LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. => Discussione aperta da: Admin - Luglio 06, 2007, 09:27:09 am



Titolo: D’ALEMA.
Inserito da: Admin - Luglio 06, 2007, 09:27:09 am
L'instabilità delle coalizioni, problema drammatico della nostra transizione «All'Italia mancano grandi scelte bipartisan»

D'Alema: «Per continuare ad avere peso nel mondo, legge elettorale e riforme costituzionali».

Con gli Stati Uniti raporti leali 

 
ROMA — Il mondo cambia e il sistema Italia rischia di pagar cari i suoi ritardi. Ne è convinto il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, che indica nelle riforme istituzionali la via da seguire per non perdere peso sulla scena internazionale.

Ministro, la crisi del multilateralismo ci obbliga a una presa di coscienza delle nuove responsabilità nazionali?
«Siamo in una fase che è segnata dalla crisi della politica unilaterale americana e di un certo approccio ideologico al tema della lotta al terrorismo. Ma ciò non sta portando a un multilateralismo ordinato e idilliaco. Oggi prevale quella che chiamerei una caotica molteplicità, accentuata dalla debolezza degli organismi internazionali. Si pensi alle difficoltà incontrate nella riforma dell'Onu, e alla Wto che non riesce a portare a termine il negoziato di Doha sul commercio mondiale. In realtà, anche come risposta alle spinte omologanti della globalizzazione, noi assistiamo a un forte ritorno degli Stati nazionali. Lo Stato e le relazioni tra Stati ridiventano dimensioni cruciali della politica estera. Anche della politica estera italiana» .

Ne abbiamo avuto un esempio all'ultimo vertice europeo?
«Certamente. Io considero positivo il faticoso compromesso raggiunto, anche se giustamente chi si aspettava di più sulla via dell'integrazione è rimasto deluso. Nell'Europa a ventisette il peso dei singoli Stati è cresciuto, soprattutto quello dei maggiori Paesi. Come è cresciuto il peso delle coalizioni di Stati. In questa situazione siamo riusciti a difendere le principali innovazioni istituzionali, e questo è un passo avanti importante. È vero che Germania, Francia e Gran Bretagna hanno svolto un ruolo particolare, ma è anche vero che una coalizione di Paesi più europeisti guidata dall'Italia e dalla Spagna ha avuto un peso sull'esito finale. Questa per noi è una lezione interessante. Dobbiamo avere la capacità di costruire coalizioni attorno a obbiettivi concreti, soprattutto ora che non siamo più al cospetto della tradizionale locomotiva franco-tedesca».

Andiamo verso l'Europa delle due velocità o delle cooperazioni rafforzate: l'Italia è pronta a farsi valere?
«Intanto voglio dire che oggi in Europa e nel mondo l'Italia conta più di quanto contasse un anno fa. Siamo stati eletti nel Consiglio di sicurezza e nel Consiglio dei diritti umani, abbiamo svolto un ruolo centrale nell'operazione Onu in Libano, siamo interlocutori ascoltati su tutte le principali questioni internazionali. In Europa, dopo la conferenza intergovernativa, si porrà il grande problema di come rafforzare la cooperazione tra i Paesi che lo vogliono fare. All'insegna di una necessaria flessibilità avremo tavoli diversi su temi diversi, e importante non sarà la partecipazione di tutti bensì che ci sia un gruppo di Paesi presenti a tutti i tavoli. Tre saranno cruciali: quello sui contenuti di politica economica nell'area dell'euro, quello sulla giustizia, la sicurezza e l'immigrazione, e quello sulla difesa e la lotta al terrorismo globale».

Abbiamo dunque il ritorno degli Stati sulla scena internazionale e una Europa nella quale avanzeranno gli Stati e le coalizioni di Stati. Ma l'Italia, è pronta?
«Bisogna ricordare che in Italia il multilateralismo è stato tradizionalmente un modo di ingessare le difficoltà del Paese. Come quando ti rompi una gamba e metti un tutore esterno. Ora che il sistema multilaterale diventa fragile e meno vincolante, noi diventiamo più liberi. Ma anche più liberi di sbagliare e di evidenziare le nostre debolezze. Nel nuovo sistema che va prevalendo nel mondo come in Europa per essere coinvolti e ascoltati bisogna essere in grado di dare, di offrire qualcosa di concreto. Una volta ci bastava la collocazione geopolitica che ci rendeva necessari. Oggi siamo meno necessari, le relazioni diventano variabili e noi conteremo soltanto per quello che sapremo portare. Ecco allora che sorgono gli ostacoli e che diventano evidenti le nostre debolezze: la fragilità del nostro sistema politico, l'assenza di grandi scelte bipartisan in grado di dare indirizzi durevoli alla politica estera, la mancanza di stabilità e dunque di prevedibilità. Altri Paesi hanno istituzioni che rappresentano da sole una garanzia. Si pensi al presidente francese Sarkozy: lui sarà sicuramente il capo della politica estera francese per i prossimi cinque anni, forse per i prossimi dieci. Esiste qualcosa di paragonabile, in Italia? Noi abbiamo un sistema politico estremamente frammentato che rischiamo di pagare caro sulla scena internazionale ».

Come se ne esce?
«Quello dell'instabilità delle coalizioni è il problema più drammaticamente irrisolto della transizione italiana. Se noi vogliamo continuare ad avere un peso in politica estera dobbiamo capire che l'Italia è come una provinciale di lusso che combatte per non retrocedere e nella migliore delle ipotesi può arrivare in zona Uefa. Per passare dalla parte bassa alla parte alta della classifica occorre che l'intera nostra classe dirigente, i politici, ma anche gli imprenditori, gli uomini di cultura, i responsabili della scuola e della ricerca, insomma tutta la classe dirigente maturi una consapevolezza nuova delle responsabilità nazionali. E poi serve la stabilità. Che si può ottenere con una riforma elettorale, ma che richiede anche un minimo pacchetto di riforme costituzionali in grado di rafforzare il governo e di rendere il rapporto tra governo e parlamento meno confuso e meno paralizzante. Soltanto così si può arrivare a correggere il processo decisionale, che è la chiave di tutto. Una democrazia che non decide è una democrazia svuotata».

Ministro, abbiamo qualche carta da giocare accanto alle molte debolezze?
«Certo che le abbiamo. Alcune le ho citate, ma voglio soffermarmi qui sulle relazioni con gli Usa. Contrariamente a quanto alcuni pensano il nostro rapporto con gli Stati Uniti, pur nell'ambito di una normale dialettica che talvolta rende esplicitamente diverse le nostre opinioni, è rimasto un rapporto speciale. L'America apprezza le responsabilità internazionali che l'Italia si è assunta. E aggiungo che vengono apprezzate anche le relazioni amichevoli che abbiamo con il Mondo arabo o con la Russia: se noi utilizziamo queste capacità di dialogo non in funzione antiamericana ma al contrario per dare una mano all'America, possiamo svolgere una funzione utile. Quel che conta è la piena lealtà: non tutti in Italia se ne rendono conto, ma per gli Usa la lealtà nei rapporti è più importante dell'essere sempre d'accordo. E noi con l'America siamo amici leali».

Potremmo essere utili in Siria, per esempio?
«Io non mi nascondo le responsabilità della Siria e l'ambiguità della sua politica in Libano. Ma credo che dobbiamo cercare di capire anche tutta la difficoltà della posizione siriana. Gli equilibri interni sono sconvolti dall'afflusso di un milione e mezzo di profughi dall'Iraq, e una destabilizzazione della Siria non gioverebbe certo all'insieme della situazione mediorientale. Dunque, nessuno sconto e noi non ne abbiamo fatti. Ma alla Siria occorre offrire anche una prospettiva che serva da incentivo. Le politiche di isolamento non hanno mai dato risultati positivi».

A cosa porterà il divorzio tra Gaza e Cisgiordania?
«Io avevo salutato come un fatto molto positivo il governo palestinese di unità nazionale. Mi sembrava e mi sembra che senza una collaborazione tra le forze principali della società palestinese non si costruisce alcuno Stato palestinese. La guerra civile non serve ai palestinesi, e spingerli in questa direzione è un errore anche per la sicurezza di Israele. In questo momento va sostenuto Abu Mazen, ma il problema è come lo si sostiene. Bisogna offrirgli i mezzi per migliorare la qualità della vita dei palestinesi, e non soltanto con strumenti finanziari. Va allentata la morsa dell'occupazione e della colonizzazione, e gli va offerto un accordo di pace plausibile per tutte le parti in causa. Se non si fa questo in realtà non lo si aiuta, perché non lo si mette in condizione di dare una prospettiva nuova ai palestinesi. Se invece Abu Mazen avesse le carte giuste nelle sue mani, i moderati si troverebbero in una posizione di forza e potrebbero tornare a un processo di conciliazione con Hamas».

Torniamo al multilateralismo: il Kosovo lo metterà alla prova?
«Le modalità dell'indipendenza del Kosovo sono un test cruciale per l'Europa e per il multilateralismo. Se in una realtà che è vitale per la sicurezza dell'Europa e totalmente sulle sue spalle dal punto di vista finanziario l'Ue non riesce a farsi sentire, tanto vale dichiarare fallimento. Dobbiamo convincere gli americani che una proclamazione unilaterale di indipendenza sarebbe lacerante, i serbi che la loro battaglia è anacronistica, e i russi che la loro contrarietà a una risoluzione Onu mette seriamente a rischio i rapporti con l'Europa. Io penso che una delegazione europea dovrebbe andare a Mosca per spiegarlo a Vladimir Putin».

E sullo scuso anti missile, come vede le proposte di Putin?
«La vicenda era nata male, anche la Nato era stata emarginata dai piani Usa. Ora stiamo tornando sulla via giusta, che è quella di coinvolgere tutti, Russia compresa, in un sistema di sicurezza contro le minacce missilistiche».

Franco Venturini
06 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Perché la concertazione si è impantanata
Inserito da: Admin - Luglio 06, 2007, 09:41:16 am
Il trionfo dei veti

Perché la concertazione si è impantanata
 di MAURIZIO FERRERA


La lunga trattativa sulle pensioni ha di nuovo acceso i riflettori sulla cosiddetta «concertazione» e in particolare sul potere di veto di cui sembrano godere i sindacati quando si cerca di riformare il welfare. Questo dibattito non è solo italiano. Toccare i diritti previdenziali è un'operazione delicatissima, che ha provocato turbolenze politiche e sociali in molti Paesi, spesso a causa delle intransigenze sindacali. L'osservazione comparata rivela tuttavia che il metodo seguito nell'attuale vertenza sullo scalone è decisamente anomalo rispetto alle esperienze straniere. In che cosa consiste l'anomalia? Nel fatto che governo e sindacati non stanno in realtà facendo nessuna concertazione. Ciò a cui stiamo assistendo è piuttosto un caso di contrattazione «bruta» fra una moltitudine di soggetti (esponenti del governo, della maggioranza, del mondo sindacale) che si muovono in ordine sparso, che trattano fra loro in forme assai poco trasparenti, che promuovono o difendono interessi dichiaratamente di parte. Concertare una riforma pensionistica non vuol dire «aprire un tavolo » fra governo e parti sociali e poi vedere che succede. Significa partire da una diagnosi sufficientemente condivisa dei problemi da affrontare, considerando gli interessi di tutti coloro che sono toccati anche indirettamente dalle decisioni (compresi i giovani, ovviamente).

Significa predisporre un’adeguata base di informazioni, accessibile a tutti, per identificare con chiarezza gli scenari alternativi e le loro implicazioni. Nei processi decisionali concertati i sindacati sono gli interlocutori più importanti del governo. Ma essi non possono sottrarsi al dovere di motivare le proprie posizioni con buoni argomenti e buoni dati, di giustificare ciò che propongono in chiave di «interesse generale ». Se mancano queste condizioni, perché un sistema democratico dovrebbe delegare responsabilità decisionali (o addirittura riconoscere potere di interdizione) a soggetti privi di legittimità elettorale, espliciti portatori di interessi particolari? Come emerge da un ampio studio appena pubblicato da Oxford University Press (lo «Handbook of Pension Politics»), i casi dell'Austria, dell'Olanda, della Spagna e della Finlandia offrono numerosi esempi di riforme concertate (nel senso stretto e autentico del termine). La riforma pensionistica finlandese del 2005 costituisce forse l'esempio più riuscito: le parti sociali hanno fatto quasi tutto da sole, con l'aiuto di una commissione di esperti.

Occorre però notare che la concertazione non è l'unico metodo per cambiare il welfare. In Svezia le pensioni sono state riformate grazie a un accordo bipartisan fra governo e opposizione, che ha consentito di superare le resistenze sindacali. La distanza che ci separa da queste esperienze è enorme. Il problema italiano è che sulle grandi questioni che riguardano tutti i cittadini (come appunto le pensioni) il sistema politico non è capace di seguire né la strada della concertazione né quella degli accordi bipartisan. Non avendo i numeri e la compattezza per decidere da solo, il governo si trova così impantanato in un logorante e improduttivo tiro alla fune fra interessi contrapposti, anche al proprio interno. Altro chemetodo della concertazione: sulla riforma dello scalone la politica italiana sta rapidamente degenerando verso il metodo del conflitto di tutti contro tutti. Il quale certo non produrrà alcun provvedimento serio, ma solo ulteriore disorientamento e sfiducia nella «politica» da parte dei cittadini, soprattutto quelli più giovani.

06 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: FORLEO: D'ALEMA, MAI PRESSIONI, MI TUTELERO'
Inserito da: Admin - Novembre 08, 2007, 09:37:17 pm
2007-11-08 16:51

FORLEO: D'ALEMA, MAI PRESSIONI, MI TUTELERO'


 ROMA - "Non ho mai esercitato pressioni di alcun genere sulla magistratura". Massimo D'Alema, in una nota, interviene dopo le notizie pubblicate in questi giorni circa "presunti timori o pressioni che avrei esercitato in relazione alle indagini giudiziarie", per chiarire la sua posizione e annunciare che, comunque, di fronte a quanto pubblicato stamattina dai giornali, ha dato mandato ai suoi legali "di compiere gli atti giudiziari necessari per ristabilire la verità e tutelare la mia onorabilità".

"A proposito di notizie relative a presunti timori o pressioni che avrei esercitato in relazione alle indagini giudiziarie - afferma il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri - intendo chiarire che:1. le intercettazioni telefoniche che mi riguardano sono depositate presso il Tribunale di Milano e ognuno può constatare che esse, peraltro già rese pubbliche, non contengono alcun giudizio su personalità politiche; 2. non conosco il Procuratore generale Blandini né ho avuto contatti con alcun magistrato milanese né ho mai esercitato pressioni di alcun genere sulla magistratura; 3. non conosco il contenuto delle dichiarazioni della dottoressa Forleo di fronte al Csm che d'altro canto sono, o dovrebbero essere, secretate". "Visti tuttavia i giornali - conclude D'Alema - ho dato mandato ai miei legali di compiere gli atti giudiziari necessari per ristabilire la verità e tutelare la mia onorabilità".

BLANDINI SMENTISCE FORLEO, NESSUNA TELEFONATA DAL MINISTRO
Al Gip Clementina Forleo il Procuratore Generale di Milano Mario Blandini ha sempre dato "consigli richiesti da lei". L'alto magistrato ha così commentato le dichiarazioni che il Gip milanese ha fatto al Csm. Clementina Forleo aveva parlato di consigli da parte di Blandini a proposito del deposito delle intercettazioni nel caso Antonveneta e avrebbe detto che il Pg gli aveva manifestato timori del ministro degli Esteri Massimo D'Alema sul fatto che potessero essere rese note alcune sue conversazioni con apprezzamenti relativi a colleghi di partito. "Non ho mai ricevuto nessuna telefonata da D'Alema e da nessun altro - ha spiegato Blandini - e mi lamenterò presso il Csm in quanto ciò che avrebbe detto la dottoressa Forleo mi è stato reso noto dagli organi di stampa".

PG BLANDINI, SUO MOMENTO DI DIFFICOLTA' PSICOLOGICA
Il Procuratore Generale di Milano Mario Blandini ha spiegato, in riferimento alle dichiarazioni fatte dal Gip di Milano Clementina Forleo al Csm, che i consigli chiesti dalla collega derivavano "dal rapporto instauratosi negli anni quando ero presidente dell'ufficio Gip". "E' accaduto molto spesso negli anni - ha detto Blandini - e, a proposito di Antonveneta, cominciò a chiedermi consigli quando divenne assegnataria del procedimento". Il procuratore generale di Milano attribuisce a un "momento di sua difficoltà psicologica" il fatto che la Forleo, stando a quanto si è appreso, davanti al Csm avrebbe sostanzialmente smentito d'aver mai parlato di pressioni da parte di ambienti istituzionali. "Nell' ultimo anno e mezzo è stata sottoposta a un fuoco di fila di accadimenti- ha detto Blandini -. E questo é umanamente comprensibile".

IL CSM AI PM DI BRESCIA, TRASMETTETECI LA DEPOSIZIONE DEL GIP
Il Csm chiederà alla procura di Brescia la trasmissione dei verbali della deposizione del gip di Milano Clementina Forleo sulla pressioni che avrebbe ricevuto mentre conduceva l'inchiesta sulle scalate bancarie. Lo ha stabilito la Prima Commissione di Palazzo dei marescialli. E' slittata, invece ,a lunedì prossimo la decisione su nuove audizioni, che secondo la proposta della vice presidente della Commissione Letizia Vacca, dovrebbero riguardare il pg di Milano Mario Blandini, il presidente del tribunale Livia Pomodoro e i due pm di Brindisi chiamati in causa da Forleo Santacaterina e Negro. 

da ansa.it


Titolo: Antonio Macaluso D’Alema un errore buttare all’aria il lavoro sulla bozza Bianco
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2008, 04:52:40 pm
Il Pd L’intervista

«Politici e giudici, non è scontro tra caste»

D’Alema: un errore buttare all’aria il lavoro sulla bozza Bianco.

Il referendum? Non risolve


Lancia l’idea di un grande patto tra le principali forze sociali del Paese; evita accuratamente di bollare le nuove tensioni tra magistrati e politici come scontro tra caste — «piuttosto esiste un problema comune di classi dirigenti» —;rilancia la necessità delle riforme sulla base della bozza Bianco e del progetto costituzionale di cui si discute alla Camera; richiama al dialogo il mondo laico e quello cattolico.

Ministro D’Alema chi ha ragione, Mastella o i magistrati? Stiamo tornando al ’92, alla crisi della prima Repubblica?
«Io credo sia stato completamente sbagliato in questi anni il modo di impostare il confronto tra politica e magistratura, tra mondo economico e magistratura e così via. La chiave di interpretazione della crisi come conflitto tra poteri, corporazioni, caste — in cui quella più debole è la casta eletta dal popolo, quella politica — è sbagliata. Ed un’analisi errata, che per di più eccita uno scontro corporativo, impedisce di trovare vie d’uscita. Io credo, viceversa, che ci sia una crisi della classe dirigente del Paese, un prevalere di particolarismi, a volte un venir meno della misura che è anche un venir meno del senso della responsabilità. Il problema, dunque, mi pare più ampio e profondo. Da questo punto di vista, mentre nel ’92 la magistratura appariva come l’indice del senso dello Stato contro l’arroganza del ceto politico, oggi questa raffigurazione apparirebbe semplicistica e spesso non vera».

Questa inchiesta, quella che ha coinvolto la famiglia del ministro Mastella, la convince o no?
«Non conosco le carte. Dalle ricostruzioni e dalle dichiarazioni che ho ascoltato, gli arresti effettuati mi sembrano una forzatura incomprensibile ».

Aveva ragione Berlusconi quando voleva la separazione delle carriere dei magistrati?
«Il punto non è questo. Anche perché la magistratura giudicante ha sempre dimostrato una notevole autonomia e senso dell’equilibrio. Non dimentichiamo che molti di questi casi di cui si discute finiscono con clamorose assoluzioni. Naturalmente, a volte, senza che lo si sappia e dopo aver rovinato la vita di una persona».

Stavolta, il ministro della Giustizia ci ha rimesso il posto.
«Un atto di serietà e responsabilità, tenuto conto che Mastella aveva avuto una grande solidarietà in Parlamento, ben al di là dei confini della maggioranza. Ha dimostrato, come in altre circostanze, di essere una persona seria».

Per il governo, comunque, è un duro colpo in una situazione già difficile di una maggioranza provata.
«La maggioranza è provata dal fatto di avere numeri ristretti al Senato. Proprio per questa condizione di partenza, la sua tenuta finora risulta eccezionale. E certo c’è una difficoltà del governo, c’è un’opposizione divisa, c’è una legge elettorale sub iudice. Ma io credo che l’emergenza più grave che dobbiamo affrontare, pena il rinchiudersi in un atteggiamento autoreferenziale, sia il malessere sociale del Paese. C’è una sofferenza di tante famiglie, in particolare quelle monoreddito e comunque di lavoratori dipendenti. Questa situazione rappresenta anche il più grande freno allo sviluppo e al rilancio dell’economia. Mentre recuperiamo competitività internazionale, anche in settori di tecnologia avanzata—fenomeno che impressiona all’estero— soffriamo di una contrazione dei consumi e di una caduta di aspettative. Allora è essenziale un rilancio dell’azione di governo, che coinvolga le forze fondamentali del Paese, non in una logica di contrapposizione. Occorre intervenire sul potere d’acquisto, migliorare la condizione delle famiglie, puntare sulla crescita della produttività. Il governo dovrebbe promuovere un nuovo Patto tra le forze fondamentali del Paese, mettendoci di suo una riduzione della fiscalità sul lavoro, che consenta un miglioramento delle retribuzioni e un rilancio dell’innovazione e della formazione, essenziali proprio per vincere la sfida della competizione internazionale ».

Con quali energie e risorse?
«Si tratta di chiamare a raccolta il mondo della cultura, dell’impresa, del lavoro. Si possono mobilitare grandi risorse, penso ad esempio ad istituzioni come le Fondazioni bancarie, che già investono nella ricerca e potrebbero farlo in modo più coordinato ed efficace intorno a grandi progetti nazionali, volti a sostenere le nostre eccellenze, a potenziare le posizioni di leadership. Un’azione forte di questo tipo potrebbe consentirci di affrontare meglio i rischi di una crisi internazionale di cui si avvertono le avvisaglie ».

E la riforma elettorale? Il momento delle schermaglie è finito: ora, o si fa o si va al referendum.
«Certo. Anche se il referendum non risolverebbe, non è il giudizio di Dio. Il sistema elettorale che ne verrebbe fuori rischia di creare ulteriore confusione».

Meglio fare la legge, dunque.
«Certamente, ma comunque anche in caso di referendum, il Parlamento dovrebbe intervenire. La Camera ha approvato in commissione una riforma costituzionale che si ispira al modello tedesco, con il voto favorevole della maggioranza e l’astensione dell’opposizione. Il che lascia pensare che ci sia un certo grado di convergenza, se le cose hanno un senso. Questa riforma non prevede il presidenzialismo, prevede il rafforzamento dei poteri del premier e vi è inoltre un’intesa per introdurre la sfiducia costruttiva. Ora ci si aspetterebbe, in un Paese ben ordinato, dove c’è un minimo di logica, che il Senato lavori su una riforma elettorale coerente come quella delineata nella bozza Bianco, la quale non è affatto una fotocopia del sistema tedesco, ma il tentativo di adattare quel sistema al nostro Paese, alle caratteristiche del nostro sistema politico. Operazione che ho sempre sostenuto e sostengo, essendo favorevole, ad esempio, ad un voto unico per il collegio uninominale e per il proporzionale, piuttosto che ad un doppio voto. Adesso sarebbe un errore sprecare questa opportunità, buttando all’aria il lavoro fatto alla Camera e al Senato in modo ragionevole e coerente».

Ma Berlusconi non ne vuole sentire parlare.
«In realtà, il problema è che non si capisce se Berlusconi voglia fare le riforme o le elezioni, non tanto il merito della legge elettorale, tema sul quale ha espresso cinque opinioni diverse nelle ultime settimane. Inviterei Berlusconi a continuare in modo costruttivo il dialogo per le riforme nell’interesse del Paese».

Se ci si avvierà al referendum, Rifondazione comunista minaccia la crisi.
«Non ho sentito questa minaccia e non credo si arriverebbe a questo. Una ritorsione contro il governo sarebbe solo autolesionismo ».

Se ci sarà crisi, esiste l’ipotesi di un governo istituzionale?
«Chi sta in un governo non fa scenari di nuovi esecutivi, è eticamente incompatibile. Stiamo lavorando per rilanciare l’azione di questo governo».

Anche se tanti la considerano sempre l’uomo che trama. Sabato prossimo c’è il decennale della sua Fondazione, Italianieuropei, e in molti ci vedono la nascita della corrente nel Partito democratico...
«Sono un complottatore talmente raffinato che abbiamo progettato dieci anni fa questo evento allo scopo di creare oggi una nuova corrente. Si direbbe un complotto lungimirante... ».

Le prime mosse del Pd l’hanno convinta?
«Stiamo lavorando, discutendo, ci stiamo confrontando».

Litigando...
«Sbaglia e di molto chi continua a descrivere un Veltroni accerchiato da "emissari dei vecchi partiti", peraltro gente eletta democraticamente. Una raffigurazione dannosa anche per Veltroni perché lo rappresenta in balia di complottardi ».

Ma neanche si può parlare di una brigata di vecchi amici...
«C’è discussione su molti temi come è normale nel momento in cui nasce il nuovo partito ».

Uno dei punti delicati della discussione riguarda il concetto di laicità e, più in particolare, i rapporti con la Chiesa. Il cardinal Bertone si è spinto a dire che si trattava meglio con l’ex Pci.
«È un errore raffigurare questi problemi come esclusivamente italiani. In realtà il tema del rapporto tra agire politico, scelte legislative e fedi religiose è un problema mondiale. Basta pensare a quello che succede negli Stati Uniti o, per altri aspetti, nel mondo musulmano. Sono la stessa crisi e insicurezza nel tempo in cui viviamo e la caduta delle grandi "visioni laiche" del mondo, che hanno sorretto l’agire politico, a proporre in modo nuovo questo tema. Bisogna rifuggire dalla tentazione dell’integrismo da una parte e dall’altra. Questo vale per i laici ma anche per la Chiesa. Guai se non vedessimo quale straordinaria risorsa etica e politica sia la presenza cristiana nella società italiana, ma sarebbe anche un grave errore da parte dei cattolici considerarsi come i monopolisti dell’etica. C’è un’etica laica della responsabilità e della libertà con cui si deve dialogare. Ma proprio per questo, i laici sbaglierebbero a chiudersi in una posizione minoritaria e rancorosa. Inoltre, il legislatore non può mai dimenticare che le leggi sono per tutti e devono quindi riflettere un compromesso accettabile per tutti».

Domani alcuni esponenti del Pd saranno in piazza San Pietro in risposta alla chiamata del cardinal Ruini.
«Anche io una volta ho risposto all’appello ad andare in piazza San Pietro, in quel caso era per la pace. Laicamente e liberamente si può scegliere l’appello al quale aderire».

Antonio Macaluso
19 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: La carta di D'Alema: subito il referendum
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2008, 04:27:10 pm
Così si andrebbe al voto non prima nel 2009. E si metterebbe in difficoltà la Cdl

La carta di D'Alema: subito il referendum

La strategia del vicepremier: alle urne ad aprile per modificare con il sì la legge elettorale

 
ROMA - E' la carta segreta che spiazzerà il centrodestra. L'idea l'ha avuta Massimo D'Alema. Una mossa degna di un politico abile qual è lui per sparigliare la partita che si sta giocando con Berlusconi. Non riesce il tentativo Marini? O comunque riesce per il rotto della cuffia? Bene, il ministro degli Esteri ha in serbo un'iniziativa che difficilmente il Cavaliere potrà contrastare. D'Alema l'ha suggerita a Giorgio Napolitano, che in queste ore la sta vagliando: indire il referendum elettorale in aprile. Dopodiché si vada pure alle elezioni. Ovviamente, come minimo in giugno, se non oltre.

La Corte costituzionale ha annunciato che il sistema elettorale vigente ha delle «carenze». Il che, tradotto in parole povere, significa che secondo la Consulta la legge aveva bisogno di aggiustamenti anche a prescindere dal referendum. Una spinta in più per fare una riforma: e per centrare l'obiettivo di un sistema elettorale compiuto si potrebbe arrivare fino al 2009.

Una mossa, quella di D'Alema, che creerà qualche problema nel centrosinistra (anche se Rifondazione ha già lasciato intendere che è pronta anche ad affrontare questo appuntamento). Ma che, sicuramente, provocherà uno sconquasso dall'altra parte della barricata. Nella Casa delle Libertà, infatti, c'è Fini, che quel referendum l'ha firmato. C'è Berlusconi, che finora è riuscito a non esprimersi in proposito. C'è la Lega che è contraria. Ma, soprattutto, c'è quell'Udc che avrebbe dovuto essere l'interlocutore del centrosinistra sulle riforme — e sul prolungamento della legislatura — che vede nel referendum la certificazione della fine della propria autonomia (e, forse, anche, della propria sopravvivenza).

Non è un caso che appena il tam tam sulla mossa escogitata da D'Alema giunge alle orecchie di Berlusconi, il Cavaliere resti interdetto: «Certamente questa è una mossa insidiosa», dice Berlusconi a Fini e Letta. Non è la prima volta e non sarà l'ultima che D'Alema prende in mano le redini del gioco per scongiurare una fine prematura per il centrosinistra. E Veltroni, che pure teme che questa operazione serva ad andare avanti e a indebolirlo, non può certo contrastarla. Qualche mese in più serve soprattutto a lui. E comunque un referendario della prima ora come il sindaco deve comportarsi di conseguenza. Perché è vero che il leader del Pd non ha firmato il referendum, come invece hanno fatto Parisi e Bindi, ma è anche vero che non può essere colui che lo ostacola. La sua storia politica non lo permette.

Il che non significa che Veltroni non abbia dei dubbi. Primo, «anche se passerà la legge del referendum io mi rifiuto di fare un'ammucchiata in cui tutti stanno con tutti, con le conseguenze che si sono viste con questa coalizione e questo governo». Per Veltroni questo è un punto fermo. Di più. Il sindaco aveva sfidato Berlusconi, anche nel loro secondo incontro riservato, ad andare da solo alle elezioni, anche nel caso in cui si fosse fatto il referendum. Ma c'è un altro dubbio che assilla Veltroni, il quale è scettico sulla riuscita della consultazione. E' già accaduto per gli altri due referendum elettorali: il quorum non è stato raggiunto. Chi ha detto che questa volta accada il contrario?

Eppure, tra scetticismi, dubbi e tentativi di Marini, quella di D'Alema si rivela come l'unica mossa capace di mettere in difficoltà il Cavaliere e di dare del filo da torcere al centrodestra. «Perché — è il ragionamento del ministro degli Esteri — dovremmo togliere agli italiani questa occasione per esprimersi? ». Dunque, forte di 800 mila firme in calce ai quesiti referendari, il Quirinale potrebbe indire la data del referendum. E non è un caso che i vertici del Prc, avvertiti anzitempo di questa eventualità, non alzino le barricate, ma facciano sapere: «In fondo con il referendum non andrebbe tanto male neanche a noi». E soprattutto non andrebbe male al centrosinistra che prenderebbe fiato e tempo per rinserrare le fila e tentare una campagna elettorale che altrimenti sarebbe persa in partenza.

Maria Teresa Meli
31 gennaio 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema in tv: «Per il Pd ora sbagliato isolarsi»
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2008, 09:46:42 pm
D'Alema in tv: «Per il Pd ora sbagliato isolarsi»


Quella del 13 e 14 aprile è stata «una sconfitta grave e di lungo periodo», dovuta a «quella sintonia tra Berlusconi, il berlusconismo e il Paese cominciata nel '94 e mai finita».
Massimo D'Alema appare domenica in tv nel programma post-tg di Lucia Annunziata, "In mezz'ora" e racconta la sua versione dell'accaduto e le sue ricette per il futuro. Un futuro che vede ancora targato centrosinistra, con la ricostruzione di un rapporto più largo di forze, oltre il Pd. Mentre appare scettico sulla volontà di dialogo sulle riforme della nuova maggioranza di destra.

L'analisi di D'Alema parte da quella che segnala come «una lacerazione tra istituzioni, partiti e società civile», di cui in effetti aveva già parlato tra i primi molti mesi prima del voto. Questo vuoto, sostiene, è stato in qualche modo colmato da Berlusconi e dal berlusconismo, mentre il centrosinistra - «noi», dice - «non siamo riusciti a dare risposte persuasive».

«Le risposte della destra sono illusorie, ma sono apparse più persuasive delle nostre», anche perchè «abbiamo scontato le difficoltà per le resistenze della sinistra più radicale».

La formula del Pd «è molto più competitiva di quanto non sia stata quella dei Progressisti nel '94, perché più spostata al centro, ma il bipolarismo non significa necessariamente bipartitismo» e qui la riflessione si concentra sulle scelte elettorali. «Neppure quello di Berlusconi è un modello bipartitico, tant'è vero che senza la Lega perse, proprio come oggi non avrebbe vinto senza la Lega. Allora, la più grande forza dell'opposizione deve stabilire un buon rapporto con tutte le forze d'opposizione al governo Berlusconi, anche per le elezioni locali. Dove si vota con un sistema basato sulle coalizioni - rimarca - chi ha il 33 per cento sbaglierebbe se alla vigilia del voto sostenesse l'autosufficienza...».

Lucia Annunziata lo invita a tracciare una sorta di "road map" per il Partito Democratico. Ma D'Alema in questo caso non è super partes come dalla Farnesina rispetto agli attori in gioco nella politica mediorientale.

Le alleanze per lui «non si fanno su base sociologica ma politica e programmatica». Quindi «è doveroso realizzarle tra le forze che si oppongono alla destra ma senza snaturare il senso del nostro partito». Certo, «guai se ci si rifugiasse nel settarismo», ma il canale deve restare aperto.

Così sul partito nuovo, l'ex vicepremier rivendica l'indicazione di «una struttura federale», che però non abbia nel territorio «dei fiduciari ma dei leader, che devono quindi avere un peso nella vita politica nazionale».

Quanto al rapporto con la maggioranza berlusconiana per le riforme, D'Alema esprime forti perplessità. «Se guardo al passato - afferma ricordando il suo passato come presidente della Bicamerale - l'esperienza del dialogo sulle riforme è stata molto negativa». Certamente, precisa «ciò che riserva il futuro non è sempre ciò che arriva dal passato». Ma, avverte, «la destra ha una concezione padronale delle istituzioni, quella per cui chi vince ne è padrone. Quell'istinto c'è ancora, spero che la destra riesca stavolta a dominarlo». « Si può sperare, ma non è facile», conclude. Tentare è doveroso, dunque, anche perché « alcune grandi riforme si possono fare solo con un certo grado di convergenza». Ma con prudenza.

D'Alema durante la mezz'ora di colloquio in diretta con la sua interlocutrice tocca anche altri temi, di attualità. Come la vicenda delle dichiarazioni dei redditi messe online. Una vicenda su cui non si sente molto indignato di fronte alla possibile violazione della privacy. «Sinceramente, si può ragionare sull'opportunità ma non mi sembra una violazione così paurosa», dice.

La Annunziata gli pone una domanda sul tasso di coerenza dei critici della «casta» misurato sul loro reddito, e l'ex ministro risponde con una frecciata verso i giornalisti: «Sapevo già che alcuni di quei moralisti che scrivono sui giornali guadagnano 10 volte quello che guadagniamo noi politici, malgrado che questo non corrisponda minimamente a un valore di mercato, visto - sottolinea - che i giornali in Italia non si vendono. È una casta anche quella, ma molto meglio protetta della nostra».

Ma la sua non è la crociata di Beppe Grillo contro la «casta dei giornalisti». «Grillo non lo seguo, esprimo opinioni fondate su dati di fatto», rivendica D'Alema che comunque rinnova la stoccata quando si tocca il tema dei poteri forti che «utilizzano i mezzi di informazione per tenere la politica sotto scopa».

A D'Alema in tv, risponde da Chianciano nella giornata conclusiva dell'assise dei Mille, Marco Pannella, che a proposito della riflessione sulla necessità del Pd ora di non isolarsi, dice: «Se otto mesi fa fosse stata fatta una riflessione simile, ci saremmo risparmiati la sconfitta». Per Pannellala «sconfitta è figlia della inadeguatezza del Pd». E se D'Alema ha prospettato di «cercare di coalizzare tutte le forze che si oppongono alla destra», il leader dei Radicali va oltre apprezzando invece l'intervento di Cesare Salvi di Sd per aver proposto a Chianciano di costruire «un nuovo centrosinistra».


Pubblicato il: 04.05.08
Modificato il: 04.05.08 alle ore 18.53   
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Titolo: D'Alema: la destra impari dagli errori
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2008, 09:47:28 pm
4/5/2008 (17:55) - L'EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO A TUTTO CAMPO


D'Alema: la destra impari dagli errori
 
Il ministro degli Esteri: ingerenze intollerabili, Calderoli fu inopportuno


ROMA
«Il vero problema italiano è che da noi i poteri forti non ci sono» e Silvio Berlusconi «è l’espressione di questo capitalismo, è il capo, ne è il rappresentante più significativo». Massimo D’Alema, ospite del programma "In mezz'ora", sferza il premier in pectore, spiegando che- quello italiano- è un capitalismo che «ha bisogno del potere politico, anche per le sue debolezze, che è scarsamente competitivo su scala internazionale, che ha bisogno di protezione».

L'ex presidente del Consiglio è scettico sulla possibilità di un dialogo con il Pdl. «Essendo io uno degli uomini politici che hanno cercato di più il dialogo, in particolare sulle riforme costituzionali, devo ammettere che l’esperienza è stata molto negativa. Naturalmente - dice - quello che ci riserva il futuro non sempre è la ripetizione di ciò che è stato in passato. Si può sperare, ma non è facile». Poi, apre alle alleanze.«Credo che un partito di opposizione debba cercare di stabilire un buon rapporto con tutte le forze che sono all’opposizione- spiega- c’è una forza elettorale di circa tre milioni di voti, che si è dispersa in gran parte nell’astensione, alla sinistra del Pd. Ma c’è, non è scomparsa. Le cose che hanno radici nel Paese non scompaiono: la sinistra più radicale non ha trovato un’espressione politica convincente e quindi si è dispersa, ma non è scomparsa, c’è sempre».

D'Alema non nasconde la delusione elettorale: «È necessaria una riflessione approfondita, la sconfitta è stata grave» e, a parziale spiegazione del risultato, mette sul tavolo la questione sicurezza. «Noi abbiamo avuto difficoltà a prendere decisioni efficaci a livello di governo anche per le resistenze di una sinistra più radicale, che da questo punto di vista ha mostrato scarsa sensibilità su questo tema ed è rimasta arroccata in una visione a mio giudizio non realistica».

Il ministro degli Esteri difende la posizione già espressa sul "caso Calderoli"- «se un paese straniero cerca di influire nella formazione del governo italiano, ritengo doveroso, come ministro degli Esteri, reagire a tutela della nostra autonomia nazionale e anche un principio costituzionale»- ma non rinuncia ad affondare contro il nuovo governo: «Se riengo intollerabili le ingerenze di un paese straniero nella formazione del governo italiano non ho considerato però opportuno che un uomo politico che abbia responsabilità istituzionali faccia quello che ha fatto Calderoli».

«Ognuno deve comportarsi rispettando le regole e augurarsi che lo facciano anche gli altri» -aggiunge D’Alema- «Calderoli indossando la maglietta offensiva nei confronti dell’Islaminnescò una catena di provocazioni molto negativa. Bisogna sempre sperare che l’esperienza del passato serva a questa destra che torna al governo del paese per evitare gli stessi errori».


da lastampa.it


Titolo: D'alema: «Sul fisco parlano i moralisti dei giornali, che non si vendono»
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2008, 09:50:41 pm
Intervistato da lucia annunziata su raitre

D'alema: «Sul fisco parlano i moralisti dei giornali, che non si vendono»

«Alcuni di loro guadagnano 10 volte di più di noi politici». «E' una casta meglio protetta»

 
ROMA - «Della questione si sta occupando la magistratura, per vedere se questa modalità possa essere considerata violazione delle norme sulla privacy. Non entro quindi su questo aspetto giuridico. Politicamente, non capisco perchè si debba nascondere il proprio reddito. In grandi Paesi come gli Usa il reddito viene ostentato e da noi era già consultabile».

Massimo D'Alema parla della bufera sulle dichiarazioni dei redditi sul web introducendo una severa riflessione sul mondo dei media. «Sinceramente, si può ragionare sull'opportunità ma non mi sembra una violazione così paurosa», dice, ospite di Lucia Annunziata su RaiTre, e alla domanda sul tasso di coerenza dei critici della «Casta» misurato sul loro reddito, l'esponente Pd risponde così: «Sapevo già che alcuni di quei moralisti che scrivono sui giornali guadagnano 10 volte quello che guadagniamo noi politici, malgrado che questo non corrisponda minimamente a un valore di mercato, visto - sottolinea - che i giornali in Italia non si vendono.

È una casta anche quella, ma molto meglio protetta della nostra». «Grillo non lo seguo, esprimo opinioni fondate su dati di fatto», rivendica D'Alema che rinnova una stoccata quando si tocca il tema dei «poteri fortì» che «utilizzano i mezzi di informazione per tenere la politica sotto scopa».


04 maggio 2008

DA corriere.it


Titolo: D'Alema riunisce i suoi parlamentari. Ticket BersaniLetta. E allarga la corrente
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 11:48:29 pm
Strategie Nel Pd

D'Alema riunisce i suoi parlamentari

Ticket Bersani-Letta. E allarga la corrente

Stop dai veltroniani: no alle parrocchiette

 
 
Detto e fatto. Massimo D'Alema aveva preannunciato che si sarebbe occupato della Fondazione Italianieuropei: così è stato. E Walter Veltroni non ha gradito. La reazione del segretario è presto spiegata.

Veltroni non ha gradito perché la «nuova» attività del ministro degli Esteri non è il segnale di un «autopensionamento », né tanto meno della fine delle ostilità. Anzi. Infatti a breve nascerà un'associazione di parlamentari del Pd che si rifanno alla Fondazione di D'Alema. Ieri c'è stata una prima riunione in un albergo ricavato da un convento di frati, vicino a piazza Farnese: D'Alema, Bersani, Latorre, Minniti, Pollastrini, Ventura e altri ex Ds. Detta così sembrerebbe un incontro tra dalemiani. Con Minniti che abbandona Veltroni e la riunione dei segretari regionali per prendere parte a questo appuntamento. E con la Pollastrini che fa altrettanto, alla Camera, senza aspettare lo spoglio dei voti delle vicepresidenze.

Ma la vicenda è un po' più complicata. E ben più interessante. Al convento di Maria Immacolata c'erano anche dei parlamentari che finora non hanno mai partecipato alle riunioni dei dalemiani, anche perché provengono non dai Ds ma dalla Margherita. C'erano i lettiani Francesco Boccia e il ministro delle Politiche agricole Paolo De Castro. Già, perché D'Alema in questi giorni ha fatto un gran pressing sul sottosegretario alla presidenza del Consiglio e alla fine gli ha strappato un "sì". Letta è interessato all'operazione del ministro degli Esteri, con cui ha avuto un colloquio anche ieri. Del resto, di un eventuale tandem Bersani-Letta in sostituzione di quello Veltroni- Franceschini si parla ormai da qualche tempo. Dunque, per dirla in parole povere, la corrente di D'Alema si allarga. Ed è probabile che altri deputati e senatori di provenienza non diessina verranno coinvolti in futuro. Era scontato, perciò, che Veltroni non gradisse. Il segretario non ha mai nascosto di pensare che le correnti «facciano parte di vecchie pratiche».

Tant'è vero che finora ha opposto un "no" a quei sostenitori che gli hanno suggerito di formare una sua componente. Ora i supporter del leader del Pd raccontano che D'Alema ha messo in atto questa iniziativa dopo essersi accorto, in occasione della mancata candidatura di Bersani a capogruppo, che la maggior parte dei parlamentari del partito sono di rito veltroniano. Secondo questa versione il ministro degli Esteri avrebbe perciò in animo di allargare la sua sfera di influenza a quegli esponenti che non provengono dai Ds. Veltroni quindi è sul chi va là. E lo sono anche i suoi. Andrea Orlando, responsabile organizzativo del Pd, è molto chiaro sull'argomento: «Le fondazioni vanno bene, e sono previste dallo statuto, ma le correnti frenano l'attività del partito. Dividersi in parrocchiette rappresenta un regresso».

E il segretario del Pd veneto, l'ex margheritino Paolo Giarretta, osserva: «D'Alema non può pensare di continuare ad affibbiare le parti in commedia a tutti». Perciò, anche se ufficialmente D'Alema tiene riunioni di Fondazione e non di corrente, mentre Veltroni evita l'attacco diretto agli avversari interni, l'atmosfera nel Pd non è delle migliori. Lo testimonia anche il fatto che l'altro ieri qualche veltroniano abbia pensato di bocciare la riconferma di Latorre a vicepresidente del gruppo del Senato. Raccontano che sia stato Marini a spiegare che non aveva senso fare una cosa del genere per dare un colpo a D'Alema. Unico segnale di compromesso la decisione di indire sì un congresso anticipato in autunno, ma un congresso esclusivamente tematico in cui non ci saranno le elezioni degli organismi dirigenti. Se questi sono i rapporti interni, quelli con l'alleato Di Pietro non vanno certo meglio.

Il leader dell'Italia dei Valori, fatto fuori dal gioco delle vicepresidenze, ha chiesto la guida della Commissione di Vigilanza Rai per Leoluca Orlando. Veltroni gli ha risposto: per noi non c'è problema, ma guarda che deve essere votato anche dalla maggioranza... Il colloquio tra il segretario Pd e Di Pietro è stato più che teso e si è concluso con questa affermazione dell'ex pm di Mani Pulite: se non c'è neanche la presidenza della Vigilanza, io rompo. Di Pietro L'ex pm chiede la presidenza della Vigilanza Rai: se non c'è neanche quella, io rompo

Maria Teresa Meli
07 maggio 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema-Veltroni: il Pd a nervi tesi
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2008, 06:46:50 pm
8/5/2008  - DOPO LA SCONFITTA ALLE URNE

D'Alema-Veltroni: il Pd a nervi tesi
 
Il ministro degli Esteri uscente: «Le correnti? Non le ho create io»


ROMA
Sale ancora la tensione tra Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Il giorno dopo la riunione di Italianieuropei che ha di fatto «ufficializzato» la corrente dalemiana nel partito, il ministro degli Esteri uscente parla al Tg3 e rincara la dose: «Le correnti? Non le ho create io, il Pd è un partito fatto di molte componenti, ed è una cosa visibile nella vita del partito, a cominciare da come si distribuiscono gli incarichi parlamentari...». Parole che, se possibile, hanno ulteriormente irritato il segretario del Pd che, racconta ci ci ha parlato, già ieri non aveva accolto affatto bene la notizia della riunione dalemiana: sanno solo fare correnti, si sarebbe sfogato ieri, ma io non li seguo su questa strada.

Peraltro, se ufficialmente nessuno vuole replicare, a microfoni spenti i veltroniani non lesinano giudizi sprezzanti: «Erano una quarantina, tra deputati e senatori... Circa il 20%, come sui capigruppo. Se voleva essere un cenacolo culturale, bene. Ma se voleva essere una prova di forza... è stata un fallimento».

Veltroni, però, sa che si tratta di un’apertura di ostilità, a stento rimandata durante la prima assemblea dei parlamentari di lunedì scorso. Del resto, la presenza di Pierluigi Bersani ieri è stata letta come la conferma dell’asse con D’Alema, anche se lo stesso Bersani, al telefono con Veltroni, avrebbe poi negato la sua adesione alla «corrente». Anzi, avrebbe spiegato Bersani, quello che è accaduto ieri è solo la dimostrazione di ciò che accade quando nel partito non ci sono sedi di discussione. D’altro canto, chi parla con Bersani in queste ore lo descrive assai compiaciuto del fatto che, dal partito radicato alla conferenza programmatica, molti temi da lui sollevati stanno trovando spazio anche nell’agenda di Veltroni. Bersani, peraltro, sta valutando se aderire o no alla proposta del segretari di entrare nel governo ombra.

Il segretario si prepara insomma ad una guerra nemmeno troppo fredda con il fronte dalemiano e punta innanzitutto sulla sponda degli ex Ppi di Marini e Fioroni, che non gradiscono affatto la linea dalemian-bersaniana sulle alleanze. «Che significa insistere tanto sull’Udc? Noi non intendiamo affatto delegare a Casini il presidio dell’elettorato moderato», ripetono i popolari. Non solo, gli ex Ppi assicurano di non volere ritrovarsi a vivere «la stessa saga (la rivalità tra Veltroni e D’Alema, ndr) che accompagna i diessini da ormai 15 anni». Non a caso Fioroni ha fatto sapere oggi che i popolari si troveranno di nuovo ad Assisi a settembre, bissando l’appuntamento dello scorso anno. E forse anche per questo secondo alcune voci starebbe prendendo quota l’idea di affiancare proprio Fioroni a Goffredo Bettini, nel ruolo di coordinamento del partito.

Una soluzione che permetterebbe di saldare una sorta di asse con i popolari e di blindare quindi la segreteria Veltroni. C’è però il problema dello sbilanciamento eccessivo a favore dei popolari, visto che Marini resta in pole-position per la presidenza del partito. Importante sarà anche capire come si posizioneranno Parisi e Bindi in questa disputa. Oggi, intanto, Veltroni ha pranzato con Romano Prodi per quasi due ore, dopo il brindisi di commiato da palazzo Chigi del permier uscente. Un colloquio «a 360 gradi», spiegano al loft, durante il quale Veltroni avrebbe chiesto a Prodi un’uscita ’soft’: in pratica, il segretario avrebbe chiesto a Prodi di continuare, nelle forme che riterrà opportune, a dare un suo contributo al partito.
Impegno che, assicurano al loft, Prodi avrebbe garantito.

da lastampa.it


Titolo: D'Alema annuncia: «Farò una struttura politica»
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2008, 12:01:31 am
D'Alema annuncia: «Farò una struttura politica»


Massimo D'Alema annuncia sul principale giornale italiano - in una intervista concessa a Maria Teresa Meli - la creazione di una struttura politica nuova.
Qualcosa che vada oltre la fondazione Italiani Europei, ma che da essa germini come da una costola. «Ci sono già e continueranno a esserci gruppi di ricerca... abbiamo già una rivista, vogliamo poi creare un'associazione di personalità politiche, del mondo della cultura e della società civile che affianchi il lavoro della fondazione. Vogliamo arricchire il patrimonio di collegamenti internazionali con i Think Thank progressisti e riformisti dell'Europa, degli Usa e di altri continenti». D'Alema vuole rivolgersi anche alle nuove generazioni con un approccio formativo, tipo scuola di politica, e inoltre dice di aver avviato una collaborazione con l'emittente satellitare Nessuno tv.

«Insomma - dice - daremo vita a una struttura che sarà un pezzo di politica nuova rispetto ai partiti tradizionali». Qualcosa di trasversale, non una vecchia corrente, «lontano da vecchie logiche di appartenenza e di cordata». Sì, perché la struttura nuova che D'Alema intende creare intende «mettere insieme trasversalmente persone di diversa provenienza, magari anche con diverse opinioni politiche su determinati temi ma che sono interessate a un progetto di ricerca, di formazione e di informazione».

D'Alema nega di essere interessato a «una resa dei conti», smentisce di essersi dedicato a uno scontro interno al Pd «che non era interesse di nessuno, che nessuno ricercava e di cui non si capirebbe il senso». E non si considera estromesso da dirigenza e governo ombra perché è stato lui stesso a volersi impegnare in questo nuovo progetto. L'unica cosa su cui ha insistito e insiste è l'apertura di una discussione «seria», «vera», «all'altezza della portata della sconfitta». Una discussione «non riduttiva del risultato, legata semplicemente agli errori del governo», che affronti il tema del bipartitismo ad esempio.

E aggiunge: «Ci dovrà pur essere una possibilità di discutere senza che questo debba essere interpretato come contrapposizione, dualismo, guerra».

Per il resto l'ex capo della Farnesina riconosce nel Pd un recente «cambiamento di rotta», un rimescolamento di carte, uno sforzo di apertura e rinnovamento nella creazione del governo ombra. Il riferimento è all'inserimento di personalità come Pierluigi Bersani o Marco Minniti, sempre accreditati come "dalemiani doc".

Lo stesso Bersani commentando l'intervista di D'Alema ci tiene a smentire che si tratti di un capo-corrente. «D'Alema il capo dei dalemiani? Troppo riduttivo», dice l'ex ministro dello Sviluppo. E sostiene che uno degli obiettivi della fondazione "allargata" è proprio dare impulso a «quel rimescolamento che ci permetta di andare oltre i trattini: laici-cattolici, Nord-Sud, Veltronian-dalemiani, fassinian-bersaniani».

Al loft di Veltroni l'intervista è stata presa bene. L'idea della fondazione viene giudicata «positiva purchè non rivolta al passato» da Ermete Realacci. Nella lettura di Realacci quella di cui parla D'Alema sembra più che altro una fondazione strutturata e forte come accade nei grandi paesi del mondo quando hai formazioni politiche delle dimensioni del Pd. Negli Usa di cose come quelle che annuncia D'Alema ce ne sono tantissime. Questo vale anche per la presenza Radicale nel Pd».

Non esistendo più centralismi democratici e articolazioni pesanti, il rapporto di appartenenza e di discussione nel Pd è necessariamente più libero, fatto di centri culturali, di fondazioni, di organi di informazione che hanno una dialettica. Per Realacci l'unica sottolineatura doverosa è che questa dialettica «sia coniugata al futuro e non al passato. Guai se continuasse una dialettica legata alle vecchie correnti dei Ds o della Margherita, dei Popolari piuttosto che ad altro, questo sarebbe negativo».

Insomma, per dirla invece con un vecchio detto maoista: che cento fiori fioriscano.


Pubblicato il: 14.05.08
Modificato il: 14.05.08 alle ore 17.07   
© l'Unità.


Titolo: Massimo D'Alema scrive al Corriere «Difendo la laicità dello Stato»
Inserito da: Admin - Maggio 29, 2008, 12:12:22 pm
Massimo D'Alema scrive al Corriere

«Difendo la laicità dello Stato»

Nel pluralismo c'è anche la garanzia più forte della libertà della Chiesa



Caro direttore,
non può che essere motivo di soddisfazione per noi organizzatori, con la Fondazione Italianieuropei, del corso estivo di formazione dedicato a «Religione e democrazia», che i temi sollevati nella tre-giorni cilentana abbiano suscitato interesse, dibattito e prese di posizione nel mondo politico e intellettuale.

Desta tuttavia un qualche stupore la perentorietà dei commenti da parte di chi non ha potuto valutare che spezzoni, frammenti o frasi separate da ogni contesto senza potere più approfonditamente valutare un confronto che ha impegnato un gruppo di intellettuali tra i più prestigiosi, italiani e stranieri. Non un raduno anticlericale, dunque, o una riunione di nostalgici, ma un confronto che ha coinvolto, di fronte a una platea attenta di giovani, personalità di diversa cultura, molti cattolici tra i quali il presidente dell'Associazione teologica italiana. Vorrei ricordare che, nel dibattito contemporaneo, vengono proprio dall'interno del mondo cattolico le espressioni più inquiete e preoccupate per una possibile commistione tra fede e politica, tra religione e potere. Ha scritto Gustavo Zagrebelsky nel suo «Contro l'etica della verità»: «La Chiesa cattolica è direttamente coinvolta. Le si offre l'occasione di una rivincita con un aspetto costitutivo del "mondo moderno", la democrazia: una rivincita che una parte di essa forse ha sempre desiderato e aspettato.

I nostri procacciatori di identità sono i nuovi teologi politici. Essi, in mancanza di chiese d'altro genere — ideologie forti e globali, filosofie della storia, promesse messianiche —, si rivolgono a quella che pare loro l'odierna depositaria di valori identitari utili alla loro battaglia, la Chiesa cattolica, e le offrono un'alleanza. È la grande tentazione del nostro tempo, una delle tre tentazioni sataniche di Gesù di Nazareth nel deserto, la tentazione del potere». Nella stessa lezione di padre Coda vi è stata una forte riproposizione di una visione post conciliare dell'impegno pubblico dei cattolici, «sale e lievito» all'interno di una società pluralistica, in contrapposizione a una ben presente tentazione egemonica. Questo nodo del rapporto tra religione e potere non è certo un tema nuovo. Ha assunto una rinnovata centralità nel confronto culturale e politico proprio di questo tempo a seguito della crisi delle società occidentali di fronte ai mutamenti rapidi e sconvolgenti e alle drammatiche sfide legate alla globalizzazione. C'è una nuova destra politica e intellettuale che si volge ai valori religiosi della tradizione giudaico-cristiana come condizione perché l'Occidente ritrovi l'orgoglio di una propria identità nella sfida o persino nel conflitto con altre civiltà, con altri mondi.

Vi sono molte testimonianze di questa sovrapposizione crescente fra discorso politico e valori religiosi. Tzvetan Todorov ci ha offerto una acuta analisi critica di una testo esemplare di Nicolas Sarkozy sulla religione cristiana come fondamento della convivenza nella laicissima Francia. O, per venire a una fonte più vicina a noi, nel brillante saggio di Giulio Tremonti «La paura e la speranza» si legge «la tradizione religiosa può compensare il vuoto di valori delle nostre democrazie …». E ancora «per identificare i valori serve un'anima, per difendere i valori serve il potere politico». Davvero, allora, come è stato scritto, lo stato laico secolarizzato prigioniero ormai del relativismo etico ha bisogno di un fondamento religioso per giustificare se stesso? Questo interrogativo posto da un grande giurista tedesco molti anni fa è evocato da un più recente dialogo tra Joseph Ratzinger e Jürgen Habermas. È lo stesso futuro Pontefice a cogliere il rischio di una aporia: «Se lo Stato accetta il fondamento religioso — egli scrive — smette di essere pluralistico. Così sia lo Stato che la Chiesa perdono se stessi». Non mi ha mai convinto il dibattito sul cosiddetto relativismo etico. Continuo a pensare che la nostra convivenza poggia su un insieme di valori morali (pace, tolleranza, pluralismo, libertà, solidarietà sociale…), di diritti riconosciuti e di norme giuridiche che hanno la loro genesi nella storia e nella civiltà europee; che comprendono anche la tradizione giudaico-cristiana, ma non si riducono a questa. Solo il riconoscimento di questo pluralismo può fondare la laicità dello Stato e liberare la responsabilità della politica.

Nel pluralismo c'è anche la garanzia più forte della libertà della Chiesa: libertà di parlare all'insieme delle nostre società e non solo di una parte; libertà di sprigionare la carica di universalità del messaggio cristiano che non può ridursi a «ideologia dell'Occidente ». Non a caso nella mia conferenza non ho rivolto accuse alla Chiesa (così come risulta chiaro dalla cronaca del Corriere) ma l'invito a non cadere nella tentazione di un patto con il potere politico, di una commistione tra politica e fede, tra norma giuridica e convinzione etica-religiosa. Un invito, non un'accusa. L'invito di un laico che crede nella laicità della politica, ma che è nello stesso tempo ben consapevole del ruolo essenziale che i cristiani hanno nella vita pubblica e del contributo che da essi può venire a una visione alta e nobile dell'agire politico.

Sono stato accusato di parlare come se ci fosse sempre il Pci. Si potrebbe discutere a lungo del rapporto che fu sempre intenso e rispettoso tra il Pci e il mondo cattolico. Ma sinceramente il Pci non c'entra niente con questa riflessione. Semmai, in materia di difesa della laicità dello Stato, nel nostro seminario sono stati ricordati alcuni momenti cruciali della storia della Dc. Penso alla fermezza e anche alla sofferenza personale con cui Alcide De Gasperi seppe difendere dalle pressioni ecclesiastiche la scelta antifascista della Dc (Andrea Riccardi ci ha ricordato la pagina straordinaria delle elezioni romane) e la collaborazione con i partiti laici contro l'idea di un monopolio cattolico del potere. Penso alla testimonianza di Aldo Moro che rivolgendosi al consiglio nazionale della Dc all'indomani del referendum sul divorzio diceva: «Settori dell'opinione pubblica sono ora ben più netti nel richiedere che nessuna forzatura sia fatta con lo strumento della legge, con l'autorità del potere al modo comune di intendere e disciplinare in alcuni punti sensibili i rapporti umani. Di questa circostanza non si può non tener conto perché essa tocca ormai profondamente la vita democratica del nostro Paese, consigliando talvolta di realizzare la difesa di principi e di valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale». Una grande lezione di laicità da parte di un leader politico cattolico che rispetta appunto il fatto che lo Stato è di tutti e che il potere non può essere posto al servizio delle convinzioni pure nobili di una parte. Resto convinto che anche di fronte ai delicati problemi di oggi che toccano, di fronte ai progressi della scienza e delle tecniche, i temi della vita e della dignità umana, resti tuttavia valida la visione dello Stato testimoniata da Aldo Moro. E spero davvero che questo sia un patrimonio comune di quanti si sono uniti nel Partito democratico.


Massimo D'Alema
28 maggio 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema: il Pd è forte ma è ancora un progetto
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2008, 09:19:26 am
D'Alema: il Pd è forte ma è ancora un progetto

Simone Collini


«Berlusconi era riuscito a dare un'immagine, in parte accreditata dalla stampa, di un suo profilo nuovo, di uomo attento ai problemi del Paese. In pochi giorni è riuscito, anche con una certa furia, a demolire questa immagine e a ripresentarci quella di uomo di potere dominato da problemi suoi, e che concepisce l'uso del governo come funzionale a risolverli». Massimo D'Alema parla alla Festa dell'Unità di Roma negli stessi minuti in cui sarebbe dovuta andare in onda la puntata di Matrix con il premier come ospite. «Importante - dice rispondendo ad Antonio Padellaro che lo intervista - non è la rinuncia a una trasmissione televisiva, ma se verrà confermata la rinuncia all'uso del decreto legge per affrontare una questione che per sua natura non può essere affrontata con un simile strumento».

L'oggetto della discussione è un provvedimento legislativo sulle intercettazioni (e D'Alema sottolinea che «la sistematica pubblicazione di materiali coperti da segreto istruttorio e' un problema in uno Stato di diritto») in una giornata in cui le indiscrezioni su colloqui pruriginosi riguardanti il premier si sprecano. «La Costituzione non prevede urgenze personali, quelle ognuno se le risolve da sé. Altre sono le urgenze del Paese, e l'uso di un decreto legge per regolamentare le intercettazione sarebbe inaccettabile e gravissimo, il rischio di un conflitto istituzionale sarebbe molto forte. Se sarà confermata la marcia indietro di Berlusconi sarebbe segno di saggezza».

D'Alema difende il dialogo sulle regole tra maggioranza e opposizione, dice che è "obbligatorio" con chi rappresenta la maggioranza degli elettori e che «se la destra dice no se ne deve assumere la responsabilità», e però precisa che il dialogo è «uno strumento, non una politica». Poi una frecciata a Gianfranco Fini: «Daccia il presidente della Camera anzichè continuare a fare il leader della maggioranza». Critica l’«orribile» proposta di Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom e il reato di immigrazione clandestina, che «mina i fondamenti costituzionali perché la legge punisce degli atti, non delle condizioni», insiste sul concetto che l'opposizione «si fa con grandi campagne popolari» e sul fatto che «il Pd ha dimostrato di essere forte ma per ora è largamente ancora soltanto un progetto, bisogna radicarlo». Il che vuol dire, aggiunge l'ex vicepremier, procedere rapidamente col tesseramento: «Attendo trepidamente la tessera. Per ora in mano ho soltanto un attestato. Ecco perché ho fatto la battuta: sono un simpatizzante del Pd. Altro che partito liquido. Io sono per la rapida solidificazione».

L'area dibattiti della Festa dell'Unità (nome difeso da D'Alema) è affollata. In prima, seduto sul prato, l’ex esponente di An Gustavo Selva. Anche quando l'ex ministro degli Esteri dice che il governo ombra del Pd «è un modo di organizzare l'opposizione» e che però «c'è un problema»: «Il governo ombra siamo solo noi, mentre non solo noi siamo all'opposizione», dice ribadendo la critica alla tentazione all'autosufficienza, in cui può sconfinare l'impegno nella vocazione maggioritaria. «Dobbiamo studiare forme di collaborazione tra tutte le forze dell'opposizione». Stando attenti, aggiunge però, a non farsi trascinare da altri partiti in "risse" che alla fine dei conti avvantaggiano Berlusconi e la destra, non il centrosinistra.

Il riferimento tutt'altro che casuale è alla manifestazione dell'8 luglio e alle esternazioni di Antonio Di Pietro. «Non si può fare il giochino di convocarsi a vicenda. E non ci si può fare attirare da Berlusconi nell'ennesima rissa sulla giustizia, sentendoci poi dire proprio da lui che non sono questi i problemi del Paese» (sorriso sul palco e risata della platea). «Conosciamo il piazze piene urne vuote. Una manifestazione serve non per far sfogare gli umori, ma se il giorno dopo almeno un italiano in più viene convinto delle nostre ragioni».

Pubblicato il: 04.07.08
Modificato il: 04.07.08 alle ore 17.28   
© l'Unità.


Titolo: D’ALEMA.
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2008, 07:32:41 pm
L’intervista. «Nessuna lite con Walter»

D’Alema: colpo di reni sulle riforme

Sì a ragionevoli convergenze

L’ex premier: Sì a ragionevoli convergenze.

Ognuno si assuma le sue responsabilità. Il sistema tedesco? Ha più consensi

 
 
ROMA—Onorevole D’Alema, lei ripropone il sistema elettorale tedesco e tutti pensano male. Un sistema contro Veltroni?
«Innanzitutto non sono io: sono 15 istituzioni e fondazioni culturali, con il concorso di prestigiosi giuristi e costituzionalisti, tra cui tre ex presidenti della Corte, che hanno elaborato una proposta organica di riforma della legge elettorale e della forma di governo, allo scopo di disegnare un assetto più efficiente e democratico per le nostre istituzioni. È ridicolo che tutto questo venga letto nella chiave di un conflitto D’Alema- Veltroni».

Dicono che lei usi la riforma ai fini congressuali...
«Non ci sarà alcun congresso né alcuna resa dei conti, ma una conferenza programmatica per mettere a punto le nostre proposte ed è esattamente a questa riflessione che io cerco di dare un contributo».

Fatto sta che il Pd non si è schierato per il tedesco.
«Noi non abbiamo scelto un sistema. Abbiamo sempre detto che preferiremmo il sistema francese a doppio turno, ma sappiamo anche che in Italia nessuno lo sostiene. Il francese è una posizione di scuola».

Anche il tedesco.
«Non è così. Nella scorsa legislatura abbiamo partecipato a un confronto parlamentare sulla base di proposte di tipo proporzionale a partire dal modello tedesco o dal modello spagnolo: non mi pare che ci siano diversità tali da giustificare una guerra di religione».

A Forza Italia non piace...
«Quel che noi abbiamo proposto ha trovato il consenso di tutte le forze di opposizione: è una proposta condivisa dalla sinistra e dall’Udc, e accettata da Di Pietro. Se è vero che è venuta una reazione negativa da parte di Cicchitto, è anche vero che la Lega ha detto: "Noi non siamo contrari". Allo stato delle cose nessuna proposta è condivisa in modo prevalente, ma il tedesco è quello che ha il maggior numero di consensi o di accettazioni. Potrebbe essere veramente la riforma che alla fine si fa».

Sicuro che il tedesco non serva a destabilizzare il Pd?
«La verità è l’opposto. Del resto, il 24 febbraio del 2007, quando non c’era il Pd e Veltroni non era il leader, io feci una lunga intervista per spiegare perché il sistema tedesco poteva essere un modo per portare a compimento la transizione italiana. Quindi pensare che io lo abbia tirato fuori adesso strumentalmente per dare fastidio a Veltroni è evidentemente falso».

Insomma, non sta pugnalando alle spalle il segretario?
«Non ho alcun interesse a mettere in discussione la leadership di Veltroni, né sono candidato a nessuna leadership. Non pugnalo alle spalle: posso apparire spigoloso ma sono diretto e leale: se pensassi che ci deve essere un cambio di gruppo dirigente e di leadership lo direi innanzitutto al diretto interessato. Ma non è questo il problema, abbiamo semmai il bisogno di rafforzare la leadership, di coinvolgere più persone rispetto al rischio di un certo restringimento...».

Tornando al tedesco, nel Pd c’è chi ha storto il naso.
«Il Pd deciderà quel che deve fare nelle sedi proprie, le fondazioni culturali non sono un partito ma servono per approfondire i problemi e mettere la politica in contatto con ilmondo della cultura e con la società civile: guai se un partito come il Pd non interloquisse in modo aperto con questa proposta. E non mi riferisco a Veltroni che comunque ha interloquito, e non in modo negativo ».

Be’, questo lo dice lei...
«No, è quello è quello abbiamo ascoltato al convegno di lunedì».

Il tedesco non dispiace alla sinistra. Come sono ora i rapporti con Rifondazione?
«Vedo che stanno discutendo e spero che escano da questa riflessione critica e autocritica rinnovandosi e mettendo in campo una proposta politica compatibile con una prospettiva di governo».

Ferrero non sembra volere questa prospettiva, mentre Vendola non la esclude.
«Non voglio entrare nel merito della loro discussione ma auspico che si possa riaprire un dialogo tra la sinistra e i riformisti. Tra di loro ci sono alcuni che lo vogliono fare, vedremo chi prevarrà...».

Ma questa riforma, secondo lei, aiuta il dialogo con il centrodestra? E questo dialogo è poi tanto necessario?
«La parola dialogo è foriera di equivoci. Il problema è che noi siamo in Parlamento e dobbiamo confrontarci per trovare soluzioni ai problemi del Paese. E la legge elettorale è un problema: è un sistema cattivo, incostituzionale e oggetto di un referendum popolare, perciò va cambiata. Quindi non si tratta di volere l’inciucio. Facciamo un esempio che non riguarda il centrosinistra: il federalismo fa parte del programma di governo, ma mica si può pensare di innestarlo su questo sistema, senza che prima sia stato fatto un riordino completo del sistema istituzionale ed elettorale. Che ci si confronti su questi problemi è la normalità della vita democratica. Non so se si raggiungerà un accordo, perché questo non dipenderà solo da noi. Ma se Berlusconi dovesse impedirlo si assumerebbe un’ulteriore, grave, responsabilità di fronte al Paese».

C’è chi sostiene: «Si dice tedesco perché si pensa alla grande coalizione»...
«La grande coalizione è una scelta politica che si può realizzare con qualsiasi sistema elettorale. Comunque oggi in Italia non ci sono le condizioni per una coalizione di questo tipo, anzitutto per responsabilità della destra e delle sue scelte per il governo del Paese. Anziché fantasticare sulle grandi coalizioni sarebbe necessario cercare di trovare un accordo per le riforme indispensabili al Paese».

Il tentativo di riformare il sistema istituzionale ed elettorale va avanti da anni senza risultati.
«Il fatto è che l’enormità della crisi del Paese viene sottovalutata. O noi usciamo con un colpo di reni da questa situazione, creando le condizioni, sia pure nella diversità dei ruoli, per dare risposte e dimostrare che siamo in grado di tirare l’Italia fuori da una fase drammatica, o rischiamo alla fine di pagare tutti un prezzo. La destra si illude se pensa che ci sarà solo la crisi della sinistra e la sinistra si illude se pensa che ci sarà soltanto la crisi della destra. Lo ripeto da tempo: siamo di fronte a una crisi ben più profonda e complessiva del sistema politico. L’Italia sta male e vede che la politica è incapace di accordarsi per trovare soluzioni utili: se andiamo avanti così la gente reagirà mandandoci tutti a quel paese. Ci si adopera più a distruggere quel che propongono gli altri che a cercare prospettive su cui ci può essere una ragionevole convergenza, come è giusto fare in una situazione come questa».

Fa la Cassandra, onorevole D’Alema?
«Voglio mettere in guardia dal rischio di far fallire di nuovo un disegno di riforma costituzionale ed elettorale perché questo darebbe veramente il senso dell’impotenza del sistema politico. E siccome stavolta ci misuriamo con una crisi economica e sociale molto grave, come dimostra anche l’analisi di Bankitalia, questo fallimento potrebbe avere effetti molto pesanti nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Tant’è che vedo il calo della popolarità di Berlusconi nei sondaggi, che potrebbe farmi contento in quanto esponente dell’opposizione, come un ulteriore elemento di scollamento del Paese, perché alla fine la gente dirà: «La sinistra non ce l’ha fatta, Berlusconi pensa agli affari suoi»... Il rischio è che si determini veramente una frattura nel rapporto tra cittadini e sistema politico».

Nel frattempo il Pd torna ad agitare la questione morale proprio quando esplode il caso Del Turco.
«Per quanto riguarda le concrete vicende giudiziarie, come lei sa, sono garantista e nello stesso tempo rispettoso della magistratura e del suo lavoro. Tuttavia è evidente che questi scandali, in particolare quando toccano il sistema sanitario, creano un grande e comprensibile turbamento tra i cittadini e un grande allarme sociale. Anche in questo caso è la politica che deve tornare a dare delle risposte, mettendo mano a tutto il meccanismo del rapporto tra il pubblico e il privato nel sistema sanitario. Altrimenti, poi, non ci si lamenti della pervasività del potere giudiziario».

Maria Teresa Meli
17 luglio 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema: gelo col Prc, intesa con Fini per le riforme
Inserito da: Admin - Luglio 31, 2008, 03:05:38 pm
D'Alema: gelo col Prc, intesa con Fini per le riforme


Non sembra destinata a risorgere una liaison, una simpatia, insomma uno sguardo di favore, tra Massimo D'Alema e la nuova Rifondazione uscita dal congresso di Chianciano con alla testa Paolo Ferrero.
I due sono ex colleghi - entrambi erano ministri del governo Prodi - e pare non si siano mai stati molto simpatici. Ma qui non c'entrano le preferenze personali. Quanto quelle politiche. E in prospettiva elettorali. Nel senso che sullo sfondo della tela dei rapporti di Massimo D'Alema e della sua nuova associazione Red restano le elezioni europee dell'anno prossimo.

Ferrero ha vinto il congresso del Prc con una linea di netta rottura con il Pd. In una intervista sul quotidiano Il Riformista in edicola, il nuovo segretario di Rifondazione prova a affrancare Bersani e D'Alema dal giudizio negativo dato a Chianciano sul "veltronismo". Dice Ferrero al quotidiano diretto da Antonio Polito che «Bersani e D'Alema sono più realisti di Nichi» Vendola a proposito di socialdemocrazia e giustizia sociale.

Dall'altra sponda però il giudizio sul nuovo corso del Prc resta negativo. D'Alema lo aveva tracciato due giorni fa intervistato da Liberazione, organo del partito ma diretto dal "vendoliano" Piero Sansonetti. E lo attenua solo un po', in attesa di fatti concreti, al settimanale di Comunione e Liberazione, Tempi. «I partiti vanno giudicati per quello che fanno», è la sua unica apertura di credito. L'esito di Chianciano comunque «lascia aperti molti interrogativi, sia per l'asprezza dello scontro interno, sia per la conclusione cui si è giunti».

Poi è sopraggiunta la nuova fase di D'Alema, inaugurata con un invito a pranzo - menù di pesce, spigola per la precisione - a Montecitorio da parte del "padrone di casa" Gianfranco Fini. L'ex presidente dei Ds e l'ex leader di An ufficialmente si sono visti solo per coordinare le rispettive fondazioni - ItalianiEuropei e FareFuturo - in vista di un seminario comune sul federalismo fiscale da fare in autunno.

L'incontro - trattandosi di fondazioni, al loft del Pd non se ne sapeva niente - si è protratto fino a metà pomeriggio, mercoledì. E non ha riguardato solo il federalismo fiscale. D'Alema ha smentito che si sia trattato di un "patto della spigola", come quello "della crostata", insomma. Ci ha tenuto a precisare che non è sua intenzione fare un'altra "Bicamerale" con Fini. O meglio, dallo staff dalemiano si precisa che lo scopo era quello di «aiutare le riforme con un dialogo a geometrie variabili, che non sia solo tra i capi degli schieramenti ma tra i vari protagonisti, per avviare un processo a tappe e quindi diverso dal blocco unico della Bicamerale».

Cosa si siano detti tra una lisca e l'altra, essendo un rendez vous a porte chiuse, non è certo. Ma quello che è trapelato è l'inizio di una discussione sulla riforma della legge elettorale. Non solo e non tanto quella delle politiche, che com'è noto, vede i due ex ministri degli Esteri propendere per due diverse soluzioni: sistema proporzionale alla tedesca per D'Alema e semipresidenzialismo per Fini.

Ma prima di tutto per le europee. E qui, se è vero ciò che risulta dalle cronache riportate dell'incontro, pare che i due si siano trovati d'accordo per introdurre una nuova legge con una sostanziosa soglia di sbarramento, dal 3 al 4 percento, nell'unico sistema di voto rimasto con il proporzionale puro. Per la sinistra finita fuori dal Parlamento, sarebbe il rischio di non vedersi rapprtesentata neanche questa volta, neanche a Strasburgo.

E infatti su questo il segretario del Prc Ferrero già promette: «Faremo i diavoli a quattro se mettono lo sbarramento, anche al tre percento, o se tolgono le preferenze». E forse è meglio che si prepari a far capire cosa intende perché pare che D'Alema e Fini si siano anche simpatici. E di preferenza a loro gliene basterebbe una.


Pubblicato il: 31.07.08
Modificato il: 31.07.08 alle ore 13.46   
© l'Unità.


Titolo: D'Alema: «Non siamo né stupidi né ladri»
Inserito da: Admin - Luglio 31, 2008, 03:10:27 pm
«Hanno cercato in vari modi di danneggiare la nostra immagine, infangarci, colpirci»

L'ira di D'Alema sul caso Oak fund:

«Non siamo né stupidi né ladri»

Il dirigente del Pd: «È tutta una montatura costruita da qualcuno. Vorremmo capire chi è»


ROMA - «È tutta una montatura.
Per essere detentori di un fondo chiamato "Quercia" bisognava essere stupidi oltre che ladri. Noi non siamo nè ladri nè stupidi».
 
Lo dice, in una intervista al settimanale "Tempi", il presidente della Fondazione Italianieuropei e dirigente del Pd Massimo D'Alema, a proposito delle rivelazioni dell'ex capo della security di Telecom Giuliano Tavaroli sull'esistenza di un fondo segreto, l'Oak Fund, il fondo "Quercia" che sarebbe stato nella disponibilità dell'ex segretario dei Ds Piero Fassino e del senatore Ds Nicola Rossi. «Quindi - aggiunge D'Alema - si tratta di una montatura che è stata costruita da qualcuno. Vorremmo capire chi è. Vorremmo anche che la magistratura facesse luce su queste indagini illegali».

AGGRESSIONE MEDIATICA - «Sicuramente - prosegue D'Alema - hanno operato spie, provocatori, hanno cercato in vari modi di danneggiare la nostra immagine, infangarci, colpirci, anche perchè quella vicenda ha toccato interessi forti nel Paese. C'era volontà di vendetta, senza che mai si concretizzasse nulla. Perchè non c'è nulla da trovare e non c'è nessun particolare retroscena da scoprire. Adesso però vogliamo che sia chiarito molto bene chi ha messo su questi dossier, chi ha fatto queste indagini, chi ha concepito questa aggressione mediatica. Perchè, ripeto, sul piano giudiziario non c'è nulla di nulla. Si tratta di un'operazione non dissimile a quella che fu fatta per Telekom Serbia. Probabilmente, ambienti analoghi, o dello stesso genere». «Intendo che c'è naturalmente da capire - continua l'ex ministro del Esteri - perchè questa robaccia che era già uscita, che girava da tempo, in questi giorni è stata riproposta con tale clamore dal quotidiano "Repubblica". Una operazione che trovo molto grave sul piano professionale. Sul significato politico per adesso sospendo il giudizio. Anche se qualche idea mi viene in mente».

ESPOSTO - «Tutta questa storia -afferma D'Alema- è rivelatrice di diverse cose preoccupanti e negative. La prima riguarda il fatto che con tutta evidenza sono state fatte, e non è la prima volta che viene alla luce, indagini illegittime sul nostro partito. Noi abbiamo avuto la percezione di essere oggetto di indagini illegali, tanto è vero che presentammo un esposto denuncia due anni fa alla Procura della Repubblica di Milano». «Esposto - prosegue D'Alema - che non ha avuto seguito e che prendeva spunto dalla circolazione illegittima di intercettazioni telefoniche, che all'epoca non erano nemmeno state trascritte dai magistrati, ma che vennero pubblicate dai giornali. Parte di queste cose raccolte attraverso indagini illegittime furono pubblicate dal quotidiano "La Stampa". Li ho denunciati e sono in attesa ormai da più di un anno, per un articolo in cui si parlava di conti esteri, che noi non abbiamo mai avuto e non abbiamo. Perciò, noi vogliamo capire...». Quanto all'Oak Fund, al fondo "Quercia", il presidente di Italianieuropei ribadisce: «sono stupidaggini. Fra l'altro, i legittimi proprietari di questo Oak Fund si sono manifestati e la cosa non ha nessuna consistenza. È tutta una montatura».


31 luglio 2008

da repubblica.it


Titolo: Nasce Red, la tv pop-dalemiana dove Bersani intervista Vasco
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2008, 09:16:17 am
POLITICA

Nasce Red, la tv pop-dalemiana dove Bersani intervista Vasco

Quasi pronto il palinsesto ideato da "Nessuno tv" e dalla fondazione Italianieuropei

L'obiettivo è anche la costruzione di un network politico: ritorna Folena, Craxi dj

di GOFFREDO DE MARCHIS
 

 
ROMA - La Max Television presenta grandi firme dell'informazione, un nuovo studio vicino a Montecitorio, programmi di intrattenimento condotti da politici. La nuova stagione del dalemismo vira così verso un certa leggerezza, rimescola le carte, confonde gli stereotipi: unirà Sex and the City e il nuovo centrosinistra, mischierà i classici dibattiti e Vasco Rossi, la "linea" e una versione pop della sinistra. È quasi pronto il palinsesto del canale satellitare frutto della collaborazione tra Nessuno tv e la fondazione Italianieuropei, passando per Red, associazione dalemiana. L'intenzione è farne un network generalista, con star dell'informazione, trasmissioni non solo politiche, frequenti incursioni nella cultura, ma che conserverà l'ispirazione principale nelle posizioni politiche di Massimo D'Alema.

"Di tutto il centrosinistra e del Pd", precisa uno dei promotori, Matteo Orfini. L'ex ministro degli Esteri dovrebbe diventare il protagonista assoluto della televisione, attraverso una conversazione settimanale sul modello dei "caminetti" con i quali Roosevelt parlava al Paese.
Nessuno tv (canale 890 di Sky) cambierà anche nome. Quel "nessuno" appare davvero riduttivo per il nuovo ambizioso piano editoriale. Il nome definitivo dovrebbe essere Red Tv. Ai programmi stanno lavorando il direttore di Nessuno tv Claudio Caprara, collaboratore di D'Alema a Palazzo Chigi nel '97 e '98, e il braccio destro del presidente di Italianieuropei, il giovane Orfini. Già contattate Lucia Annunziata e Rula Jebreal.

La prima condurrà una striscia d'informazione quotidiana, la seconda, insieme con il giornalista del Riformista Stefano Cappellini, andrà addirittura a sfidare Michele Santoro e Anno Zero il giovedì sera, con un programma di approfondimento (e per la prima puntata si cerca la disponibilità di Walter Veltroni).
Al mondo dalemiano, Red Tv si è rivolta anche per confezionare trasmissioni lontane dalla politica. Alcuni dirigenti di area intervisteranno i loro miti letterari o del mondo dello spettacolo. La serie si chiamerà "I fan". Cuperlo ha già registrato una conversazione con Joe R. Lansdale, giallista americano di culto, amato anche da D'Alema: "Avevo i brividi". Il direttore del Riformista Antonio Polito intervisterà Nick Hornby. Orfini e Caprara sono alle costole di Samantha (l'attrice Kim Cattrall), la più "scatenata" delle ragazze di Sex and the City. Le farà il terzo grado un personaggio misterioso.

Ma il fiore all'occhiello dovrebbe essere lo scoop di Pierluigi Bersani. Il ministro ombra dell'Economia sta convincendo Vasco Rossi ad aprirsi con lui, che è un suo ammiratore. A proposito di musica, ci sarà anche uno spazio settimanale dedicato esclusivamente alle note. Per condurlo è stato scelto a sorpresa non un deejay famoso, ma Bobo Craxi. Il figlio di Bettino se la cava bene con la chitarra, ma soprattutto è amico di alcune stelle della musica italiana. Da Lucio Dalla, che era anche amico del padre, alle più recenti frequentazioni con Francesco De Gregori, Pino Daniele e Umberto Tozzi. Senza contare l'amicizia fraterna con Fiorello. Con Craxi in studio la possibilità di aver ospiti così prestigiosi (e così cari dal punto di vista economico) diventa concreta.

L'attuale Nessuno tv ha 40 dipendenti, 12 fra giornalisti e programmisti. Oggi vive coi 4 milioni l'anno ottenuti grazie alle legge Gasparri. Il vicedirettore è Mario Adinolfi, avversario di Veltroni alle primarie. Due parlamentari, Giorgio Tonini e Luigi Zanda mettono la loro firma per ricevere i contributi pubblici previsti per l'emittenza radio-televisiva. Il canale si è dotato anche di un comitato di garanti che verifica l'uso delle risorse statali: Giorgio Ruffolo, Franco Iseppi e Andrea Monorchio. Poi ci sono i soci privati. L'azionista di maggioranza è Digital Magics, società che si occupa di contenuti multimediali, Caprara ha una sua quota. Oggi il canale trasmette 7 ore di programmi ogni giorno.

Ma da ottobre cambia tutto, non solo il nome. Le ore salgono a 10, forse cambierà il canale Sky, Red trasmetterà anche in chiaro usando un network di televisioni locali. Il contratto di collaborazione con Italianieuropei porterà qualche risorsa in più. "Noi cercheremo di contrattualizzare tutti - spiega Caprara -. Ma faremo le nozze con i fichi secchi. Alle star possiamo offrire soprattutto uno spazio per sperimentare nuovi linguaggi, questo sì". Dietro il palinsesto multiforme, il desiderio di una televisione ricca di contenuti, resta sempre la politica, di cui Red Tv sarà uno strumento. La presenza di Craxi ad esempio è anche un segnale di attenzione per il Partito socialista. E Pietro Folena, impegnato nella costruzione della Costituente di sinistra, la creatura di Nichi Vendola, avrà un programma tutto suo. Red Tv dunque sarà aperta anche all'ala radicale uscita sconfitta dal congresso di Rifondazione ma presente nei territori e nelle regioni. Detto questo, l'ingresso di Folena in Red Tv ha anche risvolti personali. Segna il riavvicinamento tra D'Alema e il suo ex pupillo, dopo un gelo assoluto durato ben dieci anni.

(31 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: D'Alema: ''Berlusconi finge di governare il Paese'' (bentornato Massimo ndr).
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2008, 11:38:57 pm
Politica

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''Io penso che il Pd alle europee avrà più del 30% dei voti''

D'Alema: ''Berlusconi finge di governare il Paese''

L'ex vicepremier alla Festa democratica: ''Il premier non risolve i problemi, nasconde la spazzatura sotto il tappeto, carica di debiti le generazioni future e toglie risorse nei settori decisivi per il futuro dell’Italia''


Firenze, 3 set. (Adnkronos/Ign) - Berlusconi? ''Si muove con abilità e finge di governare il Paese. Ma nessuno dei problemi veri viene affrontato''. Questo l'affondo di Massimo D'Alema intervistato da Giovanni Floris alla Festa del Pd a Firenze.

D'Alema, in primo luogo, ha ringraziato per l'incontro. ''Credo che questa partecipazione è la dimostrazione che, sia pure con l’anima attraversata da preoccupazioni ed irritazione, non è venuta meno la passione politica''. Il messaggio che arriva dalla gente che partecipa alla Festa è ''diamoci una mossa'', ha sottolineato.

Le prime battute dell'intervista sono dedicate alle fote diffuse in questi giorni e che ritraggono l'ex ministro degli Esteri, a bordo di un gommone, mentre cade in acqua. ''Hanno tagliato la sequenza fotografica montando una notizia che ha avuto un grande successo - ha spiegato -. Da una parte complimenti, dall'altra mi conferma che bisogna sfogliare i giornali con spirito critico''.

Poi l'analisi della popolarità di cui gode il presidente del Consiglio. ''Buona parte dei suoi successi derivano dal fatto che si è insediato dopo che noi avevamo affrontato tutte le difficoltà e i sacrifi ed arrivava il momento di raccogliere i frutti. E' arrivato lui ed ha colto i frutti.  Berlusconi non risolve i problemi, nasconde la spazzatura sotto il tappeto, carica di debiti le generazioni future e toglie risorse nei settori decisivi per il futuro dell’Italia'', ha detto l'ex vicepremier.

Per quanto riguarda la gestione del caso Alitalia, D'Alema ha evidenziato il ''costo alto per il Paese, per i lavoratori'' di una operazione politica ''contraria alle normali regole di un'economia di mercato''. ''Berlusconi ha creato una situazione talmente vantaggiosa - ha spiegato - si è caricato il debito quindi l'ha offerta ad un gruppo di imprenditori. Naturalmente è un costo che viene scaricato sulla collettività. Dal punto di vista politico è un’operazione negativa, dal punto di vista delle regole del mercato lascia allibiti''.

Bocciata, poi, la ''parata propagandistica di 3000 militari'' nelle città. ''Uno dei momenti più bassi dell'esperienza di governo perché è evidente l'uso strumentale delle forze dell'ordine''.

Parlando del Partito Democratico, D'Alema ha auspicato ''una riflessione approfondita sulle vie della rivincita''. Ma ''non dobbiamo avere fretta. Bisogna lavorare come se ci fosse del tempo per portare a fondo la costruzione del partito e di un rapporto con il popolo''. Bisogna ''costruire un grande partito partendo dalla società''. Quindi tesseramento. E le correnti? ''Non sono favorevole nella loro forma tradizionale. Sto cercando di fare una cosa diversa. Noi lavoriamo per proporre idee non per rivendicare posti, non abbiamo chiesto nulla''. ''Io voglio aiutare chi ha maggiori responsabilità nel Pd'', ha poi aggiunto.

Al suo arrivo alla festa, D'Alema, parlando del caso Italia-Libia, ha ricordato in primo luogo che "la Nato è una alleanza difensiva, e non ha nei suoi programmi quello di aggredire nessun paese". "Questo accordo con la Libia - ha ricordato D'Alema - era stato negoziato da noi, me ne ero occupato personalmente e a lungo. La traccia di accordo è quella che avevamo predisposto, non prevede clausole segrete, credo, almeno per quanto ne so io". "Noi avevamo ancora un problema da definire - ha aggiunto l'ex ministro degli Esteri - sugli oneri che Berlusconi ha definito molto generosamente, accollando i costi alle generazioni future per i prossimi 25 anni: lo sta facendo - ha concluso D'Alema sorridendo - in tanti campi... ".

Parlando ancora dell'operato dell'esecutivo, l'ex vicepremier ha dichiarato: "Credo che con una certa abilità il governo ha scaricato sui Comuni, sugli enti locali e sulle Regioni il costo della sua manovra finanziaria, ma in realtà in questo modo la scarica sui cittadini, sia pure tirando il sasso e nascondendo la mano, magari dando colpa al sindaco che senza soldi sarà costretto a tagliare i servizi essenziali". "Il governo ha colpito la spesa scolastica - ha proseguito D'Alema - l'operazione fatta sull'Ici per ragioni propagandistiche e di conquista del consenso non ha garantito ai Comuni un recupero delle risorse".

Poi, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano un commento alle affermazioni del sindaco di Venezia Massimo Cacciari, secondo cui se il Pd dovesse scendere sotto il 30% alle europee la leadership di Walter Veltroni potrebbe essere messa in discussione, D'Alema ha osservato: "E' una opinione di Cacciari. Io penso che il Pd alle europee avrà più del 30% dei voti".

Che sensazioni nel passare dalle Feste dell'unità alla Festa del Pd? "Uguale - ha detto -. E' una festa popolare, è una grande tradizione, ed è una tradizione che continua. Naturalmente la denominazione deve essere tale, dare il senso del nuovo partito. Noi siamo passati dal Pci al Pds... siamo abituati al cambiamento, non mi pare che siamo di fronte a dei traumi".

da adnkronos.com


Titolo: D'Alema: L'alleanza Pd-Di Pietro? Non dovete chiedere a me.
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2008, 11:40:16 pm
Alla festa del Pd a Firenze

D'Alema: «L'alleanza Pd-Di Pietro? Non dovete chiedere a me...»

L'ex ministro non cita direttamente Veltroni: «Anni fa mi feci un’idea di chi avevo di fronte»


FIRENZE - Perché il Pd ha scelto Di Pietro come alleato? «Questa risposta la lasciamo all’interlocutore che verrà qui tra qualche giorno». È tranchant l'ex ministro Massimo D’Alema nel rispondere a una domanda di Giovanni Floris alla Festa nazionale del Pd a Firenze sui motivi che hanno spinto il Pd a scegliere l’ex pm di Mani Pulite come alleato.

CITAZIONE INDIRETTA - D’Alema non cita direttamente il segretario del Pd, Walter Veltroni. Ma è lui «l’interlocutore» che sarà ospite tra qualche giorno, sabato per la precisione, alla kermesse democratica. Per far comprendere i rapporti - non proprio amichevoli, a quanto pare - che intercorrono tra lui e il leader dell'italia dei Valori, D’Alema ha citato un episodio di qualche anno fa quando a Gallipoli presentò la sua candidatura nel collegio elettorale senza gareggiare nel proporzionale. «Rifondazione non presentò candidati e fu un atto che io apprezzai; anche D’Antoni decise di non presentarli - ricorda D’alema - solo Di Pietro presentò una candidatura, un ex funzionario del nostro partito con l’evidente scopo di sottrarre voti decisivi». La conclusione di D’Alema è inequivocabile: «Io non porto rancore verso nessuno, ma sono quei momenti in cui ti fai un’idea di chi hai di fronte. Lo dico serenamente perché me la cavai da solo».


03 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Festa Pd, applausi per D'Alema "Messaggio è: diamoci una mossa"
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2008, 11:43:56 pm
POLITICA

Sotto la tenda che ospita i dibattiti pubblico in piedi per l'ex ministro degli Esteri

"Alitalia operazione politica grave e negativa, ma no a polemiche con imprenditori"

Festa Pd, applausi per D'Alema "Messaggio è: diamoci una mossa"

"Per le alleanze obiettivo non è stare soli ma in tanti, costruire centrosinistra nuovo"

E sullo scoop di Novella 2000: "Li ammiro, tagliando una foto hanno imbrogliato tutti"

 

FIRENZE - Standing ovation alla festa nazionale del partito democratico in corso a Firenze per Massimo D'Alema. "Il messaggio che arriva da voi che siete qua è: 'diamoci una mossa'", ha detto l'ex ministro degli Esteri, che sul palco allestito per il dibattito con Giovanni Floris ha affrontato molti argomenti, dall'Alitalia, alle alleanze politiche fino alla foto pubblicata su Novella 2000, che lo ritrae mentre cade in mare da un gommone.

Applausi. Tutti in piedi nella tensostruttura 'Giorgio La Pira': i militanti hanno salutato con un lungo e scrosciante applauso Massimo D'Alema. "Questa partecipazione - dice D'Alema rispondendo alla standing ovation - è la dimostrazione che, nonostante l'animo attraversato da un certo malessere, non viene mai meno la passione politica dei tanti presenti. Se possiamo sintetizzare - dice - il messaggio che arriva dalla gente alle feste è 'diamoci una mossa'".

Alitalia. "Mi accusarono di aver fatto di palazzo Chigi una 'merchant bank' - dice D'Alema entrando nel vivo della discussione - e io invece feci l'opposto: mi rifiutai di intervenire con la forza del governo per garantire i poteri forti e me l'hanno fatta pagare", sottolinea proposito della operazione del governo per salvare Alitalia e ricordando le critiche alla sua esperienza di governo. "Su Alitalia - afferma D'Alema - io distinguo tra un'operazione politica grave e negativa, che lascia allibiti dal punto di vista delle regole di mercato e che scarica il costo sulla collettività, e gli imprenditori che fanno gli imprenditori e con i quali non dobbiamo polemizzare".

Colaninno. Alla domanda se si aspettasse che Roberto Colaninno avrebbe preso le redini della nuova Alitalia, l'ex ministro degli Esteri risponde: "Sì, me l'aspettavo, non è un mistero che Colaninno fosse molto interessato da tempi non sospetti; e non mi ha stupito vederlo tra gli imprenditori, visto che Berlusconi ha poi creato una situazione talmente vantaggiosa per loro".

Il voto. "Se si votasse la prossima settimana, Berlusconi vincerebbe. Per noi è una sfida lunga dobbiamo impostare una sfida di medio periodo, politico-programmatica ma anche di valori. Poi, chi ha più filo da tessere tessera". E' la valutazione espressa da Massimo D'Alema. "Berlusconi si muove con abilità - ha affermato D'Alema - e fa finta di governare. Non risolve i problemi, mette la spazzatura sotto i tappeti, è circondato da una classe dirigente servile, mentre il Paese paga un prezzo molto alto".

Novella 2000. "Io sono un ammiratore di Novella 2000 e prima di tutto gli faccio i complimenti per come, tagliando una foto, ha imbrogliato tutta la stampa italiana che, per la verità, è ben predisposta". Così Massimo D'Alema ha risposto a Giovanni Floris che ha aperto l'intervista alla festa nazionale del Pd chiedendogli come aveva fatto a cadere dal canotto nel mare di Ponza. D'Alema ha spiegato che quell'immagine ripresa da tutti i giornali, in realtà, "è una foto 'tagliata'" perché il tuffo involontario in mare l'ex ministro degli Esteri lo ha fatto quando le due persone che erano sedute dall'altra parte del gommone si sono buttate insieme per fare il bagno.

Alleanze. Sul terreno delle alleanze con il Pd "è sempre meglio stare da soli quando i tuoi potenziali alleati non sono credibili. Ma l'obiettivo non è questo, l'obiettivo è stare in tanti, costruire un centrosinistra nuovo", ha affermato D'Alema. "Bisogna guardare anche alla sinistra radicale - dice - che ha commesso errori molto gravi ma discute". Per D'Alema bisogna guardare anche "al centro, perchè c'è un pezzo del mondo cattolico e moderato che non si è fatto assorbire dal berlusconismo".

Alla domanda di Giovanni Floris di cosa sia il Partito Democratico, con una battuta caustica: "Se lo hanno compreso 12 milioni di italiani... penso che lo abbia capito anche lei".

Fascismo. In Italia non esiste "un pericolo fascista" ma "non c'è una democrazia proprio normale", ha detto D'Alema, spiegando che questa democrazia non proprio normale deriva dal fatto che "una concentrazione di poteri finanziari, politico e mediatico non è normale". L'esponente del Pd si è detto quindi convinto che questo non si potrebbe risolvere "con una leggina".

Giustizia. Anche sul tema della giustizia "il confronto, il dialogo è normale in democrazia, ed è stupido il dibattito sul 'dialogo sì o dialogo no'". D'Alema spiega di essere ben disposto nei confronti di un dialogo sulla riforma della giustizia ma ribadisce anche che ci sono obiettivi diversi rispetto alla destra. "Non possiamo avere la posizione di dire che le cose vanno bene così - sottolinea - ma partiamo da presupposti diversi rispetto a Berlusconi. Noi siamo preoccupati perché vogliamo rendere più funzionale il sistema della giustizia mentre tutte le riforme della giustizia che ha fatto la destra avevano l'obiettivo di renderla più difficile e macchinosa".

Di Pietro. Perché il pd ha scelto Di Pietro come alleato? "Questa risposta la lasciamo all'interlocutore che verrà qui tra qualche giorno". Risfodera il suo atteggiamento tranchant D'Alema nel rispondere a Floris sui motivi che hanno spinto il Pd a scegliere l'ex pm come alleato. D'alema non cita direttamente il segretario del Pd Veltroni ma è lui "l'interlocutore" che sarà ospite sabato alla kermesse democratica.

Poi D'Alema cita un episodio di qualche anno fa quando a Gallipoli presentò la sua candidatura nel collegio elettorale senza gareggiare nel proporzionale. "Rifondazione non presentò candidati e fu un atto che io apprezzai, anche D'antoni decise di non presentarli - ricorda D'alema - solo Di Pietro presentò una candidatura, un ex funzionario del nostro partito con l'evidente scopo di sottrarre voti decisivi". La conclusione di D'Alema è inequivocabile: "Io non porto rancore verso nessuno, ma sono quei momenti in cui ti fai un'idea di quello che hai di fronte".

(3 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: PD: D'ALEMA, DISPONIBILE AD AIUTARE NON VOGLIO DAR FASTIDIO
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 10:45:33 am
Politica
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PD: D'ALEMA, DISPONIBILE AD AIUTARE NON VOGLIO DAR FASTIDIO

IN CHE RUOLO LO DEVE DECIDERE VELTRONI

Roma, 4 set. - (Adnkronos) - "Il Partito democratico e' una grande speranza per l'Italia, e' un momento difficile, tutti si devono dar da fare e io sono disponibile". Cosi' Massimo D'Alema ai microfoni del Tg1 conferma la sua disponibilita' a collaborare all'interno del Pd.


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Politica
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GIUSTIZIA: D'ALEMA, RIFORMA SIA PER CITTADINI NON CONTRO MAGISTRATI



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Roma, 4 set. - (Adnkronos) - "Noi siamo contrari al regolamento di conti con i magistrati, siamo contrari ad un'indea di un intervento sulla giustizia che e' volto soltanto a limitare e a colpire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura". Lo dichiara Massimo D'Alema ai microfoni del Tg1.


Titolo: D’Alema: non ci sarà federalismo senza riforma condivisa dello Stato
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2008, 11:50:11 am
D’Alema: non ci sarà federalismo senza riforma condivisa dello Stato


di Claudio Sardo


ROMA (12 settembre) - «Non ci sarà il federalismo fiscale senza una riforma condivisa dello Stato centrale. E senza un bilancio serio di questi ultimi anni, nei quali i trasferimenti di poteri e funzioni a Regioni e Comuni hanno prodotto un aumento della spesa corrente». Massimo D’Alema parla nel suo ufficio di presidente della Fondazione Italiaeuropei mentre le agenzie di stampa battono la notizia del via libera «preliminare» da parte del Consiglio dei ministri alla bozza Calderoli. «Dopo giorni di litigi interni è tuttora vago l’oggetto dell’intesa nel governo. Volevano consentire a Bossi di esibire un trofeo alla manifestazione di Venezia. Ma il federalismo fiscale è niente senza le cifre. Cosa vogliono decentrare? Quali tributi finanzieranno Comuni, Province, Regioni? L’Irpef non può che restare una imposta statale, pena rischi gravissimi. E la prima scelta del governo - abolire la quota residua di Ici anziché abbattere le aliquote Irpef - ha avuto un segno decisamente antifederalista, oltre ad allargare la forbice della diseguaglianza sociale».
Da voi opposizione, dai sindaci e dai governatori di centrosinistra non sono venute però grosse obiezioni alla bozza Calderoli.
«La Lega ha consultato tutti e raccolto molte proposte. Ne è venuta fuori una fase istruttoria confusa ma aperta. Per certi aspetti il metodo va apprezzato. Ma per fare la riforma bisogna passare ai conti. Se resta così generica, lo stesso governo rischia di non poter esercitare la delega. E certo non aiuta la demagogia a buon mercato di chi promette che il Nord si arricchirà e il Sud non ci rimetterà un euro. Con il Paese fermo, un simile esito è possibile solo aumentando le tasse».
Il ministro Tremonti sostiene che la razionalizzazione federalista, unita ad una sana competizione tra istituzioni, produrrà forti risparmi di spesa.
«La nostra spesa sanitaria è pari al 7% del Pil contro l’8,1 francese e l’8,9 tedesco. Migliorare la qualità della spesa è sempre un obiettivo da perseguire. Ma come si può pensare di arrichire di colpo il Nord, il Centro e il Sud? La nostra destra peraltro è la più clientelare e populista d’Europa: tra il 2001 e il 2005, in epoca di attuazione del federalismo, la spesa corrente è aumentata del 2,5% con i governi Berlusconi».
Questa vale anche come autocritica, dal momento che la riforma del titolo V l’avete approvata voi.
«È stato un errore lasciare quella riforma da sola. Nel progetto della Bicamerale il federalismo era affiancato da una riforma del governo, del Parlamento, del sistema delle garanzie. E il punto è ancora questo: senza una riforma seria e condivisa dello Stato nel suo insieme non solo si finisce per pagare di più, ma si aumentano le disuguaglianze e si minano le fondamenta della coesione del Paese».
Al governo comunque assicurano: il federalismo fiscale garantirà perequazioni e compensazioni a favore del Sud.
«A parte il fatto che il governo in concreto sta riducendo gli incentivi per le aree svantaggiate... In ogni caso il problema non è la compensazione, ma la cittadinanza. Sta qui il punto cruciale. Il federalismo solidale non è la perequazione di risorse tra territori. Può diventare una organizzazione più funzionale solo se lo Stato resta il garante dell’uguaglianza dei cittadini, a partire dal godimento dei diritti essenziali. Il diritto alla salute, alla sicurezza, all’istruzione non appartengono ai territori ma alle persone».
Per lei riforma più ampia vuol dire modello tedesco?
«Il modello tedesco è coerente con un impianto federalista. Nel convegno di luglio delle Fondazioni, con il contributo di alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani, abbiamo avanzato una proposta dettagliata. Aspettiamo la risposta di Berlusconi».
Berlusconi non pare convinto. E forse neppure Veltroni.
«Veltroni e Franceschini, al convegno delle Fondazioni, hanno espresso apprezzamento e condivisione. Non ci sono altre proposte del Pd. Veltroni vuole che la legge elettorale, pur su un impianto di tipo tedesco, favorisca di più i partiti maggiori. Ma si tratta di aspetti tecnici che non mettono in discussione la convergenza sulle linee di fondo del progetto istituzionale».
Pdl e Lega hanno trovato l’intesa sulla legge elettorale europea: sbarramento al 5% e abolizione delle preferenze. Cosa ne pensa?
«Se questa è la loro scelta, vuol dire che non vogliono il dialogo. Vogliono solo lo scontro. Fissare per le europee uno sbarramento più alto di quello nazionale non ha giustificazione, se non quella di trarne un vantaggio di parte. Così l’abolizione delle preferenze: un diritto sottratto ai cittadini per favorire le oligarchie di partito. Ma in questo modo saltano i presupposti di un confronto».
Non è che state soltanto alzando i toni per rianimare l’opposizione dopo una stagione di stordimento?
«Non abbiamo paura di fare le riforme insieme. Ma per farle ci vuole un clima di collaborazione, che spetta innanzitutto al governo costruire. Fin qui non è stata l’opposizione ad opporre un rifiuto ma Berlusconi, con i provvedimenti sulla giustizia regolati sulla base dei propri interessi e della propria agenda».
Anche sui temi sociali, sul caso Alitalia, state usando toni più forti. È la vostra campagna d’autunno?
«La sfida tra maggioranza e opposizione si gioca innanzitutto sui temi sociali. E sarà pure sfortuna, ma i governi Berlusconi coincidono sempre con periodi di stagnazione. Dopo i fuochi pirotecnici e i colpi d’immagine, il governo è ora tornato sulla terra e sta dimostrando di non avere una visione del futuro. La partita è iniziata e anche per noi sarà un confronto impegnativo. Quando si perde, il colpo è sempre brutto. Ma le nostre direttrici restano: ridurre le disuguaglianze e difendere gli interessi del Paese».
Sul caso Alitalia non è stato il governo a difendere di più l’italianità?
«Berlusconi ha agito per far saltare il piano Air France e ha costruito una soluzione fuori mercato, i cui pesanti costi saranno pagati dai lavoratori e dai contribuenti. Il nostro giudizio sul governo è severissimo. Detto questo, se la nuova compagnia decollerà, non possiamo che augurarci che abbia successo. L’opposizione del Pd non ha nulla a che vedere con il ”tanto peggio tanto meglio”. Noi non facciamo opposizione alle imprese, che sono una risorsa per il Paese».
Qualcuno griderà all’inciucio.
«Ci sarà sempre qualcuno che grida all’inciucio. Ma sono residui faziosi ed estremisti, decisiamente minoritari».
Perché allora avete deciso di tornare in piazza?
«Perché le manifestazioni sono espressione della vita democratica. E sono tanto più utili quanto più sono partecipate e capaci di attirare simpatia dall’esterno. Quando si è in tanti, si urla di meno e si è più convincenti. Invece manifestazioni come quelle di piazza Navona hanno finito per dare una mano a Berlusconi e per deprimere l’opposizione».
Ma per domani con chi volete allearvi? O è ancora in campo l’ipotesi dell’autosufficienza?
«Dopo le elezioni c’è una stata una breve discussione tra noi, ma ora è tutto chiarito: l’obiettivo del Pd non è la solitudine. Vocazione maggioritaria vuol dire essere il perno di un’alternativa credibile di governo. Per fare questo non c’è bisogno di compilare liste di possibili alleati. Bisogna fare politica. Aprire confronti e misurarsi sui programmi innanzitutto con chi si oppone a Berlusconi».
Non c’è il rischio di una riedizione dell’Unione?
«Quando verrà il tempo delle alleanze elettorali, la coerenza sui programmi sarà irrinunciabile. Ma intanto dobbiamo ”fare politica”. Verso la sinistra radicale, perché sarebbe un danno per il Paese una deriva estremista. Verso il centro che si è sottratto all’egemonia berlusconiana, perché abbiamo in comune una cultura costituzionale così diversa da quella che la destra sta mostrando in questi giorni. Anche verso Di Pietro, purché sia chiaro che ci sta a cuore la legalità, mentre il populismo giustizialista è inaccettabile. E alle prossime amministrative queste alleanze possono già sperimentarsi».
A Firenze lei ha detto al vertice del Pd: ”Se mi chiamate, sono a disposizione”. La risposta è stata fredda.
«Non ho bisogno di posti. Lavoro molto con Italianieuropei e per me questo lavoro è un contributo al Pd. Ci descrivono come una corrente, ma tutta la nostra attività è l’esatto contrario. Ecco il programma del festival della salute di fine mese: studiosi, scienziati, personalità delle istituzioni, della cultura e dello sport. Il Pd farebbe cosa saggia se ci utilizzasse di più. Oggi ha bisogno di chiamare a raccolta tutte le sue energie».

da ilmessaggero.it


Titolo: Federalismo e legge elettorale europea muro contro muro governo e opposizione
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2008, 11:51:23 am
Federalismo e legge elettorale europea: muro contro muro tra governo e opposizione


di Marco Conti


ROMA (12 settembre) - Una lettura meno affrettata e più ragionata del testo, permette a molti quotidianidi oggi di qualificare come un mezzo successo leghista il via libera del consiglio dei ministri alla bozza di riforma federalista. Si tratta solo di una ”bozza” e nemmeno della prima. Come è anche probabile che domenica a Venezia Umberto Bossi metta qualche puntino sulle ”i”. Specie per quanto riguarda la tempistica dilatata da sei mesi a due anni per i decreti attuativi e a sette per l’effettiva entrata a regime. Non solo, grazie al lavoro del ministro Raffaele Fitto, il fondo perequativo resta in mano statale. Così come la Sicilia conserverà il diritto all’incasso delle accise derivanti dall’attività estrattiva, che si sommerà ai congrui trasferimenti che gli derivano dallo statuto speciale.


Resta comunque il fatto che l’intesa politica tra Cavaliere e Senatur sembra essere a prova di bomba e le avances del Pd non riescono a scalfire la compattezza della coalizione di centrodestra. Oggi ci riprova, in un’intervista al Messaggero, Massimo D’Alema che offre la disponibilità del principale partito d’opposizione a discutere di federalismo, a patto che si affronti anche la cornice delle riforme istituzionali necessarie a non far esplodere costi e spese. Il leader del Pd sembra crederci poco e l’ultimatum sulla legge elettorale per le Europee («inaccettabile una legge con liste bloccate»), conferma la prospettiva di un muro contro muro tra maggioranza e opposizione.

Uno dei punti dell’intesa raggiunta da Berlusconi e Bossi mercoledì notte, sarebbe proprio su questo punto e prevederebbe uno sbarramento al cinque e liste bloccate. Ovvero senza preferenza. Ovvero lasciando nelle mani di sempre più ristrette oligarchie di partito la scelta dei candidati da inserire in lista e da portare a Bruxelles. E’ ormai da tempo che si denuncia la rarefazione del rapporto tra eletto ed elettori. Un fossato che le leggi elettorali nazionali che si sono succedutesi in questi anni hanno contribuito a scavare. Una preoccupazione che il capo dello Stato non manca di esprimere e di accompagnare al tema della semplificazione del quadro politico. Anche se il tema della ”casta” non sembra più essere di moda come qualche anno fa, sono le cronache che hanno accompagnato i giorni precedenti il deposito delle liste elettorali, a confermare che i componenti l’attuale Parlamento sono stati decisi da un pugno di leader che hanno composto e ricomposto le liste, privilegiando soltanto gli equilibri interni e quasi mai il rapporto del candidato con il territorio. Se Lega e partiti regionali sfuggono a questa regola, altrettanto non può dirsi per i partiti cosiddetti nazionali. A cominciare da Pd e Pdl. D’altra parte bastano pochi minuti di navigazione sul sito della Camera e del Senato per rendersi conto dello scarsissimo legame tra parlamentari e territorio di elezione che si evince dai pur spesso enfatici curriculum e dai dati anagrafici.

E’ comunque forte il sospetto che tale meccanismo convenga non solo a partiti a forte leadership come Forza Italia, ma anche a partiti a struttura più complessa come An e Pd. Proprio per arginare la ”complessità” di tali partiti, i rispettivi leader mostrano di aver interesse a costruirsi intorno una classe dirigente fedele e devota. Anche a costo di compromettere il rapporto con gli elettori.

da ilmessaggero.it


Titolo: D'Alema plaude a Berlusconi: «Giuste le rassicurazioni sulle banche»
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:16:42 am
E sulla crisi: «bene le rassicurazioni di Berlusconi sulle banche»

Riforme, D'Alema: "Servono convergenze"

L'esponente del Pd: «La maggioranza può decidere di fare da sola , ma sarebbe un errore»

 

CAPRI - «Siamo in Parlamento, si discute», non è che «bisogna decidere di fare il dialogo». Così Massimo D'Alema, a margine del convegno dei giovani di Confindustria a Capri. L'esponente del Pd torna sul tema del dialogo sulle riforme precisando che «si tratta di vedere se c'è la possibilità di arrivare a delle convergenze». Questo, ha aggiunto D'Alema, «non dipende da noi ma principalmente dalla maggioranza» che «può anche decidere di fare da sola, ma in certe materie, a mio giudizio, sarebbe un errore».

«BENE BERLUSCONI SULLE BANCHE» - Plauso di D'Alema a Silvio Berlusconi in merito alle dichiarazioni del premier sulla crisi finanziaria. «Ho trovato giuste le parole del presidente del Consiglio che ha rassicurato sulla solidità del nostro sistema bancario e finanziario» ha detto l'esponente del Pd intervenendo al convegno dei Giovani di Confindustria a Capri.

«BCE OSTINATA» - D'Alema ha spiegato di essere favorevole al mantenimento degli obiettivi del Patto di Stabilità «ma in questo momento servirebbe che il vincolo del 3% fosse flessibilen - ha sottolineato l'esponente dei democratici -. Non deve essere l'Italia a chiederlo a Bruxelles, ma dovrebbe essere Bruxellers stessa a imboccare questa strada» ha detto D'Alema a Capri. «In una grande crisi come questa uno dei numeri che non torna è il tasso di interesse che la Bce ancora ostinatamente difende soprattutto in una fase di crisi dei consumi, e che invece consiglierebbe un sistema più espansivo di sviluppo» ha spiegato ancora D'Alema.

TREMONTI E MARX - A Capri D'Alema ha «duetatto» a distanza con Giulio Tremonti, citandolo più volte nel corso del suo intervento. «Ho letto sui giornali che ha detto "il denaro non produce magicamente denaro"...è una citazione di Karl Marx», ricorda con un sorriso. «Mi fa piacere - aggiunge - perché sia pure in bocca di Tremonti Karl Marx resta sempre Karl Marx».

NUCLEARE - Nel suo intervento D'Alema ha toccato anche il tema del nucleare, per il quale dimostra di non aver nessun pregiudizio ideologico, sottolineando anzi come venti anni fa si espresse a favore del nucleare nonostante gli interessi «di un blocco conservatore» condizionarono l’opinione pubblica e ne provocarono la bocciatura. Dal palco del convegno dei giovani di Confidustria, D’Alema ha sottolineato che «furono i petrolieri pubblici e privati con la loro capacità di condizionare» le politiche e l’opinione pubblica a portare al «rifiuto del nucleare». D’Alema ha ricordato che venti anni fa si batteva per il nucleare contro gli amministratori locali pugliesi che rifiutavano la costruzione di centrali nucleari e per questo, ha detto con una battuta, «mi pigliavano a sassate e mi bucavano le gomme». Poi pesò il blocco «degli interessi conservatori». Tuttavia oggi il nucleare è stato abbandonato e, ha spiegato D’Alema, «vedo che in Europa non si costruiscono centrali». «Il nucleare - ha concluso - è un sistema» che tocca la sicurezza, lo smaltimento delle scorie, «e ricostruirlo non è semplice».


04 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: Fini apre a D'Alema «Giusto confronto sulle regole del gioco»
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:17:55 am
E SUL RAZZISMO: RISCHIO C'è. VELTRONI: INTOLLERANZA sarà TEMA DELLA MANIFESTAZIONE DEL 25

Riforme, Fini apre a D'Alema «Giusto confronto sulle regole del gioco»

Il presidente della Camera: «Legislatura sprecata senza il dialogo. Convergenze possibili»

 
MILANO - «Se oggi D'Alema voleva dire: discutiamo su come rendere questa legislatura fruttuosa, questa cosa deve essere condivisa. D'Alema non è uno sprovveduto, ha capito che questa legislatura dura cinque anni». Ed ancora: «Mi auguro che ci sia un riscontro fin dalle prossime settimane. Sarebbe l'ennesima legislatura sprecata se non si desse corso ad un dialogo tra maggioranza e opposizione». Gianfranco Fini non lascia cadere nel vuoto l'appello a cercare ampie convergenze sulle riforme lanciato dall'esponente del Pd durante il convegno dei giovani industriali a Capri. «Non sarebbe male - ha detto Fini, intervistato dal direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli alla festa della Libertà di Milano - se in questa legislatura ci si potesse confrontare seriamente su quale assetto dare al sistema italiano».

«CONVERGENZE POSSIBILI» - Il presidente della Camera ha ricordato che «c'è già una struttura federale nei fatti in Italia». Accennando al sistema tedesco, Fini ha ipotizzato che «si potrebbero registrare delle convergenze». Da più parti - ha detto il presidente della Camera - si dice che occorre ridurre il numero dei deputati. L'ammodernamento del Titolo v - aggiunge la terza carica dello Stato - potrebbe essere un altro spunto di dialogo e di convergenza». Per Fini «è giusto confrontarsi sulle regole del gioco: mi auguro che ci sia un confronto anche sul federalismo fiscale. Spero - conclude Fini - che questa assenza di pregiudizio orienti le forze politiche verso il confronto».

RAZZISMO - Nel corso della festa del Pdl a Milano Gianfranco Fini ha dedicato ampio spazio agli ultimi casi di aggressioni a cittadini extracomunitari registrati nel nostro Paese. «Sarebbe sbagliato negare che esiste un pericolo razzismo e xenofobia» ha detto il presidente della Camera. Ricordando l'idea di costituire un osservatorio alla Camera sull'argomento, Fini ha ribadito la necessità di una politica dell'integrazione. «Cos'è l'integrazione? È il rispetto di alcune regole ma non basta avere un lavoro e pagare le tasse. La vera integrazione esiste quando si fanno propri i valori di fondo della società in cui si vive» ha aggiunto il numero uno di Montecitorio.

VELTRONI - Dal canto suo il segretario del Pd Walter Veltroni, raccogliendo l'appello di un gruppo di intellettuali, annuncia che la lotta al razzismo sarà uno dei temi della manifestazione del Pd. «Avverto il rischio di una diffusione - sostiene Veltroni - a macchia d'olio di rigurgiti razzisti e xenofobi, una prospettiva intollerabile per tutti quelli che hanno a cuore i valori della libertà, dell'uguaglianza e della giustizia sociale. Contribuire a salvare l'Italia da questo scenario è un dovere di cui il Partito democratico sente in pieno la responsabilità».


04 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: Fini: no all'abuso dei decreti. Ma il Cavaliere: sveltire le procedure
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:18:58 am
Fini: no all'abuso dei decreti. Ma il Cavaliere: sveltire le procedure

Il premier: «Basta andare in tv. Ci sono programmi indecenti»

«Non stiamo qui a scaldare la sedia. Se dobbiamo galleggiare, allora è meglio tornarcene a casa»



ROMA — «Sia chiaro, non stiamo qui a scaldare la sedia, se dobbiamo galleggiare, allora meglio tornarcene a casa, visto che di case ne abbiano tante e sapremmo anche come divertirci...». Che non ha intenzione alcuna di fare marcia indietro sull'annuncio che si utilizzeranno spesso e volentieri decreti legge e fiducia, Silvio Berlusconi lo dice seccamente, e rafforza il concetto mandando il suo «più sentito invito» ai presidenti delle Camere a darsi da fare perché vengano al più presto modificati i regolamenti parlamentari e sveltite le procedure legislative. E quanto è arrabbiato per il clima di scontro tra i poli lo dimostra scuotendo la testa, e annunciando un black-out in tivù suo e di tutto il centrodestra: «Dobbiamo riacquistare la libertà di non essere insultati e sottoposti al pubblico ludibrio in trasmissioni che non sono condotte in modo imparziale, dobbiamo recuperare la dignità del nostro ruolo di governo», evitando, almeno fino a quando la sinistra «non cambierà atteggiamento», di partecipare a talk-show in cui si fa «insulto e mendacio».

È un Berlusconi che per un'ora e mezza — in conferenza stampa con i ministri Gelmini e Brunetta — alterna battute a malumori, ma che soprattutto manda messaggi chiari, all'opposizione che dal Pd a Casini protesta per «l'esproprio del Parlamento che mina la democrazia » ma anche a chi - come il presidente Gianfranco Fini (che pure auspica una modifica dei regolamenti) - avverte che in caso di «abuso» della decretazione d'urgenza, la Camera avrebbe il «diritto-dovere di far sentire la sua voce». Perché, appunto, secondo il premier, con le vecchie regole che rendono «un popolo di persone depresse » i parlamentari costretti a subire i rallentamenti causati «dall'ostruzionismo», non si va avanti: «Aumentando i poteri del premier non si rischia di cadere in un regime autoritario e dittatoriale, come qualcuno ridicolmente paventa...», l'allusione a Veltroni. Ma è lo sfogo sul trattamento riservato a lui indirettamente e ai suoi direttamente quando vanno in tivù a fare rumore.

Non chiarisce con chi ce l'ha il premier — «fatevi la domanda e datevi la risposta» dice —, ma raccontano che, tra le tante, l'ultima arrabbiatura se la sia presa guardando martedì sera in tivù il Porta a Porta con ospiti Verdini e Gasparri da una parte e Bindi e Di Pietro dall'altra, finito quasi in rissa: «Mai più nostri esponenti andranno a farsi insultare: in tante trasmissioni ci sono conduttori che non sanno reggere la situazione che si trasforma subito in rissa indecente, ma siccome siamo persone decenti non possiamo più subire questo trattamento». Insomma, il botta e risposta tra avversari, soprattutto certi avversari, in un «clima incivile» è «inaccettabile», perché non «porta niente, né alla corretta informazione, né al pubblico: non ci conviene andare». E vanno anche evitate le dichiarazioni «by the way», audace traduzione in inglese di «per strada», si parla solo in conferenza stampa, «meglio se a palazzo Chigi».



Paola Di Caro
02 ottobre 2008(ultima modifica: 03 ottobre 2008)

da corriere.it


Titolo: D'Alema plaude a Berlusconi: «Giuste le rassicurazioni sulle banche»
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:21:54 am
«Bene Tremonti che cita Marx»

D'Alema plaude a Berlusconi: «Giuste le rassicurazioni sulle banche»

«Bce ostinata, i tassi vanno abbassati».

E sul nucleare: «Da giovane ero favorevole e mi prendevano a sassate»



CAPRI - Massimo D'Alema plaude a Silvio Berlusconi in merito alle dichiarazioni del premier sulla crisi finanziaria. «Ho trovato giuste le parole del presidente del Consiglio che ha rassicurato sulla solidità del nostro sistema bancario e finanziario» ha detto l'esponente del Pd intervenendo al convegno dei Giovani di Confindustria a Capri.

«BCE OSTINATA» - D'Alema ha spiegato di essere favorevole al mantenimento degli obiettivi del Patto di Stabilità «ma in questo momento servirebbe che il vincolo del 3% fosse flessibilen - ha sottolineato l'esponente dei democratici -. Non deve essere l'Italia a chiederlo a Bruxelles, ma dovrebbe essere Bruxellers stessa a imboccare questa strada» ha detto D'Alema a Capri. «In una grande crisi come questa uno dei numeri che non torna è il tasso di interesse che la Bce ancora ostinatamente difende soprattutto in una fase di crisi dei consumi, e che invece consiglierebbe un sistema più espansivo di sviluppo» ha spiegato ancora D'Alema.

TREMONTI E MARX - A Capri D'Alema ha «duetatto» a distanza con Giulio Tremonti, citandolo più volte nel corso del suo intervento. «Ho letto sui giornali che ha detto "il denaro non produce magicamente denaro"...è una citazione di Karl Marx», ricorda con un sorriso. «Mi fa piacere - aggiunge - perché sia pure in bocca di Tremonti Karl Marx resta sempre Karl Marx».

NUCLEARE - Nel suo intervento D'Alema ha toccato anche il tema del nucleare, per il quale dimostra di non aver nessun pregiudizio ideologico, sottolineando anzi come venti anni fa si espresse a favore del nucleare nonostante gli interessi «di un blocco conservatore» condizionarono l’opinione pubblica e ne provocarono la bocciatura. Dal palco del convegno dei giovani di Confidustria, D’Alema ha sottolineato che «furono i petrolieri pubblici e privati con la loro capacità di condizionare» le politiche e l’opinione pubblica a portare al «rifiuto del nucleare». D’Alema ha ricordato che venti anni fa si batteva per il nucleare contro gli amministratori locali pugliesi che rifiutavano la costruzione di centrali nucleari e per questo, ha detto con una battuta, «mi pigliavano a sassate e mi bucavano le gomme». Poi pesò il blocco «degli interessi conservatori». Tuttavia oggi il nucleare è stato abbandonato e, ha spiegato D’Alema, «vedo che in Europa non si costruiscono centrali». «Il nucleare - ha concluso - è un sistema» che tocca la sicurezza, lo smaltimento delle scorie, «e ricostruirlo non è semplice».


04 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema non è uno sprovveduto, ha capito che questa legislatura dura cinque anni
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 12:32:51 am
E SUL RAZZISMO: RISCHIO C'è. VELTRONI: INTOLLERANZA sarà TEMA DELLA MANIFESTAZIONE DEL 25

Riforme, Fini apre a D'Alema «Giusto confronto sulle regole del gioco»

Il presidente della Camera: «Legislatura sprecata senza il dialogo. Convergenze possibili»


MILANO - «Se oggi D'Alema voleva dire: discutiamo su come rendere questa legislatura fruttuosa, questa cosa deve essere condivisa.
D'Alema non è uno sprovveduto, ha capito che questa legislatura dura cinque anni». Ed ancora: «Mi auguro che ci sia un riscontro fin dalle prossime settimane. Sarebbe l'ennesima legislatura sprecata se non si desse corso ad un dialogo tra maggioranza e opposizione». Gianfranco Fini non lascia cadere nel vuoto l'appello a cercare ampie convergenze sulle riforme lanciato dall'esponente del Pd durante il convegno dei giovani industriali a Capri. «Non sarebbe male - ha detto Fini, intervistato dal direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli alla festa della Libertà di Milano - se in questa legislatura ci si potesse confrontare seriamente su quale assetto dare al sistema italiano».

«CONVERGENZE POSSIBILI» - Il presidente della Camera ha ricordato che «c'è già una struttura federale nei fatti in Italia». Accennando al sistema tedesco, Fini ha ipotizzato che «si potrebbero registrare delle convergenze». Da più parti - ha detto il presidente della Camera - si dice che occorre ridurre il numero dei deputati. L'ammodernamento del Titolo v - aggiunge la terza carica dello Stato - potrebbe essere un altro spunto di dialogo e di convergenza». Per Fini «è giusto confrontarsi sulle regole del gioco: mi auguro che ci sia un confronto anche sul federalismo fiscale. Spero - conclude Fini - che questa assenza di pregiudizio orienti le forze politiche verso il confronto».

«PDL? GIUSTO IL PARTITO UNICO» - Quanto alla sua parte politica, Fini ha parlato del passaggio dalla coalizione al partito unico spiegando che con questa evoluzione il Pdl «va nella direzione giusta». «Occorrerà uno statuto del nuovo partito perchè c'è bisogno di regole» ha poi aggiunto. E poi ci dovranno essere i congressi di Forza Italia e An per approvare questo statuto. Ci sarà poi una fase di rodaggio ma «sarebbe un guaio se ci si fermasse - ha avvertito - se si perdesse di vista qualcosa che nella società c'è già». «Credo - ha aggiunto - che sia dovere della politica premere l'acelleratore. Nessuno capirebbe se An e Forza Italia dicessero fermiamoci. Il popolo delle Libertà che ho in mente è un partito con tanti filoni culturali». «Dobbiamo dare al sistema italiano un bipolarismo che sia garanzia democratica di alternanza», un bipolarismo dunque più che un bipartitismo. «In un certo periodo in Italia ci sono stati più partiti che funghi dopo le piogge - ha concluso - e lo abbiamo pagato».

FINANZA, EUROPA E PARLAMENTO - Fini ha parlato anche delle tensioni dovute alle crisi finanziarie internazionali («La Bce fa bene a tenere i tassi fermi però non si può considerare un totem il rispetto al centesimo del rapporto tra deficit e Pil»), delle future elezioni americane e del ruolo dell'Europa sullo scenario internazionale («Qualunque sia il nuovo inquilino della Casa Bianca, credo che voglia una Unione Europea che si assuma tutte le responsabilità compresa quella di una politica di difesa»), della necessità di rendere centrale il ruolo del Parlamento anche responsabilizzando maggiormente i parlamentari («È impensabile che un deputato e un senatore pensino di lavorare da lunedì mattina a giovedì sera. Bisogna lavorare di più»).

«RAZZISMO, IL PERICOLO C'E'» - Nel corso della festa del Pdl a Milano Gianfranco Fini ha dedicato ampio spazio agli ultimi casi di aggressioni a cittadini extracomunitari registrati nel nostro Paese. «Sarebbe sbagliato negare che esiste un pericolo razzismo e xenofobia» ha detto il presidente della Camera. Ricordando l'idea di costituire un osservatorio alla Camera sull'argomento, Fini ha ribadito la necessità di una politica dell'integrazione. «Cos'è l'integrazione? È il rispetto di alcune regole ma non basta avere un lavoro e pagare le tasse. La vera integrazione esiste quando si fanno propri i valori di fondo della società in cui si vive» ha aggiunto il numero uno di Montecitorio.

VELTRONI : «RIGURGITI INTOLLERABILI» - Della questione dell'intolleranza verso lo straniero è tornato oggi ad occuparsi anche il segretario del Pd Walter Veltroni. Il quale, raccogliendo l'appello di un gruppo di intellettuali, ha annunciato che la lotta al razzismo sarà uno dei temi della manifestazione del Pd. «Avverto il rischio di una diffusione a macchia d'olio di rigurgiti razzisti e xenofobi - ha detto il leader democratico -, una prospettiva intollerabile per tutti quelli che hanno a cuore i valori della libertà, dell'uguaglianza e della giustizia sociale. Contribuire a salvare l'Italia da questo scenario è un dovere di cui il Partito democratico sente in pieno la responsabilità».


04 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema: Silvio al Quirinale? No
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2008, 10:40:13 pm
L'ex vicepremier: non c'è problema di leadership, dopo le Europee ci sarà un congresso

D'Alema: Silvio al Quirinale? No

De Castro attacca Veltroni, è polemica. Tonini: solo le primarie decidono



MILANO — Tirato per la giacchetta, provocato, pungolato. Alla fine, Massimo D'Alema non ce l'ha fatta. E di fronte a un contestatore è sbottato: «Non sono affatto d'accordo che Silvio Berlusconi diventi presidente della Repubblica». Festival dell'alimentazione a Milano, primo appuntamento dell'Expo 2015. Ad aspettare il presidente di ItalianiEuropei c'è il solito Piero Ricca, quello che assurse a fama mediatica dando del buffone a Silvio Berlusconi.

Da un po' di tempo ha cambiato bersaglio. Non più il presidente del Consiglio, ma i vertici del partito democratico. È toccato a Fassino, ci ha provato settimana scorsa senza successo con il leader del Pd, Walter Veltroni in tour a Milano. Ieri gli è andata meglio. D'Alema si ferma a parlare con i giornalisti. Partono le contestazioni. Una su tutte: «D'Alema, tu appoggi un piduista che vuole andare al Quirinale». L'ex presidente del Consiglio regge bene per un quarto d'ora. Ma all'ennesima contestazione perde le staffe e replica. «L'ho già detto. Non sono d'accordo che Berlusconi salga al Quirinale». Prima c'è stato tutto il tempo per fare il punto sul partito democratico e relativa leadership. Punzecchiature. A chi gli chiede commenti sulle critiche avanzate in un'intervista alla Stampa dal presidente di Red, Paolo De Castro, alla gestione del Pd da parte di Walter Veltroni, D'Alema risponde: «A me non pare che oggi ci sia un problema di leadership del partito democratico, oggi c'è il problema di affrontare le prove e le sfide che abbiamo di fronte, dalla manifestazione del 25 ottobre alle prove politiche e elettorali ». Parole che non calmano le acque.

Ci vorrebbe un defibrillatore. Ma D'Alema non sembra intenzionato a usarlo. Un esempio? «Dopo le Europee — continua l'ex ministro degli Esteri — è previsto un congresso: si discuterà e io non ho idea oggi in quale contesto si svolgerà questo congresso». Ma gli attacchi di De Castro, presidente dell'associazione Riformisti e democratici battezzata dallo stesso D'Alema? «Il professor Paolo De Castro è una personalità politica che esprime opinioni e come tali vanno valutate. Red è un'associazione che nasce per collaborare con le iniziative della Fondazione ItalianEuropei, ma non nasce per partecipare nel dibattito politico interno del Pd, al quale ciascuno partecipa con le sue opinioni come persona, mettendoci nome e cognome».

Veltroni replica con un secco no comment alle critiche. Ci pensano i veltroniani Giorgio Tonini e Goffredo Bettini a ricordare che solo il popolo delle primarie può mettere in discussione il segretario. «Sarebbe meglio — ribatte Tonini — sprecare energie per un dibattito anche aspro sui contenuti del Pd che su polemiche sempre accennate ma mai portate fino in fondo sugli assetti interni ». Il senatore invita eventuali detrattori ad uscire allo scoperto in occasione della conferenza programmatica «per uscire dal gioco delle cose dette e non dette». Ma la diga è ormai rotta. «Ora — attacca Franco Monaco, ex deputato ulivista del Pd — anche De Castro, come presidente di Red, lamenta l'identità incerta e la linea ondivaga di un Pd ripiegato su di sè. Noi lo sosteniamo da mesi ». E aggiunge: «Mesi che avremmo dovuto dedicare a un' analisi della sconfitta e a un confronto aperto di posizioni. Ma si è preferito glissare, fingendo di essere tutti d'accordo. Se si vuol contribuire ad uscire dall'impasse, si devono portare in superfice le differenti posizioni e pretendere che siano fatte oggetto di trasparente confronto nel partito». La manifestazione del 25 è dietro l'angolo. Il Pd continua a combattere su due fronti.

Maurizio Giannattasio
18 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: D'Alema al forum dell'Unità: «Temo la ricerca di un Obama italiano»
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2008, 10:00:38 am
D'Alema al forum dell'Unità: «Temo la ricerca di un Obama italiano»

a cura di Alessia Grossi


Barack Obama ha una parola chiave: cambiamento. È Massimo D'Alema, durante la tavola rotonda con i giornalisti e i lettori dell'Unità, ad interpretare così il significato della vittoria del candidato democratico alla presidenza degli Usa. «Gli americani hanno scelto il cambiamento dopo il fallimento della destra americana». Questa la cifra del nuovo presidente degli Stati Uniti secondo l'ex ministro degli Esteri italiano, la svolta. «Barack Obama è la risposta alla globalizzazione perché è lui stesso a rappresentare la globalizzazione, anche per la sua storia personale» spiega D'Alema. «Al fallimento della politica internazionale e all'isolamento economico creato dalla destra, i cittadini americani hanno risposto con l'esigenza di un cambiamento radicale».

Ma la vittoria del candidato democratico sta anche, per l'ex ministro degli Esteri, nell'aver saputo riunire il partito facendo leva anche sulla forza della Clinton Fondation, ad esempio. Insomma per D'Alema che durante la tavola rotonda dice di «temere la soggettività e la personalizzazione della politica» - la campagna elettorale di Obama ha avuto il merito di essere una «campagna globale. Nella vittoria di Obama ha sperato tutto il mondo, non soltanto gli Stati Uniti d'America». E alla domanda se sarebbe stata apprezzata allo stesso modo anche la vittoria di Hillary Clinton, Massimo D'Alema risponde: «Nonostante la stima che mi lega alla Clinton e alla Fondazione, credo che nemmeno una donna presidente avrebbe dato la stessa impressione di cambiamento radicale della vittoria di Obama. Questo perché - dice D'Alema - la senatrice democratica sarebbe stata comunque il simbolo del vecchio potere occidentale».

La lezione Obama per il centrosinistra italiano
«Temo la ricerca dell'Obama italiano - spiega D'Alema - già è stato fatto per il Blair italiano e lo Zapatero italiano. A questa ricerca solitamente seguono dei travestimenti che sono delle tristi manifestazioni». La macchina politica americana secondo l'ex ministro degli Esteri, invece, potrebbe insegnare qualcosa sui meccanismi della primarie del partito o sulla formazione del gruppo dirigente. «Per il partito democratico americano le primarie sono un vero viaggio, la formazione di un leader e di una leadership, un momento in cui il partito si ricompatta intorno al leader vincente. Da noi invece sono un momento di divisione» aggiunge D'Alema. Anche per quanto riguarda la formazione dell'establishment di Obama - tema posto da Furio Colombo durante il forum de l'Unità - D'Alema non vuole azzardare: «La formula di Obama sarà quella di circondarsi di esperienza - come quella dei Clinton - ma anche di una classe dirigente sperimentale».

Altra esempio da seguire secondo D'Alema è quella di non aver paura di perdere con una campagna come quella di Obama che ha usato - a differenza di quella italiana parole chiave come «pace, multilateralismo, giustizia sociale ed equità nella distribuzione della ricchezza» e ha dimostrato di poter vincere.

Alla domanda di un lettore che chiede se non sia opportuno anche in Italia, come negli Usa, un ricambio generazionale della classe dirigente, D'Alema risponde ironicamente: «Io ho già fatto un passo indietro, resto in attesa di quelli che devono fare un passo avanti». Ricorda la sua scelta di non far parte degli organi dirigenti del partito, «ma - dice - la nuova genrazione si faccia avanti, poi si vedrà quale sarà la loro capacità reale di emergenza che comunque sarà sottoposta alla prova del consenso».   

Cosa aspettarsi e cosa chiedere alla politica estera Usa

A D'Alema sono state poste numerose questioni di carattere internazionale. Ecco i principali temi affrontati.

Afghanistan: «Quello su cui abbiamo sempre battuto - dice Massimo D'Alema - è un cambiamento di strategia in Afghanistan, dove la campagna militare come quella di Bush rischia di perdere il consenso in quel paese, cosa sulla quale gli italiani invece hanno sempre puntato».

Iraq: «Per quanto riguarda l'Iraq la questione è più complessa - avverte D'Alema - uscire dall'Iraq richiede una gradualità, comunque prevista nel pacchetto della politica estera di Obama».

Medio Oriente: «La novità più importante da mettere in atto dal neo presidente - secondo l'ex ministro degli Esteri - è l'accordo tra Israele e Palestina, perché è lì il fallimento della politica di Bush che ad Annapolis aveva promesso di portare a termine l'accordo, ma poi ha disatteso la sua promessa». Insomma, il nodo per D'Alema è tutto nella capacità di attuare quella «pace già scritta», dimostrando così la volontà di farlo.

Ruolo dell'Europa nella crisi economica.
L'Europa in vista del G20, per D'Alema dovrebbe risolvere tre questioni: «Creare un nuovo sistema di regole che ci faccia uscire dallo squilibrio di un mercato globale regolato da strumenti nazionali». Seconda: «Mettere in atto opere di salvataggio che intervengano sull'economia reale». Ancora, ma non secondario: «Sostegno dei redditi medio bassi».

Immigrazione
Sulle questioni italiane D'Alema risponde ad un lettore che chiede quale sia la sua ricetta per l'immigrazione, che coniughi solidarietà e sicurezza. «Allargare le maglie dell'immigrazione regolare», risponde e dare «diritto di voto agli immigrati».

«Anche questo divide l'Italia dagli Usa dove un uomo nero diventa presidente mentre da noi - dice D'Alema, lo stesso uomo starebbe in coda per avere il permesso di soggiorno».

 


Pubblicato il: 06.11.08
Modificato il: 06.11.08 alle ore 18.21   
© l'Unità.


Titolo: Show di D'Alema da Crozza
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2008, 10:03:53 am
D'Alema: «E' un reality: il premier fa finta di governare, i problemi restano»
 
 
ROMA (11 novembre) - «Certamente non si può attribuire alla destra italiana la responsabilità della crisi internazionale, ma, da meridionale, mi limito a considerare non positivo il fatto che ogni volta che Berlusconi va al governo succede una sequela di disgrazie»: lo ha detto Massimo D'Alema all'Aquila, partecipando, al teatro Massimo gremito in ogni ordine di posti, a un appuntamento elettorale del Pd in vista delle prossime elezioni regionali in Abruzzo. «Il problema - ha proseguito D'Alema - è che di fronte alla gravità di questa crisi emerge l'inadeguatezza del governo del Paese, la fragilità delle proposte, delle ricette e delle strategie».

«Abbiamo vissuto una sorta di reality: Berlusconi ha fatto finta di governare il Paese con dispendio straordinario di mezzi, parate, fanfare, senza alcun risultato. Berlusconi ha fatto finta di risolvere il problema della sicurezza, ha fatto finta di occupare le nostre città con le forze armate, che non si sono viste perché mille militari distribuiti nelle città italiane sono pochi. Fa finta di risolvere i principali problemi del Paese. Ogni giorno una decisione, salvo che nessuno di questi problemi è stato effettivamente risolto».

Soro: un'altra grossolana caduta di stile. «Neppure la fatica fisica e l'affanno per le impreviste difficoltà possono giustificare la grossolana caduta di stile di un presidente del Consiglio che definisce imbecilli i suoi critici in Italia e all'estero» così Antonello Soro, presidente dei deputati del Pd, replica a Silvio Berlusconi che torna sulle critiche per la battuta su Barack Obama e definisce «imbecille e miserabile» chi l'ha fraintesa.
«Gli italiani, in un momento di drammatica crisi economica e sociale - afferma Soro - avrebbero bisogno di istituzioni responsabili e, anche nella diversità dei ruoli, protese alla ricerca di risposte efficaci e condivise. I governi, in queste circostanze, ricercano coesione e dialogo. In Italia accade esattamente il contrario. Siamo costernati e sempre più preoccupati per il nostro Paese».


da ilmessaggero.it


Titolo: Show di D'Alema da Crozza
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2008, 03:33:01 pm
L'ex premier: io leader? Non ragionevole. Siamo diversi da Di Pietro

Craxi, Veltroni e le liti nel Pd

Show di D'Alema da Crozza

«Noi con i socialisti europei. Momento difficile, Walter va aiutato»
 
 
MILANO — «Un mio ruolo di guida nel Pd non è nell'ordine delle cose. Non è prevedibile, né ragionevole. E tantomeno si tratta di un'evoluzione che auspico. Ma se qualcuno pretende di mettermi zitto, questo no». Dopo la decisione di «impegnarsi di più nel partito» Massimo D'Alema sgombra il campo da dubbi riguardo alle sue ambizioni. Ma nello stesso tempo non nega la necessità di un «chiarimento». Domenica il presidente della Fondazione Italianieuropei è intervenuto a Milano a un convegno al circolo della Cultura. E poi, in serata, ha partecipato a Crozza Italia Live. Occasioni per parlare a tutto campo: dal rapporto con Di Pietro al posizionamento del Pd nel parlamento europeo. «Veltroni ha una responsabilità difficile e va aiutato — ha detto conciliante D'Alema davanti alle telecamere di La7 —. È necessario vedere insieme come fare.
Il Pd è un grande progetto ma attraversiamo un momento difficile. Sarebbe assurdo ricondurre queste difficoltà ai complotti che farei io. Non ne avrei nemmeno le forze».
Il presidente di Italianieuropei assicura di voler «dare una mano» e dice che «per quanto riguarda un nuovo leader — quando ce ne sarà bisogno — dovrà essere una persona di un'altra generazione».

L'«offerta di aiuto» di D'Alema è vista bene dal vicesegretario del Pd, Dario Franceschini: «Al partito serve che i giocatori non si facciano gli sgambetti tra di loro ma si passino la palla e sostengano il capitano. Che in questo momento si chiama Veltroni. D'Alema lo sa e sono certo che la sua è un'offerta di lavoro per il suo partito». Fuori dall'orticello del Pd, il presidente di Italianieuropei mette paletti riguardo al rapporto con Di Pietro: «Il Pd ha la forza sufficiente per trovare in sé una linea politica e un atteggiamento verso le istituzioni che ci rendano diversi dal movimento di Di Pietro». Mentre nel parlamento europeo il partito democratico dovrebbe «costituire uno schieramento riformista insieme con i socialisti». Più in dettaglio: «Il campo progressista è più ampio di quello socialista. Il nostro contributo può essere importante. Dobbiamo andare oltre i confini dell'internazionale socialista ma senza rompere».

La disponibilità a «dare una mano» non deve far pensare a un D'Alema buonista. Ce n'è per Romano Prodi: «La crisi Ue nasce anche dal suo allargamento frettoloso, non preceduto da una riforma delle istituzioni. Questo è stato un errore politico». E qualcuno nella platea milanese della Casa della cultura legge un riferimento a Veltroni e al suo acquisto di un appartamento a Manhattan quando D'Alema parla delle famiglie italiane «che oggi si muovono sul mercato immobiliare americano approfittando della crisi». Numerosi i riferimenti anche alla fase critica attraversata dal partito. «In 148 anni dall'unità d'italia la sinistra è andata al governo solo due volte, con lei e con Craxi...», ha fatto notare Crozza. Una realtà che — secondo D'Alema — ha a che fare con i limiti storici e culturali della sinistra oltre che con il blocco dell'alternanza durante la guerra fredda. Per finire, l'autocritica. «Quando ho sbagliato ho sempre pagato di tasca mia».

Rita Querzé
01 dicembre 2008

da corriere.it


Titolo: «Ma i problemi del Pd vanno affrontati»
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2008, 11:23:44 pm
«Ma i problemi del Pd vanno affrontati». E sull'associazione Red: «Non è una corrente»

D'Alema: «Via Walter? Non lo chiedo io»

D'Alema: «Sostituire Veltroni? Se lo ritenessi necessario lo direi prima di tutto a lui»

 
ROMA - Walter Veltroni invita ad uscire allo scoperto coloro che vorrebbero un cambiamento al vertice del Pd. Ma Massimo D'Alema, l'ultimo presidente dei Ds, da più parti indicato come il mandante delle pressioni per il rinnovo della segreteria e delle critiche alla linea politica del segretario, si chiama fuori: non sono io a volere che Walter se ne vada. «Veltroni non si rivolge a me - sottolinea convinto D'Alema ai microfoni di Radiodue - perchè ci conosciamo da anni e lui sa che io sono una persona a volte spigolosa ma diretta e quindi se io ritenessi che lui deve lasciare la carica, lo direi prima di tutto a lui. Se non l'ho detto, non lo penso».

«AFFRONTARE I PROBLEMI» - D'Alema è convinto che nel centrosinistra ci siano dei problemi ma non pensa che sia venuto il momento di una resa dei conti. Piuttosto, ha detto, «penso che è ora di affrontare i problemi seri, non esorcizzandoli dando la colpa a oscuri complotti che è una risposta semplicistica». «Il problema non è su Veltroni che deve continuare il suo mandato e nessuno deve insinuarlo - ribadisce l'ex vicepremier - ma la necessità di affrontare i nodi reali a cominciare dalla discussione su quale partito costruire, quali regole, come governare i conflitti in periferia». E per farlo «c'è la conferenza programmatica e mi sembra ragionevole rispettare il calendario».

«RED NON E' UNA CORRENTE» - D'Alema sa bene che la sua area politica viene considerata particolarmente ostile nei confronti di Veltroni.
E che l'associazione Red di cui lui stesso è il principale riferimento viene considerata una sorta di gruppo di fronda all'interno del Partito democratico. Ma è una semplificazione che non condivide: «Red è un'associazione culturale - ha puntualizzato - ed è buffo pensare che sia l'attività di una corrente. Domani alla giornata sulle riforme ci sono Andreotti e Bonino e faccio fatica a pensare a loro come a dalemiani. Purtroppo in un dibattito politico così inquinato e avvelenato è difficile far capire come stanno le cose». E lo stesso dicasi per Italianieuropei, la fondazione che D'Alema presiede con Giuliano Amato: «Red affianca la Fondazione in un'attività di ricerca e dibattito, che raccoglie alcune migliaia di iscritti in tutta Italia, che normalmente non sono dirigenti del Pd nè iscritti e questo rende ancora più buffa l'immagine della corrente».

04 dicembre 2008
da corriere.it


Titolo: D'Alema: «Voglio un partito vero per riavviare il Pd»
Inserito da: Admin - Dicembre 25, 2008, 10:01:52 am
D'Alema: «Voglio un partito vero per riavviare il Pd»

di Ninni Andriolo


Presidente D’Alema, l’Istat non è ottimista come Berlusconi: un milione di famiglie non ha i soldi per mangiare...
«La situazione è estremamente grave e io credo che bisogna mettere al centro una crisi sociale ed economica senza precedenti. Sono oltre tre milioni i precari che rischiano di non veder confermati i loro contratti. Di fronte a questa realtà il governo ha deliberatamente deciso di non far nulla... ».

Sacconi vuole la settimana corta...
«Si avanza qualche proposta anche ragionevole, ma siamo ai pannicelli caldi rispetto ai programmi imponenti di altri Paesi. Noi siamo agli appelli di Berlusconi al buon umore. Il governo è paralizzato dai contrasti e sottovaluta gravemente la situazione»

La crisi è stata al centro della direzione Pd di venerdì scorso...
«Veltroni ha indicato problemi e soluzioni. Mi pare un progetto importante quello di dedicare un punto di Pil a una grande manovra anti crisi fatta di misure sociali, sostegni allo sviluppo e investimenti. A queste proposte Berlusconi ha risposto lanciando improbabili e velleitarie riforme della Costituzione».

Annunci che non avranno seguito, quindi, quelli sul presidenzialismo?
«Faccio notare che pochi minuti dopo la dichiarazione del premier Bossi ha detto “non se ne parla neanche”. E, comunque, già 10 anni fa abbiamo tentato di fare una riforma delle istituzioni che prevedeva, tra le altre cose, l’elezione diretta del Capo dello Stato. Berlusconi, poi, si è tirato indietro».

Niente riforme condivise, quindi?
«Se si vuole affrontare con serietà il tema il punto di partenza è la bozza Violante. Da quel documento abbiamo preso le mosse per la proposta delle fondazioni, che rimane il testo più serio e condiviso per riforme costituzionali e legge elettorale».

Il governo annuncia per imminente la riforma della magistratura...
«Non c’è dubbio che in questo paese ci sia bisogno di una giustizia più veloce ed efficiente, ma le riforme prospettate da Berlusconi peggiorano i mali. Non credo, infatti, che la risposta sia nella separazione delle carriere, che porterebbe i pm a essere ancora di più un potere separato. Abbiamo bisogno, invece, che la cultura della giurisdizione orienti e spinga le procure a muoversi con efficacia, ma anche con senso della misura e saggezza. Le vicende di questi anni ci spingono alla fiducia, ma anche alla cautela. Sono troppi i casi in cui al clamore delle indagini fanno seguito proscioglimenti clandestini che non restituiscono alle persone e alle istituzioni alcun risarcimento per il danno subito».

Un rischio presente anche nelle inchieste di Napoli e Pescara?
«Spero si accerti che non sono stati commessi degli illeciti e che la magistratura, nello svolgimento sereno e indipendente del proprio lavoro, possa arrivare a queste conclusioni. E mi pare che, in qualche caso, si vada ridefinendo e ridimensionando la portata delle accuse. Anche per questo, prima di formulare un giudizio definitivo sulla politica, o sul Pd, vale la pena di attendere e valutare».

Ma non è evidente il venir meno di una tensione etica nella politica?
«Certo e io non lo sottovaluto affatto. Ma questo aspetto non può essere confuso con quello giudiziario. La reazione all’emergere di concezioni della politica assai discutibili non può essere affidata alle procure della Repubblica. L’unico rimedio, qui, è avere un partito vero. Un partito forte è in grado di sapere, nella gran parte dei casi, se un amministratore sotto inchiesta è una persona perbene oppure no. Perché lo conosce, ne segue il lavoro e lo giudica quotidianamente. Sa, cioè, se bisogna difenderlo o no, sempre in un rapporto corretto con i magistrati. Il venir meno di questa forma fondamentale di vita della democrazia alimenta solitudini e visioni personalistiche della politica. Anche per questo abbiamo iniziato a riflettere sulla primarizzazione della vita interna del Pd. Se perfino per fare il segretario di sezione devi farti la campagna elettorale, il rischio di sprofondare nella logica dei potentati personali diventa fortissimo».

Basta costruire il partito per evitare l’emergere di una questione morale, quindi?
«L’idea che il Pd sia travolto dalla questione morale non l’accetto. Oltre che con la costruzione del partito, all’emergere di casi di malcostume si deve rispondere con una radicale riforma della politica che dovrebbe partire, a mio giudizio, da una drastica riduzione del ceto politico, che ne aumenterebbe l’autorevolezza e che rafforzerebbe anche i poteri di controllo delle istituzioni».

Lei batte sul tasto del partito, la direzione ha dato un segnale chiaro...
«Abbiamo avuto una riflessione critica sul partito, ma al contrario ho letto ricostruzioni sconcertanti».

Lei ha parlato di amalgama mal riuscito...
«Le frasi vanno lette nel loro contesto. Walter per primo ha denunciato una situazione di difficoltà indicando come causa il correntismo. Io, condividendo la preoccupazione, ho detto che vedo più il rischio dell’anarchia e della frantumazione. Il correntismo sarebbe, a suo modo, un ordine discutibile ma un ordine. L’unico modo per amalgamare le forze è quello di fare un partito vero. Ma se a livello centrale e periferico si incontrano i dirigenti ex Ds da una parte e quelli ex Margherita dall’altra, riunioni che io non promuovo e alle quali non partecipo, debbo desumere che fin qui la fusione non è perfettamente riuscita. Spero che siamo alla vigilia di un’azione energica perché questi fenomeni non ci verifichino più».

Per Veltroni la fusione è avvenuta nel popolo del Pd...
«Non sono in disaccordo con lui. Ma un partito è anche fatto di gruppi dirigenti e questa fusione dobbiamo determinarla anche a quel livello».

E c’è molto da fare anche sul rinnovamento...
«Io ho già dato il buon esempio: non faccio parte di nessun organismo di partito e, quindi, non difendo posti che non ho. In questi mesi ho promosso 37 iniziative di livello nazionale e internazionale, seminari di grandissimo rilievo. Non avrei avuto il tempo per organizzare correnti. Ho un alibi: l’enorme mole di lavoro prodotto da un centro di cultura riformista come ItalianiEuropei. Acceleriamo il rinnovamento, comunque. E cerchiamo di mettere i giovani che hanno delle idee innovative in condizione di poter giocare la loro partita. Ma non usiamo questo tema strumentalmente in chiave di polemica tra noi coetanei che veniamo da una stessa generazione».

Si riavvia il Pd, quindi?
«La relazione di Veltroni ha offerto una base seria di discussione. C’è stato un dibattito vero. La Direzione ha rappresentato un passaggio positivo da cui ripartire. Adesso spetta al gruppo dirigente e al segretario unire tutte le forze perché lavorino insieme».


24 dicembre 2008
da unita.it


Titolo: D'Alema: giustizia, riforma urgente
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2009, 05:07:41 pm
12/1/2009 (11:13) - SULLA CRISI IN MEDIORIENTE: UCCIDERE I BIMBI FOMENTA IL FONDAMENTALISMO

D'Alema: giustizia, riforma urgente
 

L'ex ministro degli Esteri incalza: il sistema sta perdendo credibilità, si segua la linea proposta da Fini


ROMA
Air France prima o poi assumerà il controllo di Alitalia, un esito che «era scontato» secondo Massimo D’Alema. Intervistato su Red tv, l’esponente democratico giudica la vicenda un «tipico imbroglio. Berlusconi ne ha fatto una bandiera elettorale, alla fine si va verso la soluzione che è l’unica soluzione ragionevole, quella che nel giro di pochi anni porterà alla fusione tra Alitalia ed Air France, in un mondo in cui le compagnie di bandiera, come quella che ci ha raccontato Berlusconi in campagna elettorale non ci sono più: si va verso grandi gruppi sovranazionali».

Tra la soluzione a suo tempo individuata dal governo Prodi e quella scelta dall’attuale esecutivo, sostiene D’Alema, ci sono alcune differenze: «Quando si arriverà a questa soluzione i francesi non la pagheranno, a differenza di quanto previsto dal governo Prodi, perché la pagheranno i cittadini italiani». In ogni caso, prima o poi «Air France, sia pure in partnership con degli imprenditori italiani, ma questo sarebbe accaduto comunque, ne assumerà il controllo. Gli imprenditori, che fanno gli imprenditori, non possono inoltre gestire la compagnia secondo le direttive del comitato centrale della Lega Nord, e quindi arrivano alle conclusioni alle quali eravamo arrivati noi. È una vendetta della razionalità sulla propaganda».

"Nessun piano contro la crisi, la social card sta fallendo"
«L’Italia è l’unico paese al mondo che non ha un piano contro la crisi, che aspetta che qualcun altro ci tiri fuori, anche la Merkel è scesa in campo». Così Massimo D’Alema critica il governo per la mancanza di progetti in risposta della crisi finanziaria. «La social card sta fallendo, è un disastro, c’è anche l’umiliazione di andare in giro con la carta», ha tra l’altro sottolineato il presidente della fondazione Italianieuropei.

"Giustizia, confronto utile tra maggioranza e opposizione"
Massimo D’Alema ha poi sollecitato una riforma che restituisca credibilità alla giustizia e ha assicurato la disponibilità a un confronto con il Pdl. «Credo che ci sia una possibilità di un confronto», ha infatti affermato. «Non ho mai considerato questo un tabù», ha aggiunto ricordando la ricerca di «una riforma ambiziosa della giustizia nella Bicamerale». Da qui, il giudizio «positivo» sulle parole di Gianfranco Fini perchè un cambiamento è urgente. «La mia preoccupazione è quella di una perdita di credibilità del sistema giudiziario, come sta accadendo. Se vogliamo resituire credibilità alla giustizia, bisogna avere il coraggio di riforme incisive». «Tra tante irritualità - aggiunge - quella di Fini rappresenta un momento positivo. È utile che persone ragionevoli cerchino vie percorribili utili per il paese».

"Per Hamas 300 bimbi morti favoriscono la guerra santa"
«La definizione di guerra per quello che accade a Gaza è inesatta». Ha infine sottolineato Massimo D’Alema. «Non so se è appropriato - ha precisato - parlare di guerra, si assiste a una spedizione punitiva: l’espresione "guerra contro Hamas" è molto partigiana, è il titolo che i servizi informativi dell’esercito israeliano danno all’operazione. Quello che sta accadendo è una rioccupazione della Striscia di Gaza». Secondo l’ex ministro degli Esteri «un conflitto in cui muoiono 900 persone da una parte e una decina dall’altra difficilmente può essere definito come guerra». Quanto ai risultati dell’operazione militare israeliana, D’Alema si dice sicuro che «il fondamentalismo uscirà rafforzato. I massacri di bambini sono uno straordinario incoraggiamento per il reclutamento del fondamentalismo». Le bandiere di Hamas e la preghiera in piazza a Milano? «Non mi meraviglia, il fondamentalismo si rafforzerà da noi in Europa. Dobbiamo pensare uin pò anche alla nostra sicurezza».

da lastampa.it


Titolo: D'Alema: rilancio, convocando le personalità .
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2009, 12:10:58 am
Dai rilievi sulla gestione del partito alle critiche a Israele, l'ex premier in campo

«Basta demonizzarmi, si governi il Pd»

D'Alema: rilancio, convocando le personalità .

Marini: problemi? Ditelo ai giovani messi lì
 
 
ROMA — L'appello alla tregua, dice, non ha neanche bisogno di accoglierlo: «Figuriamoci, sono un uomo pacifico. E mi sono impegnato unilateralmente da molto tempo». Piuttosto, gli piacerebbe non essere più «demonizzato». E quella telefonata che aspettava — da quando alla festa democratica di luglio a Firenze ha offerto la sua disponibilità al partito — non è mai arrivata: «Non ho ricevuto chiamate. Ma, lo ripeto, posso dare il mio contributo: sono pronto». Massimo D'Alema sceglie Red tv per lanciare il suo messaggio. E per definire il conflitto a Gaza non «una guerra», ma «una spedizione punitiva israeliana», che «alimenta una deriva fondamentalista». Parole che arrivano il giorno prima di un incontro promosso dal Pd sulla questione, presente Walter Veltroni. Gianni Vernetti non condivide: «Non sono d'accordo con D'Alema. Quella di Israele è un'azione difensiva».

Finita l'analisi israeliana, D'Alema passa al partito. Walter Veltroni non viene mai nominato, ma è ancora fresca la sua richiesta accorata di una tregua. Le cronache dei giornali, come sempre, riservano poche soddisfazioni a D'Alema: «Sono amareggianti. Troppa la confusione e la mancanza di responsabilità di diverse persone». A domanda di Antonio Polito, risponde di non aver mai contribuito alle polemiche: «Anche se prima francamente ero tirato per i capelli per cose che non avevo detto, cose che mi si attribuivano. Complotti di fantomatici dalemiani». Il nome di Latorre e la storia del pizzino non vengono mai citati. D'Alema prosegue: «Trovo sbagliato che invece di affrontare il partito, si sia alimentata una campagna come se il Pd fosse in una situazione splendida, a parte D'Alema cattivo con le sue correnti. Le iniziative intraprese erano una risorsa per il partito. Volevamo raccogliere forze, collegarci con la società civile e tutto questo doveva essere apprezzato. Invece di demonizzare i miei convegni, forse ci si poteva occupare un po' di più di governare il partito».

D'Alema ora chiede un rilancio: «Il Pd rappresenta l'unica grande speranza in prospettiva». Nel caso non si fosse capito, ribadisce: «Forse oggi sarebbe giusto chiamare a raccolta tutte le grandi personalità di questo partito per rilanciare il progetto. Non spetta a me farlo, al massimo posso dichiararmi disponibile. E spero che ci sia un forte rilancio con la conferenza programmatica». L'appello veltroniano alla tregua, intanto, non fa breccia. Francesco Boccia replica a Giuseppe Fioroni, che aveva definito Zingaretti, Soru e Letta «personaggi in cerca d'autore»: «Se Veltroni si fa rappresentare da Fioroni, come può stupirsi dei mal di pancia?». Stoccatina anche dall'ex presidente del Senato Franco Marini: «Problemi nel partito? Non me ne occupo più, chiedete a quei giovani che hanno messo lì».

Quanto all'insofferenza dei centristi nel Pd, interviene il governatore Lorenzo Dellai, che propone il modello Trentino e auspica la nascita di «un nuovo centro riformatore». «Considerazioni importanti», secondo l'ex margheritino Gianni Vernetti.

Parole che non convincono, secondo il prodiano Mario Barbi: «L'Italia non è Trento. I limiti del bipolarismo non si superano con un salto all'indietro».

Alessandro Trocino
13 gennaio 2009

da corriere.it


Titolo: D'Alema: «Pd, indietro non si torna ma così non va: ci vuole più impegno»
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2009, 05:40:20 pm
D'Alema: «Pd, indietro non si torna ma così non va: ci vuole più impegno»
 
 
 di Claudio Sardo


ROMA (1° febbraio) - «Dal Partito democratico non si torna indietro. L’idea che ad un tratto possano di nuovo materializzarsi Ds e Margherita è sciocca e irrealistica. Il problema del Pd non è questo: è il nostro progetto ancora incompiuto. Il problema sono i passi avanti che ci mancano». Massimo D’Alema torna, dopo la direzione di dicembre, a parlare del Pd, del suo «malessere», della «proposta di governo» e del futuro da costruire. «Questo - dice - è il momento dello sforzo comune, di raccogliere le forze per affrontare la sfida». L’intervista muove da qui. Anche se D’Alema non tarda a contestare la tesi, cara al vertice del Pd, che le difficoltà dipendano innanzitutto dalla litigiosità interna.

Di cosa soffre allora il Pd?
«Costruire un grande partito è prima di ogni altra cosa un’impresa culturale e organizzativa. Il nostro deficit è qui. E non serve cercare spiegazioni di comodo, tanto meno etichettare come dalemiani tutti coloro che dissentono. La pluralità di opinioni tra noi è insopprimibile: va governata con prudenza e responsabilità di tutti».

Cosa intende per impresa culturale e organizzativa?
«Che c’è bisogno di grande energia per radicare un partito nuovo, per rimotivare i militanti e per far convivere il loro impegno con forme di partecipazione diretta dei cittadini. E che, accanto al radicamento sociale, l’altra grande questione politica è il radicamento nella storia nazionale, la “giustificazione storica” del Pd. Spero che la prossima Conferenza programmatica ci aiuti a fare quei passi che fin qui sono mancati».

Intanto Bersani s’è fatto avanti come possibile contendente alla leadership di Veltroni. Lei lo sosterrà dopo le europee, quando verrà il tempo del congresso?
«Mi pare che Bersani abbia detto correttamente che oggi non ci sono candidature né congressi, ma un lavoro comune per affrontare al meglio europee e amministrative. Poi, è fin troppo banale dire che dopo il voto si discuterà. Siamo un partito, appunto, democratico».

Lei però a dicembre parlò dell’amalgama ancora non riuscito. E più di qualcuno le attribuì il progetto di una nuova sinistra di matrice socialista nel dopo-Pd.
«Le mie parole allora furono decontestualizzate e completamente falsate. Stavo replicando alla tesi che il Pd soffriva a causa di correnti verticali e ben strutturate. Mi sembrava una critica tranchant e, per di più, infondata. Ho risposto che l’amalgama ancora non c’è e che non bisogna confondere le correnti con i riflessi, peraltro un po’ confusi, delle appartenenze precedenti».

Resta il problema della rappresentanza politica della sinistra. Problema che non riguarda solo il destino di Ferrero e Vendola. Non le pare che il Pd si stia scoprendo a sinistra, come dimostra il gelo con la Cgil sulla riforma dei contratti?
«La migliore tradizione della sinistra italiana è riformista. Senza questa storia, senza questa presenza il Pd verrebbe meno al suo progetto di unire i riformisti. Certo, la sinistra è uno degli affluenti del Pd. Ma il Pd non nasce per cancellarla. Al tempo stesso, è naturale che viva una sinistra fuori dal Pd, senza rivendicazioni di esclusive. E sono anche convinto che quest’area, nel suo complesso, non stia arretrando sul piano dei consensi».

E il rapporto con la Cgil?
«Il Pd non deve sempre andare d’accordo con la Cgil. Io stesso ho avuto confronti duri quando ancora c’erano i Ds. Oggi però sono convinto che escludere il maggiore sindacato, non da un contratto di categoria, ma dalla riforma del sistema contrattuale, sia una forzatura e un errore. Sono convinto da molti anni che si debba riformare il modello contrattuale nel senso di accrescere il peso della contrattazione salariale nei luoghi di lavoro. Tuttavia, non mi convincono alcuni punti di merito, innanzitutto perché non mi sembra pienamente garantita per i lavoratori più deboli la difesa del potere d’acquisto del salario rispetto all’inflazione reale. E poi, perché detassare gli aumenti contrattati a livello aziendale e non anche quelli negoziati sul tavolo nazionale? Perché usare il fisco per dare di più a chi ha già di più e togliere a chi ha di meno?»

L’accordo per fissare lo sbarramento al 4% alle europee sembra fatto. D’Alema voterà a favore?
«Sono un parlamentare disciplinato che segue sempre le indicazioni del gruppo. Sull’accordo però vanno distinti due aspetti. Nel merito giudico il compromesso accettabile. Le preferenze sono rimaste a garanzia del potere degli elettori. E, anche se continuo a ritenere più giusta la soglia del 3% anziché il 4, prendo atto che il negoziato con Berlusconi non possa offrire di più. Accanto al merito però bisogna anche valutare gli effetti politici. E su questo ho più di una preoccupazione...».

Insomma, sta consigliando a Veltroni di fermarsi e rinunciare alla riforma.
«Non ho compiti di direzione politica e rimetto le valutazioni al gruppo dirigente. Domando però se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con potenziali alleati alle amministrative, ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell’opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari. Se la decisione sarà di andare avanti, spero almeno che si attenuino alcuni aspetti tecnici dello sbarramento. Ad esempio, è ingiusto negare il rimborso a tutti coloro che non arrivano al 4%. Per il rimborso elettorale si può anche fissare una soglia più bassa. Democrazia è anche partecipare, provare. È giusto disincentivare le liste dello zero virgola. Ma non si può alzare un muro».

Lei ha parlato di potenziali alleati. Le alleanze sono motivo di divergenze strategiche nel Pd. Lei punta sempre su Casini e Vendola come interlocutori privilegiati?
«Non si pone così il tema delle alleanze. Gli alleati non si possono reclutare alla maniera della marina britannica di un tempo: una botta in testa e via, arruolati. Non posso allearmi con chi non condivide il medesimo progetto. Il tema per il Pd non è allora quali alleati scegliere. Il tema è come preparare la sfida del governo. Che vuol dire: costruire un programma efficace e una coalizione credibile per realizzarlo. Alle elezioni il Pd era alleato con l’Idv. Non credo che oggi si possa lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv».

L’accordo sullo sbarramento potrebbe riproporre la tentazione dell’autosufficienza e del bipartitismo.
«In Italia non c’è il bipartitismo. Alle ultime elezioni Lega e Idv hanno ottenuto incrementi persino maggiori di Pdl e Pd. Neppure in Europa c’è il bipartitismo, ma un bipolarismo fondato su due forze prevalenti. È questo l’approdo più razionale anche per le riforme. Intanto è bene che il Pd cominci a lavorare sui contenuti e ad aprire il confronto sui temi politici e istituzionali innanzitutto con le forze che oggi si trovano all’opposizione».

Ma Di Pietro è ancora un interlocutore plausibile dopo la reiterata polemica con il Presidente della Repubblica?
«Di Pietro si proclama paladino dell’indipendenza della magistratura, ma sempre più si fa rappresentante di singoli magistrati e di singole Procure, talvolta schierate contro altri magistrati e altre Procure. Questo intreccio tra inchieste particolari e lotta politica è inquietante. Vedo che anche nel movimento di Di Pietro si colgono dei malumori per questo e per gli attacchi pretestuose e talora volgari al Capo dello Stato. Spero che Di Pietro si fermi, perché altrimenti diventerebbe impossibile ogni rapporto».

La riforma della giustizia è il terreno di un possibile incontro con il governo?
«Dipenderà dalle proposte del governo. Sulle intercettazioni ha fatto bene a non modificare la lista dei reati, ma sbaglia a limitare le capacità investigative dei magistrati. Sarebbe meglio concentrarsi sulla tutela della privacy e sui limiti alle pubblicazioni. Sulla crisi più generale della giustizia il banco di prova riformatore è la rapidità del processo civile, oltre che la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Passa da qui una riforma nell’interesse dei cittadini. Ma allo stato mi pare che Berlusconi pensi ad altro». 

da ilmessaggero.it


Titolo: D'Alema: «Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti»
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2009, 07:34:17 pm
Gelo dopo l'addio di veltroni

L'accusa a Bersani: è anche colpa tua

La mossa del leader del Pd spiazza i rivali.

D'Alema: «Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti»


Quel che accadrà lo dice la rutelliana Linda Lanzillotta, mentre sorseggia un caffè alla buvette della Camera: «Walter è il Pd e se lui se ne va che resterà di questo partito? Probabilmente niente». Le dimissioni rimuginate durante la notte e poi di nuovo la mattina dopo sono arrivate. E ora c'è Massimo D'Alema che dice: «Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti: bisognerà decidere nelle sedi opportune». C'è Dario Franceschini che è pronto per reggere il partito fino al congresso di ottobre. C'è Pierluigi Bersani, sfidante ormai senza sfidato, che non vuole assolutamente prendere la guida della baracca adesso, «sennò la sconfitta delle Europee ricadrà su di me». E ancora, ci sono i buoni amici «esterni» del Pd, che consigliano di eleggere subito un leader forte, ma sono gli stessi che avevano fatto un pensierino su Soru, e poi è successo quel che è successo.

Ci si scervella nella ricerca del percorso migliore per il dopo-Veltroni, ma l'obiezione della Lanzillotta è chiara a tutti e rischia di rendere vano ogni sforzo. I rutelliani si sentivano garantiti dall'attuale leader. E non solo loro. Se quel che deve rimanere è il vice di Veltroni, in accordo con Bersani, il tutto sotto l'egida di Franco Marini, allora tanto vale andarsene e rompere quel giocattolo complicato che si chiama Pd. Per questo a tarda sera rispunta un'ipotesi che sembrava essersi eclissata: quella del congresso anticipato. Dunque, il Veltroni che si dimette spiazza tutti. Anche D'Alema. I sostenitori dell'ex ministro degli Esteri ieri volevano partire lancia in resta per chiedere le dimissioni del segretario. Peccato che lui li abbia anticipati, arrivando in mattinata a largo del Nazareno e avvisando Franceschini, Fassino, Gentiloni, Tonini e Bettini della sua decisione. Irrevocabile, nonostante quel che pensasse ancora in mattinata D'Alema. Ma Veltroni è fatto così. Riconsegna subito perfino l'auto del partito. E ai fedelissimi che lo vorrebbero più pugnace dice: «Basta, ho deciso e non torno indietro. Né farò altro. Non sono tipo da organizzare correnti, farò il deputato semplice».

La decisione è presa e non c'è politica che tenga. Veltroni la comunica a tutti: al capo dello Stato e a Gianni Letta, a Casini e a Fini. Solo con D'Alema non parla. Ma la distanza tra i due, ormai, è enorme, e non è più il tempo delle astuzie diplomatiche. Al Pd non si fa più finta di volersi bene quando in realtà non è così. Tant'è vero che mentre il leader si dà più di un'ora di tempo per decidere, tra una riunione del coordinamento e l'altra, chi non ama Veltroni non partecipa alla lunga processione dei dirigenti di partito che gli chiedono di ripensarci. Nella fila davanti alla porta del suo ufficio non si scorgono né Bersani, né Enrico Letta, né Rosy Bindi. E quanto a Bersani, lui certo non si straccia le vesti per le dimissioni del segretario: potrebbe respingerle a patto, però, che Veltroni «recepisca» le «istanze che io rappresento», o che, comunque, lasci «campo libero» alle sue iniziative. Finita la riunione Veltroni gli passa davanti e, riferendosi alla sua candidatura anzi tempo, gli sibila: «E' stata tutta colpa tua». Bersani si adira e al piano nobile di largo del Nazareno si sfiora la rissa. No, non è più il tempo del «volemose bene», delle dimissioni false, dell'analisi del voto cauta e pudìca. Veltroni non indora la pillola: «Il risultato della Sardegna è drammatico. C'è una situazione scollata. Il Pd è andato male e non si può fare finta di niente, ci vuole un forte gesto di discontinuità, di rottura».

Tutti lo ascoltano senza capire quel che il segretario sta per annunciare: le sue dimissioni. «Il mio logoramento sta diventando il logoramento del partito e allora è meglio che io mi faccia da parte». E anche dopo, quando qualche amico gli chiede se ha una qualche intenzione di fare marcia indietro, il leader appare irremovibile e ripete suppergiù le stesse parole che pronuncia nella riunione del coordinamento: «La gente non capirebbe le sceneggiate. Io sto facendo sul serio e andrò fino in fondo. Meglio le dimissioni, così forse si salva il progetto del Pd e si salva anche la compattezza del partito, se sono io l'ostacolo, meglio che lasci perdere, sono sicuro che in questo modo tutti avranno modo di riallinearsi». Conclusione provocatoria, ma anche amara. D'altra parte Veltroni non nasconde di sentirsi «spezzato dentro». Eppure, anche dopo le parole nette pronunciate dal segretario, nella riunione c'è chi spera ancora di fermarlo, di fare in modo che non si dimetta. Solo quando Veltroni, con aria questa volta pacata e riappacificata, riprende il suo discorso, scatta un campanello d'allarme tra i dirigenti del Pd. Quello del segretario è inevitabilmente un commiato: «Ho lavorato bene con voi...». Niente più frasi pungenti, sfoghi e amarezze, ma soltanto un addio. E una promessa: «Non farò battaglie tutte interne al partito, non sarebbe da me». Insomma, chiunque sia il suo successore - Franceschini pro tempore, Bersani, un outsider o un giovane come vorrebbero alcuni veltroniani - il segretario non andrà alla guerra.
Anche perché il rischio vero è che venga a mancare il campo di battaglia, ovvero sia il Partito democratico, che rischia ormai di eclissarsi insieme a Veltroni.

Maria Teresa Meli

18 febbraio 2009
da corriere.it


Titolo: VERSO RIEDIZIONE GOVERNO BADOGLIO E DELL'8 SETTEMBRE
Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2009, 06:41:12 pm
19-02-09 
PD: VELINA ROSSA, VERSO RIEDIZIONE GOVERNO BADOGLIO E DELL'8 SETTEMBRE 
 
(ASCA) - Roma, 19 feb - ''Il Partito Democratico si avvia alla riedizione del governo Badoglio, in vista dell'8 settembre.
Siamo alla vigilia di una disfatta che forse non ha alcun precedente nella storia dei partiti in Italia''.

Questa la valutazione della situazione del Pd da parte della 'Velina rossa', l'agenzia di area ex Ds.

''L'Assemblea costituente -prosegue la Velina- a che cosa serve, se non si riesce ad aprire un dibattito politico serio dopo quanto e' avvenuto? (...)
Non si puo' accettare la solita manfrina per cui se ne va il segretario, ma il suo posto e' lasciato in eredita' al vicesegretario che confermera' tutto l'apparato (...) Pare che tutto sia gia' deciso e, quindi, si arrivera' alla comica finale dell'applauso unanime dei cosiddetti 2.800 delegati''.

La Velina Rossa si dice quindi contraria alla soluzione di Franceschini come segretario (''riteniamo inopportuna questa soluzione'') e adombra l'ipotesi di un complotto: ''Le stesse dimissioni dell'on. Veltroni facevano parte dii un certo piano, che in questo momento ha come unico scopo quello di creare terra bruciata attorno alla candidatura dell'on. Bersani''.

E la Velina rilancia la candidatura a segretario pro tempore di Piero Fassino.

min/sam/alf
 


Titolo: Reggenza o primarie, Pd al bivio
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2009, 03:44:07 pm
19/2/2009 (17:0) - CAOS POLITICO

Reggenza o primarie, Pd al bivio

E Parisi si candida alla leadership

Franceschini verso la segreteria.

Altolà dei prodiani. L'ex ministro: «Sono in campo a nome dell'Ulivo».

Sabato all'assemblea la resa dei conti

ROMA


Pd al bivio. Il partito, orfano del segretario Walter Veltroni, si trova in una fase cruciale per il suo futuro. Sabato sarà una giornata clou: si riunirà l’assemblea nazionale (che si terrà dalle 10 alla nuova Fiera di Roma) con i suoi 2.800 eletti e il dibattito potrebbe anche riservare delle sorprese.

Fino a questa mattina sul tavolo c’era solo la proposta dei dirigenti di eleggere Dario Franceschini, dopo il via libera di ieri anche da parte dei segretari regionali. La via è tracciata dallo Statuto che prevede l’elezione del segretario solo in caso di dimissioni, come è avvenuto in questo caso (perchè il segretario in genere si elegge con le primarie). Quindi Franceschini, come fa notare qualcuno, se venisse eletto sarebbe un segretario a tutti gli effetti e il suo mandato durerebbe fino al congresso d’autunno perchè quella era la scadenza naturale della segreteria targata Veltroni.

Un’alternativa potrebbe essere quella di aprire una fase congressuale, ma per questo l’Assemblea nazionale dovrebbe autosciogliersi e poi, si sottolinea da più parti, non ci sarebbero i tempi: servirebbero infatti almeno tre mesi per l’organizzazione e tra 60 giorni il Pd dovrà pensare a liste e candidature per le elezioni amministrative ed europee. Poi, ci sarebbe anche la campagna elettorale. Buon senso vorrebbe, fanno notare da ambienti del Pd, che non si segua questa strada perchè i tempi sono troppo stretti. E tra gli altri problemi ci sarebbe anche il fatto che il tesseramento del partito non è chiuso e questo creerebbe problemi per mandare i delegati al congresso.

A sparigliare le carte ci pensa però Arturo Parisi che insiste perchè il nuovo leader del Pd sia eletto subito attraverso le primarie. E se l’Assemblea nazionale di sabato sarà chiamata ad eleggere il segretario, allora l’ex ministro della Difesa annuncia la sua candidatura «a nome dell’Ulivo». Il dibattito ferve. «Il modo in cui si è aperta la crisi, a ancor più il modo in cui dicono di averla già chiusa mi piace sempre meno» tuona l'ex ministro delle Difesa . «Assieme a chi pensa che si debba andare avanti - aggiunge - ci batteremo perchè la parola ritorni ai nostri elettori attraverso le primarie. Se prevalesse l’idea di eleggere il segretario direttamente in Assemblea, avanzerò la mia candidatura in difesa della nostra idea di un Pd che riparta nel solco dell’Ulivo».

Anche Enrico Letta non risparmia critiche allo statuto che è «barocco e schizofrenico» perchè «indica un percorso talmente contorto per fare un congresso che durerebbe mesi». Quindi, si andrà verso un reggente? «Temo di sì per via del fatto che ci vogliono tre mesi per fare un congresso. Io sono tra quelli che andrà a studiare meglio tutte queste cose per capire se effettivamente è così. Se è così, andiamo alle europee con Franceschini e facciamo il congresso subito dopo le europee». Letta non esclude la sua candidatura: «Ma non è questo il momento. Se decidiamo, il congresso si farà dopo le europee e le candidature si esprimeranno dopo le europee. Adesso va rifondato il centrosinistra». Anche Rosy Bindi apre alla reggenza Franceschini: «La crisi richiederebbe non delle primarie ma un congresso vero. Ma davanti al rischio di fare un congresso finto, dominato dalla preoccupazione delle elezioni, meglio rimandare il confronto al giorno dopo le elezioni europee e amministrative». L’ipotesi Franceschini sembra comunque essere la più verosimile. E colui che finora è stato vice di Veltroni, si prepara ad accettare un ruolo che non è affatto semplice.

da lastampa.it


Titolo: Pd: D'Alema, per un anno direzione ci ha portato a sconfitte
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2009, 05:13:36 pm
2009-03-10 11:25

Pd: D'Alema, per un anno direzione ci ha portato a sconfitte


ROMA - Il 'duello' tra l'ex segretario del Pd Walter Veltroni e Massimo D'Alema "é una gigantesca stupidaggine ma nel corso del primo anno il Partito è stato diretto in moto tale che ci ha portato a sconfitte e quindi c'é stato un ricambio ma né prima né dopo io ho avuto cariche né le chiedo". Massimo D'Alema, ospite di 'Faccia a faccia' su Radiotre, valuta così la guida del Partito democratico fino all'elezione di Dario Franceschini. D'Alema nega che nel Pd ci sia un problema di ricambio della classe dirigente e l'esigenza che la vecchia guardia si faccia da parte. "Gran parte di noi - evidenzia - si è fatta da parte, io presiedo una Fondazione e non sono un dirigente del Partito". Detto ciò l'ex vice premier rivendica il diritto di parola: "Finché c'é audience non starò zitto". Il ricambio delle classi dirigenti "c'é stato più nel centrosinistra che nel centrodestra mentre più in generale c'é un problema nel Paese visto che i giornalisti che chiedono un ricambio a noi sono per lo più gli stessi che scrivono da vent'anni".

FRANCESCHINI STA LAVORANDO BENE
''Dopo una crisi grave che e' culminata nella sconfitta in Sardegna c'e' stato un ricambio, la segreteria del Partito e' fatta di persone nuove e mi sembra che Franceschini stia lavorando bene''. E' l'apprezzamento che Massimo D'Alema, ospite di 'Faccia a faccia' su Radiotre esprime verso il nuovo segretario del Pd. ''Franceschini - sostiene il presidente della Fondazione 'Italianieuropei' - ha dato un profilo piu' chiaro alla nostra opposizione, e' riuscito a lanciare proposte giuste ed efficaci come l'assegno ai disoccupati. Si sta muovendo bene e c'e' un clima piu' sereno nel Partito, il che dimostra che non siamo condannati a polemiche vecchie''.

DA 15 ANNI GOVERNI NON STRAORDINARI
"Nei 15 anni della seconda Repubblica effettivamente la qualità dei governi non è stata straordinaria per il Paese ma le uniche vere riforme sono state fatte dal centrosinistra, come l'ingresso nell'euro e la riforma parziale delle pensioni". E' il bilancio che Massimo D'Alema fa intervenendo alla trasmissione 'Faccia a faccia' su Radiotre. D'Alema nega che Berlusconi vinca sempre. "Non è che Berlusconi - afferma - vinca sempre, il fatto è che sta sempre lì essendo il creatore della coalizione che sostiene, l'azionista di riferimento". La verità è che, sostiene l'ex ministro degli Esteri, centrosinistra e centrodestra hanno governato metà e metà nella seconda Repubblica e "la qualità dei governi di centrosinistra rispetto a quelli di centrodestra é superiore". 

da ansa.it


Titolo: D'Alema: Gianfranco distante dal Pdl
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2009, 11:07:39 pm
L'ex ministro: «Raccogliere la sfida di Fini sulle riforme».

DI Pietro: «Il solito furbetto»

E ora è scontro sul bio-testamento

D'Alema: Gianfranco distante dal Pdl

Schifani: «Laicità non sia omissione di responsabilità».

Alemanno prende le distanze. Verdini: «Norma corretta»



ROMA - Ha suscitato reazioni contraddittorie l'intervento di Gianfranco Fini al primo congresso del Pdl a Roma. Le parole del presidente della Camera sono state apprezzate dal premier Silvio Berlusconi, che ha brindato con Fini al termine del suo intervento. Il Cavaliere si sarebbe complimentato con il numero uno di Montecitorio per il suo intervento. «Ho colto la spinta sulle riforme. Sono d'accordo con te, partiamo subito» ha detto il premier al presidente della Camera nel backstage. Berlusconi ha apprezzato anche il passaggio sulla necessaria laicità delle istituzioni, anche se i dubbi espressi da Fini sul ddl che riguarda il fine vita (e che ha superato l'esame del Senato) sono stati mal digeriti dall'ala cattolica del Pdl.

SCHIFANI - Parlando dal palco del congresso subito dopo Fini il presidente del Senato Renato Schifani ha difeso il testo del ddl sul testamento biologico approvato a Palazzo Madama, che Fini ha criticato facendo appello alla laicità. «Tutto è perfettibile - ha detto la seconda carica dello Stato dal palco -, ma in Senato abbiamo preso atto del vuoto normativo nel quale in buona fede è entrata la magistratura che, surrogandosi alla volontà di Eluana, aveva deciso che doveva morire di fame e di sete.
Abbiamo legiferato con libertà di coscienza. La laicità dello Stato non si può trasformare in omissione di responsabilità: e la nostra responsabilità è di intervenire tutte le volte che ci sono vuoti normativi da colmare».

PRO E CONTRO - Da una parte dell'opposizione è arrivato un plauso alle parole del presidente della Camera. «Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto» è stato il commento di Massimo D'Alema, che ha citato, a tal proposito, proprio il tema del testamento (oltre che quello dell'immigrazione) affrontato da Fini al congresso Pdl. Assai critico invece il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «Pur ritrovandomi nell’impostazione data da Fini sullo Stato laico, non ritengo che il testo uscito dal Senato sia sbagliato» ha detto il primo cittadino della Capitale. Frena anche Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato. «Si può cambiare un comma della legge sul testamento biologico, ma non si altereranno i principi. Si possono discutere i dettagli ma i principi restano quelli». «Lo dico senza polemica: cari amici, il vero Stato etico è quello in cui, con la scusa dell'assenza di una legge specifica, un tribunale si arroga il diritto di determinare la morte di una persona basandosi sul suo presunto stile di vita!» ha detto Gaetano Quagliariello dal palco della Fiera. «Fini ha fatto un suo ragionamento, su questi temi non c’è dottrina né verità. Si possono fare errori, penso che al Senato ci sia stato un eccessivo irrigidimento della norma e penso che alla Camera la stessa maggioranza potrà correggere questi aspetti» ha detto il coordinatore di Forza Italia, Denis Verdini. Si dice invece completamente d'accordo con Fini il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli: «Si è soffermato con coraggio sull’aspetto laico dello Stato: condivido pienamente quello che ha detto sul testamento biologico - ha detto dal palco della Fiera -. Non bisogna avere paura del dialogo». «Non posso che esprimere la mia condivisione con l'interpretazione del Presidente della Camera a proposito del rischio di avvicinarsi ad uno stato etico con la legge sul testamento biologico» ha detto invece il senatore Ignazio Marino (Pd), presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. Duro Massimo Donadi, presidente dei deputati dell'Idv, secondo cui «le parole di Fini sul testamento biologico sono tardive e inutili, anche se condivisibili». «Il presidente della Camera poteva e doveva pensarci prima - ha detto Donadi -. Il ruolo di grillo parlante che si sta ritagliando nel Pdl non incide sulla vita del Paese perché alle parole non corrispondono azioni concrete. An, infatti, ha avuto un ruolo centrale nel sostenere una norma da stato etico».

«IL SOLITO FURBETTO» - Più in generale, comunque, il discorso di Fini è piaciuto ad Alemanno («è uno degli interventi più belli che io gli abbia mai sentito pronunciare» ha detto il sindaco di Roma) ed è stato «interessante» per D'Alema, che ha invitato il centrosinistra a «raccogliere la sfida che Fini rilancia» a mettere mano a «riforme condivise». «Abbiamo sentito dal presidente della Camera parole ben diverse da quelle che Berlusconi ha usato nei confronti dell'opposizione. Oggi Fini ha avuto un grande rispetto e una doverosa attenzione al tema delle riforme condivise» ha detto il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, sottolineando più tardi che il presidente della Camera «ha usato le stesse parole che il Pd ha scelto per contrastare il provvedimento sul testamento biologico». Di diverso avviso Franco Monaco: «Su legalità, laicità, questione meridionale, immigrazione, referendum elettorale sono apprezzabili ma velleitari, testimoniali, minoritari i distinguo di Fini, soverchiati dall'asse Berlusconi-Bossi che dettava e detta la linea alla maggioranza di governo e, più ancora, la sua base ideologica», ha detto l'esponente ulivista del Pd. Per il leader dell'Idv Antonio Di Pietro «il presidente della Camera Fini non può prendere due piccioni con una fava. Non può dire che non gli va bene il testamento biologico o l'obbligo di denuncia dei clandestini per i medici, e nello stesso tempo fare il leader di un partito e accettare che questo voti tali provvedimenti. È il solito furbetto che vuole prendere due piccioni con una fava, da una parte il consenso del partito e dall'altra quello dei cittadini. Non si può stare con un piede in due scarpe».


28 marzo 2009
da corriere.it


Titolo: Apertura del centrosinistra al presidente del Senato
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2009, 11:10:00 pm
Apertura del centrosinistra al presidente del Senato

Finocchiaro: "Grande attenzione al tema delle riforme condivise"

D'Alema: "Sì alla sfida di Fini sulla stagione costituente"

Critico Di Pietro: "Non può prendere due piccioni con una fava"

 
ROMA - Reazioni positive dai principali esponenti del centrosinistra al discorso tenuto oggi da Gianfranco Fini al congresso istitutivo del Pdl. A cominciare da quella di Massimo D'Alema: "Credo che il centrosinistra dovrebbe raccogliere la sfida lanciata oggi da Fini su una stagione costituente. Mi sembra un discorso interessante - ha aggiunto l'ex ministro degli Esteri - anche per il rilievo della sfida in positivo che Fini lancia".

"Penso anch'io - ha affermato D'Alema - che il Paese abbia bisogno di una stagione costituente, e finora il principale ostacolo a che si realizzasse è stata la destra, che ha voluto cambiare le regole da sola attraverso forzature". D'Alema ha anche rilevato che "Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto".

Dello stesso parere anche il capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro: "Abbiamo sentito dal presidente della Camera parole ben diverse da quelle che Berlusconi ieri ha usato nei confronti dell'opposizione. Fini ha avuto un grande rispetto e una doverosa attenzione al tema delle riforme condivise. E' stato del resto il Pd, a inizio legislatura, a rilanciare la necessità di mettere mano a una stagione costituente". Finocchiaro ha ribadito che "i modi e le forme andranno discussi in Parlamento, unica sede legittima", aggiungendo che "oggi al congresso del Pdl è arrivata finalmente la politica dopo che ieri abbiamo assistito ad un dejà vu propagandistico ormai desueto".

Il segretario nazionale dell'Udc Lorenzo Cesa, invece, si è limitato a fare gli auguri a Fini e al premier Silvio Berlusconi: "Finito lo show ci aspettiamo che il presidente del Consiglio cominci a parlare del futuro dopo aver parlato del passato. Gli faccio tanti auguri, e a Fini faccio tantissimi auguri".

Piuttosto critici diversi esponenti dello stesso Pdl, nonostante Berlusconi abbia mostrato di apprezzare senza riserve il discorso dell'alleato. "Fini ha fatto un intervento rivolto a un'Italia moderna ma, se posso fare un appunto, a volte è eccessivamente preoccupato di ricevere plausi bipartisan" osserva il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi. "Il nostro è un partito che non ha complessi di inferiorità nei confronti di nessuno - aggiunge - e che ha un solo leader, caratteristica che deve essere accentuata".

Più disponibile il ministro per la Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli: "Da tempo sostengo, e sono felice che Fini condivida l'idea, che è necessaria una legislatura costituente per dare risposta alle grandi incompiute del Paese. Quindi, a fronte di una prossima modifica che, tra l'altro, prevede un'unica Camera che esprima fiducia al governo, mentre l'altra diviene Senato federale ovvero del territorio, sarebbe paradossale sostenere un referendum che porterebbe una legge elettorale tarata solo per ottenere maggioranze di governo anche al Senato. E quindi antitetica al Senato federale stesso".

Estremamente critico il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro: "Il presidente della Camera Fini non può prendere due piccioni con una fava. Non può dire che non gli va bene il testamento biologico o l'obbligo di denuncia dei clandestini per i medici, e nello stesso tempo fare il leader di un partito e accettare che questo voti tali provvedimenti. E' il solito furbetto che vuole prendere due piccioni con una fava, da una parte il consenso del partito e dall'altra quello dei cittadini. Non si può stare con un piede in due scarpe".

Il ministro dell'Economia del governo ombra, Pierluigi Bersani, sottolinea l'aspetto dissonante, rispetto alla linea di Berlusconi, dell'intervento del presidente della Camera: "Ma cosa rappresentano di fatto le parole di Fini se non una clamorosa bocciatura delle principali misure del governo? Dall'immigrazione al testamento biologico, dall'economia alle misure anticrisi, abbiamo assistito allo smontaggio degli architravi delle politiche di Berlusconi".

(28 marzo 2009)
da repubblica.it


Titolo: D'Alema sulla «crisi» del Pd: «Berlusconi? Durerà fino al 2013»
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2009, 12:13:07 pm
I democratici «Legge sul conflitto d'interessi inutile, tanto darebbe le tv ai figli»

D'Alema sulla «crisi» del Pd: «Berlusconi? Durerà fino al 2013»

«Con Veltroni un momento difficile».

Franceschini: «Fa opposizione nella misura delle sue possibilità»


MILANO — «È vero, il mio rapporto con Walter sta vivendo un momento difficile». Lo chiama per nome come sempre, Massimo D'Alema, l'ex leader del Pd Veltroni. «D'altronde, ci lega una lunga militanza». E confessa a Daria Bignardi, che ieri sera lo intervistava su RaiDue a L'Era glaciale, «che sì, in questo periodo tra noi c'è difficoltà di dialogo, ma poi le cose passano. Abbiamo avuto momenti di asprezza, di solidarietà, lunghe fasi in cui abbiamo lavorato assieme... Adesso anche Walter ha una comprensibile amarezza e un comprensibile riserbo. Per la mia festa dei 60 anni (dopodomani, ndr)? Non so se mi telefonerà». Seduto su un trono dorato — «sul quale mi sento a mio agio» —, alla soglia dei 60 anni, il presidente di Italianieuropei ha raccontato «del bambino politicizzato che ero», tracciando un bilancio «positivo e senza dolorosi rimpianti. Anche io, come disse Berlinguer, non ho tradito gli ideali della mia giovinezza». E parlando più da militante disciplinato — «ogni volta che il mio segretario chiama obbedisco» — che da big del Pd: «Non sono in organismi dirigenti». Poco spazio alle polemiche, però: «Bersani mio candidato al congresso di ottobre? Ora è tempo di campagna elettorale».
Quanto al ritiro di Bettini dalla lista per le Europee perché al numero due dopo Sassoli, «spero ci ripensi. Anch'io una volta ho fatto il secondo dietro De Mita».

BERLUSCONI FINO AL 2013 - Positivo il bilancio, anche se con esplicite riserve, per il Pd: «Siamo riusciti a trasformare l'ex Pci in un protagonista della vita politica italiana. Sta vivendo una fase negativa, certo, ma si riprenderà». Non prima, però, «della scadenza naturale di questo esecutivo, nel 2013. Fino ad allora Berlusconi governerà: non vedo margini per una crisi».

Ma su come Franceschini — «che fa opposizione nelle misure delle sue possibilità» — possa far risalire la china al Pd, l'ex ministro degli Esteri spiega la sua ricetta.
Che parte dalla comprensione «che l'Italia non è incline al bipartitismo». Il che significa allargare la coalizione «della quale il Pd sia il fulcro, anche se non autosufficiente».

Ma la grande anomalia di questo Paese, per D'Alema, resta «il conflitto di interessi di Berlusconi, caso unico al mondo.
Anche se quella per disciplinarlo sarebbe una legge inutile. Tanto cederebbe le tv ai figli».

Infine, un accenno alla polemica sul referendum: «Si doveva fare il 6 e 7 giugno. Ma quando sarà, voterò comunque sì per scardinare questa legge elettorale vergognosa».

Angela Frenda
18 aprile 2009

da corriere.it


Titolo: D'Alema: candidature, dal Pdl metodi «creativi»
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2009, 11:43:44 pm
D'Alema: candidature, dal Pdl metodi «creativi»


«Il rinnovamento della classe dirigente del Paese viene affrontato in vari modi, alcuni dei quali sono particolarmente creativi...». Massimo D'Alema parla delle prossime elezioni europee  in un'affollata manifestazione a Roma e non lesina critiche alle liste Pdl. Presentando la candidatura nella circoscrizione centro di Roberto Gualtieri, docente di storia contemporanea alla Sapienza e vicedirettore dell'Istituto Gramsci, l'ex ministro degli Esteri aggiunge: «Piaccia o meno il sistema delle preferenze, certamente ha il vantaggio di concorrere ad una selezione di qualità, dando ai cittadini il potere di scegliere le persone».
   
   Secondo D'Alema l'italia sconta un deficit considerevole in Europa: «Vi posso assicurare che l'immagine della classe dirigente del Paese è piuttosto diversa in Italia da quella che viene percepita oltre confine. Direi che a volte la differenza è molto pesante».    Di qui, sottolinea, la necessità di risolvere un grande problema: «Quello di rafforzare l'immagine politica dell'Italia nel mondo». Per fare questo, il Pd non deve pensare «allo spavento dei sondaggi»: pur cercando di «raccogliere il massimo in quantità, un grande partito, che guarda lontano, non può rinunciare alla qualità» della sua classe dirigente.

Le elezioni europee devono essere dunque «l'occasione per la riscossa dei progressisti in Europa. Il contributo del Pd deve andare verso una ripresa del processo europeista», perchè mai come in questo momento «l'Europa non può fermarsi a metà del guado» e proprio il Pd può essere determinante «per lo sforzo comune di far vincere il centrosinistra» a Bruxelles così da evitare «che l'Europa finisca ai margini».   Purtroppo, osserva D'Alema, «viviamo in Europa il paradosso di una vittoria delle destre, a fronte di governi di centrosinistra in tutto il mondo». Ma è di fronte alla crisi mondiale «che tornano prepotentemente attuali le nostre idee e i nostri valori». Bisogna quindi lavorare per invertire la rotta anche in Europa, dove «il centrosinistra è in affanno e
l'Ue appare in gran parte prigioniera della destra, che ha poco a che fare con la vecchia destra e si presenta come una forza
populista che alimenta e si nutre delle paure derivanti dalla crisi».

A proposito della collocazione del Pd, D'Alema apprezza la posizione di Franceschini. «Il segretario ha usato un'espressione convincente: il Pd non diventa socialista ma sta insieme ai socialisti. È un buon punto di partenza per una soluzione condivisa».

Sulle alleanze, D'Alema risponde a Rutelli, che dopo il voto trentino ha invitato i Democratici a guardare al centro, e in particolare all'Udc. «Sono favorevole - dice l'ex ministro degli Esteri - ad alleanze al
centro ma non parlerei di modelli».

Infine sulla vicenda della «deportazione» in Libia dei 227 immigrati salvati nel Canale di Sicilia: «Le esigenze di sicurezza non possono andare contro il rispetto delle regole, delle convenzioni internazionali e dei diritti umani a cui il nostro Paese è tenuto come ogni altro paese civile. Spero che se ne possa discutere».

08 maggio 2009
da unita.it


Titolo: D’ALEMA. D'Alema: «Questa destra si può battere»
Inserito da: Admin - Maggio 18, 2009, 04:55:13 pm
D'Alema: «Questa destra si può battere»

di ro.ard.


La Fiera del libro di Torino è l’occasione per rilanciare il centrosinistra, «che è pienamente in campo e in grado di contrastare il centrodestra». E lo fa lo stesso Massimo D’Alema presentando il suo libro “Il mondo nuovo. Riflessioni sul Pd” (Italianieuropei), presentato da Ferruccio De Bortoli e Carlo Ossola. «Il centrosinistra italiano governa gran parte delle città, delle regioni, delle province italiane. Siamo perfettamente in grado di contendere il terreno a questa destra». La sinistra ha dimostrato, secondo D’Alema, in questi ultimi quindici anni di crisi del Paese di essere presente: «Abbiamo governato il Paese per sette anni - ha detto - Berlusconi per otto: mi pare che siamo in campo». Intervenuto questa mattina, prima di un incontro sulla memoria del Novecento, con Fausto Bertinotti e Giovanni De Luna, e poi alla presentazione del suo libro, D’Alema ha analizzato la storia della sinistra italiana sottolineando come dopo il 1989, data cruciale a livello politico, c'erano tutte le condizioni perché la destra occupasse il campo della politica, «eppure questa sinistra, in pieno sconvolgimento delle sue radici storiche, è riuscita a contendere il campo alla destra con una grande forza democratica».

Per D’Alema questo è un risultato tutt'altro che disprezzabile. Quello che serve alla sinistra oggi, e che non è ancora stato fatto, è «riannodare i fili di tutti quei racconti individuali che risultano frammentati. Serve - ha sottolineato D'Alema - una riflessione sulla storia della sinistra italiana e sulla sua funzione nella storia democratica del Paese». È necessario, per l'esponente del Pd, definire cosa è vivo ancora oggi e cosa deve essere riconsegnato al passato e alla sconfitta storica del comunismo internazionale; ma, ed è questa la cosa importante, «il centrosinistra italiano è una realtà straordinaria che rappresenta metà del Paese. Lo “sconfittismo” serve alla classe dirigente politica per non vedere i propri errori».

17 maggio 2009
da unita.it


Titolo: AMATO e D'ALEMA - Una strategia (che funziona) per fermare i clandestini
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2009, 12:05:59 am
COME SI GOVERNA L’ARRIVO DEGLI STRANIERI

Una strategia (che funziona) per fermare i clandestini

Immigrati, combattere la clandestinità con gli accordi di riammissione

di GIULIANO AMATO e MASSIMO D’ALEMA


Proviamo a immaginare l’impossibile. L’Italia privata all’improvviso dei cinque milioni di cittadini immigrati residenti nelle nostre regioni, città, borgate. Sarebbe la paralisi. Lo sbandamento di milioni di famiglie dove spesso una tata o una badante fanno andare avanti le cose e la vita. Migliaia di piccole imprese del Nord non aprirebbero i battenti. E l’agricoltura, l’edilizia, mille altre attività entrerebbero in debito d’ossigeno, come succede all’atleta quando non ce la fa più.

Perché questa è l’Italia oggi. Una grande società «aperta», plurale, multietnica. Una comunità qualitativamente diversa da prima, da com’era venti o dieci anni fa. Abbiamo imparato ad accogliere, questa è la verità. E per fortuna. Dopo aver tanto «ceduto» nel passato — si sono calcolati venticinque milioni di partenze, non tutte definitive, dall’unità d’Italia agli anni Settanta del secolo scorso — siamo divenuti terra di riferimento. Di approdo. Di sbarchi e di speranze. Possiamo dolercene a parole, ma nei fatti questa nuova realtà è un patrimonio già oggi essenziale e del quale non potremmo, neanche volendolo, fare a meno. Il problema allora — perché un problema c’è — è dotare lo Stato, la comunità, di un sistema di regole certe, capaci di superare la logica dell’emergenza costante dove la propaganda di parte, o ideologica, maschera l’inefficacia della politica.

L’immigrazione, questo dovrebbe esser chiaro da tempo, non è un malanno passeggero, ma uno dei tanti attori di un mutamento epocale destinato a durare a lungo. Tra poche decine d’anni, un miliardo e mezzo di persone vivranno «altrove». Lontano dal loro Paese.

Allora non solo è legittimo ma doveroso chiederci se basta proteggere il nostro fortino assediato o se non stiamo rinunciando a governare cambiamenti della società destinati a compiersi, spesso in un contesto di conflitti e paure. La sfida vera è fondare un modello di convivenza in grado di reggere l’urto del futuro.

Un modello valido per noi e per chi verrà dopo di noi. Si va invece sulla strada sbagliata se si sceglie — come si è ora scelto in Italia — di gridare all’Europa e al mondo l’intenzione di contrastare l’immigrazione illegale, anche al prezzo di penalizzare quella legale, di rendere più difficili i ricongiungimenti, l’accesso alla cittadinanza, aumentando i costi del soggiorno e paralizzando i flussi di ingresso degli immigrati regolari.

Per combattere la clandestinità si è puntato sulle forze di Polizia, sui militari e sulle ronde, fino al coinvolgimento di presidi e insegnanti, medici, infermieri, ufficiali dell’anagrafe, nell’idea scomposta di una rimozione di tutele e diritti essenziali come leva securitaria per fermare ovunque gli immigrati senza permesso. Tutto questo, si dice, agisce nelle corde dei cittadini che non sopportano più l’invasione disordinata di persone «fuori legge». Può darsi che i sondaggi confortino questa tesi. E tuttavia, attenzione. Perché chi esercita responsabilità pubbliche ha il dovere politico e morale di non parlare soltanto alle emozioni.

Dati alla mano, «il re è nudo», nel senso che esasperando la paura, si produce un nemico ma non si risolve il problema. È un fatto che nell’ultimo anno gli sbarchi sulle nostre coste siano notevolmente aumentati. Né la voce grossa, né la durezza delle misure hanno impedito gli arrivi via mare: 36.951 nel 2008 rispetto ai 20.455 del 2007 e ai 22.016 del 2006. Con una ulteriore crescita nei primi mesi del 2009. È una tragica contabilità, lo sappiamo. Ma spiega perché non basta una logica repressiva a governare quei flussi. E conferma l’assurdità delle critiche di «buonismo» rivolte al precedente governo. I due anni di Prodi sono stati pochi, troppo pochi, per condurre il Paese fuori dall’emergenza con una legge sull’immigrazione strutturale, fatta di regole praticabili sugli ingressi e sul soggiorno regolari.

In quella fase però non è mai stata in discussione la durezza contro i criminali. Con risultati importanti che hanno sgominato bande e organizzazioni attive nello sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero, di traffici illegali. Il tutto anche attraverso interventi tesi a dare più strumenti di indagine e intervento alle forze dell’ordine. L’impegno contro il traffico degli esseri umani tra la Libia e l’Italia ha prodotto un aumento degli arresti e dei mezzi sequestrati. Sono state adottate nuove procedure per identificare lo straniero criminale ancora in carcere ed espellerlo appena espiata la pena. Insomma due anni, per quanto pochi, sono serviti ad avviare un progetto di governo dell’immigrazione in linea col resto dell’Unione Europea.

Un «approccio globale», un’offerta di politiche integrate condivise con i Paesi di origine e anche di ritorno dei migranti. Una collaborazione inedita dei ministeri dell’Interno e degli Esteri ha avuto riflessi positivi sul contrasto all’immigrazione illegale. Forse sono aspetti non inutili da rammentare oggi.

Il 29 dicembre 2007, il ministro dell’Interno italiano siglò, a Tripoli, con il suo corrispondente libico, un Protocollo di cooperazione tra i due Paesi «per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina».

Quell’accordo prevedeva un pattugliamento marittimo congiunto davanti alle coste libiche per contrastare la partenza dei natanti e bloccare il traffico degli esseri umani. Il Trattato di amicizia tra Italia e Libia, del 30 agosto scorso e di recente ratificato dal Parlamento, ha assunto quel Protocollo tra i contenuti necessari della collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina. Bisogna però ricordare che né il Protocollo né il Trattato contengono disposizioni per rimandare in Libia gli immigrati soccorsi dall’Italia in acque internazionali: a riguardo, il governo italiano ha strumentalmente usato quegli accordi per rifiutare il proprio aiuto a donne, uomini e minori che avrebbe comunque potuto respingere dopo avere verificato la presenza tra loro di vittime di tratta o di richiedenti asilo in possesso dei requisiti necessari. Come del resto previsto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. E ancora, l’approccio globale di cui si è detto, ha prodotto nel gennaio del 2007 la firma di un accordo di riammissione tra l’Italia e l’Egitto. Ne sta ricevendo vantaggio il Governo attuale che può operare con voli diretti verso il Cairo per il rimpatrio dei cittadini egiziani sbarcati sulle nostre coste. Gli accordi di riammissione servono, dunque, al Paese di destinazione degli immigrati e al Paese d’origine. In un quadro integrato di azioni accelerano le procedure di accertamento e di rilascio dei documenti degli immigrati espulsi o respinti alla frontiera.

Fino al 2007 l’Italia ha firmato trenta accordi di riammissione. Ventuno di questi recano le firme di ministri del centrosinistra. Nel gennaio scorso, la massiccia presenza a Lampedusa di migranti irregolari provenienti dalla Tunisia e le difficoltà del loro rimpatrio hanno evidenziato che l’accordo di riammissione con quel Paese non sta funzionando. È credibile che questo possa accadere, che la collaborazione, nel tempo, vada aggiornata, verificata, rifinanziata, che si debba giungere alla firma di nuovi accordi per garantire la sostenibilità dei percorsi migratori.

Parallelamente devono procedere gli aiuti per lo sviluppo economico, bisogna concordare gli ingressi per motivi di lavoro, le azioni congiunte contro la criminalità e lo sfruttamento, il ritorno degli immigrati overstayers che rappresentano i due terzi delle presenze irregolari sul nostro territorio.

Questa, a nostro avviso, rimane la sola seria strategia da perseguire se l’obiettivo è un contrasto dell’immigrazione clandestina fondato sulla legalità, sulla sicurezza e sul rispetto fondamentale dei diritti umani.

Sempre, in qualunque emergenza o contesto. Nella consapevolezza che dinanzi a problemi di tale complessità e rilievo, l’impegno pubblico delle leadership e dei governi deve puntare non già a vellicare l’umore del pubblico ma a rasserenare il Paese indicando con saggezza la via migliore da seguire.


23 maggio 2009
da corriere.it


Titolo: D'Alema, in Italia possono aprirsi scenari imprevedibili
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2009, 11:14:00 pm
2009-07-05 21:30

D'Alema, in Italia possono aprirsi scenari imprevedibili


ROMA - Si avvia "un periodo di incertezze e credo che nel paese possano aprirsi scenari anche imprevedibili". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in una intervista a Radio Città Futura poco prima del suo intervento alla Festa del Partito Democratico. Alla cronista che gli chiedeva di Berlusconi e di un suo eventuale declino D'Alema ha replicato sottolineando: "stiamo in un momento del potere personale di Berlusconi che mostra anche però fragilità ". Secondo D'Alema il suo declino "sarà complesso, frammentario: l'uomo non vuole mollare ma al tempo stesso è sempre più debole". Quindi "ci sarà un periodo di incertezza e nel paese possono aprirsi anche scenari imprevedibili".

"Io come cittadino italiano trovo umiliante la situazione in cui ci troviamo". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in un'intervista radiofonica poco prima del suo intervento alla festa del Pd e replicando a chi gli chiedeva della nota di palazzo Chigi sulla stampa estera. "Credo che come ha scritto Le Monde - ha concluso - questa immagine del presidente del Consiglio rischia di danneggiare il paese". 

da ansa.it


Titolo: D'Alema: "Berlusconi in declino si aprono scenari imprevedibili"
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2009, 11:15:29 pm
L'ex presidente del Consiglio intervistato a Radio Città Futura: L'uscita del premier "sarà complessa e frammentaria"

D'Alema: "Berlusconi in declino si aprono scenari imprevedibili"

Sull'imminente battaglia congressuale: "Voglio un partito vero, basta partito-movimento" e critica la candidatura Franceschini: "Aveva senso se unitaria. E poi ha perso le elezioni. Noi dell'apparato? Indistruttibili"

 
ROMA - Si avvia "un periodo di incertezze e credo che nel paese possano aprirsi scenari anche imprevedibili". Lo ha detto l'ex premier Massimo D'Alema in una intervista a Radio Città Futura poco prima del suo intervento alla Festa del Partito Democratico. Alla cronista che gli chiedeva di Berlusconi e di un suo eventuale declino D'Alema ha replicato sottolineando: "Stiamo in un momento del potere personale di Berlusconi che mostra anche però fragilità ".
Secondo D'Alema il suo declino "sarà complesso, frammentario: l'uomo non vuole mollare ma al tempo stesso è sempre più debole". Quindi "ci sarà un periodo di incertezza e nel paese possono aprirsi anche scenari imprevedibili".

"Io come cittadino italiano trovo umiliante la situazione in cui ci troviamo", ha aggiunto poi l'ex premier. "Credo che come ha scritto Le Monde questa immagine del presidente del Consiglio rischia di danneggiare il paese. Diranno che ho preso un colpo di sole, che sono rimbambito. Ma tutto questo è del tutto evidente sulla scena internazionale, dove c'è una stampa libera. In Italia lo vediamo di meno perché siamo prigionieri di una bolla mediatica".

E sul tema, l'esponente Pd torna nel corso dell'intervento alla Festa del partito, ripetendo una frase già utilizzata nelle settimane scorse: "Ci saranno altre scosse". Il potere del Cavaliere, dice D'Alema, "comincia a mostrare crepe e, paradossalmente siamo all'apice ma anche all'inizio del declino di Berlusconi".

Partito vero e "partito-movimento". Intervistato da Antonio Polito alla Festa del Pd, D'Alema parla dell'imminente battaglia congressuale, conferma l'appoggio a Pierluigi Bersani e avverte: "Sento il bisogno di un partito vero, abbiamo avuto una fase di partito-movimento, abbastanza confusa con una situazione nel paese allora di anarchia". E riferendosi anche alle recenti polemiche aperte con l'intervista di Debora Serracchiani a Repubblica, sostiene che non c'è bisogno "di un insieme di persone che concepiscono le primarie come un'occasione per una resa dei conti". "Non è una situazione brillante - ha concluso - e non a caso abbiamo avuto due sconfitte elettorali che hanno visto anche un ridimensionamento nel nostro paese".

Critiche a Franceschini. Il cuore dell'intervento dalemiano riguarda la candidatura del segretario reggente. "Avrebbe avuto un senso se si fosse presentato come una persona che fa un appello unitario". Invece, aggiunge D'Alema, "ha detto mi candido perché non tornino quelli di prima. Ma chi erano? Rutelli e Fassino sostengono lui". Frontale poi l'attacco sui risultati elettorali: "Questo gruppo dirigente ha perso le elezioni politiche, dopodiché non ha sentito il bisogno di fare nessuna riflessione autocritica. Io avevo detto 'posso dare una mano', hanno risposto che non c'era bisogno. Franceschini disse che io sono difficile da collocare. Dopo di questo abbiamo perso le elezioni in Sardegna, abbiamo perso 4 milioni di voti alle europee". Aggiunge D'Alema: "Non può venire al congresso e dire 'io voglio andare avanti'. Io quando ho perso le elezioni regionali 8 a 7, non così, me ne sono andato".

L'ex premier non resiste poi a una battuta nel suo stile sarcastico, sollecitata dalle polemiche sugli "apparati": "Noi dell'apparato - dice - abbiamo una struttura particolare che ci rende, direi, quasi indistruttibili". Aggiunge D'Alema: "Dove sono questi presunti apparati che frenavano il nuovo? Di che parliamo? questa è una raffigurazione letteraria dei nostri problemi".

(5 luglio 2009)
da repubblica.it


Titolo: D’ALEMA. «Atto di barbarie, è allarme democrazia»
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2009, 05:07:46 pm
L'INTERVISTA

«Atto di barbarie, è allarme democrazia»

D'Alema: dopo Boffo chi ha una notizia fastidiosa per il premier sa di rischiare ritorsioni


Onorevole D'Alema, inevitabilmente la prima domanda è sul «caso Boffo». Anche lei è convinto che le dimissioni del direttore dell'«Avvenire» rappresentino un fatto grave?
«È un caso che desta grande preoccupazione. Come desta preoccupazione il degrado impressionante della vita pubblica di cui il presidente del Consiglio è il principale responsabile».

Secondo lei le frequentazioni femminili del presidente del Consiglio influiscono sul serio sulla politica del nostro Paese o lo dice solo per fare propaganda?
«Essendo Berlusconi capo del governo è ovvio che la sua condotta ha una rilevanza politica soprattutto per il modo in cui egli ha reagito non spiegando i suoi comportamenti, non rispondendo a interrogativi legittimi, il che avrebbe probabilmente chiuso la questione. Al contrario, Berlusconi ha utilizzato il suo potere politico, mediatico e finanziario per perseguitare e colpire le voci critiche. Si è creata una situazione pesante e allarmante: l'episodio del direttore dell'Avvenire segna uno spartiacque: un qualsiasi giornalista che abbia una notizia imbarazzante o fastidiosa per il presidente del Consiglio sa che da oggi in poi, se la pubblica, è a rischio di pesanti ritorsioni. Al fondo di questa barbarie c'è l'anomalìa italiana».

E che cosa mai sarebbe questa anomalìa italiana di cui lei parla, onorevole D'Alema?
«I giornali nel mondo civile controllano il potere. Berlusconi, invece, utilizza gran parte dei mezzi di informazione per controllare quelli che dovrebbero controllare lui e il suo governo. Questo ormai è un serio problema di carattere democratico».

C'è chi ricorda che anche lei, come altri esponenti del centrosinistra, aveva la querela facile e il dente avvelenato contro i giornalisti. Non sembrerebbe quindi un'esclusiva di Silvio Berlusconi.
«Questo accostamento è insensato. Io non posseggo televisioni e giornali e quando sono diventato presidente del Consiglio ho rimesso tutte le querele».

Ma non è che il Pd sta sopravalutando queste storie lasciando perdere tutti gli altri problemi del Paese? La crisi economica e quella sociale avanzano, e l'opposizione si occupa delle faccende private del presidente del Consiglio.
«È sbagliato sottovalutare quel che sta accadendo e dire "occupiamoci dei problemi veri". Questo è un problema vero che aggrava tutti gli altri, perché, grazie al potere che il governo ha sull'informazione, si indeboliscono il controllo e lo stimolo e peggiora anche la qualità stessa dell'azione di governo».

Onorevole D'Alema non le pare di esagerare?
«Non credo. Pensi alla realtà della crisi economica e sociale: per un anno ci è stato raccontato che non c'era la crisi e quando ormai era impossibile negarla si è detto che c'era stata ma era finita. La verità è che noi siamo i più colpiti tra i Paesi industrializzati. E questo governo è l'unico, tra quelli dei Paesi più importanti, che non ha fatto nulla di significativo per fronteggiare la crisi. Si galleggia nella speranza che la ripresa internazionale prima o poi trainerà l'Italia. Ma si tratta di una pura illusione, se non si affrontano i problemi reali e non si fanno le riforme».

In compenso, l'opposizione di centrosinistra appare più che appannata.
«Certo, in questo momento si avverte l'assenza di una voce autorevole dell'opposizione. Son fiducioso che, alla fine di questa sofferta e lunghissima discussione interna al Pd, le cose cambieranno. Bersani è un leader autorevole, determinato a costruire un partito e un gruppo dirigente, dopo che si è pensato troppo a lungo che bastasse demolire ciò che c'era per costruire il nuovo».

Insomma, onorevole D'Alema, lei vuole ristrutturare il Partito democratico e rimettere in piedi l'allegra comitiva dell'Unione.
«La comitiva di undici sigle dell'Unione non c'è più. Ora c'è il Pd, che può diventare il perno di una nuova alleanza democratica tra alcuni partiti che si mettono insieme sulla base di un programma chiaro e che si vincolano a un codice di comportamento».

Scusi ma pensa sul serio di riuscire a mettere insieme Rifondazione comunista e Udc?
«Rifondazione non sembra avere interesse a una prospettiva di governo, ma a sinistra c'è chi vuole misurarsi con questa sfida. E poi all'opposizione ci sono Udc e Idv».

L'Udc di Pier Ferdinando Casini, per la verità, potrebbe andare a destra...
«Tra l'Udc e la destra è maturata una divergenza profonda che riguarda la concezione stessa della democrazia e che non mi pare facilmente ricomponibile. In più, oggi, vi è quell'aspra lacerazione tra Berlusconi e la sensibilità dei cattolici italiani. In ogni caso noi abbiamo già sperimentato delle convergenze con l'Udc alle amministrative e abbiamo constatato che il suo elettorato ha seguito l'indicazione politica dei gruppi dirigenti di quel partito, dunque non è vero che i nostri elettorati sono incompatibili».

E per il Pd dovrebbe essere Bersani, una volta eletto segretario, a occuparsi della creazione di questo nuovo schieramento?
«Bersani è un uomo di governo capace ed è sempre stato fuori dai conflitti personali all'interno del centrosinistra. Lui è di gran lunga la persona più adatta a guidarci in questa fase di ricostruzione del partito, dopo il periodo confuso che ha caratterizzato l'avvio del Pd».

Ma con l'elezione di Pierluigi Bersani alla segreteria del Partito democratico non teme una scissione degli ex margheritini, che potrebbero non sentirsi rappresentati da un ex ds?
«L'ipotesi della scissione non è mai stata seriamente in campo. Con Bersani nel partito ci sarà finalmente la pace».

Onorevole D'Alema, un'ultima domanda: nella sua Puglia il Pd è nei guai con la giustizia, che impressione si è fatto di questa vicenda?
«Ho sempre avuto rispetto della magistratura. Se vi sono stati illeciti è giusto che siano perseguiti. Finora non ho capito bene di cosa si tratti e ho l'impressione che vi sia una grande esagerazione. Almeno nei titoli di alcuni giornali».

Maria Teresa Meli
05 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Massimo D'Alema: «Il grande centro non ci sarà...
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2009, 08:35:20 am
Il leader politico intervistato dalle «iene»

«La prossima volta Berlusconi perderà»

Massimo D'Alema: «Il grande centro non ci sarà. Ma il Pd costruirà una coalizione e una proposta di governo»


MILANO- Da Silvio Berlusconi («La prossima volta perderà») a Gianfranco Fini («con cui vorremmo elaborare delle idee condivise per il bene del Paese»»).
E ancora Walter Veltroni («Ti stimo e ti voglio bene»). È su di sè, Massimo D'Alema dice: «Sono un democratico e sono anche socialista, ma non più comunista».
Un'intervista al leader democratico che non si sottrae ad alcuna domanda. Dai rapporti al futuro del partito («Il Pd costruirà una coalizione e una proposta di governo»).

L'INTERVISTA- Massimo D'Alema si concede ai microfoni delle Iene in onda martedì sera. Si comincia con il suo futuro. L'ex ministro degli Esteri spiega: « Basta con la politica, mai. Basta con gli incarichi, basta con una funzione dirigente, perché a una certa età si va in pensione». E a proposito delle sue scelte passate spiega che non si definirebbe più comunista, ma «un democratico e anche socialista». Dal passato al presente. Ecco che per D'Alema «Costruendo una coalizione e una proposta di governo» nel centrosinistra «la prossima volta Berlusconi perderà le elezioni». Un'alleanza che passa anche per l'Italia dei valori. E per l'Udc «con le forze che sono all'opposizione del governo». Ma un niet arriva per il grande centro «non si farà». Dall'opposizione alla maggioranza. «Ho l'impressione che si è aperto un dissenso abbastanza profondo che riguarda la politica». Soprattutto nel Popolo della libertà e nel rapporto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. « Ce ne saranno di scosse. Perché l`aggressione al Presidente della Camera non è una scossa di natura politico istituzionale? E troppe ne vedremo». Le stesse che potrebbero arrivare dai magistrati che «accerteranno le responsabilità per gli appalti, per le mignotte mi pare più chiara la situazione». Quanto a Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore al centro del caso escort e di quello della sanità in Puglia l'ex ministro degli esteri spiega: «L'avrò incrociato. Non mi occupo di appalti, non mi occupo di quell'altro ramo cui lei ha fatto riferimento, non consumo cocaina, non c'era nessun motivo per avere rapporti con Tarantini».

LA POLITICA- Buone parole per Walter Veltroni «ti stimo e ti voglio bene». Meno buone per Bruno Vespa «Ha perso un po' quella capacità di essere al di sopra delle parti. Che per uno come lui che pretende di essere il presidente della terza camera dovrebbe essere una condizione importante». Dario Franceschini, invece, è simpatico a D'Alema e così pure Fausto Bertinotti, anche se votò contro il primo governo Prodi e lo fece cadere. Mentre Pecoraro Scanio «politicamente ha fatto qualche danno» al governo e al centrosinistra. Di Debora Serracchiani, "giovane promessa" dei Democratici, l'ex premier dice: «È brava, tifa pure per la Roma».


21 settembre 2009
da corriere.it


Titolo: D’ALEMA. La sinistra europea disarmata
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2009, 05:43:42 pm
29/9/2009

La sinistra europea disarmata
   
MASSIMO D'ALEMA


La crisi attuale segna un profondo cambiamento d’epoca. Non si tratta soltanto di una crisi finanziaria, economica e ormai pesantemente sociale; si tratta di una crisi politica e culturale.

Si chiude un ciclo caratterizzato da una globalizzazione senza regole, dal dominio dell’ideologia ultraliberale. Tramonta l’illusione dogmatica dell’infallibilità del mercato. Al centro del dibattito pubblico tornano idee fondamentali che sono proprie della tradizione socialista.

Ma - ecco il paradosso - di fronte a questa grande svolta sembra proprio il socialismo in Europa a essere più in difficoltà. Non mancano speranze e segnali di novità, tuttavia gran parte del nostro continente è oggi governata da una leadership conservatrice e il declino della destra neoliberista sembra andare non a vantaggio dei progressisti ma, in molti paesi europei, a vantaggio di un’altra destra nazionalista, populista, talora apertamente reazionaria e razzista. Eppure, mentre in Europa accade questo, nel resto del mondo sono le grandi forze progressiste che guidano l’impegno per aprire una nuova prospettiva oltre la crisi e gettare le basi di una nuova stagione economica e politica. Sono i Democratici negli Stati Uniti d’America, così come sono progressisti di diversa natura i leader e i partiti alla guida dei grandi Paesi emergenti, dall’India al Brasile all’Africa del Sud. Persino il Giappone, dopo 54 anni di egemonia politica liberale e conservatrice, si è affidato a una forza democratica e progressista. Non solo, ma in massima parte questi partiti non appartengono alla tradizione e alla cultura socialista, anche se con l’Internazionale socialista collaborano o dialogano intensamente. Perché dunque proprio qui, nella vecchia Europa, sembra essere così difficile la sfida per i progressisti?

Il problema è che il socialismo europeo, sia nelle sue componenti più tradizionali, sia nei settori più innovativi, non è riuscito, di fronte alla globalizzazione, ad andare oltre l’orizzonte del riformismo nazionale. In particolare - questa è la mia opinione - la grande opportunità legata al processo d’integrazione politica dell’Europa è stata colta solo in piccola parte. Dopo l’avvento della moneta unica sarebbe stato il momento per un salto di qualità. Era necessario armonizzare le politiche di sviluppo, le politiche fiscali e di bilancio, le politiche della ricerca e dell’innovazione. Era necessario costruire una vera Europa sociale e governare insieme e in modo solidale la sfida dell’immigrazione. Era necessario quindi rafforzare il bilancio e i poteri dell’Unione europea aprendo la strada a un «riformismo europeo» capace di superare i limiti dell’esperienza degli Stati nazionali. Questa era la prospettiva che era stata indicata da Jacques Delors.

Non dimentichiamo che in quel momento 11 Paesi su 15 dell’Unione erano guidati da leader socialisti. Cercammo di indicare una nuova via con il Consiglio europeo di Lisbona. Ma quel programma riformista, che pure era coraggioso, non era sostenuto da istituzioni forti, risorse adeguate, una chiara volontà politica.

Ci vuole una forza progressista europea che abbia il coraggio di rimettersi in gioco, che apra le vele per cogliere il vento del cambiamento internazionale, voltando pagina rispetto alle timidezze e al profilo basso degli ultimi anni. Si capisce che proprio in Europa il crollo del comunismo, il progressivo logoramento del compromesso socialdemocratico e la cosiddetta caduta delle ideologie (non di tutte, in realtà, se si pensa a quanto «ideologica» è stata l’egemonia neoliberista) hanno pesato su una sinistra rimasta prigioniera del suo disincanto e timorosa di andare al di là di un pragmatismo ispirato al buon senso, alla razionalità economica e alla coesione sociale. Ma è - io credo - anche per questo che una sinistra così priva di identità è apparsa disarmata di fronte al populismo sanguigno della destra. Il problema è che la destra risponde, a modo suo, a un bisogno di identità e di speranza con il riferimento alla terra, al sangue, alle radici religiose della nostra civiltà che, per quanto prospettato in termini distorti e regressivi, appare un ancoraggio robusto rispetto all’incertezza e allo smarrimento del mondo globalizzato.

Non sembra oggi che la cultura socialdemocratica sia in grado di rispondere al bisogno dei progressisti di dotarsi di una visione del futuro capace di suscitare partecipazione e speranze. Insomma, la socialdemocrazia con i suoi ideali e la sua visione della società non sembra in grado di produrre una «grande narrazione» come fu nel passato. Quella esperienza rimane irrimediabilmente racchiusa in un’altra epoca, legata a una struttura delle società europee, ad una organizzazione del lavoro, ad una composizione sociale che non esistono più. Ma la via d’uscita non è nell’idea di un centrosinistra post-identitario. Né soltanto nel far precedere i discorsi politici da un elenco di grandi valori o dalla evocazione di buoni sentimenti. La sfida appare quella di costruire una nuova identità forte legata ai bisogni sociali, alle contraddizioni e alle attese del tempo in cui viviamo. Questo segna un superamento del passato socialdemocratico, che non è un ripudio, ma capacità di ricollocarne gli elementi vitali in un contesto nuovo, in un nuovo paradigma. Indicando nella democrazia, nell’eguaglianza e nella cultura dell’innovazione le idee-forza per una risposta progressista alla crisi ho cercato di definire non soltanto i titoli di un programma, ma anche le coordinate di un progetto. Se è così, chiamare democratico il nuovo partito dei progressisti è certamente un buon punto di partenza. Ma se il problema è quello di legare a questo nome un’identità e un progetto forti - come pare necessario - allora vuol dire che c’è ancora molto da lavorare. Se però guardiamo al mondo che ci circonda e ai grandi cambiamenti che sono in atto, credo che ci sia ragione di essere ottimisti.

Estratto dall’editoriale di Massimo D’Alema in edicola a ottobre sulla rivista «Italianieuropei»

da lastampa.it


Titolo: D’ALEMA. - «Io sono un politico, altri no»
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2009, 10:25:14 am
Il duello

D'Alema, sfogo dopo gli attacchi «Io sono un politico, altri no»

Veltroni teme uno scambio sulla legge elettorale. Ma gli ex ppi non lo seguono


«Possibile che se un poveretto in questo Paese si azzarda a dire che bisogna discutere delle regole gli devono subito dare dell'inciucista? La verità è che è passata l'idea che il maggioritario debba essere una rissa continua»: Massimo D'Alema si sfoga con un amico. L'ex premier non ci sta a vestire i panni che dalla Bicamerale in poi gli sono stati cuciti addosso. E trova incredibile che per l'ennesima volta il Pd debba dividersi. Ma era inevitabile che accadesse. Un personaggio come Walter Veltroni non riesce a tacere di fronte al sospetto in lui fortissimo che si sia riaperta una trattativa più o meno sotterranea in cui da una parte si offre a Berlusconi di non fare le barricate contro il legittimo impedimento e dall'altra gli si chiede una riforma elettorale vicina al sistema tedesco.

L'ex segretario del Pd ce l'ha proprio con D'Alema. «E' assolutamente strumentale: non si può dire una volta che Berlusconi deve essere ridotto a fare il mendicante e poi un'altra trattarlo come se fosse De Gasperi. E' allucinante». E' un fiume in piena Veltroni, mentre torna dal convegno della corrente Pd di Area democratica che si è tenuto a Cortona. Già lì aveva detto la sua e ora rincara la dose: «Io credo che si debba essere seri e coerenti in politica. Invece che succede? Succede che prima dici sì alla Santa Alleanza con Fini e Casini e chissà chi altro per opporti a Berlusconi e dopo qualche giorno, come se niente fosse, annunci che vuoi riformare la Costituzione con il premier». D'Alema la pensa in maniera assai differente, per non dire opposta. Secondo l'ex presidente del Consiglio «la vera discriminante è tra essere uomini politici e non esserlo». In questo senso, a suo giudizio, «persone che hanno formazioni diverse si possono avvicinare».

Il riferimento è a Casini. A quel Casini che ha proposto a Berlusconi di limitarsi al legittimo impedimento mettendo da parte il processo breve. Ossia quella che D'Alema chiama scherzando (ma fino a un certo punto) «l'indecenza meno indecente». L'ex premier vuole imprimere una svolta al suo partito. Che non consiste certo nel votare il legittimo impedimento, ma nel creare le condizioni per giocare la partita delle riforme. E su questo terreno sembra agire di sponda con Casini. Ma tutto ciò ha riaperto ferite non ancora rimarginate nel Partito democratico e allargato fossati. Ancora una volta ci si divide, nel Pd. Da un lato Veltroni e il capogruppo alla Camera Dario Franceschini con la loro componente di minoranza (molto agguerrita), dall'altro i D'Alema, i Latorre e, in estrema sintesi, anche il segretario Pier Luigi Bersani, cui il ruolo consiglia però maggior prudenza onde evitare di spaccare il partito a due mesi dal suo insediamento. Per questa ragione il leader dà un colpo al cerchio e uno alla botte e non si espone poi troppo. E in questo nuovo tormentone del centrosinistra si assiste a scomposizioni e ricomposizioni. Franco Marini, per esempio, ha preso le distanze dalla minoranza. Non solo perché non è andato a Cortona. L'ex presidente del Senato ragiona in modo assai simile a quello di D'Alema, anzi, si spinge anche più in là. E' «favorevole alla versione costituzionale» del Lodo Alfano. Su Antonio Di Pietro ne dice di cotte e di crude: «Basta andargli appresso», esorta Marini ogni volta che può. E poi c'è il responsabile del Welfare, Beppe Fioroni, ex ppi pure lui, che dalla corrente di minoranza non se n'è andato, ma che prende le distanze da certe prese di posizione di Veltroni e Franceschini.

«E' chiaro — spiega il parlamentare del Pd — che la spina giustizia fa molto male a Berlusconi e che lui non può certo pensare che siamo noi a levargliela. Questo non ce lo può proprio chiedere. Ciò detto, se lui accetta le nostre proposte in materia di riforme (sia quelle sociali che quelle istituzionali) e se lui rinuncia al presidenzialismo, e fa il legittimo impedimento, noi non glielo votiamo, ma non facciamo l'opposizione con la bomba atomica. Non possiamo continuare a essere ossessionati dal fatto che Di Pietro compete con noi per strapparci tre tifosi: da lui pretendiamo il rispetto dovuto al fatto che siamo il più grande partito di opposizione. E allora, invece di interrogarci su che cosa fa il Pd senza di lui, si interroghi Di Pietro su dove va senza di noi». Insomma, dalle parole di Fioroni si evince come la questione sia molto chiara. E si deduce facilmente perché diventa inevitabile che di fronte alla possibilità che risorga un clima da Bicamerale il Pd si spacchi. E Fioroni ha un bell'esortare i suoi compagni di corrente a «non essere un partito nel partito». Le cose stanno esattamente così e le ultime vicende di questi giorni lo testimoniano con assoluta chiarezza: i Pd sono due e ridurli a uno, al momento, appare impresa improba.

Maria Teresa Meli

20 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: D'Alema: «Riforme o si rischia: Fini e Pisanu lo sanno, il premier arretri»
Inserito da: Admin - Marzo 03, 2010, 11:13:25 am
L'INTERVISTA / L'ex premier: rotto il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini

D'Alema: «Riforme o si rischia: Fini e Pisanu lo sanno, il premier arretri»

«Il Pdl ha diffuso la percezione che si può farla franca Casini preoccupato ma ha fatto errori nelle alleanze»


ROMA — Onorevole D’Alema, siamo davanti a una nuova Tangentopoli?
«Siamo in un momento effettivamente molto difficile per il Paese. Anzitutto per la gravità della crisi economica e sociale. Non è vero, come il governo ha sostenuto con faciloneria, che ne siamo fuori. Al contrario, cresce la disoccupazione, è in pericolo una parte della struttura industriale del Paese e non c’è alcuna politica da parte del governo. In questa situazione di sofferenza sociale si innesta un decadimento della classe dirigente del Paese. È un inutile esercizio stabilire se siamo di nuovo a Tangentopoli o no. Quello che emerge è che fenomeni di corruzione investono sia la società che la politica. Ma la politica ha una responsabilità in più perché anziché costruire degli argini ha lavorato per abbatterli. E ciò ha contribuito alla rottura del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini. L’orientamento della politica impresso dal centrodestra va verso l’impunità. L’indebolimento e la delegittimazione della magistratura non aiutano certo la lotta alla corruzione e alla criminalità. E in un contesto di questo genere i fenomeni di illegalità vengono a crescere perché la percezione che la si possa fare franca tende a essere diffusa».

Per la verità il cosiddetto sistema Bertolaso era in voga anche con Prodi.
«Io non ho detto che questi sistemi sono stati creati dal governo Berlusconi. Ma non si può sostenere che centrosinistra e centrodestra siano uguali. Noi abbiamo un sottosegretario della Repubblica, Cosentino, che è inseguito da un mandato di cattura per associazione a delinquere di stampo mafioso a cui il premier ha detto di rimanere al suo posto. Il sindaco di Bologna, invece, accusato di reati infinitamente minori, per rispetto verso le istituzioni della sua città si è dimesso».

Onorevole D’Alema, che è successo, all’improvviso è diventato giustizialista?
«Figuriamoci, sono sempre stato molto prudente, più di una volta ho detto che i magistrati hanno compiuto delle forzature ma il modo in cui il Pdl e il presidente del Consiglio festeggiano la sentenza della Cassazione sul caso Mills mi sembra francamente eccessivo. È vero che la Cassazione ha detto che i magistrati di Milano hanno forzato l’interpretazione in materia di prescrizione però ha detto anche che la corruzione c’è stata».

Tornando al discorso che stava facendo sulla corruzione...
«Io penso che il rischio di una frattura tra Paese e istituzioni e lo spettacolo di una classe dirigente alla ricerca di un facile arricchimento mentre c’è gente che perde il lavoro configurino un quadro estremamente preoccupante. Ed è per questo che si impone la ripresa di un’azione riformatrice. Il sistema politico deve reagire dandosi delle regole per fare pulizia al proprio interno e deve dire quali riforme intende intraprendere. Il punto più grave è la crisi del Parlamento. In questi anni si è pensato a come rafforzare il governo e l’effetto di tutto questo è stato un restringimento della democrazia e dei controlli che non ha prodotto maggiore efficacia e qualità delle decisioni. Quindici anni di berlusconismo non hanno prodotto nessuna decisione importante per il Paese».

Ma lei che cosa propone a questo punto? C’è una ricetta, una soluzione?
«Penso che tutto questo richieda una forte iniziativa. Anche da parte delle personalità della destra che avvertono questo rischio. È tempo di reagire. Non è tollerabile che le riforme che tutti dicono da anni di voler fare non vengano fatte: alla fine la caduta di credibilità diventa micidiale. Sono anni che si dice che bisogna uscire dal bicameralismo, ridurre il numero dei parlamentari e io aggiungo che sarebbe bene ridurre anche i membri dei Consigli regionali, comunali ecc».

Onorevole D’Alema, quali sarebbero le personalità della destra di cui parla?
«Pisanu nell’intervista al vostro giornale faceva delle considerazioni che vanno in questa stessa direzione. E, comunque, come ha detto Fini, non dobbiamo sprecare questa legislatura dal punto di vista delle riforme che si possono fare. E io sono persuaso che la condizione perché si apra una stagione di riforme è che Berlusconi esca ridimensionato dal voto delle Regionali. Così queste voci più riflessive del centrodestra potranno avere un peso».

E Berlusconi?
«La sua voce è veramente stridente rispetto al Paese. Invece di spiegare che le Regionali sono l’occasione per scegliere buoni amministratori, il presidente del Consiglio ha detto che sono uno scontro tra il bene e il male. È un’affermazione che, se presa sul serio, suscita indignazione. Fortunatamente, ormai, si comincia a non prenderlo più sul serio. Anche tutta questa "fuffa" del governo del fare si è molto ridimensionata. L’Aquila era uno dei fiori all’occhiello di questo governo, ora non hanno più coraggio di ripresentarsi lì che la gente li rincorre. C’è stata una grande esagerazione mediatica».

Su Berlusconi Casini non dice cose tanto diverse, eppure è vostro alleato solo in alcune regioni, altrove sta con il centrodestra.
«Sono perplesso per alcune delle scelte fatte da Casini. Lui è tra le persone che esprimono preoccupazioni non dissimili dalle nostre. Detto questo, le sue scelte per le Regionali appaiono abbastanza contraddittorie. Come conciliare, ad esempio, la polemica che l’Udc conduce in Parlamento contro la politica anti-meridionale del governo e l’alleanza con il Pdl in Campania e Calabria? In particolare in Campania a Casini e De Mita non può certo sfuggire quale sia la realtà del Pdl».

Come mai il Pd ha aderito al secondo "No-Bday"?
«Non si può non guardare con rispetto e simpatia a chi scende in piazza per la legalità contro la corruzione. Ma movimenti e partiti hanno funzioni diverse. E poi che vuole, mi hanno anche dato la patente. Se non fossi a fare comizi elettorali quasi quasi...».

Onorevole D’Alema, a proposito di lotta alla corruzione, che cosa si può fare per prevenire certi fenomeni?
«Il governo annuncia provvedimenti. Vedremo di che si tratta. Il primo provvedimento sarebbe quello di ritirare la proposta di legge del cosiddetto processo breve, che avrebbe l’effetto di una amnistia per corrotti e corruttori. Ma, al di là delle misure legislative, è molto importante che i partiti abbiamo serietà e rigore nella selezione del ceto politico. Ci sono dei buchi nella legislazione. Il principio di presunzione di innocenza, che è un principio fondamentale del nostro ordinamento, non può però essere applicato in modo meccanico nei criteri di selezione delle candidature. In Italia uno ha diritto a essere innocente fino alla sentenza definitiva (che purtroppo è spesso la prescrizione del reato), questo vale per i cittadini normali, ma chi viene rinviato a giudizio per reati gravi e odiosi è uno di quegli innocenti di cui si può tranquillamente fare a meno nelle assemblee elettive».

Maria Teresa Meli

27 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: MASSIMO GIANNINI intervista D’ALEMA "Riforma elettorale, poi il voto questa...
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:24:13 pm
IL RETROSCENA

D'alema: "Riforma elettorale, poi il voto questa legge fa comodo solo a Berlusconi"

Ora che il Cavaliere si avvita in una crisi irreversibile, ci si chiede se abbia senso tornare alle urne con questo sistema elettorale e se esista, nell'attuale Parlamento, una maggioranza trasversale in grado di sostenere una riforma condivisa. L'ex premier ed ex presidente dei Ds: "Questo bipolariswmo conviene solo al presidente del Consiglio, col 38% può puntare al Quirinale e chiudere i giochi"

di MASSIMO GIANNINI

ADDIO al "porcellum". Si torna al "mattarellum". Oppure: basta col proporzionale imbastardito dalla casta, riscopriamo le virtù del maggioritario. Ad ogni tornante più tortuoso della storia italiana, il bestiario della politica si ripopola degli astrusi modelli elettorali concepiti dalla Seconda Repubblica. Il dibattito è ozioso, ma cruciale. Nel mattatoio istituzionale e politico di questi anni, tra sistemi elettorali e forme di governo, l'Italia ha concepito un mostruoso Frankenstein. Un modello di legge elettorale, la porcata di Calderoli, tendenzialmente proporzionale, senza preferenze, dove i parlamentari sono "nominati" dalle segreterie di partito e non più eletti dai cittadini. Al tempo stesso, la democrazia parlamentare, violentata dall'autocrazia berlusconiana, vira verso una forma spuria di presidenzialismo di fatto, a-nomico e a-costituzionale, dove l'indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale sembra delegittimare la presenza e il ruolo degli altri organi di garanzia. Ora che il Cavaliere si avvita in una crisi irreversibile, e che si parla esplicitamente di elezioni anticipate, una domanda è d'obbligo: ha senso tornare alle urne con questo sistema elettorale? E in subordine: c'è nell'attuale Parlamento una maggioranza trasversale in grado di sostenere una riforma condivisa?

Nel centrosinistra si confrontano due anime, uscite allo scoperto in questi giorni. C'è l'anima veltroniana, dogmatica, che vagheggia il ritorno al puro spirito bipolare, o bipartitico, che giustificò il suo tentativo di forgiare un Pd autosufficiente e "a vocazione maggioritaria". C'è l'anima bersaniana, pragmatica, che non si impicca a una formula pregiudiziale, ma che in nome dell'Alleanza democratica chiama a raccolta tutte le forze che oggi si oppongono al berlusconismo, per superarlo e poi individuare un sistema elettorale comune da proporre al Paese. "È inutile illudersi, o cercare altre scorciatoie: per uscire dal berlusconismo occorre ripensare le forme del nostro bipolarismo malato". Massimo D'Alema è appena tornato dalla sua vacanza in barca. Chi gli ha parlato lo descrive soddisfatto della navigazione, ma preoccupato per le rotte sempre più confuse della politica italiana.

L'ex premier ed ex presidente dei Ds non ha condiviso la "lettera agli italiani" di Veltroni, che alla fine "ha avuto come unico effetto quello di dare una mano a Berlusconi". Mentre ha molto apprezzato la proposta programmatica lanciata su "Repubblica" da Bersani, che ha avuto il merito "di riappropriarsi dell'agenda politica, affermando cose molto ragionevoli". Anche D'Alema, come il segretario del suo partito, vede un Berlusconi in enorme difficoltà, forse destinato a non concludere la legislatura. Ma se si arrivasse a una crisi, e in ipotesi estrema ad elezioni anticipate, si riproporrebbe la solita questione: "Ci sarebbe sicuramente una maggioranza larga contro di lui, nel Paese, e il voto assumerebbe la chiara fisionomia di un referendum su Berlusconi, ma con le regole attuali si ripeterebbe la difficoltà di tradurre questa maggioranza elettorale in proposta di governo e in una leadership forte". Per questo D'Alema, nei colloqui di questi giorni e prima della ripresa di settembre, non si stanca di ripetere un "refrain" che gli sta a cuore: "Quello della legge elettorale è davvero il nodo di fondo. Non possiamo rischiare di tornare al voto con questo sistema. L'idea malsana e malintesa di bipolarismo che abbiamo cullato e costruito in questi anni ci ha portato a un sistema che fa comodo solo a Berlusconi, che col 38% dei consensi può farsi eleggere al Quirinale, e chiudere i giochi per sempre. Ci rendiamo conto che l'indicazione del premier sulla scheda non esiste in nessun paese del mondo? Ci rendiamo conto che in Italia con questo falso mito maggioritario ormai gli organi di garanzia contano sempre meno? In Gran Bretagna c'è Westminster, ma c'è anche la Regina. In Italia c'è un sistema elettorale che crea un bipolarismo di facciata che ormai mette a rischio la stessa democrazia. Berlusconi fa scrivere il suo nome sulla scheda, e in nome di questo sacro principio, "io sono stato eletto dal popolo", pensa di poter fare quello che vuole. Noi non possiamo indulgere a questa deriva, che contiene in sè il germe del populismo autoritario".

D'Alema non ha dubbi. Ai suoi collaboratori, con i quali sta preparando l'agenda della settimana di rientro, ripete uno slogan di cui è fermamente convinto: "La fine di Berlusconi sarà anche la fine della Seconda Repubblica". Il tema è: come arrivarci? Sotto il profilo della legge elettorale, l'ex ministro degli Esteri del governo Prodi vede solo due strade: "Il primo mezzo è il doppio turno alla francese, che seleziona in anticipo le forze in campo, e potrebbe interessare all'Udc. Il secondo mezzo è il sistema tedesco, proporzionale con lo sbarramento, che rompe la rigidità dello schema "blocco contro blocco". Inutile dire che D'Alema, oggi come negli anni passati, continua a teorizzare il secondo mezzo. "Con il sistema tedesco noi potremmo convogliare un campo vasto di forze, dall'Udc alla Lega, e creare un assetto tendenzialmente bipolare, anche se non bipartitico, dove si andrebbe alle urne con cinque, massimo sei partiti, con un centro forte che si allea con la sinistra, con la sfiducia costruttiva, con una buona stabilità dei governi, che volendo potremmo persino rafforzare con l'introduzione di una clausola anti-ribaltone. Non riesco a immaginare uno schema migliore, per un Paese come il nostro".

Ma in queste ore, sulla scia degli appelli e delle raccolte di firme che si sovrappongono, un'altra via intermedia che prende corpo é quella di un ritorno al "Mattarellum", cioè il sistema partorito dopo la stagione referendaria dei primi anni Novanta. Potrebbe essere un buon compromesso, per uscire intanto dall'esecrato "Porcellum". D'Alema non ne è affatto persuaso: "Ma ci rendiamo conto che col "Mattarellum" siamo andati alle urne con quattordici partiti? È semplificazione questa? È bipolarismo questo? Se guardo al passato, vorrei sommessamente ricordare che l'esperimento lo abbiamo già fatto nel 1994, con i "Progressisti", e non ci andò bene. Se guardo al presente, mi chiedo perché mai Bossi e Casini dovrebbero suicidarsi, tornando a un modello che li penalizzerebbe fortemente".

Per queste ragioni, il Lider Maximo ritiene che il Pd debba assumere un'iniziativa forte, per rilanciare sul modello tedesco e costruire su questo il profilo delle future alleanze politiche. Un ragionamento che riflette forse il limite classico del dalemismo: una certa idea della politica costruita a tavolino o in laboratorio, tra ingegnerie di coalizione e alchimie di partito. Ma una cosa è vera: la crisi del berlusconismo è un'occasione da non perdere, anche per provare a rimodellare la nostra architettura istituzionale ed elettorale. Con l'ennesimo rammarico, che lo stesso D'Alema non può non aggiungere ai tanti altri collezionati nel passato: "Se queste riforme le avessimo fatte alla fine della scorsa legislatura, a partire dal sistema tedesco, oggi l'Italia sarebbe diversa. L'illusione maggioritaria, allora, ha finito col restituire il Paese a Berlusconi". Ammesso che la ricostruzione storica sia vera, l'invito di D'Alema al centrosinistra è a "non ripetere quel grave errore politico". Vedremo se l'invito sarà raccolto.

Nel frattempo, l'ex leader sta defilato, giovedì parlerà di tutto questo, alla festa del Pd a Torino. Mentre oggi presiederà un seminario della Fondazione Italianieuropei con John Podesta, democratico Usa, che ha appena scritto il saggio "L'America del progresso". "Dovrò spiegare gli attuali problemi della nostra situazione politica. È previsto che si parli in inglese. Per come siamo messi, è quasi più difficile farlo in italiano".

(30 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/30/news/d_alema_legge_elettorale-6613192/?ref=HREC1-1


Titolo: D’ALEMA. Dobbiamo tornare a rappresentare interessi produttivi e lavoro
Inserito da: Admin - Novembre 06, 2010, 10:20:10 pm
Pd/ D'Alema: Socialdemocrazia solo componente di nuove...

Dobbiamo tornare a rappresentare interessi produttivi e lavoro


Roma, 5 nov. (Apcom) - Secondo D'Alema infatti "il dominio delle destre, che indubbiamente hanno un primato culturale in questo momento, non ha basi solide e tuttavia in nessun paese europeo emerge con forza un'alternativa socialdemocratica, discorso valido anche per il Pd in Italia, dunque la domanda da porsi è: su quali basi politiche, culturali e programmatiche è possibile una nuova stagione progressista in Europa?", la risposta di D'Alema è che "a tornare al governo saranno coalizioni progressiste e democratiche di cui il socialismo sarà solo una componente" insomma il "nuovo ciclo progressista assumerà altri nomi rispetto al movimento socialista troppo legato all'esperienza del '900" serve qualcosa di più, è il ragionamento, per rispondere alle esigenze della modernità, coalizioni che vadano oltre il semplice "confronto con le culture ambientaliste e religiose. Si rischia un patchwork - ammette - ma è l'unica via percorribile per gettare le basi di una nuova stagione progressista".

L'ex premier ha osservato che oggi la sinistra raccogliere consensi soprattutto tra "i ceti medi riflessivi, quelli più acculturati, una 'minoranza morale' mentre la destra ha conquistato il blocco di forze produttive" mentre "noi siamo quelli dei buoni sentimenti. Accettare questa deriva - avverte D'Alema - è esiziale" perciò per tornare al governo i progressisti "devono ricostruire la rappresentanza degli interessi e in questa ottica la grande discriminante è quella tra lavoro e rendita. I sindacati rappresentano ormai forme residuale di lavoro mentre quello flessibile non ha rappresentanza sociale nè politica, questa è una sfida gigantesca e decisiva su cui riflettere. Ma io non mi abbandono all'ideologia del declino - ha concluso -, vedo segni di ripresa nella crisi delle destre, ma su basi nuove e il socialismo europeo ne sarà solo una parte, se saremo consapevoli di questo potremo anche essere utili".


http://notizie.virgilio.it/notizie/politica/2010/11_novembre/05/pd_d_alema_socialdemocrazia_solo_componente_di_nuove_-2-,26871029.html


Titolo: D’ALEMA. Per salvare l'Italia Un'alleanza costituente manderà a casa il governo
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2011, 05:57:04 pm
L'INTERVISTA

D'Alema: "Al voto per salvare l'Italia Un'alleanza costituente manderà a casa il governo"

Poi, referendum sulle istituzioni. "Una consultazione potrebbe chiedere agli italiani di scegliere tra parlamentarismo e presidenzialismo". "La legittimazione maggioritaria usata contro il principio di legalità: questo il vero atto eversivo". "Siamo in una crisi democratica gravissima. Le opposizioni mettano da parte politicismi e interessi personali"

di MASSIMO GIANNINI

D'Alema: "Al voto per salvare l'Italia Un'alleanza costituente manderà a casa il governo" Massimo D'Alema, Pd, 61 anni,è stato presidente del consiglio dal '98 al 2000. Da un anno presiede il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
ROMA - "Il Paese attraversa una crisi democratica gravissima. Se Berlusconi non si dimette, l'unico modo di evitare l'impasse e il caos politico-istituzionale è andare alle elezioni anticipate. Chiedendo agli elettori di promuovere quel governo di responsabilità nazionale che è necessario al Paese, per uscire da una crisi così profonda. Lancio un appello alle forze politiche di questo potenziale schieramento: uniamoci, tutti insieme, per superare il berlusconismo". Massimo D'Alema rompe gli indugi. Di fronte alla "notte della Repubblica" in pieno corso, il presidente del Copasir apre per la prima volta al voto anticipato, e invita tutti, dal Terzo Polo all'Idv alla sinistra radicale, ad allearsi con il Pd in una sorta di "Union sacrè" elettorale.

Presidente D'Alema, siamo al punto di non ritorno: il Quirinale lancia un serio altolà contro la degenerazione politica, tanto da far ipotizzare ad alcuni ministri un ricorso all'articolo 88 della Costituzione, e quindi lo scioglimento delle Camere. Lei che ne pensa?
"Mi lasci essere prudente su iniziative che vengono attribuite al Capo dello Stato. Ma il solo fatto che circolino ipotesi di questo tipo dimostra quanto sia drammatica la situazione in cui ci troviamo. Ormai siamo in piena emergenza democratica. Non voglio parlare dello scenario morale, che pure è uno dei lasciti più devastanti del berlusconismo come disgregazione dei valori condivisi. Mi riferisco alla crisi politica e istituzionale,
al conflitto tra i poteri dello Stato innescati da un premier che rifiuta la legge. Questo è il vero fatto eversivo: la legittimazione maggioritaria che si erge contro il principio di legalità. Una situazione insostenibile, che ci ha portato alla paralisi totale delle istituzioni, e persino all'idea pericolosa di fare appello alla piazza contro i magistrati, di cui stavolta tutto si può dire fuorché non abbiano agito sulla base di un'ipotesi accusatoria fondata. La vera anomalia è nel fatto che in tutti i paesi del mondo un leader nelle condizioni di Berlusconi si sarebbe dimesso già da tempo, o sarebbe stato già "dimesso" dal suo partito".

Qui non succede. Il premier si dichiara innocente, e dice che ad andarsene deve essere Fini, invischiato nella vicenda della casa di Montecarlo. Chi ha ragione?
"Trovo paradossale questa campagna contro Fini. Ciò che gli si imputa non ha alcuna rilevanza pubblica e non c'entra nulla con il modo con cui presiede la Camera dei deputati. In realtà le istituzioni sono state trasformate in un campo di battaglia e davvero non vedo, nella maggioranza, senso dello Stato".

Ma è con questa realtà che dovete fare i conti. Come se ne esce?
"Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a lanciare una fase costituente con le forze che ci stanno, per aprire una crisi e proporre un governo alternativo. Ma a questo punto, se Berlusconi non prende atto dell'insostenibilità della sua posizione di premier, l'unica soluzione è quella delle elezioni anticipate".

Non avete più paura del voto?
"Non abbiamo mai avuto paura. Era doveroso esperire tutti i tentativi per impedire una fine traumatica della legislatura. Ma ora anche questa fase si sta consumando. Quando Bossi ripete che è ancora possibile fare il federalismo - al di là del merito assai discutibile dei decreti in esame, definiti con sconcertante solennità "federalismo" - esprime una pia illusione: non si accorge che proprio la paralisi creata da Berlusconi è il principale ostacolo per raggiungere lo scopo? Ora vedo che Casini parla di larghe intese come in Germania. E' bello questo riferimento, salvo che al posto della signora Merkel noi abbiamo il presidente Berlusconi, che non è esattamente la stessa cosa. In ogni caso, Casini aggiunge che se le larghe intese non fossero possibili, bisognerebbe andare alle elezioni anticipate. Lo giudico un fatto positivo, che rafforza il mio appello sul voto e sul governo di responsabilità nazionale. Non c'è altra strada. L'idea di ricomporre un centrodestra "europeo", rispettoso dei magistrati e dell'etica pubblica, non è più all'ordine del giorno. In quella metà campo c'è solo un blocco di potere, creato da Berlusconi, e una minoranza fanatica che lo segue sempre e comunque".

"Minoranza", dice lei? L'hanno votato milioni di italiani.
"Le confermo: minoranza. Oggi Pdl e Lega, insieme, sono al 40%. Le forze dell'opposizione rappresentano il restante 60%, cioè la maggioranza degli italiani".

Ma non rappresentano un'alternativa credibile, e dunque votabile. Lo dicono tutti i sondaggi.
"Questo è il punto. L'opposizione appare debole perché finora non ha saputo delineare un progetto alternativo, né contrastare il ricatto del premier che afferra il Paese per la gola e gli dice: o me o il nulla, non esiste alternativa possibile. Per questo propongo di rompere lo schema. Di fronte al conflitto istituzionale permanente e alla paralisi politica, le opposizioni sono chiamate a una forte assunzione di responsabilità. Qui c'è una vera e propria emergenza democratica. Se ne esce solo con un progetto di tipo costituente, che fa coincidere la conclusione del ciclo berlusconiano con la fine di una certa fase del bipolarismo e raduna il vasto schieramento di forze che si oppongono a Berlusconi: presentiamoci agli elettori e chiediamogli di sostenere un governo costituente che abbia tre obiettivi di fondo".

Ce li riassuma. Primo obiettivo?
"Primo obiettivo. Sciogliere il nodo della forma politico-istituzionale del bipolarismo italiano. Siamo in un sistema plebiscitario e populista, costruito intorno a Berlusconi. Dobbiamo finalmente costruire un bipolarismo democratico. Occorre stabilire un nuovo equilibrio. Quale forma di governo vogliamo? Non demonizzo l'ipotesi presidenzialista, sul modello francese. L'importante è ridefinire in un quadro organico il sistema delle garanzie, dei contrappesi, dei conflitti di interesse, dell'informazione. E a tutto questo occorre collegare un modello di legge elettorale coerente, che ci consenta di salvare il bipolarismo, ma rifondandolo su basi nuove. La scelta del modello istituzionale si potrebbe persino affidare ai cittadini. Si potrebbe pensare ad un referendum popolare di indirizzo, per far cominciare davvero la Seconda Repubblica, chiedendo agli italiani di esprimersi: repubblica presidenziale o repubblica parlamentare?".

Gli altri due obiettivi?
"Il secondo è un grande patto sociale per la crescita. Lo sperimentammo sull'euro, e fu il vero successo degli Anni Novanta. Oggi ce n'è altrettanto bisogno. Ma non può essere affidato solo alle parti sociali, nè può essere pagato solo da una delle parti. E questo mi sembra il vero limite dell'accordo Fiat: la modernizzazione solo sulle spalle degli operai. Il nuovo patto deve contenere un'impronta liberale, ma temperata da una forte carica di giustizia sociale e di lotta alle disuguaglianze. Il terzo obiettivo è il funzionamento dello Stato. Lo stesso federalismo, se non è collegato a una vera riforma della Pubblica Amministrazione (e quella di Brunetta non lo è) si riduce a semplice redistribuzione del potere tra le elite".

Ma perché questa idea del governo dell'emergenza dovrebbe funzionare ora, visto che se ne discutete inutilmente da mesi?
"Perché la situazione precipita. La crisi politico-istituzionale, l'accavallarsi delle vicende giudiziarie, la guerra tra i poteri dello Stato. Cos'altro deve succedere, per convincerci della necessità di una svolta?".

Chi è il candidato premier di questo Cln che si presenta alle elezioni anticipate? È vero che lei punta su Casini, per chiudere l'accordo con il Terzo Polo?
"Non punto su nessuno e non spetta a me questa indicazione. Se questa riflessione sarà condivisa, sarà il mio partito con il suo segretario e i suoi organismi dirigenti a compiere le scelte necessarie".

La scelta può cadere anche su un "papa straniero", tipo Draghi o Monti?
"Mi creda, questa è una partita troppo importante per essere giocata nel solito toto-nomi. L'importante è avere chiara la portata della posta in gioco".

Il Pdl è in pieno disfacimento, ma anche il Pd non sta messo bene. Che mi dice del disastro delle primarie a Napoli?
"Intanto a Napoli spero che venga accolto l'appello di Bersani a trovare una soluzione unitaria. Più in generale, mi auguro che questa vicenda ci aiuti a fare una discussione serena e non ideologica. L'ho detto un migliaio di volte, guadagnandomi sul campo l'accusa di "nemico del popolo": ci sarà pure un motivo se gli americani, che le primarie le hanno inventate, hanno un sistema che assicura il voto solo agli iscritti al partito, e non al primo che passa. Se avessimo adottato questo sistema anche noi, oggi sapremmo chi ha votato a Napoli, e non ci troveremmo in questo caos. La democrazia è fatta di regole, altrimenti è pura demagogia. Io non sono contro le primarie. Anzi, le voglio salvare. Ma per salvarle, so che dobbiamo regolarle in un altro modo".
 

(30 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/01/30


Titolo: D’ALEMA. "Questa volta pagano pure i ricchi Non era mai successo"
Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2011, 11:00:31 pm
Politica

09/12/2011 - Intervista: LA CRISI, LE RICETTE DEL PD

D'Alema: "Questa volta pagano pure i ricchi Non era mai successo"

“Le pensioni? Il governo ascolti le richieste dei sindacati”

RICCARDO BARENGHI
Roma

Il governo Monti e la sua manovra, i sacrifici per gli italiani e i sindacati che scioperano, i rischi per il Pd che deve convincere la sua base sociale insoddisfatta, le elezioni tra sei mesi o tra un anno e mezzo, le prospettive di un'Europa a rischio. Ne parliamo con Massimo D'Alema.

Molte tasse, pochi tagli, poca equità, poca crescita, pensioni sotto tiro, assenza di una vera patrimoniale... Soddisfatto D'Alema?
«Mi pare francamente una sintesi totalmente inappropriata, non è questa la manovra. Innanzitutto, vorrei ricordare le parole del presidente Napolitano: "Eravamo sull'orlo di una catastrofe". Il rischio era che andasse deserta l'asta sui titoli di Stato e ciò avrebbe significato non pagare le pensioni e gli stipendi dei lavoratori pubblici. Se non teniamo conto di questa situazione reale, le dissertazioni appaiono non adeguate alla gravità del momento».

Però la manovra del governo non è stata accolta da cori di giubilo, soprattutto a sinistra.
«Difficile gioire quando bisogna sacrificarsi. Ma bisogna rendersi conto che eravamo arrivati a un punto di non ritorno grazie a Berlusconi. Oggi sembra che Berlusconi sia un fenomeno di cent'anni fa, invece è stato capo del governo fino all'altro ieri. E per tre anni ha fatto finta che la crisi non esistesse».

Nessuna responsabilità del centrosinistra che pure ha governato per sette anni negli ultimi quindici?
«Chi dice che la colpa è di tutta la politica, dice una colossale balla. Nel 2008 noi abbiamo lasciato il debito pubblico al 103,2, la percentuale più bassa degli ultimi vent'anni. Lo Spread era a quota 32. E queste sono cifre, non opinioni. Certo, c'è stata la crisi, ma questo non basta a giustificare i dati di oggi. Se la crisi fosse stata affrontata e non negata, saremmo in una situazione diversa dall'attuale. Ma noi non ci limitiamo a recriminare sulle responsabilità di Berlusconi. Non abbiamo chiesto le elezioni, nonostante i sondaggi a noi favorevoli, e abbiamo votato la fiducia al governo Monti assumendoci una grande responsabilità nell'interesse del Paese. D'altra parte, due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l'Italia nella condizione della Grecia o peggio. Una classe dirigente seria sa sfidare anche l'impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra».

Ora c'è il tecnico a riparare questi guasti, secondo lei ha fatto un buon lavoro finora?
«Il professor Monti si è trovato ad operare in una situazione di drammatica emergenza e con pochissimo tempo a disposizione. Anche per questo non era facile improvvisare innovazioni, che richiedono tempo e analisi approfondite. Oggi, però, possiamo partecipare al Consiglio europeo con le carte in regola. E magari cominciare a far sentire la nostra voce affinché ci sia una svolta nella politica europea, altrimenti le manovre nazionali serviranno a poco».

Una svolta di quale genere?
«Bisogna dare alla Bce un ruolo più attivo in modo che possa intervenire direttamente sui mercati. E’ molto opportuna l'iniziativa di Draghi sul taglio dei tassi di interesse, ma qui servono decisioni politiche. Bisogna puntare sugli Eurobond e convincere la Merkel, che non ne vuol sentir parlare. Bisogna attivare un piano europeo di sviluppo e di investimenti sulle infrastrutture. Bisogna mettere in campo e armonizzare politiche sociali e fiscali. L'Europa è a un bivio: o fa questo salto di qualità oppure non reggeranno neanche le conquiste fin qui realizzate».

Torniamo alla manovra, lei la giudica tutta positiva?
«E' positivo che non siano state aumentate le aliquote Irpef, imposta che pagano gli italiani onesti. Ed è positivo che si siano cominciati a tassare i patrimoni, soprattutto le seconde case e quelle di lusso».

E le case del vaticano vanno tassate?
«Certo, bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali».

A proposito di patrimoni, non si può dire che anche i ricchi piangono.
«Non so se piangano, ma so che per la prima volta si introduce un prelievo sui patrimoni e si fanno pagare di più coloro che hanno riportato in Italia i capitali dall'estero. Si tratta ancora di prelievi bassi. Si possono alzare anche per venire incontro alle richieste comprensibili dei sindacati sul tema delle pensioni».

Questo è proprio il capitolo più doloroso, tanto che i sindacati per la prima volta da sei anni hanno indetto uno sciopero unitario: era proprio necessario colpirle così duramente?
«E' vero, si tratta del capitolo socialmente più pesante. Per questo abbiamo presentato proposte in Parlamento per mantenere l'indicizzazione sulle pensioni che arrivano al triplo di quelle minime e vedo che si sta andando in questa direzione. E sarebbe giusto anche lasciare liberi di andare in pensione coloro che hanno svolto lavori usuranti. C'è poi la questione importante della detrazione Ici sulla prima casa. E infine si possono recuperare risorse sull'assegnazione delle frequenze radiotelevisive, altra richiesta del mio partito».

Ma lei aderisce allo sciopero di lunedì come hanno già fatto altri del Pd?
«Noi lavoriamo in Parlamento per cercare di migliorare la manovra e renderla più equa, per rispondere con i fatti alla protesta. E consiglio caldamente il governo di accogliere alcune richieste dei sindacati, che sono anche le nostre».

Lei che ha sempre rivendicato il primato della politica non pensa che in questo caso la politica abbia abdicato al proprio ruolo rifugiandosi dietro un governo tecnico? Non sarebbe stato meglio andare alle elezioni?
«Guardi che l'alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l'ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica».

Se il governo Monti durasse un anno e mezzo, cos'altro si dovrebbe fare oltre al risanamento finanziario?
«Una nuova legge elettorale e una riforma istituzionale che modifichi il bicameralismo perfetto e riduca drasticamente il numero dei parlamentari. Soprattutto così si tagliano i costi della politica».

Ma tra un anno e mezzo sarà ancora in piedi quell'alleanza con Vendola e Di Pietro che tutti i sondaggi consideravano vincente?
«Le alleanze non sono prodotti alimentari che scadono, non vanno a male se passa il tempo. Non mi spaventa che ci possano essere, in certi passaggi, opinioni diverse, ma occorrono correttezza e serietà nella discussione. In questo periodo non si devono scatenare polemiche assurde, perché questo sì, sarebbe lacerante. Dopo una settimana che si è votata la fiducia, dire che questo governo è un inciucio tra destra e Pd è inammissibile. E vorrei che si guardasse al di là dell'emergenza per realizzare una prospettiva di governo per il Paese. Si tratta di ricostruire l'Italia su basi più giuste e assicurare un futuro di progresso. Questo richiede un'alleanza che vada oltre il centrosinistra e punti a una collaborazione con il Terzo polo. Guai ad assumere oggi comportamenti che compromettano questa prospettiva».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/433667/


Titolo: D’ALEMA: Gli italiani amano i pregiudicati come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo
Inserito da: Admin - Agosto 23, 2013, 11:51:08 pm
 Massimo D'Alema: "Gli italiani amano i pregiudicati come Silvio Berlusconi e Beppe Grillo"

L'Huffington Post  |  Pubblicato: 23/08/2013 09:05 CEST  |  Aggiornato: 23/08/2013 09:52 CEST


Un Massimo D'Alema inedito, a tutto campo, parla alla festa del Pd di Taizzano, frazione di Narni. Affronta tutti gli argomenti di attualità, dalla questione Berlusconi al futuro di governo, da Matteo Renzi agli scenari legati alle elezioni anticipate, alla libertà di stampa. Racconta di sè e degli italiani "che - parole sue riportate da il Fatto Quotidiano- odiano i politici ma amano i pregiudicati come Berlusconi e Grillo".

Un Massimo D'Alema a ruota libera dunque che non lesina attacchi anche durissimi. A cominciare dai giornali: "In Italia - dice - la libertà di stampa non esiste. Tutti i giornali appartengono a gruppi del potere economico che li usano non per vendere, ma per attaccare o difendersi. Non per dare le notizie ma per nasconderle" E cita il caso del Corriere della Sera: "Ma pensate alla Fiat. Sta chiudendo tutte le fabbriche in Italia e nessuno lo scrive perché controllano La Stampa e il Corriere della Sera".

Dai giornali al futuro del Pd il passo è breve e su questo il leader maximo ha le idee chiare: "Per il futuro io immagino Gianni Cuperlo alla segreteria del partito. Un leader bravo esce dalla migliore scuola di politica: la mia". Su Renzi dice: "Lo vedo a Palazzo Chigi" e rivela: "Mi ha incuriosito, volevo conoscerlo, scoprire che genere di libri legge uno così. Alla fine non l'ho scoperto, ma lui è un ragazzo brillante".

Parla anche di Berlusconi e come già aveva fatto in un intervista al Messaggero consiglia al Cavaliere la strada delle dimissioni: "Primo o poi lo farà - rivela - potrà continuare a fare politica anche fuori dal parlamento". Come Grillo "che - dice D'Alema" è fuori dal Parlamento perché pregiudicato".

D'Alema poi è sicuro che la crisi di governo non ci sarà e che "se il centrodestra legherà il proprio destino a quello giudiziario di Berlusconi, bè si dovrà rassegnare a un declino senza ritorno". Ma se dovesse esserci il voto anticipato allora, secondo l'ex Premier - il Pd si farà trovare pronto: "Siamo 15 punti avanti e lui (Berlusconi, ndr) con Renzi leader. E anche se siamo specialisti nel perdere anche quando vinciamo, stavolta non faremo errori".

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/08/23/massimo-dalema-pregiudicati_n_3802194.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: D’ALEMA. D’Alema e Bersani già divisi sul dopo Letta
Inserito da: Admin - Agosto 25, 2013, 04:59:23 pm
Politica
24/08/2013

D’Alema e Bersani già divisi sul dopo Letta

Carlo Bertini

Roma

Già in luglio, quando ancora doveva arrivare la sentenza, gli ex diessini di fede dalemiana andavano dicendo che in caso di condanna di Berlusconi un precipitare degli eventi in autunno avrebbe potuto produrre in chiave interna «il male minore: lasciare Palazzo Chigi a Renzi senza consegnargli pure il partito».

 

Gli altri però, cioè la tribù bersaniana, già prefigurava un altro schema, puntare tutto su Letta congelando Epifani alla segreteria. Se dunque si arrivasse ad una sfida Renzi-Letta per la premiership, il blocco ex diessino del Pd si spaccherà come una mela, visto che oggi puntualmente le due tesi vengono a galla. Gli uomini di Bersani addirittura non escludono si possa incoronare Letta come candidato alle urne senza passare per le primarie, tesi scartata perfino dagli uomini più vicini al premier. «Considero un esercizio di stile parlare di elezioni come se fossero scontate, ma siccome Letta sta facendo bene il premier, in questo momento è il miglior candidato: ma per sceglierlo andrebbero seguite le procedure ordinarie», dice Marco Meloni, lettiano doc. D’Alema invece punta su Renzi per Palazzo Chigi e su Gianni Cuperlo per la segreteria. E anche gli ex Ppi sono nel marasma. «Perché se il Pdl tira troppo la corda Enrico non si farà logorare e se rinunciasse al governo per difendere i nostri principi, potrebbe giocarsi poi al meglio questa carta nella sfida con Matteo», ragiona uno dei più alti in grado nel Pd che col premier parla due volte al dì. 

 

Dunque si capisce che lo sbocco delle urne non lo esclude più nessuno, casomai si discute sulla tempistica (marzo il mese più gettonato) posto che tutti son consci che Napolitano farà ogni cosa in suo potere per non sciogliere le Camere senza una nuova legge elettorale. Massimo D’Alema è il primo a parlar chiaro spiazzando i bersaniani che vorrebbero riuscire nell’ardua impresa di mettere insieme un ampio fronte anti-Renzi: un resoconto del «Fatto Quotidiano» di un suo discorso in un piccolo borgo dell’Umbria, liquidato come «distorto e forzato» dallo staff di D’Alema, apre comunque uno squarcio su quale sarà lo scenario nel Pd di qui alle prossime settimane: una lotta all’arma bianca. D’Alema infatti scarta a priori una ricandidatura di Letta, «un leader di transizione per un governo momentaneo, non sarà utile una seconda volta», ma si dice convinto che alla fine non ci sarà una crisi perché se si andasse alla conta in aula il centrodestra potrebbe dividersi. «Ma se vogliono andare ad elezioni, Berlusconi sa che con Renzi leader siamo 15 punti avanti a lui». 

 

E se non si può sapere cosa ne pensi Renzi di questo schema, «a ora l’unica corsa che c’è è quella per la segreteria, certo che lui punti a fare il premier non è un mistero, poi si vedrà», risponde il suo staff, ad alzare un fuoco di sbarramento contro i bersaniani ci pensano i suoi parlamentari. «Se dovesse precipitare tutto è evidente che più che un segretario andrà scelto un candidato premier», dice a Omnibus il responsabile organizzazione Davide Zoggia. Facendo capire che il nodo potrebbe essere sciolto negli organi dirigenti dove l’ex segretario ha ancora la maggioranza. «L’assemblea è sovrana. Personalmente mi pare che Letta abbia dimostrato una statura anche internazionale che va tenuta in grandissima considerazione». E scoppia la bagarre. «Chi la pensa così non è solo fuori di testa ma non fa i conti con Renzi e con la stragrande maggioranza dei nostri militanti che dopo l’ultima performance contro il giaguaro vorrebbero finalmente vincere di due lunghezze», reagisce tranchant Roberto Giachetti, renziano in servizio permanente effettivo. Duro al pari del collega Dario Nardella che si scaglia contro «questa idea autoritaria e autoreferenziale che potrebbe innescare una spirale suicida per il Partito democratico».

 

Stando così le cose, in una sfida tra Renzi e Letta per la premiership, il primo potrà contare sull’appoggio delle truppe dalemiane, a patto che accetti di non correre anche per la segreteria; e il secondo sull’asse Franceschini-Bersani-Epifani e su tutti gli ex Ppi alla Fioroni. Ha buon gioco quindi l’azzurro Osvaldo Napoli a trarre la conclusione che «nel Pd si stanno sbranando, con la scusa di Berlusconi, per piazzare ciascuno il proprio cavallo per la corsa elettorale».

da - http://lastampa.it/2013/08/24/italia/politica/dalema-e-bersani-gi-divisi-sul-dopo-letta-aZPtjqeAyY8Q7BsWa6N54L/pagina.html


Titolo: Massimo D'Alema su Alitalia: "Ferrovie meglio di Poste".
Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2013, 05:04:53 pm
 Massimo D'Alema su Alitalia: "Ferrovie meglio di Poste".

Renzi? "Uomo solo sotto i riflettori, mi ricorda qualcuno..."

L'Huffington Post  |  Pubblicato: 15/10/2013 08:18 CEST  |  Aggiornato: 15/10/2013 09:59 CEST


"Per Alitalia, sarebbe stata meglio un'intesa con le Ferrovie dello Stato". L'endorsement alle FS - e indirettamente al loro amministratore delegato Mauro Moretti - arriva da Massimo D'Alema, che in una lunga intervista al Sole 24 Ore dice la sua sull'operazione Poste Italiane per salvare la compagnia aerea. Secondo D'Alema, un accordo con Ferrovie sarebbe stato preferibile per "due ragioni". "Credo ci sarebbero state sinergie più robuste e si sarebbero anche svalutate le partecipazioni, risolvendo il problema dei francesi".

Per l'ex premier, l'alleanza con Air France non è convincente. "Mi pare che abbiano una situazione, anche debitoria, complicata. Ma soprattutto penso che, in vista dell'Expo, sarebbe stato meglio puntare su una compagnia non europea che offrisse più opportunità anche al nostro Paese, anche nel traffico turistico".

Da D'Alema, poi, anche una frecciatina al sindaco di Firenze e candidato alla segreteria del Pd Matteo Renzi. "Non è ragionevole destabilizzare il governo, magari per le ambizioni personali di chi ha troppa fretta...". L'ex ministro non ci sta a a sentirsi parte di una intera classe dirigente che, nella lettura di Renzi, ha fallito, impedendo al Paese di crescere. "Bisognerebbe distinguere le responsabilità nel corso di questi venti anni. Almeno per dare una giustificazione a quella parte dell'establishment che sta lì ad applaudire entusiasticamente ai ceffoni di Renzi".

Nelle movenze del sindaco di Firenze D'Alema fa capire di rivedere Berlusconi. "Non mi è mai piaciuto lo stile di un uomo solo con i riflettori puntati addosso, che passeggia sul palco con il microfono in mano. Mi pare di averlo già visto in questi anni...".

Infine, botte anche al federalismo: "così come lo abbiamo praticato - afferma D'Alema - è stato uno dei maggiori responsabili dell'aumento della spesa pubblica. Per non parlare dei danni in termini di efficienza che sono venuti dalla moltiplicazione dei centri decisionali, dalle competenze confuse tra centro e periferia, dal sommarsi delle autorizzazioni".

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/10/15/massimo-dalema-alitalia-ferrovie-meglio-di-poste_n_4099568.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: D’Alema: il Cavaliere è ancora in campo.
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2013, 05:19:12 pm
L’InterVISTA

D’Alema: il Cavaliere è ancora in campo

«Nel suo schieramento non si vede un altro leader Ricordo quando nell’89 mi chiese di lavorare per lui»

ROMA — Presidente D’Alema, è la fine di un’era. Lei si è scontrato e incontrato piu volte con Berlusconi. E adesso?


«Sì io mi sono confrontato a lungo con Berlusconi con alterni risultati. Sono stato tra i protagonisti del suo rovesciamento nel ‘94, e uno degli artefici delle vittorie elettorali del ‘96 e del 2006, da cui bisogna pur riconoscere che lui ha saputo sempre risollevarsi con successo. Non credo che scompaia dalla vita politica italiana per la sua decadenza: penso che sia un giudizio politico superficiale».

Berlusconi dice che quel giorno è stato un lutto per la democrazia.
«È un’espressione priva di senso ma non è stato neppure un giorno per brindare. Io personalmente non ho brindato perché l’applicazione della legge è sempre un fatto che va vissuto con serietà e con rispetto verso le persone. Si festeggiano le vittorie elettorali non l’applicazione delle leggi, che dovrebbe essere ovvia. Del resto io avevo dichiarato già mesi fa che Berlusconi avrebbe dovuto dimettersi prima, senza arrampicarsi sugli specchi. Detto questo, non credo che la sua esclusione dal Parlamento significhi la sua esclusione dalla vita politica, anzi penso che in questo momento vi sia persino un moto emotivo di solidarietà nei suoi confronti: i sondaggi lo danno in crescita di popolarità. Certo bisognerà vedere tutto questo quanto regge».

Dunque?
«Berlusconi è un leader in crisi non perché è stato escluso dal Parlamento ma perché non è più in grado di costruire attorno a sé il centrodestra, anzi è un fattore di divisione. La sua decadenza è giusta perché la legge è uguale per tutti, ma lui continuerà a giocare un ruolo politico, anche se in questo momento appare più un peso che una risorsa per il suo schieramento. Però non si vede all’orizzonte un altro leader in grado di sostituirlo. Come si dice, chiodo scaccia chiodo? In questo caso non c’è».

E Alfano?
«Alfano è il leader di una forza minoritaria del centrodestra che è guardata con profonda avversione da tutti quelli che votano Berlusconi. Sembra difficile immaginarlo ora come il federatore, ma ha avuto il coraggio di dire finalmente che l’interesse del Paese è più importante di quello di Berlusconi».

È d’accordo con l’iniziativa di Napolitano?
«Certo: ci vuole un passaggio in Parlamento perché il quadro politico è cambiato».

Tornando a Berlusconi. Se andasse in prigione le dispiacerebbe umanamente?
«Io sono garantista e mi dispiace che le persone finiscano in carcere, spesso senza aver subito nessuna condanna. Il fatto che in Italia quasi metà delle persone in carcere non sia mai stata giudicata è una condizione indegna di un Paese civile. Comunque in galera generalmente ci vanno i poveri, non i ricchi, quindi non credo che Berlusconi ci andrà».

È vero che nell’89 Berlusconi le offrì di lavorare per le sue tv?
«Lo incontrai per la prima volta più tardi, quando ero capogruppo della Camera. Mi disse che ero molto bravo a spiegare la politica anche alle persone semplici, che non parlano in politichese e che gli sarebbe piaciuto se io avessi avuto una trasmissione sulle sue reti. Gli risposi che facevo un altro lavoro. Lui replicò: “Ma anche Ferrara, che è europarlamentare, fa un programma”. Del resto Berlusconi è un tipo seduttivo, cerca sempre di attrarre il suo interlocutore».

Ma come mai vi incontraste?
«C’era in Parlamento un provvedimento al quale erano interessati e contro il quale noi combattevamo, ma non ricordo quale fosse. Me lo presentò Gianni Letta, che avevo conosciuto come direttore del Tempo. Fu un confronto garbato ma noi continuammo a opporci a quel provvedimento. Ricordo che Berlusconi cercava di essere molto affabile».

Lei non lo è sempre stato con lui.
«La lotta politica non è una cena di gala. Anche Berlusconi non me ne ha risparmiata una. Nel 2001 scese su Gallipoli con l’elicottero e disse agli elettori: “Cacciatelo via e mandatelo a lavorare”».

Era l’ultimo voto con il Mattarellum e lei aveva rifiutato il paracadute della quota proporzionale.
«Appunto non mi scandalizza: la lotta è lotta».

Però con Berlusconi ha fatto la Bicamerale, cioè l’inciucio.
«Nessun inciucio, tanto è vero che Berlusconi alla fine ha votato contro e ha fatto fallire la riforma. Aggiungo come è noto a chiunque abbia soltanto sfogliato gli atti parlamentari, che sono stato il presidente del Consiglio che ha cercato con maggior determinazione di fare una legge efficace sul conflitto di interessi. E io ho fatto la norma sulla par condicio in campagna elettorale per porre un argine allo strapotere televisivo di Berlusconi. Tutto questo lui lo sa e infatti alle ultime elezioni per il Quirinale mi chiamò per dirmi: “Non potremo mai votare per te perché sei il nostro avversario più irreducibile”».

A sinistra la pensano diversamente.
«Alcuni nella sinistra hanno diffuso le calunnie sugli inciuci e sugli accordi di potere con Berlusconi. Forse perché essendo una persona non facile da affrontare vis à vis alcuni hanno pensato di pugnalarmi alla schiena usando bugie. Da questo punto di vista riconosco a Renzi il fatto che lui non ha mai cercato di colpirmi a tradimento. Mi ha affrontato a viso aperto, e questo gli fa onore».

Cuperlo dice che Renzi è una versione di sinistra del berlusconismo.
«Non è un’accusa priva di fondamento, ma non è un’accusa morale, bensì politica. Renzi ha una concezione della leadership plebiscitaria non lontana da quella di Berlusconi. Ma il Pd è una cosa diversa: non credo che nasceranno i circoli “Meno male che Matteo c’è” ...».

Tornando al Cavaliere che cosa la colpì di più di lui quando lo conobbe meglio?
«La sua totale inaffidabilità. Quando si conclusero i lavori della Bicamerale Berlusconi fece un discorso commovente. Disse: è stato bello esserci. Dopo un mese buttò tutto all’aria. Il problema è che ogni sua parola, ogni suo gesto, sono dominati da un calcolo d’interesse».

Che consiglio darebbe a Berlusconi adesso?
«Prima di tutto di prenderla con filosofia. Pensi che l’altro giorno una signora mi ha fermato e mi ha chiamato “onorevole”. Io le ho risposto: “Veramente non sono più alla Camera”. E lei, entusiasta, mi ha urlato “Bravo!”. Questo è un segnale inquietante per le istituzioni ma vuol dire anche che si vive bene pure fuori dal Parlamento. Quello che gli consiglio per il bene del Paese è di smettere di esasperare i conflitti con il suo risentimento personale. Si ricordi di essere stato un presidente del Consiglio, non faccia prevalere i rancori e le ragioni personali».

30 novembre 2013
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Teresa Meli

Da - http://www.corriere.it/politica/13_novembre_30/d-alema-cavaliere-ancora-campo-7ca278ac-599b-11e3-9117-a8a2b0420a9e.shtml


Titolo: Massimo D'Alema e il suo errore più grande: l'ingresso anticipato a palazzo...
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2014, 05:28:43 pm
Massimo D'Alema e il suo errore più grande: l'ingresso anticipato a palazzo Chigi.
Fabrizio Rondolino su Europa


L'Huffington Post  |  Pubblicato: 08/02/2014 11:32 CET  |  Aggiornato: 08/02/2014 11:46 CET

Il 28 ottobre 1998 Massimo D'Alema arrivò a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni, un salto molto simile a quello che Matteo Renzi potrebbe intraprendere nel caso in cui decidesse davvero di prendere il posto di Enrico Letta senza passare dal voto. Per D'Alema si trattò - come ammise lui stesso - del suo unico, vero, riconosciuto "errore politico".

A fare il parallelismo tra il 1998 e oggi è Fabrizio Rondolino su Europa. Rondolino, che in quel periodo lavorava con D'Alema, traccia diverse similitudini tra l'allora segretario di DS e Renzi.

Massimo D’Alema era considerato l’architetto del “ribaltone” che mandò Berlusconi all’opposizione a pochi mesi dal trionfo elettorale e lo stratega della successiva vittoria dell’Ulivo. Aveva staccato Bossi dal Cavaliere, si era “inventato” con Nino Andreatta la candidatura di Prodi chiudendo un patto di ferro con i Popolari, aveva sfilato Dini al centrodestra. Ma, soprattutto, era percepito come l’uomo nuovo, il “rinnovatore”, il riformista che avrebbe finalmente modernizzato la sinistra e costruito un “Paese normale”. D’Alema piaceva alla Confindustria, incuriosiva gli americani, affascinava gli editorialisti, non spaventava i berlusconiani e, sebbene fosse notoria la sua antipatia per i giornalisti, godeva ogni giorno di un’assoluta centralità mediatica.

Come oggi Renzi, D'Alema veniva paragonato al Blair italiano, cioè a un "leader capace di rompere la crosta conservatrice, consociativa e castale del Paese senza il timore di infrangere i tabù più consolidati della sinistra post-comunista"

 D’Alema era più o meno percepito come oggi Renzi: non tanto, e non solo, come il capo della sinistra, ma prima di tutto come il rinnovatore dislocato sulla frontiera della modernità e proprio per questo capace di raccogliere un consenso trasversale.

Anche rispetto all'allora governo Prodi, D'Alema aveva un atteggiamento simile a quello di Renzi con l'esecutivo Letta: da un lato fungere da pungolo e stimolo all'innovazione, dall'altro aprendo un tavolo costituente. Poi la doppia inversione di marcia di Berlusconi e di Bertinotti scompigliò i piani, avvicinando l'ingresso di D'Alema a Palazzo Chigi. Il resto è storia: il primo governo D'Alema durò poco più di un anno, il secondo appena quattro mesi. Un'esperienza fallimentare che segnò per sempre la sua carriera:

    Quel che è certo, è che dopo quell’esperienza D’Alema non si è più ripreso: il suo profilo di innovatore è stato intaccato per sempre. La questione, tutto sommato, è molto semplice: se vai al governo (o alla segreteria del partito) con i voti degli italiani, ti fai forte di quei voti per neutralizzare tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, ti ostacolano e ti logorano. Se invece è il ceto politico – cioè precisamente coloro che di mestiere ostacolano e logorano – a conferirti l’incarico, il tuo destino è segnato.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/02/08/massimo-dalema-matteo-renzi_n_4750163.html?1391855553&utm_hp_ref=italy


Titolo: Massimo D'Alema. «Non sono stato rottamato Renzi? Ha avuto fortuna»
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2014, 11:48:48 pm
«Non sono stato rottamato Renzi? Ha avuto fortuna»
9 aprile 2014

Massimo D'Alema in studio da Daria Bignardi per l'ultima puntata delle Invasioni Barbariche. L'occasione di una ricognizione a tutto tondo sulla vita politica italiana, da Renzi a Berlusconi passando per le elezioni europee. Bignardi chiede a D'Alema: «Renzi e la Serracchiani non volevano rottamarla?». «No, non era una rottamazione alla lettera», replica D'Alema, che sarebbe stato indicato da Matteo Renzi per il ruolo di futuro Commissario Europeo. «Ma lei si sente adatto a un ruolo europeo?», chiede la conduttrice. «Sì, mi sento adatto. Io presiedo un pensatoio sulla sinistra europea - dice il presidente della Fondazione Italianieuropei - sono grato a Renzi perché lui ha voluto presentare il mio libro alla vigilia del suo primo Consiglio Ue ed è stato un messaggio molto forte, e anche un messaggio amichevole. Ha voluto dire che, per quante polemiche ci possano essere state, noi sulla necessità di cambiar verso all'Europa, siamo uniti».

«Ho deciso - spiega D'Alema - di non entrare nella polemica della vita politica. Quando c'era da dare battaglia l'ho fatto, ma ora penso che stare un po' lontano dalla polemica mi consenta di dare una mano e di non essere mischiato con questo e quest'altro. Io non mi occupo dei nomi, delle liste, mi occupo dell'Europa».

«Io - spiega - vedo un Pd forte. Prodi ha ragione, è l'unico partito vivo».

«Berlusconi inciderà sempre meno. Una delle novità di Renzi, una sua grande fortuna, è che Berlusconi ha un peso sempre più ridotto nella vita politica italiana, e se Renzi potrà fare alcune riforme è per questo».

«Domani - chiede Bignardi - c'è la decisione su Berlusconi, dal punto di vista umano lei è dispiaciuto? ».

«Io non ho alcuna acrimonia personale verso nessuno. Con lui non ho una grande vicinanza, gli ho sempre dato del lei, siamo due persone molto distanti, come stile di vita e come idee. Non ho rancore personale. Però penso che Berlusconi abbia creato danni al nostro paese e questo secondo me per un uomo pubblico è imperdonabile».

«La legge sul conflitto d'interessi fu abbandonata quando io mi dimisi da presidente del consiglio. Ma anche se l'avessimo approvata - spiega D'Alema - noi non avremmo risolto il conflitto perché lui avrebbe ceduto le tv ai figli».

«Berlusconi è stato più bravo di noi nella comunicazione con il paese. Ma noi abbiamo trovato uno che è in grado di sconfiggerlo sul suo terreno. Io continuo ad avere un'altra visione politica rispetto a Renzi, ma la sua abilità è stata nello sfidare l'ex Cavaliere sul suo stesso terreno. Renzi voleva sparigliare. E per ora questa è un'operazione di successo. Renzi si è imposto come cambiamento. Noi siamo un partito e quando uno vince e ha la responsabilità di guidare il paese, nostro dovere è aiutarlo, non quello di fargli le scarpe».

«La legge elettorale? E' migliorabile, del resto aveva un difetto d'origine perché era concordata con Verdini, ma Renzi non se ne deve avere a male perché nessuno potrà negargli il merito di aver riaperto il processo delle riforme».

«Le elezioni europee sono importanti per l'Europa.

Da - http://www.unita.it/politica/d-alema-renzi-bignardi-invasioni-barbariche-pd-berlusconi-prodi-riforme-europee-roma-garcia-padoan-1.562612


Titolo: Massimo D'Alema, FA' PARTE DI QUELLI CHE HANNO GIà DATO. BASTA COSì...
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2014, 05:34:11 pm
12 aprile 2014
D'Alema: ''Dobbiamo organizzarci per non far morire il Pd''

L'ex premier e segretario Ds suona la carica durante l'assemblea della sinistra del Pd a Roma. L'intervento di D'Alema è stato il più applaudito tra quelli dei big della kermesse in particolare quando ha sottolineato come: "Noi rappresentiamo una parte della militanza maggiore del 18% (la percentuale raccolta da Cuperlo alle ultime primarie). Questa forza deve attivarsi, il Pd dobbiamo farlo funzionare noi". D'Alema ha proseguito: "Renzi non fa più stampare le tessere del partito? Facciamole stampare noi per protesta. Su questo dobbiamo lanciare la sfida a Renzi: noi ci siamo, speriamo che ci siano anche loro"
(Di Marco Billeci)

Da - http://video.repubblica.it/politica/d-alema-dobbiamo-organizzarci-per-non-far-morire-il-pd/162518/161008


Titolo: D’ALEMA: “Se qui si facesse come in Usa, arresterebbero tutti”.
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2014, 04:46:40 pm
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Finanziamento ai partiti, D’Alema: “Se qui si facesse come in Usa, arresterebbero tutti”
Ecco parte dell'intervista di Alan Friedman all'ex presidente del Consiglio che sarà trasmessa nella puntata di giovedì di "Ammazziamo il Gattopardo", su La7. "Il dramma dell'Italia non è l'invadenza dei partiti, è che i partiti non ci sono più. L'esaltazione acritica della società civile è una ideologia cattiva. Ma anche il Pd è esposto a fenomeni di opportunismo, carrierismo, gente che salta sul carro del partito che va al potere"

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 17 giugno 2014

Giovedì 18 in seconda serata, alle 23.15, esordirà su La7 il nuovo programma di Alan Friedman, che prende il titolo dal suo recentissimo libro: “Ammazziamo il Gattopardo: il Gioco del Potere”. Nella prima puntata c’è un’intervista a Massimo D’Alema, registrata nell’agosto di un anno fa. L’ex premier sfodera il meglio del suo antico repertorio: il primato dei partiti e l’idiosincrasia per la società civile. La parte relativa al finanziamento della politica è antecedente alla nuova legge che prevede di destinare il 2 per mille ai partiti e D’Alema fa un parallelo con gli Stati Uniti. Per la serie: “Lì i magistrati italiani arresterebbero tutti”. Per D’Alema il declino del Paese è iniziato con il crollo dei partiti, sostituiti dai movimenti personali, compreso il Movimento 5 Stelle (Renzi non c’era ancora).

Di Alan Friedman

Questa intervista a Massimo D’Alema, nella sua tenuta umbra di Otricoli, è stata registrata il 20 agosto 2013.

Lei nel 1997, a marzo, a Gargonza, disse che l’Ulivo non era il modello che ci voleva.
A Gargonza dissi una cosa sacrosanta. Siccome dissero “abbiamo vinto le elezioni per merito dell’Ulivo”, dissi “bah, abbiamo vinto le elezioni innanzitutto perché siamo riusciti a fare in modo che Berlusconi e Bossi arrivassero divisi alle elezioni” sennò avrebbero vinto loro, Ulivo o non Ulivo. E tutta questa esaltazione della società civile contrapposta ai partiti aveva un che di retorico. Che cos’è la società civile? Quelli che votano Berlusconi non sono civili?

Sono quelli che votano Grillo oggi?
È una espressione carica di ambiguità, la società italiana. Sono quelli che hanno votato Berlusconi, che ha rischiato persino di vincere le ultime elezioni dopo tutto quello che aveva fatto. Quindi, questa esaltazione acritica della società civile, come se ci fosse una società civile buona e i partiti cattivi, è una ideologia cattiva, cioè che non ha nessuna verità, non aiuta a capire niente. Semplicemente alimenta il qualunquismo contro i partiti. Il dramma dell’Italia non è l’invadenza dei partiti, è che i partiti non ci sono più, dove sono i partiti?

Cosa è il partito di Grillo?
Sono dei movimenti personali, diciamo le cose come stanno.

Ma sono nove milioni di italiani.
Sino a quando il nostro paese è stato guidato dai partiti, prima che iniziasse la crisi dei partiti democratici – che secondo me inizia alla fine degli anni ’70 con la morte di Moro e con il fallimento della solidarietà nazionale – in quel periodo che va dalla Resistenza fino alla morte di Moro, l’Italia, che era un Paese distrutto dalla guerra, è diventata la quinta potenza industriale del mondo. Finché il Paese è stato guidato dai partiti, è cresciuto.

Quell’espressione, “la quinta potenza”, fui io a coniarla sul Financial Times, ricorda?
Esatto. Quindi, finché l’Italia è stata guidata dai partiti è andata bene, quando i partiti sono andati in crisi per la corruzione, per la caduta dei valori, dei principi, delle ideologie, è cominciato il declino, negli anni ’80, non negli anni ’90.

Già con il pentapartito?
Sì, perché la crisi dei partiti comincia 10 anni prima del loro crollo. Se si arriva al crollo all’inizio degli anni ’90 è perché la struttura ormai è marcita, ma fino a quando i partiti popolari hanno mantenuto una loro vitalità, una loro forza, e hanno guidato il Paese, lo hanno trasformato in senso moderno, ognuno nel suo ruolo. La Dc da una parte, i comunisti dall’altra parte, in un modo straordinario. Quindi il male dell’Italia non sono i partiti.

La mancanza, piuttosto.
Finiti i partiti, le istituzioni sono state occupate da una neoborghesia che non ha nessuna ideologia, nessun valore, nessuna cultura politica, nessuna formazione se non quella di vedere nella politica un modo per sbarcare il lunario e per arricchirsi personalmente.

Ma questa borghesia si trova solo nel Pdl (oggi Fi) o anche nel Pd?
Non c’è dubbio che il Pdl ne è l’emblema. È il partito che la rappresenta in modo organico.

Mentre nel Pd?
Anche il Pd è esposto a questi fenomeni di opportunismo, di carrierismo, di gente che salta sul carro del partito che va al potere.

Annullare il finanziamento ai partiti?
Dunque noi saremmo l’unico paese al mondo che non avrebbe una forma di finanziamento ai partiti, se si annulla quello pubblico bisognerà agevolare quello privato.

Con trasparenza, come in America che le banche di settore, le lobby, contribuiscono ma sono pubblicamente identificate come contribuenti.
L’America non è un grande modello, perché il peso di quelle contribuzioni è tale da condizionare la vita politica in modo impressionante. Quando il presidente degli Stati Uniti nomina ambasciatore uno di quelli che hanno contribuito alla sua campagna elettorale è normale. Se lo facessi io, primo ministro italiano, verrei arrestato dal procuratore, perché sarebbe voto di scambio e immediatamente sarebbe un grave reato. Quando io vado alla Clinton Global Initiative e mi guardo intorno penso che se ci fosse un pm arresterebbe tutti, praticamente è una specie di reato di massa. Perché lì ci sono industriali e politici che si incontrano.

Si chiama networking. Il vostro networking è più privato, più intimo. Vi vedete a cena, a Capalbio.
Io non vado a Capalbio, non vado più a cena con queste persone però non deve pensare che queste persone tirino fuori molti soldi. Io penso che la politica ha bisogno di essere finanziata, poi si trova un sistema in cui si decide che anziché essere un trasferimento fisso dello Stato decidono i cittadini come per la Chiesa cattolica, si stabilisce un 8×1000, un 5×1000…

Non rischia di identificarsi all’Agenzia delle entrate, politicamente, a quel punto?
Ho capito ma noi siamo un Paese nel quale se io voglio, posso finanziare la chiesa degli avventisti del settimo giorno e non il mio partito? Ci sarà un sistema? Io capisco che i partiti devono essere messi fuorilegge secondo qualcuno. Verranno i militari come in Egitto, non lo so?

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/17/finanziamento-ai-partiti-dalema-se-qui-si-facesse-come-in-usa-arresterebbero-tutti/1030322/


Titolo: Paolo Valentino. D’Alema: «Renzi lasci la Terza Via Bisogna riscoprire lo Stato»
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2014, 04:35:38 pm
L’intervista

Sulla riforma del lavoro: «Non credo che con il Jobs act arriveranno investimenti a pioggia o cresceranno i posti di lavoro. Non è l’articolo 18 l’ostacolo alla ripresa»

Di Paolo Valentino

Presidente D’Alema, siamo in piena rievocazione della Terza Via. Lei ne è stato uno degli iniziatori, nel 1999, con il vertice di Firenze. Quale è il suo significato attuale?
«Nessuno. In tempi recenti sono state avanzate critiche anche aspre di quella esperienza: troppo liberismo, troppe concessioni alla deregulation. Ma cosa fu la Terza Via? All’indomani della caduta del muro di Berlino, quindi in un clima di grande mutazione, fu lo sforzo di far incontrare i principi del socialismo con una visione di tipo liberale. Penso ancora oggi che abbia avuto un impatto positivo, sia pure con effetti contraddittori che non possono essere nascosti. Ma è un’esperienza di 15 anni fa. Allora diede i suoi frutti, anche nel nostro Paese. Fu la sinistra al governo che, sulla base di quella visione, ridusse drasticamente la presenza statale nell’economia, avviò le grandi privatizzazioni, lanciò le liberalizzazioni poi continuate nel lavoro di Bersani, riformò le pensioni. Pose fine a una politica di deficit spending, tanto che noi portammo il debito pubblico dal 127 al 102% del Pil, realizzando sistematicamente un avanzo primario del 3% e liberalizzò il mercato del lavoro, per certi aspetti perfino troppo, visto che si produssero forme contrattuali che poi sfociarono in una eccessiva precarizzazione. Quindici anni dopo, i problemi sono completamente diversi. Bill Clinton, non un pericoloso estremista, ha scritto tre anni fa un libro, Back to work , sostenendo che il principale limite di quella esperienza fu di aver sottovalutato il ruolo dello Stato. La Terza Via fu pensata in una prospettiva ottimistica della globalizzazione, che si è rivelata fallace. L’eccesso di liberalizzazione ha portato a enormi diseguaglianze sociali, a grave instabilità economica e, in ultima analisi, alla crisi del 2008».

La Terza Via corresponsabile della crisi del 2008?
«Guardi che la deregulation finanziaria, il “liberi tutti” per banche e speculatori, in America, la fece Clinton, lui stesso lo ha riconosciuto. Quello che io trovo incredibile è che, nel tentativo di offrire un retroterra teorico nobile al governo Renzi, oggi si faccia un’operazione anacronistica. Chi ci spiega che la velocità del mondo, le nuove tecnologie impongono il cambiamento poi ci propone una piattaforma ideologica della fine del secolo scorso come la Grande Novità di oggi. Sul piano culturale è sconcertante. Primo, la riduzione del ruolo dello Stato era il tema di vent’anni fa. Secondo lo abbiamo fatto. In qualche caso forse troppo. Terzo, alcuni dei protagonisti riflettono criticamente su quell’esercizio. Oggi tutto il pensiero economico ruota intorno ad altri tempi. Ci sono Stiglitz, Piketty, Krugman. Il Financial Times ha dedicato una pagina intera al libro della Mazzuccato sulla necessità di riscoprire il ruolo dello Stato come forza propulsiva dello sviluppo. Quelli che invocano la Terza Via sembra abbiano saltato le letture degli ultimi 10 anni, ammesso che avessero fatto quelle precedenti».

E qual è invece il dibattito giusto?
«La crisi di oggi ha radici nella debolezza della politica e dell’azione pubblica, sia a livello europeo sia nazionale. E non si può uscirne senza politiche in grado di promuovere gli investimenti, anche pubblici. Altro che meno Stato. La crisi ha evidenziato i limiti dell’approccio liberista e ha messo la politica di fronte alla responsabilità di promuovere gli investimenti e ridurre le diseguaglianze. La crisi europea si caratterizza soprattutto come crollo della domanda interna. Oggi l’Europa è esportatore netto, malgrado l’euro. Ma il problema è il crollo dei consumi europei che deriva da un impoverimento delle classi medie e del mondo del lavoro».

Lei sta contestando la necessità delle riforme strutturali, che ci chiedono la Commissione, la Banca centrale di Mario Draghi, a cominciare da quella in corso del mercato del lavoro, per dargli più flessibilità?
«Secondo i dati Ocse, non miei, il mercato del lavoro è più flessibile in Italia che in Germania e in Francia. In ogni caso, trovo stravagante e incomprensibile che oggi, con i dati economici peggiori dell’eurozona, sia la riforma elettorale la priorità di un governo che dice di voler rimanere in carica fino al 2018. Non credo che l’Europa ci chieda questo. Detto ciò, la riforma del mercato del lavoro contiene molti aspetti positivi, io sono favorevole al contratto unico a tutele crescenti perché riduce la precarietà del lavoro. Ma contesto il fatto che la nuova generazione di occupati non possa accedere alla tutela dell’articolo 18, che invece rimane per i lavoratori già assunti. A partire dai principi stessi enunciati dal governo, il meccanismo proposto introduce quindi un elemento che li contraddice, fra l’altro stabilendo una diseguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, dubbia sotto il profilo costituzionale. Inoltre non credo che, approvato il Jobs act, arriveranno investimenti a pioggia o cresceranno tumultuosamente i posti di lavoro».

Quali dovrebbero essere le priorità di un governo di sinistra?
«La riforma dello Stato, delle amministrazioni, compreso il funzionamento della giustizia, la sicurezza. A livello europeo, la prima riforma dovrebbe essere quella dei mercati finanziari. Cominciamo, per esempio, a stabilire che all’interno dell’eurozona non sia possibile la concorrenza fiscale. Non possiamo scoprire solo ora che il Lussemburgo è un paradiso fiscale, magari per indebolire Juncker e con lui la nuova Commissione».

E come la mettiamo con i nostri obblighi, quelli che ci impongono i Trattati?
«Sono convinto che l’austerità come premessa della crescita sia una ricetta sbagliata».
Ma su questo c’è accordo. Il governo Renzi si è battuto per cambiare i termini dell’equazione, privilegiando la crescita.
«C’è accordo a parole. Nella sostanza siamo di fronte solo ad annunci. Dei 300 miliardi del piano di investimenti di Juncker pare ce ne siano solo 21. I segnali di cambiamento sono estremamente timidi. Siccome non c’è più flessibilità nella moneta, si continua a premere su misure di contenimento dei salari. Il punto vero è questo. Ma questa politica è all’origine del crollo del mercato interno europeo. Tanto è vero che oggi perfino in Germania si apre un dibattito: gli industriali tedeschi mettono in guardia da un eccessivo contenimento dei salari. All’ultimo G20 lo snodo centrale è stata la polemica tra Obama e la Merkel sulla politica dell’austerità: è Obama che ha detto alla cancelliera che l’Europa deve spendere più nella crescita. È questo il vero ostacolo alla ripresa, non l’articolo 18».

Siamo alla fine della presidenza semestrale italiana dell’Unione Europea. Che bilancio ne fa?
«Devo dire che, anche per ragioni oggettive, le vicende della Commissione, la battaglia sulle nomine, non mi pare abbia lasciato un segno così indelebile nella storia dell’Unione Europea».

29 novembre 2014 | 12:30
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_29/d-alema-renzi-lasci-terza-via-bisogna-riscoprire-stato-dac59766-77b8-11e4-8006-31d326664f16.shtml


Titolo: Massimo D'Alema SEMPRE ASTIOSO E SEMPRE ALLA RICERCA DI NEMICI...
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2015, 10:16:22 am
Massimo D'Alema apre lo scontro d'autunno con Renzi: "Non si sputa sul passato per far finta di essere grandi"

Andrea Carugati, L'Huffington Post
Pubblicato: 27/08/2015 21:28 CEST Aggiornato: 27/08/2015 21:30 CEST

“Non dico che bisogna sempre ispirarsi al passato ma nemmeno sputarci sopra per far finta di essere grandi”. Arriva quasi al Novantesimo minuto, ma non per questo l’affondo di Massimo D’Alema contro Matteo Renzi è meno pesante. Come a Bologna nel 2014, è lui, l’ex leader maximo, ad aprire le danze alla festa nazionale dell’Unità sparando a zero contro il rottamatore a palazzo Chigi.

D’Alema prova a stare nel merito del tema dell’incontro sul socialismo europeo e la minaccia del populismo (ospiti anche paolo Gentiloni e David Sassoli), e a suo dire ci sta, perché l’accusa ai governi progressisti “che fanno a gara a tenersi buona la Merkel per avere qualche margine di flessibilità dalla Commissione” non riguarda solo l‘Italia. Ma per togliere ogni spazio ai dubbi precisa che “il governo italiano è attivo in questa competizione”, in questa “subalternità ai conservatori tedeschi”. Poi, per essere ancora più chiaro, aggiunge che “quei margini di flessibilità magari servono per tagliare un po’ le tasse”. E a Paolo Gentiloni che aveva lodato la battaglia di Renzi e Padoan in Ue per la crescita, replica durissimo: “Non ho visto il Pd con in mano la spada della crescita, e neppure un protagonismo dentro il Pse. Al recente congresso non sono stati inviati neppure i 50 delegati che spettavano all’Italia. Sono arrivati da Roma due simpatici signori che hanno votato 50 schede contro il candidato migliore, Baron Crespo, e hanno contribuito ad affondarlo”.

A pochi giorni dalla battaglia in Senato sulla riforma costituzionale, il clima dentro il Pd torna subito rovente. A D’Alema replica a strettissimo giro il braccio destro di Renzi Luca Lotti, con toni durissimi: "Reduce da felici circumnavigazioni estive, l'onorevole Presidente D'Alema sostiene che il Pd abbia perso 2 milioni di voti. Come noto, invece, il Pd nelle ultime elezioni nazionali ha preso nel 2013 il 25.2% con la guida di Pierluigi Bersani e nel 2014 il 40.8% con la guida di Matteo Renzi, con buona pace dell’on D’Alema, diciamo". "Le prossime elezioni nazionali - sottolinea Lotti - si terranno nel 2018. Se il Presidente D'Alema ritiene di poter fare meglio di Renzi avrà la possibilità di candidarsi nel congresso del 2017. Lo attendiamo impazienti per un confronto con gli iscritti e con i partecipanti alle primarie", prosegue il Sottosegretario.

A dare il “la” alla tirata dalemiana è stata una frase del ministro degli Esteri Gentiloni, che aveva riconosciuto alcuni risultati dell’Italia ai tempi del vecchio centrosinistra. D’Alema non si trattiene: “Mi fa piacere apprendere da Paolo che gli ultimi 20 anni non sono stati un annullarsi reciproco tra berlusconismo e antiberlusconismo. Ma che l’Ulivo è ancora un riferimento. Bisognerebbe trovare una via di mezzo, fare come diceva Croce, distinguere nel passato ciò che è vivo da ciò che è morto. Si scoprirebbe che del nostro vituperato centrosinistra ci sono alcune cose che si potrebbero utilmente riscoprire come riferimento…”. D’Alema cita la missione di pace in Libano (2006), quelle in Albania e Kosovo (“ma potrei citare molti altri successi”), anche come esempio per parlare delle emergenze di oggi sull’immigrazione “gestite dall’Europa senza umanità ma soprattutto senza razionalità, e così alimentando l’allarme sociale”.

Il tema internazionale, la critica alle forze di sinistra che “non sono in grado di uscire dal paradigma dell’austerità tedesca, favorendo il populismo”, finisce per tornare sempre sull’Italia. A Gentiloni che aveva parlato del Pd come “unica forza del Pse avanti nei sondaggi”, l’ex leader replica: “Dal 40% delle europee nei sondaggi ora siamo al 30%, abbiamo perso per strada oltre due milioni di voti. Ci sarà una ragione?”. Poi descrive il bivio di fronte a cui si troveranno le forze di sinistra in Europa: “O allearsi con i conservatori per fare diga al populismo, e difendere lo status quo, oppure ricostruire un nuovo centrosinistra, come sta cercando di fare il Psoe alleandosi in alcune grandi città con Podemos. In Grecia i socialisti, alleati dei conservatori, sono finiti al 5% e dunque hanno risolto il problema. Il Pd che farà davanti a questo bivio?”. La risposta è aperta. “Una possibilità è l’alleanza con Alfano, Casini, Cicchitto e Verdini. Non è un paradosso, è l’attuale maggioranza di governo”, dice D’Alema sornione. “Ma quello con i conservatori rischia di essere un abbraccio mortale”. Applausi dalla platea. “L’altra possibilità è ricostruire un centrosinistra, cercando di assorbire come in Spagna anche le spinte più radicali”. Da “studioso”, come D’Alema si definisce per tutto l’incontro alla festa di Milano, “voglio capire dover andrà il Pd”.

Tocca a Gentiloni replicare, quasi un braccio di ferro tra due idee di Pd che appaiono molto distanti. “Io dico che c’è anche una terza strada, e cioè sono d’accordo a ricostruire un centrosinistra per provare a vincere, e la nuova legge elettorale ci favorisce in questa direzione”. “Se saremo costretti a fare le larghe intese”, sottolinea perfidamente il ministro, “sarà perché come nel 2013 non saremo riusciti a vincere”. Il riferimento è al Pd di Bersani, a quel 25% che i renziani da tempo imputano alla vecchia ditta”. Gentiloni batte e ribatte contro la sinistra “della nostalgia”, quella “che preferisce essere pura nei principi dalla postazione comoda dell’opposizione”, come “rischia di fare il Labour”. “A me va bene un nuovo centrosinistra che ambisca a prendere la maggioranza tra gli italiani”.

I toni non salgono mai, il confronto è civile, e sui temi dell’immigrazione e dell’impegno dell’Italia nel Mediterraneo e sui fronti della Libia e della Siria si colgono molti punti di affinità tra il titolare della Farnesina e il suo predecessore. Come ad esempio il cauto ottimismo per le recenti iniziative della Germania, ma anche dell’Austria, sul tema dei profughi. D’Alema riconosce all’Italia il ruolo di “eccezione positiva” sul fronte europeo dei migranti, e chiede una “coraggiosa riforma della Bossi-Fini, una legge criminogena che penalizza gli immigrati migliori e favorisce la clandestinità”. Su questo punto il ministro lascia aperto uno spiraglio. E si mostra pronto ad ascoltare i consigli di “Massimo” che “ha saputo esercitare la sua leadership da tutte le postazioni”. Ma se Gentiloni punta su sensibilità e umanità verso gli immigrati come “elemento distintivo per una forza di sinistra come il Pd, insieme ai diritti civili e alla battaglia per la crescita”, e spiega che il Pd “deve farsi promotore per attivare canali legali per una immigrazione europea, con delle quote legate al fabbisogno dei Paesi Ue”, D’Alema non è d’accordo: “Il vero grande problema dei socialisti europei è la mancanza di un progetto alternativo di sviluppo. Un progetto che sappia creare crescita, occupazione e redistribuzione del reddito”.

“Il populismo”, spiega l’ex premier, ” guadagna terreno non solo per la paura degli immigrati, ma per questo cocktail che ha al centro la crisi, il disagio sociale e le risposte che non arrivano. In Europa continua a dominare il mainstream neoliberista, gli investimenti promessi da Juncker sono solo parole, per questo la crescita è allo zero virgola, e non solo in Italia”. “Si continuano a fare politiche per ridurre i diritti del lavoro e diminuire le tasse ai più ricchi”, attacca D’Alema, con un altro chiaro riferimento a Renzi: “Questa è una filosofia conservatrice, subalterna alla Merkel, a un’idea che sacrifica la crescita alla stabilità finanziaria. Poi ci si può anche dire di sinistra ma, come dicono in Francia, è una “sinistra soi disant…”. Il dibattito finisce, strette di mano, poi D’Alema si concede un giro tra gli stand. Ma ha detto davvero che Renzi sputa nel piatto del centrosinistra?, gli chiedono. Lui sorride beffardo e muove il dito: “No, no, siete voi che avete capito male…”. Anche quest’anno, nella festa più renziana di sempre, dal titolo “C’è chi dice sì”, tutta dedicata a celebrare le azioni del governo, l’uomo coi baffi ha detto il suo no. “Da studioso”, naturalmente.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/08/27/massimo-dalema_n_8050730.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Caro D’Alema, sei stato superficiale.
Inserito da: Admin - Settembre 01, 2015, 04:39:45 pm
Caro D’Alema, sei stato superficiale. Quando darai una mano?
Un’analisi politica seria dimostra che il Pd con Renzi ha guadagnato voti, mentre li ha persi con Bersani. Il congresso sarà nel 2017, fino ad allora lavoriamo insieme per le riforme

Caro Massimo,
da “studioso”, come ti sei più volte definito nel corso del dibattito di ieri alla Festa de l’Unità di Milano, mi sorprende che tu abbia ceduto alla tentazione di una analisi così sbrigativa e superficiale della situazione del Pd. Non solo. Perché dire che il Pd ha perso 2 milioni di voti è semplicemente sbagliato. Due milioni rispetto a cosa? A quando? Quale sarebbe il tuo termine di paragone?

Da “studioso” non ti dovrebbe sfuggire che una analisi politica deve muovere avendo come parametro di fondo qualcosa di comparabile. Elezioni di carattere nazionale con elezioni di carattere nazionale, ad esempio. E allora, certo che da “studioso” apprezzerai questa mia riflessione, mi permetto di evidenziare a te e ai tanti votanti, simpatizzanti e iscritti del nostro partito, come si sono evoluti i numeri elettorali del Pd negli ultimi anni.
Alle elezioni politiche del 2013, il Pd ha preso poco meno di 8 milioni e 650mila voti (il 25,4%), una cifra che come ben sai è stata molto al di sotto delle attese, ha impedito a Bersani di poter governare e ha decretato la nascita di un governo insieme a Berlusconi.

Un anno più tardi, nel 2014, il Pd (che nel frattempo aveva legittimato con un congresso l’elezione a segretario di Matteo Renzi, scelto sia dalla maggioranza degli iscritti sia da quella degli elettori delle primarie) ha preso alle Europee 11 milioni e 172mila voti nonostante alle urne fossero andati 6 milioni e mezzo di persone in meno. La differenza è un semplice calcolo matematico: sono due milioni e mezzo di voti in più. In dodici mesi.

Se poi volessimo essere ancora più pignoli e fare un confronto politiche su politiche, vedremmo che dal 2008 al 2013 il Pd di voti ne ha persi quasi 3 milioni e mezzo. Eppure, in quel periodo, non mi risulta che ti sia posto le stesse domande o abbia avuto la stessa solerzia nel chiedere ripetutamente che gli allora vertici del partito si facessero delle domande (e soprattutto provassero a dare delle risposte).

Chi si è fatto delle domande (e si è dato delle risposte) sono certamente gli iscritti, i militanti e gli elettori del Pd. Che hanno scelto inequivocabilmente nel congresso da quale parte stare. Il congresso, però, non si rinnova ogni settimana o ogni mese. Il prossimo sarà nel 2017. Ognuno, in quella sede, potrà legittimamente presentare la propria idea di partito, la propria proposta, le proprie risposte alle domande che tu giustamente dici sia necessario farsi.

Fino ad allora, però, sarebbe bello se tu, come altri, contribuiste in maniera costruttiva e non distruttiva a portare avanti un cammino di riforme che mai si era visto negli ultimi anni (nemmeno quelli in cui tu hai avuto un ruolo di primo piano all’interno dell’esecutivo e in cui rivendicavi la necessità di quelle stesse riforme che oggi critichi). Che non giudicaste con sdegno chi sta portando avanti un percorso di rinnovamento e di cambiamento come se stesse facendo uno sgarbo a chi lo ha preceduto.

Sono i (tanti) cittadini e i (tanti) elettori che hanno riposto la fiducia in Matteo Renzi e nel Pd che lo chiedono. Quei due milioni e mezzo in più (non in meno) che in un anno hanno deciso di stare dalla nostra parte. E quelli che, spero, continueranno a darci fiducia nel costruire davvero e finalmente una Italia migliore.

Antonio Mazzeo   
@mazzeo77
· 28 agosto 2015

Da - http://www.unita.tv/opinioni/caro-dalema-sei-stato-superficiale-quando-darai-una-mano/


Titolo: D’Alema apre la campagna per il no al referendum: “Ma non creo un partito”
Inserito da: Arlecchino - Settembre 06, 2016, 04:32:24 pm
D’Alema apre la campagna per il no al referendum: “Ma non creo un partito”
L’ex premier: «Ci sono milioni di persone che hanno smesso di votare, vogliamo dare loro un’occasione di impegno civile»
05/09/2016

«Non siamo qui per un’iniziativa che vuole dividere il Pd, a noi si sono rivolte molte persone non del Pd perché ci sono milioni di persone che hanno smesso di votare. Alle ultime amministrative, il Pd ha perso più di un milione di voti. C’è un partito senza popolo e un popolo senza partito, al quale non vogliamo dare un partito ma un’occasione d’impegno civile». Così Massimo D’Alema aprendo la sua campagna per il No al referendum. 
 
«Sono un estimatore di Matteo Renzi perché riesce a sostenere tutto: la legge elettorale ora torna tema da Parlamento dopo che lui sull’Italicum mise la fiducia. C’è un doppio regime: se c’è un guaio è materia del Parlamento altrimenti fa il governo» - ha proseguito l’ex premier - «Il tema - sostiene - non è riforma «Sì» o «No» ma buona o cattiva. La Costituzione è stata cambiata 36 volte da dopo la guerra e negli ultimi anni si sono fatte riforme anche discutibili». 
 
Quanto all’Italicum, che secondo D’Alema è parte del problema, «si poteva scegliere fra la manutenzione della legge Calderoli o tornare allo spirito dell’Ulivo... si è scelta la manutenzione sempre che la Consulta se la beva». 
 
L’affondo di D’Alema: “Ammiro Renzi, perchè è capace di dire ogni cosa”

PERCHE’ IL NO 
La riforma costituzionale fatta da Silvio Berlusconi «non è molto diversa da questa per cui è difficile che chi si oppose allora voti ora a favore di una riforma che riprende dei temi in qualche caso peggiorandoli». 
 
L’ex ministro sostiene ragioni di metodo e di merito. «Se la Costituzione viene derubricata a legge ordinaria viene meno la stabilità delle Istituzioni - sostiene D’Alema - che è molto più importante della stabilità di governo. Secondo l’ex premier il mix tra riforma costituzionale e Italicum riduce «la questione democratica al tema della governabilità, ma la democrazia non può essere ridotta a governabilità e non sono le leggi elettorali a garantire la stabilità dei governi». Secondo D’Alema, «la teoria la sera stessa si saprà chi ha vinto è priva di fondamento: se l’Italicum sarà riconosciuto costituzionale basta che 35 deputati cambino opinione e la governabilità è finita». 
 
Massimo D’Alema: “Il Referendum è un pastrocchio che spacca il Paese”
 
GLI SCENARI POST REFERENDUM 
«Si è cercato di spaventare i cittadini con scenari apocalittici poi si è capito che non andava e ora si dice che non cambia niente. È accaduto di tutto. Ma se vince il «No» al referendum ci dovrà essere una radicale revisione della legge elettorale, ma non ci saranno elezioni anticipate». Sostiene ancora D’Alema: «Il governo andrà avanti o se ne formerà un altro, è un problema che non dipende da noi. Le persone devono poter votare liberamente e non è vero che con la vittoria del «No» sarà preclusa una nuova riforma della Costituzione con un intervento limitato su pochi punti e non un volume che è un mostriciattolo confuso, un ginepraio che esporrà a lungaggini e a contenziosi».
 
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Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2016/09/05/italia/politica/dalema-apre-la-campagna-per-il-no-al-referendum-ma-non-creo-un-partito-2m7L2HSehMBV9bBXrHOF5K/pagina.html


Titolo: Referendum, Massimo D'Alema presenta il suo ddl per rompere lo schema del ...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 15, 2016, 07:46:30 pm
Referendum, Massimo D'Alema presenta il suo ddl per rompere lo schema del plebiscito.
Ecco cosa c'è dietro.

Pubblicato: 12/10/2016 19:58 CEST Aggiornato: 3 ore fa

Lui, il leader Maximo riesce persino nell’impresa di riunire Gasparri e Fini: “Non ho provato disagio per la presenza di Fini – dice il vicepresidente del Senato – perché per fortuna c’era D’Alema”. A pochi metri di distanza ecco Pippo Civati, uno che qualche anno la nomenklatura comunista (o post) l’avrebbe rottamata o, anche lui, arsa col lanciafiamme: “Io sono d’accordo con la proposta che è stata fatta in questa sede, anche perché coincide con la mia. Parliamoci chiaro: già vedo i siti che ironizzano sulle facce presenti qui. Ma non farei il gioco delle facce in questi termini visto che dall’altro lato ci sono Verdini e Alfano. Ragionerei della proposta politica”.

Ecco: la prima, vera, proposta che non sia solo un no alle riforme di Renzi, ma anche un sì a una riforma alternativa ha i baffi di Massimo D’Alema, pubblico nemico del renzismo. Messa nero su bianco e presentata nel corso di un incontro organizzato dalla Fondazione ItalianiEuropei e Magna Carta di Gaetano Quagliariello, ex ministro per le riforme del governo Letta. Un disegno di legge in tre punti: riduzione del numero dei parlamentari, elezione diretta dei senatori e istituzione di una Commissione di Conciliazione tra Camera e Senato, sul modello americano. Più che di testimonianza, di mossa politica si tratta, perché – spiegano fonti informate – entro una settimana “il ddl raccoglierà un centinaio di firme”.

Parterre trasversale in sala, perché, dice Quagliariello, “quando si parla di Costituzione, la normalità è che collabori chi la pensa diversamente”. Parecchia Forza Italia applaude, da Paolo Romani a Maurizio Gasparri ad Altero Matteoli: “Certo che – dice Lucio Malan – la Bicamerale era la nona sinfonia di Beethoven rispetto alla musica di Renzi”. Lui, dal palco, suona la musica ascoltata in un silenzio quasi religioso: “Chiariamo che non esiste uno schieramento politico del no, mentre esiste un blocco politico del sì, il partito della Nazione, che coincide con parte della maggioranza di governo, coeso, minaccioso, sostenuto anche da poteri forti, e da parte del sistema dell’informazione che lancia insulti che non dovrebbero appartenere al confronto cui siamo chiamati, alimentando un clima di paura e intimidazione da far sentire in colpa chi è per il No come se portasse il paese verso il baratro”.

Massimo Mucchetti, che non ha perso l’immediatezza del giornalista di razza, dà la chiave: “Significa che il 5 dicembre, nel caso vincesse il no, non sarebbe la fine del mondo, ma si apre un confronto in Parlamento su alcuni punti. Lo ha capito il Financial Times, lo capiranno gli italiani. Non finisce il mondo né la legislatura”. Prosegue infatti D’Alema, con tono quasi pedagogico: “Non credo che la vittoria del no possa avere effetti catastrofici, in termini di crisi politica, cosa che non si può dire in caso di vittoria del sì che potrebbe spingere a elezioni anticipate sulla scia del plebiscito. E, in caso di vittoria del no, sarebbe un obbligo la revisione della legge elettorale. Un obbligo, non la concessione di un sovrano, diciamo”.
Si intravede, neanche tanto nascosto, l’abbozzo – attorno ai tre punti “limitati”, “chirurgici”, “che si approvano in sei mesi” – se non il programma di un nuovo governo di scopo, quantomeno la trama di una maggioranza per il 2018. Un disegno per disinnescare il plebiscito. Orfini, allievo che ha rinnegato il maestro, da tempo lo ha spiegato a Renzi: “Per la prima volta da tempo, al netto del rancore, Massimo ha un disegno. Un governo che arrivi al 2018 e cambi la legge elettorale, nel frattempo si fa il congresso… è ovvio che il candidato loro è Letta”. Sia come sia, la notizia è che si appalesa un terzo punto di vista, tra il sì di Renzi e il no di stampo grillino, che in fondo al premier piace. Ed è un “no per le riforme”: “Nello statuto del mio partito – dice D’Alema c’è scritto: mettere fine alla stagione delle riforme fatte a maggioranza. Ecco, difendo i valori fondamentali del mio partito che chi dirige ha dimenticato”.

Interessante il parterre di Forza Italia, dopo che Confalonieri ha detto al Corriere, di fatto, che vota sì. Arriva Maurizio Gasparri, per dirsi pronto al confronto. Poi, con Romani, si allontana proprio per parlare del Biscione, sdraiato sulle ragioni del governo. Lui, dal palco, non rinuncia al gusto della sferzata: “Chi accusa il fronte del No al referendum di tirare la volata a M5s dovrebbe ricordare che è stato il Pd a consegnare la capitale del paese a Grillo con operazioni che resteranno scritte nei manuali della politica, per spiegare come non si fa la politica. Un minimo di riflessione autocritica, prima di rilanciare accuse”. Diciamo. Esce Cirino Pomicino: “Qua se vince il sì debbo andare in clandestinità”.


Titolo: Massimo D’Alema. Il professionista della politica rimasto senza apparato
Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 11:09:49 pm
Un’altra strana coppia del No: Massimo D’Alema e Paolo Flores d’Arcais
Il professionista della politica rimasto senza apparato e il precursore dell’antipolitica che ha trovato un partito.

Massimo D’Alema. Il professionista della politica rimasto senza apparato

A guardarlo adesso, mentre mena fendenti a destra e a sinistra contro avversari che lo accerchiano da ogni lato, costretto a difendersi dall’assalto dei nemici non meno che dalle frecciate degli ultimi compagni di strada, viene da chiedersi chi glielo abbia fatto fare, a Massimo D’Alema. Perché diavolo non se ne sia rimasto seduto sulla riva del fiume, a godersi la sfilata dei commentatori che lo avevano accusato di avere pugnalato alla schiena il leader del centrosinistra, essere andato a Palazzo Chigi senza passare dal voto, avere voluto cambiare la Costituzione con Silvio Berlusconi. Quindici anni di rivincite avrebbe potuto prendersi, restandosene buono buono a osservare tanti feroci detrattori riabilitare una per una tutte le scelte per cui lo avevano crocifisso. Ma forse la verità è che questo è l’unico ruolo che D’Alema, per sé, non ha mai voluto, la sola parte che non ha mai saputo recitare: quella del buono. Nel corso degli anni, non per niente, gli hanno attribuito le fattezze di tutti i supercattivi della storia della letteratura, del cinema e del fumetto: da Ming il Terribile a Saruman il Bianco. Ma sono frecce che mancano il bersaglio, perché D’Alema non ha nulla del freddo calcolatore che trama nell’ombra. E se fosse un personaggio del Signore degli Anelli, non sarebbe Saruman, il mago che tradisce i buoni per vendersi all’oscuro Sire, ma semmai Boromir: il guerriero impavido e arrogante, pronto a tutto pur di riportare il suo popolo – e la sua dinastia con esso – all’antico splendore, e che per questo risulta subito antipatico a lettori e spettatori di tutte le età. Ma nel momento decisivo, quando lo vedranno ergersi, da solo, contro la marea montante dei nemici, non emetteranno un fiato. Anche il pubblico più ostile lo seguirà con il cuore in gola mentre si lancia alla carica contro avversari troppo superiori per numero, il corpo interamente ricoperto dalle loro frecce, ferito a morte ma deciso a portare con sé più nemici di quanti ne abbia mai fatti a pezzi lama d’acciaio o dichiarazione d’agenzia. Il primato della politica, questa è stata sempre la sua bandiera. I partiti come architrave della democrazia, ecco il suo grido di battaglia. La politica come professione e vocazione, di più, come «ramo specialistico delle professioni intellettuali». Pensando a quel parlamento da cui D’Alema è uscito nei giorni in cui vi entrava Alessandro Di Battista, e in cui dopo vent’anni di berlusconismo e leghismo è esploso il fenomeno grillino, non può stupire che il campione di una simile concezione della politica sia stato sopraffatto. Stupisce, semmai, che non sia stato sopraffatto prima. Arrivato alla guida del Pds nell’estate del 1994, con la sinistra al minimo storico, Forza Italia primo partito, il governo Berlusconi appena insediato e la prospettiva di una esclusione dell’Italia dall’unione monetaria considerata quasi scontata, D’Alema rovescia il tavolo in sei mesi. È il famoso «ribaltone». Il segretario del Pds, giocando di sponda con Umberto Bossi, innesca la crisi del governo, appoggia con centristi e Lega un esecutivo guidato da Lamberto Dini che fa la riforma delle pensioni e dopo un anno, nel 1996, porta l’Italia alle elezioni. La Lega corre da sola e contro la destra si presenta la nuova coalizione di centrosinistra, l’Ulivo, guidata da Romano Prodi. È la campagna elettorale che Nanni Moretti racconterà in Aprile, con il regista che davanti al dibattito tra D’Alema e Berlusconi urla al televisore: «D’Alema, di’ qualcosa di sinistra!». In compenso, per la prima volta, la sinistra che viene dal Pci quelle elezioni le vince. Ma la somma dei voti presi da Lega da un lato e centrodestra dall’altro è persino superiore al ’94, come D’Alema non manca di sottolineare subito, con la consueta amabilità. La sua tesi è che la vittoria del centrosinistra non si debba a u n’ondata di adesione popolare, che non c’è stata, ma a una superiore capacità di manovra politica (cioè a lui). Sul piano dei numeri la ricostruzione è inconfutabile. Sul piano della politica, che non si fa con i numeri ma con le persone, il discorso non risulta particolarmente accattivante. Figuriamoci per chi allora, in nome dell’Ulivo, si trova al governo. La guerra non scoppia subito perché l’esecutivo è impegnato a portare l’Italia nell’euro e D’Alema è impegnato a cercare di riformare la Costituzione con Berlusconi. Ma quando nel ’98 l’obiettivo dell’euro è centrato e la Bicamerale fallita, il conflitto deflagra, anche perché nel frattempo Fausto Bertinotti ha tolto la fiducia al governo. Convinto che l’eletto – rato di centrosinistra lo punirà, Prodi vuole tornare al voto. Convinto che l’elettorato di centrosinistra sia una minoranza, e figurarsi senza Rifondazione, D’Alema non vuole saperne. E c’è la guerra del Kosovo alle porte. Il risultato è che alle elezioni non si va e a formare il nuovo governo è D’Alema, che lascia la guida del partito a Walter Veltroni, cioè al più ulivista dei diessini (nel frattempo, infatti, D’Alema ha anche rifondato il postcomunismo, con un’ambiziosa operazione che si può riassumere nel fatto che il Pds perde la P e resta Ds). Tutto il resto, a leggere le ricostruzioni dei protagonisti, è un’infinita serie di complotti e tradimenti che seguono sempre lo stesso schema. In sintesi: 1998, complotto di D’Alema per far cadere Prodi; 2000, complotto di Veltroni e Prodi per far cadere D’Alema; 2007, complotto di Veltroni per far cadere Prodi e D’Alema; 2013, complotto di Renzi e D’Alema per non fare arrivare Bersani a Palazzo Chigi e Prodi al Quirinale. Sintesi che non rende giustizia a nessuno dei protagonisti, finendo per oscurare il merito e i risultati di tante loro battaglie. Fatto sta che la vicenda del centrosinistra è stata raccontata da loro stessi, con raro autolesionismo, proprio così: come un’eterna guerra dei Roses. Non stupisce che dopo quindici anni lo slogan della rottamazione abbia avuto tanto successo. Curioso è semmai che a prendersi la maggior parte delle accuse di intelligenza con il nemico per le sue battaglie contro il radicalismo giustizialista, il complottismo antiberlusconiano, l’antipolitica movimentista, sia stato quello stesso D’Alema che è stato anche la prima vittima dell’ascesa renziana, segnata proprio dall’abbandono dell’antiberlusconismo giustizialista. Mentre l’antico campione del primato della politica, schierandosi con il no al referendum, ha finito per scivolare progressivamente sulle posizioni dei suoi vecchi contestatori. Che lo hanno accolto con l’amicizia e la considerazione di sempre.

Paolo Flores d’Arcais. Il precursore dell’antipolitica che ha trovato un partito

Nella politica italiana, si sa, non mancano dirigenti e intellettuali sempre pronti a cambiare casacca, idea e ideali, al primo cambio di vento: talmente numerosi che non servono esempi. Ma ci sono anche, all’estremo opposto, quelli che non cambiano mai. Quelli come Paolo Flores d’Arcais, il cui primo appello per la formazione di una lista della società civile contro i vecchi apparati della sinistra risale al 1987, e l’ultimo, tale e quale, alle europee del 2014. «Il difficile comincia ora», spiega ad esempio sul Fatto quotidiano del 15 febbraio 2011, all’indomani della grande manifestazione femminista dei comitati «Se non ora quando?», invitando le organizzatrici a non fare «l’errore compiuto dai girotondi, e poi dai viola, e dal movimento degli studenti, e da tutti i movimenti di lotta che hanno mantenuto civile e vivo questo paese nel “quasi ventennio” cupo che abbiamo vissuto». L’errore cioè di delegare «ai soli partiti il momento elettorale». E pensare che a ciascuno dei movimenti citati, nessuno escluso, era arrivato di volta in volta l’argomentato appello di Flores, come l’anno dopo sarebbe arrivato alla Fiom (e certamente arriverà a qualsiasi cosa si muova a sinistra, al di fuori dei partiti di sinistra, finché Flores avrà carta e penna a disposizione). Ma il frutto più maturo della sua visione – che si riassume in una politica non professionale, figlia di una sorta di spontaneismo sociale che si autorganizza e al tempo stesso si autodissolve – arriva qualche mese dopo, quando il filosofo torna a rivolgersi alle incolpevoli organizzatrici di «Se non ora quando?», esortandole a procedere alla svelta, e naturalmente sotto la sua attenta guida, verso la formazione di «liste di cittadini senza partito, che giurino di fare i parlamentari per una sola legislatura». Liste, sia chiaro, che «in più punti saranno in dissonanza tra loro e soprattutto con il Pd e gli altri partiti, di modo che il programma di governo nascerà dai risultati concorrenziali che usciranno dalle urne». Ma questa è forse solo la versione più estrema di un’elaborazione instancabile, frutto di una vita di appelli, piattaforme, infatuazioni improvvise e non meno rapide delusioni. Un passato nel ’68 romano e nell’area della sinistra extraparlamentare, direttore del Centro culturale Mondoperaio nel Psi craxiano (che però, alle sue prime critiche, gli toglierà i fondi), Flores, incredibile a dirsi, aveva cominciato nella Fgci. Da cui però era stato presto espulso per attività frazionista –e questo è meno incredibile, ancorché non bello –a causa della sua militanza trotzkista. Emarginato anche nel Psi, fonda con Giorgio Ruffolo la rivista politico-culturale MicroMega, da allora in poi sua unica collocazione stabile. Illuminante, per studiare l’evoluzione del suo pensiero politico, l’incipit dell’articolo «Per ritrovare le città», uscito su Repubblica il 3 gennaio 1987. A dimostrazione di come in lui categorie, lessico e obiettivi dei successivi venticinque anni fossero già pienamente definiti. «In mano ai professionisti della politica, ai padroni dei partiti, nuova oligarchia dominante e inamovibile –esordiva –la vita quotidiana delle nostre città (quelle grandi, soprattutto) diventa ogni giorno più insostenibile». Dopo «quasi dieci anni di governo delle sinistre» il responso degli elettori era stato una «pressoché generalizzata bocciatura elettorale». Facile indovinare, a partire da questa cruda analisi, la soluzione escogitata da Flores nel 1987: «Il rimedio che qui si intende suggerire… è una rivolta del cittadino che assuma la forma pacifica, ma inequivoca di un uso diretto e autonomo dello strumento elettorale nelle elezioni amministrative, attraverso la costituzione di liste di impegno civile». Il punto di partenza è sempre lo stesso: «Oggi è diffuso un disagio… che riguarda soprattutto uomini e donne tradizionalmente orientati a sinistra…che negli schieramenti della sinistra organizzata, e nella prassi quotidiana dei rispettivi partiti, trovano ormai difficoltà insormontabili a riconoscersi. Chiamiamoli, questi uomini e queste donne, sinistra sommersa». Degli zombie, insomma, si può scommettere che avrebbe chiosato, fosse stato lì in quel momento, Massimo D’Alema. Vale a dire l’uomo politico che più di ogni altro ha rappresentato l’incarnazione di tutto ciò contro cui Flores si è sempre battuto. Persino più di Silvio Berlusconi, di cui pure Flores è stato uno degli oppositori più radicali. Anzi, lo stesso carattere dell’opposizione a Berlusconi è stato forse il discrimine fondamentale, nella stagione dei girotondi,tra radicali e riformisti, fan di Nanni Moretti e sostenitori del primato della politica, floresiani e dalemiani. Non può stupire, pertanto, che dopo una breve stagione da garante della Lista Tsipras –del resto non più breve della durata della lista stessa –Flores abbia finito per ritrovarsi al fianco del Movimento 5 Stelle, forse la cosa più vicina alla sua idea di non-partito della società civile che sia mai stata concretamente realizzata. Con la differenza, in verità, che quando parlava di società civile Flores pensava a candidature del calibro di Umberto Eco e Gianni Vattimo, non ad Alessandro Di Battista. Ma neppure questa è una differenza insuperabile. «A sinistra non ci sono più corpi da rianimare, ha ragione Di Battista», ha scandito in un convegno del 2015, pur intitolato «Europa in debito di sinistra». Un debito che evidentemente Flores ritiene preferibile estinguere, nel senso biologico del termine, se alle ultime amministrative, di fronte alla sfida tra Piero Fassino e Chiara Appendino, non ha esitato a rivolgersi ai torinesi con queste parole: «Fassino costituisce la quintessenza… della degenerazione costante, progressiva, e infine galoppante del Pci… da partito dei lavoratori, degli oppressi, degli emarginati, a coacervo dei più vieti e non sempre confessabili interessi di establishment ». Dire che oggi abbia aderito al fronte del No alla riforma costituzionale sarebbe dunque improprio. Semmai, è il fronte del No ad avere aderito a lui, che contro ogni possibile riforma della Costituzione e accordo con Berlusconi tuona da svariati decenni. Quanto al fatto che al fronte contrario alla riforma voluta da Berlusconi abbia ormai aderito lo stesso Berlusconi, è una contraddizione che un filosofo come Flores non avrà difficoltà a superare dialetticamente. Per quanto riguarda D’Alema, invece, a chi ha provato a stuzzicarlo in proposito, Flores ha risposto con la fermezza di sempre: «Imbarazzato? No, D’Alema si è accodato». Di tutte le accuse che gli ha rivolto in questi anni, per lui, senza dubbio la più infamante.

>>> Guarda le puntate precedenti <<<

Da - http://www.unita.tv/focus/unaltra-strana-coppia-del-no-massimo-dalema-e-paolo-flores-darcais/


Titolo: D'Alema: "Dopo il referendum torno a Bruxelles, so già a chi lasciare il comando
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2016, 05:46:12 pm
13 NOVEMBRE 2016

D'Alema: "Dopo il referendum torno a Bruxelles, so già a chi lasciare il comando"
"I comitati 'Io dico No' stanno recuperando militanza, persone se ne erano andate. Non credo che questa rete si debba sciogliere dopo il referendum. Io tornerò ai miei studi a Bruxelles, ma ho già in mente a chi consegnare le chiavi di questa rete". Così Massimo D'Alema parlando con il vicepresidente della Regione Lazio Smeriglio a Roma durante un'iniziativa di "Alternative". D'Alema però non si è sbottonato sul nome di chi immagina alla guida di questo soggetto che, ha specificato, dovrà agire "nell'ambito del centrosinistra"
(di Marco Billeci)
"Dopo il referendum torno a Bruxelles"
"Il No apre a speranza, il Sì a vittoria M5s"

Da http://video.repubblica.it/dossier/referendum-costituzionale/d-alema-dopo-il-referendum-torno-a-bruxelles-so-gia-a-chi-lasciare-il-comando/259011/259311


Titolo: D’ALEMA: "Al di là del risultato del referendum dopo il voto non mi occuperò...
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2016, 05:47:36 pm
Massimo D'Alema: "Al di là del risultato del referendum dopo il voto non mi occuperò più di politica italiana"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 12/11/2016 18:39 CET Aggiornato: 57 minuti fa

"Comunque vada a finire, che vinca il Si e che vinca il No, quando finisce questa campagna elettorale tornerò pienamente al mio lavoro, quello di presiedere la Fondazione culturale dei Socialisti europei a Bruxelles e quindi non mi occuperei della politica italiana". Lo ha affermato l'ex premier Massimo D'Alema a margine della tre giorni di 'Alternative-associazione a sinistra' a chi gli chiede se lascerà il Pd in caso vinca il Sì. E sul rinnovo della sia tessera spiega: "Credo che sia quinquennale...".

In merito alle polemiche sulla lettera inviata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, agli italiani all'estero, D'Alema ha detto: "Sulla vicenda degli italiani all'estero credo si debba fare chiarezza perché voglio capire se è vero quello che viene detto da più parti e cioè che il governo ha abusato del suo potere e questo sarebbe molto grave e non bisogna mai dimenticare che la nostra diplomazia non è al servizio del governo ma dello Stato, del Paese".

D'Alema dice la sua anche sulla vicenda dell'assenza della bandiera dell'Unione europea alle spalle del premier Matteo Renzi. "Sono d'accordo con Prodi", ha detto D'Alema, riferendosi alla posizione dell'ex presidente della Commissione europea che ha criticato la scelta di Renzi.

L'ex premier ha riservato anche una stoccata a Jim Messina. "Questo guru al quale pare abbiano dato 400mila euro pare abbia detto, ai primi risultati della Florida, 'è fatta per Hillary'. Certo i soldi possono essere spesi meglio, certe previsioni si possono avere a prezzo migliore", ha detto D'Alema.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/11/12/dalema-politica-referendum_n_12929798.html?1478972460&utm_hp_ref=italy


Titolo: Massimo D'Alema: "Spero che a Matteo Renzi sia passata la voglia di rottamare...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 10, 2016, 11:48:07 pm
Massimo D'Alema: "Spero che a Matteo Renzi sia passata la voglia di rottamare, il Partito della Nazione è stato battuto"

L'Huffington Post | Di Redazione
Pubblicato: 05/12/2016 01:58 CET Aggiornato: 05/12/2016 09:19 CET

"Era lui che voleva rottamare gli altri. Spero che questa passione sia passata a Renzi". Massimo D'Alema si toglie più di un sassolino dalla scarpa nel commentare l'esito del referendum costituzionale e le dimissioni del premier Matteo Renzi. "Al Pd - ha aggiunto D'Alema - serve una profonda svolta politica. Un certo disegno neocentrista, il Partito della Nazione, è stato battuto insieme alla proposta di riforma costituzionale. Bisogna ricostruire l'unità del partito e recuperare quelli che se ne sono andati, milioni di elettori. Alcuni dei quali sono tornati per votare No".

Nel comitato 'Scelgo No' si respira l'aria di una vittoria "che appartiene a tutti gli italiani", sottolinea D'Alema, che abbraccia Roberto Speranza, altro esponente di spicco della minoranza del Pd e sostenitore del No. Niente voto però per la minoranza dem. "Andare a votare ora - sottolinea D'Alema - sarebbe irresponsabile anche perché la Consulta deve ancora pronunciarsi sull'Italicum. E mi auguro che l'assunzione di responsabilità possa essere la più ampia possibile". Sulla stessa lunghezza d'onda anche Speranza: "Nessuno di noi - afferma - hai mai chiesto le dimissioni a Matteo Renzi. Renzi, sbagliando totalmente il terreno lo ha trasformato in un plebiscito su di sé. Prendiamo atto della sua scelta, massima fiducia nel lavoro che il presidente della Repubblica costruirà nella prossime ore. Il Pd ha 400 parlamentari e non può che essere il perno per garantire la governabilità. Il Pd dovrà sostenere questo sforzo. C’è bisogno di dare una nuova legge elettorale al Paese".

Sul suo futuro, D'Alema è perentorio. "Io riprenderò il mio lavoro a Bruxelles", un lavoro "più culturale ma a ridosso della politica. Quindi sono interessato al futuro del Pd ma se mi si chiede se voglio 'incrociare le lame', se questo significa competere per incarichi, non competo per alcun incarico. Lo farà una generazione nuova. Sulla politica esprimerò le mie opinioni, questo non me lo può impedire nessuno".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/05/dalema-renzi-rottamare_n_13420234.html


Titolo: Massimo D'Alema: La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 31, 2016, 02:28:43 pm
Massimo D'Alema: "La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una svolta politica sarà una deriva irrimediabile"

L'Huffington Post
Pubblicato: 30/12/2016 10:52 CET Aggiornato: 26 minuti fa

Si intitola "Fondamenti per un programma della sinistra in Europa" l'analisi che Massimo D'Alema fa della salute della sinistra nel contesto italiano ed europeo. L'editoriale, di cui HuffPost è in grado di anticipare ampi stralci, viene pubblicato il 31 dicembre sul nuovo numero della rivista Italianieuropei, fondazione presieduta dallo stesso D'Alema. L'autore mette sul tavolo le difficoltà di una sinistra divenuta "bersaglio principale" dell'antipolitica e dei populismi, analizza le cause dello sbandamento della socialdemocrazia e propone la via d'uscita per il socialismo europeo, una "svolta politica" che consenta di "tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro". Una sterzata urgente e indifferibile, senza la quale si profila il rischio di una "deriva irrimediabile".

    "La sinistra sembra essere il bersaglio principale di quell’ondata di sentimento avverso alla politica, di quella diffusa protesta contro l’establishment che percorre gran parte dell’Europa. Non è difficile capire perché. In realtà, è persino naturale che sia proprio la sinistra a essere sul banco degli imputati, nel momento in cui la globalizzazione selvaggia provocata dal capitalismo finanziario e la sua successiva crisi hanno innanzitutto colpito protezioni e diritti sociali, aggravando diseguaglianze e povertà. In questo contesto, la sinistra appare una forza che, ben più dei partiti conservatori, è venuta meno alle sue ragioni costitutive e alla sua missione storica. Tutto questo ci potrà sembrare ingiusto, e in parte lo è. Ma non possiamo nasconderci il peso e il rilievo delle nostre responsabilità".

Il punto da cui ripartire per la sinistra deve essere quindi la presa d'atto dell'errore nella valutazione ottimistica degli effetti della globalizzazione sull'economia e sulla società e il recupero del suo ruolo fondamentale nella politica.

    "Ciò che sembra chiaro, anche alla luce delle recenti elezioni americane, è che la sinistra potrà fare argine al populismo soltanto se sarà in grado di tornare a svolgere il suo ruolo fondamentale: essere, cioè, la forza capace di ridurre le diseguaglianze, combattere la povertà, restituire dignità al lavoro. Altrimenti, paradossalmente, queste bandiere passeranno nelle mani delle destre e della demagogia populista, mentre noi appariremo sempre di più come i rappresentanti di un establishment lontano dai bisogni e dai sentimenti popolari. Non ha forse vinto, Trump, rivolgendosi – come egli ha detto – ai dimenticati della globalizzazione? Certo, poi il neopresidente sta procedendo a mettere ai vertici della sua Amministrazione i capi più feroci e antioperai delle grandi società multinazionali. Ma, proprio per questo, appare più doloroso il paradosso nel quale ci troviamo".

Secondo D'Alema non c'è dubbio che il movimento progressista debba ripartire dall'Europa. Dove la globalizzazione ha rafforzato le spinte antieuropeiste e la crisi economica e sociale ha alimentato il sentimento anti-establishment. Tendenze che hanno portato i partiti europeisti a un'innaturale coabitazione, quelle grandi coalizioni che hanno visto la luce in Germania, Spagna, Austria e per certi versi anche in Italia.
   
    "Il rischio, per i socialisti, è grave: diventare progressivamente junior partners delle forze conservatrici, appannando la propria identità e rafforzando così le ragioni di chi guarda all’establishment europeo come a un insieme sostanzialmente, politicamente e culturalmente omogeneo".

Una collaborazione che non si è rivelata proficua per le politiche europee, salvo l'introduzione del principio di flessibilità nei vincoli del patto di stabilità che alla prova dei fatti è stata però utilizzata per risolvere problemi a livello nazionale e non si è trasformata in una lotta per una sterzata delle politiche comunitarie.

    "Siamo ben lontani da quella profonda svolta nel senso di una politica tesa alla crescita economica, al rinnovamento e rilancio del welfare, alla lotta alla povertà e alle diseguaglianze, che sarebbe indispensabile per riguadagnare la fiducia dei cittadini nel processo europeo"

Non manca un passaggio critico sull'azione svolta dal Governo di Matteo Renzi in Europa e in Italia. A livello europeo perché la battaglia sulla flessibilità è stata condotta per reperire risorse da utilizzare "in chiave elettoralistica", a livello nazionale perché la riforma costituzionale appariva una diretta emanazione di un "riformismo neoconservatore".

    "Al di là del metodo con cui essa è stata varata e dell’impostazione irresponsabilmente plebiscitaria del referendum popolare, ciò che ha suscitato la risposta negativa dei cittadini è stata proprio una impronta culturale volta a ridurre gli spazi della partecipazione, del controllo parlamentare, dell’autonomia delle comunità locali, nel nome di una razionalizzazione semplificatrice all’insegna dell’accentramento e della governabilità. So bene quanto sia importante la stabilità dei governi, ma credo che sia pericolosa l’ideologia di una governabilità che non si fondi sul consenso e sulla partecipazione. Perché non c’è governo – soprattutto se per governo si intende la guida di un processo di trasformazione sociale – che possa prescindere dalla partecipazione consapevole della maggioranza dei cittadini e dal contributo attivo dei corpi intermedi della società. La riforma costituzionale andava in senso esattamente opposto ed è stata percepita come una ulteriore sottrazione di diritti, in particolare determinando una rivolta della stragrande maggioranza dei giovani, che già sperimentano la mancanza di un sistema di istruzione all’altezza dei tempi che stanno vivendo e la perdita del diritto a un lavoro dignitoso. Lungo questi percorsi, la sinistra smarrisce se stessa, si allontana dalle sue ragioni e dal suo popolo".

Il rischio è una sinistra ridimensionata e subalterna. E senza una sinistra capace di essere una vera alternativa alle politiche dominanti in Europa, il rischio vero è il diffondersi di "illusioni regressive", spiega D'Alema, come "la fuoriuscita dall'euro o la rinazionalizzazione delle politiche economiche"

    "Occorrono una svolta politica e il coraggio di rompere con il conformismo e l’eccesso di prudenza e gradualità che hanno finora caratterizzato l’azione del socialismo europeo, pena il rischio di una deriva irrimediabile, soprattutto se investirà paesi chiave come l’Italia e la Francia. Ciò che occorre è mettere in campo un programma effettivamente radicale di cambiamento delle politiche europee e, in prospettiva, degli stessi assetti istituzionali. Una visione europea che sia anche la guida per concrete politiche nazionali. Una spinta, in questo senso, viene ormai da tanta parte del pensiero economico, da Joseph Stiglitz a Paul Krugman, da Mariana Mazzucato a Thomas Piketty, al nostro Salvatore Biasco. Ma ancora non si traduce in un coerente e coraggioso programma politico".

Un programma della sinistra che riparta da alcuni pilastri chiari.
    "Innanzitutto la politica, cioè lo Stato e le istituzioni, devono riappropriarsi della sovranità fiscale e tributaria. La leva dell’imposizione non è in grado di funzionare come strumento di redistribuzione della ricchezza e di riduzione delle diseguaglianze. La rendita finanziaria ma anche i profitti delle grandi società multinazionali sono toccati solo marginalmente dalla fiscalità. Pagano esclusivamente il lavoro e le pmi". [...] "Serve, inoltre, un grande piano per la crescita in Europa, che comporta massicci investimenti, anche pubblici e anche finanziati in deficit. Ben oltre i confini dell’asfittico Piano Juncker" [...] "C’è poi bisogno di un grande progetto europeo per la formazione, la ricerca e l’innovazione. E, ancora, è necessario un patto sociale, nuovo, basato anche su un rapporto diverso tra Stato, società civile, privato sociale, imprese, per rinnovare il welfare mantenendo, però, la capacità di questo sistema di proteggere effettivamente le persone dalla povertà, dall’esclusione, dalle malattie, evitando il rischio di una americanizzazione selvaggia delle società europee. Occorre, infine, tornare a discutere delle possibili soluzioni per una forma di mutualizzazione del debito che, senza ovviamente scaricare di responsabilità i debitori, consenta di bloccare la speculazione e di avviare una politica di riduzione del servizio del debito"

L'America di Trump, conclude D'Alema, rende ancora più necessaria inoltre un'Europa unita e forte, obiettivo che può essere raggiunto se la sinistra saprà riprendersi il suo spazio e il suo ruolo.

    "Una sinistra europea che avesse il coraggio di mettere sul tavolo con chiarezza un programma così netto e coraggioso avrebbe almeno la possibilità – ne sono convinto – di tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/30/massimo-dalema-sinistra_n_13882578.html?1483091571&utm_hp_ref=italy


Titolo: D’ALEMA. "Creare comitati in tutte le città, pronti a ogni evenienza"
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 29, 2017, 08:35:03 pm
Massimo D'Alema: "Creare comitati in tutte le città, pronti a ogni evenienza"

L'Huffington Post | Di Redazione

Pubblicato: 28/01/2017 13:49 CET Aggiornato: 3 ore fa
MASSIMO DALEMA

"Questa non è una riunione per festeggiare la vittoria del no, è una riunione di lavoro: il dibattito tra sì e no è finito, concluso da circa 20 milioni di italiani, non c'è possibilità di replica". Lo dice Massimo D'Alema, all'iniziativa 'Consenso per un nuovo centrosinistra'. Poi, annuncia: "Vogliamo dare vita a un movimento di cui potranno fare parte anche tantissimi cittadini che hanno votato sì, vogliamo creare confronto, dibattito, raccogliere adesioni, non avremo un tesseramento altrimenti ci direbbero subito che vogliamo fare un partito. Oltre alle adesioni vogliamo che i comitati raccolgano fondi, non per arricchire Roma, ma per lavorare e per essere pronti alle evenienze che potranno esserci".

Boato in sala. "Dobbiamo guardare al futuro e organizzare il mondo del centrosinistra italiano che oggi si riconosce in diverse formazioni politiche tra cui molti cittadini che non aderiscono più ad alcun partito", aggiunge l'ex premier.

I "comitati per il no" sono archiviati, quel dibattito è "chiuso". Adesso c'è da "organizzare un nuovo centrosinistra" e per farlo servono "comitati in ogni città". Massimo D'Alema chiama a raccolta il mondo di sinistra che ha votato no al referendum ma precisa che le porte sono aperte anche a chi "ha votato sì in buona fede".

Dobbiamo "organizzare queste forze, sviluppare un dibattito, un confronto. Creare comitati in tutte le città, in tutti i paesi dove è possibile. Raccogliere adesioni. Si possono non stampare le tessere, non avremo un tesseramento nazionale, non vogliamo generare equivoci, scriverebbero subito che vogliamo fare un partito. C'è un sistema informativo orientato a sostenere l'establishment. Ma l'opinione pubblica è ormai piuttosto smaliziata", ha detto D'Alema intervenendo all'assemblea per un nuovo centrosinistra al centro congressi Frentani, a Roma, dove sono presenti esponenti del Pd e di Sinistra italiana.

"Suggerirei - aggiunge - che oltre alle adesioni i singoli comitati raccolgano fondi. Non perché affluiscano a Roma, ma perché siano pronti alle evenienze che potranno esserci. Siamo in un tale conflitto che è necessario richiamare i riservisti, mantenerli in servizio per supportare l'azione di una nuova generazione".

A chiedere "un nuovo Pd e un nuovo centrosinistra", oggi, è anche Roberto Speranza, deputato della minoranza dem. "C'è il centrodestra, i cinquestelle e poi ci siamo noi: questa comunità democratica, divisa, frammentata, piena di grandi personalità e che è l'unica speranza per il Paese. Il Pd da solo non ce la fa più a rappresentarla, ma prescindere dal Pd non è possibile se si vuole vincere questa sfida", ha detto Speranza parlando dal palco dell'Assemblea dei comitati io "scelgo no". "Come si cambia il Pd e si ricostruisce il centrosinistra? - si chiede Speranza - Occorre rimettere al centro i valori di fondo di questa comunità. Non è impossibile, non arrendiamoci e non disperdiamo energie. Un Pd e un centrosinistra nuovo si possono costruire".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/01/28/massimo-dalema-comitati_n_14456570.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy


Titolo: D’Alema? Già vent’anni fa ci ha rubato il futuro
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 01, 2017, 08:40:56 pm
D’Alema? Già vent’anni fa ci ha rubato il futuro

E’ partita la guerra a Renzi, ma per difendere rendite di posizione

In principio fu la Liguria, che è talmente esposta al mare da sentire il vento nuovo prima che arrivi nell’entroterra. Da qui parte la guerra al nuovo Pd, alla sua ambizione di essere a vocazione maggioritaria e di interpretare un riformismo coraggioso.
Una guerra che rinnega tutto: storie, amicizie, anni di appartenenza alla sinistra, l’esperienza comune nel decennio al governo della Regione Liguria. Il nemico è Renzi e con lui tutti quelli che credono al suo progetto. Allora non importa se il voto disgiunto aiuta a vincere Toti e la Lega Nord (quelli dello sportello antigender e dei gay da mettere nei forni), non importa se la crociata contro il referendum fa dimettere uno dei pochi presidi della sinistra in Europa di fronte all’avanzata di Trump e Putin e regala il risultato del No a Salvini e Grillo. Perché c’è sempre un nuovo obiettivo autolesionista contro Renzi.
Oggi c’è il nuovo sogno della sinistra pura: far vincere la destra o i Cinque stelle a Genova e alla Spezia e consegnare definitivamente il Paese alla Lega e a Grillo (per un nuovo miracolo dalemiano!). Bene, anzi male. Ho preso fiato e mi sono detta che non ci riusciranno. Perché la politica che hanno insegnato a me a sinistra serve per cambiare il Paese, non per battere il nemico interno.
Anche perché, in questi anni, cosa ha rappresentato questa sinistra? Si è sempre divisa in tanti piccoli partitini capaci solo di litigare fra loro, come Sinistra Italiana che nasce oggi e che ha già due posizioni diverse fra chi vorrebbe allearsi col Pd e chi invece vorrebbe correre da solo, anche se col 3% si fa davvero poca strada. Forse, anche se non possono dirlo, il loro unico obiettivo è far perdere il Pd.
Pensiamo a D’Alema che aveva detto che se al referendum avesse vinto il No in sei mesi il Parlamento avrebbe potuto fare le riforme; qualcuno ne ha più saputo qualcosa? Sempre D’Alema, che diceva che dopo il referendum sarebbe tornato ai suoi impegni internazionali (come si è visto ieri…) ora vuole il congresso, ma quando lo voleva Renzi non andava bene. Io spero sinceramente che visto che proprio dalla Liguria è partita la guerra, anche da qui (dove il vento arriva prima…) partirà la resistenza al collaborazionismo populista (camuffato da sinistra pura). Anche perché di fronte a un mondo così complesso, cosa ci propongono? Una rendita di posizione utile a chi la pratica e illusoria per coloro ai quali vorrebbe rivolgersi.
E’ già successo 20 anni che ci rubassero il sogno di un’Italia nuova. Eppure c’è un mondo che attende risposte vere e c’è una sinistra che crede nel coraggio delle riforme. Questa volta non molleremo e ci riprenderemo il compito di offrire futuro e cambiamento.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/dalema-gia-ventanni-fa-ci-ha-rubato-il-futuro/


Titolo: D'Alema: "Siamo seduti su una polveriera, se si vota ora lo spread va a 400.
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 12:37:19 pm
D'Alema: "Siamo seduti su una polveriera, se si vota ora lo spread va a 400. Con le coalizioni torna la destra"
L'ex premier frena sull'uscita dai dem: "Senza urne la battaglia si sposta sul congresso: serve un nuovo leader. Io rancoroso? No, addolorato"

Di STEFANO CAPPELLINI
09 febbraio 2017

ROMA. Una settimana fa, battezzando il neonato movimento ConSenso, Massimo D'Alema aveva evocato la scissione dal Pd in caso di elezioni anticipate. Adesso, seduto nello studio della sua Fondazione Italianieuropei nel cuore di Roma, e con il voto anticipato che appare una prospettiva sempre meno probabile, vede uno scenario diverso: "Se prevalgono buon senso e responsabilità - dice - riprenderà il percorso ordinario che porta al congresso del Pd. Ma l'obiettivo resta la discontinuità con la stagione renziana. Serve un cambio di contenuti e di guida".

Presidente D'Alema, ma perché considera il voto anticipato una iattura?
"La situazione del Paese è gravissima. I dati sullo spread dimostrano che ogni incertezza internazionale ha un effetto immediato sull'Italia. In Europa siamo ultimi per crescita, quartultimi tra i 30 Paesi più industrializzati. Sono cresciute gravemente povertà e diseguaglianze. Drammatica è la frattura tra Nord e Sud. Il meccanismo di crescita dell'occupazione, sostenuto dagli incentivi, si è inceppato. La priorità del governo oggi dovrebbe essere dare risposte alla crisi".

Non potrebbe farlo meglio un governo legittimato dal voto?
"L'idea di precipitare verso elezioni anticipate con una legge proporzionale, con prospettiva certa di ingovernabilità, è una scelta folle. Con quale progetto? Con quale ipotesi di alleanze? ".

Ogni volta che c'è una crisi di sistema la sinistra si schiera contro il ritorno alle urne. E sostenendo Monti pagò un prezzo alto.
"Rispetto al 2011 ci sono differenze fondamentali. Allora non c'era più un governo, oggi sì e per farlo cadere bisognerebbe provocare una crisi ad hoc. Stavolta non c'è prospettiva politica e non c'è legge elettorale. Finirebbe con lo spread a 400. E con la gente in mezzo alla strada, non so se è chiaro".



Quindi cosa dovrebbero fare Pd e governo?
"La priorità è la legge elettorale. Il Pd ne ha proposto cinque diverse. E non è la minoranza che rompe le scatole. Lo scontro più aspro è quello che divide l'idea di Franceschini di un premio alle coalizioni e quella di Orfini che lo vuole alla lista".

Lei cosa pensa?
"Non ho una particolare predilezione per i premi di coalizione. E non capisco bene quale sarebbe la coalizione del Pd".

Da Alfano a Pisapia, secondo Franceschini e Delrio.
"Ma Pisapia ha già detto che non ci sta. Quindi sarebbe da Alfano a Franceschini e Delrio. Mi ricorda qualcosa, si chiamava Democrazia cristiana ".

Franceschini lo considera un patto dei responsabili. Un argine all'onda trumpista in Italia.
"Quando sento qualcuno dire che destra e sinistra non esistono mi spavento. Peraltro non so se un partito che affronta il referendum come ha fatto il Pd possa esser considerato responsabile. Mi pare una definizione ambiziosa, diciamo".

Su quale legge dovrebbe puntare il Pd?
"Un equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Occorre una legge che offra una chance di governabilità, con un premio ragionevole, alla lista che arriva prima. Ma i capilista bloccati vanno aboliti. Si vorrebbe persino vergognosamente estenderli al Senato".

Ammesso che si trovi una intesa sulla legge elettorale, resta una situazione difficile e un governo debole.
"Bisogna intervenire sui temi del lavoro oggetto dei referendum proposti dalla Cgil. Su voucher e subappalti, o le norme le cambia il governo o sarà il voto referendario a farlo. Poi servirà una manovra, lascito del governo Renzi che ha voluto accavallare la campagna con la legge di stabilità e ha utilizzato risorse per mance e regalie. Ha perso il referendum e sono rimasti i debiti".

Il rigore dell'Europa non aiuta a uscire dalla crisi.
"Apprezzo l'iniziativa di Merkel che vuole rispondere al nuovo contesto rafforzando l'integrazione dei Paesi disponibili. La sinistra dovrebbe rispondere: bene, ma occorre un cambio delle politiche nel senso della crescita e della giustizia sociale. Io non sono di quelli che danno la colpa all'euro. Il problema è una politica economica che ha messo al centro solo l'obiettivo della stabilità monetaria. Draghi ha cambiato qualcosa, ma non basta. Ci sono delle responsabilità che solo la politica si può prendere".

Renzi, più di altri leader del passato, ha cercato di incrinare il fronte del rigorismo Ue.
"Le regalo una copia di un mio libro sull'Europa uscito qualche anno fa. Renzi lo presentò con me e disse che era la piattaforma della sua battaglia europea ".

Allora lei lo definiva "una speranza". Poi alla poltrona di Alto rappresentante per la politica estera Ue è andata Federica Mogherini. È nata così la guerra?
"Non voglio commentare queste stupidaggini. Come è noto, ho contrastato Renzi per ragioni politiche, molto prima delle vicende europee, fino a quando non è diventato segretario del partito e ho ritenuto ragionevole sostenerlo in una difficile campagna elettorale. Non è certo colpa di Renzi se non sono andato a ricoprire il ruolo di Alto Rappresentante. Si sa, i grandi paesi non vogliono un ex capo di Stato in una funzione di quel tipo".

Le rimproverano anche di aver riscoperto l'Ulivo, lei che non ne fu certo un teorico.
"L'atto costitutivo dell'Ulivo reca, tra le altre, la mia firma. E fui io a chiedere a Romano Prodi di assumere la guida del centrosinistra. E' ora di smetterla con le calunnie".

Chi sosterrà al congresso contro Renzi?
"Quando ci saranno il congresso e i candidati farò le mie valutazioni. Oggi registro che da Bersani a Speranza, Emiliano, Rossi, sosteniamo posizioni simili e lo stesso Cuperlo ha più volte sottolineato che Renzi non può essere la guida adeguata di un nuovo centrosinistra".

Ma questo Pd lacerato ha chance di vittoria?
"Un rinnovato Pd può riunire intorno a sé movimenti civili, personalità e creare una grande lista aperta che possa aspirare ad avere molti voti. Forse non prenderà il 40%, ma ci andrebbe più vicino del Pd com'è messo ora".

Renzi è l'unico ad aver centrato il 40.
"Allora eravamo uniti. Poi Renzi ci ha diviso. E non dimentichi che quel 41% fu ottenuto con il 52% dei votanti. Forse queste due valutazioni Renzi avrebbe dovuto farle fin da allora. Io non sono rancoroso, sono addolorato. Non possiamo considerare zavorra i milioni di elettori che ci hanno lasciati. Il partito è diroccato. L'82 per cento dei ragazzi tra i 18 e 24 anni ha votato No al referendum.
Tutta la grande grande operazione di rottamazione ha creato questo: una sorta di partito dei pensionati ".

Sarà una sfida Pd-M5S?
"Non sottovaluterei la destra, che in coalizione può arrivare al 35 per cento. Se faremo una legge basata su questo meccanismo, si rimetteranno insieme e ci ringrazieranno ".

Ma M5S cos'è? Una costola della sinistra? Una destra mascherata?
"Niente di tutto questo. Sono una confusa coalizione di persone e culture che rappresentano il malessere del Paese. Esprimono il peggior sindaco d'Italia, la Raggi, che si è circondata della peggiore destra, e Appendino che è in cima ai sondaggi di gradimento ".

Aveva detto: non mi occuperò di politica italiana dopo il referendum.
"La gente che si era mobilitata per il referendum ha chiesto di non tornare a casa. E ho sentito il dovere di riunirli. Faccio il mio lavoro di presidente di una fondazione culturale e, quando sono libero, sono un militante. Fa parte dei diritti civili, che non mi possono essere negati".

E se rispuntano le elezioni anticipate? Fa una lista con Vendola e la sinistra?
"Non ho mai fatto parte della sinistra della sinistra, ma sempre del centro della sinistra. Sono solo preoccupato per il mio Paese. Il nostro gruppo dirigente appare debole e confuso. Abbiamo governato con Ciampi Amato e Prodi. Oggi, salvo poche eccezioni, c'è solo chiacchiericcio senza costrutto. Non ci si rende conto che siamo seduti su una polveriera ".

© Riproduzione riservata
09 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/09/news/d_alema_siamo_seduti_su_una_polveriera_se_si_vota_ora_lo_spread_va_a_400_con_le_coalizioni_torna_la_destra_-157893468/?ref=HREC1-1


Titolo: Massimo D'Alema: "Il Rosatellum è indecente e aberrante"
Inserito da: Arlecchino - Settembre 27, 2017, 12:31:55 pm
POLITICA
Massimo D'Alema: "Il Rosatellum è indecente e aberrante"
L'ex premier non esclude una sua candidatura alle prossime elezioni politiche

27/09/2017 08:32 CEST | Aggiornato 1 ora fa
Corriere della sera

Massimo D'Alema, in un'intervista a tutto campo sul Corriere della sera, boccia senza mezzi termini la proposta di riforma elettorale che si discuterà a breve in Parlamento, il cosiddetto Rosatellum.

Quella legge è un'indecenza assoluta: forse il punto più basso della legislatura. Spero venga spazzata via. Ha aspetti aberranti, a mio giudizio palesemente incostituzionali, con il rischio che la Consulta bocci la terza legge elettorale di fila. Ed è incredibile che a proporre una legge fondata sulle coalizioni sia il Pd: un partito che non è in grado di formare coalizioni.

Alla domanda su che legge elettorale preferisca, D'Alema risponde:
Noi abbiamo sempre proposto la legge Mattarella. Ma, se non è possibile, è inutile fare pasticci, tanto vale votare con una legge proporzionale — sbarramento, collegi piccoli, voto di preferenza — che restituisca il quadro reale del Paese. Non sono un fan delle preferenze, però la nomina dei parlamentari da parte dei partiti è intollerabile.

L'ex premier dice no a un'eventuale alleanza con il Pd:
Non mi pare ci siano le condizioni per andare alle elezioni insieme. C'è distanza sul programma e nel giudizio su quel che è accaduto in questi anni. Nessuno capirebbe un accordo in queste condizioni e gli elettori non ci seguirebbero. Presentarsi uniti nei collegi potrebbe essere un disastro.

E su Renzi:
Renzi è in difficoltà e a me piace prendermela con i potenti, non con chi è in difficoltà. Feci così anche con Craxi. Dalla parte di Berlinguer sono stato ferocemente anticraxiano; ma quando è cominciata la disgrazia di Craxi sono stato generoso con lui.

D'Alema non esclude poi un suo eventuale ritorno all'impegno politico:
Sono uno dei pochi che dal Parlamento è uscito di propria iniziativa. Non potrei però non prendere in considerazione una richiesta se venisse dai cittadini di dare una mano a una campagna elettorale attraverso la mia candidatura.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/09/27/massimo-dalema-il-rosatellum-e-indecente-e-aberrante_a_23224201/?utm_hp_ref=it-homepage


Titolo: ANSA. Sinistra, D'Alema: 'Appelli a unità tardivi e incoerenti'.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 03, 2017, 01:35:51 pm
Sinistra, D'Alema: 'Appelli a unità tardivi e incoerenti'.

Applauso accoglie Grasso

Tutto pronto all'Atlantico Live di Roma per l'assemblea dei delegati di Mdp, Si e Possibile, che daranno vita a una lista unitaria alle prossime elezioni

Redazione ANSA
ROMA
03 dicembre 2017

Nasce la lista unitaria della sinistra e, dal palco dell'Atlantico Live a Roma arrivano segnali di chiusura a un eventuale dialogo con il Pd. "Altri - dice Pippo Civati rivolgendosi a Pisapia - stanno allestendo coalizioni da incubo, in cui c'è dentro tutto: Minniti con Bonino, Merkel con no euro. Noi saremo rigorosi". "C'era chi diceva 'mai con Alfano', patrimoniale, ius soli. E allora perché poi va con Alfano, con chi non vuole lo ius soli, con chi quando nomini la patrimoniale gli viene un colpo? Il mio appello è: Giuliano, dove campo vai?", aggiunge parlando a Giuliano Pisapia.

"Il nostro progetto - dice il leader di Possibile, primo big a parlare dal palco - non è solo mettere insieme la sinistra, che è un'impresa titanica mai riuscita, il nostro progetto è cambiare l'Italia, la sua politica, i suoi rapporti di potere". "E' stato un processo lungo e non scontato. Mi piace pensare che oltre a Libertà e uguaglianza ci sia anche una fratellanza tra noi, un comune sentire".

Anche D'Alema boccia gli appelli all'unità del centrosinistra: "Sono tardivi e non accompagnati da scelte politiche e programmatiche conseguenti. Renzi - sottolinea - aveva detto che noi eravamo elettoralmente irrilevanti, quindi questi appelli contraddittori". "La gran parte degli elettori che voteranno per noi, non voterebbero per i candidati del Partito Democratico, quindi noi non portiamo via nulla a loro. Aggiungiamo, recuperiamo persone che altrimenti non voterebbero per il Pd", conclude D'Alema.

Sul palco tre vele di colore giallo, blu e rosso, compaiono su un maxischermo accanto alla scritta: "C'è una nuova proposta".

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, attacca citando il caso della bandiera neonazista esposta a una finestra di una caserma dei carabinieri a Firenze. "La destra - dice - si è lanciata nella costruzione di una rivoluzione liberista, dei Reagan, della Thatcher e oggi dei Trump. Ma hanno concimato il terreno su cui oggi crescono i fascisti. Che nell'ufficio di un Carabinieri venga appesa la bandiera nazista, ci dice di quanto dobbiamo alzare l'attenzione".

"Ringrazio la Cgil - ha detto in un altro passaggio - che ieri è scesa in piazza per difendere le persone e il loro diritto ad avere una pensione che in Italia sono un problema, soprattutto per i giovani, umiliati due volte". "La questione giovanile - aggiunge - è la vera emergenza di questo Paese. Con Pippo Civati e Roberto Speranza abbiamo dato vita a un rapporto vero di fratellanza per costruire uno spazio democratico, per fare un passo indietro nel nome dell'unità e dell'umiltà".

Il presidente del Senato Pietro Grasso, che chiuderà i lavori e prenderà la guida del nuovo soggetto, è stato accolto da un caldo applauso e una standing ovation al suo arrivo: tutti in piedi i dirigenti, da Massimo D'Alema a Pier Luigi Bersani, e i delegati del nuovo soggetto, che dovrebbe chiamarsi Liberi e uguali.

L'attesa - ha detto Grasso a margine dei lavori - "è una bella cosa. Ci proietta verso qualcosa di positivo". E si ferma a salutare diversi dei delegati seduti nelle prime file, da Massimo D'Alema, che è in seconda fila, a Claudio Fava e Nichi Vendola. Defilato Pier Luigi Bersani, che siede in sesta fila. In platea si vedono, tra gli altri, Vincenzo Visco, Gavino Angius, Fabio Mussi, Alfredo D'Attorre, Federico Fornaro, Miguel Gotor, Stefano Fassina, Loredana De Petris, Arturo Scotto.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2017/12/03/sinistra-allatlantico-nasce-lista-applauso-accoglie-grasso_bfa05cc2-c60d-4199-a483-be551f50c334.html


Titolo: Elezioni, D'Alema: "Lunare pensare che il Pd vinca le elezioni"
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 27, 2018, 05:46:33 pm
Elezioni, D'Alema: "Lunare pensare che il Pd vinca le elezioni"

L'esponente di Liberi e uguali ospite di Circo Massimo su Radio Capital: "Prodi compagno che sbaglia aiutando i Dem"

19 febbraio 2018

ROMA - "È lunare pensare che possa vincere il Pd". Il pronostico di Massimo D'Alema, ospite di Circo Massimo su radio Capital, è chiaro. Alle prossime elezioni nessuno otterrà la maggioranza, nemmeno il centrodestra. "Io voglio ricostruire un centrosinistra unito innanzitutto al suo popolo dal quale ci siamo divisi" spiega l'esponente di Liberi e uguali. "Gran parte delle persone che incontro - continua -  voteranno centrodestra o M5S, nel Mezzogiorno è prevalentemente così. Trovo malessere, disagio e rabbia contro chi ha governato, attuando "una politica sbagliata e inconsapevole del grado di difficoltà che c'era nel paese", aggiunge. Per l'ex premier, "il Pd "pagherà il prezzo alla legge elettorale che ha fatto" anche con l'obiettivo di "schiacciarci".

L'ex ministro degli Esteri risponde poi a Romano Prodi che ha definito "compagni che sbagliano" coloro che hanno lasciato il Pd. "Io penso lo stesso di lui", esordisce D'Alema. Diciamo la verità, non si può votare Gentiloni - afferma - la legge elettorale, che è scandalosa e che Gentiloni ha imposto con otto voti di fiducia, prevede che ci sia il Pd e il capo del Pd, che si chiama Matteo Renzi. Se ci fossero dubbi su questo Renzi ha fatto liste con stile padronale... Quindi non si vota per Gentiloni ma per Renzi. A Romano dico con grande amicizia che dicendo che vota "Insieme", in realtà voterà per Casini e per Renzi, e ritengo che non sia utile né al Paese né al centrosinistra". Oltretutto, aggiunge D'Alema "Se il Pd perde le elezioni mi pare difficile dare l'incarico a Gentiloni".

Quanto al M5s, D'Alema ammette di avere pregiudiziali solo nei confronti dei "fascisti" e "i Cinquestelle non li considero tali". Ma precisa: "Certo se governassero farebbero sfracelli". Poi spiega: "Io cerco di contendere al M5s il consenso dei cittadini, i Cinquestelle si alimentano della protesta dei cittadini ma non hanno una visione del futuro del Paese né una classe dirigente, non mi pare una prospettiva per l'Italia".

© Riproduzione riservata 19 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/02/19/news/massimo_d_alema_circo_massimo_radio_capital-189203764/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1


Titolo: Stefano Cagelli. La frattura è sempre e solo una: con il Pd o contro il Pd
Inserito da: Arlecchino - Aprile 13, 2018, 04:16:56 pm
Focus
Stefano Cagelli - @turbocagio

14 febbraio 2017

Tutti i dubbi (e i rischi) della galassia a sinistra del Pd
Una miriade di movimenti e partiti prova ad organizzarsi.
La frattura è sempre e solo una: con il Pd o contro il Pd

O con Renzi o contro Renzi. Una sinistra di governo o una Linke solo di lotta. E’ questa la linea di frattura che divide il campo largo di tutte quelle forze che si collocano alla sinistra del Pd (sia interne che esterne). Una galassia che più passa il tempo più appare nebulosa e confusa e che un’eventuale scissione della minoranza dem – paventata con sempre più insistenza in vista della decisiva Assemblea di domenica – non farebbe altro che aggravare.

La dimostrazione plastica sta nella rottura, già avvenuta, all’interno di Sinistra Italiana, ancor prima del suo Congresso fondativo, fissato per il prossimo weekend a Rimini. Da una parte Arturo Scotto, che guarda a “tutti gli interlocutori naturali per costruire il nuovo centrosinistra”, da D’Alema a Pisapia, dall’area vicina alla Cgil fino alla sinistra Pd. Dall’altra parte quello che è rimasto il candidato unico alla guida del partito appena nato (che, come fa notare lo stesso Scotto, ha meno della metà degli iscritti che aveva Sel) Nicola Fratoianni, insieme a Stefano Fassina, contrario a qualsiasi apertura.

Proprio attorno alla nuova proposta politica di Giuliano Pisapia e Laura Boldrini (‘Campo progressista’, oggi a battesimo a Milano) ruotano gran parte delle manovre a sinistra. L’ex sindaco di Milano – sostenitore del Sì al referendum costituzionale – non ha mai nascosto che il suo obiettivo è quello di riunire il centrosinistra attorno ad un’alleanza strutturale con il Partito Democratico, considerata l’unica che possa dare una qualche possibilità di vedere la sinistra al governo del Paese.

Molto di quel che vedremo nelle prossime settimane dipenderà da due variabili fondamentali. In primo luogo occorrerà capire (e succederà presto) se la scissione del Pd avverrà o meno. E poi sarà decisiva la legge elettorale con la quale si andrà a votare. Al momento, il premio di lista – e non di coalizione – alletta quelle forze che vedono nell’impalcatura proporzionale del sistema la possibilità di una reunion tra il Pd e le forze alla sua sinistra. L’obiettivo, in questo caso, sarà quello di creare una lista in grado non solo di superare la soglia di sbarramento del 3% e garantirsi qualche seggio in Parlamento, ma anche di pesare in termini di alleanze post-voto.

Dice ancora Scotto: “Pensiamo a un proporzionale che consenta poi di costruire delle alleanze senza premio di coalizione”. L’idea, caldeggiata dentro il Pd da Gianni Cuperlo e fuori dal Pd da Massimiliano Smeriglio, Ciccio Ferrara e Marco Furfaro, è quella di riunire sotto la stessa bandiera – o, più sobriamente, nella stessa lista – una quantità di forze sufficiente per puntare ad un buon risultato significativo alle urne.

Ma l’impresa non sarà facile. Data per certa la disponibilità di Pisapia (e l’indisponibilità di Vendola e dell’ala indipendentista di quel che resta di Sinistra Italiana), resta ancora da capire cosa faranno gli eventuali “scissionisti” del Pd, a cominciare da Massimo D’Alema e il suo ‘ConSenso’ e Pier Luigi Bersani. Certo, l’idea che i due – con relative truppe – lascino il Pd in polemica con Renzi per poi allearcisi dopo le elezioni non sembra verosimile. Stesso discorso vale per Pippo Civati e ‘Possibile’. “Se Pisapia e chi aderisce al suo movimento – ha detto il deputato brianzolo – vogliono fare la stampella di sinistra del Pd renziano, noi non ci siamo. Se invece intendono proporre una lista senza il Pd, allora possono contare sul nostro appoggio”.

Un ragionamento che non fa una piega ma che non esaurisce il tema di fondo: posto che questa lista difficilmente raggiungerà il 40% dei voti per ottenere il premio di governabilità fissato dall’Italicum modificato, chi potrebbero essere gli interlocutori per non “morire” di irrilevanza e per costruire un’alleanza di governo? Le risposte a questa domanda, quando e se arriveranno, ci diranno molto di quale sia la strada che si profila davanti all’eterogenea sinistra italiana.

Da - http://www.unita.tv/focus/tutti-i-dubbi-e-i-rischi-della-galassia-a-sinistra-del-pd/


Titolo: Sinistra, dopo la sconfitta di Leu D'Alema vola a Pechino per celebrare Marx
Inserito da: Arlecchino - Maggio 15, 2018, 05:44:25 pm
Sinistra, dopo la sconfitta di Leu D'Alema vola a Pechino per celebrare Marx

L'ex premier interviene al secondo congresso mondiale sul marxismo organizzato a Pechino dalla Peking University

Di MATTEO PUCCIARELLI
10 maggio 2018

Peking University di Pechino, secondo congresso mondiale sul marxismo, organizzato lo stesso giorno dei 200 anni dalla nascita di Karl Marx. Trecento studiosi e ricercatori per parlarne arrivati da tutto il mondo. "In Marx ritroviamo il rigore di un metodo e la forza di una passione che deve spingerci a non arrenderci allo "stato di cose presenti" e a lottare incessantemente per trasformare la realtà e costruire il futuro", si chiude così la relazione di Massimo D'Alema, uno dei tre italiani invitati all'evento cinese.

Un intervento da 20mila battute, praticamente un saggio, nel quale l'ex presidente del Consiglio è partito dal crollo del muro di Berlino, passando per il trionfo del neoliberismo e successiva crisi economica, per arrivare all'oggi: "Se volessimo utilizzare una parola antica dovremmo dire che c'è bisogno di un nuovo internazionalismo, un tratto distintivo del movimento operaio fin dalle sue origini che, tuttavia, si è paradossalmente spento proprio quando il capitalismo si è fatto internazionale trovandoci impreparati e impotenti. Oggi nessuna sfida può essere vinta senza ristabilire un primato della politica sull'economia rovesciando il dogma neoliberista. Spetta alla politica, infatti, dare le risposte che il mercato non è in grado di dare".

Un D'Alema in versione red passion, insomma. Anche se l'esperienza "radical" di Liberi e Uguali fortuna, va detto, non gliel'ha portata. Forse anche perché proprio lui in Italia fu uno degli alfieri della Terza via blairiana, cioè il tentativo della sinistra di "mitigare" gli istinti del libero mercato. Dopo la fine dell'Unione Sovietica, "la globalizzazione economica si è sviluppata impetuosamente sotto il segno di una visione sostanzialmente acritica e apologetica del capitalismo. Bisogna riconoscere - ammette infatti D'Alema - che anche la sinistra ha subito l'influenza di questa cultura e che essa si è manifestata in modo particolare nella elaborazione della cosiddetta Terza via".

Ma il D'Alema che si riscopre marxista non abbraccia comunque il leninismo: "Per Marx lo stato moderno è caratterizzato dalla contraddizione insanabile tra uguaglianza giuridica e disuguaglianza concreta sul piano dei rapporti di produzione, sul piano sociale ed economico. Da ciò il suo radicale rifiuto della tradizione liberale e democratica, fino alla concezione utopistica del superamento dello Stato come condizione di una effettiva uguaglianza tra gli uomini. Questa visione marxiana è stata in parte travisata e cristallizzata nella ortodossia marxista-leninista che ha costituito l'ideologia del socialismo reale nell'Unione sovietica e nell'Europa orientale.
Con gli esiti fallimentari che conosciamo".

Però allo stesso tempo, ragiona il lider maximo, "tutta l'esperienza teorica e pratica del socialismo e della sinistra nell'Occidente europeo ha rifiutato la contrapposizione tra uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale cercando invece di andare oltre la tradizione liberale attraverso una integrazione fra diritti formali e promozione attiva della integrazione sociale e della riduzione delle diseguaglianze. È evidente tuttavia che pure muovendo in una direzione diversa - e cioè cercando di combinare socialismo e democrazia - la sinistra europea ha comunque preso le mosse dalla critica marxiana dei limiti della uguaglianza formale". E quindi "oggi, di fronte agli sviluppi del capitalismo contemporaneo questa critica mantiene tutto il suo significato e, per molti aspetti, ci appare più che mai attuale".
 
 © Riproduzione riservata 10 maggio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/05/10/news/sinistra_dopo_la_sconfitta_di_leu_d_alema_vola_a_pechino_per_celebrare_marx-195989622/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.4-T1