglio non poteva attendere oltre. Non a caso il suo allungo arriva alla vigilia del vertice a quattro di oggi Italia-Germania-Francia-Spagna e a pochi giorni dal consiglio europeo. L'Unione ha bisogno di certezze. Gentiloni e Pier Carlo Padoan devono presentarsi al tavolo delle istituzioni continentali con un mandato pieno e non a termine. "Altrimenti non li salutano più neanche gli uscieri", scherza un gentiloniano. Il realismo si è imposto sulla lealtà, che è la cifra del rapporto tra Gentiloni e Renzi. Lo stimolo e il sostegno di Sergio Mattarella hanno fatto il resto, anzi moltissimo. Lo "scatto di reni" è frutto anche del pressing del presidente della Repubblica. "Non si può essere rassicuranti se non si è operosi", dice un deputato che fa da ufficiale di collegamento tra Palazzo Chigi e il Quirinale citando la battuta pronunciata da Gentiloni nel salotto di Domenica In.

L'operosità comincia dalla decisione sulla data del referendum sui voucher. Il consiglio dei ministri, secondo la volontà del premier, potrebbe fissarla già questa settimana. Al massimo, la prossima. Nel frattempo va avanti il dialogo con i sindacati per varare un provvedimento sui "ticket" lavorativi che depotenzi il quesito. "Vogliamo una soluzione concertata, ma fatta bene. Non una misura tampone. Una norma che duri nel tempo", dicono a Palazzo Chigi.

Il pacchetto economico è un altro tassello dell'orizzonte lungo. Il Def va presentato entro il 10 aprile e deve avere un legame con la legge di stabilità. Gentiloni vuole puntare tutte le risorse sull'abbassamento delle tasse del lavoro. Questa sarà la base della manovra economica di autunno e va disegnata già nel documento di programmazione. Tenere tutto assieme serve all'Italia per avere un dialogo in Europa. Ed è la richiesta pressante che viene anche dal mondo produttivo italiano. La stabilità dunque è necessaria, non un optional.

Per questo non si può attendere il 30 aprile, la data delle primarie.

Bisogna subito scrivere un'agenda di riforme, anche se il Pd è in uno stato di sospensione. Ma quella data, per Renzi, è destinata a segnare un punto di svolta: un segretario legittimato dal voto di milioni di italiani sarà in grado di dare le carte. E di cambiarle.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/06/news/il_retroscena_svanisce_anche_l_ipotesi_di_elezioni_a_settembre_per_garantire_al_premier_e_a_padoan_mandato_pieno_nel_tratt-159848448/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P4-S1.4-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi a Gentiloni: "Come si va avanti così?".
Inserito da: Arlecchino - Aprile 07, 2017, 12:49:00 pm
Renzi a Gentiloni: "Come si va avanti così?". E fa appello al Quirinale
Il Colle stupito per la richiesta di incontro: non entriamo nelle dinamiche politiche

Di GOFFREDO DE MARCHIS
06 aprile 2017

"La legge elettorale ce la scordiamo, ma c'è anche un problema per la maggioranza di governo. Cosa fa Gentiloni, come pensa di andare avanti?". Con queste poche parole, filtrate da alcuni messaggeri, Matteo Renzi ha scatenato la reazione dei fedelissimi puntando dritto, stavolta, al cuore di Palazzo Chigi e del premier. Ha trasformato la sconfitta incassata nella commissione Affari costituzionali del Senato nel secondo round del confronto-scontro tra Pd renziano ed esecutivo, dopo quello ingaggiato l'altro ieri col ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan.

L'ordine è stato chiaro: drammatizzare, alzare il livello della polemica, paventare la crisi di governo, incalzare "Paolo" sulla tenuta della sua maggioranza e dunque del suo gabinetto. Per coltivare ancora il sogno di elezioni anticipate in autunno, dicono alcuni. Per accentuare il profilo di partito di lotta e di governo, dicono altri. Tanto più ora che arrivano le scadenze sull'economia: manovrina, Def, infine legge di bilancio.

Ma questo "giochino", come lo chiamano a Palazzo Chigi, sta logorando il rapporto tra Gentiloni e Renzi. Il premier ieri era molto infastidito per i resoconti sull'assemblea del gruppo dem con il titolare del Tesoro. E ha considerato una esagerazione assoluta la richiesta di colloquio avanzata in serata da Matteo Orfini e Lorenzo Guerini. La sua posizione è netta: l'episodio è grave, Alfano adesso espellerà il suo senatore Torrisi, poi però la storia finisce. Punto e a capo. Certo, la legge elettorale avrà vita difficile, ma il governo deve pensare al Def, alla correzione dei conti, al G7 di Taormina. Se il can can dura più di 48 ore, Renzi esca allo scoperto e non si limiti a enfatizzare una vicenda minore.

Gentiloni sa bene di avere, sulla linea dura, le spalle coperte da Sergio Mattarella. "Questa, il presidente, non gliela fa passare liscia", avvertono i gentiloniani rivolti a Renzi. Persino Roberto Giachetti, che della legge elettorale maggioritaria ha fatto la sua bandiera, minimizza e non segue la direttiva della drammatizzazione: "Il presidente di commissione conta, ma se c'è una maggioranza che si mette d'accordo per cambiare la norma, andiamo avanti lo stesso. Detto questo, gli scissionisti sappiamo come si muovono: solo per distruggere il Pd".

La richiesta ufficiosa di un colloquio, da parte dei luogotenenti Pd, ha sorpreso molto il Colle. Sproporzionata rispetto al problema, fuori contesto per una storia tutta dentro le dinamiche parlamentari. "A meno che il Pd non ci voglia comunicare che il governo non può più proseguire", è stato il commento del Quirinale. Se fosse così, è il sottinteso, Mattarella farebbe di tutto per fermare questa operazione. Al momento, però, i dem non sembrano intenzionati a tirare la corda fino a quel punto.

Gentiloni invece non ha potuto dire di no alla richiesta di un chiarimento. Nel pomeriggio ha ricevuto la telefonata di Orfini e Guerini che hanno definito la maggioranza "deteriorata" e hanno chiesto al premier di intervenire. Soprattutto per inchiodare Alfano alle sue responsabilità di leader del neo-presidente della commissione Affari costituzionali del Senato. "Devi immediatamente chiedere le dimissioni di Torrisi", ha spiegato Gentiloni al ministro degli Esteri. Che ha eseguito. Poi il premier ha ricevuto Orfini e Guerini a Palazzo Chigi, con l'aria di chi pensa "vediamo dove vanno a parare". Ma il Pd è il suo partito, non poteva sottrarsi. E lui si sente pienamente dentro la vita dei dem: domenica parteciperà anche all'assemblea (Convenzione) che proclamerà i primi risultati del congresso. Sicuramente, Gentiloni non vuole rompere il legame con il Pd e tantomeno con il probabile nuovo segretario, ovvero Renzi. È convinto che si possa recuperare il dialogo. E che lo scenario, a parte alcuni strappi, non cambierà anche dopo il 30 aprile, quando Renzi potrebbe ottenere l'investitura popolare.

Del resto, al premier l'ex segretario ha fatto arrivare anche altri messaggi. Di arrabbiatura per l'occasione quasi certamente perduta di cambiare la legge elettorale. "Che tristezza, mettono gli interessi personali davanti all'interesse del Paese", ha detto appena consumato il tradimento in Senato. Messaggi di una reazione dettata dal dispiacere del "piattino" confezionato dai senatori, di avere tutti contro nel tentativo di riformare l'Italicum. "Frutti avvelenati del referendum", li definisce un renziano. Ci sono anche questi elementi, nel movimentismo di Renzi in vista delle primarie. Ma c'è soprattutto un partita delicata con il governo. Appena all'inizio.

© Riproduzione riservata 06 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/06/news/renzi_a_gentiloni_come_si_va_avanti_cosi_e_fa_appello_al_quirinale-162305287/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La prima mossa di Renzi sulle alleanze: "So che il Pd non..
Inserito da: Admin - Maggio 01, 2017, 05:31:03 pm
La prima mossa di Renzi sulle alleanze: "So che il Pd non può fare da solo ma siamo gli unici veri anti-Grillo

Così il neosegretario vuol spendere la vittoria. "Non inseguirò le urne, cercherò intese con le persone, non con i partiti".
La legge elettorale piace com'è: piccole modifiche. Della riforma i dem parleranno con i 5Stelle e con FI, che però temono il voto anticipato

Di GOFFREDO DE MARCHIS
01 maggio 2017

IL MILIONE di votanti in meno? "Ma due milioni sono tantissimi, è un risultato impressionante. E l'affluenza della volta scorsa appartiene a un'altra era geologica ". Matteo Renzi festeggia a Largo del Nazareno.

Renzi ha davanti altri quattro anni di segreteria del Pd con il sostegno di una larghissima maggioranza. "Persone in carne e ossa, il sale della democrazia". Eppure il voto delle primarie conferma ciò che Renzi ha capito fin dal 4 dicembre: per tornare a Palazzo Chigi il Pd non potrà più fare da solo, avrà bisogno di alleati o della grande coalizione e c'è ancora da lavorare per rianimare il Partito democratico nel gradimento degli elettori. Perciò Paolo Gentiloni può stare più tranquillo, come dice il vice segretario Maurizio Martina (che è anche ministro): "L'orizzonte dell'esecutivo è il 2018". L'eventualità del voto anticipato va tenuta viva solo "come alternativa credibile e praticabile", spiega un renziano di prima fila. "È un modo per alzare l'asticella, mantenere alta la guardia sulle riforme e sulla legge di bilancio".

Renzi si rimette in cammino e, se non si vota prima, ha un anno di tempo per ritrovare il feeling con il Paese. Si muove, a volte, come se ci fosse ancora un sistema ipermaggioritario concentrando su di sé l'attenzione ma ormai da mesi pensa nell'ottica del proporzionale, come gli impone la realtà. "Il Pd è vivo, siamo ancora noi gli anti Grillo ", dice agli altri dirigenti nelle stanze del Nazareno dove si celebra la vittoria. Sa che non basta.

Il voto anticipato in autunno è un'opzione ma intorno al leader si moltiplicano le "colombe". E non si parla, in questo caso, dei soliti Dario Franceschini o Piero Fassino. Nella categoria rientrano alcuni renziani della prima ora o fedelissimi. C'è Luca Lotti, per esempio. E Matteo Orfini, Lorenzo Guerini, lo stesso Martina. Lo stesso Renzi, nei colloqui con i membri del gruppo ristretto, ammette che è quasi impossibile "replicare lo schema di tre anni fa" quando appena eletto segretario con tre milioni di partecipanti alle primarie, con quella forza d'urto, il Pd provocò la caduta di un governo guidato da un suo esponente: Enrico Letta. Per molti motivi il bis appare complicatissimo. Siamo, per l'appunto, in un'altra era geologica. Perché a Palazzo Chigi c'è Gentiloni, molto vicino a Renzi, perché non esiste la possibilità di insediare un nuovo esecutivo a conduzione Pd ma l'altra opzione è soltanto il voto. In un quadro confuso e con un esito incerto. Eppoi non va sottovalutato il ruolo di Sergio Mattarella che finora ha sempre resistito agli strappi renziani e chiede un ritocco alla legge elettorale. Anzi, lo considera obbligato.

La riforma del sistema di voto è un rebus, viene usato dalle altre forze politiche per ordire trame ai danni del Partito democratico. Questo pensa Renzi. Il quale infatti è favorevole a mantenere le leggi elettorali così come sono: l'Italicum senza ballottaggio alla Camera e il proporzionale con sbarramento all'8 per cento. A questo punto, tramontato il sogno di un vincitore chiaro la sera delle elezioni, il neosegretario dem punta sullo status quo. Il miraggio del 40 per cento che fa scattare il premio di maggioranza del 54 a Montecitorio va coltivato ed è comunque propedeutico allo slogan del voto utile, che marginalizza i partiti minori. Lo stesso vale per Palazzo Madama dove il voto utile può essere richiamato perché la soglia dell'8 per cento è uno spauracchio per tutti, ad eccezione di Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini (ma solo al Nord). Oltretutto l'assetto attuale consente al Pd di non infilarsi in una discussione sulle alleanze rinviando il discorso al Parlamento. Un buon modo per evitare il "dibattito" a sinistra.

Però qualcosa va fatto, secondo le indicazioni chiare del Quirinale. Almeno il tentativo minimo, magari l'armonizzazione delle soglie: anche se scendono al 5 al Senato (ma alla Camera salgono dal 3) il richiamo della foresta a non gettare i voti dalla finestra può funzionare. Comunque Renzi vuole vedere le carte in questa settimana. Il Pd parlerà con i 5stelle, lo farà anche con Forza Italia. Sapendo tuttavia che Berlusconi non vuole andare a votare prima del 2018 e quindi non si fiderà a modificare qualcosa prima dell'ultimo momento. "E Grillo idem. Ha paura delle urne. Gli unici che non hanno paura siamo noi, lo abbiamo dimostrato anche oggi ", dice Renzi.

Ma adesso è anche il momento di esaminare i dati. Il calo di affluenza nelle regioni rosse segna, in alcuni casi, il 50 per cento. Significa che la scissione dei bersaniani ha lasciato delle cicatrici? È probabile. Renzi può usare quest'anno di tempo per ricucire rapporti con gli elettori, ritrovare sponde, recuperare consenso. Si è capito ieri che questo messaggio si è radicato nella mente del nuovo-vecchio segretario. Il "nuovo inizio che non è una rivincita" vuole dire che la strada è ancora lunga. E Renzi lo sa.

© Riproduzione riservata 01 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/primarie-pd2017/2017/05/01/news/la_prima_mossa_di_renzi_sulle_alleanze_so_che_il_pd_non_puo_fare_da_solo_ma_siamo_gli_unici_veri_anti-grillo_-164345282/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Elezioni in autunno, governo prepara il piano: serve un...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 05, 2017, 12:00:52 pm
Elezioni in autunno, governo prepara il piano: serve un decreto sull'Iva

C'è il rischio che scattino le clausole di salvaguardia dal primo gennaio 2018: una stangata da 19,6 miliardi. Telefonata di disgelo tra Renzi e Calenda. Preoccupazione del Quirinale

Di GOFFREDO DE MARCHIS
30 maggio 2017

ROMA - Collegato alla legge elettorale, praticamente una sua appendice, e al voto anticipato a settembre-ottobre, il governo Gentiloni pensa a un decreto sull'Iva. È l'unica soluzione per evitare che l'eventuale esercizio provvisorio, figlio di un Parlamento frammentato e senza maggioranza, conduca dritti dritti all'applicazione della clausole di salvaguardia, che sono già legge dello Stato. Scattano il primo gennaio del nuovo anno e portano l'imposta sul valore aggiunto dal 10 per cento al 13 per i beni di largo consumo e dal 22 al 25 per cento per gli altri beni. Totale della stangata: 19,6 miliardi. Il decreto sarebbe chiamato a evitare che l'Iva aumenti automaticamente. Lo farebbe rinviando di tre mesi, al 1 aprile, le clausole, in attesa che nelle Camere si formi una maggioranza stabile e trovi una possibile alternativa.

L'idea del decreto è il segno che anche a Palazzo Chigi e a Via XX settembre, la sede del ministero dell'Economia, si fanno i conti (pubblici) con il calendario in mano e la data delle elezioni segnata in una domenica autunnale. Si cercano perciò delle vie d'uscita all'intreccio tra le urne e la legge di bilancio, che per l'Italia non è mai una passeggiata. Pesa la zavorra del debito pubblico e del rapporto tra deficit e Pil: non siamo cioè nella situazione della Germania che, come dice Giulio Tremonti, "se fotocopia il bilancio dello scorso anno, la commissione europea dice ok e anche i mercati stanno buoni".

Lo stesso decreto sull'Iva serve a rimandare una decisione cruciale affidandola alla nuova legislatura, ma non darebbe molta sicurezza ai mercati. Le clausole infatti sono la garanzia per Bruxelles e per le Borse della solvibilità italiana. In mancanza di altre scelte, esercizio provvisorio e rinvio dell'Iva esporrebbero l'Italia alla speculazione. E molti vedono nel brutto risultato della Borsa di Milano di ieri (-2 per cento) i primi segnali di tempesta o perlomeno di cattivo tempo.

La road map che porta alle urne dunque è molto accidentata. Per questo la preoccupazione di Sergio Mattarella non viene nascosta. E dal Quirinale fanno sapere che il presidente della Repubblica valuterà l'impatto sul Paese dell'eventuale esercizio provvisorio e anche la contrarietà alle elezioni anticipate di alcuni mondi della società civile. Ma non è adesso il momento di decidere: il capo dello Stato vuole lasciare il campo libero al confronto sulla legge elettorale. Comunque il governo si prepara a varare una legge di bilancio "solida e vera". Come dice Pierpaolo Baretta, sottosegretario all'Economia, "la manovra va presentata tra il 10 e il 15 ottobre. In qualsiasi caso. Poi si vedrà quale Parlamento la vota". Una finanziaria dunque ci sarà, voto anticipato o no. E la scriverà Pier Carlo Padoan. Conterrà anche le norme per evitare l'aumento dell'Iva. Il decreto, da approvare prima, deve svolgere invece la funzione di paracadute.

Anche di questo hanno parlato al telefono Matteo Renzi e Carlo Calenda in una telefonata di disgelo. Il ministro non ha cambiato posizione contro il voto. Ma il segretario Pd prova a dialogare. Con Calenda e con quegli imprenditori che lo hanno applaudito all'assemblea di Confindustria.

© Riproduzione riservata 30 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/30/news/elezioni_in_autunno_governo_prepara_road_map_necessario_un_decreto_sull_iva-166758725/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi scommette di nuovo sulle elezioni a novembre: "No...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 25, 2017, 04:13:39 pm
Renzi scommette di nuovo sulle elezioni a novembre: "No alla trappola di Bersani"
Il retroscena. L'opzione voto anticipato verrà valutata anche in base all'esito dei ballottaggi.
Con un occhio agli equilibri per la legge di bilancio: "Mdp si sfilerà per forzarci a intese con Fi".
Ma il Nazareno nega l'intenzione di anticipare il voto in autunno

Di GOFFREDO DE MARCHIS
25 giugno 2017

ROMA - Altro che voto locale. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi attendono l'esito dei ballottaggi di oggi coltivando una suggestione: riprendere in mano la legge elettorale spiaggiata alla Camera due settimane fa, cercando di approvarla prima della pausa estiva. A quel punto, con lo strumento adatto, l'idea di elezioni anticipate, magari a novembre, riprenderebbe corpo.

Il fronte renziano guarda a due variabili. Il risultato del secondo turno, prima di tutto: "Se le cose vanno molto male, allora sarebbe giusto prendere di petto la situazione delle politiche il prima possibile. Se le cose vanno bene, potremmo sfruttare l'onda...". L'eventuale onda da surfare avrebbe anche il vantaggio di non dare tempo all'area di Giuliano Pisapia di organizzarsi e di farsi conoscere. L'altra variabile è Pier Luigi Bersani. Secondo i renziani, ha un piano: far votare la legge di bilancio al Pd e a Forza Italia dimostrando che la Grande coalizione è già una realtà. Una volta chiusa la finestra elettorale, Articolo 1, il gruppo parlamentare dei bersaniani, si sfilerebbe ufficialmente dalla maggioranza. "Non siamo mai stati invitati a confrontarci su cosa pensiamo di voucher, di Consip - ha ricordato ieri Bersani a Napoli alla manifestazione organizzata da Bruno Tabacci -. Se non ci si chiede niente, cerchiamo di mantenere la fiducia fino a che è possibile. Poi ci teniamo le mani libere sul merito dei provvedimenti". Ecco, appunto. Per Renzi sono dichiarazioni utili a tastare il terreno, a preparare l'uscita.

A Largo del Nazareno però dicono che un voto comune con Berlusconi sulla manovra non è nell'ordine delle cose. Anzi, è impossibile. Diventerebbe invece un'ipotesi dopo un passaggio elettorale, nell'eventualità di un esito senza vincitore. In sostanza, il governo Gentiloni scrive la Finanziaria, la presenta in Europa e poi l'approva il nuovo Parlamento.

Ma sulla suggestione del voto avrà un impatto il risultato di oggi, al di là del suo significato locale. Il Pd si prepara a valutarlo più che sui numeri assoluti sul 'peso' delle sfide e sul significato simbolico delle città dove si sceglie il sindaco. Tenere Sesto San Giovanni, pur non essendo un capoluogo, avrebbe il sapore di un successo che rispetta la tradizione e la storia. Una vittoria a Parma, dove la sinistra non vince da 20 anni e dove i 5stelle conquistarono la loro prima medaglia amministrativa, compenserebbe una eventuale sconfitta a Genova. O almeno così la presentano alla vigilia i renziani. Resistere all'Aquila, dopo il terremoto e la ricostruzione, non sarebbe un fatto secondario. Sono auspici naturalmente e in parte, dice Renzi, spiegano la sua assenza durante la campagna elettorale: "Ogni città ha una sua storia da raccontare...". Il segretario del Pd non ha voluto interferire con i percorsi politici di quelle singole realtà.

Dai risultati dipendono anche gli sviluppi del dibattito interno. Andrea Orlando non ha alcuna intenzione di mettere in discussione la segreteria in caso di ballottaggi falliti. Semmai dirà che la linea da seguire è la sua: coalizione con il resto del centrosinistra senza veti, dialogo con Pisapia a partire dalla manifestazione di sabato prossimo. Il ministro della Giustizia punta ad affermare un cambio di rotta radicale che passa non dall'attacco al ruolo del segretario ma a un bersaglio ancora più grosso e indigesto per Renzi: la leadership del centrosinistra e dunque la candidatura

a premier. Questo è il punto: si potranno fare tutte le compensazioni del caso, ma un severo risultato nei ballottaggi è destinato a riaprire il dibattito sulla corsa di Renzi verso Palazzo Chigi. Ma il Nazareno comunque nega l'intenzione di anticipare il voto in autunno.

© Riproduzione riservata 25 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/25/news/renzi_scommette_di_nuovo_sulle_elezioni_a_novembre_no_alla_trappola_di_bersani_-169031767/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P5-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. La paura dei renziani: "Congiura anti-Matteo"
Inserito da: Arlecchino - Giugno 29, 2017, 12:31:14 pm
La paura dei renziani: "Congiura anti-Matteo"

Il leader: “C’è chi vuole isolarmi”.

Il Prof: lui una causa persa, rinuncio a fare da collante

Di GOFFREDO DE MARCHIS
28 giugno 2017

ROMA. "Mi raccomando: Occidentali's karma", scrive Matteo Renzi ai fedelissimi nel giorno dell'attacco massiccio contro di lui. Come dire: mantenete la calma, atteggiamento zen. Eppure sia lui sia i suoi generali sono fiumi in piena. E la furia dell'acqua corrisponde a quella dell'anima. "Non vedo una sola analisi che spieghi quello che è successo alle amministrative. L'unica lettura è l'ostilità e il tentativo di isolamento nei confronti del Pd", dice il segretario ai collaboratori. Tradotto: farlo fuori dalla politica, indebolirlo fino allo stremo, altro che salvare il Partito democratico.

La posizione del leader e dello stato maggiore viene sintetizzata nelle parole taglienti del presidente dem Matteo Orfini: "Ci vogliono costringere a discutere di alleanze e di centrosinistra solo per fare un piacere a loro e a chi ha perso il congresso. In pratica per sei mesi dovremmo fare la campagna elettorale a Pisapia che nessuno conosce e che a occhio non ha nemmeno i voti per entrare in Parlamento. Anzi, non a occhio, perché se non sbaglio la lista Pisapia a Milano ha preso il 3 per cento. Con tutto che portava il nome dell'ex sindaco. Tutto questo non succederà". Un messaggio chiaro a Andrea Orlando e a Dario Franceschini.

Non sono dichiarazioni zen, ma hanno il pregio della chiarezza. La porta di Largo del Nazareno resta chiusa. Anche se i pacificatori disegnano un altro scenario: "Cacciare Renzi non è possibile. È possibile invece immaginare un'alleanza come dicevamo fin dall'inizio, che vada da Calenda a Pisapia benché alla fine di un percorso. Noi costruiamo il nostro, loro ne costruiscono un altro. Alla fine troveremo il punto di incontro. Ma diciamo basta alle geometrie politiche".

Quelle geometrie portano a un solo risultato: mettere in discussione la candidatura a premier di Renzi. Di più: costringerlo a rinunciarvi in partenza. Il segretario dice ai fedelissimi di non occuparsi di Dario Franceschini, con il quale è furibondo (lo fa solo Ernesto Carbone esprimendo il pensiero di Renzi), ma di tenere il filo con Romano Prodi. Sebbene Renzi lo consideri a tutti gli effetti un protagonista della "congiura", uno degli attori principali della spallata. Il Professore però fa sapere che non ingranerà la retromarcia. Alla sua nota durissima, aggiunge poche considerazioni, altrettanto ultimative nei confronti di Renzi: "Prendo atto e rinuncio a fare il collante, il Vinavil. Non funziona, è una causa persa e a me non piacciono queste cause". Significa che uscirà dal Pd? Risposta velenosa: "Non si può abbandonare un partito al quale non si è iscritti da 3 anni ".

Prodi giura anche che fino alla fine rimarrà neutrale tra Renzi e Pisapia, ma la sua nota fa saltare il tappo che Walter Veltroni aveva anticipato nell'intervista a Repubblica. Ricapitolando, emerge il quadro di un vero smottamento del Partito democratico. Veltroni, Prodi, Franceschini e Piero Fassino che ne condivide il giudizio e l'analisi. Sono i padri fondatori del Pd e, guarda caso, anche interlocutori privilegiati del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. A loro va aggiunto Nicola Zingaretti (che sabato andrà alla manifestazione di Piazza Santi Apostoli), partner di tutta l'area vicina al premier a Roma e nel Lazio. Defilato ma attentissimo, rimane Enrico Letta. Anzi, i renziani considerano l'"esule" del Pd la vera carta nel mazzo di Prodi, sempre che il Professore sia solo un king maker e non giochi una sua partita. Alcuni raccontano di un incontro molto importante avvenuto qualche giorno fa tra il Professore e l'ex premier al quale era presente anche Arturo Parisi. In questo modo, l'accerchiamento è completo.

La situazione è molto complicata, anche se i fedelissimi di Renzi dicono che "Matteo se lo aspettava e tra un paio di giorni la tempesta rientrerà". Il contrario di ciò che pensa un prodiano di peso, con una certa memoria storica: "Questa fase mi ricorda il centrodestra nel 2007 alla vigilia della crisi del governo di Romano. Un bel giorno Berlusconi salì sul predellino, s'invento il Pdl e sconvolse la politica". Ma chi può essere l'uomo del predellino a sinistra, chi ha la forza che aveva allora il Cavaliere?

L'isolamento di Renzi, al di là delle dichiarazioni di facciata, appare oggi un dato di fatto. Non basta la scelta zen a mascherare l'arrabbiatura del segretario. Gli attacchi disorientano gli elettori, come dice Renzi, ma minano la stabilità del gruppo dirigente. Graziano Delrio ammutolisce quando gli mostrano la dichiarazione di Prodi. È un brutto colpo per chi crede nella stagione ulivista ma è un renziano convinto. Agli amici il ministro delle Infrastrutture indica una via d'uscita: "Diciamo subito di sì alle primarie con Pisapia. Sono sicuro che le vincerà Matteo. Una nuova legittimazione non è lesa maestà e non può fargli male". È una scelta. Da fare a prescindere dalla legge elettorale, dalle coalizioni sì o no. Anche perché se qualcuno spera che, attaccato su tutti i fronti, Renzi faccia un passo indietro "non lo conosce - dice Delrio - . Non ci credo nemmeno se lo vedo". In questo modo la guerra è appena iniziata.

© Riproduzione riservata 28 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/28/news/la_paura_dei_renziani_congiura_anti-matteo_-169342238/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. "Silvio, pensaci tu". Merkel e Berlusconi, l'asse ...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 26, 2017, 11:27:14 am

"Silvio, pensaci tu". Merkel e Berlusconi, l'asse anti-populisti
La Cancelliera tedesca "rilegittima" il leader di Forza Italia. E lui promette: Grillo lo fermo io

Di GOFFREDO DE MARCHIS
18 agosto 2017

ROMA - "Silvio, pensaci tu a fermare i populisti". Più dei sondaggi, più della salute ritrovata, sono state queste parole a riportare Berlusconi sulla scena con l'attivismo di un tempo. Le ha pronunciate Angela Merkel durante l'incontro tra i due a Malta il 30 marzo scorso. Da allora i contatti sono continui, l'amicizia della Cancelliera è stata confermata più volte. Tanto che qualcuno non esclude che un faccia a faccia sia avvenuto anche a fine luglio quando sia Merkel sia il leader di Forza Italia erano in vacanza in Alto Adige. Comunque, il succo non cambia: il Cavaliere ha riconquistato un ruolo centrale nello scacchiere dei moderati europei. Ed è successo con la benedizione della figura più importante del Partito popolare europeo, dell'unica king maker del Continente.

Berlusconi, raccontano, ha cullato a lungo la suggestione di una grande coalizione con Matteo Renzi. "Il Pd prende il 30, noi arriviamo al 20. E abbiamo una maggioranza in Parlamento per fare le riforme". I sospetti su un piano per arrivare alle larghe intese, dunque, erano veri, almeno secondo la versione di Forza Italia. Ora Berlusconi ha cambiato idea. O meglio, sono cambiati i numeri perché secondo l'inquilino di Arcore il Pd non raggiungerà quella soglia e "se non ci pensiamo noi ad avvicinarci al 30 per cento, il primo partito sarà quello di Grillo".

Questa sensazione si è diffusa anche nelle cancellerie europee e in particolar modo a Berlino. Perciò non è stato solo il Cavaliere a fare il diavolo a quattro per ricucire con Angela Merkel. Anche la leader tedesca ha voluto chiudere la fase di gelo in vista del prossimo appuntamento elettorale italiano. Antonio Tajani, presidente dell'Europarlamento, ha lavorato a lungo alla pace sapendo che entrambi la volevano e la cercavano.

È un asse riservato, perché la Merkel è la leader della Cdu ma anche il capo del governo. Deve tenere conto dei suoi rapporti istituzionali. Con Paolo Gentiloni il legame è solido. Ma il Ppe ha deciso ancora una volta di affidarsi al vecchio leader del centrodestra. Per bloccare l'ondata populista e antieuropea che soffia in Italia, dai 5 stelle alla Lega. E se alla fine Forza Italia dovesse allearsi con Salvini, ferma restano l'attuale legge elettorale proporzionale. Un listone del centrodestra avrebbe una guida moderata. Molti suggeriscono proprio il nome di Tajani, una lunga e costante carriera nelle sedi della Ue, europeista convinto ma consapevole dei difetti dell'Unione. Con il suo stile, Tajani è stato anche capace di opporsi alla burocrazia comunitaria, che nei ruoli chiave è legata a doppio filo a Berlino. Appena insediato alla presidenza, il segretario generale dell'Europarlamento, Klaus Welle, ex leader dei giovani della Cdu, gli comunicò che bisognava spendere 3 miliardi di euro per la ristrutturazione delle sedi. Cifra monstre, destinata ad alimentare i sentimenti euroscettici. Dopo un lungo lavoro ai fianchi, Tajani ha portato quella cifra a 380 milioni, quasi il 90 per cento in meno della spesa preventivata. Tajani però ha già fatto sapere di voler rispettare il suo mandato a Strasburgo che scade nel 2019.

Il dialogo della Merkel comunque è diretto con Berlusconi. Cadono nell'oblio i molti episodi che li hanno contrapposti negli anni di governo. Il cucù nel 2008, lo sgarbo di un mancato saluto per rispondere a una telefonata durante un vertice internazionale, le risatine sul Cavaliere tra la Cancelliera e Sarkozy durante una conferenza stampa alla fine del 2011 (non a caso recentemente Berlusconi ha spiegato che era stato il presidente francese a provocare, la Merkel si era limitata a non contraddirlo) e la presunta intercettazione del leader di Forza Italia in cui venivano pronunciate delle volgarità sulla leader tedesca.
La Bbc: "E' vero che insultò la Merkel?", l'imbarazzo di Berlusconi

Il disgelo personale ha avuto due passaggi: il congresso del Ppe di Madrid e il summit popolare a Malta di marzo. Ma adesso il dialogo è tutto politico. E la soddisfazione, per il Cavaliere, è che l'interesse per un nuovo inizio non è solo suo. Anche Merkel si è convinta a puntare, ancora, sul cavallo di Arcore. Vincente non si sa. Ma di nuovo affidabile e centrale nella politica italiana.

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18 agosto 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/08/18/news/_silvio_pensaci_tu_merkel_e_berlusconi_l_asse_anti-populisti-173281243/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Vendola: “Grasso è più radicale di Pisapia.
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 04, 2017, 11:31:52 am
Vendola: “Grasso è più radicale di Pisapia. L’Ulivo? Roba da sedute spiritiche”

Il fondatore di Sinistra italiana stronca l’alleanza con ex sindaco e dem: “Renzi ha completato i piani di Berlusconi.

Giuliano ha una pregiudiziale contro di noi? Non so, non ho letto il libri dei cosiddetti marxisti per Tabacci”

Di GOFFREDO DE MARCHIS
01 ottobre 2017

ROMA - Nichi Vendola, sette anni fa festeggiavate con Pisapia la conquista di Palazzo Marino. Cosa è successo da allora?
«Per sconfiggere la destra clericale e affaristica del sistema Moratti dovemmo prima sconfiggere il moderatismo e la subalternità culturale del centrosinistra. A Milano, come a Genova o a Cagliari o in Puglia, vincemmo mettendo in gioco candidati che spiazzavano gli apparati di partito e che non avevano paura di dire cose di sinistra. Ma parliamo davvero di una stagione esaurita, visto che il centrosinistra ha ridotto la sinistra ad un complemento d’arredo».

È cambiato Pisapia o siete cambiati voi?
«Direi che è cambiato il mondo, il riformismo stenta a riformare se stesso, i teorici della “terza via” sono stati arruolati e arricchiti dalle più inquietanti lobby economiche, Renzi ha portato a compimento il programma di Berlusconi, le politiche di austerità hanno reso agonizzante il socialismo europeo e stanno mettendo in crisi la stessa idea di Europa. In questo contesto evocare l’Ulivo rimanda ad una seduta spiritica più che a un progetto politico».

C’è una pregiudiziale di Pisapia su Sinistra Italiana?
«Non saprei dire, non ho letto i libri dei cosiddetti “marxisti per Tabacci”».

Lei è la prima importante creatura delle primarie del centrosinistra. Perché oggi “centrosinistra” è quasi una bestemmia?
«Non è una bestemmia, è una formula svuotata, un progetto disintegrato dalle scelte che il Pd è andato maturando negli anni del governo: dalla riforma autoritaria della Costituzione alla cancellazione dell’articolo 18, dalla pessima “buona scuola” allo sblocca cemento camuffato da “sblocca Italia”. Una deriva a destra che ha regalato al populismo e alla rassegnazione porzioni crescenti di elettorato».

Avete governato il Paese con l’Unione, siete stati sinistra di governo con lei in Puglia per 10 anni. State tornando alla sinistra minoritaria?
«Non c’è nulla di più minoritario del governismo a tutti i costi. Avere cultura di governo non significa essere intruppati dal pensiero unico del capitale finanziario. C’è una sinistra che la domenica si commuove per il magistero radicale di Papa Francesco e nei giorni feriali si genuflette dinanzi ai profeti della diseguaglianza, della precarietà del lavoro, della privatizzazione dei beni comuni, della necessità delle trivelle, o del realismo del vendere armi all’Arabia Saudita o del finanziare i lager per migranti in Libia».

Piero Grasso sarebbe un candidato migliore per la premiership rispetto a Pisapia, che ha la vostra storia?
«Non si può partire dall’invenzione di un leader per poi trovare un programma e un popolo. Si deve partire dal protagonismo di una comunità che reagisce alla paurosa regressione culturale che rimette in circolo i veleni del razzismo, del nazionalismo, del fascismo. Personalmente eviterei di tirare per la giacca la seconda carica dello Stato. Certo, Piero Grasso, che a differenza di Pisapia non è mai stato eletto con Rifondazione comunista, mi sembra assai più chiaro e radicale dell’ex sindaco».

Non sarebbe un errore correre con due liste a sinistra del Pd?
«Impedire alla sinistra di ritrovare se stessa, la propria autonomia, il proprio coraggio intellettuale e politico, quello sì più che un errore sarebbe un delitto».

Bersani e D’Alema dovrebbero fare un passo indietro nelle candidature?
«Non mi sono mai piaciuti quelli che cantano “giovinezza, giovinezza”. Io penso che ci sia bisogno di tutti e che le liste di proscrizione siano un brutto segnale».

Lei sarà candidato?
«Per mia fortuna non soffro di astinenza da Transatlantico. Anche questa è una malattia della politica: l’idea che tu conti qualcosa solo se sei dentro le istituzioni e dentro i talk-show».

Renzi rappresenta davvero la destra secondo voi? È come Berlusconi?
«Renzi è stato la traduzione italiana del blairismo, l’idea cioè che sia superata la dialettica destra-sinistra. Lo ha scritto nella prefazione al famoso saggio di Norberto Bobbio, soprattutto questo superamento lo ha realizzato dal governo. Se non c’è più dialettica non vuol dire che c’è il vuoto: resta in piedi solo la destra, camuffata o da tecnica o da modernità».

La legge sulle unioni civili è una cosa di sinistra.
«Quella legge è il minimo sindacale per essere un Paese civile. Ma un importante avanzamento sul terreno dei diritti civili non può certo compensare il drammatico arretramento sul terreno dei diritti sociali».

Col governo Gentiloni cosa è cambiato?
«Molto nella forma, nulla nella sostanza. È lo stesso Gentiloni che rivendica la continuità col suo pirotecnico predecessore, mi pare».

Mdp ha rotto col Pd in Sicilia perché c’è Alfano. Ma quante alleanze avete fatto col centro ai tempi dell’Ulivo. Si ricorda?
«Come si può pensare ad una alleanza col Pd dopo la disastrosa esperienza del governo Crocetta? E come si può dimenticare che Alfano ha rappresentato l’ala neo-clericale della stagione berlusconiana? Ma soprattutto come si può soffocare la passione politica dentro compromessi sempre al ribasso? Noi, ai tempi dell’Ulivo, abbiamo posto questioni che forse meritavano un ascolto meno sprezzante: la riduzione dell’orario di lavoro, la lotta alle diseguaglianze, la costruzione di una Europa che non fosse solo una moneta».

Mai col Pd o mai con Renzi?
«C’è la politica e c’è anche la fantapolitica. Io farei mille alleanze col Pd che mette in agenda la restituzione di diritti e di potere al mondo del lavoro, che ripristina l’articolo 18 estendendolo a tutti i lavoratori, che guarda in faccia il disastro della scuola e dell’università, che sfida i populismi non rifugiandosi nel galateo di Palazzo o riducendo la domanda di giustizia a una questione di bonus ma offrendo prospettive di futuro ai giovani, che investe sull’ambiente piuttosto che sulla ricerca del petrolio con le trivelle. Ma questa è, appunto, fantapolitica».

Di Maio che ai sindacati suggerisce: riformatevi o ci pensiamo noi. Bel risultato per la sinistra.
«Vede? Anche Di Maio è diventato renziano. Una pecorella con Confindustria, ma rumoroso con chi rappresenta il lavoro. Il suo è il ruggito del coniglio».

© Riproduzione riservata 01 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/01/news/vendola_grasso_e_piu_radicale_di_pisapia_l_ulivo_roba_da_sedute_spiritiche_-176995342/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P7-S2.6-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Bankitalia, il piano di Gentiloni per confermare Visco...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2017, 11:57:17 am
Bankitalia, il piano di Gentiloni per confermare Visco con la sponda di Draghi.
Il retroscena. Nella partita a scacchi con Renzi l'ipotesi di non mettere la fiducia al Senato sulla legge elettorale, che il segretario vorrebbe subito

Di GOFFREDO DE MARCHIS
21 ottobre 2017

ROMA - Se Gentiloni, d'intesa con il Quirinale, punta alla conferma di Ignazio Visco alla guida di Bankitalia ha tutti gli strumenti in mano per farlo. Due in particolare. La sponda del presidente della Bce Mario Draghi che spinge per evitare scossoni mentre in Europa si decide l'unione bancaria. E la fiducia sulla legge elettorale che la prossima settimana arriva al Senato. Stavolta, se vuole, il premier può evitare di metterla. Gli argomenti per seguire la strada di una discussione libera non mancano. Non ci sono 120 voti segreti in agguato (la regola di Palazzo Madama è diversa da quella di Montecitorio), la maggioranza non è in bilico visto che a Pd e Ap si aggiungono Forza Italia e Lega, alleati dell'accordo, l'idea che almeno un ramo del Parlamento non sia vincolato alla decisione del governo avrebbe l'effetto di un salutare ritorno d'immagine per il Rosatellum.

La seconda soprattutto ha tutto il sapore di una sfida a Matteo Renzi, che quella legge vuole a tutti i costi e in tempi brevissimi. Ma confermare Visco contiene in sè gli elementi della sfida, dopo tutto quello che il segretario dem ha detto in questi giorni. "Sul tavolo di Gentiloni, dal momento in cui è rientrato da Bruxelles, c'è l'opzione del no alla fiducia. E certo non si può dire che in questa partita non sia in una posizione di forza totale", spiega un ministro. Il premier deve solo decidere come usare o dosare la forza.

Per il momento lancia segnali di pace al Pd renziano. Non vuole che scorra il sangue intorno a un vicenda delicata come la nomina del governatore di Via Nazionale. Il week end è decisivo per capire come muoversi. Gli uomini di Renzi sperano che sia il governatore a fare un passo indietro: "Lunedì sapremo ", dicono sibillini. Da Palazzo Koch l'ipotesi viene esclusa senza mezzi termini: "Il mandato scade il 31 ottobre, niente dimissioni ". Venerdì 27 c'è il consiglio dei ministri durante il quale verrà fuori la soluzione finale con un nome. Se le posizioni del Pd e di Banca d'Italia non cambiano ricadrà tutto sulle spalle di Gentiloni e di Sergio Mattarella. Escludendo aiutini esterni.

Il premier vuole gestire lo sprint verso venerdì in maniera ordinata, a differenza della mozione di "sfiducia" del Pd. "Come in maniera ordinata si preparava a immaginare anche una successione al vertice della Banca centrale", dicono a Palazzo Chigi. Il premier vuole ricucire anche perché il Partito democratico è indispensabile per condurre in porto la legge di bilancio. Ma non si vede quali pericoli possano arrivare da Largo del Nazareno, visto che la manovra è senza tasse, senza aumenti dell'Iva e molto soft, proprio come aveva imposto il segretario dem. Occorre dunque costruire una scelta. I renziani sono convinti che Visco stia ancora riflettendo sul passo indietro. E che Draghi eviterà le barricate se il successore fosse scelto all'interno del direttorio di Bankitalia. "Non Fabio Panetta però perché non andrà mai bene a Carlo Messina", spiega un fedelissimo del leader Pd. Messina è l'amministratore delegato di Intesa San Paolo, il principale istituto italiano che inevitabilmente ha un certo peso nella vicenda. Più facile che la nomina ricada su Salvatore Rossi, direttore generale di Via Nazionale.

Ma a Palazzo Chigi lavorano sullo stesso binario? Il colloquio di ieri con Jean Claude Juncker incentrato sul dossier banche e sui bilanci degli istituti italiani che vanno difesi da una diversa valutazione dei crediti deteriorati lascia capire che va scongiurato un terremoto a Via Nazionale. Cosa succede se dal tavolo della trattativa si toglie il banchiere centrale che l'ha seguita finora? È possibile una reazione dei rigoristi tedeschi: ma come dite che Banca d'Italia non vigila? Allora meglio che vigiliamo noi. Un argomento che non regge secondo i renziani. "Le casse rurali tedesche, secondo gli stress test, non sono messe meglio delle nostre banche", ripetono. L'argomento "stabilità in Europa" dunque non regge. Resta l'arma della fiducia sul Rosatellum che è sicuramente esplosiva e fuori dai confini del caso Bankitalia. Ma il dibattito sulla legge elettorale precede, nei primi giorni della prossima settimana, la decisione finale. E la mossa rottamatrice di Renzi è destinata ad aizzare le polemiche anche sulla riforma del sistema di voto. Martedì parlerà a Palazzo Madama Giorgio Napolitano e sta già scrivendo il suo intervento. Contro l'uso della fiducia e su alcuni punti della legge. Discorso che il presidente accompagnerà con alcuni emendamenti.

© Riproduzione riservata 21 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/21/news/bankitalia_il_piano_di_gentiloni_per_confermare_visco_con_la_sponda_di_draghi-178877621/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Gentiloni 'accetta' i voti di Ala: “Così o salta il ...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 28, 2017, 06:01:09 pm
Gentiloni 'accetta' i voti di Ala: “Così o salta il bilancio dell’Italia”.
E i dem puntano pure allo Ius soli
Il premier "realista".
Dal Quirinale nessuna mossa: conta la fiducia. Ma irritazione per l'incontro con Mdp reso pubblico.
Palazzo Chigi: l'alternativa è l'esercizio provvisorio non c'è altra scelta


Di GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO
26 ottobre 2017

ROMA. «L’alternativa è l’esercizio provvisorio. Perciò si prendono i voti che ci sono». Senza fare troppo gli schizzinosi. Paolo Gentiloni guarda già oltre la legge elettorale. Pensa al percorso della manovra economica che serve a garantire i conti pubblici e a portare il Paese alle elezioni in modo ordinato, quando mancano appena due mesi allo scioglimento delle Camere. C’è anche dell’altro. «Non dite che il sostegno di Verdini puzza. Quando servirà a votare la fiducia sullo Ius soli saranno in tanti a ricredersi», ripete da giorni ai suoi senatori il capogruppo Pd Luigi Zanda.

La linea del Quirinale è la stessa. Il governo ha la fiducia del Parlamento, il cambio di maggioranza invocato dai bersaniani di Mdp non incide sulle regole istituzionali, tanto più che siamo sul filo di lana della legislatura. Semmai sul Colle non hanno gradito la pubblicità che Mdp ha dato all’incontro con Sergio Mattarella, che doveva rimanere riservato. Come se gli volessero suggerire una mossa, magari la convocazione dei gruppi parlamentari per verificare la nuova maggioranza.

Ala, dentro il perimetro della coalizione, va bene, va benissimo se in gioco c’è la stabilità. Per questo Palazzo Chigi è stupito dell’iniziativa dei bersaniani: «Praticamente sono andati a chiedere al presidente della Repubblica di avallare l’esercizio provvisorio». Roba da matti, secondo il Pd. «La legge elettorale ha una maggioranza che va oltre quella di governo, quindi non vedo il problema — osserva Matteo Orfini — . La Finanziaria è in pratica un provvedimento tecnico che serve a bloccare l’aumento dell’Iva. Se Verdini la vota, dà un voto tecnico. Niente di più». Ma questo non muta la natura del Partito democratico, non è ancora più dannoso che ciò avvenga in vista delle elezioni piuttosto che lontano da esse? «Direi di no», taglia corto il presidente dem.

Sembra acqua passata la questione se i voti dei verdiniani siano decisivi o aggiuntivi. Ieri il punto era garantire il numero legale e non sono servite le presenze del gruppo di Ala. Ma i senatori di quella componente sono decisivi, anzi indispensabili per condurre in porto le ultime gesta del governo. Quindi, sì sono dentro la maggioranza. Infatti Mattarella si dice «fiducioso sull’approvazione della manovra» e richiama tutti «al senso di responsabilità», confermando che ormai la legislatura serve soprattutto a evitare il caos dei conti pubblici.

Gentiloni sa che lo sfaldamento del quadro era inevitabile a poche settimane dalle elezioni e già in piena campagna elettorale. Forse si aspettava un atteggiamento diverso da parte di «chi ha sempre votato la fiducia sulla legge di bilancio in questi anni e si sfila adesso di fronte a una manovra soft». Parla di Bersani, ovviamente. Ma dimostrare che il presente e il domani si reggono sulle larghe intese era l’obiettivo di Mdp fin dall’inizio. Inutile stupirsi più di tanto. «Parlano solo di Verdini perché non hanno alcun progetto politico. Contenti loro...», incalza Orfini.

Cosa chiede Verdini in cambio della stabilità, quale patto oscuro si cela dietro la sua generosità al Senato? Nessuno, risponde Orfini. «Ma quale scambio, forse una scatola di cioccolatini», scherza Orfini. E superata la fase della polemica, anche a sinistra dovranno ricredersi quando i voti di Ala saranno necessari per approvare lo ius soli. Significa, se la raccomandazione di Zanda ai senatori è concreta, che Gentiloni si prepara davvero a un’ultima zampata, la fiducia sulla cittadinanza. I numeri degli sbarchi, in calo vertiginoso rispetto al 2016 e praticamente nei limiti fisiologici, consentono di arginare il collegamento ius soli-invasione. La sinistra a quel punto dovrà celebrare l’azione del governo.

Lo stesso premier è intenzionato a scrollarsi di dosso le macchie lasciate dalle 8 fiducie poste sulla legge elettorale. Secondo Giorgio Napolitano frutto di «forti pressioni», ovvero della volontà di Matteo Renzi. Il segretario Pd non si scandalizza per l’appoggio di Verdini, anzi. Da sempre Luca Lotti lavora al coinvolgimento dei verdiniani nel recinto del centrosinistra. «E dobbiamo dire grazie a Verdini se oggi abbiamo le unioni gay», ricorda Orfini. Può succedere di nuovo e quel giorno Ala e Mdp voteranno insieme.

© Riproduzione riservata 26 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/26/news/gentiloni_sdogana_i_voti_sporchi_cosi_o_salta_il_bilancio_dell_italia_e_i_dem_puntano_pure_allo_ius_soli-179355608/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Pd-Bersani, l'ultima trattativa: così Renzi apre alla...
Inserito da: Arlecchino - Novembre 12, 2017, 12:19:30 pm
Pd-Bersani, l'ultima trattativa: così Renzi apre alla sinistra
Allo studio accordi nei collegi per battere le destre e l'ondata populista.
Franceschini media.
Tutti tra i dem cercano Prodi. Parisi: "Parliamo delle cose che ci uniscono"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
12 novembre 2017

ROMA. I contatti sono in corso, anche se in pubblico nessuno cede di un millimetro. Si lavora a un accordo unitario per i 341 collegi uninominali. Lo stesso candidato per Renzi, Grasso, Pisapia, Fratoianni, Civati. Accordo tecnico, senza voli pindarici. Sulla base di una cornice di programmi. Non il quadro perché quello è impossibile. Come dice Arturo Parisi: "Bisogna rendere manifeste le cose che ci uniscono". Parisi rimane l'unico vero consigliere e confidente di Romano Prodi.

Dopo il grido di allarme raccolto da Repubblica, il Professore lo cercano tutti. Perché "copra" e sostenga questa difficile operazione. La prima mossa tocca a Matteo Renzi, che domani riunisce la direzione del Pd. Il segretario ha parlato a lungo con Dario Franceschini e Andrea Orlando, i ministri che spingono per un'alleanza con tutti dentro. Gli ha garantito alcuni passi indietro rispetto alla strada dell'autosufficienza: "Proporrò un accordo significativo e strutturato anche a Bersani. Non parlerò più dei mille giorni e dei provvedimenti del mio governo. Parlerò di quello che si può fare non di quello che è stato fatto". A partire dal Jobs Act: "Senza abiure, ma se si vuole ragionare di cosa non ha funzionato facciamolo. Per esempio: sui contratti a tempo indeterminato, che devono ancora crescere". Questa è la "cornice" di cui Franceschini discute con i suoi interlocutori. Con Renzi prima di tutto. La linea del ministro della Cultura è chiara: "A destra hanno trovato il modo di parlare a mondi diversi, di fare campagne diverse, di presentare candidati premier diversi, ma, nei collegi, di sommare i voti anziché sottrarseli a vicenda. Noi possiamo fare lo stesso". I leader si stanno sentendo. Intanto dentro il Pd perché la direzione si tiene tra poche ore. C'è la possibilità di un voto unanime sulla relazione del segretario, se contiene le aperture promesse. Ma c'è anche il rischio concreto di una rottura se torna l'eco di imprese solitarie, di un Renzi alla Macron. A quel punto le minoranze di Orlando e Michele Emiliano presenteranno un loro documento (già pronto) di critica alle politiche renziane degli ultimi anni. "Per distinguere nettamente le responsabilità", dicono gli orlandiani.

Il governatore pugliese viene descritto sul piede di guerra o meglio, di nuovo con un piede fuori dal partito. Per lui è difficile resistere alla calamita di Piero Grasso, collega magistrato e amico. I due si telefonano continuamente. Spesso è il presidente del Senato a chiamare Emiliano per chiedergli come muoversi nel mare ondoso della politica, ben diverso da quello delle istituzioni. Ed Emiliano lo guida: "Hai sbagliato con quella dichiarazione sul Pd", gli ha detto l'altro giorno.

Come spiega Parisi ad Affari italiani, l'accordo tecnico nei collegi può diventare qualcosa di più concentrandosi sui tratti comuni: la politica europea, l'immigrazione, lo ius soli, i diritti civili, l'ambiente. La "cornice". Lasciando fuori i punti di contrasto. Eppoi si reggerebbe sulla convenienza, diciamo la verità. Per questo Renzi non crede che sarà domani la giornata decisiva, però entro due settimane la situazione sarà sotto gli occhi di tutti. "Quando ciascuno, noi compresi - dice un renziano - si farà due conti sulle chance di vittoria collegio per collegio". Con l'obiettivo di fermare quelli che nei suoi colloqui privati Renzi chiama i "barbari" riferito ai leader non agli elettori. Di bloccare l'ascesa di Beppe Grillo e Matteo Salvini.

Il segretario giura che ci proverà. Facendosi poche illusioni. La coalizione più realistica, nel quartier generale renziano, viene confinata ai nomi di Emma Bonino e Giuliano Pisapia "che con Bersani e D'Alema non andrà mai". Le reazioni pubbliche di Mdp in effetti continuano a essere gelide. "Archiviare il renzismo", dice Roberto Speranza. Richiesta irricevibile a Largo del Nazareno. Vasco Errani, parlando con gli amici, non è meno severo: "Il sistema era tripolare, ma adesso i poli sono due e mezzo. E il mezzo è la sinistra. Non c'è politicismo che tenga, non bastano gli appelli a fermare i populisti. Bisogna riprendere i voti e ci vogliono atti concreti. Questo è un problema molto più grande di un tavolo di trattativa per i collegi ". Ma un tavolo è necessario, se c'è la volontà di parlarsi. E se il problema non è solo ed esclusivamente la sorte di Renzi, come pensano tanti nel Pd. "Noi indicheremo un metodo di lavoro e un percorso. Per provare a fare tutti un passo avanti ", dice il vicesegretario Maurizio Martina. Senza guardare indietro. Modello centrodestra, come sottolinea Franceschini. In quel campo chi parla più di uscita dall'Euro o della Le Pen, le bandiere leghiste? "La partita ce la giochiamo solo se stiamo insieme. Altrimenti è cupio dissolvi ", avverte Francesco Boccia, vicinissimo a Emiliano.

EDITORIALE L'uomo solo al comando non batte i populismi di massa DI E.SCALFARI

Il filo è sottile e si può spezzare da un momento all'altro per molti motivi. Renzi, nemmeno una settimana fa, ha rilanciato l'obiettivo 40 per cento e il Jobs Act 2. Ovvero, porta in faccia a Mdp. Bersani e D'Alema sanno che la loro ragion d'essere è distinguere politiche e leadership dal Pd renziano. Come collante, resta il pericolo della destra e dei grillini, così plasticamente dimostrato dal voto in Sicilia e a Ostia. In più c'è l'allarme di molti mondi, a cominciare da quello cattolico di base. Basta andare in molte parrocchie per scoprire quanto sia attrattiva la storia umana di Piero Grasso e quanti dubbi ci siano sugli avversari del centrosinistra. I padri nobili, da Prodi a Veltroni a Enrico Letta, sono pronti a intervenire ma solo se si apriranno degli spiragli reali, se i "figli" mostreranno di avere a cuore la famiglia unita. La loro parola è

in grado di superare le rigidità dei vari campi. Non farà presa su D'Alema e Fratoianni forse, ma non lascerebbe indifferente Pierluigi Bersani. L'accordo per stare uniti nei collegi è tutto da costruire. Ma se gli ambasciatori si parlano, il tentativo rimane in piedi.

© Riproduzione riservata 12 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/12/news/pd-bersani_l_ultima_trattativa_cosi_renzi_apre_alla_sinistra-180877190/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Prodi incoraggia Fassino: “Ti darò una mano a unire senza..
Inserito da: Arlecchino - Novembre 17, 2017, 11:02:54 am
Prodi incoraggia Fassino: “Ti darò una mano a unire senza scendere in campo”
Il mediatore del Pd incontra il Professore a Bologna.
Parisi: “Romano userà la moral suasion”.
Oggi l’ex sindaco di Torino vedrà Pisapia, un colloquio decisivo per portare la sinistra in coalizione

Di GOFFREDO DE MARCHIS
17 novembre 2017

Prodi c’è. «Con un profilo riservato, non con posizioni pubbliche», ha spiegato a Piero Fassino nel colloquio di ieri a Bologna. Significa che non sposa la causa del Partito democratico, che si spenderà secondo le sue forme. Ma proverà a costruire, per la sua parte, la coalizione di centrosinistra competitiva che unisca Pd, Mdp e altri alleati. Come? «Con la moral suasion», dice Arturo Parisi, il suo confidente principale. Ovvero, parlerà con tutti, affiancando il “mediatore” del Partito democratico, lì dove lui non può arrivare e lì dove Fassino ha bisogno di fare l’ultimo centimetro per strappare un accordo. Per l’ex segretario dei Ds è già un grande passo avanti, considerando il punto di partenza.

Il colloquio dunque è andato «molto bene» oltre i comunicati ufficiali. Non significa affatto che il Professore abbia piantato la sua tenda di nuovo nel campo del Pd. Rimane in una posizione neutrale che forse è più utile. Riconosce il ruolo e la funzione di Fassino, «il più autonomo dei renziani», spiegano i collaboratori di Prodi. Il Professore «incoraggia». Che è già molto rispetto alle prese di posizione di questa estate o all’allarme lanciato pochi giorni fa. A modo suo è di nuovo dentro la partita. «Lascio a lui decidere come giocarla», precisa, diplomaticamente, Fassino. I due hanno anche scherzato sull’effettivo potere di convincimento. «Io più che un padre nobile sono un nonno nobile. Magari ci pensano due volte prima di dirmi di no», ha detto il Professore.

Con le ferite degli ultimi sei mesi, con la consapevolezza che il tempo purtroppo non ha aiutato, Prodi si ri sintonizza sulla vecchia definizione che aveva dato di se stesso: «Io posso essere la colla, il Vinavil del centrosinistra». Ma le scottature rimangono, dunque eserciterà il suo “lavoro” da una posizione più defilata.

Ora il Pd ha un mediatore incaricato, il Professore può fare da “facilitatore” in un raggio di azione che va dai partiti in campo attualmente a mondi fuori dalla politica. A cominciare da quello cattolico. Oggi sarà l’ospite d’onore a un convegno sulle migrazioni organizzato da Andrea Orlando con monsignor Galantino e il vescovo di Bologna Matteo Zuppi. Prodi può dialogare con Giuliano Pisapia e non sarebbe certo una novità. Con l’ex sindaco di Milano il rapporto è ottimo, la fiducia reciproca immutata. Pisapia è anche un interlocutore molto cercato dal Pd di Matteo Renzi. La sua posizione non ancora definita alimenta le speranza di Largo del Nazareno di convincerlo a un sicuro “sì” in tempi brevi e con tutto il carico dell’esperienza di Campo progressista. Oggi Fassino vedrà Pisapia e dopo l’incontro con Prodi è il mini vertice più importante del mandato appena ricevuto dalla direzione dem. Se dovesse andare male la chiusura del cerchio con gli scissionisti l’obiettivo è un’alleanza a sinistra con Pisapia e la struttura costruita in questi mesi.

Un altro passaggio di questo avvicinamento potrebbe essere l’appuntamento di domenica a Bologna organizzato da Giulio Santagata, ex ministro del governo Prodi e suo amico, al quale interverrò anche l’ex sindaco di Milano. Santagata e Pisapia sono convinti, con tutte le cautele del caso, che un centrosinistra nuovo non possa prescindere dal Pd.

Il punto rimane il rapporto con Mdp. Ovvero con Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Roberto Speranza. Prodi può dare un mano anche su questo versante? Può. C’è l’antica amicizia con Bersani, c’è la sintonia di vecchia data e la collaborazione con Vasco Errani, l’ex governatore dell’Emilia Romagna che è uno dei tessitori di Mdp. Naturalmente, il compito maggiore spetta a Fassino. Il mediatore vorrebbe incontrare i dirigenti di Articolo 1 a breve. Anche prima della loro assemblea allargata del 2 dicembre. «Si può fare prima e dopo, perché no». Ma l’impresa gli impone rispetto dei tempi di tutti. Soprattutto
la più delicata. In un’ottica di tattica negoziale, Fassino aspetta che le carte siano scoperte. Che la polemica lasci spazio al confronto. Si parte da posizioni lontanissime. «Aperture vere non ne ho viste», ammette Fassino. Ma subito aggiunge: «Per adesso».

© Riproduzione riservata 17 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/17/news/prodi_incoraggia_fassino_ti_daro_una_mano_a_unire_senza_scendere_in_campo_-181306248/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Berlusconi ad Hammamet, Bobo Craxi conferma: "Lo sapevo...
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 17, 2018, 12:24:18 pm
Berlusconi ad Hammamet, Bobo Craxi conferma: "Lo sapevo da fonti tunisine"
Arcore smentisce, ma il figlio dell'ex segretario socialista morto 18 anni fa conferma la notizia della partecipazione del leader di Forza Italia alla commemorazione in Tunisia.
La visita forse saltata per le tensioni nel Paese per le proteste riprese nelle piazze

Di GOFFREDO DE MARCHIS
14 gennaio 2018

ROMA - Silvio Berlusconi smentisce il suo viaggio ad Hammamet e Tunisi per commemorare Bettino Craxi nel diciottesimo anniversario della morte e per vedere il presidente tunisino Essebsi. "Non è prevista nessuna visita del presidente Berlusconi ad Hammamet nelle prossime settimane. La notizia è destituita di ogni fondamento", scrive la segreteria del leader di Forza Italia. Ma il figlio dell'ex segretario socialista conferma, come ha scritto Repubblica, la richiesta di incontro partita da Arcore. Proprio per la data dell'anniversario.

"Anch'io avevo sentito da fonti tunisine che il Presidente Berlusconi sarebbe andato in vista dal Presidente Essebsi. Sarebbe stata un'occasione per rinnovare l'amicizia mediterranea ed anche per un gradito omaggio a una Storia Italiana che ha avuto epilogo ad Hammamet", è la versione di Bobo Craxi diffusa su Twitter. E' possibile dunque, sempre che la missione non venga rimessa in agenda nelle prossime ore, che abbiano pesato nella rinuncia i giorni difficili che sta vivendo la Tunisia con proteste di piazza contro il governo, proprio in occasione del ricordo della Primavera araba e della rivoluzione tunisina.
 
Bobo Craxi - @bobocraxi
Anch’io avevo sentito da fonti tunisine che il Pres. Berlusconi sarebbe andato in visita dal Presidente Essebsi. Sarebbe stata un’occasione per rinnovare l’amicizia mediterranea ed anche per un gradito omaggio ad una Storia Italiana che ha avuto epilogo ad Hammamet.
6:10 PM - Jan 14, 2018

Anche la figlia del leader socialista è intervenuta: "Figurarsi se proprio Berlusconi, un sincero amico che non ha mai mancato in tutti questi anni di testimoniare la sua vicinanza attraverso messaggi, lettere pubbliche e dichiarazioni varie - e non certo a ridosso di occasioni elettorali - debba chiedere autorizzazioni preventive o altro per venire ad Hammamet. Sarebbe accolto a braccia aperte, anche se io non ho informazioni sul viaggio". Ha parlato anche Matteo Salvini, alleato del Cavaliere alle prossime elezioni, a In mezz'ora: "Sono scelte. E non le commento. Non voglio tediare gli elettori. Ma Berlusconi è liberissimo di andare in Tunisia". Poi, è arrivata la precisazione da Arcore.   

© Riproduzione riservata 14 gennaio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/01/14/news/berlusconi_craxi_bobo_viaggio_hammamet-186495173/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S2.5-T2


Titolo: GOFFREDO DE MARCHIS. Pd, Calenda cancella l'invito a cena ai tre big del partito
Inserito da: Arlecchino - Settembre 23, 2018, 04:45:30 pm
Pd, Calenda cancella l'invito a cena ai tre big del partito.
Renzi era pronto a sfilarsi, Calenda cancella l'invito a cena ai tre big del partito.
In mattinata l'ex ministro annuncia che Renzi, Gentiloni e Minniti hanno accolto la sua proposta.
Ma l'ex segretario frena: "Questi levano i vaccini, e i nostri parlano delle cene. Roba da matti".
Zingaretti risponde con una sera in trattoria insieme a un imprenditore, uno studente, un professore, un amministratore, un professionista, un volontario.
E alla fine lo stesso Calenda decide: "Non se ne fa nulla"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
17 settembre 2018

ROMA. Il tema ha monopolizzato la discussione nel Pd per due giorni (insieme all'idea di Orfini di sciogliere il partito e rifondarlo). L'invito a cena da parte di Calenda a tre big del partito - Renzi, Gentiloni e Minniti - è stato oggetto di polemiche, ironie e contromosse (un'altra cena ma in trattoria da parte del governatore del Lazio Zingaretti). Proviamo a riorganizzarci e ad evitare la subalternità ai 5 Stelle, aveva detto Calenda. È finita con un tweet serale dello stesso ex ministro dello Sviluppo. Dopo un'ondata di dichiarazioni e una presa di distanza di Matteo Renzi.

Carlo Calenda
@CarloCalenda
 Dopo 24h di polemiche interne e amenità varie, a partire dalla disfida delle cene, ho cancellato l’incontro. Lo spirito era quello di riprendere un dialogo tra persone che hanno lavorato insieme per il paese e aiutare il @pdnetwork . In questo contesto è inutile e dannoso.

L'INCONTRO VOLUTO DA CALENDA
In mattinata arriva la dichiarazione soddisfatta di Carlo Calenda: Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Marco Minniti hanno infatti accettato l'invito rivolto loro da Carlo Calenda. L'appuntamento non è più per martedì, come previsto inizialmente. "La data è stata spostata - spiega l'ex ministro dello Sviluppo economico rispondendo ad un suo follower su twitter - e per evitare l'ennesimo tormentone sul PD rimane riservata". Ma Calenda si è detto molto contento: "È un gesto di responsabilità di tutti i partecipanti. Bene così. Ottima notizia". Questo, almeno, fino alla frenata di Matteo Renzi.

APPROFONDIMENTO
Pd, ormai due partiti in uno. I renziani senza candidato: si sfila anche Delrio
Di TOMMASO CIRIACO

LA CONTROCENA DI ZINGARETTI
Qualche ora dopo, ecco l'annuncio di Nicola Zingaretti, per ora l'unico candidato ufficiale alle primarie del Pd: una controcena con un imprenditore, un operaio, uno studente, un professore, un volontario, un professionista. In altre parole i rappresentati delle diverse categorie sociali italiane. "Per un congresso diverso, aperto e partecipato, la prossima settimana - ha spiegato il governatore del Lazio - ho organizzato in trattoria una cena con un imprenditore del Mezzogiorno di una piccola azienda, un operaio, un amministratore impegnato nella legalità, un membro di un'associazione in prima fila sulla solidarietà, un giovane professionista a capo di una azienda start up, una studentessa ed un professore di liceo".

"A tutti loro voglio chiedere - ha proseguito Zingaretti - che dobbiamo fare secondo voi? Dove abbiamo sbagliato? Come riprendere a lottare e vincere? Perché la nostra storia ricomincia così: ascoltando le persone". Poi, dopo aver definito sagge le parole di Gentiloni sul congresso, il governatore ha ricordato l'appuntamento con la sua iniziativa il prossimo 13 e 14 ottobre a Roma all' Ex Dogana, per Piazza Grande.

LA REPLICA DI CALENDA
La mossa di Zingaretti ha lasciato incredulo Calenda: "Una controcena? Non credo. Anzi lo escludo. Zingaretti è persona troppo intelligente per 'rispondere' così a un incontro tra quattro persone che peraltro non è fatto contro nessuno ma solo per confrontarsi tra ex colleghi di governo. Evitiamo interpretazioni che non reggono". Dopodiché il ministro è tornato sulla sua proposta di andare "oltre il Pd". "Oggi il partito - ha argomentato - è un tutti contro tutti. Non si può andare avanti così. Va fatta una segreteria costituente, con persone che hanno una voce pubblica, anche con sindaci come Sala o Gori. Poi si fa un congresso rapidamente e si elegge, che so? Zingaretti. Ma chi vince deve aver chiaro che andare alle Europee così è un suicidio. Ci sono persone disposte ad impegnarsi ma non con il solo Pd" ha detto l'ex ministro intervistato da Tgcom 24. "Oggi la capacità di rappresentare un pezzo ampio di società il Pd da solo non c'è l'ha più - ha rilanciato -  Occorre qualcosa che va oltre".

LA PRESA DI DISTANZA DI RENZI
Nel pomeriggio, mentre in rete esplodono le ironie sulla cena a quattro, dalla Cina Matteo Renzi ha preso le distanze: "Questi levano i vaccini, e i nostri parlano delle cene. Roba da matti", ha detto ai suoi collaboratori.

EMILIANO: "LORO CENANO, GLI ITALIANI STANNO FUORI"
Durissimo, sull'iniziativa delle cene, uno dei leader della minoranza interna: il governatore della Puglia, Michele Emiliano: "La questione della cena mi sembra un metodo sul quale avevo sentito molte volte renzi dire che non gli piaceva partecipare a caminetti. Evidentemente ha cambiato idea. È una modalità politica che ancora una volta lascia fuori gli italiani, la struttura del partito. Pensano di essere dentro ancora una struttura che gli consente di prendere decisioni durante una cena. E questo la dice lunga sulla crisi profondissima del partito". Una stroncatura anche da un ex parlamentare dem, Stefano Esposito: "Se potete datevi tutti una sana regolata. Se potete e se volete. Un abbraccio"

PRODI: "DIFENDIAMO L'UE, SOVRANISMO È UN SUICIDIO"

E mentre i big del Pd dibattono del congresso, uno dei più autorevoli fondatori del partito, Romano Prodi, lancia l'allarme contro il sovranismo in Europa: “È un suicidio. O stiamo assieme e abbiamo una parola nel mondo, oppure torniamo al sovranismo e non abbiamo nessuna parola", ha detto l'ex premier intervenendo a una conferenza a Bolzano.
 
© Riproduzione riservata
17 settembre 2018

Da - https://www.repubblica.it/politica/2018/09/17/news/pd_calenda_cena_confermata-206663169/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr