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Autore Discussione: D’ALEMA.  (Letto 52636 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Maggio 18, 2009, 04:55:13 pm »

D'Alema: «Questa destra si può battere»

di ro.ard.


La Fiera del libro di Torino è l’occasione per rilanciare il centrosinistra, «che è pienamente in campo e in grado di contrastare il centrodestra». E lo fa lo stesso Massimo D’Alema presentando il suo libro “Il mondo nuovo. Riflessioni sul Pd” (Italianieuropei), presentato da Ferruccio De Bortoli e Carlo Ossola. «Il centrosinistra italiano governa gran parte delle città, delle regioni, delle province italiane. Siamo perfettamente in grado di contendere il terreno a questa destra». La sinistra ha dimostrato, secondo D’Alema, in questi ultimi quindici anni di crisi del Paese di essere presente: «Abbiamo governato il Paese per sette anni - ha detto - Berlusconi per otto: mi pare che siamo in campo». Intervenuto questa mattina, prima di un incontro sulla memoria del Novecento, con Fausto Bertinotti e Giovanni De Luna, e poi alla presentazione del suo libro, D’Alema ha analizzato la storia della sinistra italiana sottolineando come dopo il 1989, data cruciale a livello politico, c'erano tutte le condizioni perché la destra occupasse il campo della politica, «eppure questa sinistra, in pieno sconvolgimento delle sue radici storiche, è riuscita a contendere il campo alla destra con una grande forza democratica».

Per D’Alema questo è un risultato tutt'altro che disprezzabile. Quello che serve alla sinistra oggi, e che non è ancora stato fatto, è «riannodare i fili di tutti quei racconti individuali che risultano frammentati. Serve - ha sottolineato D'Alema - una riflessione sulla storia della sinistra italiana e sulla sua funzione nella storia democratica del Paese». È necessario, per l'esponente del Pd, definire cosa è vivo ancora oggi e cosa deve essere riconsegnato al passato e alla sconfitta storica del comunismo internazionale; ma, ed è questa la cosa importante, «il centrosinistra italiano è una realtà straordinaria che rappresenta metà del Paese. Lo “sconfittismo” serve alla classe dirigente politica per non vedere i propri errori».

17 maggio 2009
da unita.it
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« Risposta #46 inserito:: Maggio 24, 2009, 12:05:59 am »

COME SI GOVERNA L’ARRIVO DEGLI STRANIERI

Una strategia (che funziona) per fermare i clandestini

Immigrati, combattere la clandestinità con gli accordi di riammissione

di GIULIANO AMATO e MASSIMO D’ALEMA


Proviamo a immaginare l’impossibile. L’Italia privata all’improvviso dei cinque milioni di cittadini immigrati residenti nelle nostre regioni, città, borgate. Sarebbe la paralisi. Lo sbandamento di milioni di famiglie dove spesso una tata o una badante fanno andare avanti le cose e la vita. Migliaia di piccole imprese del Nord non aprirebbero i battenti. E l’agricoltura, l’edilizia, mille altre attività entrerebbero in debito d’ossigeno, come succede all’atleta quando non ce la fa più.

Perché questa è l’Italia oggi. Una grande società «aperta», plurale, multietnica. Una comunità qualitativamente diversa da prima, da com’era venti o dieci anni fa. Abbiamo imparato ad accogliere, questa è la verità. E per fortuna. Dopo aver tanto «ceduto» nel passato — si sono calcolati venticinque milioni di partenze, non tutte definitive, dall’unità d’Italia agli anni Settanta del secolo scorso — siamo divenuti terra di riferimento. Di approdo. Di sbarchi e di speranze. Possiamo dolercene a parole, ma nei fatti questa nuova realtà è un patrimonio già oggi essenziale e del quale non potremmo, neanche volendolo, fare a meno. Il problema allora — perché un problema c’è — è dotare lo Stato, la comunità, di un sistema di regole certe, capaci di superare la logica dell’emergenza costante dove la propaganda di parte, o ideologica, maschera l’inefficacia della politica.

L’immigrazione, questo dovrebbe esser chiaro da tempo, non è un malanno passeggero, ma uno dei tanti attori di un mutamento epocale destinato a durare a lungo. Tra poche decine d’anni, un miliardo e mezzo di persone vivranno «altrove». Lontano dal loro Paese.

Allora non solo è legittimo ma doveroso chiederci se basta proteggere il nostro fortino assediato o se non stiamo rinunciando a governare cambiamenti della società destinati a compiersi, spesso in un contesto di conflitti e paure. La sfida vera è fondare un modello di convivenza in grado di reggere l’urto del futuro.

Un modello valido per noi e per chi verrà dopo di noi. Si va invece sulla strada sbagliata se si sceglie — come si è ora scelto in Italia — di gridare all’Europa e al mondo l’intenzione di contrastare l’immigrazione illegale, anche al prezzo di penalizzare quella legale, di rendere più difficili i ricongiungimenti, l’accesso alla cittadinanza, aumentando i costi del soggiorno e paralizzando i flussi di ingresso degli immigrati regolari.

Per combattere la clandestinità si è puntato sulle forze di Polizia, sui militari e sulle ronde, fino al coinvolgimento di presidi e insegnanti, medici, infermieri, ufficiali dell’anagrafe, nell’idea scomposta di una rimozione di tutele e diritti essenziali come leva securitaria per fermare ovunque gli immigrati senza permesso. Tutto questo, si dice, agisce nelle corde dei cittadini che non sopportano più l’invasione disordinata di persone «fuori legge». Può darsi che i sondaggi confortino questa tesi. E tuttavia, attenzione. Perché chi esercita responsabilità pubbliche ha il dovere politico e morale di non parlare soltanto alle emozioni.

Dati alla mano, «il re è nudo», nel senso che esasperando la paura, si produce un nemico ma non si risolve il problema. È un fatto che nell’ultimo anno gli sbarchi sulle nostre coste siano notevolmente aumentati. Né la voce grossa, né la durezza delle misure hanno impedito gli arrivi via mare: 36.951 nel 2008 rispetto ai 20.455 del 2007 e ai 22.016 del 2006. Con una ulteriore crescita nei primi mesi del 2009. È una tragica contabilità, lo sappiamo. Ma spiega perché non basta una logica repressiva a governare quei flussi. E conferma l’assurdità delle critiche di «buonismo» rivolte al precedente governo. I due anni di Prodi sono stati pochi, troppo pochi, per condurre il Paese fuori dall’emergenza con una legge sull’immigrazione strutturale, fatta di regole praticabili sugli ingressi e sul soggiorno regolari.

In quella fase però non è mai stata in discussione la durezza contro i criminali. Con risultati importanti che hanno sgominato bande e organizzazioni attive nello sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero, di traffici illegali. Il tutto anche attraverso interventi tesi a dare più strumenti di indagine e intervento alle forze dell’ordine. L’impegno contro il traffico degli esseri umani tra la Libia e l’Italia ha prodotto un aumento degli arresti e dei mezzi sequestrati. Sono state adottate nuove procedure per identificare lo straniero criminale ancora in carcere ed espellerlo appena espiata la pena. Insomma due anni, per quanto pochi, sono serviti ad avviare un progetto di governo dell’immigrazione in linea col resto dell’Unione Europea.

Un «approccio globale», un’offerta di politiche integrate condivise con i Paesi di origine e anche di ritorno dei migranti. Una collaborazione inedita dei ministeri dell’Interno e degli Esteri ha avuto riflessi positivi sul contrasto all’immigrazione illegale. Forse sono aspetti non inutili da rammentare oggi.

Il 29 dicembre 2007, il ministro dell’Interno italiano siglò, a Tripoli, con il suo corrispondente libico, un Protocollo di cooperazione tra i due Paesi «per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina».

Quell’accordo prevedeva un pattugliamento marittimo congiunto davanti alle coste libiche per contrastare la partenza dei natanti e bloccare il traffico degli esseri umani. Il Trattato di amicizia tra Italia e Libia, del 30 agosto scorso e di recente ratificato dal Parlamento, ha assunto quel Protocollo tra i contenuti necessari della collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina. Bisogna però ricordare che né il Protocollo né il Trattato contengono disposizioni per rimandare in Libia gli immigrati soccorsi dall’Italia in acque internazionali: a riguardo, il governo italiano ha strumentalmente usato quegli accordi per rifiutare il proprio aiuto a donne, uomini e minori che avrebbe comunque potuto respingere dopo avere verificato la presenza tra loro di vittime di tratta o di richiedenti asilo in possesso dei requisiti necessari. Come del resto previsto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. E ancora, l’approccio globale di cui si è detto, ha prodotto nel gennaio del 2007 la firma di un accordo di riammissione tra l’Italia e l’Egitto. Ne sta ricevendo vantaggio il Governo attuale che può operare con voli diretti verso il Cairo per il rimpatrio dei cittadini egiziani sbarcati sulle nostre coste. Gli accordi di riammissione servono, dunque, al Paese di destinazione degli immigrati e al Paese d’origine. In un quadro integrato di azioni accelerano le procedure di accertamento e di rilascio dei documenti degli immigrati espulsi o respinti alla frontiera.

Fino al 2007 l’Italia ha firmato trenta accordi di riammissione. Ventuno di questi recano le firme di ministri del centrosinistra. Nel gennaio scorso, la massiccia presenza a Lampedusa di migranti irregolari provenienti dalla Tunisia e le difficoltà del loro rimpatrio hanno evidenziato che l’accordo di riammissione con quel Paese non sta funzionando. È credibile che questo possa accadere, che la collaborazione, nel tempo, vada aggiornata, verificata, rifinanziata, che si debba giungere alla firma di nuovi accordi per garantire la sostenibilità dei percorsi migratori.

Parallelamente devono procedere gli aiuti per lo sviluppo economico, bisogna concordare gli ingressi per motivi di lavoro, le azioni congiunte contro la criminalità e lo sfruttamento, il ritorno degli immigrati overstayers che rappresentano i due terzi delle presenze irregolari sul nostro territorio.

Questa, a nostro avviso, rimane la sola seria strategia da perseguire se l’obiettivo è un contrasto dell’immigrazione clandestina fondato sulla legalità, sulla sicurezza e sul rispetto fondamentale dei diritti umani.

Sempre, in qualunque emergenza o contesto. Nella consapevolezza che dinanzi a problemi di tale complessità e rilievo, l’impegno pubblico delle leadership e dei governi deve puntare non già a vellicare l’umore del pubblico ma a rasserenare il Paese indicando con saggezza la via migliore da seguire.


23 maggio 2009
da corriere.it
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« Risposta #47 inserito:: Luglio 05, 2009, 11:14:00 pm »

2009-07-05 21:30

D'Alema, in Italia possono aprirsi scenari imprevedibili


ROMA - Si avvia "un periodo di incertezze e credo che nel paese possano aprirsi scenari anche imprevedibili". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in una intervista a Radio Città Futura poco prima del suo intervento alla Festa del Partito Democratico. Alla cronista che gli chiedeva di Berlusconi e di un suo eventuale declino D'Alema ha replicato sottolineando: "stiamo in un momento del potere personale di Berlusconi che mostra anche però fragilità ". Secondo D'Alema il suo declino "sarà complesso, frammentario: l'uomo non vuole mollare ma al tempo stesso è sempre più debole". Quindi "ci sarà un periodo di incertezza e nel paese possono aprirsi anche scenari imprevedibili".

"Io come cittadino italiano trovo umiliante la situazione in cui ci troviamo". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in un'intervista radiofonica poco prima del suo intervento alla festa del Pd e replicando a chi gli chiedeva della nota di palazzo Chigi sulla stampa estera. "Credo che come ha scritto Le Monde - ha concluso - questa immagine del presidente del Consiglio rischia di danneggiare il paese". 

da ansa.it
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« Risposta #48 inserito:: Luglio 05, 2009, 11:15:29 pm »

L'ex presidente del Consiglio intervistato a Radio Città Futura: L'uscita del premier "sarà complessa e frammentaria"

D'Alema: "Berlusconi in declino si aprono scenari imprevedibili"

Sull'imminente battaglia congressuale: "Voglio un partito vero, basta partito-movimento" e critica la candidatura Franceschini: "Aveva senso se unitaria. E poi ha perso le elezioni. Noi dell'apparato? Indistruttibili"

 
ROMA - Si avvia "un periodo di incertezze e credo che nel paese possano aprirsi scenari anche imprevedibili". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in una intervista a Radio Città Futura poco prima del suo intervento alla Festa del Partito Democratico. Alla cronista che gli chiedeva di Berlusconi e di un suo eventuale declino D'Alema ha replicato sottolineando: "Stiamo in un momento del potere personale di Berlusconi che mostra anche però fragilità ".
Secondo D'Alema il suo declino "sarà complesso, frammentario: l'uomo non vuole mollare ma al tempo stesso è sempre più debole". Quindi "ci sarà un periodo di incertezza e nel paese possono aprirsi anche scenari imprevedibili".

"Io come cittadino italiano trovo umiliante la situazione in cui ci troviamo", ha aggiunto poi l'ex premier. "Credo che come ha scritto Le Monde questa immagine del presidente del Consiglio rischia di danneggiare il paese. Diranno che ho preso un colpo di sole, che sono rimbambito. Ma tutto questo è del tutto evidente sulla scena internazionale, dove c'è una stampa libera. In Italia lo vediamo di meno perché siamo prigionieri di una bolla mediatica".

E sul tema, l'esponente Pd torna nel corso dell'intervento alla Festa del partito, ripetendo una frase già utilizzata nelle settimane scorse: "Ci saranno altre scosse". Il potere del Cavaliere, dice D'Alema, "comincia a mostrare crepe e, paradossalmente siamo all'apice ma anche all'inizio del declino di Berlusconi".

Partito vero e "partito-movimento". Intervistato da Antonio Polito alla Festa del Pd, D'Alema parla dell'imminente battaglia congressuale, conferma l'appoggio a Pierluigi Bersani e avverte: "Sento il bisogno di un partito vero, abbiamo avuto una fase di partito-movimento, abbastanza confusa con una situazione nel paese allora di anarchia". E riferendosi anche alle recenti polemiche aperte con l'intervista di Debora Serracchiani a Repubblica, sostiene che non c'è bisogno "di un insieme di persone che concepiscono le primarie come un'occasione per una resa dei conti". "Non è una situazione brillante - ha concluso - e non a caso abbiamo avuto due sconfitte elettorali che hanno visto anche un ridimensionamento nel nostro paese".

Critiche a Franceschini. Il cuore dell'intervento dalemiano riguarda la candidatura del segretario reggente. "Avrebbe avuto un senso se si fosse presentato come una persona che fa un appello unitario". Invece, aggiunge D'Alema, "ha detto mi candido perché non tornino quelli di prima. Ma chi erano? Rutelli e Fassino sostengono lui". Frontale poi l'attacco sui risultati elettorali: "Questo gruppo dirigente ha perso le elezioni politiche, dopodiché non ha sentito il bisogno di fare nessuna riflessione autocritica. Io avevo detto 'posso dare una mano', hanno risposto che non c'era bisogno. Franceschini disse che io sono difficile da collocare. Dopo di questo abbiamo perso le elezioni in Sardegna, abbiamo perso 4 milioni di voti alle europee". Aggiunge D'Alema: "Non può venire al congresso e dire 'io voglio andare avanti'. Io quando ho perso le elezioni regionali 8 a 7, non così, me ne sono andato".

L'ex premier non resiste poi a una battuta nel suo stile sarcastico, sollecitata dalle polemiche sugli "apparati": "Noi dell'apparato - dice - abbiamo una struttura particolare che ci rende, direi, quasi indistruttibili". Aggiunge D'Alema: "Dove sono questi presunti apparati che frenavano il nuovo? Di che parliamo? questa è una raffigurazione letteraria dei nostri problemi".

(5 luglio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #49 inserito:: Settembre 05, 2009, 05:07:46 pm »

L'INTERVISTA

«Atto di barbarie, è allarme democrazia»

D'Alema: dopo Boffo chi ha una notizia fastidiosa per il premier sa di rischiare ritorsioni


Onorevole D'Alema, inevitabilmente la prima domanda è sul «caso Boffo». Anche lei è convinto che le dimissioni del direttore dell'«Avvenire» rappresentino un fatto grave?
«È un caso che desta grande preoccupazione. Come desta preoccupazione il degrado impressionante della vita pubblica di cui il presidente del Consiglio è il principale responsabile».

Secondo lei le frequentazioni femminili del presidente del Consiglio influiscono sul serio sulla politica del nostro Paese o lo dice solo per fare propaganda?
«Essendo Berlusconi capo del governo è ovvio che la sua condotta ha una rilevanza politica soprattutto per il modo in cui egli ha reagito non spiegando i suoi comportamenti, non rispondendo a interrogativi legittimi, il che avrebbe probabilmente chiuso la questione. Al contrario, Berlusconi ha utilizzato il suo potere politico, mediatico e finanziario per perseguitare e colpire le voci critiche. Si è creata una situazione pesante e allarmante: l'episodio del direttore dell'Avvenire segna uno spartiacque: un qualsiasi giornalista che abbia una notizia imbarazzante o fastidiosa per il presidente del Consiglio sa che da oggi in poi, se la pubblica, è a rischio di pesanti ritorsioni. Al fondo di questa barbarie c'è l'anomalìa italiana».

E che cosa mai sarebbe questa anomalìa italiana di cui lei parla, onorevole D'Alema?
«I giornali nel mondo civile controllano il potere. Berlusconi, invece, utilizza gran parte dei mezzi di informazione per controllare quelli che dovrebbero controllare lui e il suo governo. Questo ormai è un serio problema di carattere democratico».

C'è chi ricorda che anche lei, come altri esponenti del centrosinistra, aveva la querela facile e il dente avvelenato contro i giornalisti. Non sembrerebbe quindi un'esclusiva di Silvio Berlusconi.
«Questo accostamento è insensato. Io non posseggo televisioni e giornali e quando sono diventato presidente del Consiglio ho rimesso tutte le querele».

Ma non è che il Pd sta sopravalutando queste storie lasciando perdere tutti gli altri problemi del Paese? La crisi economica e quella sociale avanzano, e l'opposizione si occupa delle faccende private del presidente del Consiglio.
«È sbagliato sottovalutare quel che sta accadendo e dire "occupiamoci dei problemi veri". Questo è un problema vero che aggrava tutti gli altri, perché, grazie al potere che il governo ha sull'informazione, si indeboliscono il controllo e lo stimolo e peggiora anche la qualità stessa dell'azione di governo».

Onorevole D'Alema non le pare di esagerare?
«Non credo. Pensi alla realtà della crisi economica e sociale: per un anno ci è stato raccontato che non c'era la crisi e quando ormai era impossibile negarla si è detto che c'era stata ma era finita. La verità è che noi siamo i più colpiti tra i Paesi industrializzati. E questo governo è l'unico, tra quelli dei Paesi più importanti, che non ha fatto nulla di significativo per fronteggiare la crisi. Si galleggia nella speranza che la ripresa internazionale prima o poi trainerà l'Italia. Ma si tratta di una pura illusione, se non si affrontano i problemi reali e non si fanno le riforme».

In compenso, l'opposizione di centrosinistra appare più che appannata.
«Certo, in questo momento si avverte l'assenza di una voce autorevole dell'opposizione. Son fiducioso che, alla fine di questa sofferta e lunghissima discussione interna al Pd, le cose cambieranno. Bersani è un leader autorevole, determinato a costruire un partito e un gruppo dirigente, dopo che si è pensato troppo a lungo che bastasse demolire ciò che c'era per costruire il nuovo».

Insomma, onorevole D'Alema, lei vuole ristrutturare il Partito democratico e rimettere in piedi l'allegra comitiva dell'Unione.
«La comitiva di undici sigle dell'Unione non c'è più. Ora c'è il Pd, che può diventare il perno di una nuova alleanza democratica tra alcuni partiti che si mettono insieme sulla base di un programma chiaro e che si vincolano a un codice di comportamento».

Scusi ma pensa sul serio di riuscire a mettere insieme Rifondazione comunista e Udc?
«Rifondazione non sembra avere interesse a una prospettiva di governo, ma a sinistra c'è chi vuole misurarsi con questa sfida. E poi all'opposizione ci sono Udc e Idv».

L'Udc di Pier Ferdinando Casini, per la verità, potrebbe andare a destra...
«Tra l'Udc e la destra è maturata una divergenza profonda che riguarda la concezione stessa della democrazia e che non mi pare facilmente ricomponibile. In più, oggi, vi è quell'aspra lacerazione tra Berlusconi e la sensibilità dei cattolici italiani. In ogni caso noi abbiamo già sperimentato delle convergenze con l'Udc alle amministrative e abbiamo constatato che il suo elettorato ha seguito l'indicazione politica dei gruppi dirigenti di quel partito, dunque non è vero che i nostri elettorati sono incompatibili».

E per il Pd dovrebbe essere Bersani, una volta eletto segretario, a occuparsi della creazione di questo nuovo schieramento?
«Bersani è un uomo di governo capace ed è sempre stato fuori dai conflitti personali all'interno del centrosinistra. Lui è di gran lunga la persona più adatta a guidarci in questa fase di ricostruzione del partito, dopo il periodo confuso che ha caratterizzato l'avvio del Pd».

Ma con l'elezione di Pierluigi Bersani alla segreteria del Partito democratico non teme una scissione degli ex margheritini, che potrebbero non sentirsi rappresentati da un ex ds?
«L'ipotesi della scissione non è mai stata seriamente in campo. Con Bersani nel partito ci sarà finalmente la pace».

Onorevole D'Alema, un'ultima domanda: nella sua Puglia il Pd è nei guai con la giustizia, che impressione si è fatto di questa vicenda?
«Ho sempre avuto rispetto della magistratura. Se vi sono stati illeciti è giusto che siano perseguiti. Finora non ho capito bene di cosa si tratti e ho l'impressione che vi sia una grande esagerazione. Almeno nei titoli di alcuni giornali».

Maria Teresa Meli
05 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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« Risposta #50 inserito:: Settembre 22, 2009, 08:35:20 am »

Il leader politico intervistato dalle «iene»

«La prossima volta Berlusconi perderà»

Massimo D'Alema: «Il grande centro non ci sarà. Ma il Pd costruirà una coalizione e una proposta di governo»


MILANO- Da Silvio Berlusconi («La prossima volta perderà») a Gianfranco Fini («con cui vorremmo elaborare delle idee condivise per il bene del Paese»»).
E ancora Walter Veltroni («Ti stimo e ti voglio bene»). È su di sè, Massimo D'Alema dice: «Sono un democratico e sono anche socialista, ma non più comunista».
Un'intervista al leader democratico che non si sottrae ad alcuna domanda. Dai rapporti al futuro del partito («Il Pd costruirà una coalizione e una proposta di governo»).

L'INTERVISTA- Massimo D'Alema si concede ai microfoni delle Iene in onda martedì sera. Si comincia con il suo futuro. L'ex ministro degli Esteri spiega: « Basta con la politica, mai. Basta con gli incarichi, basta con una funzione dirigente, perché a una certa età si va in pensione». E a proposito delle sue scelte passate spiega che non si definirebbe più comunista, ma «un democratico e anche socialista». Dal passato al presente. Ecco che per D'Alema «Costruendo una coalizione e una proposta di governo» nel centrosinistra «la prossima volta Berlusconi perderà le elezioni». Un'alleanza che passa anche per l'Italia dei valori. E per l'Udc «con le forze che sono all'opposizione del governo». Ma un niet arriva per il grande centro «non si farà». Dall'opposizione alla maggioranza. «Ho l'impressione che si è aperto un dissenso abbastanza profondo che riguarda la politica». Soprattutto nel Popolo della libertà e nel rapporto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. « Ce ne saranno di scosse. Perché l`aggressione al Presidente della Camera non è una scossa di natura politico istituzionale? E troppe ne vedremo». Le stesse che potrebbero arrivare dai magistrati che «accerteranno le responsabilità per gli appalti, per le mignotte mi pare più chiara la situazione». Quanto a Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore al centro del caso escort e di quello della sanità in Puglia l'ex ministro degli esteri spiega: «L'avrò incrociato. Non mi occupo di appalti, non mi occupo di quell'altro ramo cui lei ha fatto riferimento, non consumo cocaina, non c'era nessun motivo per avere rapporti con Tarantini».

LA POLITICA- Buone parole per Walter Veltroni «ti stimo e ti voglio bene». Meno buone per Bruno Vespa «Ha perso un po' quella capacità di essere al di sopra delle parti. Che per uno come lui che pretende di essere il presidente della terza camera dovrebbe essere una condizione importante». Dario Franceschini, invece, è simpatico a D'Alema e così pure Fausto Bertinotti, anche se votò contro il primo governo Prodi e lo fece cadere. Mentre Pecoraro Scanio «politicamente ha fatto qualche danno» al governo e al centrosinistra. Di Debora Serracchiani, "giovane promessa" dei Democratici, l'ex premier dice: «È brava, tifa pure per la Roma».


21 settembre 2009
da corriere.it
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« Risposta #51 inserito:: Ottobre 02, 2009, 05:43:42 pm »

29/9/2009

La sinistra europea disarmata
   
MASSIMO D'ALEMA


La crisi attuale segna un profondo cambiamento d’epoca. Non si tratta soltanto di una crisi finanziaria, economica e ormai pesantemente sociale; si tratta di una crisi politica e culturale.

Si chiude un ciclo caratterizzato da una globalizzazione senza regole, dal dominio dell’ideologia ultraliberale. Tramonta l’illusione dogmatica dell’infallibilità del mercato. Al centro del dibattito pubblico tornano idee fondamentali che sono proprie della tradizione socialista.

Ma - ecco il paradosso - di fronte a questa grande svolta sembra proprio il socialismo in Europa a essere più in difficoltà. Non mancano speranze e segnali di novità, tuttavia gran parte del nostro continente è oggi governata da una leadership conservatrice e il declino della destra neoliberista sembra andare non a vantaggio dei progressisti ma, in molti paesi europei, a vantaggio di un’altra destra nazionalista, populista, talora apertamente reazionaria e razzista. Eppure, mentre in Europa accade questo, nel resto del mondo sono le grandi forze progressiste che guidano l’impegno per aprire una nuova prospettiva oltre la crisi e gettare le basi di una nuova stagione economica e politica. Sono i Democratici negli Stati Uniti d’America, così come sono progressisti di diversa natura i leader e i partiti alla guida dei grandi Paesi emergenti, dall’India al Brasile all’Africa del Sud. Persino il Giappone, dopo 54 anni di egemonia politica liberale e conservatrice, si è affidato a una forza democratica e progressista. Non solo, ma in massima parte questi partiti non appartengono alla tradizione e alla cultura socialista, anche se con l’Internazionale socialista collaborano o dialogano intensamente. Perché dunque proprio qui, nella vecchia Europa, sembra essere così difficile la sfida per i progressisti?

Il problema è che il socialismo europeo, sia nelle sue componenti più tradizionali, sia nei settori più innovativi, non è riuscito, di fronte alla globalizzazione, ad andare oltre l’orizzonte del riformismo nazionale. In particolare - questa è la mia opinione - la grande opportunità legata al processo d’integrazione politica dell’Europa è stata colta solo in piccola parte. Dopo l’avvento della moneta unica sarebbe stato il momento per un salto di qualità. Era necessario armonizzare le politiche di sviluppo, le politiche fiscali e di bilancio, le politiche della ricerca e dell’innovazione. Era necessario costruire una vera Europa sociale e governare insieme e in modo solidale la sfida dell’immigrazione. Era necessario quindi rafforzare il bilancio e i poteri dell’Unione europea aprendo la strada a un «riformismo europeo» capace di superare i limiti dell’esperienza degli Stati nazionali. Questa era la prospettiva che era stata indicata da Jacques Delors.

Non dimentichiamo che in quel momento 11 Paesi su 15 dell’Unione erano guidati da leader socialisti. Cercammo di indicare una nuova via con il Consiglio europeo di Lisbona. Ma quel programma riformista, che pure era coraggioso, non era sostenuto da istituzioni forti, risorse adeguate, una chiara volontà politica.

Ci vuole una forza progressista europea che abbia il coraggio di rimettersi in gioco, che apra le vele per cogliere il vento del cambiamento internazionale, voltando pagina rispetto alle timidezze e al profilo basso degli ultimi anni. Si capisce che proprio in Europa il crollo del comunismo, il progressivo logoramento del compromesso socialdemocratico e la cosiddetta caduta delle ideologie (non di tutte, in realtà, se si pensa a quanto «ideologica» è stata l’egemonia neoliberista) hanno pesato su una sinistra rimasta prigioniera del suo disincanto e timorosa di andare al di là di un pragmatismo ispirato al buon senso, alla razionalità economica e alla coesione sociale. Ma è - io credo - anche per questo che una sinistra così priva di identità è apparsa disarmata di fronte al populismo sanguigno della destra. Il problema è che la destra risponde, a modo suo, a un bisogno di identità e di speranza con il riferimento alla terra, al sangue, alle radici religiose della nostra civiltà che, per quanto prospettato in termini distorti e regressivi, appare un ancoraggio robusto rispetto all’incertezza e allo smarrimento del mondo globalizzato.

Non sembra oggi che la cultura socialdemocratica sia in grado di rispondere al bisogno dei progressisti di dotarsi di una visione del futuro capace di suscitare partecipazione e speranze. Insomma, la socialdemocrazia con i suoi ideali e la sua visione della società non sembra in grado di produrre una «grande narrazione» come fu nel passato. Quella esperienza rimane irrimediabilmente racchiusa in un’altra epoca, legata a una struttura delle società europee, ad una organizzazione del lavoro, ad una composizione sociale che non esistono più. Ma la via d’uscita non è nell’idea di un centrosinistra post-identitario. Né soltanto nel far precedere i discorsi politici da un elenco di grandi valori o dalla evocazione di buoni sentimenti. La sfida appare quella di costruire una nuova identità forte legata ai bisogni sociali, alle contraddizioni e alle attese del tempo in cui viviamo. Questo segna un superamento del passato socialdemocratico, che non è un ripudio, ma capacità di ricollocarne gli elementi vitali in un contesto nuovo, in un nuovo paradigma. Indicando nella democrazia, nell’eguaglianza e nella cultura dell’innovazione le idee-forza per una risposta progressista alla crisi ho cercato di definire non soltanto i titoli di un programma, ma anche le coordinate di un progetto. Se è così, chiamare democratico il nuovo partito dei progressisti è certamente un buon punto di partenza. Ma se il problema è quello di legare a questo nome un’identità e un progetto forti - come pare necessario - allora vuol dire che c’è ancora molto da lavorare. Se però guardiamo al mondo che ci circonda e ai grandi cambiamenti che sono in atto, credo che ci sia ragione di essere ottimisti.

Estratto dall’editoriale di Massimo D’Alema in edicola a ottobre sulla rivista «Italianieuropei»

da lastampa.it
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« Risposta #52 inserito:: Dicembre 20, 2009, 10:25:14 am »

Il duello

D'Alema, sfogo dopo gli attacchi «Io sono un politico, altri no»

Veltroni teme uno scambio sulla legge elettorale. Ma gli ex ppi non lo seguono


«Possibile che se un poveretto in questo Paese si azzarda a dire che bisogna discutere delle regole gli devono subito dare dell'inciucista? La verità è che è passata l'idea che il maggioritario debba essere una rissa continua»: Massimo D'Alema si sfoga con un amico. L'ex premier non ci sta a vestire i panni che dalla Bicamerale in poi gli sono stati cuciti addosso. E trova incredibile che per l'ennesima volta il Pd debba dividersi. Ma era inevitabile che accadesse. Un personaggio come Walter Veltroni non riesce a tacere di fronte al sospetto in lui fortissimo che si sia riaperta una trattativa più o meno sotterranea in cui da una parte si offre a Berlusconi di non fare le barricate contro il legittimo impedimento e dall'altra gli si chiede una riforma elettorale vicina al sistema tedesco.

L'ex segretario del Pd ce l'ha proprio con D'Alema. «E' assolutamente strumentale: non si può dire una volta che Berlusconi deve essere ridotto a fare il mendicante e poi un'altra trattarlo come se fosse De Gasperi. E' allucinante». E' un fiume in piena Veltroni, mentre torna dal convegno della corrente Pd di Area democratica che si è tenuto a Cortona. Già lì aveva detto la sua e ora rincara la dose: «Io credo che si debba essere seri e coerenti in politica. Invece che succede? Succede che prima dici sì alla Santa Alleanza con Fini e Casini e chissà chi altro per opporti a Berlusconi e dopo qualche giorno, come se niente fosse, annunci che vuoi riformare la Costituzione con il premier». D'Alema la pensa in maniera assai differente, per non dire opposta. Secondo l'ex presidente del Consiglio «la vera discriminante è tra essere uomini politici e non esserlo». In questo senso, a suo giudizio, «persone che hanno formazioni diverse si possono avvicinare».

Il riferimento è a Casini. A quel Casini che ha proposto a Berlusconi di limitarsi al legittimo impedimento mettendo da parte il processo breve. Ossia quella che D'Alema chiama scherzando (ma fino a un certo punto) «l'indecenza meno indecente». L'ex premier vuole imprimere una svolta al suo partito. Che non consiste certo nel votare il legittimo impedimento, ma nel creare le condizioni per giocare la partita delle riforme. E su questo terreno sembra agire di sponda con Casini. Ma tutto ciò ha riaperto ferite non ancora rimarginate nel Partito democratico e allargato fossati. Ancora una volta ci si divide, nel Pd. Da un lato Veltroni e il capogruppo alla Camera Dario Franceschini con la loro componente di minoranza (molto agguerrita), dall'altro i D'Alema, i Latorre e, in estrema sintesi, anche il segretario Pier Luigi Bersani, cui il ruolo consiglia però maggior prudenza onde evitare di spaccare il partito a due mesi dal suo insediamento. Per questa ragione il leader dà un colpo al cerchio e uno alla botte e non si espone poi troppo. E in questo nuovo tormentone del centrosinistra si assiste a scomposizioni e ricomposizioni. Franco Marini, per esempio, ha preso le distanze dalla minoranza. Non solo perché non è andato a Cortona. L'ex presidente del Senato ragiona in modo assai simile a quello di D'Alema, anzi, si spinge anche più in là. E' «favorevole alla versione costituzionale» del Lodo Alfano. Su Antonio Di Pietro ne dice di cotte e di crude: «Basta andargli appresso», esorta Marini ogni volta che può. E poi c'è il responsabile del Welfare, Beppe Fioroni, ex ppi pure lui, che dalla corrente di minoranza non se n'è andato, ma che prende le distanze da certe prese di posizione di Veltroni e Franceschini.

«E' chiaro — spiega il parlamentare del Pd — che la spina giustizia fa molto male a Berlusconi e che lui non può certo pensare che siamo noi a levargliela. Questo non ce lo può proprio chiedere. Ciò detto, se lui accetta le nostre proposte in materia di riforme (sia quelle sociali che quelle istituzionali) e se lui rinuncia al presidenzialismo, e fa il legittimo impedimento, noi non glielo votiamo, ma non facciamo l'opposizione con la bomba atomica. Non possiamo continuare a essere ossessionati dal fatto che Di Pietro compete con noi per strapparci tre tifosi: da lui pretendiamo il rispetto dovuto al fatto che siamo il più grande partito di opposizione. E allora, invece di interrogarci su che cosa fa il Pd senza di lui, si interroghi Di Pietro su dove va senza di noi». Insomma, dalle parole di Fioroni si evince come la questione sia molto chiara. E si deduce facilmente perché diventa inevitabile che di fronte alla possibilità che risorga un clima da Bicamerale il Pd si spacchi. E Fioroni ha un bell'esortare i suoi compagni di corrente a «non essere un partito nel partito». Le cose stanno esattamente così e le ultime vicende di questi giorni lo testimoniano con assoluta chiarezza: i Pd sono due e ridurli a uno, al momento, appare impresa improba.

Maria Teresa Meli

20 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #53 inserito:: Marzo 03, 2010, 11:13:25 am »

L'INTERVISTA / L'ex premier: rotto il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini

D'Alema: «Riforme o si rischia: Fini e Pisanu lo sanno, il premier arretri»

«Il Pdl ha diffuso la percezione che si può farla franca Casini preoccupato ma ha fatto errori nelle alleanze»


ROMA — Onorevole D’Alema, siamo davanti a una nuova Tangentopoli?
«Siamo in un momento effettivamente molto difficile per il Paese. Anzitutto per la gravità della crisi economica e sociale. Non è vero, come il governo ha sostenuto con faciloneria, che ne siamo fuori. Al contrario, cresce la disoccupazione, è in pericolo una parte della struttura industriale del Paese e non c’è alcuna politica da parte del governo. In questa situazione di sofferenza sociale si innesta un decadimento della classe dirigente del Paese. È un inutile esercizio stabilire se siamo di nuovo a Tangentopoli o no. Quello che emerge è che fenomeni di corruzione investono sia la società che la politica. Ma la politica ha una responsabilità in più perché anziché costruire degli argini ha lavorato per abbatterli. E ciò ha contribuito alla rottura del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini. L’orientamento della politica impresso dal centrodestra va verso l’impunità. L’indebolimento e la delegittimazione della magistratura non aiutano certo la lotta alla corruzione e alla criminalità. E in un contesto di questo genere i fenomeni di illegalità vengono a crescere perché la percezione che la si possa fare franca tende a essere diffusa».

Per la verità il cosiddetto sistema Bertolaso era in voga anche con Prodi.
«Io non ho detto che questi sistemi sono stati creati dal governo Berlusconi. Ma non si può sostenere che centrosinistra e centrodestra siano uguali. Noi abbiamo un sottosegretario della Repubblica, Cosentino, che è inseguito da un mandato di cattura per associazione a delinquere di stampo mafioso a cui il premier ha detto di rimanere al suo posto. Il sindaco di Bologna, invece, accusato di reati infinitamente minori, per rispetto verso le istituzioni della sua città si è dimesso».

Onorevole D’Alema, che è successo, all’improvviso è diventato giustizialista?
«Figuriamoci, sono sempre stato molto prudente, più di una volta ho detto che i magistrati hanno compiuto delle forzature ma il modo in cui il Pdl e il presidente del Consiglio festeggiano la sentenza della Cassazione sul caso Mills mi sembra francamente eccessivo. È vero che la Cassazione ha detto che i magistrati di Milano hanno forzato l’interpretazione in materia di prescrizione però ha detto anche che la corruzione c’è stata».

Tornando al discorso che stava facendo sulla corruzione...
«Io penso che il rischio di una frattura tra Paese e istituzioni e lo spettacolo di una classe dirigente alla ricerca di un facile arricchimento mentre c’è gente che perde il lavoro configurino un quadro estremamente preoccupante. Ed è per questo che si impone la ripresa di un’azione riformatrice. Il sistema politico deve reagire dandosi delle regole per fare pulizia al proprio interno e deve dire quali riforme intende intraprendere. Il punto più grave è la crisi del Parlamento. In questi anni si è pensato a come rafforzare il governo e l’effetto di tutto questo è stato un restringimento della democrazia e dei controlli che non ha prodotto maggiore efficacia e qualità delle decisioni. Quindici anni di berlusconismo non hanno prodotto nessuna decisione importante per il Paese».

Ma lei che cosa propone a questo punto? C’è una ricetta, una soluzione?
«Penso che tutto questo richieda una forte iniziativa. Anche da parte delle personalità della destra che avvertono questo rischio. È tempo di reagire. Non è tollerabile che le riforme che tutti dicono da anni di voler fare non vengano fatte: alla fine la caduta di credibilità diventa micidiale. Sono anni che si dice che bisogna uscire dal bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari e io aggiungo che sarebbe bene ridurre anche i membri dei Consigli regionali, comunali ecc».

Onorevole D’Alema, quali sarebbero le personalità della destra di cui parla?
«Pisanu nell’intervista al vostro giornale faceva delle considerazioni che vanno in questa stessa direzione. E, comunque, come ha detto Fini, non dobbiamo sprecare questa legislatura dal punto di vista delle riforme che si possono fare. E io sono persuaso che la condizione perché si apra una stagione di riforme è che Berlusconi esca ridimensionato dal voto delle Regionali. Così queste voci più riflessive del centrodestra potranno avere un peso».

E Berlusconi?
«La sua voce è veramente stridente rispetto al Paese. Invece di spiegare che le Regionali sono l’occasione per scegliere buoni amministratori, il presidente del Consiglio ha detto che sono uno scontro tra il bene e il male. È un’affermazione che, se presa sul serio, suscita indignazione. Fortunatamente, ormai, si comincia a non prenderlo più sul serio. Anche tutta questa "fuffa" del governo del fare si è molto ridimensionata. L’Aquila era uno dei fiori all’occhiello di questo governo, ora non hanno più coraggio di ripresentarsi lì che la gente li rincorre. C’è stata una grande esagerazione mediatica».

Su Berlusconi Casini non dice cose tanto diverse, eppure è vostro alleato solo in alcune regioni, altrove sta con il centrodestra.
«Sono perplesso per alcune delle scelte fatte da Casini. Lui è tra le persone che esprimono preoccupazioni non dissimili dalle nostre. Detto questo, le sue scelte per le Regionali appaiono abbastanza contraddittorie. Come conciliare, ad esempio, la polemica che l’Udc conduce in Parlamento contro la politica anti-meridionale del governo e l’alleanza con il Pdl in Campania e Calabria? In particolare in Campania a Casini e De Mita non può certo sfuggire quale sia la realtà del Pdl».

Come mai il Pd ha aderito al secondo "No-Bday"?
«Non si può non guardare con rispetto e simpatia a chi scende in piazza per la legalità contro la corruzione. Ma movimenti e partiti hanno funzioni diverse. E poi che vuole, mi hanno anche dato la patente. Se non fossi a fare comizi elettorali quasi quasi...».

Onorevole D’Alema, a proposito di lotta alla corruzione, che cosa si può fare per prevenire certi fenomeni?
«Il governo annuncia provvedimenti. Vedremo di che si tratta. Il primo provvedimento sarebbe quello di ritirare la proposta di legge del cosiddetto processo breve, che avrebbe l’effetto di una amnistia per corrotti e corruttori. Ma, al di là delle misure legislative, è molto importante che i partiti abbiamo serietà e rigore nella selezione del ceto politico. Ci sono dei buchi nella legislazione. Il principio di presunzione di innocenza, che è un principio fondamentale del nostro ordinamento, non può però essere applicato in modo meccanico nei criteri di selezione delle candidature. In Italia uno ha diritto a essere innocente fino alla sentenza definitiva (che purtroppo è spesso la prescrizione del reato), questo vale per i cittadini normali, ma chi viene rinviato a giudizio per reati gravi e odiosi è uno di quegli innocenti di cui si può tranquillamente fare a meno nelle assemblee elettive».

Maria Teresa Meli

27 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #54 inserito:: Agosto 30, 2010, 04:24:13 pm »

IL RETROSCENA

D'alema: "Riforma elettorale, poi il voto questa legge fa comodo solo a Berlusconi"

Ora che il Cavaliere si avvita in una crisi irreversibile, ci si chiede se abbia senso tornare alle urne con questo sistema elettorale e se esista, nell'attuale Parlamento, una maggioranza trasversale in grado di sostenere una riforma condivisa. L'ex premier ed ex presidente dei Ds: "Questo bipolariswmo conviene solo al presidente del Consiglio, col 38% può puntare al Quirinale e chiudere i giochi"

di MASSIMO GIANNINI

ADDIO al "porcellum". Si torna al "mattarellum". Oppure: basta col proporzionale imbastardito dalla casta, riscopriamo le virtù del maggioritario. Ad ogni tornante più tortuoso della storia italiana, il bestiario della politica si ripopola degli astrusi modelli elettorali concepiti dalla Seconda Repubblica. Il dibattito è ozioso, ma cruciale. Nel mattatoio istituzionale e politico di questi anni, tra sistemi elettorali e forme di governo, l'Italia ha concepito un mostruoso Frankenstein. Un modello di legge elettorale, la porcata di Calderoli, tendenzialmente proporzionale, senza preferenze, dove i parlamentari sono "nominati" dalle segreterie di partito e non più eletti dai cittadini. Al tempo stesso, la democrazia parlamentare, violentata dall'autocrazia berlusconiana, vira verso una forma spuria di presidenzialismo di fatto, a-nomico e a-costituzionale, dove l'indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale sembra delegittimare la presenza e il ruolo degli altri organi di garanzia. Ora che il Cavaliere si avvita in una crisi irreversibile, e che si parla esplicitamente di elezioni anticipate, una domanda è d'obbligo: ha senso tornare alle urne con questo sistema elettorale? E in subordine: c'è nell'attuale Parlamento una maggioranza trasversale in grado di sostenere una riforma condivisa?

Nel centrosinistra si confrontano due anime, uscite allo scoperto in questi giorni. C'è l'anima veltroniana, dogmatica, che vagheggia il ritorno al puro spirito bipolare, o bipartitico, che giustificò il suo tentativo di forgiare un Pd autosufficiente e "a vocazione maggioritaria". C'è l'anima bersaniana, pragmatica, che non si impicca a una formula pregiudiziale, ma che in nome dell'Alleanza democratica chiama a raccolta tutte le forze che oggi si oppongono al berlusconismo, per superarlo e poi individuare un sistema elettorale comune da proporre al Paese. "È inutile illudersi, o cercare altre scorciatoie: per uscire dal berlusconismo occorre ripensare le forme del nostro bipolarismo malato". Massimo D'Alema è appena tornato dalla sua vacanza in barca. Chi gli ha parlato lo descrive soddisfatto della navigazione, ma preoccupato per le rotte sempre più confuse della politica italiana.

L'ex premier ed ex presidente dei Ds non ha condiviso la "lettera agli italiani" di Veltroni, che alla fine "ha avuto come unico effetto quello di dare una mano a Berlusconi". Mentre ha molto apprezzato la proposta programmatica lanciata su "Repubblica" da Bersani, che ha avuto il merito "di riappropriarsi dell'agenda politica, affermando cose molto ragionevoli". Anche D'Alema, come il segretario del suo partito, vede un Berlusconi in enorme difficoltà, forse destinato a non concludere la legislatura. Ma se si arrivasse a una crisi, e in ipotesi estrema ad elezioni anticipate, si riproporrebbe la solita questione: "Ci sarebbe sicuramente una maggioranza larga contro di lui, nel Paese, e il voto assumerebbe la chiara fisionomia di un referendum su Berlusconi, ma con le regole attuali si ripeterebbe la difficoltà di tradurre questa maggioranza elettorale in proposta di governo e in una leadership forte". Per questo D'Alema, nei colloqui di questi giorni e prima della ripresa di settembre, non si stanca di ripetere un "refrain" che gli sta a cuore: "Quello della legge elettorale è davvero il nodo di fondo. Non possiamo rischiare di tornare al voto con questo sistema. L'idea malsana e malintesa di bipolarismo che abbiamo cullato e costruito in questi anni ci ha portato a un sistema che fa comodo solo a Berlusconi, che col 38% dei consensi può farsi eleggere al Quirinale, e chiudere i giochi per sempre. Ci rendiamo conto che l'indicazione del premier sulla scheda non esiste in nessun paese del mondo? Ci rendiamo conto che in Italia con questo falso mito maggioritario ormai gli organi di garanzia contano sempre meno? In Gran Bretagna c'è Westminster, ma c'è anche la Regina. In Italia c'è un sistema elettorale che crea un bipolarismo di facciata che ormai mette a rischio la stessa democrazia. Berlusconi fa scrivere il suo nome sulla scheda, e in nome di questo sacro principio, "io sono stato eletto dal popolo", pensa di poter fare quello che vuole. Noi non possiamo indulgere a questa deriva, che contiene in sè il germe del populismo autoritario".

D'Alema non ha dubbi. Ai suoi collaboratori, con i quali sta preparando l'agenda della settimana di rientro, ripete uno slogan di cui è fermamente convinto: "La fine di Berlusconi sarà anche la fine della Seconda Repubblica". Il tema è: come arrivarci? Sotto il profilo della legge elettorale, l'ex ministro degli Esteri del governo Prodi vede solo due strade: "Il primo mezzo è il doppio turno alla francese, che seleziona in anticipo le forze in campo, e potrebbe interessare all'Udc. Il secondo mezzo è il sistema tedesco, proporzionale con lo sbarramento, che rompe la rigidità dello schema "blocco contro blocco". Inutile dire che D'Alema, oggi come negli anni passati, continua a teorizzare il secondo mezzo. "Con il sistema tedesco noi potremmo convogliare un campo vasto di forze, dall'Udc alla Lega, e creare un assetto tendenzialmente bipolare, anche se non bipartitico, dove si andrebbe alle urne con cinque, massimo sei partiti, con un centro forte che si allea con la sinistra, con la sfiducia costruttiva, con una buona stabilità dei governi, che volendo potremmo persino rafforzare con l'introduzione di una clausola anti-ribaltone. Non riesco a immaginare uno schema migliore, per un Paese come il nostro".

Ma in queste ore, sulla scia degli appelli e delle raccolte di firme che si sovrappongono, un'altra via intermedia che prende corpo é quella di un ritorno al "Mattarellum", cioè il sistema partorito dopo la stagione referendaria dei primi anni Novanta. Potrebbe essere un buon compromesso, per uscire intanto dall'esecrato "Porcellum". D'Alema non ne è affatto persuaso: "Ma ci rendiamo conto che col "Mattarellum" siamo andati alle urne con quattordici partiti? È semplificazione questa? È bipolarismo questo? Se guardo al passato, vorrei sommessamente ricordare che l'esperimento lo abbiamo già fatto nel 1994, con i "Progressisti", e non ci andò bene. Se guardo al presente, mi chiedo perché mai Bossi e Casini dovrebbero suicidarsi, tornando a un modello che li penalizzerebbe fortemente".

Per queste ragioni, il Lider Maximo ritiene che il Pd debba assumere un'iniziativa forte, per rilanciare sul modello tedesco e costruire su questo il profilo delle future alleanze politiche. Un ragionamento che riflette forse il limite classico del dalemismo: una certa idea della politica costruita a tavolino o in laboratorio, tra ingegnerie di coalizione e alchimie di partito. Ma una cosa è vera: la crisi del berlusconismo è un'occasione da non perdere, anche per provare a rimodellare la nostra architettura istituzionale ed elettorale. Con l'ennesimo rammarico, che lo stesso D'Alema non può non aggiungere ai tanti altri collezionati nel passato: "Se queste riforme le avessimo fatte alla fine della scorsa legislatura, a partire dal sistema tedesco, oggi l'Italia sarebbe diversa. L'illusione maggioritaria, allora, ha finito col restituire il Paese a Berlusconi". Ammesso che la ricostruzione storica sia vera, l'invito di D'Alema al centrosinistra è a "non ripetere quel grave errore politico". Vedremo se l'invito sarà raccolto.

Nel frattempo, l'ex leader sta defilato, giovedì parlerà di tutto questo, alla festa del Pd a Torino. Mentre oggi presiederà un seminario della Fondazione Italianieuropei con John Podesta, democratico Usa, che ha appena scritto il saggio "L'America del progresso". "Dovrò spiegare gli attuali problemi della nostra situazione politica. È previsto che si parli in inglese. Per come siamo messi, è quasi più difficile farlo in italiano".

(30 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #55 inserito:: Novembre 06, 2010, 10:20:10 pm »

Pd/ D'Alema: Socialdemocrazia solo componente di nuove...

Dobbiamo tornare a rappresentare interessi produttivi e lavoro


Roma, 5 nov. (Apcom) - Secondo D'Alema infatti "il dominio delle destre, che indubbiamente hanno un primato culturale in questo momento, non ha basi solide e tuttavia in nessun paese europeo emerge con forza un'alternativa socialdemocratica, discorso valido anche per il Pd in Italia, dunque la domanda da porsi è: su quali basi politiche, culturali e programmatiche è possibile una nuova stagione progressista in Europa?", la risposta di D'Alema è che "a tornare al governo saranno coalizioni progressiste e democratiche di cui il socialismo sarà solo una componente" insomma il "nuovo ciclo progressista assumerà altri nomi rispetto al movimento socialista troppo legato all'esperienza del '900" serve qualcosa di più, è il ragionamento, per rispondere alle esigenze della modernità, coalizioni che vadano oltre il semplice "confronto con le culture ambientaliste e religiose. Si rischia un patchwork - ammette - ma è l'unica via percorribile per gettare le basi di una nuova stagione progressista".

L'ex premier ha osservato che oggi la sinistra raccogliere consensi soprattutto tra "i ceti medi riflessivi, quelli più acculturati, una 'minoranza morale' mentre la destra ha conquistato il blocco di forze produttive" mentre "noi siamo quelli dei buoni sentimenti. Accettare questa deriva - avverte D'Alema - è esiziale" perciò per tornare al governo i progressisti "devono ricostruire la rappresentanza degli interessi e in questa ottica la grande discriminante è quella tra lavoro e rendita. I sindacati rappresentano ormai forme residuale di lavoro mentre quello flessibile non ha rappresentanza sociale nè politica, questa è una sfida gigantesca e decisiva su cui riflettere. Ma io non mi abbandono all'ideologia del declino - ha concluso -, vedo segni di ripresa nella crisi delle destre, ma su basi nuove e il socialismo europeo ne sarà solo una parte, se saremo consapevoli di questo potremo anche essere utili".


http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2010/11_novembre/05/pd_d_alema_socialdemocrazia_solo_componente_di_nuove_-2-,26871029.html
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« Risposta #56 inserito:: Gennaio 30, 2011, 05:57:04 pm »

L'INTERVISTA

D'Alema: "Al voto per salvare l'Italia Un'alleanza costituente manderà a casa il governo"

Poi, referendum sulle istituzioni. "Una consultazione potrebbe chiedere agli italiani di scegliere tra parlamentarismo e presidenzialismo". "La legittimazione maggioritaria usata contro il principio di legalità: questo il vero atto eversivo". "Siamo in una crisi democratica gravissima. Le opposizioni mettano da parte politicismi e interessi personali"

di MASSIMO GIANNINI

D'Alema: "Al voto per salvare l'Italia Un'alleanza costituente manderà a casa il governo" Massimo D'Alema, Pd, 61 anni,è stato presidente del consiglio dal '98 al 2000. Da un anno presiede il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
ROMA - "Il Paese attraversa una crisi democratica gravissima. Se Berlusconi non si dimette, l'unico modo di evitare l'impasse e il caos politico-istituzionale è andare alle elezioni anticipate. Chiedendo agli elettori di promuovere quel governo di responsabilità nazionale che è necessario al Paese, per uscire da una crisi così profonda. Lancio un appello alle forze politiche di questo potenziale schieramento: uniamoci, tutti insieme, per superare il berlusconismo". Massimo D'Alema rompe gli indugi. Di fronte alla "notte della Repubblica" in pieno corso, il presidente del Copasir apre per la prima volta al voto anticipato, e invita tutti, dal Terzo Polo all'Idv alla sinistra radicale, ad allearsi con il Pd in una sorta di "Union sacrè" elettorale.

Presidente D'Alema, siamo al punto di non ritorno: il Quirinale lancia un serio altolà contro la degenerazione politica, tanto da far ipotizzare ad alcuni ministri un ricorso all'articolo 88 della Costituzione, e quindi lo scioglimento delle Camere. Lei che ne pensa?
"Mi lasci essere prudente su iniziative che vengono attribuite al Capo dello Stato. Ma il solo fatto che circolino ipotesi di questo tipo dimostra quanto sia drammatica la situazione in cui ci troviamo. Ormai siamo in piena emergenza democratica. Non voglio parlare dello scenario morale, che pure è uno dei lasciti più devastanti del berlusconismo come disgregazione dei valori condivisi. Mi riferisco alla crisi politica e istituzionale,
al conflitto tra i poteri dello Stato innescati da un premier che rifiuta la legge. Questo è il vero fatto eversivo: la legittimazione maggioritaria che si erge contro il principio di legalità. Una situazione insostenibile, che ci ha portato alla paralisi totale delle istituzioni, e persino all'idea pericolosa di fare appello alla piazza contro i magistrati, di cui stavolta tutto si può dire fuorché non abbiano agito sulla base di un'ipotesi accusatoria fondata. La vera anomalia è nel fatto che in tutti i paesi del mondo un leader nelle condizioni di Berlusconi si sarebbe dimesso già da tempo, o sarebbe stato già "dimesso" dal suo partito".

Qui non succede. Il premier si dichiara innocente, e dice che ad andarsene deve essere Fini, invischiato nella vicenda della casa di Montecarlo. Chi ha ragione?
"Trovo paradossale questa campagna contro Fini. Ciò che gli si imputa non ha alcuna rilevanza pubblica e non c'entra nulla con il modo con cui presiede la Camera dei deputati. In realtà le istituzioni sono state trasformate in un campo di battaglia e davvero non vedo, nella maggioranza, senso dello Stato".

Ma è con questa realtà che dovete fare i conti. Come se ne esce?
"Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a lanciare una fase costituente con le forze che ci stanno, per aprire una crisi e proporre un governo alternativo. Ma a questo punto, se Berlusconi non prende atto dell'insostenibilità della sua posizione di premier, l'unica soluzione è quella delle elezioni anticipate".

Non avete più paura del voto?
"Non abbiamo mai avuto paura. Era doveroso esperire tutti i tentativi per impedire una fine traumatica della legislatura. Ma ora anche questa fase si sta consumando. Quando Bossi ripete che è ancora possibile fare il federalismo - al di là del merito assai discutibile dei decreti in esame, definiti con sconcertante solennità "federalismo" - esprime una pia illusione: non si accorge che proprio la paralisi creata da Berlusconi è il principale ostacolo per raggiungere lo scopo? Ora vedo che Casini parla di larghe intese come in Germania. E' bello questo riferimento, salvo che al posto della signora Merkel noi abbiamo il presidente Berlusconi, che non è esattamente la stessa cosa. In ogni caso, Casini aggiunge che se le larghe intese non fossero possibili, bisognerebbe andare alle elezioni anticipate. Lo giudico un fatto positivo, che rafforza il mio appello sul voto e sul governo di responsabilità nazionale. Non c'è altra strada. L'idea di ricomporre un centrodestra "europeo", rispettoso dei magistrati e dell'etica pubblica, non è più all'ordine del giorno. In quella metà campo c'è solo un blocco di potere, creato da Berlusconi, e una minoranza fanatica che lo segue sempre e comunque".

"Minoranza", dice lei? L'hanno votato milioni di italiani.
"Le confermo: minoranza. Oggi Pdl e Lega, insieme, sono al 40%. Le forze dell'opposizione rappresentano il restante 60%, cioè la maggioranza degli italiani".

Ma non rappresentano un'alternativa credibile, e dunque votabile. Lo dicono tutti i sondaggi.
"Questo è il punto. L'opposizione appare debole perché finora non ha saputo delineare un progetto alternativo, né contrastare il ricatto del premier che afferra il Paese per la gola e gli dice: o me o il nulla, non esiste alternativa possibile. Per questo propongo di rompere lo schema. Di fronte al conflitto istituzionale permanente e alla paralisi politica, le opposizioni sono chiamate a una forte assunzione di responsabilità. Qui c'è una vera e propria emergenza democratica. Se ne esce solo con un progetto di tipo costituente, che fa coincidere la conclusione del ciclo berlusconiano con la fine di una certa fase del bipolarismo e raduna il vasto schieramento di forze che si oppongono a Berlusconi: presentiamoci agli elettori e chiediamogli di sostenere un governo costituente che abbia tre obiettivi di fondo".

Ce li riassuma. Primo obiettivo?
"Primo obiettivo. Sciogliere il nodo della forma politico-istituzionale del bipolarismo italiano. Siamo in un sistema plebiscitario e populista, costruito intorno a Berlusconi. Dobbiamo finalmente costruire un bipolarismo democratico. Occorre stabilire un nuovo equilibrio. Quale forma di governo vogliamo? Non demonizzo l'ipotesi presidenzialista, sul modello francese. L'importante è ridefinire in un quadro organico il sistema delle garanzie, dei contrappesi, dei conflitti di interesse, dell'informazione. E a tutto questo occorre collegare un modello di legge elettorale coerente, che ci consenta di salvare il bipolarismo, ma rifondandolo su basi nuove. La scelta del modello istituzionale si potrebbe persino affidare ai cittadini. Si potrebbe pensare ad un referendum popolare di indirizzo, per far cominciare davvero la Seconda Repubblica, chiedendo agli italiani di esprimersi: repubblica presidenziale o repubblica parlamentare?".

Gli altri due obiettivi?
"Il secondo è un grande patto sociale per la crescita. Lo sperimentammo sull'euro, e fu il vero successo degli Anni Novanta. Oggi ce n'è altrettanto bisogno. Ma non può essere affidato solo alle parti sociali, nè può essere pagato solo da una delle parti. E questo mi sembra il vero limite dell'accordo Fiat: la modernizzazione solo sulle spalle degli operai. Il nuovo patto deve contenere un'impronta liberale, ma temperata da una forte carica di giustizia sociale e di lotta alle disuguaglianze. Il terzo obiettivo è il funzionamento dello Stato. Lo stesso federalismo, se non è collegato a una vera riforma della Pubblica Amministrazione (e quella di Brunetta non lo è) si riduce a semplice redistribuzione del potere tra le elite".

Ma perché questa idea del governo dell'emergenza dovrebbe funzionare ora, visto che se ne discutete inutilmente da mesi?
"Perché la situazione precipita. La crisi politico-istituzionale, l'accavallarsi delle vicende giudiziarie, la guerra tra i poteri dello Stato. Cos'altro deve succedere, per convincerci della necessità di una svolta?".

Chi è il candidato premier di questo Cln che si presenta alle elezioni anticipate? È vero che lei punta su Casini, per chiudere l'accordo con il Terzo Polo?
"Non punto su nessuno e non spetta a me questa indicazione. Se questa riflessione sarà condivisa, sarà il mio partito con il suo segretario e i suoi organismi dirigenti a compiere le scelte necessarie".

La scelta può cadere anche su un "papa straniero", tipo Draghi o Monti?
"Mi creda, questa è una partita troppo importante per essere giocata nel solito toto-nomi. L'importante è avere chiara la portata della posta in gioco".

Il Pdl è in pieno disfacimento, ma anche il Pd non sta messo bene. Che mi dice del disastro delle primarie a Napoli?
"Intanto a Napoli spero che venga accolto l'appello di Bersani a trovare una soluzione unitaria. Più in generale, mi auguro che questa vicenda ci aiuti a fare una discussione serena e non ideologica. L'ho detto un migliaio di volte, guadagnandomi sul campo l'accusa di "nemico del popolo": ci sarà pure un motivo se gli americani, che le primarie le hanno inventate, hanno un sistema che assicura il voto solo agli iscritti al partito, e non al primo che passa. Se avessimo adottato questo sistema anche noi, oggi sapremmo chi ha votato a Napoli, e non ci troveremmo in questo caos. La democrazia è fatta di regole, altrimenti è pura demagogia. Io non sono contro le primarie. Anzi, le voglio salvare. Ma per salvarle, so che dobbiamo regolarle in un altro modo".
 

(30 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/01/30
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« Risposta #57 inserito:: Dicembre 09, 2011, 11:00:31 pm »

Politica

09/12/2011 - Intervista: LA CRISI, LE RICETTE DEL PD

D'Alema: "Questa volta pagano pure i ricchi Non era mai successo"

“Le pensioni? Il governo ascolti le richieste dei sindacati”

RICCARDO BARENGHI
Roma

Il governo Monti e la sua manovra, i sacrifici per gli italiani e i sindacati che scioperano, i rischi per il Pd che deve convincere la sua base sociale insoddisfatta, le elezioni tra sei mesi o tra un anno e mezzo, le prospettive di un'Europa a rischio. Ne parliamo con Massimo D'Alema.

Molte tasse, pochi tagli, poca equità, poca crescita, pensioni sotto tiro, assenza di una vera patrimoniale... Soddisfatto D'Alema?
«Mi pare francamente una sintesi totalmente inappropriata, non è questa la manovra. Innanzitutto, vorrei ricordare le parole del presidente Napolitano: "Eravamo sull'orlo di una catastrofe". Il rischio era che andasse deserta l'asta sui titoli di Stato e ciò avrebbe significato non pagare le pensioni e gli stipendi dei lavoratori pubblici. Se non teniamo conto di questa situazione reale, le dissertazioni appaiono non adeguate alla gravità del momento».

Però la manovra del governo non è stata accolta da cori di giubilo, soprattutto a sinistra.
«Difficile gioire quando bisogna sacrificarsi. Ma bisogna rendersi conto che eravamo arrivati a un punto di non ritorno grazie a Berlusconi. Oggi sembra che Berlusconi sia un fenomeno di cent'anni fa, invece è stato capo del governo fino all'altro ieri. E per tre anni ha fatto finta che la crisi non esistesse».

Nessuna responsabilità del centrosinistra che pure ha governato per sette anni negli ultimi quindici?
«Chi dice che la colpa è di tutta la politica, dice una colossale balla. Nel 2008 noi abbiamo lasciato il debito pubblico al 103,2, la percentuale più bassa degli ultimi vent'anni. Lo Spread era a quota 32. E queste sono cifre, non opinioni. Certo, c'è stata la crisi, ma questo non basta a giustificare i dati di oggi. Se la crisi fosse stata affrontata e non negata, saremmo in una situazione diversa dall'attuale. Ma noi non ci limitiamo a recriminare sulle responsabilità di Berlusconi. Non abbiamo chiesto le elezioni, nonostante i sondaggi a noi favorevoli, e abbiamo votato la fiducia al governo Monti assumendoci una grande responsabilità nell'interesse del Paese. D'altra parte, due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l'Italia nella condizione della Grecia o peggio. Una classe dirigente seria sa sfidare anche l'impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra».

Ora c'è il tecnico a riparare questi guasti, secondo lei ha fatto un buon lavoro finora?
«Il professor Monti si è trovato ad operare in una situazione di drammatica emergenza e con pochissimo tempo a disposizione. Anche per questo non era facile improvvisare innovazioni, che richiedono tempo e analisi approfondite. Oggi, però, possiamo partecipare al Consiglio europeo con le carte in regola. E magari cominciare a far sentire la nostra voce affinché ci sia una svolta nella politica europea, altrimenti le manovre nazionali serviranno a poco».

Una svolta di quale genere?
«Bisogna dare alla Bce un ruolo più attivo in modo che possa intervenire direttamente sui mercati. E’ molto opportuna l'iniziativa di Draghi sul taglio dei tassi di interesse, ma qui servono decisioni politiche. Bisogna puntare sugli Eurobond e convincere la Merkel, che non ne vuol sentir parlare. Bisogna attivare un piano europeo di sviluppo e di investimenti sulle infrastrutture. Bisogna mettere in campo e armonizzare politiche sociali e fiscali. L'Europa è a un bivio: o fa questo salto di qualità oppure non reggeranno neanche le conquiste fin qui realizzate».

Torniamo alla manovra, lei la giudica tutta positiva?
«E' positivo che non siano state aumentate le aliquote Irpef, imposta che pagano gli italiani onesti. Ed è positivo che si siano cominciati a tassare i patrimoni, soprattutto le seconde case e quelle di lusso».

E le case del vaticano vanno tassate?
«Certo, bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali».

A proposito di patrimoni, non si può dire che anche i ricchi piangono.
«Non so se piangano, ma so che per la prima volta si introduce un prelievo sui patrimoni e si fanno pagare di più coloro che hanno riportato in Italia i capitali dall'estero. Si tratta ancora di prelievi bassi. Si possono alzare anche per venire incontro alle richieste comprensibili dei sindacati sul tema delle pensioni».

Questo è proprio il capitolo più doloroso, tanto che i sindacati per la prima volta da sei anni hanno indetto uno sciopero unitario: era proprio necessario colpirle così duramente?
«E' vero, si tratta del capitolo socialmente più pesante. Per questo abbiamo presentato proposte in Parlamento per mantenere l'indicizzazione sulle pensioni che arrivano al triplo di quelle minime e vedo che si sta andando in questa direzione. E sarebbe giusto anche lasciare liberi di andare in pensione coloro che hanno svolto lavori usuranti. C'è poi la questione importante della detrazione Ici sulla prima casa. E infine si possono recuperare risorse sull'assegnazione delle frequenze radiotelevisive, altra richiesta del mio partito».

Ma lei aderisce allo sciopero di lunedì come hanno già fatto altri del Pd?
«Noi lavoriamo in Parlamento per cercare di migliorare la manovra e renderla più equa, per rispondere con i fatti alla protesta. E consiglio caldamente il governo di accogliere alcune richieste dei sindacati, che sono anche le nostre».

Lei che ha sempre rivendicato il primato della politica non pensa che in questo caso la politica abbia abdicato al proprio ruolo rifugiandosi dietro un governo tecnico? Non sarebbe stato meglio andare alle elezioni?
«Guardi che l'alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l'ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica».

Se il governo Monti durasse un anno e mezzo, cos'altro si dovrebbe fare oltre al risanamento finanziario?
«Una nuova legge elettorale e una riforma istituzionale che modifichi il bicameralismo perfetto e riduca drasticamente il numero dei parlamentari. Soprattutto così si tagliano i costi della politica».

Ma tra un anno e mezzo sarà ancora in piedi quell'alleanza con Vendola e Di Pietro che tutti i sondaggi consideravano vincente?
«Le alleanze non sono prodotti alimentari che scadono, non vanno a male se passa il tempo. Non mi spaventa che ci possano essere, in certi passaggi, opinioni diverse, ma occorrono correttezza e serietà nella discussione. In questo periodo non si devono scatenare polemiche assurde, perché questo sì, sarebbe lacerante. Dopo una settimana che si è votata la fiducia, dire che questo governo è un inciucio tra destra e Pd è inammissibile. E vorrei che si guardasse al di là dell'emergenza per realizzare una prospettiva di governo per il Paese. Si tratta di ricostruire l'Italia su basi più giuste e assicurare un futuro di progresso. Questo richiede un'alleanza che vada oltre il centrosinistra e punti a una collaborazione con il Terzo polo. Guai ad assumere oggi comportamenti che compromettano questa prospettiva».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/433667/
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« Risposta #58 inserito:: Agosto 23, 2013, 11:51:08 pm »

 Massimo D'Alema: "Gli italiani amano i pregiudicati come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo"

L'Huffington Post  |  Pubblicato: 23/08/2013 09:05 CEST  |  Aggiornato: 23/08/2013 09:52 CEST


Un Massimo D'Alema inedito, a tutto campo, parla alla festa del Pd di Taizzano, frazione di Narni. Affronta tutti gli argomenti di attualità, dalla questione Berlusconi al futuro di governo, da Matteo Renzi agli scenari legati alle elezioni anticipate, alla libertà di stampa. Racconta di sè e degli italiani "che - parole sue riportate da il Fatto Quotidiano- odiano i politici ma amano i pregiudicati come Berlusconi e Grillo".

Un Massimo D'Alema a ruota libera dunque che non lesina attacchi anche durissimi. A cominciare dai giornali: "In Italia - dice - la libertà di stampa non esiste. Tutti i giornali appartengono a gruppi del potere economico che li usano non per vendere, ma per attaccare o difendersi. Non per dare le notizie ma per nasconderle" E cita il caso del Corriere della Sera: "Ma pensate alla Fiat. Sta chiudendo tutte le fabbriche in Italia e nessuno lo scrive perché controllano La Stampa e il Corriere della Sera".

Dai giornali al futuro del Pd il passo è breve e su questo il leader maximo ha le idee chiare: "Per il futuro io immagino Gianni Cuperlo alla segreteria del partito. Un leader bravo esce dalla migliore scuola di politica: la mia". Su Renzi dice: "Lo vedo a Palazzo Chigi" e rivela: "Mi ha incuriosito, volevo conoscerlo, scoprire che genere di libri legge uno così. Alla fine non l'ho scoperto, ma lui è un ragazzo brillante".

Parla anche di Berlusconi e come già aveva fatto in un intervista al Messaggero consiglia al Cavaliere la strada delle dimissioni: "Primo o poi lo farà - rivela - potrà continuare a fare politica anche fuori dal parlamento". Come Grillo "che - dice D'Alema" è fuori dal Parlamento perché pregiudicato".

D'Alema poi è sicuro che la crisi di governo non ci sarà e che "se il centrodestra legherà il proprio destino a quello giudiziario di Berlusconi, bè si dovrà rassegnare a un declino senza ritorno". Ma se dovesse esserci il voto anticipato allora, secondo l'ex Premier - il Pd si farà trovare pronto: "Siamo 15 punti avanti e lui (Berlusconi, ndr) con Renzi leader. E anche se siamo specialisti nel perdere anche quando vinciamo, stavolta non faremo errori".

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/08/23/massimo-dalema-pregiudicati_n_3802194.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #59 inserito:: Agosto 25, 2013, 04:59:23 pm »

Politica
24/08/2013

D’Alema e Bersani già divisi sul dopo Letta

Carlo Bertini

Roma

Già in luglio, quando ancora doveva arrivare la sentenza, gli ex diessini di fede dalemiana andavano dicendo che in caso di condanna di Berlusconi un precipitare degli eventi in autunno avrebbe potuto produrre in chiave interna «il male minore: lasciare Palazzo Chigi a Renzi senza consegnargli pure il partito».

 

Gli altri però, cioè la tribù bersaniana, già prefigurava un altro schema, puntare tutto su Letta congelando Epifani alla segreteria. Se dunque si arrivasse ad una sfida Renzi-Letta per la premiership, il blocco ex diessino del Pd si spaccherà come una mela, visto che oggi puntualmente le due tesi vengono a galla. Gli uomini di Bersani addirittura non escludono si possa incoronare Letta come candidato alle urne senza passare per le primarie, tesi scartata perfino dagli uomini più vicini al premier. «Considero un esercizio di stile parlare di elezioni come se fossero scontate, ma siccome Letta sta facendo bene il premier, in questo momento è il miglior candidato: ma per sceglierlo andrebbero seguite le procedure ordinarie», dice Marco Meloni, lettiano doc. D’Alema invece punta su Renzi per Palazzo Chigi e su Gianni Cuperlo per la segreteria. E anche gli ex Ppi sono nel marasma. «Perché se il Pdl tira troppo la corda Enrico non si farà logorare e se rinunciasse al governo per difendere i nostri principi, potrebbe giocarsi poi al meglio questa carta nella sfida con Matteo», ragiona uno dei più alti in grado nel Pd che col premier parla due volte al dì. 

 

Dunque si capisce che lo sbocco delle urne non lo esclude più nessuno, casomai si discute sulla tempistica (marzo il mese più gettonato) posto che tutti son consci che Napolitano farà ogni cosa in suo potere per non sciogliere le Camere senza una nuova legge elettorale. Massimo D’Alema è il primo a parlar chiaro spiazzando i bersaniani che vorrebbero riuscire nell’ardua impresa di mettere insieme un ampio fronte anti-Renzi: un resoconto del «Fatto Quotidiano» di un suo discorso in un piccolo borgo dell’Umbria, liquidato come «distorto e forzato» dallo staff di D’Alema, apre comunque uno squarcio su quale sarà lo scenario nel Pd di qui alle prossime settimane: una lotta all’arma bianca. D’Alema infatti scarta a priori una ricandidatura di Letta, «un leader di transizione per un governo momentaneo, non sarà utile una seconda volta», ma si dice convinto che alla fine non ci sarà una crisi perché se si andasse alla conta in aula il centrodestra potrebbe dividersi. «Ma se vogliono andare ad elezioni, Berlusconi sa che con Renzi leader siamo 15 punti avanti a lui». 

 

E se non si può sapere cosa ne pensi Renzi di questo schema, «a ora l’unica corsa che c’è è quella per la segreteria, certo che lui punti a fare il premier non è un mistero, poi si vedrà», risponde il suo staff, ad alzare un fuoco di sbarramento contro i bersaniani ci pensano i suoi parlamentari. «Se dovesse precipitare tutto è evidente che più che un segretario andrà scelto un candidato premier», dice a Omnibus il responsabile organizzazione Davide Zoggia. Facendo capire che il nodo potrebbe essere sciolto negli organi dirigenti dove l’ex segretario ha ancora la maggioranza. «L’assemblea è sovrana. Personalmente mi pare che Letta abbia dimostrato una statura anche internazionale che va tenuta in grandissima considerazione». E scoppia la bagarre. «Chi la pensa così non è solo fuori di testa ma non fa i conti con Renzi e con la stragrande maggioranza dei nostri militanti che dopo l’ultima performance contro il giaguaro vorrebbero finalmente vincere di due lunghezze», reagisce tranchant Roberto Giachetti, renziano in servizio permanente effettivo. Duro al pari del collega Dario Nardella che si scaglia contro «questa idea autoritaria e autoreferenziale che potrebbe innescare una spirale suicida per il Partito democratico».

 

Stando così le cose, in una sfida tra Renzi e Letta per la premiership, il primo potrà contare sull’appoggio delle truppe dalemiane, a patto che accetti di non correre anche per la segreteria; e il secondo sull’asse Franceschini-Bersani-Epifani e su tutti gli ex Ppi alla Fioroni. Ha buon gioco quindi l’azzurro Osvaldo Napoli a trarre la conclusione che «nel Pd si stanno sbranando, con la scusa di Berlusconi, per piazzare ciascuno il proprio cavallo per la corsa elettorale».

da - http://lastampa.it/2013/08/24/italia/politica/dalema-e-bersani-gi-divisi-sul-dopo-letta-aZPtjqeAyY8Q7BsWa6N54L/pagina.html
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