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Autore Discussione: MONDO DONNA N° 1  (Letto 148675 volte)
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« Risposta #165 inserito:: Giugno 01, 2009, 12:11:46 pm »

India: è donna e "intoccabile" il nuovo presidente della Camera


di Evelina Marchesini

31 maggio 2009


Rivoluzione negli organismi di governo dell'India.

Per la prima volta una donna è stata scelta a presiedere la nuova Camera Bassa che si insedia domani. Meira Kumar, 64 anni, parlamentare del Congresso sarà infatti la "speaker" del Lok Sabha (Assemblea del popolo) che conta 543 deputati.

A volere la sua nomina, che sarà formalizzata nella sessione del 3 giugno, è stata Sonia Gandhi, la leader del Congresso, del partito di maggioranza che ha trionfato nelle elezioni di maggio-aprile. Di estrazione "dalit" (gli "intoccabili"), Kumar è originaria dello Stato settentrionale del Bihar e fa parte di una dinastia politica essendo la figlia di un ex vice primo ministro.

Ha una lunga esperienza come diplomatica (nelle ambasciate in Spagna, Regno Unito e Mauritius) e nel precedente governo come ministro per la giustizia sociale dove si era battuta, in particolare, per la promozione di matrimoni tra caste differenti. Era stata riconfermata venerdì scorso nella nuova compagine governativa di Manmohan Singh come ministro per le risorse idriche, incarico da cui dovrà dimettersi.

Non è la prima volta che Sonia Gandhi affida una delle massime cariche istituzionali a una donna. Nel 2007, un'altra "fedelissima" del Congresso, Pratibha Patil era stata scelta come presidente della Repubblica al posto dello scienziato nucleare mussulmano Abdul Kalam. Secondo Wikipedia, Meira Kumar è nata nel 1945 nel Patna e suo marito, Manjul Kumar, è un avvocato della Suprema corte indiana. La coppia ha tre figli, tutti e tre sposati. Viene definita una sportiva, ha collezionato medaglie nel tiro con il fucile ed è anche una poetessa.

31 maggio 2009
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da ilsole24ore.com
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« Risposta #166 inserito:: Giugno 01, 2009, 11:25:27 pm »

Santanchè: rivelazioni su Veronica sono una mia iniziativa.

Storace: sono disgustato, Daniela come Mata Hari
 
 
ROMA (1° giugno) - «E' giusto che gli italiani sappiano finalmente la verità» ha detto Daniela Santanchè, intervistata da Telelombardia, confermando quanto dichiarato nei giorni scorsi a Libero, e cioè che Veronica Lario ha una relazione con il capo del servizio sicurezza di villa Macherio. «Non ho mai parlato con Silvio Berlusconi di questa vicenda - ha detto Santanchè nell'intervista che andrà in onda martedì - Non mi sono consultata con nessuno, meno che meno con Berlusconi. Ho agito da sola e di mia iniziativa».

Lara Comi (Pdl): sapevo della love story di Veronica. Lara Comi, candidata all'europarlamento con il Pdl, rispondendo ad una domanda sulla presunta love story della signora Lario, ha detto: «Confermo quanto raccontato al quotidiano Libero da Daniela Santanchè. Anch'io, da qualche tempo, sapevo della love story della signora Lario. Ma non voglio parlare di vicende che riguardano la vita privata delle persone. Comunque confermo. In molti sapevano».

La Russa: non commento la Santanchè, sinistra triste. «Per una volta non voglio buttare le croce sulla Santanchè, che è l'ultima sulla lista di coloro che scendono su argomenti extrapolitici, e quindi non commento - dice il ministro della Difesa, Ignazio La Russa - Quello che fa tristezza è che la sinistra è impegnata in questi argomenti. Quello che fa tristezza è che quando ero più giovane facevo politica anche dura contro la sinistra, ma sotto sotto sapevo che, anche con tesi sbagliate, aspirava a una società migliore. Oggi li vedo impegnati in una attività politica in cui i poveri, i diseredati neanche vengono presi in considerazione. Invece è più importante ciò che dice il fidanzato di Noemi. Alla sinistra non è bastata la risposta chiara, precisa e inequivocabile di Berlusconi all'unica domanda lecita: "Hai avuto qualcosa di cui vergognarti con una persona non maggiorenne?", "No". E allora fine, in qualunque Paese civile la questione sarebbe finita, a meno che non ci fossero prove diverse che non ci sono mai state».

Santolini (Udc): Santanchè chieda scusa. «L'onorevole Santanchè - dice Luisa Santolini, deputata dell'Udc - dovrebbe vergognarsi per le presunte rivelazioni che ha fatto su Veronica Lario e chiedere scusa ai tre figli più piccoli del presidente del Consiglio. Questa campagna elettorale è veramente barbara, ma che una donna, per mendicare qualche favore dal potente di turno, si presti ad un'operazione di scacallaggio simile è veramente mortificante per tutte le donne».

Storace: sono disgustato, Santanchè come Mata Hari. «Sono disgustato - dice Francesco Storace, segretario nazionale di "La Destra". E' impensabile leggere pagine e pagine dei giornali sulle vicende private del capo del governo. A tutto questo va aggiunto la storia che ha tirato fuori Daniela Santanchè su un presunto amante di Veronica Lario. La Santanchè voleva fare Evita Peron, ma si trasforma in Mata Hari. Non è bello quello che ha fatto. Ma ti pare che si tirano fuori storie disgustose, veramente disgustose e non si parla di lavoro?». 
 
da ilmessaggero.it
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« Risposta #167 inserito:: Giugno 10, 2009, 03:30:30 pm »

L’esponente Pdl: confronto con le donne di sinistra

Lara Comi: ho preso anche voti dei rossi

Mai stata una velina, che fatica spiegarlo

«La mia campagna con il curriculum. Il sì alla Santanchè sul compagno di Veronica? Ho solo risposto con onestà»
 

La neoeurodeputata riceve i complimenti in corridoio, è appena tornata al lavoro dopo l'elezione, prima di spiccare il volo verso il Parlamento europeo con aspettativa dalla Giochi Preziosi dove lavora come brand manager, in quel di Cogliate, a due passi da Saronno. Passa e si rallegra con lei Leandro Consumi, il geniale inventore dei Gormiti, tormentone italico di tutti i bambini; un collega le stringe la mano e l'aiuta a cercare una saletta per l'intervista: «Vede, è un comunista, ma è mio amico!». Ma non è un po' antico chiamarlo così? «Certo, ma è lui che dice di esserlo!». Per Lara Comi, ventiseienne eletta per il Pdl con 63 mila 158 voti, la soddisfazione più grande è che fra quelle preferenze ce ne siano anche provenienti da sinistra: «Lo so perché dei miei amici mi hanno detto noi ti votiamo perché sei tu».

Il paradosso di Lara è che lei è davvero un'antivelina nell'animo, anche se nella campagna elettorale più strampalata del periodo si è trovata a correre con qualche velina vera. E anche se è molto bellina, per quanto distrattamente inconscia della sua bellezza. Ora che è andata, ammette che forse l'intruppamento è stato un po' fastidioso? «Mah, non mi ha toccato più di tanto, non considerandomi io una velina, non ho mai fatto tv, sono pure stonata... ho la coscienza a posto: semmai mi è pesato dover continuare a spiegare che non lo ero e dover per questo girare con il curriculum in mano». Un curriculum fatto di una laurea con lode in economia e di una precoce vocazione politica (nessun precedente in famiglia): da sette anni milita in Forza Italia dove è stata anche coordinatrice dei giovani. Unico apparente scivolone in una sapiente campagna elettorale condotta in un equilibrato mix di presenza sul web (molto gettonata una sua intervista versione Iene su YouTube) e presenza sul territorio, è stata una frase di appoggio a Daniela Santanchè che aveva esternato sul fidanzato di Veronica Lario.

Pentita, ce ne era proprio bisogno? «Voglio solo precisare che non l'ho detto di mia iniziativa, mi hanno fatto una domanda a Telelombardia, a Iceberg, e io ho risposto con onestà quello che sapevo, che avevo sentito già quella notizia durante la campagna elettorale. Ma che sia vera o falsa non è un problema mio». Archiviate le veline e lo scivolone Lario, quali sono i suoi atout? «La determinazione e la voglia di confronto, anche con le donne della sinistra». Anche con Debora Serracchiani, l'antivelina del Pd? «L'ho conosciuta a La7 per una trasmissione e mi è piaciuta, anche se abbiamo idee opposte. È schietta come me, che se c'è qualcosa che non va, non ho problemi a dirlo». E ce ne vorrà di dialogo, perché di certo per le donne politiche non è bel momento: Caroline Flint, la sottosegretaria di Gordon Brown, si è dimessa accusandolo di usare le donne come vetrina e Pier Ferdinando Casini ha parlato di politiche poco incisive, che non brillano di luce propria.

«Secondo me ha azzeccato la parola, incisiva, ma non il giudizio. Non sarei così pessimista. Sono ancora poche ma ce ne sono». Per esempio? «La Gelmini». La Gelmini non vale, è la sua protettrice: una a sinistra? «La Toia, l'ho conosciuta oggi, mi piace». Espatriamo: fra Angela Merkel e Hillary Clinton? «La Merkel, è incisiva, mentre la Clinton vive di luce riflessa». Più indulgente solo se le si domanda se vede un difetto nel suo premier: con il più schietto dei suoi sorrisi, Lara dice che no, quello proprio non riesce a trovarlo.



Maria Luisa Agnese
10 giugno 2009

da corriere.it
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« Risposta #168 inserito:: Giugno 10, 2009, 03:33:18 pm »

L’esponente democratica che ha «battuto» il premier

Serracchiani: «Il Pd? Pare Star Trek»

«Dobbiamo fare una battaglia all'interno del partito per dargli credibilità. Ora tournée per convincere i delusi»
 

Se la famiglia disfunzionale del centrosinistra si chiamasse Simpson invece che Pd, Debora Serracchiani sarebbe - ovvio - Lisa: «Sì! Lisa Simpson mi piace». E in effetti. Lisa è la ragazzina assertiva, progressista, che suona il sax. I parenti la filano poco, ma alla fine l’unica brava, saggia, presentabile è lei. In un episodio sui Simpson nel futuro è alla Casa Bianca, tra l’altro. L’altro ieri si è saputo che lei (38 anni, avvocata romana a Udine) nel Friuli ha preso più preferenze di Berlusconi; che ha sfondato in tutto il Nordest superando capolista e boss locali. E il web di sinistra ha inneggiato (si è aggrappato?) a lei; da Facebook in giù era tutto un «Debora come Obama».

In fondo anche lei ha sfondato con un discorso, è diventata famosa con il video su YouTube, è amichevole ma determinata. Grazie grazie a tutti, ma «resto con i piedi per terra». Ma anche no. C’è il Parlamento europeo, si prevedono zero vacanze perché praticamente tutte le Feste democratiche (insomma, ex dell’Unità) d’Italia l’hanno invitata e lei teme di aver detto sì a tutti: «Quest’estate me la faccio in tournée». Senza il sax, con molta voglia di dire che il Pd deve fare «opposizione dura»: «Presentando un programma politico vero, parlando di crisi economica, mostrandosi uniti. Con più disciplina e spirito di servizio. Chi ci ha votato lo ha fatto contro Berlusconi e/o perché voleva una vera opposizione. E finora, spesso, li abbiamo delusi». Delusi, come no. Debora S. è diventata una star del web e del voto perché parla chiaro (le migliori battute dell’intervista non sono pubblicabili; ma avrebbero scatenato una standing ovation sia dei fan sia dei critici del Pd).

Parla chiaro, buca il video, sarebbe stato autolesionista non candidarla; e la sua aria da eterna ragazzina con la coda finora ha rassicurato i maggiorenti del Pd. Ma adesso? Riuscirà a trovarsi un ruolo in un partito di notabili in guerra? Non teme le correnti? E i dalemiani? «Dalemiani, veltroniani... ame sembrano nomi da alieni di Star Trek». Dal pop al politico, elabora: «Dobbiamo fare una battaglia all’interno del Pd per dargli credibilità; perché diventi un partito vero. Non due partiti che si sono messi insieme. Secondo me servono meno personalismi e un po’ di cinismo nelle decisioni ». Cinismo? Debora S. cinica? E come. «Cinismo invece di timore, nelle scelte. Durante il dibattito sul testamento biologico, per esempio. Mettere una cattolica teodem come Dorina Bianchi capogruppo alla Sanità al Senato al posto del cattolico progressista Ignazio Marino è stato un errore. La maggior parte dei nostri iscritti e dei nostri elettori non era d’accordo. In questi casi, ben venga il dibattito interno; e poi la maggioranza decide. Le troppe cautele ci hanno fatto del male».

Serracchiani aveva esordito a un’assemblea di delegati Pd e aveva iniziato dicendo «vengo da Udine, la città che ha accolto Eluana Englaro» e su quella storia, tuttora, non molla. Non molla in generale. Tra i suoi fan club su Facebook c’è «Debora Serracchiani contro Godzilla». Per ora in Friuli ha battuto ai voti Berlusca. Ieri era a Ballarò. Per due settimane andrà in giro a sostenere i candidati ai ballottaggi. E poi? «Poi in Europa voglio occuparmi di piccole imprese, che sono la vita del Nordest e dell’Italia. Per il resto mi metto a disposizione del Pd. Per carità, non sto lanciando un’Opa a nessuno». Per carità. Però magari qualcuno nel Pd (magari i dalemiani, guai a parlargli di Opa) comincia a sentirsi Godzilla (o meglio, vari Godzilla, fino al congresso di ottobre tra loro e con Debora S. se ne vedranno delle belle, si prevede).

Maria Laura Rodotà
10 giugno 2009

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« Risposta #169 inserito:: Giugno 10, 2009, 05:32:08 pm »

«Berlusconi? È come la Nasa»

Elisa Alloro ha scritto «Noi, le ragazze di Silvio, ribellandosi alla definizione di “ciarpame”.

Ora rivela l’ebrezza siderale che si prova stando vicini al capo


Alla prima impressione aveva pensato che la posizione fosse giusta, dal punto di vista di una donna: «Era il lancio Ansa della sera del 28 aprile. La mattina dopo, quando ho letto tutta l’intervista di Veronica Lario a Repubblica, ho cambiato idea». L’ha fatta invelenire l’espressione “ciarpame senza pudore” applicata alle candidature femminili del PdL per le europee: e non solo perchè ci poteva essere anche lei, in quelle liste. Elisa Alloro, trentatreenne reggiana, velina, show girl ma anche imprenditrice con una propria società di comunicazione d’impresa rivolta ai nuovi media, pasionaria berlusconiana con una vena di spregiudicatezza, ha allora preso carta e penna sfornando uno degli instant book più instant della storia «Noi, le ragazze di Silvio - Lettera a Veronica di una velina della politica», 100 pagine per Aliberti editore.

«In due giorni. Avevo in programma un viaggio a Gerusalemme, due settimane fa. Sono tornata la domenica notte, ho cominciato a scrivere, di pancia, martedì sera avevo finito. È un inno alle donne. Perchè ridurci a contenitori, a ornamento come fa Veronica? Scindere l’esterno da tutto quello che siamo è tipicamente maschilista. Nel libro parlo molto male della tv commerciale, credo che abbia fatto molti danni alle donne, non solo Mediaset, ovviamente. Ecco, Veronica, mi pare finisca per seguire la stessa logica».

C’era solo un’incertezza.
«La forma epistolare. Era stata la prima scelta. Dopo ci avevo ripensato. Alla fine, anche discutendo con l’editore, sono tornata lì. Ci sono dentro io con tutte le mie sfaccettature per rivolgermi a una grande donna».

Come?
«Regaliamoglielo». Alta, bionda, bella e fumatrice, Elisa, quando lavorava a Mediaset, ha conosciuto Berlusconi per un’intervista, cinque anni fa. Da allora è rimasta nel giro mondano e politico. Scrive che la donna può “concedersi il lusso di non dover necessariamente possedere una coscienza storica, dominio e ossessione della sua controparte maschile”. Si riferisce anche al senso di colpa?
«Io penso piuttosto alla responsabilità, poi, certo, anche i sensi di colpa, che gli uomini hanno molto».

Da questo punto di vista Berlusconi sembra inclinare più al lato femminile.
«Sì, forse sì».

Magari un personaggio politico dovrebbe curare la responsabilità.
«Lui a volte può sbagliare, da questo punto di vista. Ma è anche uno che non nasconde di volersi divertire. E questa è anche una delle ragioni per cui la gente lo ama».

Dalla lista delle candidate alle europee - il “ciarpame” - lei è stata smistata alle amministrative di Reggio.
«Il mio slogan è dialogo, innovazione, sviluppo. Basta col puntare il dito contro gli altri, quel che è fatto è fatto, ora andiamo avanti. Per dire, il ponte di Calatrava è uno splendido segno di identità. Lo dico anche contro il mio partito. C’è chi lo critica perché mancano le corsie di emergenza, io credo sia soprattutto perché l’hanno fatto le cooperative rosse. Reggio è bella anche grazie a chi la governa da tanti anni ».

Eppure certi ricordi reggiani non sono buoni.
«A scuola i compagni mi dicevano: “Stai zitta tu, che sei capitalista”. Io, in realtà, per sopravvivere ero super partes. E poi mio padre fa il neuropsichiatra».

A un certo punto parla dei forzisti “da 40 anni”. Un bel lapsus.
«Mi fa piacere l’abbia colto. È un errore, ma significativo. Voglio riferirmi agli apparati, ai gruppi dirigenti, anche del PdL, che hanno traversato innumerevoli esperienze politiche. Il turn over non sarà breve. Però almeno c’è un tentativo e un’intuito. Di Berlusconi. Coraggioso e da portare ancora a fondo».

Magari verrà inceppato dalla faccenda di Noemi col suo “papi”.
«Uffa, con questa storia. Quel termine l’adoperò la prima volta una velina milanista di sangue brasiliano, Renata. E da allora il vezzeggiativo si è diffuso, è diventato una specie di codice. Io, comunque, non l’adoprerei neanche sotto tortura. E poi i personaggi famosi attirano i nomignoli, le espressioni confidenziali. Ho sentito il candidato sindaco del PdL per Reggio Emilia usare per Berlusconi l’espressione “zio Silvio”».

Si ribella all’aggressione mediatica contro il premier. In una lettera a Veronica non era il caso di spendere una parola anche sul trattamento usato a lei?
«In effetti non ci ho pensato. Ho trovato talmente automatica la botta di Veronica e la risposta di Berlusconi o dei suoi amici... Perchè poi devi anche pensare alle conseguenze delle tue azioni».

Un oggetto metallico le ferma i capelli. Una matita?
«Macchè matita. È una penna d’argento di Tiffany»

Regalo di Berlusconi?
«No, me la dette il mio avvocato anni fa».
Ora va detto che Alloro è assai esuberante. Parla a raffica («L’ho imparato facendo radio. Lì non possono esserci momenti di vuoto che riempi con l’immagine, l’ascoltatore cambia canale») e viene un dubbio: se alle famose (o famigerate) festine di Silvio tutte le invitate sono come lei, dio salvi il premier! «Ma no, da Berlusconi sto parecchio zitta. Per non sbagliare. Mi piace ascoltareanche se, quando si riempie il vaso, parlo e non chiedo il permesso...». C’è una pausa e una risata. «Ma poi parla sempre lui!».

Ha anche scritto che in quel giro capitano “avventurieri”.
«Questa non gli è piaciuta molto».

Gliel’ha detto Silvio?
«No, lo immagino. L’espressione è uscita nell’articolo sul Corriere. Ma poi intendo dire che c’è tanta gente attorno a Berlusconi. Magari sprovveduti, come chi gli dice che la tal barzelletta l’ha già sentita. Ma come si fa!? Le barzellette non sono infinite ma non puoi dirgli che quella è vecchia! In ogni caso non vengano a dirmi che lui si occupa della lista degli invitati»

Ogni tanto, per Silvio, sfiora l’agiografia. “Umano, troppo umano”, “Miniera di saggezza”… Cosa ha imparato da lui?
«Moltissimo. Le dinamiche fra i potenti della terra, per esempio. Cose che normalmente ti paiono lontanissime. Ha presente Sei gradi di separazione? Ecco, se sei ricettivo, ascoltando Berlusconi capisci tante cose dei rapporti umani fra i grandi. Ti pare di cogliere i sismi geopolitica e nella sfera più privata. Come quando visiti la centrale della Nasa: anche se non sei nello spazio avverti una certa ebbrezza. E poi si impara anche dagli errori… Vicino a lui, comunque, ho sempre avuto la sensazione di stare vivendo un privilegio».

Enrico Mannucci
09 giugno 2009(ultima modifica: 10 giugno 2009)

da corriere.it
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« Risposta #170 inserito:: Giugno 11, 2009, 05:39:42 pm »

La moglie di Mousavi, candidato anti-Ahmadinejad

«Lotto con mio marito per i diritti delle donne» Zahra vuole essere la prima first lady iraniana


TEHERAN — La donna che potrebbe diven­tare la prima first lady iraniana dopo Farah Diba ha il volto tirato di una 58enne poco truccata, in campagna elettorale da tre mesi. Gli occhi piccoli, orientali luccicano appena da sotto il chador nero, ma la voce è pronta, agile, come le sue risposte, capaci di dribbla­re i nodi più insidiosi. I fiori rossi del rusarì (il foulard) sono l’unica nota di colore che si concede. In una sfida tra monumenti del regi­me teocratico, come sono queste elezioni pre­sidenziali iraniane, anche quelle roselline de­vono essere state soppesate con cura. Saran­no troppo audaci per i conservatori? Troppo mortificanti per i riformisti? La soluzione è nel moderato conformismo che caratterizza l’offerta elettorale del marito. Eppure Zahra Rahnavard è stata l’unica donna rettore universitario dell’Iran. È scul­trice, saggista, ex consigliere governativa. È passata dalla minigonna al velo quando, ven­tenne, incrociò uno degli ideologi della rivo­luzione, il filosofo Ali Shariati. Oggi è soprat­tutto la moglie dell’ex premier Mir Hossein Mousavi, ma negli anni 70 era lei la più famo­sa tra i due. Mousavi è uscito dopo due decen­ni dalla naftalina per diventare il principale rivale del presidente Ahmadinejad. Ed è lei il suo asso nella manica. Se l’architetto ex pre­mier è riuscito a riaccendere le speranze del popolo riformista orfano del presidente Kha­tami, non è per le sue (evanescenti) promes­se o per un carisma che non c’è, ma piutto­sto per questa moglie straordinaria tanto per quel che pensa l’Occidente di una don­na col chador, quanto a confronto con altre figure pubbliche del­l’universo musulma­no. «Io e Mousavi abbia­mo le stesse idee sui diritti delle donne — mette subito in chiaro —. Altrimenti non sa­remmo andati avanti per 40 anni di matri­monio ». Indipenden­te, provocatoria, un ego decisamente soli­do. Con vanità, raccon­ta alle simpatizzanti di come ha conosciuto il marito. «Si è innamo­rato a prima vista, in una mostra di pittura. Dopo 10 giorni mi ha chiesto di sposarlo».

 
Il candidato alle presidenziali iraniane Hossein Mousavi con la moglie Zahra Rahnavard (Afp)
Dottoressa Rahna­vard, lei ha scioccato l’Iran facendo comizi da sola o mano nella mano con suo marito.
«È stata una novità, è vero. Finora le auto­rità evitavano di portare le mogli nei viaggi ufficiali, mentre credo sia un fatto normale sia dal punto di vista religioso che intellettua­le. All’estero potrebbero capirci meglio e le al­tre coppie iraniane potrebbero avere un esempio di collaborazione e confidenza fami­liare».

Dicono che lei sia la Michelle Obama del­l’Islam.
«Non sono Michelle, mi basta essere me stessa. Di certo ho grande stima di tutte le donne che, nel mondo, riescono ad avere un ruolo attivo nella società».

Di solito, però, nei Paesi islamici alla donna viene chiesto di fare un passo indie­tro.
«Da 30 anni mi occupo della questione femminile e non ho mai sentito tanta atten­zione al tema come ora. In Iran sono donne più della metà dei contadini, un terzo degli operai e il 70 per cento degli universitari. Le donne hanno potenzialità superiori agli uo­mini in molte attività scientifiche e sociali. Ciò di cui noi abbiamo bisogno qui in Iran è un’evoluzione dei diritti civili. Vogliamo eli­minare l’attuale status giuridico che impone alle donne la tutela di un uomo. Le donne de­vono decidere da sole il proprio destino».

In Occidente il velo è il simbolo della sud­ditanza femminile. Lei lo porta.
«L’ho scelto assieme alla fede nel fiore del­la mia gioventù e ne sono orgogliosa. Nel 1975 pubblicai un libro in America dal titolo L’hijab: il messaggio della donna musulma­na. Il rispetto del velo, dicevo, deve derivare dal convincimento, non da un’ordine. Non ho mai cambiato idea: sono contraria alla tra­sformazione dell’hijab in strumento di op­pressione. Credo fermamente alla libertà di scelta».

La legge iraniana però…
«Infatti la mia è solo un’opinione».

Durante il governo Ahmadinejad oltre 120 donne sono state arrestate per le loro opinioni.
«Il Corano dice di 'non spiare la vita priva­ta altrui'. Perché Mousavi dovrebbe temere le donne quando sua moglie è scesa in cam­po? Se verrà eletto farà di tutto per rispettare i diritti, eliminare le discriminazioni, garanti­re processi giusti e rapidi».

Gli ultimi sono stati anni duri per i diritti civili. Pochi mesi fa, ad esempio, il Parla­mento stava per liberalizzare la poligamia.
«Un altro capolavoro del presidente Ahma­dinejad. Ha presentato due disegni di legge per fortuna entrambi bloccati».

Eppure il Corano lo consentirebbe.
«Dovremo affrontare il tema rispettando i precetti religiosi e la dignità della donna libe­ra, musulmana, iraniana».

Possibile?
«Certo».

Secondo i sondaggi, molte iraniane han­no deciso di votare suo marito perché han­no fiducia in lei. Immagina un ruolo per sé al governo in caso di vittoria?
«Penso che potrei dare il mio contributo come consigliere politico. L’ho già fatto du­rante la presidenza Khatami e potrei rifarlo. Però nella prossima amministrazione dovran­no esserci almeno due o tre ministri donna (oggi non ce n’è nessuna, ndr) tante amba­sciatrici e consiglieri. Chi ha talenti deve po­terli esprimere. Maschio o femmina che sia».

In Iran c’è ancora chi pensa, come alle scorse elezioni, che sia meglio non votare per togliere legittimità al regime.
«Agli astensionisti dico non lasciate il pote­re a chi mente, rovina l’economia, umilia il Paese all’estero, offende la Costituzione. Fate sentire la vostra voce».

Lei ha annunciato querela nei confronti del presidente per aver messo in dubbio le sue credenziali accademiche. Perché Ahma­dinejad l’ha attaccata?
«È lui a dover rispondere, a me resta l’ama­rezza di un presidente che ha messo in ridico­lo la sua carica. Deve chiedere scusa al popo­lo iraniano, alla mia famiglia e a me».


11 giugno 2009
da corriere.it
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« Risposta #171 inserito:: Giugno 12, 2009, 07:17:50 pm »

2009-06-12 15:12

GHEDDAFI: NEL MONDO ARABO DONNA E' PEZZO DA MOBILIO


 ROMA - Nel mondo arabo e islamico la donna é "come un pezzo di mobilio che si può cambiare quando vuoi e nessuno chiederà perché lo hai fatto". Lo ha affermato il leader libico Muammar Gheddafi parlando della situazione delle donne nelle varie zone del mondo, nel corso dell'incontro all'auditorium del Parco della Musica. "C'é bisogno di una rivoluzione femminile nel mondo costruita su una rivoluzione culturale", ha aggiunto Gheddafi nel corso dell'incontro con il ministro per le pari opportunità Mara Carfagna e un migliaio di donne rappresentanti del mondo dell'imprenditoria, delle istituzioni e della politica.

La Libia "non favorirà altri paesi a spese dell'Italia" nel settore energetico. Lo ha assicurato il leader libico Mohammar Gheddafi nel suo discorso agli imprenditori in Confindustria. L'Italia, ha sottolineato, "ha un gran bisogno della Libia", per questo finché vigerà l'accordo di amicizia e di collaborazione tra i due paesi, la Libia non fornirà gas e petrolio ad altri "a danno dell'Italia". "Non credo - ha concluso - che l'Italia possa commettere qualcosa che causi un atteggiamento del genere".

Il leader libico avverte le imprese italiane che intendono lavorare in Libia: il popolo libico, dice "ha fatto la rivoluzione contro il colonialismo, ma anche contro la corruzione. Sotto questo aspetto siamo molto sensibili". Quindi, "io vi ho avvertito", le imprese che verranno scoperte "le mandiamo via". Gheddafi ricorda che "ci sono imprese che sbagliano pensando di lavorare guadagnandosi la benevolenza dei libici: ma se lo scopriamo lo mandiamo via" ha detto Gheddafi assicurando che le imprese che vinceranno saranno "solo quelle che soddisfanno il popolo libico". Gheddafi si è come scusato di aver fatto "questa piccola osservazione" parlando del "virus" della corruzione di cui teme la possibilità di diffusione. "Non vorremmo che un giorno una di queste imprese venisse accusata di questo: non dite noi non sapevamo, eravamo all'oscuro. Io vi ho avvertito" ha detto.

"Dicono che se fosse la sinistra a governare - aggiunge Gheddafi - l'Italia la fortuna delle imprese sarebbe minore. Finché è Berlusconi a governare siete fortunati". Le parole del leader libico sono state salutate da un forte applauso.


MARCEGAGLIA, SVOLTA IN RAPPORTI BILATERALI

"Credo proprio di poter dire che siamo in presenza di una svolta nei rapporti bilaterali". Così il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia parla dei rapporti tra Italia e Libia e tra le imprese dei due paesi in occasione della visita del leader Muammar Gheddafi in Confindustria. Il presidente di Confindustria ha sottolineato l'importanza della presenza sia delle imprese italiane in Libia, (da Eni a Enel, da Trevi a Impregilo, da Tecnimont a Finmeccanica, solo per citarne alcune), sia della presenza libica in Italia. "Penso all'ingresso nel capitale Unicredit che ha l'interesse a investire ad altre imprese italiane" ha detto Marcegaglia ricordando che "la presenza libica in Italia è importante e fa intravedere un possibile rafforzamento. Marcegaglia che ha anche ricordato alla Libia di costituire per le imprese italiane una zona franca ha quindi parlato dello stato dei rapporti tra i due paesi come una "svolta" portata anche dal "superamento delle condizioni storiche che hanno condizionato il nostro passato".

Ore 16.30: incontro alla Camera con il presidente Gianfranco Fini. Quindi, nella Sala della Lupa, tavola rotonda d'eccezione organizzata dalla Fondazione Italianieuropei con due ex ministri degli Esteri, lo stesso Fini e Massimo D'Alema e l'ex ministro degli Interni Giuseppe Pisanu.
 
da ansa.it
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« Risposta #172 inserito:: Giugno 18, 2009, 10:10:34 am »

La lettera

Il Cavaliere, moderno Catilina e le persecuzioni dei riformatori
 

Caro direttore, salvare Catilina, salvare la Repubblica. Roma, I secolo A. C.: Lucio Sergio Catilina è un patrizio romano, uomo coraggioso e di parola. In breve tempo percorre con inaspettato successo tutta la carriera politica, coltivando idee di giustizia sociale e libertà. Per tre volte tenta di raggiungere la carica di console, massima autorità repubblicana, spinto da un consenso popolare straordinario frutto di posizioni anticonformiste, progetti di riforma e profondo senso della Patria.

Per tre volte i poteri forti del tempo utilizzano tutti i mezzi, leciti ed illeciti, per combatterlo e sconfiggerlo. Nella Roma del 50 a.C. esisteva una norma molto lontana dall'attuale concezione del diritto, che alcune moderne marionette del giustizialismo italico vorrebbero applicare anche alla nostra democrazia: ai cittadini romani anche solo inquisiti veniva impedito l'accesso ad ogni carica pubblica. Ed è sulla base di questa norma che Lucio Sergio Catilina viene per due volte accusato di nefandezze a pochi giorni dalle elezioni, interdetto e poi assolto dopo il voto. Ma a chi vede in Catilina e nel suo partito un pericolo troppo grande per i propri interessi, l'esclusione anche solo temporanea del «rivoluzionario conservatore» non può bastare: occorre distruggerne il consenso per intero. Il compito viene affidato al più famoso e abile avvocato del tempo, Marco Tullio Cicerone, alla sua spregiudicatezza e alla sua straordinaria capacità di falsificare i fatti. Cicerone trasforma Catilina in un hostis, un nemico della Patria, servendosi dei più efficaci strumenti dell'epoca: dalle accuse basate su lettere anonime, ai brogli elettorali, ai discorsi retorici tesi a costruire l'immagine più degenerata del suo avversario, fino alle palesi violazioni della legge romana. Tra le accuse più infamanti, Cicerone imputa a Catilina di aver corrotto una giovane vestale, vergine e consacrata alla dea del focolare.

Ci spostiamo di oltre 2000 anni. Al famoso avvocato pensano di sostituirsi procure politicizzate e redazioni di giornali. Al posto delle orazioni di Cicerone, si ascoltano i teoremi mediatici e giudiziari, si assiste all'uso spesso indecente di foto, video e intercettazioni. La tentazione è sempre la stessa: demonizzare il «rivoluzionario conservatore» di oggi. Gli optimates di ieri che armarono le azioni di Cicerone erano i rappresentanti di una classe senatoriale gelosa custode di privilegi politici ed economici; gli optimates che violentano le regole di oggi sono potentati senza patria, politici mediocri e polverosi intellettuali. Il potere non accetta gli imprevisti e spesso i grandi riformatori, gli uomini in grado di cambiare la storia, si presentano all'appuntamento senza bussare. Questo li rende inaccettabili.

Ma la storia maledice il suo ritorno. Il suo tragico fugge davanti alla farsa in cui si trasforma. E così accade che oggi, per distruggere l'uomo che sta cambiando l'Italia, si è persino disposti a distruggere l'Italia stessa. Minando la fiducia nelle istituzioni che quell'uomo rappresenta, il valore di una democrazia fondata sul consenso popolare, l'immagine di una nazione all'estero e la percezione che il Paese ha di se stesso. Si è disposti a far precipitare la dignità nazionale dentro il buco di una serratura. Un'opera di demolizione che non dovrebbe giovare a nessuno. O forse sì. Quando l'avversario politico viene trasformato per forza in un nemico della patria, quando diviene normale distruggerne il nome, la famiglia, gli amici, i collaboratori, la vita stessa, quando trionfano coloro che accusano per mestiere, con illazioni e teoremi, dietro il velo di un'informazione che è spesso solo fango, allora il diritto scompare, le Repubbliche cadono, le libertà civili si spezzano e i Cesari, quelli veri, arrivano di lì a poco.


Deborah Bergamini
18 giugno 2009
da corriere.it
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« Risposta #173 inserito:: Giugno 29, 2009, 06:25:34 pm »

Quelle donne a Sud di Gomorra

Riti, comportamenti sessuali e regole imposti nelle terre di mafia

 
ESSERE donna in terra criminale è complicatissimo. Regole complesse, riti rigorosi, vincoli inscindibili. Una sintassi inflessibile e spesso eternamente identica regolamenta il comportamento femminile in terra di mafie. È un mantenersi in precario equilibrio tra modernità e tradizione, tra gabbia moralistica e totale spregiudicatezza nell'affrontare questioni di business. Possono dare ordini di morte ma non possono permettersi di avere un amante o di lasciare un uomo. Possono decidere di investire in interi settori di mercato ma non truccarsi quando il loro uomo è in carcere. Durante i processi capita spesso di vedere donne accalcate negli spazi riservati al pubblico, mandano baci o semplici saluti agli imputati dietro le gabbie. Sono le loro mogli, ma spesso sembrano le loro madri. Vestirsi in maniera elegante, curarsi con smalti e trucco mentre tuo marito è rinchiuso, è un modo per dire che lo fai per altri. Tingersi i capelli equivale a una silenziosa confessione di tradimento. La donna esiste solo in relazione all'uomo. Senza, è come un essere inanimato. Un essere a metà. Ecco perché le vedi tutte sfatte e trascurate quando hanno i mariti in cella. È testimonianza di fedeltà. Questo vale per i clan dell'entroterra campano, per certa 'ndrangheta, per alcune famiglie di Cosa Nostra. Quando invece le vedi vestite bene, curate, truccate, allora il loro uomo è vicino, è libero. Comanda. E comandando riflette sulla sua donna il suo potere, lo trasmette attraverso la sua immagine. Eppure le mogli dei boss carcerati, sciatte sino a divenire quasi invisibili, sono spesso quelle che facendone le veci più comandano.

Tutte le storie delle donne in terra criminale si somigliano, sia che abbiano un destino tragico sia che riescano a galleggiare nella normalità. In genere marito e moglie si conoscono da adolescenti e celebrano il loro matrimonio a venti, venticinque anni. Sposare la ragazza conosciuta da piccola è la regola, è condizione fondamentale perché sia vergine. In genere, invece, all'uomo è permesso di poter avere amanti, ma il vincolo dato dalle loro mogli negli ultimi anni è che siano straniere: russe, polacche, rumene, moldave. Tutte donne considerate di secondo livello, incapaci di costruire una famiglia, secondo loro, di educare i figli come si deve. Mentre farsi un'amante italiana o peggio del proprio paese sarebbe destabilizzante, e un comportamento da punire. Attraverso la sessualità passa molta parte della formazione di un uomo e di una donna in terra di mafia. "Mai sotto una femmina" è l'imperativo con cui si viene educati.

Se mentre fai l'amore, decidi di stare sotto, stai scegliendo pure di sottometterti nella vita di tutti i giorni. Farlo per puro piacere ti condannerà, nella loro logica, a sottometterti. "Mai sesso orale". Riceverlo è lecito, praticarlo a una donna è da "cani". "Non devi diventare cane di nessuno". Vecchio codice a cui si attiene ancora molta parte delle nuove generazioni di affiliati. E regole anche più rigide valgono pure al di fuori dell'Italia. La Yardie, la potente mafia giamaicana egemone in molti quartieri londinesi e newyorkesi, oltre che a Kingston, ne è un esempio. Vietato praticare sesso orale e riceverlo, vietato sfiorare l'ano delle donne e avere rapporti anali. Tutto questo è considerato sporco, omosessuale (i gay sono condannati a morte nella cultura mafiosa giamaicana), mentre il sesso dev'essere una pratica forte, maschile e soprattutto ordinata. Senza baci. La lingua serve per bere, un vero uomo non la usa se non a quello scopo.
Gli affiliati delle cosche sono ossessionati non solo dalla loro virilità, ma da come poterla esercitare: farlo secondo la rigida applicazione di quegli imperativi categorici, diviene un rito con cui si riconfermano il loro potere. Valgono, quelle norme chiare e inderogabili, in pressoché tutti i paesi di 'ndrangheta, camorra, mafia e Sacra Corona Unita. E sono, a ben vedere, qualcosa in più del semplice specchio di una cultura maschilista. Nulla come quel codice sessuale dice forse come in terra di criminalità non possa esistere ambito che si sottragga alle logiche ferree di appartenenza, gerarchia, potere, controllo territoriale. Potere sulla vita e sulla morte, di cui la morte subita o data è posta a fondamento. E chi crede di poter esserne libero, si sbaglia. Il controllo della sessualità è fondamentale. Anche corteggiare diventa marcare il territorio. Avvicinarsi a una donna significa rischiare un'invasione territoriale.

Nel 1994 Antonio Magliulo di Casal di Principe tentò di corteggiare una ragazza imparentata con un uomo dei casalesi e promessa in matrimonio a un altro affiliato. Magliulo le faceva molti regali, e intuendo forse che la ragazza non era felicissima di sposare il suo fidanzato, insisteva. Era invaghito di questa ragazza assai più giovane di lui e la corteggiava come dalle sue parti è abituale. Baci Perugina a San Valentino, un collo di pelliccia di volpe a Natale, "postegge" ossia attese fuori dal luogo di lavoro nei giorni normali. Un giorno in piena estate un gruppo di affiliati del clan di Schiavone lo convocò per un chiarimento al lido La Scogliera di Castelvolturno. Non gli diedero neanche il tempo di parlare. Maurizio Lavoro, Giuseppe Cecoro e Guido Emilio gli tirarono una botta in testa con una mazzola chiodata, lo legarono e iniziarono a ficcargli la sabbia in bocca e nel naso. Più inghiottiva per respirare più loro lo ingozzavano. Rimase strozzato da una pasta di sabbia e saliva che gli si è cementificata in gola. Fu condannato a morte perché corteggiava una donna più giovane, col sangue di un importante affiliato, già promessa in moglie.

Corteggiare, chiedere anche solo un appuntamento, passare una notte insieme è impegno, rischio, responsabilità. Valentino Galati aveva diciannove anni quando è sparito il 26 dicembre 2006 a Filadelfia, che non è la città fondata dai quaccheri americani, ma un paese in provincia di Vibo Valentia, fondato da massoni. Valentino era un ragazzo vicino alla ndrina egemone. Aveva sangue ndranghetista e quindi divenne ndranghetista, lavorava per il boss Rocco Anello. Quando questi finisce in galera per aver organizzato un sistema di estorsioni capillare (per una piccola tratta ferroviaria ogni impresa che vi partecipava doveva pagargli 50 mila euro a chilometro), sua moglie Angela ha sempre più bisogno di una mano da parte della ndrina per andare avanti. Spesa, pulizia della casa, accompagnare i bambini a scuola. A Valentino capita di essere uno dei prescelti. Così lentamente, quasi naturalmente, nasce una relazione con Angela Bartucca. Punirlo è indispensabile e quando non lo si vede più girare per il paese, nessuno si stupisce.

Condannato a morte perché è stato con la moglie del boss. Solo sua madre Anna non vuole crederci. Suo figlio amante della moglie di un boss? Per lei è impossibile: è divenuto da poco maggiorenne, è troppo piccolo. Ammette che Angela veniva anche in casa a prendere il caffè, e da quando suo figlio è sparito, non si è fatta più vedere. Ma per la madre di Valentino questo non dimostra nulla. "Mio figlio non c'entra niente con questa storia". Insiste a credere vi siano altri motivi, ma per la magistratura antimafia non è così. Per lungo tempo Anna ha dormito sul divano perché lì c'era il telefono ed ha aspettato una chiamata di suo figlio, terrorizzata che in camera da letto potesse non sentire il suono "dell'apparecchio", come a sud lo chiamano. Così, alla fine, la madre di Valentino si chiude nel silenzio di un dolore che rispetta il silenzio dell'omertà, continuando a negare contro ogni evidenza.

La stessa sorte era già capitata a Santo Panzarella di Lamezia Terme, ammazzato nel luglio del 2002. Santo si era innamorato di Angela Bartucca quattro anni prima. Sempre lei. Gli hanno sparato contro un caricatore, convinti di averlo ucciso lo hanno messo nel portabagagli. Ma Santo Panzarella non era morto. Scalciava nel portabagagli. Così gli hanno spezzato gli arti inferiori per non farlo continuare a intralciare con i calci il suo ultimo viaggio; infine gli hanno sparato in testa. Di lui è stata ritrovata solo una clavicola, che ha però permesso di far partire le indagini. Anche lui condannato a morte per aver sfiorato la donna sbagliata. Valentino quindi forse sapeva di rischiare la pelle, ma ha continuato lo stesso ad avere una relazione con quella donna proibita.

Ci si immagina Angela Bartucca come una sorta di donna fatale, una mantide come i giornali l'hanno spesso chiamata, capace con la propria seduzione di far superare persino la paura della morte. Una donna che amava e amando condannava a morte. Ma in realtà a vederla non sembra essere così come vuole la leggenda. Dalle foto si vede il viso di una ragazzina, carina, la cui colpa principale era la voglia di vivere. Un marito in carcere per le donne di mafia significa astinenza totale. Di affetti e di passione. Solo i boss maturi, se sono sposati con donne più giovani e sono condannati a pene pesantissime, permettono che le mogli possano avere qualche marito sostitutivo. Quasi sempre si preferisce il prete del paese quando disponibile o un fratello, un cugino, un parente comunque. Mai un affiliato non del sangue del boss, che godendo del rapporto con la donna potrebbe assumerne in qualche modo di riflesso il carisma e sostituirlo.

Molte donne vestono di nero, anche quelle giovani, e quasi perennemente. Lutto per un marito ucciso. Lutto per un figlio. Lutto perché è stato ucciso un fratello, un nipote, un vicino di casa. Lutto perché è stato ammazzato il marito di una collega di lavoro, lutto perché è stato assassinato il figlio di un lontano parente. E così c'è sempre un motivo per tenere il vestito nero. E sotto il vestito nero si porta sempre un panno rosso. Le anziane signore indossavano una maglietta rossa, per ricordare il sangue da vendicare, le giovani donne indossano un intimo rosso. Un ricordo perenne del sangue che il dolore non fa dimenticare, anzi il nero accende ancora più il colore terribilmente intimo della vendetta.

Rimanere vedove in terra criminale significa perdere quasi totalmente l'identità di donna e ricoprire soltanto quella di madre. Se resti vedova puoi risposarti solo con il consenso dei figli maschi. Solo se ti risposi con un uomo dello stesso grado del padre (o superiore) all'interno delle gerarchie mafiose. Ma soprattutto solo dopo sette anni di astinenza sessuale e osservazione rigida del lutto. Perché gli anni della vedovanza dovevano corrispondere al tempo che secondo le credenze contadine un'anima ci metteva per raggiungere l'aldilà. Così si aspettava che l'anima arrivasse nell'altro mondo, perché se ancora stava in questo avrebbe potuto vedere la moglie "tradire" con un altro. Antonio Bardellino, boss carismatico di San Cipriano d'Aversa, tendeva a liberare le vedove da queste regole medievali e da questo perenne dolore imposto. In paese molti ricordano che fino a quando comandò, don Antonio diceva: "Si mettono sette anni per raggiungere il paradiso, noi andiamo da un'altra parte. E quella parte si raggiunge presto, int' a nà nuttata".

Ma quando fu fatto fuori Bardellino arrivò l'egemonia degli Schiavone, e tornarono le vecchie regole sessuali. Nell'agosto del 1993 Paola Stroffolino fu scoperta con un amante. Lei moglie di un boss molto importante, Alberto Beneduce, tra i primi ad importare cocaina e eroina direttamente sulle coste del Casertano. Dopo che Beneduce fu ucciso, lei non rispettò i sette anni di vedovanza e intraprese una relazione con Luigi Griffo. Il clan decise che un atteggiamento del genere era irriguardoso nei confronti del vecchio boss. E così per eseguire la punizione scelsero un suo caro amico, Dario De Simone. Invitò la coppia in una masseria di Villa Literno con la scusa di volergli far assaggiare le prime mozzarelle dell'estate. Un solo colpo alla testa per l'uomo e uno per la donna. Non di più per due infami che avevano insultato la memoria e l'onore del morto. Poi, aiutato da Vincenzo Zagaria e Sebastiano Panaro, l'uomo che aveva mostrato la sua lealtà uccidendo scaraventò i corpi in fondo ad un pozzo molto profondo a Giugliano.

Sandokan, cioè Francesco Schiavone, e suo fratello furono accusati come mandanti. La vedova di un boss è intoccabile, ma se si sporca con un altro uomo, perde lo status di inviolabilità. I pentiti che cercavano di superare l'incredulità dei giudici, diedero una risposta che è anche una sintesi eccezionale: "Dottò, ma scopare qui è peggio che uccidere. Meglio se uccidi la moglie di un capo. Forse puoi essere perdonato, ma se ci scopi sei morto sicuro". Amare, decidere di fare l'amore, baciare, regalare qualcosa, fare un sorriso, sfiorare una mano, provare a sedurre una donna, esserne sedotto può essere un gesto fatale. Il più pericoloso. L'ultimo. Dove tutto è legge terribile, i sentimenti e le passioni che non conoscono regole condannano a morte.

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da roberto saviano.it
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« Risposta #174 inserito:: Luglio 05, 2009, 10:59:03 am »

5/7/2009 (1:28)

Aiutare le madri per salvare il futuro dei figli
 
NAOMI CAMPBELL


Milioni di donne muoiono senza un perché nel mondo. Nei Paesi in via di sviluppo muore di parto una donna ogni minuto e quasi sempre con lei muore il bambino.

In questi luoghi le donne sono spesso il sostegno economico e il capo della famiglia. La morte di una madre colpisce non solo i suoi figli ma tutti i suoi familiari, la loro sopravvivenza e il loro futuro.

Ci sono soluzioni e sono a portata di mano. Ma dobbiamo agire immediatamente. La White Ribbon Alliance è una rete che sul terreno lotta contro la morte di parto in tutto il mondo. Così potremo contribuire a salvare mezzo milione di vite di giovani donne ogni anno. È importante per il futuro di tutti; le famiglie sane sono vitali per la pace, la stabilità e la prosperità globali.

E’ uno scandalo che non ha avuto risonanza, ma tra gli Obiettivi del millennio concordati dalla comunità internazionale, la riduzione della mortalità materna è rimasta molto indietro. Non ci sono progressi da vent’anni. E tuttavia, io, come tanti altri, prima di scoprirlo e appassionarmi, non avevo nemmeno idea dell’esistenza del problema.

Com’è triste e inutile la morte di mezzo milione di donne ogni anno per cause, come emorragia e ipertensione, che possiamo contribuire a prevenire. E per ogni morte ci sono almeno altre 30 donne che riportano danni terribili che le lasciano nel dolore e spesso, ripudiate dai mariti. La disponibilità di operatori sanitari preparati è cruciale. Professionisti che sanno come salvare la vita di una donna quando qualcosa va storto - il bambino non esce o la puerpera sanguina o ha la pressione troppo alta.

Abbiamo le conoscenze e le medicine per farlo ma non abbiamo ancora destinato le risorse ai Paesi che ne hanno più bisogno.

Quando le madri sopravvivono vigilano affinché le loro figlie vadano a scuola, rompendo così il circolo vizioso dei matrimoni precoci, causa di tante morti per parto. Quando le madri sopravvivono donano amore e cura, portano cibo in tavola, procurano acqua pulita, fanno vaccinare i figli, lavorano i campi.

Se curiamo una madre affetta da Hiv e impediamo che passi l’infezione ai figli potrà prendersi cura della sua famiglia. Se aiutiamo una madre a sopravvivere potrà impedire che i suoi bambini vengano colpiti dalla malaria.

Questa settimana il G8 ha un’opportunità storica di porre fine a un vecchio scandalo e aprire un nuovo capitolo. Spero davvero che facciano la cosa giusta e offrano le risorse e la leadership necessarie a salvare milioni di vite.

Deve diventare una priorità per i governi di tutto il mondo.

da lastampa.it
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« Risposta #175 inserito:: Luglio 06, 2009, 09:38:56 am »

6/7/2009
 
La laurea è una cosa per donne
 
 
RICHARD NEWBURY
 
I ragazzi a scuola non vanno bene come le ragazze. Si sa. Quello che non si sa è che questo andazzo continua anche all’università». Lo scrive Bahram Bekhradnia, direttore dell’Higher Education Policy Institute di Oxford, che ha appena pubblicato un rapporto basato sui test di rendimento. «Qualcuno», osserva, «pensa che sia un fatto irrilevante. A una recente conferenza sull’impatto del femminismo sull’istruzione superiore, un accademico ha detto che gli scarsi risultati dei ragazzi “sono visti come una minaccia alla mascolinità. Sono un panico morale”».

Io», dice Bekhradnia, «non sono d’accordo. Non serve liquidare la preoccupazione come “panico morale”. Dobbiamo adeguarci alla nuova realtà. Se non lo faremo, ci saranno serie conseguenze per tutti coloro che sono coinvolti e per l’intera società».

In Gran Bretagna le donne hanno quasi raggiunto, con il 49,2%, l’obiettivo fissato dal governo del 50% di istruzione superiore, mentre i ragazzi languiscono al 37%. E tutte le statistiche mostrano come questo sia un fenomeno mondiale, con Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti grosso modo allo stesso livello, mentre in Scandinavia, nei Paesi Baltici e nell’Australasia la quota femminile è ancora più alta. E questo indipendentemente dalla classe sociale, dalla razza e dal numero chiuso.

La spiegazione - a parte il diverso modello di sviluppo fisico tra i sessi (alla pubertà le ragazze sono due anni avanti ai maschi) - sta nel cambiamento dei criteri di valutazione nella scuola secondaria (test GCSE), dove la maggior parte degli insegnanti sono donne. Trent’anni fa sono stati introdotti metodi di insegnamento e di esame con l’intenzione esplicita di discriminare positivamente le ragazze. Così è stato, ma a spese di un’intera generazione di maschi svantaggiati ed espropriati, con pesanti conseguenze sociali e educative. Risultati modesti al liceo portano a minori possibilità di ottenere un posto all’università, dove peraltro le nuove modalità di valutazione - verifiche continue anziché un impietoso esame finale - hanno di nuovo favorito le donne sugli uomini - così com’era il proposito.

Un esempio di quanto è successo è l’indagine internazionale PISA (Programme for International Pupil Assessment Exam) sui quindicenni: in Inghilterra i maschi erano più bravi delle compagne nelle materie scientifiche con un margine più alto che in ogni altro Paese, e facevano almeno bene come loro in matematica; eppure, quando gli stessi studenti facevano gli stessi test secondo il metodo GCSE, le ragazze li sorpassavano sui medesimi argomenti. Gli alti voti dei maschi nei PISA erano nei test di «spiegazione scientifica dei fenomeni», il modo più tradizionale di studiare ed essere valutati nelle materie scientifiche.
Nuove recenti scoperte sulla fisiologia del cervello e sulla genetica aiutano a spiegare le ragioni di tutto questo e a trovare una soluzione. Il professor Simon Baron Cohen, capo del Dipartimento di Fisiopatologia dell’Università di Cambridge e direttore del Centro di ricerca sull’autismo, indagando sul perché la maggior parte dei suoi pazienti fossero maschi, ha appurato che l’autismo era una forma estrema del cervello «maschile». E ha fatto una scoperta rivoluzionaria: il cervello femminile è cablato in modo dominante per l’empatia, quello maschile per la comprensione e la costruzione di sistemi. Il cervello maschile si forma nell’utero a tre mesi, quando una immissione di testosterone elimina alcuni - o nel caso dell’autismo - tutti i sentimenti di empatia. Dunque i maschi saranno per lo più sistemici e le femmine empatiche. L’autismo ha un’intenzione genetica: ci ha dato Leonardo, Newton, Einstein, Bill Gates.

Insegnare alla maggior parte dei ragazzi a identificarsi negli altri piuttosto che a sistematizzare è chiedere loro di usare una parte del cervello nella quale - per ragioni evolutive, biologiche e culturali - sono (grazie a Dio) insufficienti. Gli uomini hanno la fobia delle emozioni, ma adorano le macchine e i film di guerra. Insegnare alla maggior parte delle ragazze a leggere una mappa è un compito ingrato, ma non lo è chiedere loro di mappare la complessità dei rapporti in un romanzo di Jane Austen. Gli uomini vogliono essere rispettati dal sistema sociale intorno a loro; le donne vogliono essere ascoltate.
Questo maschio sistematizzante nota ciò che anche le femministe hanno notato, e cioè che gli uomini lasciano alle donne un settore quando l’offerta è superiore alla domanda. Il numero di maggio della rivista americana Chronicle of Higher Education pronosticava che, dopo la bolla Internet e quella immobiliare, la prossima che scoppierà potrebbe essere l’istruzione superiore. Le grandi università di ricerca negli Stati Uniti e nel mondo sopravviveranno, ma l’analisi costi/benefici comincia a far sembrare una laurea cosa sorpassata in un mondo digitale dove l’informazione - e i corsi di laurea - sono in rete. Dopotutto Bill Gates si ritirò da Harvard.

Gli uomini vogliono diffondere i loro geni e le donne vogliono qualcuno che protegga i loro figli. Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding (che si rifà a Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen) descrive una donna manager di 33 anni, occupata nel mondo dei media, dove già il 70% dei manager sono donne laureate. Statisticamente un uomo sposa una donna che ha la metà dei suoi anni più nove. Come farà Bridget a trovare un uomo di 48 anni che non sia gay, non sia già sposato o divorziato con figli e pesanti alimenti da pagare? In altre parole, dove troverà il Mr Darcy di Jane Austen, quel marito ideale più alto, più vecchio, più intelligente e più ricco di lei?
Questa è la conseguenza non intenzionale dell’istruzione femminile e la forza di mercato che ri-equilibrerà i sistemi scolastici del mondo.

da lastampa.it
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« Risposta #176 inserito:: Luglio 06, 2009, 02:40:31 pm »

«Ma adesso, per il protocollo, non c’è niente di definito»

L’attesa di Clio Napolitano : «Voglio sapere tutto da Michelle»

La moglie del capo dello Stato: «Negli Usa la first lady conta, in Italia è solo la moglie»


ROMA - Signora Clio Napolitano, che effetto le fanno certi annunci in pom­pa magna di una sorta di G8 delle «first ladies» al Quirinale? Come vanno i prepa­rativi per il suo incontro con le mogli dei leader presenti al summit?

«A parte certe anticipazioni piuttosto fantasiose che ho letto qua e là, il problema è questo: ancora adesso, per il protocollo, non c’è niente di definito. Questa tappa al Quirinale per un tè è prevista, ma per il mo­mento non esiste una lista completa delle mie ospiti. E manca anche un elenco detta­gliato delle delegazioni che potrebbero ac­compagnarle. Quanto ai preparativi, penso a una cosa semplice, un rinfresco. Nulla di solenne, per carità».

Mercoledì lei, che non ha l'abitudine di prendersi la scena, dovrà rappresenta­re l’Italia delle donne. Ed esporsi a flash e telecamere a costo di superare la sua natura schiva, allergica a cerimoniali e riverenze.

«Ripeto, sarà un incontro un po’ infor­male e su binari in un certo senso lievi. Aperto a eventuali imprevisti dell’ulti­ma ora. La presenza della moglie del pre­mier inglese Brown, ad esempio, è parsa in dubbio fino a qual­che giorno fa senza che questo creasse al­cun problema. Per spiegarmi: mi hanno chiesto se possono aggregarsi a visitare il palazzo due ragazze di 12 e 14 anni di non so quale seguito, e ovviamente ho detto di sì. Non so poi se quel pomeriggio verrà an­che, come pare, la mamma della signora Obama, insieme alla stessa Michelle con le due figlie. So solo che durante la mattinata, quando ci sarà l’incontro tra mio marito e il presidente americano, la moglie avrà un colloquio a parte con me».

E’ curiosa di conoscere questa cop­pia? Interrogherà Michelle per capire in che direzione andranno l’America e il mondo?

«Se è per questo le ho anche scritto, qual­che tempo fa. Comunque, diciamo la veri­tà: la curiosità c'è, e pure un po’ di emozio­ne. Per cui, certo: mi fa piacere l'idea di averla di fronte e di parlarle in modo sem­plice e diretto, senza i vincoli imposti dall' ufficialità. Per comprendere meglio i pro­getti di suo marito, che hanno acceso tante speranze, ma anche i progetti suoi. Perché, lo sappiamo, in America è proprio così: c'è una coppia alla Casa Bianca. In questo caso una coppia davvero innovativa».

L'incontro con le consorti dei leader potrebbe essere un’occasione per affron­tare qualche tema «non leggero» di que­sta stagione?

«Non sono cose che si possono pianifi­care in anticipo. Tuttavia spero sul serio che, tra gli spunti di conversazione, possa­no trovare spazio questioni di carattere, diciamo così, sociologico. E magari politi­co, anche se quest’ultima ipotesi mi pare meno probabile».

Ha accennato al ruolo pubblico della first lady americana...

«Un ruolo ben determinato e importan­te, che credo abbia analogie con i compiti attribuiti in Francia alla première dame».

In Italia l’unico capo dello Stato che tentò di far assegnare alla moglie (anzi all'intera famiglia) un ruolo di rilievo costituzionale fu Leone. Ma dovette ri­nunciare.

«Da noi non esiste neanche un termine per definire le mogli dei presidenti. Nei pro­tocolli di pranzi e visite c’è sempre scritto: "Il presidente della Repubblica con la signo­ra Napolitano". Qui, per fortuna o ahimè, le cose vanno così».

Per fortuna o ahimè?

«Non mi voglio pronunciare».


Marzio Breda
06 luglio 2009
da corriere.it
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« Risposta #177 inserito:: Luglio 08, 2009, 12:53:31 pm »

Le first lady

Michelle sta in gruppo, Carla da sola

Agenda fitta tra L'Aquila e Roma: dai musei alle cene (poco tempo per lo shopping)
 
 
ROMA — A L'Aquila presidenti e premier se la vedranno con i timori per le scosse di terremoto, nella capitale andranno in scena le vacanze romane delle first lady. Protagonista: Michelle Obama, nella sua prima volta in Italia, ospite insieme alle figlie a Villa Taverna. Sarà lei oggi il personaggio del giorno nell'intenso (e rigorosamente separato) programma delle mogli del G8/14/20. Hanno dato forfait gli altri due co-protagonisti: il signor Merkel, Joachim Sauer, non cambia abitudini e non segue la moglie a Roma, sarebbe stato l'unico first husband della compagnia.

Carla Bruni Sarkozy invece si è organizzata un programma a parte. Niente visite romane, solo una puntata a L'Aquila in controtempo rispetto alle altre dame: loro ci vanno giovedì mattina e ripartono dopo pranzo, lei atterra giovedì sera e venerdì avrà tutta la mattinata per visitare da sola una tendopoli, l'Ospedale San Salvatore e la Chiesa di Santa Maria del Suffragio, il monumento scelto dalla Francia per contribuire alla ricostruzione, stimata in 6,5 milioni di euro. Un programma polemico, quello della first lady francese? All'Eliseo non commentano, anche se è nota la sua scarsa simpatia per Berlusconi così come la sua attitudine a tenere la scena tutta per sé. Non parteciperà alla tre giorni romana neppure Svetlana Medvedeva che, confermano fonti russe, non accompagna il marito in questa trasferta. Difficile dire quanto abbia inciso sulle scelte del protocollo delle varie ambasciate l'assenza della first lady italiana e il fatto che il programma delle mogli è del tutto slegato da quello dei mariti (non si incontreranno neppure a pranzo e cena).

Ma a Roma stamattina, ad accogliere le mogli ci saranno ben due ministre, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini che le accompagneranno prima in Vaticano da Benedetto XVI (salta la visita Michelle, che ci andrà venerdì con il marito e le figlie) poi da Isabella Rauti alla terrazza Caffarelli (si esibiscono per loro prima Gianni Alemanno in un saluto e poi Heinz Beck in un pranzo leggero) e ai Musei Capitolini: oltre a Michelle, ci saranno Sarah Brown, unica first lady che insieme all'indiana Gursharran Kaur andrà a dormire nella caserma di Coppito, la giapponese Chikako Aso, la messicana Margarita Zavale, la svedese Giulia Reinfeldt e Siza Kele Khumalo, prima delle cinque mogli del poligamo presidente sudafricano Zuma, la cinese Liu Yongqing e la canadese Laureen Harper. Alle 18 appuntamento al Quirinale dove l'unica first lady italiana Clio Napolitano offrirà un tè alle sue colleghe. Serata libera, per girovagare per Roma (sono in allerta i ristoratori di Trastevere e del centro). Giovedì le mogli si trasferiranno a L'Aquila per una visita alla zona terremotata e un pranzo a Coppito. Venerdì invece saranno protagoniste di un seminario del World food programme sul ruolo delle donne nel combattere la fame nel mondo. Nei ritagli di tempo sarà difficile vederle indaffarate nello shopping: il momento non lo permette e il clima neanche.

Gianna Fregonara
08 luglio 2009

da corriere.it
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« Risposta #178 inserito:: Agosto 13, 2009, 03:43:08 pm »

11/08/2009 19:40

Indovina dove sono


Dove sono i cittadini in Italia? Dove sono le donne? Si chiede Nadia Urbinati - docente di Teoria Politica alla Columbia University - riecheggiando una domanda che ormai da mesi ci sentiamo fare, noi che lavoriamo nei giornali, dai colleghi stranieri che arrivano con gli occhi tondi di stupore e il registratore in mano, che vengono con le loro domande semplici e taglienti. Dove siete, chiedono. Dove siamo? Qualche intellettuale di tanto in tanto parla, voce isolata che fa eco nel vuoto. Una lettera, a volte, un messaggio. Una bozza di documento che gira di mail in mail alla ricerca delle parole per dirlo e non le trova. La promessa di una mobilitazione, forse, a settembre, vedremo.
Dice Urbinati: «Dai bagni di palazzo Grazioli le ragazze del tiranno telefonano alle madri contente per dir loro "indovina dove sono", si rallegrano insieme. Le madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro?».

Il tema è questo, cosa sia successo. La docilità, l'apatia, la disillusione con cui ci si è arresi - in sostanza, nei fatti - alla logica del potere e del suo esercizio fin nelle ultime pieghe o nelle prime. Le donne si comprano. Si usano e si cambiano. Si convocano a decine. Le loro madri le offrono. Le loro insegnanti allargano le braccia e dicono - come quella professoressa del liceo di Noemi - chi non vorrebbe avere un amico importante? Ecco, chi? Le donne rallegrano la vita del capo. Sono un delizioso intrattenimento, a volte tradiscono ma nessuno è un santo e gli italiani capiranno. Un militare per ogni bella donna, giacché è ovvio che una bella donna per strada sia naturalmente oggetto di naturali assalti. Un miliardario da sposare per chi ha belle gambe, cosa può desiderare di meglio una ragazza dotata di belle gambe che una carta di credito Gold? Nelle bancarelle dei mercati si vendono le magliette: le donne sono come i mobili dell'Ikea. Si comprano si montano e quando si rompono si cambiano. Gli adolescenti che sognano una Vita Smeralda le indossano insieme all'abbronzatura della lampada, che costa meno di un viaggio e non si suda.

Dove sono le donne, dunque? Dove sono i loro compagni e i loro figli, i loro padri e i fratelli, dove sono gli italiani? A casa, certo. Davanti allo schermo della tv o del computer, sul blog. «Un pubblico che si cela al pubblico», dice Urbinati. Tutto è privato. La politica è potere. Soldi, affari, favori, scambi. Guerre intestine. Rivalità e rancori. Lamento. Le gabbie salariali, le ronde: ecco come si distrugge quel poco che resta della solidarietà tra cittadini, della giustizia. Divide et impera. Gli uni contro gli altri, poveri contro deboli, vecchi contro giovani e tutti a giocare la schedina, poi, che si può sempre aver fortuna. Se non hai belle gambe per sedurre un miliardario accendi la tv, c'è il quiz.
Il regime birmano ha condannato il premio Nobel San Suu Kyi a un anno e mezzo di reclusione, giusto il tempo necessario per tenerla lontana dalla competizione elettorale del 2010. Reclusa in casa. Un'altra icona, un altro simbolo da esibire nelle piazze dove le piazze ci sono. Non qui. Qui è il tempo del silenzio. Il suo, il nostro.

da unita.it
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« Risposta #179 inserito:: Agosto 19, 2009, 12:01:24 pm »

Rompere il silenzio: se le donne ritrovano la voce


Da «Indovina dove sono», la domanda di una ragazza che telefona contenta alla madre dal bagno attiguo alla camera da letto del presidente del Consiglio, è partita la catena: e voi dove siete? Dove sono gli italiani, dove sono le donne?, si chiedeva l’altro ieri Nadia Urbinati, docente di Teoria politica, mentre ci parlava di «democrazia docile e apatica». Le ha risposto Lidia Ravera: «La nostra rivoluzione è stata interrotta. Riportiamo i corpi in piazza, contiamoci per contare».

Di rivoluzione interrotta parla oggi Simona Argentieri, psicoanalista: «I diritti sono ereditati ma non ereditari». Arrivano in dote alle nuove generazioni ma facilmente si possono perdere. Nelle pagine di Forum Paola Concia, deputata, propone di ripartire «dalla forza di quel che si è conquistato in questi anni, come ci hanno mostrato gli operai dell’Innse». Centinaia di lettori e lettrici hanno scritto e partecipato ai blog dell’Unità. Vi proponiamo uno spaccato delle lettere.

Moltissimi di loro mettono in relazione la forza della classe operaia («gli eroi dell’Innse») e la debolezza di chi non riesce ad esprimere la propria rabbia, il proprio dissenso. Ribellarsi fa bene, abbiamo titolato in prima pagina pensando ad entrambi: a chi lo fa e a chi non osa.

Adesso. Perchè le cose cambiano, intanto. Presto sarà tardi. La «recrudescenza stagionale» di violenza e di delitti - donne uccise da uomini - è un segnale che viene dalla cronaca nera, un segnale che naturalmente non parla di follia (follia collettiva? epidemia di follia?) ma di disagio, di incultura, di regresso.

Le pubblicità elettorali che esibiscono tette e culi di titolari anche autorevoli (il seno della cancelliera tedesca, per esempio) sono un segnale che viene dalla politica, dal linguaggio che si usa per farla. L’icona di Berlusconi nell’Erotica Tour che fa impazzire le notti di Ostia (slogan: «Vi aspetto nel lettone di Putin») chiude il dibattito sulla distinzione tra pubblico e privato: quale distinzione? Siamo già allo slang. Il lettone di Putin è in piazza. Ora tocca a noi.

14 agosto 2009
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