Il nuovo a parole
L’insuccesso fra i giovani, lo smottamento fra gli operai, il dilagare della Lega in provincia, è un risultato elettorale frutto di un sommovimento sociale ben più profondo dell’immaginabile, e che continua a trovare la sinistra, ma questo da molti anni, del tutto impreparata; a questo si sono aggiunti i tanti errori e problemi irrisolti del Partito democratico, a cominciare dalle candidature di parata, dall’evanescenza organizzativa, dall’irrisolta dualità dei due partiti. Intervista a Roberto Fasoli.
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Roberto Fasoli, già segretario generale della Cgil, tra i fondatori del Pd, insegnante, vive a Verona.
Partiamo dall’esito elettorale. Com’è andato il Pd?
Il risultato è stato certamente al di sotto delle aspettative. E non mi riferisco all’ipotesi di un pareggio o addirittura di un sorpasso. Il risultato va poco oltre i dati della Camera delle elezioni precedenti e presenta uno scarto tra Camera e Senato che segnala che non è affatto vero che noi abbiamo fatto presa nelle fasce giovanili.
Se andiamo a vedere la scomposizione scopriamo che, almeno al nord, l’elettorato giovanile vota in modo consistente la Lega, vota il doppio dell’elettorato maturo la destra e vota un poco di più in termini percentuali per il Pd, quindi non ci sono grandi risultati dal punto di vista dell’appeal verso il mondo giovanile.
Gli analisti poi ci stanno spiegando che non c’è stato lo sfondamento al centro, c’è stato un fenomeno di astensionismo di centrosinistra, un pezzo di voto utile traghettato dalla sinistra alternativa verso il Pd, e basta.
Direi che la prima considerazione da fare è che abbiamo una forza potenziale, che supera il 30%, che con politiche adeguate può crescere e può anche spingere per un riposizionamento della sinistra alternativa su posizioni riformiste ancorché radicali (invece che genericamente di contestazione). Però questo è un risultato in potenza, non in atto. Io dico che in qualche modo il Pd non è ancora nato, è iscritto all’anagrafe, è identificabile, ha appunto un certificato di nascita, ma non ha ancora definito le sue caratteristiche, né rispetto all’assetto organizzativo, né a quello politico programmatico, perché un conto è fare un programma elettorale, un conto è fare un programma per un partito. E comunque un programma prima che sulla carta si vede nella pratica, cioè la carta dei valori non basta scriverla, bisogna praticarla, anche nel modo in cui si costruiscono le candidature, i gruppi dirigenti, nel modo in cui si promuovono le persone a ruoli di responsabilità.
Ora, al di là dei ragionamenti prettamente politicisti, se la tornata elettorale sia arrivata troppo presto o meno, a me qui interessa il dato sociale. Di questo bisognerà tornare ad occuparsi seriamente perché l’insediamento sociale del Pd rischia di non corrispondere più a quello che era l’insediamento di provenienza principale dei partiti che l’avevano costituito. Le elezioni ce lo hanno detto in modo chiarissimo: ci vota un elettorato anziano, pensionati, ci vota una fascia di quarantacinquenni-cinquantacinquenni con posizioni reddituali medio-alte e titoli di studio medio-alti, prevalentemente lavoratori del settore pubblico ed una parte di giovanissimi. Perdiamo in modo consistente nei settori considerati tradizionalmente (secondo me a torto) ostili, cioè piccole imprese, artigiani, commercianti e quant’altro. Perdiamo in modo consistente nella fascia di età 25-45, in particolare 35-45, e nei settori intermedi e soprattutto perdiamo nei settori privati. Ex roccaforti del lavoro operaio hanno espresso anche al nord massicci voti alla Lega.
Ora, l’indeterminatezza dell’insediamento sociale del Pd espone questo partito al rischio di restare allo stato potenziale. Serviranno analisi molto severe e politiche molto accurate per evitare di restare una forza di testimonianza.
Il partito a vocazione maggioritaria è una cosa seria. L’idea dell’autosufficienza con questo insediamento sociale significa condannarsi ad essere minoranza per molti lustri.
Il fatto che sia la Lega la vera vincitrice delle elezioni credo ci debba far pensare. Io mi aspettavo -anche confrontandomi con amici- che la sinistra alternativa portasse a casa un risultato molto contenuto, perché la Sinistra Arcobaleno aveva improvvisato un cartello senza capo né coda, ma da qua a pensare ad un tracollo dei due terzi dei voti fino a scomparire dal parlamento…
Questo significa non solo che il sommovimento sociale è molto più profondo rispetto a quello che qualcuno immaginava, ma anche che la presa di realtà sui settori che questo pezzo di politica attribuiva a sé era assolutamente insignificante. Qualcuno evidentemente continua a parlare delle classi lavoratrici senza conoscerle, senza sapere come stanno reagendo ai cambiamenti, senza immaginare in base a quali criteri decidono il voto.
Tu sei piuttosto critico con il modo in cui sono state fatte le candidature del Pd.
Se è vero che non c’era il tempo per le primarie, come noi avevamo ipotizzato, quello che è apparso chiarissimo a tutti è che le candidature sono andate così: una quota del segretario, sulla quale nessuno discute, tutto il resto se lo dividono Ds e Margherita.
La quota del segretario poi è stata giocata per dare segnali a pezzi di società indipendentemente da qualsiasi tipo di radicamento sociale avessero i candidati. Che infatti non hanno portato nessun fenomeno di identificazione nel nostro elettorato.
Questo è apparso di eclatante inadeguatezza nei confronti dei candidati per esempio della Lega che -parlo delle realtà che conosco- erano persone che rappresentavano pezzi di realtà sociali, economiche, associative...
Per il resto, i conti sono stati regolati tutti all’interno dei Ds e della Margherita con un rigorosissimo Cencelli, al punto tale che sono stati esclusi tutti coloro i quali non avessero padrini al tavolo che nominava i candidati. C’è stato il quasi totale disinteresse rispetto all’esito dei voti del 14 ottobre. I vecchi partiti (perché di questi si tratta, non tanto delle liste Veltroni, Bindi, ecc.) hanno mescolato le correnti interne con parte di quello che era il risultato del 14 ottobre. Questa è una parte di storia tutta interna al Pd che forse interessa poco alle persone ed ai cittadini, però…
Resta il fatto che nella composizione delle liste e delle rappresentanze è scomparso tutto ciò che non fosse Ds o Margherita o scelta diretta del segretario. Sembrava una specie di lotta per le investiture: il segretario investiva i nominati, al resto ci pensavano i partiti. Il processo di costruzione del Pd, che aveva portato tre milioni e mezzo di persone a votare, aveva mosso gente normale di tutti i tipi, associazioni, quant’altro, nella costruzione delle liste è stato completamente cancellato.
Questo ha lanciato un segnale molto negativo e chi era in qualche modo vaccinato alla politica se ne sarà fatta una ragione, ma a quelli che si erano avvicinati per la prima volta con passione, e magari qualche ambizione, certo è piaciuta poco l’idea di essere piazzati al venticinquesimo-trentesimo posto, solo per riempire le liste, mentre alla testa si era con certosina attenzione collocato tutto quello che era la nomenklatura legata ai poteri dentro ai partiti. Insomma all’operazione annunciata non è corrisposta alcuna pratica concreta. Si è fatto un gran parlare del talento, ma nella costruzione delle liste, la rappresentatività e le capacità sono apparse assolutamente discutibili.
Poi ci sono anche altre cose che non mi sono piaciute. Non si può correre con il paracadute. Si è detto: “Anna Finocchiaro ha fatto un grandissimo gesto per correre in Sicilia”. Benissimo, però allora doveva correre in Sicilia sul serio. Non è che puoi correre solo se vinci e poi se perdi te ne torni a fare il capogruppo del Senato, perché a quei siciliani a cui hai detto che volevi occuparti della Sicilia cosa gli racconti? Che siccome hai perso… Ma allora era meglio lasciare la Borsellino, che aveva dato un’ottima prova di sé, e poi è rimasta lì a sfangarsi tutta quanta la baracca.
La stessa vicenda di come sono stati nominati i capigruppo sembrava più una resa dei conti interna al partito che l’esigenza di cambiare qualcosa.
Siamo apparsi come un partito che a parole diceva delle cose nuove, ma con una classe dirigente tutta vecchia, frutto delle vicende precedenti e con qualche testimonial prelevato dalla sera alla mattina dai suoi lavori quotidiani e messo a capo del Pd destando non poche sorprese.
L’uomo solo al comando, Veltroni, era percepito come quello che decideva su ogni cosa attraverso i suoi luogotenenti. Insomma è evidente che in questa vicenda il partito si è rivelato del tutto inadeguato.
Per non parlare del linguaggio e in generale del modo di porsi. A me ha fatto sorridere, ma anche un po’ inorridire, il fatto che gli organismi venissero regolarmente bypassati, che si riunissero “caminetti al loft”. Cioè, se qualcuno pensa di prendere voti popolari riunendo caminetti al loft, la faccenda diventa complicata. Ecco, questo scarto tra le dichiarazioni e la pratica è stato pesante. Le decisioni sono state prese fuori dagli organismi, fuori dagli esecutivi, fuori dalla direzione, e questo non aiuta certo a dare forza e credibilità ad un partito. Forse non si poteva fare diversamente, non lo so, però io sono tra quelli che hanno pensato che questo non ci avrebbe aiutato. Ho sperato che la novità del messaggio, una migliore capacità di padroneggiare la comunicazione coi media, una certa partecipazione popolare giocassero un ruolo importante. Che poi, intendiamoci, tutto questo è servito a ridare fiato ai nostri, più che ad attrarre nuovi elettori, perché di questo si è trattato. Anche il giro per le città…
Adesso come si va avanti?
Ora la domanda è: cosa fare adesso? Secondo me si tratta di andare avanti con determinazione facendo quello che si è detto di voler fare. Che significa basta con la resa dei conti tra le componenti dei Ds e della Margherita, basta con le cooptazioni equilibristiche per mantenere il potere inalterato. Bisogna avviare una discussione serena ed approfondita sia sul risultato elettorale e sui contenuti programmatici, sia sullo stato di salute effettivo di un partito che rischia di essere un partito degli eletti, degli amministratori e che deve diventare invece un partito di cittadini, di uomini e di donne di tutte le età. Per ottenere questo occorre fare un lavoro approfondito nei territori, con l’umiltà di mettersi ad ascoltare le persone perché proprio sui temi che oggi la gente ha più a cuore noi a ridosso delle elezioni abbiamo preso delle posizioni talvolta ambigue e non senza qualche elemento di contraddittorietà.
Prendiamo la sicurezza: alcune delle cose che abbiamo detto non sono state percepite come nettamente distinte dalla destra e a quel punto la gente ha preferito l’originale rispetto alla copia. Bisogna ripartire da qui.
Il giorno dopo c’è stato un gran dire che in real?tà avevamo tenuto. Bene, guardando i dati risulta che è vero che abbiamo tenuto nelle città (il che significa ancora una volta che il nostro insediamento è di un certo tipo) ma nient’affatto nei territori non urbani, nelle periferie, in modo particolare nella provincia, nei paesi. Lì c’è tutto un consenso da recuperare e il percorso sarà lungo.
La vicenda di Roma è stata la ciliegina sulla torta. D’altra parte, rimettere per la terza volta Rutelli è sembrata una cosa proprio da casta. A me è suonato il campanello d’allarme quando nell’ultima settimana si è invocato il pericolo nero… A quel punto ho detto: “Qua è sicuro che perdiamo”. Cioè, bastava leggere Il fascio comunista, di Pennacchi, o aver visto il film “Mio fratello è figlio unico” per capire che i sentimenti popolari degli abitanti delle borgate non potevano essere mobilitati con l’idea dell’allarme antifascista, che anzi casomai faceva crescere il fastidio verso chi si ergeva a giudice.
La “spocchia” che purtroppo caratterizza una certa sinistra ci ha fatto dare giudizi frettolosi e talvolta ingenerosi peggiorando la situazione. Su questo sarà opportuno riflettere a lungo perché la sconfitta di Roma è qualcosa di più della sconfitta di un Comune.
Chi ha cercato di interpretare la sconfitta elettorale come frutto di eventi accidentali deve ricredersi perché le ragioni sono più profonde e complicate, e probabilmente non risalgono né a Veltroni né a Prodi.
A questa sconfitta credo non sia estranea la trasformazione sociale determinatasi negli ultimi vent’anni del secolo scorso. Lo spostamento a destra di settori del lavoro privato anche di tipo operaio non è certo una novità. Eppure tutto questo non ha fatto ricredere pezzi di sindacato o pezzi di politica costringendoli a domandarsi se non bisognasse fare cose diverse per tenere aperto un dialogo con questi settori; si è continuato a considerarli secondo l’ottica della classe sociale definita, equiparata dal lavoro subordinato, non capendo che quello che è successo dal punto di vista dell’evoluzione dei consumi e della mentalità ha buttato all’aria tutto.
Ecco, io vorrei che non si facesse un’analisi frettolosa o tutta in termini politicisti, ma che si ragionasse a partire dalle questioni che sono drammaticamente sul tappeto. Non ultima la devastazione che esiste nella scuola tra i giovani, e che proprio a Verona abbiamo toccato con mano recentemente.
Cioè questi giovani sono totalmente abbandonati a se stessi, e quello è terreno di coltura privilegiato di proposte populiste o massimaliste o genericamente piegate sulle risposte immediate. Questo è un territorio da cui noi rischiamo di essere totalmente estromessi, se non c’è un ragionamento che ci faccia riprendere il dialogo e l’ascolto con queste giovani generazioni, che si aggregano, si muovono, decidono e fanno in luoghi che noi non frequentiamo. Penso agli stadi, alle piazze, ai bar, alle discoteche…
L’unico luogo dove si aggregano e in cui ci siamo in parte anche noi è la rete. Ma in tutti i luoghi della fisicità non risulta esserci soggetto attribuibile al centrosinistra che organizzi queste persone.
E poi quando inizieremo a parlare del fatto che i giovani di sinistra stanno prevalentemente nei licei, mentre gli istituti professionali e tecnici sono luoghi privilegiati di organizzazione di studenti di destra o della lega? Questo ci rimanda a tutto tondo la questione della composizione sociale. Insomma, si sapeva che questo percorso sarebbe stato difficile… purtroppo qualcuno ha pensato che mettersi d’accordo tra i partiti bastasse.
Tu denunci anche l’esistenza di un problema di non poca importanza rispetto all’organizzazione interna del Pd.
Per me ora il problema non è cambiare il segretario affibbiandogli così la responsabilità della sconfitta. Però neanche di fare finta che non sia successo niente… Cioè, cosa vuol dire che rinomini gli stessi capigruppo a Camera e Senato e che coloro i quali hanno perso in maniera pesante vengono tutti ricollocati dentro le gerarchie del partito? E che fine hanno fatto quei giovani o quelle giovani proiettate sulla scena mediatica ad esibire la raggiunta parità uomini-donne, quando per discutere del partito vengono quotidianamente interpellati Marini, Franceschini, Veltroni, D’Alema, Fioroni? Non si può prendere per i fondelli la gente facendole credere che stai producendo un’innovazione quando non metti in campo una sola faccia nuova a parlare del risultato elettorale.
Ho visto facce nuove della Lega, in qualche caso del Partito delle libertà, a comandare nel Pd sono quelli che comandavano i Ds e la Margherita di prima.
Prendiamo lo stesso governo ombra: chi lo ha nominato? Il segretario? Qual è l’organismo che discute?
Io non ho mai creduto al partito leggero al punto da diventare gassoso, e non ho mai creduto che i partiti potessero essere comitati elettorali. La Lega è un partito, ha i tesserati, ha le sezioni, è nei paesi, è nei quartieri. Il problema vero non è la forma-partito, se è liquida o gassosa, è se ha qualcosa da dire, se ha dirigenti rappresentativi…
Da questo punto di vista io credo che la riflessione vada fatta a tutto tondo. Il prossimo dev’essere un congresso vero, dove si discuta di linea politica, di organizzazione, di forme partito, dove si discuta di finanziamento, cosa che nessuno fa…
Di finanziamento?
Certo. Questo partito come vive oggi nei territori? Vive con i soldi degli amministratori. Non c’è il tesseramento! Ma ti pare? E’ la prima volta che mi iscrivo ad un partito e non ho neanche la tessera!? Mi hanno dato un diploma, come al catechismo quando ero piccolino…
Cioè, mi hanno dato un certificato in cui risulta che sono fondatore del partito insieme ad altri tre milioni di persone.
Io non so neanche chi sono oggi gli iscritti al partito. Tutto quanto naviga nel buio. Noi identifichiamo come iscritti al partito quelli che lo hanno votato alle primarie, ma non è corretto. Ora vogliamo fare un congresso, bene, la prima regola della democrazia è che il congresso lo possono fare le persone che hanno titolo. L’organizzazione è una cosa seria.
Nello statuto è previsto questo meccanismo. Dopodiché dal tesseramento recupereremo alcune risorse, di cui dovremo decidere il destino: andranno tutte a Roma o nel territorio?
Non sono questioni secondarie. Oggi non è chiaro chi paga chi corre per il partito. Penso che li paghino ancora i vecchi partiti. Cioè ci sono delle cose che sono assolutamente equivoche, come le fondazioni fatte per conferire i beni dei Ds e della Margherita. Ma se si fa un nuovo partito che senso ha che ci siano fondazioni che amministrano i beni dei due partiti precedenti? Vuol dire che fai un nuovo partito ma tutto sommato ti tieni una specie di via d’uscita. E questo non è solo un problema amministrativo o patrimoniale.
A Roma si è andati al “loft” perché non si voleva andare né alla sede dei Ds né alla sede della Margherita… Ci sono città, compresa la mia, in cui decidere di andare in una delle due sedi è un problema… Da noi, per dire, ancora non c’è una sede.
Ma se abbiamo ancora problemi di questa natura è naturale che il partito farà fatica, e se noi continuiamo a fare gruppi dirigenti premiando le alchimie interne è evidente che avremo un effetto di trascinamento. Il linguaggio è emblematico, basti pensare ai discorsi: “C’è troppo Ds”, “C’è troppa Margherita…”.
Di nuovo, se tu non investi in persone che hanno una storia autonoma anche da queste appartenenze, e poi mescoli il tutto, non si va da nessuna parte. Per questo premiare la responsabilità di ragazzi e ragazze (ma senza enfasi mediatica) sarebbe importante, perché si presume che questi non abbiano una storia così consolidata alle spalle. Se tu invece li porti in giro per esibirli come trofei di guerra, premiando la loro fedeltà ai gruppi dirigenti, costruisci dei piccoli mostri, che non hanno niente di diverso dai capi che li hanno promossi… Ora come si fa a mescolare il vecchio e il nuovo? Questa è una domanda da cento milioni di dollari. Un modo è, per esempio, fare le primarie, perché nelle primarie è vero che chi ha più soldi, più notorietà rischia di schiacciare i ragazzi, tuttavia quando si sono fatte abbiamo anche visto che questo non è vero fino in fondo. E comunque si potrebbe utilizzare un duplice criterio, una parte elettivo, una parte di primarie. Se si vuole, i meccanismi si trovano.
Certo, con il metodo delle primarie alcuni potrebbero non essere garantiti.
Però se tu vuoi fare innovazione o la fai rischiando oppure non ti resta che la cooptazione, con lo scenario che abbiamo già visto: il segretario che nei primi venti giorni di campagna quotidianamente esibiva un candidato che rappresentava di volta in volta le istituzioni, i prefetti, i giovani, gli industriali, il mondo della cultura, gli operai, i call center…
Ora, tutte queste discussioni noi non le abbiamo fatte.
Tu però resti ottimista. Cosa c’è di positivo?
Di positivo c’è la potenzialità di cui parlavo all’inizio. La base sociale che ci ha votato è stufa di vecchia politica, è stufa di discorsi che non hanno costrutto, di proclami cui non segue l’azione. Ecco, se il Pd vuole, su quella strada si può camminare.
Il Pd è potenzialmente una risposta importante ai problemi del ventunesimo secolo, bisogna però che guardi in avanti, alzando la testa per un verso e guardando ogni tanto dove mette i piedi. Fuor di metafora, significa innovare, radicarsi di più sul territorio ed affrontare le vere questioni tagliandosi gli ormeggi, rompendo con il cordone ombelicale del passato. Se tentenniamo o torniamo indietro e cadiamo nei noti giochetti della politica rischiamo di disperdere il patrimonio positivo che abbiamo coltivato e le aspettative che abbiamo fatto nascere. Dovremo anche riconquistare i delusi e per riuscirci serve coraggio, rigore, intransigenza, novità. Intendiamoci, io non penso affatto che si debba buttare via tutto ciò che è vecchio, sarebbe una follia, ma nemmeno fare finta che i problemi si possano giocare tutti su linee interne.
Le questioni oggi sul tappeto non sono nuove. Il tema della sicurezza c’era anche prima, la crisi economica c’era anche prima. Il vero dato è che c’è una trasformazione epocale in atto, non solo in Italia ma in tutto il mondo, e la gente vuole essere rassicurata con risposte immediate. Se tu sei onesto sai che sull’immediato le risposte non puoi darle e allora devi decidere se imbrogli o se provi a raccontare le cose come sono. Se però racconti le cose come sono, molte persone si ribellano.
Ora, il voto che è stato dato ad alcune forze è sicuramente legato all’esigenza di una rassicurazione sull’immediato, però spesso è anche un voto dato a chi sul territorio è presente quotidianamente e non solo al momento delle elezioni. Sul nord non bastano le improvvisazioni dell’ultima ora. E’ stata una grande ingenuità pensare che bastasse mettere candidature simbolo per recuperare consenso al nord. La Lega lì è presente da vent’anni, ne conosce tutte le pieghe, i risvolti, gli umori, le paure, pertanto il voto alla Lega è stato tutt’altro che strumentale o genericamente di protesta, è un voto consolidato a una forza che di questi temi si è fatta bandiera e che ha vissuto quotidianamente a fianco delle persone. Che respiro strategico ha tutto questo? Io penso poco, perché su alcuni temi, come il federalismo fiscale, la Lega entrerà in contraddizione con il Pdl, più che con il Pd. Su altri temi, come l’immigrazione, la contraddizione è già lì se, come sta emergendo, più di metà dei famigerati “clandestini” sono colf e badanti, senza le quali molti nostri anziani sarebbero condannati ad essere abbandonati nei letti d’ospedale o nelle case di riposo. Per non parlare dei tanti immigrati impiegati nelle fabbriche come operai.
Su questo tema vorrei far notare una cosa che sicuramente non ho notato solo io. La Lega ha cominciato dicendo: “I terroni a casa loro”, poi ha detto: “Via i neri”, oggi dice: “Il problema non sono gli immigrati, si tratta di cacciare i clandestini ed i criminali”.
Allora, nello slittamento, che non è solo semantico, cosa c’è? C’è la consapevolezza che con i problemi dell’immigrazione bisogna convivere. L’elettorato della Lega ha bambini che vanno a scuola facendo merenda con coetanei immigrati, va all’ospedale o ai servizi sociali insieme a loro, e soprattutto lavora nelle fabbriche accanto a loro.
Dopodiché, si illudono che si possano presidiare le frontiere, sparare ai barconi o fare cose che loro per primi sanno essere impraticabili.
Come se ne esce? E’ da sciocchi dire che l’immigrazione, soprattutto quella clandestina, non sia un problema. E’ un problema, ma è altrettanto evidente che di fronte ai problemi ci sono due modi di affrontarli: mettersi le mani avanti gli occhi e spazzare la polvere sotto il tappeto, oppure cercare di affrontarli davvero.
Su questo terreno dell’immigrazione però anche la sinistra deve cambiare atteggiamento, soprattutto deve togliersi quella patina di buonismo becero a cui non corrisponde niente, perché dire alle persone che è sbagliato aver paura è una stupidaggine. Così come non può nemmeno pensare di inseguire la Lega, perdendo ogni discernimento ed invocando provvedimenti esemplari contro i rom o contro i neri.
Insomma, davanti a questioni così articolate bisogna anche mantenere il raziocinio.
Le aree dove vince la Lega sono anche quelle dove gli immigrati risultano più integrati. Com’è possibile?
E’ vero. In Veneto, a dichiarazione degli stessi immigrati, Treviso e Verona sono le città in cui si vive meglio, due aree storicamente di insediamento leghista. Perché? La risposta è ovvia: perché sono due aree particolarmente ricche. Bruno Anastasia, ricercatore di Veneto e lavoro, istituto della Regione Veneto che studia il mercato del lavoro ed i processi migratori, lo dice chiaramente: “Se volete un metodo sicuro per non avere immigrati, impoveritevi!”. E’ perfino banale: gli immigrati dove vanno? Dove c’è ricchezza, dove c’è lavoro, dove c’è la possibilità di mandare a casa soldi, di mandare a scuola i bambini, di avere un’assistenza sanitaria decente… Sono immigrati, non sono mica degli inetti, parliamo di persone spesso istruite o comunque capaci di muoversi nel mondo.
Non è che la sinistra ha qualcosa da imparare dalla Lega, almeno rispetto alla presenza sul territorio?
Il sabato dopo le elezioni, al mercato di casa nostra, c’era la Lega che parlava con la gente per ringraziarla del risultato elettorale. Nelle campagne elettorali che ho fatto, nei paesi ho regolarmente riscontrato forze soverchianti della Lega in termini di presenza quotidiana e costante…
Certo, nelle città dove funzionano altri meccanismi, dove la composizione sociale è più vicina al nostro elettorato, abbiamo avuto dei risultati incoraggianti. Ma, attenzione, quando si vota non si vota solo nelle città, si vota dappertutto.
In Veneto i risultati ci dicono che oggi ci sono tre forze praticamente equivalenti, tutte attorno ad un trenta per cento, il Pdl, la Lega e il Pd.
Questo ci parla di una situazione tutt’altro che ferma. In cui c’è uno spazio importante anche per noi. Però bisogna che ci muoviamo. Perché se concentriamo tutta l’attenzione su Roma e sul parlamento, anziché sul territorio, beh loro avranno buon gioco a conquistare tutte le cariche istituzionali sul territorio e dividersele, dopodiché nelle due regioni del nord oggi più significative, la Lombardia ed il Veneto, per noi la partita resterà chiusa per anni.
Per concludere, io non sono affatto pentito, né genericamente deluso, ma critico per come è stata gestita l’operazione. Detto questo aggiungo però: adesso basta piangersi addosso, andiamo avanti coerenti con le cose che abbiamo detto di voler fare. Che significa: più attenzione ai problemi pratici, quotidiani, delle persone. Noi abbiamo perso anche perché abbiamo pensato che alla gente bastasse dire: “Eh, ma tu non devi avere paura. Ricordati quando eri immigrato tu…”. Un ragionamento che è sensato e razionale fino a che non ti tocca da vicino, dopodiché non vale più niente, anzi sortisce l’effetto opposto. Le forze progressiste dovrebbero imparare ad avere meno puzza sotto il naso, e a confrontarsi con le persone, a prendere sul serio il loro senso di insicurezza. Non basta dire ad uno: “Non avere paura”, devi cercare di capire da dove nasce questa paura e come si può fargliela superare.
Va poi recuperato il tema della legalità. Cioè noi quanto tempo ci abbiamo messo a dire che tutti devono rispettare diritti e doveri, che chi viene in questo paese si uniforma alle sue leggi? E’ chiaro che poi si paga un prezzo e la gente spaventata non si fida di te, anzi ti dice: “Portateli a casa tua, allora!”. Perché ti rispondono così: “Ah, tu non hai paura dei rom? Bene, allora portateli a casa tua!”.
Ora, se dobbiamo smettere di negare che certi problemi esistono, è evidente che non possiamo però dar credito a ragionamenti di grossolano egoismo come questi, perché noi poi siamo specialisti a passare da un estremo all’altro.
Io vedo con terrore che qualcuno insegua l’atteggiamento leghista…
Se vuoi recuperare il consenso, devi mantenere un pensiero che non sia pari pari assimilabile a quello delle forze conservatrici. Alcuni sindaci ci hanno provato. Chiamparino, Cofferati, Zanonato dei risultati li hanno ottenuti. Quindi c’è una possibilità anche per le forze progressiste di fornire delle risposte.
Prendiamo Zanonato, per mesi ci si è scandalizzati di quel muro. Ora, a parte il fatto che lui ha trovato da dormire a tutta la gente che abitava dietro a quel muro, bene, oggi a Padova si sta discutendo della costruzione di una moschea. E non è un caso se a Padova la Lega ha un impatto medio, pur essendo cresciuta, ed il Pd ha parecchi punti percentuali in più…
Cioè a uno può anche non piacere il sindaco di Padova, ma nessuno nega che conosca bene le cose della città e non si nasconda i problemi.
Noi invece se facciamo gli sgomberi, non li pubblicizziamo, perché ci vergogniamo a dire che abbiamo mandato via gli abusivi, che abbiamo mandato via chi si era accampato in un territorio senza autorizzazione…
Ma se vogliamo combattere il senso di insicurezza in modo civile, non possiamo continuare a transigere sulla legalità. La capacità di dimostrare che sai fare rispettare le leggi nel territorio dà forza anche all’accoglienza.
UNA CITTÀ n. 156 / maggio 2008
da
www.unacitta.it