Ora basta silenzi
Nando Dalla Chiesa
Il Bubbone. Sì. Non c’è, e non può starci solo più lo Scalone in cima ai problemi urgenti del governo. C’è anche e, dopo le dichiarazioni del generale Pollari, c’è soprattutto il Bubbone. C’è questo groviglio micidiale di trame, di infedeltà, di opacità, di ricatti incombenti, che si va dipanando davanti ai nostri occhi. Che si è piantato nel cuore delle istituzioni e le minaccia. Insieme con la credibilità del centrosinistra.
E alla fine con la stessa credibilità della politica, sempre più degradata - agli occhi dei cittadini più consapevoli, non dei qualunquisti - a crocevia limaccioso di arcana imperii. È da circa un anno che il Bubbone ha iniziato a prendere forma, una tessera del puzzle dopo l'altra, una scoperta e un'ammissione dopo l'altra. E se muoversi con prudenza e circospezione è, in questi casi, sempre cosa buona e giusta, ora appare giunto il momento delle soluzioni radicali. Quelle che, di fronte all'annuncio di clamorose rivelazioni, possono comportare costi ma salvano la dignità della Repubblica.
È evidente che è accaduto qualcosa di grave nel corpo dello Stato e nelle sue adiacenze. Qualcosa che va oltre le «normali» patologie legate, anche nelle democrazie più solide, all'esercizio del potere o all'impazzimento di alcune sue propaggini. Siamo davanti invece ai segnali di un fenomeno tumorale che per fortuna non si è ancora mangiato le istituzioni ma è stato sul punto di trasformarle in un campo di battaglia.
Vogliamo ricordarlo, l'abicì dello Stato democratico moderno? a) Il potere politico, di natura elettiva, governa e dirige lo Stato. La burocrazia, i corpi militari e di polizia, hanno natura rigorosamente neutrale e obbediscono al potere politico nel rispetto della Costituzione. b) L'opposizione ha il pieno diritto di esistere e di svolgere la propria funzione, anch'essa nel rispetto dei principi costituzionali, sicché nessuna azione può essere svolta o dettata dal governo per controllarne e limitarne ruolo e prerogative. c) Nessun uso dei corpi militari e di polizia può essere fatto altresì per colpire i diritti costituzionali dei cittadini e delle loro libere associazioni, comprese quelle partitiche, e nemmeno per colpire il diritto all'informazione, caposaldo di ogni Costituzione democratica. Infine, d) i magistrati sono indipendenti dal potere politico ed esercitano verso tutti, anche verso il potere politico, un controllo di legalità; anch'essi, ovviamente, assoggettati alle leggi.
Forse lo schema è troppo sintetico, ma disegna a sufficienza i fondamenti di una democrazia. Che prevedono poi, come è noto, una serie complessa di equilibri tra i differenti poteri. E prevedono, inoltre, che in ogni caso nessun esercizio della forza, nessuna facoltà investigativa lesiva dei diritti personali, possano essere usurpati da associazioni o da poteri privati.
Ora lo scenario che si va delineando ai nostri occhi nega in radice quel disegno democratico. Ci mostra un'opposizione, ma soprattutto una società controllata in forma incostituzionale dal potere politico. Dove chi deve esercitare - per Costituzione - il controllo di legalità, ossia la magistratura, viene sottoposto ad attività di controllo e di spionaggio. Dove chi non è compatibile con le logiche di dominio o di governo viene schedato e trattato alla stregua di soggetto eversivo (con i limiti posti all'uso pratico di questa nozione dal fatto che la sanzione penale non può scattare in mancanza di reati e in presenza di una magistratura indipendente). Dove insomma, un po' come avviene nei sistemi autoritari, l'etichetta di «comunista» o di «amico dei comunisti» viene usata per legittimare la rottura del quadro costituzionale. Di più, come è apparso nei carteggi di Pio Pompa, addirittura per rendere auspicabili soluzioni «traumatiche» contro i magistrati sgraditi, segnatamente quelli di Milano.
Per carità, non si vuole tornare qui a polemizzare con chi irrideva alle denunce sul regime negli anni montanti del berlusconismo. Ma certo gli storici più neutrali troverebbero nelle carte ulteriori elementi per sostenere che negli anni passati gli impulsi al regime ci sono stati eccome. Sia pure con qualche effetto collaterale da Far West.
Più precisamente, per attenerci al Bubbone, troverebbero che sono successe tre cose. La prima: un pezzo di Stato, con i Servizi in testa, ma con intrecci nei corpi di polizia, si è autonomizzato dal potere politico. Con tutte le necessarie attenzioni tattiche, per non entrare in rotta di collisione con i poteri costituiti; offrendo loro anche lealtà, ma in una logica da repubblica separata. La seconda: un altro pezzo di Stato, in parte sovrapposto al precedente, è diventato un corpo feudale al servizio del Signore, al quale si è legato in un rapporto di dipendenza personale, a volte con punte di comicità irresistibile (le lettere di Pio Pompa a Berlusconi), ma sempre incidendo sulle carni della democrazia. La terza: in questo disfacimento si sono costituiti, a partire dalla Sicurezza Telecom, centri di potere privati dediti all'usurpazione delle funzioni più delicate ed esclusive dello Stato (il controllo della privacy), a loro volta intrecciati sia con i pezzi autonomi sia con i pezzi asserviti dello Stato. Bene, è questo sistema criminogeno il Bubbone da estirpare. Le indagini sul caso Abu Omar - qualsiasi cosa si pensi sulle decisioni del governo sulla nota domanda di estradizione verso gli agenti Cia - avevano già iniziato a scoperchiare questo pozzo maleodorante. Così come la vicenda Telecom-Tavaroli. Ora sono davvero molti i punti da cui si può convergere verso la consapevolezza che il sistema che abbiamo descritto non esprime una «semplice» sensazione o intuizione (che difficilmente autorizzano in una democrazia garantista soluzioni radicali). Ma è il frutto di una montagna concordante di dati.
Ora il Bubbone va reciso. Anche per evitare - vogliamo dire la verità? - quel che già avviene: e cioè che si diffonda in alcuni strati dell'elettorato l'idea che non si «possa» intervenire per via della capacità di ricatto che questo sistema illegale esprimerebbe verso uno o l'altro dei settori della politica o dell'economia più legati alla maggioranza. Le scelte che il governo stesso ha annunciato nei giorni scorsi appaiono smentire questo pregiudizio o timore, che ricadrebbe come un macigno sulla credibilità della politica e anche dei grandi riti della democrazia, quello del voto prima di tutto.
L'Unione non può permettersi silenzi e inerzie. E se è giusta preoccupazione del potere responsabile quella di non comunicare al cittadino una sensazione di instabilità nell'alternarsi delle maggioranze, oggi deve essere ancora più giusta preoccupazione quella di comunicargli che una certa idea del potere e dello Stato non è accettabile. Che tanto meno è accettabile da chi si è battuto in un referendum per difendere la Costituzione repubblicana e il suo spirito. Proprio di fronte agli annunci di rivelazioni sensazionali (ben venga la verità se è tutta la verità e solo la verità), occorre comunicare al cittadino che per i protagonisti di questo sistema in uno Stato democratico non c'è posto. A nessun livello.
(P.S. Una volta in un discorso pubblico Silvio Berlusconi rivendicò tra i suoi meriti anche quello di non avere mai usato i servizi segreti per spiare l'opposizione. Fui colpito da quella rivendicazione. Perché la sola ipotesi di scuola, l'averlo pensato, cioè, come «merito» da esibire agli italiani, mi sembrò stupefacente. Ora si capisce qualcosa di più...).
www.nandodallachiesa.itPubblicato il: 09.07.07
Modificato il: 09.07.07 alle ore 6.02
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