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Autore Discussione: LEGA e news su come condiziona il governo B.  (Letto 81509 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Maggio 21, 2008, 05:44:39 pm »

19/5/2008
 
Perchè oggi Berlusconi è legittimato
 
GIANNI BAGET BOZZO

 
La delegittimazione di Berlusconi, se così possiamo chiamare il rigetto della sua figura come leader politico, è stata così diffusa nella politica italiana tanto da contagiare anche i suoi alleati. Anche Bossi, Fini e Casini hanno considerato a lungo Berlusconi come un’opportunità da cogliere e non come una soluzione politica da adottare. Casini ha pensato di essere, in quanto democristiano, il successore naturale di una eredità berlusconiana che non poteva non aprirsi, dato appunto la non politicità dell’uomo che la impersonava. Ora le cose sono cambiate e vengono cercate le ragioni del perché del successo così evidente e così personale del leader del centrodestra. Le spiegazioni correnti sulla stampa hanno messo in rilievo la crisi del sindacato rispetto al territorio e si sono concentrate piuttosto sulla Lega che su Berlusconi. Come se Bossi e i sindaci del Veneto fossero il fattore determinante, quando anche il Mezzogiorno e le isole votano per Berlusconi.

Ma perché Berlusconi è stato percepito in questa forma come una minaccia per la democrazia? Lo si comprende quando si pensa che Berlusconi come persona è stato l’oggetto di un plebiscito del popolo senza partito e senza tessera, che si è espresso in cinque elezioni politiche generali e in varie elezioni regionali e locali. Non è un fenomeno sociale del Nord e del Veneto, ma è un fatto nazionale. La Lega è una costola di Berlusconi e Berlusconi legittima la Lega. Il fatto della sua dimensione extrapartito, del rapporto diretto tra persona ed elettore, è stato sentito come una delegittimazione del Parlamento e come il frutto del potere della televisione sul gusto e sulla vocazione politica. In qualche modo una barbarie dell’età tecnologica. Eppure la volontà del corto circuito tra elettorato e governo è alla base del referendum Segni. Ricordiamo il testo di Gianfranco Pasquino dal titolo significativo «Restituire al popolo il suo scettro». I referendum Segni ebbero l’appoggio del presidente della Bolognina, Achille Occhetto: l’idea del passaggio diretto dall’elettorato al governo nasce a sinistra.

Berlusconi non ha fatto che realizzarla in un modo improvviso, imprevisto, perché addirittura ha abolito la mediazione del partito e ha realizzato veramente il volto del popolo come principe in sé stesso. Il fatto ha prodotto una situazione profondamente diversa da quella pensata dai promotori. Ma ciò è dovuto a fattori drammatici: lo scioglimento dei partiti democratici occidentali dopo Mani pulite e la nascita dalla Lega nord come fenomeno separatista. Sono questi gli aspetti più vistosi della separazione tra popolo e partiti. Il fatto che la magistratura decidesse la politica e che nascesse nel Nord il Partito separatista indica una profondità della crisi tra popolo e il regime dei partiti, che il lungo compromesso tra democristiani e comunisti aveva imposto al Paese. Se non ci fosse stato Berlusconi cosa sarebbe accaduto? Si può ipotizzare che la coppia candidata a dirigere il Paese nel ‘94, Achille Occhetto e Mino Martinazzoli, avrebbe realizzato una nuova forma di condominio tra comunisti e democristiani, dopo che la Dc era finita e il sistema dei partiti poggiava solo sulla gamba dei postcomunisti?

Berlusconi non ha creato l’antipolitica, ma ha realizzato una soluzione politica che nasceva da un percorso inventato dalla sinistra. E lo ha fatto in condizioni che potevano essere molto più drammatiche senza il suo intervento. Egli ha costruito una forza moderata di centro, Forza Italia, ha condotto la Lega nord al governo e non al separatismo, ha ricondotto il postfascismo alla legittimità della democrazia. Un’opera non piccola. Ora Berlusconi è legittimato, i suoi alleati non lo considerano più come espediente, ma come una soluzione; e il Partito democratico lo ha finalmente preferito a Prodi. Per la prima volta da quando Berlusconi è in campo il Quirinale non è stato un nemico come con Scalfaro, né un censore come Ciampi, ma un Presidente della Repubblica che ha ricondotto il Quirinale nei limiti della democrazia parlamentare, come non era dai giorni di Giovanni Leone. Uno è un democristiano anonimo e l’altro è un postcomunista diverso. bagetbozzo@ragionpolitica.it


da lastampa.it
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« Risposta #46 inserito:: Maggio 22, 2008, 10:07:50 am »

21/5/2008
 
La beffa del governo stabile
 
 
 
 
 
CARLO BASTASIN
 
Quando scrisse Le conseguenze economiche della pace, John Maynard Keynes sapeva quale sforzo mentale fosse necessario per uscire da un conflitto sanguinario e beneficiare della ritrovata armonia. In qualche misura anche il governo italiano, emerso inaspettatamente stabile dopo anni di dura conflittualità politica, deve saper uscire dalla logica dell’emergenza e assumersi la responsabilità di governare «in tempo di pace», cioè con obiettivi di legislatura. Alla vigilia della prima riunione del Consiglio dei ministri, ieri si sono avuti due segnali contrastanti. Da un lato la conferma di provvedimenti controversi, come l’azzeramento dell’Ici e la detassazione degli straordinari.

Dall’altro un’impostazione di finanza pubblica che fa propri gli obiettivi europei pluriennali del precedente governo, che anticipa la Finanziaria legandola alla programmazione di medio termine e che sfrutta le opportunità del federalismo fiscale. Ici e straordinari sono provvedimenti che nascono da una campagna elettorale carica di promesse e povera di prospettive. Pochi ricordano che prima del voto la previsione era di un governo di larghe intese e di stretta durata. Un governo che doveva vivere poco, forse un anno, per riscrivere la legge elettorale e poi lasciare il posto a un nuovo esecutivo finalmente stabile. In tale prospettiva le promesse elettorali erano di brevissimo respiro e non coerenti con un programma di legislatura che infatti né destra né sinistra avevano presentato. La beffa del governo stabile è ora di dover mantenere le promesse instabili fatte prima del voto.

Su Ici e straordinari molto è già stato detto. Anziché tagliare l’Ici, ragioni di equità avrebbero consigliato di beneficiare il regime fiscale degli affitti a favore di chi una casa proprio non ce l’ha. Inoltre ragioni di efficienza avrebbero conservato la tassa locale sugli immobili che incentiva il contribuente a controllare da vicino in quale modo le amministrazioni comunali spendano i soldi dei cittadini. Infine l’80% degli italiani che si sentono esentati dall’Ici potrebbero essere vittime di «illusione tributaria», perché rischiano comunque di compensare il minor gettito con altri tributi. La detassazione degli straordinari è un primo passo per avvicinare la remunerazione di chi lavora alla produttività della propria impresa. Il decentramento della valutazione delle componenti variabili del salario è necessario a fronte di un panorama industriale nazionale sempre più eterogeneo, in cui le imprese che riescono a ristrutturarsi e a reggere la competizione globale non distribuiscono i benefici ai propri dipendenti quanto potrebbero, mentre le imprese in difficoltà non riescono a ridimensionarsi nella misura necessaria a sopravvivere, legate come sono da strutture salariali rigide. Tuttavia il problema del mercato del lavoro italiano è anche la bassa quota di italiani e italiane che lavorano. Inoltre si sta aggravando la condizione di precarietà di lavoratori privi di contratto o di rappresentanza nelle imprese minori. Favorire chi ha già un lavoro e protezione sindacale, attraverso uno sgravio fiscale sugli straordinari il cui costo grava su tutti gli altri, potrebbe far aumentare le difficoltà di chi è meno garantito o privo di un lavoro.

Nelle dichiarazioni di ieri, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha colto la necessità di governare avendo obiettivi di legislatura. Confermando gli impegni italiani nei confronti dell’Unione Europea ha dato un segnale rassicurante. La stima della correzione di bilancio da qui al 2011 è purtroppo ottimistica, ma l’intenzione di agire sulle spese pubbliche improduttive (e giustamente in primis sull’orribile decreto milleproroghe di marzo) è corretta. Così come l’affermazione che l’azione di governo non sarà episodica, ma organica e progressiva in una prospettiva di legislatura. Dalle prime provvisorie interpretazioni delle dichiarazioni del ministro, il quadro organico avrebbe una duplice natura, da un lato la compatibilità con gli impegni europei, dall’altro la realizzazione del federalismo fiscale attraverso il quale migliorare la qualità della spesa pubblica. Si tratta di un impegno giustamente ambizioso, ma non privo di rischi se si pensa alle gravi inefficienze delle amministrazioni pubbliche, alle grandi differenze regionali e alla tradizione di scarsa credibilità dei governi. Negli anni passati il Belgio è riuscito a ridurre drasticamente il debito pubblico decentrando la responsabilità fiscale, ma ciò non ha impedito che il paese arrivasse sull’orlo della secessione.
 
da lastampa.it
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« Risposta #47 inserito:: Maggio 22, 2008, 11:17:06 pm »

Rottura con il passato


di Massimo Franco


Il segnale di forza non è arrivato tanto dal governo di Silvio Berlusconi, ma dallo Stato. E questo forse rappresenta il miglior risultato che il presidente del Consiglio si potesse augurare nel suo esordio di ieri a Napoli. La vergogna della capitale del Sud sfregiata dai rifiuti ha fatto il miracolo di riunire la maggioranza di centrodestra insieme col resto del Paese. Davanti all’opinione pubblica si è presentato non il solito Cavaliere solitario, ma un esecutivo che ha offerto un’immagine di coesione piuttosto irrituale. Forse faticherà a risolvere i problemi. Eppure ha mostrato di essere consapevole della sfida proibitiva: il che non è poco.

Il messaggio è fortemente, anche se, c’è da sperare, non soltanto, simbolico. Come sono parzialmente simboliche le misure prese in materia di sicurezza e la stessa riunione del Consiglio dei ministri a Napoli, promessa da Berlusconi in campagna elettorale. Ridurre quanto è successo ieri ad una passerella, tuttavia, sarebbe ingeneroso e fuorviante. Lo sforzo è stato quello di prendere decisioni capaci di trasmettere l’impressione di una rottura netta col passato; ed il tentativo sembra riuscito. A renderlo più credibile sono state l’assenza di promesse avventate, ed una certa parsimonia perfino nelle critiche agli avversari.

L’unico sarcasmo è stato riservato ai «capricci di spesa» imputati da Berlusconi e dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, al governo di Romano Prodi. Per il resto, cominciare da Napoli significava evocare senza bisogno di parole il disastro amministrativo degli avversari. Ma non sottolineare quelle responsabilità ha dimostrato che il centrodestra sa di correre rischi non dissimili; e che soltanto un impegno comune, nazionale, privo di recriminazioni e guidato dallo Stato, può riportare la situazione alla normalità. La reazione misurata del Pd conferma la disponibilità a non ostacolare un percorso ritenuto da tutti come obbligato.

È un modo per far capire che le emergenze del Sud non sono anomalie estranee al resto dell’Italia. Al contrario, evocano e in qualche caso anticipano quanto potrebbe avvenire in futuro e forse sta già succedendo perfino a nord del Po. Si tratti di sicurezza, immondizia, sgravi fiscali, politica familiare, la sensazione di precarietà e di malessere attraversa e coinvolge larghi settori del Paese. Per il momento, il governo appare preoccupato soprattutto di arginare queste paure: anche a costo di provocare la reazione di alcuni Paesi europei e di tirarsi addosso accuse più o meno strumentali di xenofobia.

Berlusconi ed i suoi alleati indovinano una voglia di Stato che per ora si affida a soluzioni drastiche, e non ammette neppure l’apparenza di cedimenti. L’inizio, dunque, non poteva essere diverso. Una durezza non confortata dal successo, tuttavia, colpirebbe la credibilità delle istituzioni quasi quanto l’assenza di governo.

22 maggio 2008

da corriere.it
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« Risposta #48 inserito:: Maggio 24, 2008, 12:57:44 am »

23/5/2008
 
Il Cavaliere dimostri che è cambiato pure sulle tv
 
 
MATTIA FELTRI
 
In questa affollata luna di miele, più che altro un congresso carnale della politica, Silvio Berlusconi è l’amante e l’amato di tutti. Lo venerano gli imprenditori. Gli si genuflettono i banchieri. Si rimettono a lui i sindaci di centrosinistra all’indomani della scoperta che fra razzismo ed esasperazione corre una differenza. Tendono la mano i sindacati e indicano la via: «Ha imboccato quella giusta»; e il sacrilegio lo lasciano alla Cgil di Guglielmo Epifani, che si guadagna i titoli dei giornali per un modico «sì, però...». L’opposizione dialoga. I cantautori scambiano effusioni per iscritto con Sandro Bondi. I registi e gli attori si consegnano al pettoruto Luca Barbareschi, al quale perdonano furie tardo-egemoniche: «Dobbiamo occupare tutto».

I sintomi sono quelli della sindrome di Stoccolma. Il presidente del Consiglio ha con sé i voti, la maggioranza schiacciante e soprattutto la prospettiva di dominare cinque anni: troppi perché i dissenzienti rimangano a guardare o di nuovo si rinchiudano nel fortino dei senza se e senza ma, del resistere resistere resistere. Ha ragione Emma Marcegaglia, ci sono «condizioni irripetibili» per aggiustare il Paese. Berlusconi lo sa e non ammazza gli uomini morti, alla Maramaldo.

Concede status volatili ma scenografici al governo ombra del Partito democratico e - lui che in campagna elettorale si vantava che non uno nel centrosinistra gli desse del tu - appena incrocia un avversario si precipita a stringergli la mano e a rivolgergli sentiti auguri. L’uomo è cambiato o perlomeno questa è l’immagine (quirinalizia) che vuole dare di sé. Ha appreso l’arte cinica ma non cruenta della pax romana e abbandonato quella previtiana del ferro e del fuoco. Si impunta sul Consiglio dei ministri a Napoli, malgrado l’umore dei napoletani e qualche collaboratore glielo sconsigliassero, e sciorina una serie di provvedimenti da ovazione, se non altro sulla carta.

Il premier che si affacciava alla politica nel 1994, allegramente dilettante, e quello che se ne impadroniva nel 2001, non senza qualche accenno di boria, pare scomparso dentro una maturità ecumenica e concreta, con toni di realismo calibrato perché non sfoci nel pessimismo. Tutto lo agevola. I contenziosi con la magistratura sono al tramonto e non hanno mai fatto presa sugli elettori. Si poteva giurare che la stagione delle leggi ad personam fosse conclusa anche davanti all’arrendevolezza del centrosinistra in tema di conflitto d’interessi. Ma al primo momento buono le truppe di Silvio hanno sfoderato gli spadoni, proprio come sette anni fa.

Anche i più bendisposti, allora, si resero conto e segnalarono che sull’utilità delle norme domestiche di Forza Italia (la depenalizzazione del falso in bilancio, l’annullamento delle rogatorie internazionali con vizio di forma, il provvedimento sul legittimo sospetto, e persino sul lodo Schifani, poi bocciato dalla Corte Costituzionale, che sottraeva al controllo delle procure le prime cinque cariche dello Stato) si poteva pure discutere; ma erano i modi bruschi e i tempi rapidi, per una coalizione non proprio granitica, a togliere dubbi sui tornaconti privati in atto pubblico del capo del governo.

In questi giorni sta succedendo qualcosa di simile. La maggioranza ha studiato e proposto un emendamento che congela fino al 2012 l’applicazione delle norme comunitarie secondo le quali Rete4 dovrebbe restituire le frequenze a Europa7 e trasferirsi sul satellite. Il Popolo della libertà sostiene che è l’unico modo per evitare un deferimento alla Corte di giustizia dell’Ue. Walter Veltroni contesta il merito e il metodo, e i suoi parlano di sgangherato tentativo di aggirare in stile fulmineo le giuste pretese di Bruxelles. La tesi dei secondi è più convincente, mentre si osserva il body jumping di Emilio Fede, che da lustri fa su e giù dal satellite come appeso a un elastico, ma alla fine tocca sempre terra. E dunque adesso tocca a Berlusconi spiegare come stanno le cose, chiarirle, togliere i sospetti e dimostrare che la roba l’ha sistemata a suo tempo, e ora si sta dedicando soltanto al matrimonio anziché al patrimonio.
 
da lastampa.it
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« Risposta #49 inserito:: Maggio 24, 2008, 01:09:43 am »

POLITICA IL COMMENTO

Telenovela indecente

di GIOVANNI VALENTINI


NON è sempre vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, come si affannano a protestare ora gli esponenti dell'opposizione per contestare l'emendamento con cui il governo Berlusconi punta a bloccare la procedura d'infrazione della Corte europea contro l'Italia sul sistema televisivo e quindi a proteggere ancora una volta Retequattro.

Il fatto è che in questo caso il lupo rimane lupo e il pelo non lo perde affatto. E non è neppure vero che i rappresentanti del centrosinistra sono assimilabili ad agnelli, dal momento che è anche colpa loro - del governo Prodi e della traballante maggioranza che lo sosteneva - se oggi ci ritroviamo di nuovo in questa incresciosa situazione.

La telenovela di Retequattro dura ormai da dieci anni, da quando fu approvato nel '99 l'ultimo piano delle frequenze e in forza della normativa anti-trust la terza rete di Mediaset avrebbe dovuto trasferirsi sul satellite. Non chiudere o essere oscurata, si badi bene.

Ma continuare a trasmettere su un'altra piattaforma, non più in chiaro, a beneficio di Europa 7 che s'era aggiudicata regolarmente una concessione nazionale e da allora non ha mai ricevuto materialmente le frequenze a cui avrebbe avuto diritto. Un sopruso, una prevaricazione, un'occupazione praticamente abusiva, legittimata a posteriori da una compiacente autorizzazione ministeriale che - in via transitoria - ha consentito a Retequattro di continuare indisturbata.

C'era già stato nel dicembre del 2003 un decreto-legge del precedente governo Berlusconi, denominato appunto salva-reti. A cui seguì l'approvazione della famigerata legge Gasparri, prima bocciata dal presidente Ciampi e poi censurata dall'Europa.

E adesso ci risiamo: appena tornato al governo, Berlusconi non si smentisce e ripropone coerentemente un altro decreto per il quale non ricorre alcuna giustificazione di necessità e urgenza, se non riferita strettamente alle casse della sua azienda. Altro che conflitto d'interessi: questa è piuttosto una convergenza di interessi, per dire un'oggettiva collusione tra funzioni pubbliche e affari privati.

Nel merito, l'emendamento presentato di soppiatto dal governo non rispetta la sentenza della Corte di giustizia europea e verosimilmente non sarà sufficiente a evitare la procedura d'infrazione, con la minaccia di una maxi-multa che potrebbe arrivare fino a 300-400 mila euro al giorno per ogni giorno di ritardo. Naturalmente, a carico dello Stato italiano, cioè di tutti noi cittadini.

La "proposta indecente" di rinviare la questione all'avvento del sistema digitale terrestre, previsto entro il 2012 e destinato probabilmente a slittare fino al 2015, è tanto maldestra quanto illegittima: per il semplice motivo che in nome del pluralismo e della libera concorrenza la Corte ha già sanzionato retrospettivamente l'assetto della televisione italiana, risalendo addirittura al 1997 (legge Maccanico), con una sentenza che avrebbe già dovuto provocare la disapplicazione delle norme censurate. E per di più, ha esplicitamente escluso che gli operatori privi di una concessione analogica - com'è Retequattro - possano continuare a trasmettere fino alla data dello switch-off.

Ma è soprattutto sul piano politico che il "colpo di mano" del governo - come giustamente lo definisce il ministro-ombra della Comunicazione, Giovanna Melandri - rischia di provocare gli effetti più rovinosi. Non solo perché interrompe il "fair play" tra maggioranza e opposizione che dovrebbe favorire un auspicabile confronto sulle riforme istituzionali. Ma ancor più perché elimina ogni possibilità di dialogo in Parlamento, alla luce del sole, riproponendo l'anomalia del conflitto d'interessi come un'ipoteca sulla vita nostra vita democratica.

Sarà pur vero che le ultime elezioni hanno convalidato per la terza volta in quindici anni una tale aberrazione, come sostengono adesso anche gli esponenti di Alleanza nazionale che fino a qualche mese fa protestavano per l'invasione delle reti Mediaset nella vita privata di Gianfranco Fini, a scopo intimidatorio. E sarà anche vero che oggi alla maggioranza degli italiani interessa di più l'allarme sicurezza, amplificato ad arte dai tg del Biscione e purtroppo anche da quelli della Rai. Ma all'altra metà del Paese la questione televisiva non preme certamente di meno, visto che la tv determina l'agenda nazionale, condiziona gli umori popolari e continua a influire pesantemente anche sulle scelte politiche.

Forse, l'unico aspetto positivo di questo torbido passaggio sta nel fatto che Walter Veltroni, scuotendosi dal suo torpore post-elettorale, annuncia adesso una "opposizione dura". Dopo aver sopravvalutato le piazze piene di gente, come ha ammesso onestamente lui stesso nei giorni scorsi a "Ballarò", c'è da sperare che il leader del Pd si liberi dal sortilegio mediatico delle piazze virtuali. E sfidi apertamente la maggioranza sul suo terreno.
Il "fair play" parlamentare va bene. Il confronto istituzionale è opportuno e necessario. Ma un inciucio televisivo, rovesciando l'invito rivolto da Berlusconi a Veltroni, proprio "nun se po' fa'".


(23 maggio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #50 inserito:: Maggio 27, 2008, 06:46:39 pm »

Del Noce alla Rai fa il gioco di Berlusconi: parola di giudice



Non erano illazioni e pettegolezzi, ma «fatti e comportamenti veri e documentati»: direttore di Rai Uno Fabrizio Del Noce faceva il gioco di Berlusconi. I consiglieri Rai Nino Rizzo Nervo e Sandro Curzi, quindi, non lo hanno né diffamato né hanno leso la sua identità personale e professionale.

Tutto nasce da un’intervista rilasciata dai due consiglieri al quotidiano La Stampa nell’agosto del 2005. Nel colloquio, che venne intitolato Il pacco di Berlusconi e sottotitolato «Curzi: è il mandante del complotto Rai, con l'aiuto di Del Noce», si sosteneva che Del Noce avrebbe appoggiato Berlusconi nel passaggio del conduttore Paolo Bonolis da Rai a Mediaset e nel tentativo di strappare alla tv pubblica anche il format del programma di successo Affari tuoi.

Del Noce in particolare non aveva gradito le dichiarazioni dei due consiglieri, secondo i quali Del Noce aveva «intenzione di distruggere la Rai nell'interesse della concorrenza ed in particolare dell'on. Silvio Berlusconi».

Ora il Tribunale civile di Roma ha rigettato la richiesta di Del Noce perché Curzi e Rizzo Nervo non solo «sono legittimati ad esprimere opinioni personali anche in toni accesi, per l'ambito in cui ci si muove e per l'importanza degli interessi coinvolti», ma oltre tutto hanno espresso una critica che «muove da fatti e comportamenti veri e documentati». Insomma quelli nei confronti di Del Noce non sono «attacchi gratuiti e personali, ma un legittimo esercizio del diritto di critica espressa nel rispetto della continenza anche formale».

Pubblicato il: 27.05.08
Modificato il: 27.05.08 alle ore 17.28   
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« Risposta #51 inserito:: Giugno 01, 2008, 05:04:34 pm »

Il senatur: «Siate pronti a dare una mano quando serve«

Bossi: «Confronto anche con il Pd per il federalismo fiscale»

Il ministro delle Riforme a Pontida: «La libertà della Padania arriverà»

DAL NOSTRO INVIATO


PONTIDA (Bergamo) - «I voti della Lega sono determinanti: senza di noi non si governa». Quello che Roberto Castelli lancia dal palco di Pontida è un vero e proprio avvertimento agli alleati della coalizione di governo. Non un ultimatum, e neppure una minaccia, come lui stesso si affretta a spiegare, «perché noi siamo persone fedeli che rispettano i patti». Ma, appunto, nell'eventualità che i patti qualcuno non li voglia rispettare è bene che le cose siano messe subito in chiaro.


GOVERNO OMBRA - E forse non è un caso che quando poco dopo è Umberto Bossi a prendere il microfono per parlare con la sua gente, con quelli che continua insistentemente a chiamare "fratelli", ci siano più ammiccamenti ai ministri ombra del Partito democratico, che non ai compagni di cordata. I quali, secondo il Senatùr, «al di là delle chiacchiere si stanno ormai estinguendo». E se il centrodestra ha vinto le elezioni «è perché le elezioni le abbiamo vinte noi».


VIA PACIFICA ALLE RIFORME - Pontida 2008 ha un significato molto particolare per la Lega. Perché arriva subito dopo il successo elettorale e perché vede Umberto Bossi ancora una volta nel ruolo di ministro delle Riforme. E sarà ancora lui, il grande capo, ora paragonato ai grandi capi indiani che non accettavano di finire nelle riserve, a farsi carico di portare a termine il lavoro iniziato già nel 2001 ma poi non condotto a termine per la bocciatura, nel giugno 2006, del referendum confermativo della riforma istituzionale che istituiva il federalismo.
Una bocciatura dovuta sia alla strenua opposizione del centrosinistra, ma anche – e qui sul prato del «giuramento» lo sanno in molti – al disimpegno degli alletati della Cdl che per quella battaglia si spesero poco o nulla. Ma questa volta – assicura Bossi – non sarà così. Questa volta «o si fa il federalismo o si muore». Perché se così non fosse, dice il leader guardando negli occhi la sua gente, «ci sono centinaia di migliaia di uomini, forse milioni, disposti a lanciarsi nella mischia per conquistare la libertà contro il centralismo italiano». Un'ovazione accoglie le sue parole. Qualche fischio invece si leva al solo nominare dell'opposizione, ma è proprio il Senatùr a stroncare sul nascere, con un gesto della mano, ogni cenno di lamentela. «Siamo disposti anche a trattare con i ministri del governo ombra – afferma deciso– perché vogliamo percorrere la via pacifica alle riforme e sappiamo bene che l’alternativa sarebbe solo una sollevazione popolare».
 

LIBERTA' DELLA PADANIA - E il confronto con il centrosinistra sembra essere uno dei cardini su cui far muovere la nuova strategia politica. Sì al confronto con i ministri veltroniani, dunque. E sì ad un continuo pungolo alla maggioranza. «Ma guai a cercare di ingannarci – avverte Bossi -: nell’ombra i nostri si stanno preparando. Anzi, sono già pronti a balzare fuori per conquistarsi con le proprie mani la civiltà. Non vogliamo più subire il federalismo. Lo faremo. Oppure sarete voi a farlo, nelle piazze». E in quel caso, dice, i partiti romani «rimpiangeranno di non averci dato quello che chiedevamo». Bossi si rivolge ai suoi con la consapevolezza della lunga strada sin qui percorsa. Ma con ancora la determinazione di un obiettivo importante da raggiungere. «Oggi dovete avere coscienza del fatto che la libertà della Padania arriverà – spiega prima di passare alla cerimonia del giuramento, un rito che richiama il patto tra i comuni lombardi che otto secoli fa si opposero a Federico Barbarossa -. Un giorno quando saremo libero potremo spiegare ai nostri figli che eravamo stati schiavi. Ma Dio non ci ha creati schiavi di Roma, siamo nati liberi e quindi torneremo ad esserlo». Dalla folla si alza il coro più gradito in casa leghista, «Roma ladrona la Lega non perdona». E anche Bossi aggiunge la sua voce alle altre. «Preparatevi – è l’esortazione finare -: se sarò in difficoltà basterà un cenno e dovrete venire a centinaia di migliaia, incazzati neri, per far sapere al Parlamento qual è davvero la volontà popolare». Prima di chiudere il suo intervento, una piccola bacchettata Bossi però la riserva anche ai suoi: «Non so perché non sono state portate le camicie verdi ad aiutare i piemontesi finiti sotto l'alluvione, volevo quasi andarci io…». E poi l’invito a non chiudere gli occhi «di fronte ai problemi della nostra gente», perché «libertà vuol dire anche partecipazione ed essere pronti ad andare una mano nei momenti giusti».

Alessandro Sala
01 giugno 2008

DA corriere.it
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« Risposta #52 inserito:: Giugno 06, 2008, 02:00:03 pm »

Incontro tra il premier e benedetto XVI «Siamo dalla parte della Chiesa»

Berlusconi in tv: «Grazie al Papa per l'apprezzamento sul nuovo clima politico»

 
ROMA - È durato in tutto 40 minuti il colloquio privato fra il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e Benedetto XVI. All'incontro era presente anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Al termine del colloquio la delegazione al seguito del premier è stata invitata ad unirsi all'incontro e a salutare il Pontefice.

APPREZZAMENTO - Poche ore prima dell'udienza privata, Berlusconi ha espresso un «ringraziamento» al Papa per «l'apprezzamento del nuovo clima in Italia con l'avvento della nostra parte politica» che rappresenta il Partito dei popoli europei e che «è per il Vaticano cosa molto apprezzabile». Il premier è intervenuto sugli schermi di Canale 5. «Noi siamo dalla parte della Chiesa - ha sottolineato il premier intervistato da Maurizio Belpietro- crediamo nei valori di solidarietà, giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli. Siamo sullo stesso piano su cui opera la Chiesa da sempre». Berlusconi ha ripetuto he tra Stato e Chiesa «è possibile ogni dialogo su ogni argomento», nel rispetto reciproco. Questo, conclude, «è l'atteggiamento profondo del mio governo che non può che compiacere il Pontefice e la Chiesa».

RIFIUTI - Non manca la stoccata al precedente governo. «Con la sinistra lo Stato si è fatto indietro, quando doveva garantire la legalità sul territorio. Era un pericoloso percorso verso l'anarchia. Anche la vicenda dei rifiuti è figlia della destrutturazione dello Stato». A tal proposito, il premier ha affermato che «l'emergenza rifiuti deve finire entro l'estate. La soluzione definitiva deve arrivare 30 mesi. Il termovalorizzatore di Acerra deve essere operativo entro l'anno. Abbiamo preso provvedimenti chiari e severi. Bertolaso ha pieni poteri. Chi ostacolerà la raccolta dei rifiuti sarà perseguito, perché il primo dovere è la difesa della legalità. Non accetteremo la violenza di chi ad esempio occupa gli aeroporti».

IMMIGRATI - Berlusconi pensa inoltre che l'esecutivo di Prodi sia stato troppo di manica larga anche per quanto riguarda gli immigrati. «Vogliamo scoraggiare chi entra facilmente in Italia - ha detto - come è successo durante il precedente governo. L'attuale sistema è più efficace per limitare gli ingressi ed espellere i clandestini. La nostra linea è quella della fermezza. Nessun passo indietro e nessuna tolleranza per chi viola le leggi, comprese quelle sull'immigrazione».

IL PONTE - Berlusconi ha assicurato poi: «Avvieremo al più presto la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina». Per questo «dovremo recuperare in sede europea i soldi raccolti in passato». Smentite così le voci di un ripensamento. Il presidente del Consiglio sottolinea che il ponte «fa parte del corridoio europeo Palermo-Berlino».



06 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #53 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:42:46 pm »

9/6/2008
 
La salute dei politici
 
 
 
 
 
ANDREA ROMANO
 
Siamo sicuri che il malore accusato sabato dal premier sia stato di lievissima entità e auguriamo a Berlusconi di godere a lungo dell’invidiabile vitalità che dimostra. Ma le condizioni di salute di chi esercita il potere esecutivo su mandato democratico non sono un fatto privato. O meglio, lo sono finché l’opinione pubblica non ha motivo di ritenere che l’efficacia dell’azione di governo possa essere minimamente condizionata da ciò che la natura impone al nostro corpo di uomini e donne.

Quando questo avviene, anche se per un breve tratto di tempo, è indispensabile che vi sia un’informazione completa e tempestiva non solo sul singolo episodio ma sullo stato di salute complessiva del capo del governo.

Perché un leader democratico non è un cittadino qualunque né un politico come tutti gli altri. È tenuto a forzare costantemente i confini della propria privacy, anche su temi sui quali è normalmente più alta la soglia del nostro rispetto individuale. Perché è anche su quei temi che oggi valutiamo l’affidabilità del potere elettivo. La personalizzazione della politica che tutto l’Occidente ha conosciuto negli ultimi anni è fatta anche di questo: dell’onere supplementare di chi governa a condividere con l’opinione pubblica aspetti della propria vita che un tempo sarebbero stati considerati al riparo dal diritto all’informazione.

Nell’ottobre 2004 il poco più che cinquantenne Tony Blair organizzò una conferenza stampa a Downing Street per raccontare dell’operazione al cuore che aveva appena subìto, qualche settimana dopo aver accusato un mancamento di origine cardiaca che per qualche ora lo aveva tenuto lontano dalle leve del potere. In quell’occasione la Gran Bretagna discusse per giorni e nel dettaglio dello stato di salute di un leader che incarnava ancora l’immagine del “giovane politico” e che di lì a poco avrebbe vinto nuovamente e per la terza volta consecutiva le elezioni. Più di recente il candidato repubblicano John Mc Cain ha addirittura convocato in clinica una pattuglia di giornalisti per mostrare e discutere le quattrocento pagine della sua cartella clinica, con dovizia di particolari sui malanni passati e presenti di un settantenne che tra pochi mesi potrebbe insediarsi alla Casa Bianca nella pienezza dei poteri presidenziali.

Si dirà che si tratta di esempi tipici del mondo anglosassone, dove i confini tra pubblico e privato per chi esercita un mandato popolare sono tradizionalmente più permeabili rispetto a quelli coltivati dai paesi di civiltà cattolica. Ma più che a secolari differenze culturali dovremmo guardare ai più recenti mutamenti che l’Italia ha conosciuto nella trasparenza del potere politico. Tra i molti abusi moralistici che la crisi della politica ha portato con sé, un cambiamento è stato sicuramente positivo: la diminuzione del livello di opacità che oggi siamo disposti a tollerare in chi ci governa. Oltre all’ambito della morale e della vita privata, questo riguarda l’efficienza fisica di chi dirige l’azione di governo.

Tra l’altro lo stesso Berlusconi ha mostrato in passato di non temere la comunicazione di notizie sulla propria salute. Nel luglio del 2000, intervistato da Mario Calabresi per Repubblica, raccontò con coraggio di come aveva vissuto e sconfitto il cancro che lo aveva colpito nel 1997.

Allora il Cavaliere era a capo dell’opposizione, oggi guida un governo appena insediato da un ampio mandato democratico. A maggior ragione, dunque, sarebbe opportuno che l’autentico stato di salute del presidente del Consiglio fosse comunicato al Paese. Finalmente fuori dal dominio delle indiscrezioni e della curiosità morbosa.
 
da lastampa.it
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« Risposta #54 inserito:: Giugno 21, 2008, 04:43:49 pm »

9/6/2008
 
Lega, bene a metà
 
 
 
 
 
CARLO FEDERICO GROSSO
 
Quando ha promesso di circoscrivere ai reati di mafia e terrorismo la possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali, e minacciato 5 anni di galera a chi intercetta fuori dai casi previsti dalla legge e a chi pubblica le conversazioni registrate, anche se in modo legale, Berlusconi forse sognava. Una giustizia finalmente fuori gioco nei confronti dei reati che possono coinvolgere i ceti di potere, una stampa finalmente imbavagliata su fatti e misfatti privati d'interesse pubblico.

Niente più manipulite, vallettopoli o scandali del calcio, niente più corruzione, concussione o insider trading, nessuna ulteriore, fastidiosa, pubblicità massmediatica. Il sogno di una vita.

Le reazioni si sono peraltro fatte subito sentire. Hanno protestato i magistrati per i danni che potranno subire molte indagini importanti, hanno protestato i giornalisti per la repressione della libertà di stampa e la violazione del diritto dei cittadini ad essere informati, hanno protestato Italia dei valori e Partito democratico. Il dato politico che più mi ha colpito è stata tuttavia la risposta di ieri della Lega. L'ex Guardasigilli Castelli ha infatti precisato di non condividere l'impostazione menzionata, poiché quantomeno nei confronti dei delitti di corruzione e concussione non dovrebbero essere frapposti limiti alle intercettazioni per non rischiare di favorire, appunto, la casta politica. Parole sacrosante, anche se in questo modo non si rimedierebbe ad ogni guasto, poiché rimarrebbero comunque esclusi dal diritto d'intercettazione i reati economici, che riguardano anch'essi la classe dirigente.

Al di là del modo estemporaneo con il quale ha richiamato all'attenzione il menzionato nodo politico-giudiziario, Berlusconi ha fatto ancora una volta botto. Da ieri affrontare, e risolvere in prospettiva limitante, il problema dei controlli giudiziari delle conversazioni interpersonali è diventato un'urgenza ineludibile. Avanti tutta, pertanto. E' verosimile che, come per la sicurezza, il governo si mobiliti. Il presidente del Consiglio l'altro ieri ha addirittura dichiarato che il relativo disegno di legge verrà approvato già nel prossimo Consiglio dei ministri. Ancora una volta un decisionismo irrefrenabile.

Detto questo, domandiamoci quali sono i termini reali del problema con il quale ci troviamo, ormai, costretti a fare i conti. Il tema delle intercettazioni ha due risvolti: uno giudiziario, uno massmediatico. Sotto il primo profilo ci si deve domandare quali sono i reati con riferimento ai quali è giustificato utilizzare uno strumento d'indagine invasivo qualè il controllo giudiziario delle conversazioni private. Sotto il secondo ci si deve domandare quale equilibrio si deve individuare fra le esigenze contrapposte di informare i cittadini sullo svolgimento delle inchieste giudiziarie e di salvaguardare la privacy dei soggetti intercettati. Con riferimento ad entrambi i profili Berlusconi sembra draconiano. Intercettazioni molto limitate, pubblicazione zero. La risposta, in questi termini, non ha peraltro senso.

Non ha senso, innanzitutto, che sia consentito intercettare soltanto nelle indagini che riguardano i reati di mafia e terrorismo. Occorrerà estendere comunque l'intervento ai reati gravi di criminalità comune, quali omicidi, rapine, estorsioni, sequestri di persona e quant'altro di questo tipo; se non lo facesse, il governo rischierebbe di contraddire assurdamente le esigenze di sicurezza tanto enfatizzate nella recente elaborazione del relativo pacchetto legislativo. Ho già accennato, d'altronde, alla necessità, avvertita da una parte della stessa maggioranza, di non creare inchieste penali ad incisività differenziata, le prime previste per la criminalità comune, le seconde per la criminalità dei colletti bianchi. Sarebbe una ignominia.

Più delicato è il problema che concerne il rispetto del diritto alla riservatezza ed il suo bilanciamento con il diritto-dovere di informare sulle notizie di interesse pubblico. Ha ragione chi sostiene che non è consentito pubblicare tutto ciò che emerge dalle intercettazioni legittimamente ordinate dall'autorità giudiziaria, poiché i cittadini, anche se indagati, hanno diritto a che non sia pubblicizzata ogni vicenda privata che dovesse emergere in quella sede. La privacy ha tuttavia un suo limite naturale. Quando la notizia riguarda l'oggetto dell'inchiesta, poiché l'indagine penale ha di per sé un interesse pubblico, una volta caduto il segreto investigativo non si può impedire la sua pubblicazione.

Quanto alle notizie che non riguardano l'oggetto dell'indagine penale, esse dovrebbero essere comunque espunte dagli atti del processo. Si deve inoltre evitare che l'intercettazione sia usata come una rete da pesca, lanciata in mare per vedere che cosa resta nelle maglie. Non è detto, infine, che l'intercettazione disposta per un reato possa essere indiscriminatamente utilizzata per ogni eventuale diversa imputazione. Vi è dunque, sicuramente, l'esigenza di una riforma del sistema vigente delle intercettazioni che non impedisce queste ed altre aberrazioni.

La materia, delicatissima, dovrebbe essere trattata, in ogni caso, con il cesello. Temo che nell'attuale contesto politico, di fronte alla prorompente vigoria del presidente del Consiglio, non sarà facile difendere i principi. La voglia di bavaglio è probabilmente troppo forte, nei confronti dei magistrati come nei confronti dei giornalisti.
 
da lastampa.it
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« Risposta #55 inserito:: Giugno 22, 2008, 04:25:49 pm »

POLITICA

Intervista al leader della Lega Umberto Bossi. "Il federalismo arriva in aula non vogliamo scherzi".

La ricetta per l'Europa: "Deve essere dei popoli e non degli stati"

"Un errore spezzare il dialogo Silvio ossessionato dalla giustizia"

dal nostro inviato
PAOLO BERIZZI

 

LAVENO (Varese) - "È un male che si sia strappata la tela del dialogo con l'opposizione. Ed è un grosso rischio, soprattutto adesso che si deve votare il federalismo. Non vorrei che, con il clima che si è creato - e non certo per colpa della Lega - dall'altra parte ci mettessero il bastone tra le ruote, che facessero ostruzionismo sulla cosa alla quale teniamo più di tutto".

Lo sguardo di Umberto Bossi si rilassa di fronte al lago Maggiore. Un tavolo del caffè Bellevue, a Laveno, davanti all'imbarcadero. Coca Cola con ghiaccio come digestivo dopo la cena in famiglia nel castelletto di Gemonio. "Stasera festeggiamo i 90 anni di mia madre, la portiamo alla scuola Bosina dove c'è la chiusura dell'anno scolastico", sorride il ministro per le Riforme. La gioia degli affetti. I tormenti della politica. E l'espressisone si fa seria.

Ministro, che cosa sta succedendo a Roma?
"Il clima che si è creato non è affatto positivo. Non va bene per niente. Aver lacerato la dialettica con il Pd in questa fase è stato un errore. E sono anche preoccupato, il momento è decisivo. Stiamo per portare in aula il federalismo, e cioè la ragione sociale della Lega, la nostra missione. Fin dall'inizio della legislatura abbiamo invocato e caldeggiato il dialogo con il centrosinistra: perché è importante per fare le riforme. Da parte nostra sono sempre arrivati segnali distensivi, inviti a parlare, a fare le cose insieme".

E invece... Prima il decreto salva premier, poi l'attacco di Berlusconi ai magistrati. E così Veltroni ha detto che a queste condizioni il dialogo ve lo potete scordare.
"Sui magistrati, a questo giro, Berlusconi ha ragione. Il problema è che lui poi esagera un tantino, è troppo ossessionato da queste cose, ha troppa paura di finire in galera. Mandassero me in galera, se vogliono, così la gente ha una buona ragione per fare la rivoluzione" (sorride).

In questi giorni la Lega ha agitato un po' le acque: in Parlamento avete fatto andare sotto il governo per due volte. Sui rifiuti avete votato con l'opposizione.
"La Lega fa sempre quello che dico io. Comunque è tutto sotto controllo".

Volevate lanciare un messaggio ai vostri alleati?
"Noi sui rifiuti volevamo semplicemente un prestito. Siamo stati coerenti. E poi sì, bisognava lanciare un segnale...".

Sul trattato Europeo, dopo avere esultato per il no dell'Irlanda, dopo avere detto peste e corna sulla Ue così com'è strutturata, avete però votato sì.
"Lo abbiamo fatto per senso di responsabilità e perché non vogliamo scherzi sul federalismo. Comunque avere votato sì non significa che benediciamo questa Ue. Al contrario. L'Europa va cambiata radicalmente. E la ricetta ce l'abbiamo. L'ha studiata il mio ministero, è pronta".

Quale è?
"Semplice. Voglio cambiare la legge elettorale europea. I rappresentanti per il Parlamento europeo devono essere votati a livello regionale. Solo così l'Europa può essere espressione delle Regioni e non del centralismo degli Stati e della burocrazia. È così che la intendiamo noi. Nei prossimi giorni andremo a parlarne al presidente Napolitano. La via di uscita è questa. Ecco perché continuiamo a guardare all'Irlanda come a un modello da seguire".

L'Europa dei popoli, dunque. È questo che vuole?
"Certo. A votare sono i popoli, non gli Stati. Bisogna rimettere la palla nelle mani della gente. Basta con gli inutili burocrati di Palazzo, in Europa ci devono andare le Regioni".

È d'accordo anche il premier Berlusconi?
"La ricetta è una roba mia. Spero che Napolitano, con il quale i rapporti sono buoni e che credo abbia apprezzato l'atteggiamento della Lega, dimostri sensibilità".

Ministro, in Forza Italia e in An c'à chi inizia a dire che la Lega sta prendendo troppo potere.
"La Lega è forte, e i nostri alleati lo sanno benissimo. Abbiamo preso una montagna di voti, i sondaggi ci danno in continua crescita. Siamo il partito con le idee più moderne, anche a livello europeo. Se ne è accorta persino la sinistra, che ce lo riconosce, soprattutto al Nord. Però ai nostri alleati dico: noi siamo leali. Siamo andati al governo per fare il federalismo, e adesso proveremo anche a cambiare l'Europa".

(22 giugno 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #56 inserito:: Giugno 25, 2008, 05:12:43 pm »

Il presidente del Consiglio: «OPPOSIZIONE GIUSTIZIALISTA»

Berlusconi: «I giudici sono un cancro»

E la Confesercenti fischia il premier

Il Cavaliere all'attacco: «I magistrati ideologizzati metastasi della democrazia». E al Pd: «Dialogo finito»


ROMA - Il premier Silvio Berlusconi torna ad attaccare duramente i giudici, raccogliendo fischi e "buuuh" e solo qualche applauso dalla platea della Confesercenti. «I giudici e i pm ideologizzati - è stato l'affondo del presidente del Consiglio - sono una metastasi della nostra democrazia»

IL GESTO DELLE MANETTE - Prendendo la parola all'assemblea della Confesercenti, Berlusconi ha scelto in un primo momento l'arma dell'ironia per ribadire che ci sono «molti pm che vorrebbero vedermi legato», ovvero in galera, mimando le manette ai polsi. E spiegando che comunque un presidente del Consiglio «ha le mani legate di fronte ad un'architettura che non è quella di uno stato moderno ma è quella di uno stato antico». Poi, però, Berlusconi ha smesso di parlare di «lacci e lacciuoli» nei confronti delle imprese dei cittadini per ribadire il suo attacco ai pm.


I FISCHI - Non appena il Cavaliere ha cominciato a parlare di «giudici ideologizzati» la platea ha iniziato a rumoreggiare. «Vi do un dato - ha spiegato il premier -: dal 1994 al 2006 ci sono stati più di 789 tra pm e magistrati che si sono interessati del "pericolo Berlusconi", per sovvertire la democrazia, non ci sono riusciti e non ci riusciranno. I cittadini hanno il diritto di vedere governare chi hanno deciso, tramite libere elezioni, di scegliere per la guida del Paese». Dalla platea della Confesercenti, a questo punto sono arrivati i fischi. Ai quali Berlusconi ha replicato. «Mi indigna quando qualcuno si lascia trasportare dall'ala giustizialista della magistratura» ha detto il presidente del Consiglio. «Ho anche fiducia nella magistratura, ma dopo un calvario simile in me c'è indignazione» ha aggiunto. «Mi avete invitato voi...» ha anche detto Berlusconi cercando di spiegare più volte il motivo dei suoi attacchi alla magistratura politicizzata.

«OPPOSIZIONE GIUSTIZIALISTA» - Dopo l'affondo sui giudici, Berlusconi ha rivolto dure accuse all'opposizione, colpevole a suo dire di aver voluto spezzare il dialogo. «L'opposizione è rimasta indietro ed è giustizialista» ha detto il premier, spiegando perché a parer suo non è più possibile un confronto con l'altro schieramento. «Quando non capisce e non si unisce a noi per cercare di combattere chi sovverte la democrazia - ha detto - significa che non c'è più possibilità di dialogo, che il dialogo si spezza». Immediata la replica del leader del Pd Walter Veltroni, che ha definito l'intervento del presidente del Consiglio un «imbarazzante comizio».


25 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #57 inserito:: Giugno 26, 2008, 03:56:24 pm »

«Guardare il suo nuovo governo in azione è un po’ come sedersi a rivedere un brutto film»

Il Financial Times attacca Berlusconi

Editoriale del quotidiano britannico: «Una volta di più, Berlusconi si concentra su se stesso e non sull’Italia»


LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Oh no, non un'altra volta. Potremmo tradurre così quel «Oh no, not again» apparso come titolo dell’editoriale sul Financial Times, col sottotitolo «una volta di più, Berlusconi si concentra su se stesso e non sull’Italia». Il quotidiano finanziario britannico come sempre non risparmia le parole: «Guardare il suo nuovo governo in azione è un po’ come sedersi a rivedere un brutto film». Se è «troppo presto per dare giudizi netti», però «le ultime dimostrazioni già lasciano prevedere un altro horror show». Perchè «una volta di più il premier 71enne impiega gran parte della sua energia politica a proteggersi dalle pubbliche procure d’Italia».

PROBLEMI GIUDIZIARI - Berlusconi «vuole far approvare una legge che sospenderebbe per un anno la maggior parte delle cause con una possibile pena superiore ai dieci anni» e sta anche «cercando di introdurre una legge che darebbe immunità alle massime autorità dello Stato, lui incluso». Ma tutto ciò «sarebbe di scarso interesse se il signor Berlusconi impiegasse la stessa energia a riformare la pigra economia italiana». Secondo il FT invece ci sono segni che potrebbe ripetere «i suoi peggiori errori, lasciar crescere fuori controllo i livelli del deficit e del debito», poichè «il governo ha presentato una finanziaria che vedrà salire il debito pubblico dall’1,9% del Pil nel 2007 al 2,5% nel 2008». L’Italia conclude il Financial Times «ha bisogno di un governo serio e responsabile. Berlusconi ieri ha detto che la magistratura lo ha sottoposto a un ’calvario’ senza fine. Ma l’unico "calvario" di questa storia è quello che sopporta l’Italia, che ha bisogno di un cambio di rotta estremo nelle sue sorti economiche e politiche».


26 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #58 inserito:: Giugno 28, 2008, 05:52:23 pm »

L’impronta del razzismo

Dijana Pavlovic


Egregio signor Maroni, ministro dell’Interno, Lei annuncia che verranno «censiti» i bambini rom, ma ci rassicura non sarà una «schedatura etnica», un semplice «censimento che riguarderà tutti i nomadi che vivono in Italia, minori compresi».

Che io sappia, quando si fa un censimento questo riguarda tutti i cittadini dello Stato, lo si fa secondo certe modalità uguali per tutti e con finalità chiare a tutti. Ma Lei per censimento intende forse entrare in un campo con 70 poliziotti, carabinieri, vigili urbani in assetto antisommossa e un furgone della polizia scientifica per rilevare le impronte digitali alle cinque di mattina della famiglia Bezzecchi, 35 cittadini italiani, senza precedenti penali?

Questo è ben altra cosa. Si chiama schedatura etnica e lo sappiamo bene perché l’abbiamo già vissuto nel passato. E dunque è in atto una schedatura su base etnica che vuol dire che si sta creando un archivio parallelo. A cosa servirà l’archivio Rom? Nel passato, l’archivio che aveva creato l’«Ufficio di polizia per zingari» di Monaco, che aveva schedato ed arrestato più di 30.000 Rom tra il ’35 e il ’38, è passato all’Rkpa di Berlino, cioè alla Centrale di polizia criminale del Reich, sotto il controllo diretto di Himmler, il quale l’8 dicembre ’38 ha emanato il Zigeunererlass, decreto fondamentale nella storia dello sterminio zingaro, perché ha stabilito che, «in base all’esperienza e alle ricerche biologico-razziali, la questione zingara andava considerata una questione di razza». Ma, se possibile, mi inquieta di più il Suo annuncio che i primi a essere schedati saranno i minori e se sorpresi a elemosinare saranno sottratti ai loro genitori. Un vero e proprio atto di violenza e discriminazione che nessuna questione di sicurezza può giustificare, tanto più se si considera che dei 152.000 rom presenti in Italia, secondo lo stesso ministero degli Interni, la metà ha meno di 16 anni. Senza tener conto che in Italia sotto i 14 anni non si è punibili e che in questo modo si criminalizza un intero popolo, senza distinzione. Come accade con gli adulti, così anche le migliaia di bambini Rom che vanno a scuola, che cercano faticosamente di aprirsi una strada verso un futuro «normale», per Lei sono pericolosissimi criminali da schedare e da tenere d’occhio. Non è anticostituzionale, illegale e contro la Convenzione dell’ONU sui diritti dei fanciulli? Ma a Lei dovrebbe importare della legge e del diritto, oppure è solo importante solleticare il ventre del Suo popolo? Prendersela con dei bambini, anche se rubano o chiedono l’elemosina è molto più facile che avere a che fare con la più potente organizzazione criminale, la ’ndranheta, che è padrona del territorio negli ordinati vialetti della sua Varese, come in tutta la Lombardia e il nord Italia. Secondo i dati della commissione antimafia e dell’Eurispes questi bravi adulti hanno un fatturato annuo di 36 miliardi di euro (altro che finanziarie di Tremonti), tra traffico di droga, appalti, traffico d’armi e altri sciocchezze certo molto meno gravi dei furtarelli di qualche ragazzino. Ma questo avveniva anche pochi anni fa: cosa c’era di più facile di prendersela con ebrei e zingari? Nessuno di loro reagiva e l’ORDINE era garantito.

Certo, Lei quando ci annuncia queste cose, sorridendo serafico dai salotti tv parlando di sicurezza, forse non pensa ai forni crematori che invece molti Suoi simpatici seguaci in camicia verde invocano impunemente nelle ronde e negli agguati agli «zingari», ma forse a nuove forme di campi di concentramento sì. Mi fa venire i brividi la Sua rassicurazione che questo serve a garantire ai bambini rom «condizioni dignitose» in piena attuazione dei patti di sicurezza di alcune città. In questi ghetti moderni uomini, donne e bambini di etnia rom, che siano cittadini italiani, comunitari o no, verranno sottoposti alla segregazione di un regime speciale che viola qualunque norma di diritto, di umanità e perfino di buon senso e nega un futuro dignitoso ai nostri bambini.

Pubblicato il: 27.06.08
Modificato il: 27.06.08 alle ore 11.06   
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« Risposta #59 inserito:: Giugno 30, 2008, 09:35:42 pm »

Immunità: la vittoria della Casta

Elio Veltri


I tre provvedimenti del governo sulla giustizia finiscono di raderla al suolo. Come sempre, per giustificarne l’approvazione si è chiamata in aiuto l’esperienza degli altri paesi senza la minima informazione per chi l’ha fatto e senza entrare nel merito, con il necessario puntiglio, da parte dei contraddittori che preferiscono i comizi ad una informazione precisa, tanto più necessaria dal momento che i cittadini sono assuefatti alla tv che, tranne lodevoli eccezioni, disinforma. Bene ha fatto l’Unità a ricordare sinteticamente cosa accade negli altri paesi europei e negli Stati Uniti riguardo alle alte cariche dello Stato. Questo giornale aveva pubblicato il libro "La legge dell’impunità", sul Lodo Schifani, nel quale ripercorrevo le vicende italiane dallo Statuto Albertino ed europee sulle prerogative dei parlamentari e dei governanti.

Ora desidero aggiungere che anche nei Paesi Bassi, in Belgio, Lussenburgo, Svezia, Finlandia, Danimarca e Portogallo, non esiste ombra di immunità né per il capo del governo né per i ministri.
Non solo, in nessun paese civile e democratico, sarebbe pensabile di introdurre leggi di salvaguardia assoluta delle alte cariche dello Stato mentre si svolge un processo per reati gravi come può essere quello per corruzione in atti giudiziari. La proposta del governo, come hanno spiegato noti costituzionalisti, è palesemente incostituzionale perché stravolge il principio cardine dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge( articoli 3 e 24) e, se proprio si volesse approvarla, bisognerebbe passare per le strettoie della legge costituzionale, con doppia lettura parlamentare e referendum nel caso mancasse la maggioranza dei due terzi.

Però, a quel punto, la legge non servirebbe più per le necessità immediate del capo del governo. Le ragioni che adducono anche autorevoli commentatori, penso all’articolo di Galli Della Loggia sul Corriere di oggi, a sostenere misure come quelle approvate a tempo di record dal governo, sarebbero da attribuire all’uso spregiudicato della obbligatorietà dell’azione penale e allo strapotere dei pm che non troverebbe il necessario contrappeso nella " terzietà" dei giudici.

Tutti i ragionamenti che si fanno prescindono dalla situazione del nostro paese del tutto peculiare a causa della quantità e qualità dei reati che determinano illegalità diffusa, corruzione penetrante e criminalità organizzata, la più grande multinazionale del paese, che non hanno riscontro in nessun altro paese democratico europeo e degli altri continenti. Perciò, quando si scrive, sarebbe necessario sapere di cosa si parla e, soprattutto, come ci si comporta nei paesi ai quali si fa sempre riferimento quale esempio di civiltà. Ometto di citare il più grande studioso liberale, Maranini, a proposito dei poteri della magistratura e del suo ruolo a salvaguardia della democrazia, previsti dalla Costituzione, perché l’ho fatto più volte: altro che metastasi di cui parla il Presidente del consiglio che si dichiara liberale a tutto tondo! Noi abbiamo introdotto nel nostro processo il sistema accusatorio nel 1989 mutuandolo dal sistema anglosassone.

Negli USA le condanne, soprattutto per i reati che il decreto bloccaprocessi considera meno gravi, sanzionati con pene inferiori a 10 anni di carcere, come corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale ecc, che incidono direttamente sull’economia e sugli affari condizionandoli e danneggiano gli utenti e i risparmiatori, sono feroci. Scattano dopo il primo grado di giudizio, gli imputati vengono portati in tribunale con le manette ai polsi, la prescrizione e le attenuanti generiche non esistono e gli anni di carcere sono inferiori solo a quelli previsti per gli omicidi più crudeli. Quanto al potere dei magistrati inquirenti sono inimmaginabili e nessuno osa criticarli.

Vogliamo fare un esempio concreto? Rileggiamoci i poteri che il Martin Act del 1921 conferisce al Procuratore dello Stato di New York, ampiamente usati anche nei giorni scorsi per le frodi sui mutui sub-prime: il magistrato può decidere se l’inchiesta deve essere segreta o resa pubblica; scegliere se una frode deve essere repressa attraverso un’azione penale o civile; impedire a una impresa o società di svolgere attività nello Stato per tutto il periodo delle indagini; obbligare i testimoni a rinunciare ad un avvocato e a rispondere alle domande considerando le mancate risposte come accertamento della frode avvenuta ecc. Cosa diciamo che l’America ha un sistema giudiziario barbaro e indegno di un paese civile e che è civilissima solo quando bombarda l’Iraq? Forse possiamo dire che in quel paese la certezza della pena esiste e per tutti.

Nel decreto bloccaprocessi la corruzione è considerata un reato minore ed è stata introdotta nell’elenco dei reati intercettabili solo perché Bossi si è impuntato. Ora, basta leggere le graduatorie di Trasparency International sul rapporto quasi matematico tra corruzione e competitività delle imprese e dell’economia, per sapere che il nostro paese è al 41° posto per la corruzione e al 49° per la competitività: un disastro. Si continua a parlare, anzi a straparlare di economia e di competitività ma il rapporto viene ignorato e nessuno ne spiega le ragioni. Quindi, tenuto conto che l’Italia non compete e gli imprenditori di altri paesi da noi non investono, la corruzione dovrebbe essere uno dei reati di grandissimo allarme sociale e più sanzionati. Se poi è corruzione in atti giudiziari ancora di più. Non ci si fida delle statistiche di Trasparency? Non importa. Basta leggere il rapporto del commissario anticorruzione che è alle dipendenze della presidenza del Consiglio. La situazione viene considerata catastrofica e molto più grave rispetto a tangentopoli. Però il governo ha deciso che il paese avrà un futuro luminoso con una economia straordinariamente solida, anche in presenza di un sistema di corruzione diffusa e penetrante.

Anche i tempi dei processi incidono sull’economia. Quelli del processo penale perché dovrebbe sanzionare i reati economici e finanziari; quelli del processo civile perché incide direttamente sugli affari e la Banca Mondiale su 175 paesi monitorati ci mette al 168 posto; quello tributario perché riguarda l’evasione fiscale e forse non molti sanno che su 100 euro di evasione accertata dalla Guardia di Finanza lo Stato ne incassa 1,28. Io non parlo di etica perchè so bene che suscita una sorta di allergia. Sto parlando di economia che sembra costituire la preoccupazione maggiore dei gruppi dirigenti di questo paese. Qualcuno pensa davvero in buona fede che i tempi della giustizia dipendono dai magistrati fannulloni che non lavorano? Ci sono anche quelli.

Ma i processi non si fanno e la certezza della pena non esiste perché le leggi approvate negli ultimi 20 anni hanno puntato diritto al cuore della prescrizione dal momento che i gruppi dirigenti di questo paese rifiutano i controlli di legalità. Se si vuole davvero ridurre drasticamente i tempi dei processi è necessario cambiarne la struttura. Altrimenti si fa demagogia e si mente sapendo di farlo. Le proposte del governo costituiranno una formidabile istigazione a delinquere e a rendere il paese più illegale di quello che è.

Pubblicato il: 30.06.08
Modificato il: 30.06.08 alle ore 9.04   
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