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Autore Discussione: Gli italiani vogliono un'altra politica  (Letto 4748 volte)
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« inserito:: Luglio 10, 2007, 03:15:04 pm »

POLITICA

Sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it su referendum e taglio dei costi

La stragrande maggioranza vuole cambiare legge elettorale, oltre il 30% con i quesiti

Soffia il vento del cambiamento

Gli italiani vogliono un'altra politica

Elettori di destra e di sinistra uniti: meno parlamentari e meno soldi per stipendi e auto blu

di MATTEO TONELLI


 ROMA - Un vento che chiede cambiamento. Soffia sulla politica italiana, ne pretende un radicale mutamento e un taglio di quei costi che sono, per la maggioranza degli italiani, non più giustificabili. Il sondaggio realizzato da Ipr Marketing per Repubblica.it fotografa questa voglia di cambiamento. A partire dalla legge elettorale. Che l'83% vuole cambiare. La maggioranza (53%) grazie al lavoro parlamentare, il 30% usando lo strumento del referendum che, secondo ai promotori, è a 100mila firme dal traguardo.

Legge elettorale. Per il 53% la legge elettorale attuale va cambiata in Parlamento. Una percentuale che vede equamente divisi sia gli elettori del centrosinistra (58%) che quelli del centrodestra (43%). Un buon 30%, però, punta sul referendum. In pratica una miccia accesa, uno stimolo a fare in modo che la voglia di riforma non si impantani nelle pastoie dei veti della politica. Un referendum sostenuto sia dagli elettori del centrosinistra (26%) che da quelli del centrodestra (36%). Infine gli irriducibili dell'attuale sistema elettorale: per il 6% non deve essere toccato. Nonostante le palesi difficoltà di governabilità ad esso collegate.

Costi della politica. Tagli, tagli e ancora tagli. Se dipendesse dagli intervistati il disegno di legge sui costi della politica che permetterà di risparmiare circa 500 milioni di euro dovrebbe mettere ai primi tre posti tre cose: la riduzione dello stipendio di parlamentari, dei consiglieri regionali, provinciali, comunali (78%), la riduzione del numero dei parlamentari (61%), la riduzione della pensione dei parlamentari, dei consiglieri regionali, provinciali e comunali (51%).

Nel mirino finisce poi uno degli status symbol più invisi agli occhi dei cittadini: le auto blu. Per il 32% degli intervistati andrebbero abolite. Autisti compresi. Ed ancora un colpo di scure su benefit vari quali pranzi al ristorante, ingressi gratuiti al cinema, ai musei (26%). Ridotti anche i viaggi gratis in aereo, in treno, in auto (20%). Infine, per il 15%, le Province andrebbero abolite. Una cosa di cui si parla da anni. Ma che, fino ad oggi, è rimasta sulla carta.

Adesso, però, la voglia di cambiamento è trasversale. Basta vedere le percentuali per capire come lo chiedano sia gli elettori del centrodestra (77% per la riduzione dei parlamentari, 39% per le auto blu), sia quelli del centrosinistra (81% per la riduzione degli stipendio, il 28% per la soppressione delle Province).

(10 luglio 2007) 
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 10, 2007, 03:16:59 pm »

Primo, spiare
Furio Colombo


Se racconti a un collega europeo o americano che in Italia magistrati e giornalisti sono stati sistematicamente posti sotto sorveglianza, intercettazione e pedinamento da parte dei servizi segreti militari durante tutto il periodo del governo Berlusconi-Fini-Casini, ti dicono: certamente in Italia magistrati e giornalisti sono in rivolta e il nuovo governo avrà chiesto al Parlamento di aprire una inchiesta. A una affermazione come questa devi dare - nella buona tradizione del linguaggio politichese - «una risposta articolata». Vuol dire tre risposte diverse. La prima: sì, il Consiglio superiore della magistratura ha unanimamente denunciato il grave fatto (spionaggio dei giudici, colpevoli o sospetti di occuparsi di numerosi processi in cui l’eccezionale primo ministro italiano era imputato) e ha indicato che si tratta di una violazione gravissima di leggi e Costituzione.

La seconda: no, i giornalisti italiani non hanno fatto una piega. Chi è stato spiato, ti fanno capire, se l’è voluta. Nessuno ti obbligava a essere ostinatamente anti berlusconiano. Certo, tra gli spiati c’erano il segretario della Federazione della stampa, che dovrebbe rappresentarci tutti, ma la notizia non ha provocato grandi emozioni. Certo, tra gli spiati c’era l’infaticabile animatore di Articolo 21, Giuseppe Giulietti, ma la scelta di punzecchiare il gruppo berlusconiano è tutta sua, se la veda lui. Certo, hanno spiato il direttore, poi ex direttore di questo giornale, quello che - tra la costernazione di molti - aveva chiamato la bene oliata macchina berlusconiana «regime» perché funzionava implacabile nelle ventiquattrore senza perdere un colpo, da Vespa a Vespa.

Con quei cinquecento titoli di questo giornale che il signore e padrone dei media italiani andava sbandierando come evidenza di inconcepibili attacchi contro di lui, non direte che non se lo è meritato. Infatti mai gli è toccato uno di quegli orologi che il «capo» affettuosamente regalava a fine intervista (orecchini per le signore). Invece, pedinamenti e intercettazioni (noiosissime, devo supporre: o ripetevano le cose gia scritte negli articoli o riguardavano le prodezze dei nipotini).

Ma ci sono anche giornalisti europei, come il corrispondente di Liberation Eric Joseph. E qui vengono fuori analogie curiose: gli spiati perdono il posto. Le ragioni sono varie, le circostanze diverse, salvo due fatti: in epoca di terrorismo internazionale in un Paese democratico membro fondatore dell’Unione Europea, il direttore di un giornale italiano sgradito e il corrispondente di un quotidiano europeo considerato nemico vengono affidati alle attenzioni dello spionaggio militare e concludono un po’ prima il loro mandato.

Francamente non capisco che cosa abbia trovato di così divertente in tutta la storia un giornalista come Vittorio Feltri, che ha dedicato alla vicenda, nel titolo di Libero (domenica 8 luglio: «Berlusconi spione») un goliardico sarcasmo. Devo dire che, indipendentemente dalla collocazione a destra o a sinistra, questo suo sganasciarsi dal ridere per i colleghi spiati è un po’ una sorpresa. Lo conoscevamo come carico di opinioni (legittime) però giornalista, curioso e attento alle anomalie. In questo caso, l’anomalia è certamente grande. Possiamo fare un altro esempio di giornalisti spiati perché avversari politici in qualunque altra democrazia?

Terzo: il governo dell’Ulivo è stato molto riservato. Prodi ha detto che promuovere una commissione d’inchiesta è prerogativa del Parlamento. È vero, è giusto. Ma forse la sosta di un minuto sull’argomento da parte del consiglio dei ministri o del portavoce del governo avrebbe orientato i cittadini.

È toccato a Piero Fassino, da solo, dire che, se un evento di spionaggio militare a danno di magistrati e giornalisti avviene in coincidenza con le data di inizio e di fine del governo Berlusconi, non occorre essere Sherlock Holmes per concludere che Berlusconi ha dato gli opportuni ordini. Dopo tutto - aggiungiamo noi - era la stessa persona che andava in giro affermando che ogni critica a lui era una critica all’Italia. Sì, lo so, adesso sembra una affermazione un po’ folle e profondamente antidemocratica. Ma questo era il «regime». Un «regime» usa lo spionaggio militare contro ogni libera e democratica manifestazione di critica. Servono altre evidenze?

Ma torniamo al segretario Ds. Fassino chiede una pronta inchiesta del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. È la sede giusta. Probabilmente, se si aggiungessero altre voci di autorevoli membri del governo di centrosinistra, benché molto impegnati sul tesoretto e sulle pensioni, sarebbero utili per rompere il muro di omertà dei vari Bondi e Cicchitto. Parlano di «polverone» a proposito delle notizie sullo spionaggio, proprio mentre alzano un polverone perché non si parli di quell’incredibile spionaggio e non si apra nessuna inchiesta.

E se i magistrati appaiono uniti e unanimi nel denunciare lo scandalo delle intercettazioni e del pedinamento di alcuni di loro, perché non dovrebbero essere uniti e unanimi nella stessa denuncia i giornalisti italiani?

Che dite, c’è speranza?

furiocolombo@unita.it



Pubblicato il: 09.07.07
Modificato il: 09.07.07 alle ore 6.02   
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 10, 2007, 03:18:37 pm »

Ora basta silenzi
Nando Dalla Chiesa


Il Bubbone. Sì. Non c’è, e non può starci solo più lo Scalone in cima ai problemi urgenti del governo. C’è anche e, dopo le dichiarazioni del generale Pollari, c’è soprattutto il Bubbone. C’è questo groviglio micidiale di trame, di infedeltà, di opacità, di ricatti incombenti, che si va dipanando davanti ai nostri occhi. Che si è piantato nel cuore delle istituzioni e le minaccia. Insieme con la credibilità del centrosinistra.

E alla fine con la stessa credibilità della politica, sempre più degradata - agli occhi dei cittadini più consapevoli, non dei qualunquisti - a crocevia limaccioso di arcana imperii. È da circa un anno che il Bubbone ha iniziato a prendere forma, una tessera del puzzle dopo l'altra, una scoperta e un'ammissione dopo l'altra. E se muoversi con prudenza e circospezione è, in questi casi, sempre cosa buona e giusta, ora appare giunto il momento delle soluzioni radicali. Quelle che, di fronte all'annuncio di clamorose rivelazioni, possono comportare costi ma salvano la dignità della Repubblica.

È evidente che è accaduto qualcosa di grave nel corpo dello Stato e nelle sue adiacenze. Qualcosa che va oltre le «normali» patologie legate, anche nelle democrazie più solide, all'esercizio del potere o all'impazzimento di alcune sue propaggini. Siamo davanti invece ai segnali di un fenomeno tumorale che per fortuna non si è ancora mangiato le istituzioni ma è stato sul punto di trasformarle in un campo di battaglia.

Vogliamo ricordarlo, l'abicì dello Stato democratico moderno? a) Il potere politico, di natura elettiva, governa e dirige lo Stato. La burocrazia, i corpi militari e di polizia, hanno natura rigorosamente neutrale e obbediscono al potere politico nel rispetto della Costituzione. b) L'opposizione ha il pieno diritto di esistere e di svolgere la propria funzione, anch'essa nel rispetto dei principi costituzionali, sicché nessuna azione può essere svolta o dettata dal governo per controllarne e limitarne ruolo e prerogative. c) Nessun uso dei corpi militari e di polizia può essere fatto altresì per colpire i diritti costituzionali dei cittadini e delle loro libere associazioni, comprese quelle partitiche, e nemmeno per colpire il diritto all'informazione, caposaldo di ogni Costituzione democratica. Infine, d) i magistrati sono indipendenti dal potere politico ed esercitano verso tutti, anche verso il potere politico, un controllo di legalità; anch'essi, ovviamente, assoggettati alle leggi.

Forse lo schema è troppo sintetico, ma disegna a sufficienza i fondamenti di una democrazia. Che prevedono poi, come è noto, una serie complessa di equilibri tra i differenti poteri. E prevedono, inoltre, che in ogni caso nessun esercizio della forza, nessuna facoltà investigativa lesiva dei diritti personali, possano essere usurpati da associazioni o da poteri privati.

Ora lo scenario che si va delineando ai nostri occhi nega in radice quel disegno democratico. Ci mostra un'opposizione, ma soprattutto una società controllata in forma incostituzionale dal potere politico. Dove chi deve esercitare - per Costituzione - il controllo di legalità, ossia la magistratura, viene sottoposto ad attività di controllo e di spionaggio. Dove chi non è compatibile con le logiche di dominio o di governo viene schedato e trattato alla stregua di soggetto eversivo (con i limiti posti all'uso pratico di questa nozione dal fatto che la sanzione penale non può scattare in mancanza di reati e in presenza di una magistratura indipendente). Dove insomma, un po' come avviene nei sistemi autoritari, l'etichetta di «comunista» o di «amico dei comunisti» viene usata per legittimare la rottura del quadro costituzionale. Di più, come è apparso nei carteggi di Pio Pompa, addirittura per rendere auspicabili soluzioni «traumatiche» contro i magistrati sgraditi, segnatamente quelli di Milano.

Per carità, non si vuole tornare qui a polemizzare con chi irrideva alle denunce sul regime negli anni montanti del berlusconismo. Ma certo gli storici più neutrali troverebbero nelle carte ulteriori elementi per sostenere che negli anni passati gli impulsi al regime ci sono stati eccome. Sia pure con qualche effetto collaterale da Far West.

Più precisamente, per attenerci al Bubbone, troverebbero che sono successe tre cose. La prima: un pezzo di Stato, con i Servizi in testa, ma con intrecci nei corpi di polizia, si è autonomizzato dal potere politico. Con tutte le necessarie attenzioni tattiche, per non entrare in rotta di collisione con i poteri costituiti; offrendo loro anche lealtà, ma in una logica da repubblica separata. La seconda: un altro pezzo di Stato, in parte sovrapposto al precedente, è diventato un corpo feudale al servizio del Signore, al quale si è legato in un rapporto di dipendenza personale, a volte con punte di comicità irresistibile (le lettere di Pio Pompa a Berlusconi), ma sempre incidendo sulle carni della democrazia. La terza: in questo disfacimento si sono costituiti, a partire dalla Sicurezza Telecom, centri di potere privati dediti all'usurpazione delle funzioni più delicate ed esclusive dello Stato (il controllo della privacy), a loro volta intrecciati sia con i pezzi autonomi sia con i pezzi asserviti dello Stato. Bene, è questo sistema criminogeno il Bubbone da estirpare. Le indagini sul caso Abu Omar - qualsiasi cosa si pensi sulle decisioni del governo sulla nota domanda di estradizione verso gli agenti Cia - avevano già iniziato a scoperchiare questo pozzo maleodorante. Così come la vicenda Telecom-Tavaroli. Ora sono davvero molti i punti da cui si può convergere verso la consapevolezza che il sistema che abbiamo descritto non esprime una «semplice» sensazione o intuizione (che difficilmente autorizzano in una democrazia garantista soluzioni radicali). Ma è il frutto di una montagna concordante di dati.

Ora il Bubbone va reciso. Anche per evitare - vogliamo dire la verità? - quel che già avviene: e cioè che si diffonda in alcuni strati dell'elettorato l'idea che non si «possa» intervenire per via della capacità di ricatto che questo sistema illegale esprimerebbe verso uno o l'altro dei settori della politica o dell'economia più legati alla maggioranza. Le scelte che il governo stesso ha annunciato nei giorni scorsi appaiono smentire questo pregiudizio o timore, che ricadrebbe come un macigno sulla credibilità della politica e anche dei grandi riti della democrazia, quello del voto prima di tutto.

L'Unione non può permettersi silenzi e inerzie. E se è giusta preoccupazione del potere responsabile quella di non comunicare al cittadino una sensazione di instabilità nell'alternarsi delle maggioranze, oggi deve essere ancora più giusta preoccupazione quella di comunicargli che una certa idea del potere e dello Stato non è accettabile. Che tanto meno è accettabile da chi si è battuto in un referendum per difendere la Costituzione repubblicana e il suo spirito. Proprio di fronte agli annunci di rivelazioni sensazionali (ben venga la verità se è tutta la verità e solo la verità), occorre comunicare al cittadino che per i protagonisti di questo sistema in uno Stato democratico non c'è posto. A nessun livello.

(P.S. Una volta in un discorso pubblico Silvio Berlusconi rivendicò tra i suoi meriti anche quello di non avere mai usato i servizi segreti per spiare l'opposizione. Fui colpito da quella rivendicazione. Perché la sola ipotesi di scuola, l'averlo pensato, cioè, come «merito» da esibire agli italiani, mi sembrò stupefacente. Ora si capisce qualcosa di più...).

www.nandodallachiesa.it


Pubblicato il: 09.07.07
Modificato il: 09.07.07 alle ore 6.02   
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 10, 2007, 03:24:20 pm »

Bindi: più responsabilità, il governo rischia davvero

Andrea Carugati


«Non c’è dubbio, la situazione per il governo è difficile. Ma confido nel senso di responsabilità di tutti, comprese le parti sociali, perché è chiaro che il dopo sarebbe molto incerto per le sorti del centrosinistra, e difficile per il Paese. Il voto anticipato sarebbe al buio, per di più con una legge elettorale disgraziata, e un governo istituzionale significherebbe l’immobilità del Paese e l’inizio di un’altra stagione di poca trasparenza, tutta a vantaggio delle tossine dell’antipolitica e dunque del centrodestra e di Berlusconi». Rosy Bindi, ministro della Famiglia, non si nasconde i problemi del centrosinistra. E sulle pensioni dice: «Abbiamo sempre parlato di correzione e non di abolizione dello scalone, la competizione a sinistra tra sindacato e Rifondazione deve finire».

Ministro Bindi, il governo rischia davvero una crisi?
«I problemi sono la prova che non stiamo galleggiando, ma onorando gli impegni presi con gli elettori. La situazione è complicata dall’attuale legge elettorale, che favorisce le rendite di posizione, i veti incrociati. Sono preoccupata ma ho fiducia».

Ritiene che, anche nell’Unione, ci sia troppa fretta nel cercare di archiviare l’esperienza di Prodi? Oppure è il premier responsabile di queste fibrillazioni?
«Prodi ha pregi e limiti, come ognuno di noi. È una persona che non governa con il decisionismo, ma con la pazienza del dialogo e della tessitura. È più uomo di governo che capo politico, ma è evidente che è stato scelto da milioni di cittadini perché era il migliore. In questa fase è la persona più in grado di tenere insieme questa maggioranza e di assumersi per tutti noi l’onere delle cose difficili che il governo deve fare, lasciando in eredità a chi verrà dopo molti impegni onerosi già assolti. Dunque è soprattutto chi è interessato al dopo che dovrebbe adoperarsi perché il governo duri».

Si riferisce ai suoi compagni di partito del Pd?
«A tutti, soprattutto alle nuove generazioni che avranno responsabilità di governo nel futuro. Devono essere grati al governo Prodi per il lavoro che sta facendo, anche sfidando l’impopolarità: per chi verrà dopo sarà un vantaggio».

Non sarà decisionista, ma sulle pensioni Prodi ha annunciato una sua proposta. Su questa vicenda lei che opinione ha?
«È doveroso rispettare gli impegni presi con gli elettori, e cioè correggere lo scalone perché è iniquo: colpisce solo una fascia di età non risolve il problema. Al tavolo del Nuovo Welfare il governo ha messo molto: 2,5 miliardi per i pensionati, gli ammortizzatori sociali, la disoccupazione. Ora è arrivato il tempo di interrogarsi su un sistema previdenziale inadeguato al mercato del lavoro e all’attuale struttura demografica. La priorità è redistribuire in favore dei giovani, delle famiglie con figli e degli anziani non autosufficienti. Per questo dobbiamo avere il coraggio di chiedere alle parti sociali la disponibilità ad allungare l’età lavorativa. Magari con forme di flessibilità in uscita, con incentivi. Per le donne il tema va affrontato in modo più ampio: discutendo di uguaglianza nel mondo del lavoro, del tasso di occupazione femminile, delle opportunità effettive di carriera, di riconoscimento del lavoro di cura, dei congedi parentali e della conciliazione dei tempi».

Ritiene che ci siano categorie di lavoratori che necessitano di particolari tutele?
«Sono sensibile e disponibile nei confronti di alcune categorie di lavoratori. Ci sono condizioni di lavoro anche molto diverse. Pensi che con i medici ho dovuto fare una battaglia per mandarli in pensione prima...E tuttavia, con gradualità ed equità, ciascuno deve fare la propria parte: i sindacati, ma anche la sinistra radicale, che non può insidiare al fianco il sindacato. È giusto che Prodi si sia assunto la responsabilità di una proposta, ma deve essere aiutato. La soluzione dobbiamo trovarla».

Cosa pensa della vicenda Sismi: politici, magistrati e giornalisti spiati, schedati...
«Bisogna guardarci dentro seriamente, senza timori. Non mi impicco agli strumenti, ma non possiamo vivere in questo clima. I servizi segreti sono indispensabili ma non possono essere un contropotere dentro lo Stato. Sono anni che si cerca di fare del male alla nostra parte politica: si cerca di gettare ombre senza fondamento su esponenti del centrosinistra. Ed emergono chiare e nette le responsabilità di qualcun’altro.

Di chi?
«Nella scorsa legislatura erano spiati alcuni magistrati con nomi e cognomi: è una notizia abbastanza inquietante. Dunque si cerchi di capire cosa è successo.».

Partito democratico. Nasce anche per dare stabilità al governo, eppure, almeno in questa prima fase, il risultato tarda ad arrivare...
«Il Pd, che ancora non c’è, ha portato speranza e motivazione. Credo sia giusto che il 14 ottobre il partito nasca da un bagno elettorale, dando la parola ai cittadini: ma dobbiamo farlo veramente, non per finta. Per questo le regole sono un capitolo importante ed è doveroso, ancorché impegnativo, che ci sia una competizione vera tra candidati alla leadership. La fase costituente di fatto l’abbiamo bruciata, ma non abbiamo risolto tutti i problemi».

Da un sondaggio Ipsos emerge che la maggioranza degli elettori del centrosinistra vorrebbe una competizione vera. Anche lei percepisce questo parlando con la gente?
«Assolutamente sì. E credo che farebbe bene soprattutto al vincitore».

Sulle regole lei cosa auspica?
«Preferirei più candidati, meno correnti precostituite e più apertura possibile. Non condivido l’idea di Sposetti di far pagare 10 euro a chi voterà il 14 ottobre: in questa fase è più importante la partecipazione, non dobbiamo scoraggiare le persone. Deve essere non una iscrizione al Pd, ma un’adesione mite, una forma di sottoscrizione. Il finanziamento del partito rimandiamolo ad un altro momento».

Quando scioglierà la sua riserva sulla candidatura? Dopo le decisioni sulle regole di mercoledì?
«È necessario sapere quali sono le regole. E anche capire l’utilità di una candidatura. Non lo faccio per un capriccio personale».

Il sondaggio dice che sarebbe utile...
«Dice anche che ci sarebbe uno spazio per mia candidatura... Ma abbiamo sempre detto che non affidiamo le nostre decisioni ai sondaggi...».


Pubblicato il: 09.07.07
Modificato il: 09.07.07 alle ore 6.03   
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