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« Risposta #17 inserito:: Febbraio 08, 2010, 10:04:10 am » |
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8/2/2010
Iran e Nord Corea tempo scaduto ALDO RIZZO
Giovedì 11 febbraio, 31° anniversario della «rivoluzione islamica» iraniana, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha in programma di esaminare un giallo internazionale che dura da due mesi e che riguarda, appunto, l’Iran. Con esso, anche la Corea del Nord, cioè i due Stati che, per il loro regime interno e per le ambizioni di potenza nucleare, rappresentano oggi la più grave sfida agli equilibri strategici mondiali. C’è un nesso, una sintonia, un’alleanza di fatto, tra la residuale, storicamente, satrapia comunista di Kim Jong Il e la repubblica religiosa di Ahmadinejad, che contesta il mondo da una diversa, anzi opposta ideologia? Dietro questa domanda, c’è il più grande problema del secolo, la proliferazione degli armamenti nucleari, secondo solo a quello dei cambiamenti del clima planetario. Secondo?
Il giallo in sé è nel fatto che, dall’11 dicembre, all’aeroporto di Bangkok, è trattenuto un aereo di fabbricazione russa, proveniente dalla Corea del Nord e con un carico di armi e di pezzi missilistici, verosimilmente diretto a uno scalo di Teheran, in violazione dell’embargo dell’Onu. Così almeno credono le autorità thailandesi, che hanno trasmesso il loro rapporto al Consiglio di sicurezza. I diretti interessati, ovviamente, negano, mentre l’equipaggio di kazaki e bielorussi si dichiara all’oscuro della natura del carico. Il caso pratico, in qualche modo, sarà risolto, i thailandesi ne sono stanchi. Ma resta il problema degli «aiuti» che la Corea comunista cerca di distribuire da tempo. E, per esempio, un caso analogo si è avuto, la scorsa estate, a Abu Dhabi, con la nave «Australia», anch’essa diretta in Iran. E c’è anche il precedente della consegna clandestina, stavolta di materiale strettamente nucleare, alla Siria, alleata dell’Iran, col successivo intervento, in questo caso, dell’aviazione israeliana.
La Corea del Nord, di suo, è già una potenza atomica. Secondo Graham Allison, grande esperto americano, harvardiano, sul nuovo numero di «Foreign Affairs», essa aveva già pronte due bombe al plutonio nel 2001, ora ne ha dieci e ne sta preparando un’undicesima. Quanto all’Iran, è ancora solo una minaccia, ma sempre più concreta, come dimostra la decisione di ieri di arricchire ulteriormente l’uranio. Le ricorrenti offerte di dialogo sono giustamente interpretate dai più come mosse dilatorie. Fra l’altro, esse si accompagnano a sempre più preoccupanti test missilistici, di una gittata sempre maggiore.
Se Pyongyang e Teheran andranno fino in fondo, la previsione è che, per reazione, altri Paesi, dal Medio all’Estremo Oriente (Arabia Saudita, Egitto, Giappone, Corea del Sud, e non solo), finiranno per volere anch’essi la Bomba, obiettivo tecnicamente complesso in certi casi, facile in altri. La «proliferazione» diventerà incontrollabile, accentuando gravemente, come ha ammonito più volte Kissinger, la probabilità, prima o poi, di nuove Hiroshima. Se a questo si aggiunge la possibilità di un terrorismo atomico, per la fragilità del Pakistan (anch’esso da tempo soggetto nucleare insieme a India e Israele) di fronte alle insidie dei talebani e di Al Qaeda, lo scenario si fa catastrofico. Altro che «riscaldamento globale», che comunque si aggiungerebbe al quadro.
Dunque indurre la Corea del Nord a rinunciare all’armamento già acquisito e l’Iran a fermare realmente, e non solo a parole, la sua corsa, diventa la premessa necessaria per evitare un futuro drammatico al mondo. Resta un piccolo problema: come fare. In generale, i rimedi possibili sono molti, escludendo gli attacchi preventivi, che aggraverebbero la situazione. Maggiori controlli sul nucleare «civile», con più efficaci poteri per l’Onu e la sua specifica Agenzia, sanzioni economiche, con controfferte tecnologiche, politiche di disarmo progressivo delle potenze storiche (Usa e Russia), «declassamento» del prestigio politico di avere la Bomba (un altro grande esperto americano, Charles Ferguson, ancora su «Foreign Affairs»)... Questo ed altro. Ma la condizione preliminare è che la comunità internazionale, o la sua parte più responsabile, e non solo i doganieri di Bangkok, capiscano definitivamente che il tempo sta scadendo.
da lastampa.it
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