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Autore Discussione: GOFFREDO DE MARCHIS.  (Letto 71142 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Gennaio 01, 2012, 06:50:44 pm »

« Hallelujah

Che cos’è l’Anti-politica »

La normalità al potere

Marco DAMILANO

Si è presentato nelle case degli italiani all’ora di cena, nei tg delle otto, con un semplice buonasera. Niente retorica, neppure un sorriso, solo alla fine una battuta in puro stile anglosassone. Buonasera, eccomi qua, sono il professor Mario Monti: l’Ufo del Palazzo romano, il Supermario di Bruxelles, descritto nei giorni scorsi come il salvatore della Patria sceso in terra (dagli adulatori, già schierati in forze) o come il capo del complotto demo-pluto-ecc. (dalla ridotta della Valtellina berlusconiana), si è mostrato infine con il volto dell’italiano normale chiamato a fare uno sforzo straordinario.

Il cambio di stile è rivoluzionario. Bastava vedere, qualche minuto prima, il videomessaggio del premier uscente. E dire che Silvio Berlusconi, almeno in questo caso, aveva tentato di indossare i panni dello statista buono che per generosità e amore nei confronti del Paese fa un passo indietro. Niente da fare: sia pure moderato nella forma, il Cavaliere del congedo era il solito Berlusconi che abbiamo conosciuto in questi anni. Ego straripante, tutto un ripetere la parola Io, diminutivo di dio, assolutamente convinto di sé e della propria funzione provvidenziale per l’Italia, anche quando i fatti si sono incaricati di smentirlo così pesantemente. «Quando si sente dire che serve un governo tecnico al Consiglio dei ministri ci mettiamo a ridere. Non vedo nessun tecnico in giro che abbia la mia stessa autorevolezza personale e politica», aveva ridicolizzato la sola ipotesi di essere sostituito l’uomo di Arcore il 9 settembre, appena due mesi fa, ad Atreju, la festa dei giovani del Pdl a Roma. Ieri sera, forse, avrebbe voluto ripeterlo. E invece gli toccava ripetere meccanicamente responsabilità e generosità, termini a lui ignoti.

La parola io non esiste, invece, per il professor Monti. Non perché sia privo di autostima: anzi, se c’è una cosa che unisce il premier incaricato a quello uscente è proprio la certezza di essere un numero uno, un’eccellenza. Ma oggi è il tempo dell’emergenza, per affrontarla servono gli uomini normali, come altre volte nella storia. L’entrata in scena di Monti fa la stessa impressione che dovette fare nel 1945 l’arrivo al Viminale dopo il ventennio fascista di personaggi come Ferruccio Parri, il comandante partigiano Maurizio, l’azionista che fu il primo presidente del Consiglio dopo la Liberazione, o come Alcide De Gasperi, che era stato deputato del Parlamento austriaco. Austeri, sobri, anti-retorici, non a caso marchiati all’epoca come stranieri, o addirittura invasori, da una parte del Paese. I nostalgici del lungo e tragico carnevale mussoliniano, i qualunquisti di Guglielmo Giannini, progenitore dei Feltri, dei Sallusti, dei Ferrara di oggi.

Anni fa il filosofo Remo Bodei in “Il noi diviso” le definì passioni grigie, le virtù degli eroi borghesi, inevitabilmente minoritarie, eppure essenziali nei momenti di emergenza: «scarsamente diffuse in Italia, respingono il fanatismo e l’estremismo, prediligono l’efficienza e la normalità. Pongono in primo piano i diritti e i doveri, la ragionevolezza, l’onestà, la serietà. Si presentano grigie e impiegatizie, modeste e di routine soltanto a coloro che considerano la democrazia un regime orientato dai gusti volgari e dalle opinioni superficiali delle folle o retto da potenti lobbies che manipolano spregiudicatamente il consenso». Eroi come Rosario Livatino, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giorgio Ambrosoli che nella lettera-testamento alla moglie Anna aveva lasciato detto di educare i figli al dovere verso il loro Paese, «si chiami Italia o si chiami Europa».

Italia e Europa sono oggi la posta in gioco. E già ieri sera il professor Monti, con sobrietà e severità, senza darlo a vedere, ha dichiarato chiusa l’era del Truman Show, il mondo a parte dei ristoranti pieni propagandati fino a una settimana fa. Via all’operazione verità, a una cura dolorosa ma necessaria. Con «un’accresciuta attenzione all’equità sociale», un modo garbato per dire che in questi anni l’attenzione è stata nulla. E «un futuro concreto di dignità e di speranza», un cammino faticoso da compiere tutti insieme, non la scorciatoia virtuale di un miracolo che non c’è mai stato.

Un cammino pieno di ostacoli, di serpenti sotto le foglie. La prima mina da disennescare spetta allo stesso Monti, quando presenterà la lista dei ministri: il suo sarà il governo dei competenti, per fortuna, ma i competenti – si spera – non si trovano solo alla Bocconi o alla Cattolica ma anche in qualche università pubblica, non sono solo di sesso maschile, non sono solo uomini di una certa età. Il governo Monti non può nascere lontano, troppo lontano dal vento di cambiamento che ha soffiato in questi ultimi mesi: il movimento delle donne, le elezioni di Milano e di Napoli, i referendum, il modello Pisapia, l’esigenza di ritrovare una partecipazione civile. Il secondo rischio è legato al primo: la cessione di sovranità della politica, con pesanti ripercussioni sulla democrazia. Un pericolo ben presente nell’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: oggi c’è bisogno di uno sforzo comune, poi le forze politiche torneranno a dividersi alle elezioni, senza confondersi e senza perdere la loro identità. La scelta di Monti arriva dopo la dissoluzione del Pdl (mesi di «rotture e tensioni», ha fatto notare il capo dello Stato), l’arbitro Napolitano ha fischiato la sospensione della partita per inagibilità del campo, troppi fallacci, troppe scorrettezze, troppo fango. Ora arriva il Commissario, a ripulire, a ricominciare, a ricostruire. E poi, dopo la tregua, la partita dovrà riprendere: si spera con magliette pulite, regole del gioco rispettate, squadre rimaneggiate con nuovi acquisti, nuovi allenatori, nuovi giocatori.

È questa la sfida che si apre da questa mattina. Per l’Italia è «la sfida del riscatto», come ha detto ieri sera Monti. Per la politica la tregua è la grande occasione: dimostrare di essere all’altezza, trovare la capacità di autoriformarsi, quella che i partiti non sono riusciti a mettere in campo da soli, senza essere costretti dalla forza dei fatti. Quanto sta accadendo è poco rassicurante: paletti, condizioni, veti reciproci, veleni, tentazioni di delimitare la sfera di azione del nuovo governo. Sul ministero della Giustizia, ad esempio, ieri sera circolava addirittura la voce che il Pdl avesse proposto come nome tecnico il magistrato Augusta Iannini, capo dipartimento di via Arenula, la moglie di Bruno Vespa. La solita partita sulla Giustizia, il ricatto berlusconiano su cui andò a infrangersi anche la Bicamerale. E il Cavaliere ha già avvertito: senza di me il governo non ha la maggioranza.

Si vedrà nelle prossime ore. Lo scontro è tra chi vuole un governo forte che consenta ai partiti di rinnovare la politica prima di ridare la parola ai cittadini e chi lo vuole fin da ora trasformare in un governicchio natalizio, un decreto sui conti pubblici e via. Se fosse così, il tentativo Monti si ridurrebbe a ben poca cosa: una manovra salva-Italia, qualche mese di governo dell’economia e poi si tornerà a votare. Ma le ambizioni del Professore sembrano ben altre. Sono le ambizioni straordinarie di un uomo normale. La normalità al potere.

da - http://damilano.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/11/14/la-normalita-al-potere/
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« Risposta #61 inserito:: Gennaio 19, 2012, 04:52:33 pm »

Il caso

Riforme, il Colle prepara un nuovo appello ma sulla legge elettorale intesa lontana

Napolitano vede Bersani e Alfano. Oggi nuovi incontri.

Il capo dello Stato è preoccupato per le distanze registrate durante gli incontri con i leader politici.

Ma sui regolamenti parlamentari l'accordo c'è già

di GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO


ROMA - La modifica dei regolamenti parlamentari è praticamente pronta. Frutto di un accordo tra i vicecapigruppo del Senato di Pdl e Pd, Gaetano Quagliarello e Luigi Zanda, che si è sbloccato nel momento in cui è caduto il governo Berlusconi. Visto che quelle norme regolano soprattutto il rapporto di maggioranza e opposizione è stato più facile raggiungere un'intesa ora che i grandi partiti sono nella coalizione di Mario Monti con il Terzo polo.

Ma Giorgio Napolitano chiede di più. Ieri ha visto Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano. Oggi è il turno di Lega e Italia dei Valori. Già domani tornerà a convocare i presidenti delle Camere Fini e Schifani per chiudere il giro. E quasi sicuramente affiderà a una nuova nota, sottoscritta anche dagli altri due vertici istituzionali, il suo pensiero sulle riforme, legge elettorale compresa. Allarmato dalle distanze registrate nei suoi colloqui.

Le forze politiche, senza una decisa spintarella del Colle, rischiano di non trovare alcun accordo. I colloqui di ieri hanno confermato a Napolitano l'assenza di una sintonia sui contenuti delle riforme. E che la strada è ancora tutta in salita, l'intesa appare lontana. Ma proprio questo è il momento, secondo il Quirinale, di rilanciare. Le distanze si possono colmare con il tempo, il punto è partire con il treno delle riforme.

In questo senso la collaborazione dei presidenti delle Camere è fondamentale. E l'idea del capo dello Stato è di non
separare la riforma elettorale dal resto delle modifiche istituzionali: dalla riduzione del numero dei parlamentari al Senato federale. Sarebbe insensato scrivere un nuovo sistema di voto senza tenere conto di un rinnovamento del resto dell'architettura istituzionale.

Tempi troppo lunghi, un'operazione troppo ambiziosa che rischia così di mandare in tilt l'addio al Porcellum? Se la volontà politica c'è davvero, ha detto Napolitano a Bersani e Alfano, il cantiere delle riforme in sei mesi può dare i frutti sperati.

 Si combatte soprattutto intorno alle spoglie della "porcata", un caro estinto in realtà vivo e vegeto. La legge attuale piace pochissimo al capo dello Stato. E ancora meno convince il segretario del Pd: "Quando vedo riaffiorare antiche legami tra Bossi e Berlusconi penso che potrebbero andare avanti con il disastroso meccanismo del Porcellum. Per noi la riforma è un'urgenza assoluta", dice Bersani subito dopo la visita al Colle. Nel pomeriggio tocca ad Alfano con i capigruppo Gasparri e Cicchitto. "Occorre ridurre i parlamentari e avere senatori e deputati scelti dai cittadini", comunica il segretario del Pdl via twitter.

Cosa significa, la rinuncia al Porcellum? Maurizio Gasparri precisa: "Dipende. Si può anche fare un Porcellum con un po' di preferenze, c'è il modello spagnolo, ci sono altri sistemi. L'importante è accelerare e rilanciare. Con riforme complessive. Anche il presidenzialismo non è un tabù". Il tema sarà al centro di un vertice del Pdl con Berlusconi a Palazzo Grazioli oggi.

Gli sherpa e gli esperti dei partiti si vedono. Casini tiene sul tavolo l'arma di una riunione con gli altri segretari della maggioranza Pdl, Pd e Terzo polo. Ma il Pd teme le mosse del centrodestra. Per questo pensa di dare seguito agli appelli di Napolitano presentando alla Camera mozioni che impegnino il Parlamento a fare le riforme. Poi si discuterà dei modelli. A quel punto il Pdl dovrebbe votare e scoprire le carte. In parallelo partirà una campagna di comunicazione dei democratici per mostrare un partito che le riforme le vuole. E frenare l'ondata di antipolitica che da sempre travolge in particolare la sinistra.
 

(19 gennaio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/19/news/riforme_colle-28395623/
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« Risposta #62 inserito:: Febbraio 07, 2012, 11:17:20 pm »

L'INTERVISTA

"Dal 2013 basta governissimi nuovo premier e coalizione diversa"

Parla il segretario del Pd Bersani. "Staccare la spina? Semmai attaccarla meglio. Lasciando passare uno strappo dopo l'altro rischiamo il cortocircuito. Sull'articolo 18 serve un'intesa, troppe battute dai ministri"


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Pier Luigi Bersani non vuole staccare la spina al governo Monti. "Semmai attaccarla meglio. Non vorrei che lasciando passare uno strappo dopo l'altro ci trovassimo in una situazione complicata e ci fosse un cortocircuito". Lo preoccupa la nascita di un "nuovo sport. Quello per cui dietro la copertura di un formale sostegno all'esecutivo ci sia la convergenza tra chi insulta Monti come la Lega o Scilipoti e il Pdl. Questa è una presa in giro".

E se le prese in giro continuano?
"Ribadiamo a tutti gli interlocutori la nostra scelta di appoggiare un governo che abbiamo voluto in nome dell'Italia prima di tutto. Anzi, anticipo il nostro nuovo slogan: Italia bene comune. Non pretendiamo che assuma il 100 per cento delle nostre proposte. Ma il punto è non aprire un fossato tra l'esecutivo e l'opinione pubblica. Se passa l'idea che si può allungare l'età pensionabile di un infermiere di 4 anni ma non si possono toccare notai, banche e titolari di farmacie si crea un problema serio. Lo dico per dare forza al governo non per indebolirlo. Stia attento alle trappole".

Rai, responsabilità civile dei giudici e liberalizzazioni. Sono questi i temi?
"La vicenda della Rai è grave non solo per le ultime nomine ma anche per certe frasi che sento pronunciare ad autorevoli esponenti del Pdl. Del tipo "un intervento del governo sull'azienda sarebbe illegittimo". Ma scherziamo? È
surreale. Una società interamente pubblica può e deve essere sottoposta a un intervento legittimo del governo. Per cambiare la governance di un'azienda oggi ingestibile".

Giustizia.
"Si parte con una posizione formale del governo e una del Pdl che dice di essere d'accordo. Poi vedo applausi a scena aperta per un emendamento della Lega su un tema delicatissimo come quello della responsabilità civile. A quel voto va posto rimedio. E aggiungo: siccome abbiamo le orecchie lunghe sento che attorno al decreto liberalizzazioni si muovono meccanismi della vecchia maggioranza Pdl-Lega per indebolirlo. Invece noi vogliamo rafforzarlo perché l'effetto sulla vita dei cittadini risulti visibile".

Troppe carezze di Monti al Pdl visto che sono la maggioranza uscente?
"Non credo. Se fosse così è chiaro che sarebbe un errore. Il Pdl ha molte più responsabilità delle nostre per come si è arrivati all'emergenza conclamata in cui ci troviamo. Loro, a maggior ragione, non possono ottenere il 100 per cento".

I ministri e il premier non riescono a sottrarsi dalle battute sull'articolo 18. L'ultima è del ministro Cancellieri. Le dà fastidio?
"Qualcosa si potrebbe rimproverare ai membri del governo ma so bene che alle domande si risponde. Il punto è un altro: come mai la nostra discussione pubblica è inchiodata da anni su questo punto e non si sposta il riflettore su come creare lavoro?".

Lo ha detto a Monti?
"Conosco il pensiero del presidente del Consiglio e so che per lui la questione è molto più complessa della frase sulla monotonia. Ma è vero che alcune dichiarazioni sembrano protrarre il dibattito ideologico degli ultimi anni, cioè del governo Berlusconi. E questo è un male. Guai se nei prossimi mesi ci fosse una spaccatura sulle regole che sono solo una parte del problema".

Ma all'articolo 18 ci arriverete.
"I partiti non possono permettersi di accendere fuochi. Noi stiamo zitti e non interferiamo su questo tema. C'è un tavolo del governo con le parti sociali. Accetteremo qualunque accordo nato in quella sede. Abbiamo le nostre proposte innovative che non toccano l'articolo 18. Ma non escludiamo perfezionamenti nella sua gestione a cominciare dai percorsi giurisdizionali. Ma vorremmo rivoltare l'agenda partendo dalla domanda: come si crea un po' di lavoro?".

Siete tentati da un patto Pdl-Pd sulla legge elettorale?
"La premessa è che bisogna parlare con tutti. Le forze che sono in Parlamento e quelle fuori. Ci interessa una legge che pacifichi il Paese e venga riconosciuta da molti non da pochi. Non mi interessa invece un uso strumentale della riforma dove due soggetti lasciano fuori gli altri. Il Pd non è disponibile".

E così si possono fare legge elettorale e riforme costituzionali?
"La priorità è cancellare il Porcellum, toglierlo di mezzo. Anche qui il Pd ha la sua proposta ma è assolutamente flessibile a discutere fatti salvi alcuni paletti. Sento che Bossi dice "non si tocca nulla". In questo modo torniamo al nuovo sport di cui parlavo prima. Se scattano istinti di vecchia maggioranza ci teniamo il Porcellum. Ma questo è un punto dirimente".

Che può mettere in discussione il governo?
"Un punto che porterebbe a un confronto politico molto acceso".

Il caso Lusi riapre la questione morale nel Pd?
"Sulla vicenda in sé il Pd non sa nulla e non c'entra nulla".

Ma Lusi è un senatore del Pd.
"Il Pd nasce senza patrimoni e senza debiti altrui. Con bilanci certificati. Di una persona iscritta al partito coinvolta in casi giudiziari si occupa la commissione di garanzia".

Troppi soldi ai partiti dal finanziamento pubblico?
"Andiamo a vedere come viene finanziata la politica negli altri Paesi europei e adeguiamoci ai migliori parametri".

Scopriremo che gira più denaro o meno?
"A occhio direi la stessa quantità. Con delle voci singole da modificare come si è fatto per i parlamentari colpendo vitalizi e rimborsi delle spese. È necessario che i bilanci siano certificati dalla Corte dei conti. Annullare i meccanismi che consentono di sopravvivere anche ai partiti estinti ed evitare che nascano gruppi parlamentari che non si sono presentati alle elezioni. Ma dai tempi di Pericle si riconosce il fatto che l'attività politica va sostenuta se si intende avere una democrazia".

Il caso Lusi viene affiancato al cosiddetto sistema Penati, al finanziamento occulto dei Ds.
"Penso solo al Pd. Le calunnie non le leggo nemmeno. Passo tutto agli avvocati per le querele".

Quando farete le primarie per il candidato premier?
"Intanto faccio notare che senza polemiche e sotto la neve stiamo organizzando le primarie per le amministrative dappertutto. Faremo anche quelle nazionali. Il percorso è il solito: il patto di coalizione e qualche mese prima dell'appuntamento elettorale, né troppo presto né troppo tardi, le primarie".

E se le riforme del governo Monti avessero bisogno di una grande coalizione per andare avanti?
"Non si può andare in campagna elettorale proponendo governissimi. Anzi. Lo stesso percorso di certe leggi che stiamo approvando adesso, ci dice che una vera opera di riforme e di ricostruzione devi farla chiedendo un impegno al corpo elettorale".

(07 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/07/news/intervista_bersani-29457266/
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« Risposta #63 inserito:: Aprile 08, 2012, 05:24:49 pm »

di GOFFREDO DE MARCHIS

Cambiare la legge sui rimborsi ai partiti

Il governo in campo


Lo scandalo Lega e il caso Lusi aprono il fronte del finanziamento ai partiti. E il governo non intende stare a guardare, ossia non farà come sulla legge elettorale delegando tutto ai partiti. Monti dal Medioriente dov'è in vista ufficiale annuncia che l'esecutivo sta riflettendo sulla materia. Paola Severino si spinge anche più in là: "Il ministro della Giustizia è pronto ad intervenire sul tema del finanziamenti ai partiti, fornendo il proprio contributo tecnico, non appena il Parlamento e i presidenti di Camera e Senato lo richiederanno", si legge in una nota di Via Arenula. Severino immagina anche gli strumenti: o un emendamento al ddl anticorruzione. O addirittura un decreto legge.

Sono veri e propri atti di sfida ai partiti, consapevoli della gravità degli ultimi episodi ma sempre gelosi delle proprie prerogative quando si parla di soldi, anche se sono soldi pubblici. E' probabile che la prossima settimana Alfano, Bersani e Casini s'incontrino in un vertice a tre per mandare un segnale di trasparenza. Ma sulla Lega e sulla gestione dei loro rimborsi continuano a uscire le carte delle Procura. Carte che non solo suggeriscono a Roberto Maroni il grido "pulizia, pulizia, pulizia" ma costringono tutte le forze politiche a mettere un freno all'anti-politica.


da - http://www.repubblica.it/politica/
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« Risposta #64 inserito:: Aprile 10, 2012, 11:19:49 pm »

LA DECISIONE

Tv, governo azzera il 'beauty contest' frequenze messe all'asta a pacchetti

Svolta del governo sull'assegnazione delle frequenze televisive. Non saranno concesse gratuitamente, annuncia il ministro Passera.

Per lo Stato introito possibile fino a 1,2 miliardi.

Mediaset ora punta a uno sconto sul canone

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Nessuna frequenza in regalo per le televisioni. Mediaset e gli altri network non avranno gratis nuovi canali di trasmissione. "Il beauty contest verrà azzerato", annuncia Corrado Passera confermando l'orientamento espresso da Monti e dallo stesso ministro dello Sviluppo economico al momento del loro insediamento.

Tra nove giorni scade la pausa di riflessione che il governo si era preso per esaminare la decisione del precedente esecutivo. Ma Passera ha già sciolto il nodo e individuato il percorso per assegnare i multiplex di frequenze d'intesa con l'Europa e l'Autorità delle Comunicazioni.

Si farà una vendita pubblica, ma il bene complessivo verrà spacchettato. "La prossima asta - spiega Passera - sarà fatta di pacchetti di frequenze con durate verosimilmente diverse". È una riapertura dei giochi in piena regola, è un segnale che va nella direzione di un mercato veramente aperto.

Un'ipotesi è che la banda larga 700 (2 o 3 multiplex dei 6 totali in palio) venga aggiudicata per un periodo di 3 anni, da qui al 2015. Per quella data infatti una commissione dell'Onu ha previsto lo spostamento di reti dalle tv all'accesso a Internet.

Ed è proprio la banda 700, una rete superveloce, il bene più prezioso del lotto visto che fa gola agli operatori del web, cioè al futuro delle comunicazioni. Il resto dei canali più strettamente televisivi può invece essere assegnato per un periodo più lungo.

La scelta del governo deve ora passare al vaglio della commissione europea. E all'esame dei partiti di maggioranza, senza dimenticare l'incrocio delicato con il rinnovo dei vertici della Rai. Sarà poi l'Agcom a stabilire tempi e modalità dell'asta. Già domani possono arrivare risposte importanti.

Il commissario Ue all'agenda digitale Neelie Kroes sarà infatti a Roma per un convegno della Confindustria con Passera. L'occasione buona per fare il punto sulle frequenze tv. Secondo Mediobanca lo Stato può incassare 1-1,2 miliardi dalla vendita dei multiplex. Se non ci saranno intoppi, prima dell'estate l'Authority potrebbe indire l'asta.


SI RIPARTE DA CAPO
Il governo Berlusconi, per scelta del ministro dello Sviluppo Paolo Romani, aveva stabilito l'assegnazione di 6 multiplex di frequenze tv attraverso il beauty contest, in italiano concorso di bellezza. In pratica, niente asta ma una concessione gratuita dei canali a chi aveva i requisiti.

La pratica del beauty contest non è una prerogativa solo italiana. Lo è invece il conflitto d'interessi che coinvolge il Cavaliere e fece leggere la decisione del precedente governo come un regalo a Mediaset. Peraltro la "gara" indetta imponeva un vincolo di proprietà di soli 5 anni. Cioè: l'omaggio di oggi poteva essere rivenduto a caro prezzo in tempi brevi.

Monti e Passera, dopo il loro insediamento, stabilirono di sospendere il beauty contest. "Non credo sia buona cosa cedere gratuitamente beni di valore dello Stato", disse il nuovo ministro dello Sviluppo economico. La pausa di riflessione è finita. La decisione del 19 aprile viene ora anticipata da Passera. La vecchia procedura sarà azzerata.


LA NUOVA GARA
Si punta a introdurre regole diverse in funzione di alcune prese di posizione internazionali e di un'apertura del mercato verso soggetti diversi da quelli puramente televisivi. L'asta verrà spacchettata. Una tranche di multiplex, quella forse più appetibile, verrà ceduta a concorrenti tv solo per tre anni, fino al 2015. Dopo quella data le Nazioni unite hanno stabilito che una serie di reti vengano trasferite dalla televisione all'accesso a Internet. Si parla della banda larga 700 che dovrebbe interessare 2 o 3 multiplex dei 6 complessivi.

Su quella "strada" digitale possono correre contenuti a velocità super e gli operatori del web attendono gli sviluppi del mercato per valutare nuove offerte e nuove possibilità. In sostanza, ciò che oggi vale 10 domani può valere 100.

Le compagnie telefoniche, Tim, Vodafone, Wind e 3, si sono tirate fuori da questa partita. Non più tardi di sei mesi fa hanno investito quasi 4 miliardi per la LTE, il 4G. Ma non è escluso che a breve siano in grado di tornare a competere. Il resto dei multiplex, meno preziosi, verrebbe invece assegnato per un periodo più lungo a imprese puramente televisive.


IL VALORE
Il bollettino di Mediobanca di febbraio ha calcolato in 1-1,2 miliardi il possibile incasso dello Stato dall'asta delle frequenze tv. Non siamo ai livelli del 4 G, costato circa 370 milioni a multiplex (erano 9). Ma rispetto al regalo è una cifra considerevole. Se i passaggi parlamentari e in sede europea avranno buon esito, l'Autorità delle Comunicazioni seppure in fase di rinnovo, è in grado di varare il nuovo bando entro l'estate.


LA REAZIONE DI MEDIASET
Al momento della sospensione, Fedele Confalonieri aveva attaccato Passera e l'azienda si preparava a ricorsi in tutte le sedi, italiane ed europee. Adesso il network di Berlusconi punta ad alzare la posta su altri fronti. Ad esempio, il canone sulle frequenze. Mediaset lamenta il pagamento di 32 milioni l'anno, calcolati sulla base del fatturato.

Nessun altra tv paga così tanto. Confalonieri chiede al governo un criterio diverso per il canone fondato sul valore dei canali. In questo caso non si esclude che Cologno Monzese possa anche partecipare all'asta per la banda 700. Risparmiando in 3 anni 96 milioni di euro.

(10 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/04/10/news/cancellato_beauty_contest-33032732/
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« Risposta #65 inserito:: Maggio 10, 2012, 11:39:32 pm »

L'INTERVISTA

Bersani: "Il centrosinistra non basta ma il premier stavolta tocca al Pd"

Il leader dei Democratici: Casini scelga tra noi e il polo regressivo. Vogliamo allargarci ma non puntiamo a rifare l'Unione. 

Ci rivolgiamo a intellettuali, autorità morali, società civile

DI GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - "Il candidato premier tocca a noi. Il Pd vuole allargarsi e aprirsi, il centrosinistra non è sufficiente per governare. Noi puntiamo a un patto di legislatura più ampio. Ma la guida la proporrà il Partito democratico". Preoccupato per la situazione italiana, triste per la morte di Cevenini. Ma Pier Luigi Bersani, dopo il voto amministrativo, vede il traguardo. Con tutta la consapevolezza di un sistema quasi al collasso.
C'è veramente da festeggiare se il Pd tiene ma non cresce?
"Non mi riconosco nelle analisi che leggo e sento in questi giorni. Quando si parla di amministrative si contano quanti comuni uno vince e quanti ne perde e i raffronti si fanno con le precedenti comunali. Il Pd ottiene una vittoria nettissima al primo turno e si presenta in vantaggio per il secondo".
Con molti candidati che non vengono dal Pd.
"Nella stragrandissima maggioranza sono espressione del Pd. Laddove non lo sono per noi è un onore sostenerli. Vogliamo essere l'infrastruttura del centrosinistra, abbiamo inventato le primarie per metterci al servizio della coalizione. A Milano ha vinto Pisapia e il Pd ha ottenuto il record storico di voti. Si vede che la gente ci capisce meglio di alcuni analisti".
Insomma, avete vinto.
"Ma non lo dico per orgoglio di partito. Lo dico perché sono preoccupato. Temo che qualcuno coltivi l'illusione schumpeteriana di una distruzione creativa del sistema politico. Sfasciamo anche
l'unico che è rimasto in piedi perché arriverà qualcosa di buono. Significa fare gli apprendisti stregoni su un problema che può franare addosso a tutti".
Bisogna farsi carico anche del crollo del centrodestra?
"Dobbiamo guardare chi incrocia l'effetto dello tsunami che ha colpito Pdl e Lega. Lo fa il Terzo polo? No. Lo fa il centrosinistra? No. Questo conferma due cose. Il transito da un campo all'altro in Italia è molto limitato. E pensare che la crisi del centrodestra possa portare acqua a posizioni centrali o tecnocratiche è un'illusione assoluta. A destra c'è un vuoto, ma l'elettorato non è scomparso. È in cerca di autore e la risposta che cerca non sarà un pranzo di gala, non avrà l'abito della festa".
Cioè non sarà un professore o Passera o Montezemolo?
"Sarà l'incarnazione di una proposta che mi auguro minoritaria ma somiglierà a quelle forze che in Europa interpretano tendenze regressive e populiste. No Unione, no tasse, no immigrati. Un misto di Le Pen, Sarkozy e Lega nostrana".
Perché non ci prova il Pd a occupare il vuoto moderato?
"Ci proviamo. Il centrosinistra per la prima volta può sfondare il muro di gomma tra guelfi e ghibellini che è radicato nella storia d'Italia. È una responsabilità nuova e il Partito democratico non basta. Vogliamo essere più aperti nei programmi e nelle proposte. Ci rivolgiamo a intellettuali, autorità morali, rappresentanti della vita economica per dire diamoci la mano. Penso a un rassemblement democratico contro il ripiegamento difensivo della destra".
Metterete in lista gli esterni?
"Assolutamente sì, saranno liste aperte. Ma non guardo solo a intese elettorali, non puntiamo mica a rifare l'Unione. Penso a una società civile che vuole far parte di questa scommessa. Il Pd si mette a disposizione".
Uno spazio che rischia di essere già occupato da Grillo.
"Il suo è un voto gonfiato dalla protesta ma non c'è solo protesta in quel partito. C'è anche una domanda di stili nuovi di partecipazione, di sobrietà della politica, di cura dei problemi del territorio. Alle provocazione di Grillo rispondo con durezza. Ma il mio atteggiamento verso il movimento 5 stelle è di attenzione. Non abbiamo guerra da fare con loro. Ci sono domande che lì non possono trovare risposta di governo".
A Monti ha detto che non si vede niente di positivo da mesi. È una minaccia?
"Abbiamo scarpinato per l'Italia e c'è una situazione acutissima di sofferenza. Al governo ribadisco lealtà, ho una sola parola. Ma dico: attenzione. Il voto dimostra che nel Paese ci siamo dappertutto. Allora ascoltateci".
Cosa avete da dire?
"Con la vittoria di Hollande Monti ha ora lo spazio e l'autorevolezza per aprire nuovi tavoli di confronto in Europa. Ma i tempi della crescita non sono compatibili con la situazione italiana. Monti deve insistere sulla mini golden rule per sbloccare investimenti. E occorre affrontare subito il tema dei pagamenti alle imprese per far arrivare un bel po' di miliardi di liquidità nel giro di poche settimane. Infine va risolta l'ingiustizia intollerabile degli esodati".
Monti però ha appena confermato la linea del rigore.
"Mica diciamo di far saltare i conti. Se c'è da trovare qualche soldo, troviamolo".
Si può pensare a un rinvio del pareggio di bilancio?
"Se ci danno la golden rule, probabilmente non ce ne sarà bisogno. Ma vedo che la Spagna si prepara a ricontrattare quell'obiettivo. Facciamolo anche noi se serve".
Il voto anticipato non vi tenta?
"Anche per strada qualcuno mi chiede: perché non vuoi andare a votare ad ottobre? Rispondo così: siamo ancora in una situazione delicatissima, abbiamo la possibilità di giocarci una partita in Europa e di correggere un po' le nostre politiche interne per metterci in una zona di ulteriore sicurezza".
Tanto ci penserà il Pdl a staccare la spina.
"Non entro nel campo avverso. Ma non possono scaricare sull'Italia i loro problemi. E non possono pensare di andare avanti tendendo imboscate al governo".
Casini vi avverte: non verremo mai con la foto di Vasto. Con chi lo fate lo schieramento più largo?
"Non inseguo le dichiarazioni quotidiane. Mi affido ai processi di fondo. Quando la dialettica sarà tra un polo democratico e uno che dà risposte regressive ognuno si assumerà le sue responsabilità. Il Pd vuole allargare ma sa di dover essere il baricentro di una proposta alternativa. Anche rinunciando a qualcosa di suo".
Lasciando la candidatura alla premiership a un moderato?
"No. Il dato che si ricava da queste elezioni è che tocca al Pd. Saremo noi a proporre un nome. Non per metterci al comando ma per rendere un servizio e guidare questa fase. Il guidatore lo dobbiamo scegliere noi".
A Palermo il centrosinistra rischia di frantumarsi a meno che voi non scegliate Orlando
"Il candidato è Ferrandelli. Se decidi di fare le primarie le rispetti. Ma aggiungo che si è esaurita la fase politica di Lombardo in regione. Il gruppo dirigente siciliano del Pd deve lavorare per avere al più presto le elezioni".
Il punto dirimente alla fine è sempre quello dell'affidabilità di un centrosinistra con Sel e Idv. È in grado di governare?
"Il voto locale ci dice che non c'è un centrosinistra autosufficiente. La solidità e la credibilità di governo nascono da un centrosinistra affidabile e da un patto di legislatura più ampio. Teniamo fermo questo punto e ci si convincerà che non esiste una strada diversa, non ci sono altre risposte".

(10 maggio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2012/05/10/news/intervista_bersani-34831526/
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« Risposta #66 inserito:: Agosto 03, 2012, 07:14:11 am »

Il retroscena

Alleanza con Pd-Sel, Casini aspetta "Risolvano prima i loro problemi"

Il leader Udc: "Io intanto penso a organizzare i moderati". E tra i democratici spunta l'idea delle primarie a doppio turno.

Nuovi contatti col Pdl sulla riforma del voto, le distanze restano su premio e preferenze

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Quello di Vendola è stato un balletto, ma non mi voglio impantanare nelle loro dispute". Pier Ferdinando Casini guarda a distanza il dibattito dentro il centrosinistra. "Dinamiche loro", taglia corto parlando con i suoi collaboratori. Eppure sa che i passi avanti del governatore pugliese sono concreti e lo sforzo di Bersani autentico. "Infatti rispetto molto il loro dibattito. Però sia chiaro: non cerchiamo posti o strapuntini. Io organizzo la mia area, Pd e Sel la loro". L'Udc, prima di stringere l'asse progressisti-moderati sognato dal segretario del Pd, aspetta soprattutto la legge elettorale. E dentro quella riforma, soprattutto come verrà articolato il premio di maggioranza.

Se una quota di parlamentari aggiuntiva andrà al partito vincente, Casini e Bersani hanno già simulato l'ipotesi di un'alleanza elettorale, dichiarata ma non vincolata da leggi. Se invece il premio dovesse finire alla coalizione, le scelte andranno fatte prima del voto e siglate ufficialmente. Questa è la prima variabile. La seconda è abbastanza evidente: i centristi continuano ad osservare le mosse del fronte destro, la composizione o meglio la scomposizione dello schieramento di Berlusconi.

Bersani, che con il leader dell'Udc parla ogni giorno e spesso lo incontra in segreto a Bologna, non si preoccupa per scherzi dell'ultimo minuto: "Sono tranquillissimo, conosco la posizione di Pier". Ieri è stata una giornata molto positiva, il resto verrà. La marcia di avvicinamento alle elezioni procede come programmato a Largo del Nazareno, la sede democratica. Non si stupisce, il leader Pd, nemmeno per la marcia indietro di Vendola sull'alleanza con il Centro. "Questo percorso è difficile per noi, figuriamoci per chi guida un partito come Sel. Ma l'evoluzione di oggi (ieri ndr) è gigantesca", è il commento consegnato ai fedelissimi.

Secondo Bersani l'incontro, seguito ideale della presentazione della carta d'intenti che mette il punto all'identità del partito, è andato bene. "E pensare che un anno fa si parlava dell'Opa ostile di Nichi contro di noi". Oggi invece il governatore riconosce la centralità del Pd. La rottura con Di Pietro completa l'opera.

Si sono costruite la basi, quindi, non solo per un patto ma anche per un'ipotetica lista unica Pd-Sel, come ha scritto ieri l'Unità. Se il premio di maggioranza andasse al partito vincente un rassemblement sotto lo stesso simbolo diventerebbe la strada maestra, anche per un'intesa con i moderati. Altrimenti ognuno avrebbe la sua sigla in una coalizione dichiarata in anticipo.

Anche la candidatura di Vendola alle primarie non è una sorpresa. Era data per scontata a Largo del Nazareno. Bersani l'ha accolta con grande fair play. Oggi i concorrenti sono lui, il leader di Sel, Matteo Renzi, Bruno Tabacci, Stefano Boeri. Almeno sulla carta. Manca però il regolamento. Sempre di più Bersani, con il sostegno di Enrico Letta, Francesco Boccia ed altri, pensa al doppio turno. Per dare una legittimità maggiore a chi vince, per fargli superare il 50 per cento. In caso contrario, la frammentazione consegnerebbe l'immagine di un centrosinistra inaffidabile. È il modello francese quello che ha portato Hollande al successo prima dentro il suo partito, poi alle presidenziali.

Loro hanno copiato dall'Italia l'idea delle primarie, i democratici potrebbero copiare il metodo usato a Parigi. Renzi continua a stare alla finestra. Non parla, aspetta le regole della competizione, lascia fare la sua strada a Bersani. Certo, un ritiro è difficile da mettere nel conto, si è spinto troppo avanti nel chiederla.

Le "consultazioni" del segretario del Pd proseguono oggi con il Terzo settore. Le associazioni verranno in larga parte ascoltate. Ma per un'alleanza progressisti-moderati la legge elettorale diventa un passaggio fondamentale. Il dialogo è ripreso al Senato, può portare a una conclusione a settembre. Maurizio Migliavacca ha contatti con Denis Verdini e Lorenzo Cesa. Ma le distanze rimangono su preferenze e premio. Distanze che interessano anche il Pd.

Un'apertura di Bersani sulle preferenze non sarebbe accolta bene da una fetta del suo partito, guidata da Dario Franceschini e Rosy Bindi. Due nomi pesanti nella geografia Pd: il primo capogruppo, la seconda presidente. Per le preferenze invece tifa Beppe Fioroni, convinto che l'area ex popolare possa diventare decisiva negli equilibri con gli ex Ds. Ma questi appaiono al vertice democratico problemi superabili. Anche l'accordo con Vendola, dopo mesi di lavoro, sembra metabolizzato. Persino Fioroni applaude: "Possiamo costruire un'area riformista ed evitare gli estremismi di sinistra che hanno danneggiato i governi Prodi".
 

(02 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/02/news/alleanza_pd-sel_casini_prende_tempo_risolvano_prima_i_loro_problemi-40187494/?ref=HRER1-1
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« Risposta #67 inserito:: Settembre 06, 2012, 04:17:58 pm »

IL RETROSCENA

Il "grande patto" dei maggiorenti l'organigramma che blinda i big del Pd

Lo schema prevede Bersani premier, Veltroni alla presidenza della Camera e D'Alema ministro. E' più sicuro se si evitano le primarie e lo scontro con il sindaco Renzi.

L'accordo sta garantendo una tregua nel partito tra i big. Franceschini verso la segreteria, Fioroni e Bindi al
governo.

Il nodo del Quirinale

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Il patto di potere tra i big a cui si riferisce Matteo Renzi è anche l'organigramma dell'ultimo giro. È la spartizione di poltrone dei "vecchi", come si evince chiaramente dalle parole del trenta-quarantenne Matteo Orfini, unito al sindaco di Firenze solo dalla voglia non di mandare tutti a casa ma di non vederli più in prima fila. "Nessuno ex ministro dovrà tornare al governo nel 2013", avverte Orfini facendo capire che molti invece scaldano i muscoli. Ma anche Antonello Soro, prudente e navigato ex capogruppo del Pd alla Camera ora transitato all'authority per la privacy, descriveva, alla vigilia dell'estate, una futuribile divisione dei compiti: "Franceschini spera nella presidenza della Camera, ma per quel posto è in corsa Veltroni. A Dario daranno la segreteria del Pd".

Qualcosa più di una voce, dunque. Qualcosa, anzi molto meno di un patto blindato che sarebbe comunque sottoposto a un numero infinito di variabili, la prima della quale non è irrilevante: vincere le elezioni e gestire il ricambio di governo. In questo caso, quello che il Foglio ha chiamato "papello" ma che in realtà è vero un toto-poltrone, disegna così l'Italia del 2013. Pier Luigi Bersani premier, Rosy Bindi vicepremier, Veltroni presidente della Camera, D'Alema ministro degli Esteri o commissario europeo, Franceschini segretario del Pd, Fioroni ministro. Secondo Renzi questo tipo di intesa spiega l'insolita assenza di litigiosità tra le correnti democratiche. E sta alla base, per esempio, dell'equidistanza di Veltroni sulle primarie mentre gran parte dei veltroniani riconoscono nel sindaco di Firenze il vero erede del programma illustrato al Lingotto nel 2007. Ma la pianificazione a tavolino è reale? Pur coinvolto direttamente, sono mesi che Beppe Fioroni mette in guardia i suoi colleghi dalla sindrome dell'ultimo giro. "E se alla fine ci spazzassero via tutti?", dice.

In nome di quell'organigramma, si alzerebbero anche le dichiarazioni di chi vorrebbe evitare le primarie. La Bindi (pronta a correre nella complicata gara per il Quirinale) dice che non sa se si faranno, lo stesso Fioroni chiede a Renzi di dimettersi da sindaco se davvero ha intenzione di correre, Veltroni - che in subordine potrebbe approdare ad un "megaministero" per i Beni culturali e le Comunicazioni - vuole capire "primarie per cosa". Il duello interno come grimaldello per rinnovare il partito e soprattutto far saltare "l'organigramma", insomma. È così? Orfini le interpreta anche in questa chiave: "È chiarissimo perché qualcuno non le vuole. Scompaginano antiche consuetudini, rimettono in discussione big senza voti. Ma sono utili proprio per questo. Le primarie tra Renzi e Bersani si devono fare. Pier Luigi le vincerà". Con quali garanzie per i dirigenti più esperti?

Domande, dubbi, timori. Persino qualche ironia sulla recensione fatta da D'Alema sull'Unità al nuovo libro di Veltroni: sarebbe un'altra prova dell'entente cordiale. Sulle indiscrezioni, sullo scontro generazionale, sulle insinuazioni di cui "l'organigramma" fa parte a pieno titolo perché tira in ballo nomi molto conosciuti, Bersani rischia di vedere spaccarsi il partito. Orfini sa essere diretto come un cazzotto: "Il segretario uscirà da candidato premier nella sfida con Renzi. Ma io sarei ancora più sicuro della vittoria se fosse uno scontro diretto tra i due. Temo che il sostegno dei notabili a Pier Luigi si trasformi in una zavorra". È Bersani a dover sbrogliare la matassa di questo incredibile caso. Il leader ha già annunciato un ricambio robusto delle liste per il Parlamento e ha spiegato la sua alchimia per un eventuale governo di centrosinistra. "Qualche presidio di esperienza e tanti volti nuovi come ministri", ha spiegato. Un identikit e non un organigramma. Da sempre Bersani è uno dei dirigenti democratici più attenti ai giovani. Ha creato una segreteria di quarantenni, "scopre" ragazzi sui territori e li appunta su un quaderno, non gli dispiace l'idea di avviare una ristrutturazione del centrosinistra per lasciare spazio al nuovo. Ma, come dice D'Alema, Bersani deve anche tenere unito il partito. E da qualche giorno, vedendo allargarsi la polemica generazionale, insiste sul tasto in ogni occasione, in ogni festa democratica. "Non dimentichiamoci di chi ci ha portato fin qui". Che sono gli stessi che lo hanno portato alla segreteria nel congresso del 2009. Bindi gli ha chiesto di fermare la deriva del duello a distanza sull'età, gli anni in Parlamento, il limite dei mandati, gli "editti" di Renzi o di Orfini, l'epurazioni a mezzo stampa. Bersani farà chiarezza. Ma senza prendere la bandiera di una o dell'altra squadra. Sapendo che il rinnovamento potrebbe essere dettato dall'esterno. Dalle liste di Grillo, dai giovani che sceglierà Nichi Vendola per il suo partito, dalle mosse di Berlusconi.
 
(05 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/05/news/il_grande_patto_dei_maggiorenti_l_organigramma_che_blinda_i_big_del_pd-41976089/
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« Risposta #68 inserito:: Ottobre 01, 2012, 02:54:11 pm »

L'INTERVISTA

"Se perdo le primarie non vado via ma se vinco sarò io premier, non Monti"

Renzi risponde alle critiche di Eugenio Scalfari su Repubblica: non voglio che i democratici restino una riserva indiana. "Sono più di sinistra le riforme che premiano il merito anziché quelle che tutelano rendite di posizione. In Italia abbiamo conosciuto le seconde più delle prime"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Certo che esiste una differenza tra destra e sinistra. Ma non accetto di veder relegata la sinistra nei confini ideologici del passato". Matteo Renzi vuole mettere un punto rispetto alle accuse che si susseguono da quando ha lanciato la corsa alle primarie con lo slogan: "Voglio i voti dei delusi del Pdl". Eugenio Scalfari ha spiegato 2 che il sindaco di Firenze è più di centrodestra che di centrosinistra. E che lo schieramento progressista, in caso di sua vittoria, non potrà che sfasciarsi perché smetteranno di riconoscersi nel Pd gli elettori che pensano a un partito riformista di centrosinistra.

Le tappe del suo tour in giro per l'Italia sono piene di ex elettori di Berlusconi e della destra. Lei non si fa domande su questa realtà?
"Le primarie secondo me servono ad allargare il campo del Partito democratico. Non è un male che le piazze si riempiano dei delusi di vari schieramenti e non solo del Pdl. Ci sono, e sono tantissimi, anche quelli di sinistra, del Movimento 5 stelle, quelli che non vanno a votare o pensano di non votare più Pd. Questo è il senso delle primarie. Altrimenti ci schiacciamo sulla vocazione minoritaria dei Fassina perdendo di vista la vocazione maggioritaria che è la scintilla originaria del Pd".

Non manca un'identità al "suo" Pd se togliamo il refrain della rottamazione?
"Rispetto i giudizi di Scalfari. Ha fatto la storia del giornalismo. Continuerò a essere un suo lettore anche se lui non sarà mai un mio elettore. Però mi aspetterei da lui un approfondimento sui contenuti della mia campagna invece di un pregiudizio gratuito. E, ripeto, è ingeneroso non rendersi conto di quello che sta succedendo nel Paese: più partecipazione, più interesse, maggiore vicinanza tra la politica e la gente. Per me questo è un valore".

E dopo questo?
"La sinistra corre un serio rischio: consegnare non tanto Monti ma i contenuti della sua azione di governo a un'ipotesi centrista. Sarebbe la sconfitta del Pd. Io vorrei un centrosinistra che fosse capace di migliorare e innovare l'agenda Monti, senza tornare indietro. Lo abbiamo già fatto una volta, durante il governo Prodi, abolendo lo scalone sulle pensioni e buttando 9 miliardi. Io mi preoccupo che il Pd non vada verso un modello "riserva indiana". Le primarie sono proprio l'occasione per dare forza al centrosinistra, per evitare la Grande coalizione. Con tutte le conseguenze che già vediamo, basti pensare ai veti sull'anti-corruzione".

Lei sembra alimentare una certa ambiguità sul significato di destra e sinistra. Sono categorie davvero superate?
"Esiste una differenza, certamente. Ma non voglio relegare la sinistra nei confini del passato. Per essere chiari, sono più di sinistra, per me, le riforme che premiano il merito anziché quelle che tutelano rendite di posizione. In Italia abbiamo conosciuto le seconde più delle prime. L'Ocse ci dice che il figlio di un operaio italiano ha 4 volte in meno le possibilità di laurearsi del figlio di un operaio francese. Invertire questa tendenza è di sinistra".

D'Alema e Scalfari, due personalità piuttosto lontane, sostengono che lei sfascerà il centrosinistra in caso di successo. Sbagliano entrambi?
"È un'ipotesi che ho sentito dire solo da loro due. Il Pd è anche casa mia, non ne uscirò mai, nemmeno se mi cacciano. Ma se vinco voglio fa rivivere il sogno del Partito democratico che non è nato per accordarsi con i partiti moderati, non è nato per fare patti elettorali con i Casini di turno ma per sconfiggerli. Semmai la questione è un'altra: io prometto lealtà se perdo, mi aspetto dal gruppo dirigente una parola di lealtà nel caso di una mia vittoria anziché agitare lo spauracchio di una possibile divisione".

Se vince lei passerà la mano a un Monti bis?
"Chi vince le primarie sarà il candidato premier".

Parliamo delle elezioni, in questo caso.
"Chi vince le elezioni va a Palazzo Chigi. Non è pensabile fare le elezioni come se fossimo su Scherzi a parte: si vota e poi appare il cartello 'abbiamo giocato'. Il destino personale di Monti è molto importante per i mercati oggi e per vari ruoli istituzionali domani. Quello che conta sono i contenuti del lavoro del premier. Vanno migliorati, ma non è che appena va via il supplente ricomincia il casino di prima".

Il mancato incontro con Bill Clinton da grande occasione si è trasformato in un buco nell'acqua.
"Sarà più facile incontrarlo lontano da Firenze. C'era solo lo spazio per una photo opportunity, ma io volevo un incontro vero. Abbiamo sbagliato anche noi a far filtrare la notizia, non c'è stata nessuna pressione del Pd per annullare il colloquio. Con Blair sono stato due ore a chiacchiera, volevo farlo anche con Clinton. Per me sono due giganti assoluti degli anni '90". 

(01 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/01/news/se_perdo_le_primarie_non_vado_via_ma_se_vinco_sar_io_premier_non_monti-43611860/
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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 19, 2012, 06:11:46 pm »

Il caso

Il passo indietro di Montezemolo "Non mi candido, staremo con Monti"

Il capo di "Italia Futura" ha deciso di non candidarsi. "Non chiedo posti o leadership, ma staremo al fianco dell'attuale premier.

Il Paese prenda atto della disponibilità del Professore a continuare il lavoro Per quanto mi riguarda, il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno.

Oltre a Monti occorre mettere in campo una politica diversa da quelle del passato che ci hanno portato dove l'Italia non merita"

di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA - Finisce qui il tormentone sull'impegno di Luca di Montezemolo in politica. Anzi, è finito giovedì quando Mario Monti, da New York, ha offerto se stesso per la guida del governo anche dopo il 2013. "Io non chiedo né ruoli né incarichi - dice adesso il presidente di Italia Futura -. Tantomeno chiedo posti o leadership". Il leader c'è già e non sarà lui, dunque. "Bisogna che il Paese prenda atto della disponibilità del premier a continuare il suo lavoro". Montezemolo esce così da un limbo durato cinque anni imboccando la porta di una discesa in campo non diretta, non personalistica. Una "ritirata strategica" che non significa improvviso disimpegno. L'imprenditore si candida a reclutare associazioni, sigle, cittadini e società civile per aggregarli nel nucleo fondativo di una lista Monti. E presentarsi in questo modo alle prossime elezioni.
Montezemolo prepara già oggi una "comunicazione importante", dicono dal suo staff, sui prossimi passi di Italia Futura, la fondazione che conta sedi territoriali e 60165 iscritti (dato aggiornato alle 20,13 di ieri). È confermata la convention di metà novembre con altre associazioni, con Fermare il declino, il gruppo liberale di Oscar Giannino con cui i montezemoliani si muovono in totale simbiosi. "Oltre a Monti - spiega Montezemolo - occorre mettere in campo una politica diversa da quella del passato che ci hanno portato sin qui, in una posizione desolante che l'Italia non merita".

Come si muoverà nell'affollato campo moderato e del Monti-bis, il capo della Ferrari è un dettaglio non trascurabile. Ma ora secondario rispetto alla scelta a favore del Professore. Sul terreno presidiato dall'Udc di Pier Ferdinando Casini, Montezemolo sembra presentarsi come un concorrente. Le polemiche a distanza, anche pesanti, non sono mancate. Ma se l'obiettivo è lo stesso sarà difficile non ritrovarsi. Emma Marcegaglia e Corrado Passera, che hanno espresso la loro preferenza per l'Udc, non sono affatto considerati avversari dal presidente Ferrari, ma compagni di strada. I cattolici di Todi, che a ottobre torneranno a farsi sentire con un nuovo seminario, sono un altro pezzo del puzzle. Situazione fluida, ma su dove condurre Italia Futura Montezemolo ha le idee chiare. "Spingerò l'associazione - dice - a dare una mano alla prospettiva di un Monti bis con uomini e donne nuovi. Con idee nuove. Per far nascere una nuova politica, con quelli che ci vogliono stare e cambiare".

Il presidente della Ferrari immagina di contribuire al "secondo tempo" di Monti, ossia alla crescita, allo sviluppo, con il programma di "If" elaborato da Nicola Rossi, Andrea Romano, Carlo Calenda con il contributo delle idee giunte via Internet. Il bacino di riferimento è quello dell'imprenditoria. Piccola e grande. Montezemolo torna a difendere Sergio Marchionne in maniera netta e non ambigua "perché in Italia è difficile fare impresa, qui sta il punto. Me ne sono accorto in prima persona con l'avventura dei treni Ntv. Abbiamo avuto un sacco di problemi a liberare veramente il mercato". Tra gli sfidanti Marchionne e Della Valle, Montezemolo sceglie quindi il primo. E proprio all'amministratore delegato della Fiat ha confidato, tra i primi, la sua scelta di rinunciare a una corsa personale in politica. Lo scambio di battute avvenuto qualche giorno fa al salone dell'Auto di Parigi assume i contorni di una rivelazione più che di affettuosità tra amici. Marchionne spiegò di aver consigliato a "Luca" di stare lontano dalla mischia. Lui rispose: "Di solito tengo conto dei consigli degli amici". Adesso la scelta è definitiva. Le parole scelte da Montezemolo per ufficializzarla sembrano studiate a lungo e scolpite come una sentenza: "Per quanto mi riguarda alla politica non chiedo né ruoli né incarichi, tantomeno posti o leadership. Il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno".

La sorte di Italia Futura si lega ora alla capacità di aggregare forze fresche, società civile e agli accordi che saprà realizzare con altre componenti dello schieramento moderato. Il tempo degli scontri, delle gelosie, dei protagonismi deve finire. Si attende la riforma della legge elettorale, ma i sondaggi non sono positivi: Italia futura da sola prende ben poco. Da parecchie settimane il gruppo di lavoro dell'associazione cerca di allargare il suo orizzonte: da Oscar Giannino ai montiani del Pd, dalle imprese ai transfughi di un Pdl travolto dagli scandali e dagli sbandamenti del dopo-Berlusconi. Ma adesso Montezemolo ha trovato un leader. E non è lui, che fa un passo indietro.

(30 settembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/30/news/il_passo_indietro_di_montezemolo_non_mi_candido_staremo_con_monti-43559615/?ref=HREA-1
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« Risposta #70 inserito:: Novembre 06, 2012, 10:19:57 pm »

IL RETROSCENA

Da Gallino a De Magistris, a sinistra del Pd parte la rincorsa ai voti dei grillini

Un manifesto aperto a movimenti ed associazioni, appoggiati dai sindaci, per preparare una lista che coaguli le forze contro Monti.

Il candidato premier della galassia potrebbe essere l'ex pm di Palermo Ingroia

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Pezzi di sinistra che vogliono incrociare pezzi di elettorato "in liquefazione". L'astensionismo siciliano (53 per cento) e i sondaggi che danno il non voto a livello nazionale vicino al 40 stanno "accendendo" una serie di movimenti alla sinistra del Pd e anche di Sel. L'ultimo in ordine di tempo è il Manifesto di Marco Revelli, Paul Ginsborg, Luciano Gallino e Livio Pepino. "Cambiare si può" dicono nel titolo e puntano a "creare le condizioni per una presenza elettorale alternativa alle elezioni politiche del 2013". Alternativa a che cosa? A Bersani, a Grillo, a Vendola che "firmando la carta d'intenti del Pd si è vincolato in sostanza all'agenda Monti", spiega il professor Revelli. Si sono dati tempo fino a un'assemblea fissata per il primo dicembre. Se una parte dell'elettorato darà la risposta attesa, se le mille schegge di quel campo riusciranno a trovare un'intesa, la lista elettorale sarà nella scheda.

È una galassia mista e ancora piuttosto confusa. Il che non è certo un vantaggio a pochi mesi dal voto politico. C'è il Movimento dei sindaci, ossia la lista Arancione guidata da Luigi De Magistris, guardata con simpatia da Leoluca Orlando, a caccia di altri sostegni a cominciare da Marco Doria per finire a Giuliano Pisapia (molto complicato). Un tentativo solo abbozzato di creare le condizioni per un "partito" che non avrà i primi cittadini candidati ma la loro benedizione e il loro sostegno. C'è il corteggiamento
nei confronti della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici in guerra con Marchionne e al quale l'amministratore delegato della Fiat fa una bella pubblicità con le sue "iniziative" quotidiane. Maurizio Landini, il segretario delle tute blu, ha dichiarato con nettezza che il sindacato non scenderà in campo, non cederà alle lusinghe di nessuno, nemmeno a quelle di Tonino Di Pietro che con Maurizio Zipponi cerca in tutti i modi di agganciare le sue alle lotte degli operai. Ma quel bacino di voti fa gola a molti. "Noi - dice Revelli - ci muoviamo su una proposta molto vicina a quella della Fiom".

L'obiettivo sono i consensi degli astenuti e quelli di Grillo che vengono da sinistra. "Oggi l'unica offerta contro questo governo è il comico - dice Revelli -. Noi ci proponiamo di costruire un altro contenitore per quel tipo di protesta". Fra i firmatari del Manifesto Sabina Guzzanti, Massimo Carlotto, don Gallo, Haidi Giuliani, l'operaio Fiom di Pomigliano Antonio Di Luca, don Marcello Cozzi di Libera. Se il tentativo non potrà ambire a traguardi superiori "alla mini-testimonianza di bandiera" verrà archiviato. Si parla di un target oltre la soglia del 5 per cento. Il termometro saranno le adesioni sul sito www. cambiaresipuo. net. La legge elettorale invece è una variabile minore. "Per l'ampiezza dell'elettorato in libertà il sistema di voto ci interessa poco", dice Revelli. E con il Porcellum Antonio Ingroia sembra il candidato premier più adatto.

Ma i movimenti hanno certamente bisogno di un coordinamento perché nello stesso spazio si muove da tempo la Federazione della sinistra, ancora quotata nei sondaggi intorno al 2 per cento. La frammentazione non li aiuterà a raccogliere i voti in uscita e ad arginare il boom dei 5 stelle. Il primo dicembre, giorno dell'assemblea, è subito dopo le primarie del Partito democratico. Che diranno qualcosa su dove andrà il centrosinistra.   

(06 novembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/06/news/movimenti_sinistra-45992338/
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« Risposta #71 inserito:: Novembre 28, 2012, 11:23:27 pm »

La paura di Bersani: "Non mi bastano i voti di Vendola"

Il segretario lavora sui consensi ottenuti da Renzi in Umbria, Piemonte e Toscana.

E il sindaco ora medita una virata a sinistra

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Bersani non si fida. Non è sicuro che i voti di Nichi Vendola siano sufficienti a conquistare la vittoria finale anche perché, va dicendo ai suoi collaboratori con fare scherzoso, "vedrete la virata a sinistra che farà Renzi. Finisce che ce lo ritroviamo in Rifondazione".

Che la svolta del sindaco di Firenze porti qualche vantaggio è tutto da dimostrare. Che la minaccia di un partito nuovo, nei sondaggi renziani dato tra il 12 al 25 per cento, sia una cosa seria pure. "Punta solo a scaldare l'ambiente. Ma io non ho mai avuto segnali di questo tipo parlando con Matteo", è il pensiero del segretario. Semmai sono i fedelissimi bersaniani a coltivare il sospetto che il sindaco abbia mire fuori dal Pd. Comunque il problema oggi è un altro: se i voti di Sel non sono sufficienti, bisogna lavorare sui consensi di Matteo Renzi. Lì dove ha vinto o ha sfiorato la vittoria: Umbria, Piemonte e Toscana.

La strategia del recupero sui renziani poggia su due pilastri. Primo: sottolineare il robusto ricambio su cui Bersani lavora da tempo. "Un rinnovamento nei fatti, non a chiacchiere". Volti nuovi nel suo comitato, negli organismi dirigenti locali, nella scelta degli ospiti Pd che vanno in televisione. Da giorni ormai, nei talk show, si fa largo una nuova generazione di democratici: da Stefano Bonaccini a Paola De Micheli, da Antonella Moretti a Stefano Fassina a Matteo Orfini a Tommaso Giuntella.

Sono scomparsi quasi del tutto gli appartenenti alla cosiddetta nomenklatura. Si vuole dimostrare così che sono morte le correnti, che non esistono più dalemiani, veltroniani, bindiani, che il distacco di Bersani da una stagione del passato non è più solo quello lampante della non ricandidatura di D'Alema e Veltroni o dei rapporti non idilliaci con Rosy Bindi.

È in atto una rottura vera e profonda con i vecchi schemi, questo è il messaggio. "Dobbiamo convincere che la nostra non è solo tattica, che il rinnovamento c'è già e va avanti", dice un fedelissimo del segretario. "E non si torna indietro". Come dire che la classe dirigente del centrosinistra degli ultimi due decenni non rispunterà all'indomani del voto di domenica.

Questo pilastro è strettamente legato all'altro. L'analisi del voto, secondo i bersaniani, dimostra che una parte delle preferenze a Renzi rientra in un gigantesco regolamento di conti tra correnti a livello locale. Per esempio in Toscana, dove Bersani non immaginava una sconfitta tanto bruciante (52 per cento Renzi, 35 lui). O in Umbria. O in Piemonte. Tutte regioni che Bersani toccherà nei prossimi giorni. "Non ci sono dubbi. In alcune realtà, il voto a Renzi non è contro Bersani ma contro alcuni dirigenti eterni, contro logiche superate - spiega Giovanni Lolli, deputato abruzzese e bersaniano che fu l'uomo macchina della segretaria Veltroni nei Ds -. La novità è che stavolta, invece di mollare tutto, i militanti delusi hanno trovato un'alternativa dentro al partito grazie a Renzi. Le primarie sono state anche una grande valvola di sfogo".

Così si spiega il giro di Bersani nelle swinging regions (le regioni in bilico) e il messaggio su una "rottamazione" soft che deve continuare. Dall'altra parte appare scontato un viaggio di Matteo Renzi al sud. Il sindaco ha riunito ieri a Firenze tutti i coordinatore regionali. Riunione blindata nella notte dopo aver affrontato l'emergenza pioggia. Alla rete locale lo sfidante chiede come virare a sinistra sui temi concreti senza diventare ideologico e senza tracimare nel campo dell'anti-Monti, bandiera del vendolismo.

Una piccola componente dei voti Sel può automaticamente andare nel bacino di Renzi: sono quelli per il ricambio generazionale, quelli contro l'apparato. Ma certamente non sono il grosso dei consensi finiti al governatore pugliese. Il comitato di Bersani guarda con molta diffidenza certe mosse del sindaco, compresa la riunione di ieri sera. "Se fa le primarie per creare un nuovo partito, ne risponderà agli elettori", dicono alcuni fedelissimi del segretario. Ma Bersani si rifiuta di credere a un'ipotesi del genere. E non solo per una questione di fair play.
 

(28 novembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #72 inserito:: Dicembre 16, 2012, 11:55:00 pm »

Monti non vuole strappi e cerca un'intesa con il Pd

Il Professore affronta il nodo del suo futuro e pensa a un accordo con il Partito Democratico: "Ma il primo passo tocca a loro".

Anche il segretario del Pd vuole un chiarimento prima che il premier decida cosa fare.

Torna l'ipotesi di un tandem tra Bersani e Monti, con tanto di staffetta

di GOFFREDO DE MARCHIS


NON ROMPERE con Pierluigi Bersani. E riflettere ancora su una candidatura alle elezioni, con la voglia e l'orgoglio di provarci ma solo nell'ipotesi di una collaborazione con il Partito democratico. "Di questo parlerò con il presidente Napolitano, ascolterò i suoi consigli", spiega Mario Monti alla vigilia dell'incontro di oggi al Quirinale.

Nello studio del capo dello Stato sarà quindi evocato il candidato premier del centrosinistra, intenzionato a godersi la domenica nella sua casa di Piacenza prima di rientrare a Roma lunedì. La lunga attesa intorno alla decisione del premier ha innervosito il Pd. Eppure da entrambe le parti c'è il desiderio di un chiarimento. Un primo passo è stato già fatto, raccontano, con una telefonata "molto recente" nonostante la smentita del segretario: "Non ci sentiamo da due giorni".

Monti scioglierà la riserva dopo l'approvazione della legge di stabilità e l'atto formale delle dimissioni nelle mani di Giorgio Napolitano. Ossia, venerdì o sabato. In meno di una settimana si gioca così il destino della legislatura che verrà. Una partita a tavolino che non annulla il passaggio fondamentale del voto, ma disegna equilibri, ruoli e programmi dei prossimi cinque anni sotto gli occhi attentissimi della comunità internazionale.

Il Professore è sottoposto a pressioni di tutti i tipi. Dalle liste di centro, per schierarsi apertamente con loro e affrontare le urne alla guida di una coalizione moderata. Dal Pdl, che nel giro di un paio di giorni ha rovesciato la sua posizione. L'offerta di Silvio Berlusconi al premier è stata rispedita al mittente persino con un po' di ribrezzo. E il Cavaliere ha mutato linea in un amen, senza sorprendere chi ha assistito al balletto della settimana appena finita.

Oggi infatti è il Pdl a premere in maniera insistente su Palazzo Chigi perché Monti resti "neutrale", mantenga il "profilo istituzionale degli esordi", si "faccia da parte" senza troppe discussioni. Siccome non sarà mai il leader dei moderati come lo intende Berlusconi, l'ambasciatore berlusconiano Gianni Letta gli ha fatto sapere che non deve prendere posizione: né candidatura, né endorsement, né nome nel simbolo di qualche "partitino". Berlusconi si è fatto intervistare ieri sera dal Tg5 per rendere esplicito al suo popolo che l'operazione è fallita. Non ha mai citato il premier, nemmeno indirettamente. Monti ha chiuso la porta e l'ex premier torna a cercare una diversa via d'uscita.

Si apre così un altro scenario: le forme di una collaborazione tra il Professore e il centrosinistra. Monti vuole "superare le perplessità del Pd". Non si è lasciato impressionare dall'intervista di D'Alema al Corriere ("Una candidatura del premier? Sarebbe moralmente discutibile"). Il suo interlocutore è Bersani, al quale riconosce l'autorevolezza della premiership decisa dalle primarie. Sono state una prova di partecipazione democratica vera e di grande impatto, il Professore lo sa. Anche per questo si aspetta che sia il segretario democratico a parlargli in maniera chiara di un'eventuale intesa sul futuro. "È un candidato già in pista, pienamente legittimato. Tocca a lui introdurre l'argomento".

Si è discusso, negli ultimi giorni, di un sostegno del centrosinistra e del centro per l'elezione al Colle di Monti. Si è ventilata l'ipotesi di un ruolo di governo, all'Economia, sul modello di Carlo Azeglio Ciampi nell'esecutivo Prodi. Ma sul piatto resta, come sottinteso molto concreto, la possibilità di una prosecuzione del lavoro a Palazzo Chigi in vista di un altro anno di crisi dura. "Le riforme vanno portate avanti, seguite e attuate - ha detto qualche giorno fa il premier -. Altrimenti è meglio non farle". Insomma, l'idea di un accordo tiene dentro anche il Monti bis, pure in presenza di un candidato premier favorito in tutti i sondaggi.

Nel colloquio di oggi al Quirinale sarà probabilmente il tema-chiave. Il presidente Napolitano, ormai vicino alla scadenza del suo mandato, avrà ancora una posizione centrale nel disegno istituzionale. Può esercitare la sua moral suasion, anche sul leader del Pd, per verificare i contorni di questa "collaborazione" con la consapevolezza che dalle risposte dei prossimi giorni dipenderà la scelta di Monti. Un patto di legislatura che preveda il tandem Monti-Bersani non dispiace a una fetta del Pd, dai montiani doc agli ex Popolari. È tornata a risuonare una formula che appartiene al passato: la staffetta. Con il Professore che lascia il posto al segretario del Pd superato lo scoglio del prossimo anno. Monti quindi si prepara a valutare le numerose soluzioni. Ma appare chiaro che lo farà senza strappare con il Pd.

(16 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 28, 2012, 11:58:35 pm »

Primarie Pd, la carica dei mille.

I decani rischiano lo sgambetto

Seggi aperti il 29 e 30 ai gazebo: gli elettori di Pd e Sel potranno votare per i parlamentari che correranno alle prossime elezioni politiche.

Obbligo di doppia preferenza: una deve andare a una donna. A Bari c'è il fratello di Emiliano. Bindi in Calabria

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Meno due giorni alle primarie per i parlamentari del Pd. Si vota il 29 e in alcune regioni il 30. Corrono quasi mille e cinquecento candidati e alla fine avremo alcuni esclusi eccellenti. Soprattutto nelle grandi città dove molti parlamentari uscenti sfidano nomi nuovi o nomi antichi dotati di un grande bacino elettorale. In Sicilia per esempio corre l'ex segretario della Cisl Sergio D'Antoni, da anni deputato. Ma lui, come altri onorevoli, fronteggia la forza di uomini dal consenso radicato come Davide Faraone, il renziano che corse per la carica di sindaco, e Pino Apprendi. Solo un esempio, ma la storia si ripete a Roma, Milano, Torino, Napoli, Firenze.

Alla vigilia del voto, non mancano le polemiche. La Puglia è una delle regioni più calde. Perché è quella dove saranno in competizione il maggior numero di consiglieri regionali, ben quattro, travolti da un mare di critiche. Loro si sono giustificati così: se Vendola viene eletto (cosa sicura) cadrà il consiglio, abbiamo il diritto di tentare un'altra strada. Giustificazione ammessa. A Bari è in pista anche il fratello del sindaco e presidente del Pd pugliese Michele Emiliano. Si chiama Alessandro, ha 50 anni, è un imprenditore. "Ho provato a dissuaderlo, ma non potevo più fermarlo", racconta il primo cittadino. "Ha già rinunciato nel 2010". Alessandro è stanco di "essere il fratello di". Corrono nella regione i deputati bersaniani Francesco Boccia (Barletta-Trani-Andria) e Dario
Ginefra (Bari). Mentre a Taranto sbarca oggi Anna Finocchiaro, la capogruppo al Senato, per giocarsi la conferma in un collegio complicato.

A Roma sono a caccia di voti gli unici due membri della segreteria a essersi messi in gioco: Stefano Fassina e Matteo Orfini. Si batteranno contro un gruppone di consiglieri uscenti del Lazio, contro il segretario locale Miccoli, contro la deputata Marianna Madia, ex assessori del calibro di Roberto Morassut. A Firenze l'ondata di candidati renziani è data per favorita dopo il tracollo delle truppe bersaniane in regione. A Torino rischiano il tutto per tutto un ex ministro come Cesare Damiano, un deputato uscente come Stefano Esposito mentre l'operaio della Thyssen Antonio Boccuzzi ha rinunciato in accordo con il partito.

Nel grande risiko i più esposti sono, per una volta, i maschi grazie alla regola del doppio voto da dare obbligatoriamente a un uomo e una donna. Tra gli esclusi illustri non bisognerà sorprendersi se la parte del leone la faranno i candidati di sesso maschile. Anche a Milano, tra i tanti candidati, si presentano gli uscenti Emanuele Fiano e Emilio Quartiani, accanto a Barbara Pollastrini, un'altra ex ministro. Giorgio Gori corre a Bergamo. A Napoli, dove è in campo il presidente provinciale Massimiliano Manfredi, Anna Maria Carloni, la moglie di Bassolino, senatrice uscente, denuncia di essere stato abbandonata dalla sua corrente.

Tra i big gli occhi sono puntati su Rosy Bindi, che partecipa in Calabria e per la precisione nella provincia di Reggio, e su Beppe Fioroni che corre a Messina. A partire da oggi sbarcheranno nel loro collegio per una campagna elettorale di 48 ore, massimo 72.

All'organizzazione del Pd e di Sel che tiene le sue primarie negli stessi giorni verrà chiesto uno sforzo straordinario. Ci sono molti rischi di ricorsi e polemiche nel dopo-voto. Nel partito di Vendola per esempio si contesta la quota protetta del 20 per cento. In Veneto si sente ancora l'eco degli attacchi al sindaco di Este Giancarlo Piva, eletto pochi mesi fa ma ora candidato alle primarie. Il punto è che Este presto sarà accorpato a un altro comune e il municipio non esisterà più.

(27 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/27/news/primarie_parlamento_pd_carica_mille-49496551/?ref=HRER1-1
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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 15, 2013, 12:14:59 am »

Bersani contro Casini: "Vuole comandare senza voti"

L'allarme del segretario del Pd: "Così regalano spazi al Cavaliere".

Pressioni su Ingroia perché non si presenti al Senato in tre regioni strategiche per il centrosinistra

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - "Con tutta la buona volontà, è inaccettabile". I pranzi settimanali a Bologna, la stima reciproca, il lavoro comune in Parlamento, l'alleanza sempre sul punto di nascere: la campagna elettorale cancella il buon rapporto tra Casini e Bersani. Perché il segretario del Pd ha individuato nel leader Udc il più accanito avversario del centrosinistra dentro l'area moderata.

E Casini non fa nulla per nascondere le sue intenzioni: sbarrare la strada al Pd, creando lo stallo al Senato che gli impedirebbe l'ingresso a Palazzo Chigi. "La teoria di Pier secondo cui comanda chi prende meno voti, la considero insostenibile, oltre che inaccettabile", dice Bersani commentando l'ennesimo attacco del centrista. Ma l'intera operazione montiana comporta dei pericoli. E dovrebbe far suonare un campanello d'allarme anche tra chi l'ha costruita.

La rimonta di Berlusconi spaventa il Pd ma dovrebbe avere lo stesso effetto su Mario Monti. "Loro - spiega il candidato democratico - continuano a sfruculiare lì nel mezzo, a speculare su una posizione che per il momento porta a un solo risultato. Significa dare spazio a Berlusconi, quello spazio che aveva inesorabilmente perso". L'esempio della corsa al Pirellone, secondo il segretario, rimane lampante. "Lì Berlusconi, grazie ad alcune scelte, sta recuperando terreno. Il centro sembra comportarsi come se esistesse il doppio turno. Ma sa bene che alle regionali si vota con un turno solo. La Lombardia è la prova provata di quanto siano rischiose certe decisioni". La corsa lombarda inciderà anche sull'esito del Senato. In quella regione si eleggono 49 membri di Palazzo Madama, un quorum altissimo. Il premio di maggioranza dà diritto a 27 seggi. "Casini può dire quello che vuole. Sul Senato ognuno fa le sue valutazioni e si prende le sue responsabilità - dice il segretario del Pd ragionando con i suoi collaboratori - ma, ripeto, la teoria di Pier è inaccettabile".

Siamo di fronte a un botta e risposta che si gioca nel campo di una futura collaborazione riformista tra il centrosinistra e il centro. Ma il modo migliore per cancellare i tatticismi e le alchimie delle alleanze è una vittoria netta della coalizione Pd-Vendola, che dia in mano a Bersani il pallino della politica post-voto da una posizione di forza. Per questo, anche se mancano 40 giorni alle elezioni, i democratici cominciano una partita alla loro sinistra: la partita del voto utile. In grande anticipo e a Largo del Nazareno avrebbero voluto aspettare ancora. Ma l'intenzione non è andare allo scontro con le forze che si muovono nello stesso perimetro. Semmai, trovare forme d'intesa. L'accelerazione si spiega così, con una forma di prevenzione. Il problema si chiama Antonio Ingroia e il suo movimento Rivoluzione civile. Il relativo "dossier" è stato affidato a Dario Franceschini.

I sondaggi sono molto chiari. Dal momento della scesa in campo del pm palermitano, Pd e Sel hanno pagato qualcosa. Soprattutto in Campania e Sicilia. Due regioni fondamentali per il Senato almeno quanto la Lombardia, viste le loro dimensioni. "La lista Ingroia rischia di consegnare il premio di maggioranza alla destra", avverte il capogruppo alla Camera. Certo, la formula del voto utile non porta bene alla lunga vicenda del centrosinistra. Nel 2008 fece sparire Rifondazione dal Parlamento e non aiutò il Pd a vincere. "Ma i numeri sono numeri e la scaramanzia passa in secondo piano", dice Franceschini. Il vero obiettivo del Pd, più del richiamo al voto utile, è il ritiro di Rivoluzione civile in Campania, Sicilia e Lombardia. "Io spero ancora che Ingroia, De Magistris e Orlando non presentino le loro liste al Senato in quelle tre regioni", spiega il capogruppo.

Partita complicatissima, in particolare nelle aree dominate dai sindaci di Napoli e Palermo e dalla provenienza del pm siciliano. Sono il principale bacino di voti del neonato partito. È appena più semplice in Lombardia dove Rivoluzione civile è accreditata del 4 per cento, voti fondamentali per far vincere il centrosinistra e Ambrosoli, ma che non permetterebbero l'elezione di alcun senatore.

Il "dossier" di Franceschini ha un nome: desistenza. È questa sostanzialmente la proposta lanciata dal capogruppo al movimento di Ingroia. Un'altra parola sfortunata nella storia delle coalizioni di centrosinistra. Segnò la prima vittoria di Prodi nel '96, con gli esiti successivi che si conoscono. Ma la posta in gioco è troppo alta e i segni premonitori vanno esorcizzati.

(14 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

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