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Autore Discussione: Un pamphlet di Sofri attacca la crociata anti-aborto di Ferrara.  (Letto 3547 volte)
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« inserito:: Marzo 14, 2008, 09:14:30 am »

Io, Giuliano e le donne

di Wlodek Goldkorn


Un pamphlet di Sofri attacca la crociata anti-aborto di Ferrara.

E la sua visione del mondo femminile.

Colloquio con Adriano Sofri.


Adriano Sofri, confinato nella sua casa a Impruneta, pensa che questa volta "Giuliano l'ha fatta grossa". Giuliano è Ferrara, direttore del 'Foglio', amico di Sofri da oltre trent'anni e la cosa 'grossa' è la sua crociata contro l'aborto che mina ogni idea di sessualità felice. E così Sofri ha scritto un libro intitolato 'Contro Giuliano. Noi uomini, le donne, l'aborto', in uscita in questi giorni da Sellerio. Si tratta di un testo militante, di parte, e in cui non si fanno sconti all'avversario. In questa intervista Sofri vuole partire però da una premessa: "Anche chi non può vedere Giuliano dovrà riconoscergli, in un corpo da elefante, se non da Sancho Panza, un'anima donchisciottesca. In questa crociata è riuscito a isolarsi non solo dai suoi supposti partner politici, ma dalla stessa ufficialità della Chiesa. È vero che il papa, così impetuosamente corteggiato, nell'incontro al Testaccio gli ha detto: 'Finalmente', ma non si può escludere che, al primo scarto, arrivi una Bolla pontificia con quel famoso incipit: 'Un cinghiale è entrato nella vigna del Signore'". Ma subito dopo Sofri entra in polemica: "Giuliano è convinto che la nostra società si divida in due, di qua il mondo femminista e libertario, di là il mondo familista e cattolico, e lui ha passato le linee, ha lasciato il suo mondo d'origine e ha trovato casa nel nuovo mondo. E quando si ripudia un mondo, si è tentati di calunniarlo. Così Giuliano ha scritto che 'le donne non sono solo quelle coi capelli tinti di viola, i tacchi alti, e il grido dell'ideologia sempre in gola'. Il grido dell'ideologia è allarmante da qualunque parte provenga, ma i tacchi alti e i capelli viola (non è la fata turchina?) possono essere una meraviglia".

Cominciamo dall'inizio. Perché va difesa la legge 194?
"La 194 è il confine di qua dal quale si può cominciare a discutere. Anche Ferrara ripete di non volerla toccare, benché sottovaluti che l'apparente rassegnazione della gerarchia cattolica nei confronti della legge è solo questione di rapporti di forza: quando l'aria cambiasse, ne farebbero un solo boccone. Io provo a immaginare l'autodeterminazione di ogni donna, rispetto allo Stato o agli uomini o alle altre donne, come una inviolabile questione di sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, e fino a quando la creatura che cresce dentro il corpo della madre non se ne sia staccata, non c'è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale. L'ingerenza umanitaria sa che la sovranità di uno Stato o di qualunque corpo sociale non esaurisce in sé i suoi cittadini individui. Madre e nascituro sono invece due e tutt'uno: come non succede in nessun'altra circostanza. L'Habeas corpus, se non si riconosce questo, non è un vero diritto, ma un privilegio dei maschi per i maschi".

Una donna in piazza per l'8 marzoLei accusa Ferrara anche di poca eleganza...
"Di indelicatezza, che a lui sembra franchezza. Non è solo affare di tono, ma di sostanza. L'aborto, proclama, è omicidio. Allora, gli chiedi, le donne che abortiscono sono assassine? No, protesta lui, assassini siamo io, tu, la società. Ma questa che nelle sue intenzioni è indulgenza - c'è l'omicidio, ma non c'è l'assassina - si traduce in un'espropriazione. Le donne, già recipienti passivi delle nuove vite da dare ai loro uomini, finiscono per essere tramiti irresponsabili della stessa vita mancata nell'aborto. Uccidono, ma non sono state loro: siamo 'io, tu e la società'".

Altra accusa. Dice che Ferrara ha abusato dei testi di Bobbio e di Pasolini.
"Nella passione della sua crociata Giuliano non esita ad arruolare testimoni autorevoli (e maschi) come Bobbio o Pasolini. Ma Bobbio, in un'intervista fin troppo citata, faceva l'errore di anteporre il diritto del concepito a quello della madre: se lo si accettasse, di fronte a una minaccia fatale per la vita della madre o del concepito si dovrebbe sacrificare la madre. Ciò che è impensabile per la legge e la morale, e può avvenire solo in casi eroici. Con Pasolini c'è un fraintendimento totale. Nel famoso articolo sul 'Corriere' in cui si diceva 'contro l'aborto', Pasolini si dichiarava per le stesse ragioni contro la nascita. La temerarietà di Pasolini - poco capita allora, e ignorata dall'uso del 'Foglio' - consisteva nel dire che la sovrappopolazione è la minaccia principale alla terra, e dunque bisogna opporsi alla sessualità riproduttiva, e di conseguenza dire la cosa che più lo bruciava: che il coito eterosessuale è il vero bersaglio politico, a vantaggio di una sessualità dissociata dalla riproduzione. Aborto? No grazie. Nascita? No grazie. Fate l'amore, purché non facciate figli".

La parola 'moratoria' è però suggestiva.
"È un furto con destrezza: era appena stata votata la moratoria sulla pena di morte, e Ferrara l'ha afferrata e l'ha girata all'aborto. Alla lettera, moratoria dell'aborto non significa niente: gli Stati possono sospendere le esecuzioni capitali, ma le donne non possono sospendere sine die gli aborti. Dunque si tratta di uno slogan suggestivo, ma niente più. Altra cosa è chiedere alla coscienza internazionale, e alle Nazioni Unite, la condanna delle demografie forzate di Stato, come la legge cinese del figlio unico, che sequestrano la volontà delle donne e delle famiglie, decretano l'abolizione di sorelle e fratelli, spingono a sopprimere le nuove nascite femminili, in ciò aggiungendosi a una cultura patriarcale e maschilista sempre in auge".

Quindi Ferrara pone un problema reale.
"Giuliano fa l'errore di mettere sullo stesso piano la libertà personale delle donne, che è il distintivo più prezioso delle democrazie, e l'invadenza brutale dello Stato che sottomette i corpi dei cittadini, e fisicamente delle donne, alla tirannide del corpo sociale. Una mobilitazione contro la demografia coercitiva e la persecuzione delle bambine è un compito urgente e meraviglioso, e unirebbe le persone oltre le demarcazioni di partito o di confessione. Il nome mediocre di moratoria non sarebbe all'altezza di un così bel programma. Sarebbe bello un titolo come: 'Il mondo salvato da una bambina'".

Ferrara si immagina donna...
"È vero che la crociata di Ferrara ha costretto a pensare a cose rimosse per abitudine. Ed è vero che dello scandalo dell'aborto lui parla da vent'anni almeno. Però lo fa, anche quando racconta le sue esperienze personali, annullando la distanza fra l'aborto immaginato degli uomini e quello vissuto delle donne. Dice: 'C'è un bambino nella mia pancia'. Ma noi uomini non abbiamo un bambino nella pancia, e non riusciamo a figurarci di averlo. Una mia amica mi ha detto: 'Quando si parla di queste cose, voi uomini vi identificate col bambino, noi donne con la madre. Eppure nessuno ama il bambino come la madre'. Nell'episodio dell'ospedale napoletano questo è stato così chiaro! Giuliano si è dato meno pensiero della violazione del corpo e dell'anima di una donna già in una condizione di dolore e debolezza, e ha fatto propria la causa del feto: 'Napoli, ucciso bimbo perché malato'. E in questa identificazione, si è spinto a figurarsi malato di quella sindrome di Klinefelter, e ha certificato i propri testicoli piccoli, le proprie mammelle grandi: 'Sono pronto a mostrarvele'. Ma questo sconfinamento generoso è un'appropriazione indebita. Tant'è vero che Giuliano non ha nessuna sindrome di Klinefelter: ha le palle piccole e le tette grandi, ne siamo capaci tutti".

Però c'è rapporto tra eugenetica e aborto.
"Certo che esiste il problema della selezione capricciosa delle qualità dei nascituri. La protezione e la simpatia per la debolezza è il cuore della civiltà. Ma si amano le persone, non la malattia".

Lei non crede neanche alla possibilità di conversione.
"Quella di Ferrara si dichiara come una conversione, 'non ancora' religiosa, ma sì di vita, e un appello alla conversione altrui. Su questo terreno minatissimo, ho un paio di obiezioni, o di dubbi. La conversione è una rivoluzione, la più auspicabile delle rivoluzioni, e forse l'unica possibile. È possibile una specie di 'conversione permanente', una velleità di conversioni che cerca di volta in volta la sua occasione? Ed è possibile restare per tutta una vita il Davide di qualche Saul, senza mai diventare il Davide di se stessi? Giuliano può replicare che questa è la volta vera, e che l'aborto è lo scandalo supremo della nostra epoca. Io non riesco a credere nemmeno questo. Una bambina, un bambino che viene al mondo è la cosa più bella, ma un embrione abortito non è la cosa più brutta - se mai si volessero fare paragoni -: la cosa più brutta è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto di sua madre".

(13 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 15, 2008, 12:22:16 pm »

Caro Ferrara, sull’aborto sbagli di grosso

Adriano Sofri


Caro Giuliano,

quando proclami - a voce altissima, perentoria - che l’aborto è lo scandalo supremo del nostro tempo, io non ci credo. Mi fermo, ci penso. Ma non riesco a crederci. E non solo per ragioni, chiamiamole, comparative: i genocidi che si compiono senza tregua sulla terra, gli sterminii per fame e malattia e abbandono, le guerre... Una bambina, un bambino che viene al mondo è la cosa più bella, ma un embrione abortito non è la cosa più brutta.

La cosa più brutta è un bambino nato che muore di fame o di abbandono o di violenza, che si aggrappa al seno vuoto di sua madre.

Non solo non ci credo, ma sono offeso. Mi offendo quando sento paragonare l’aborto alla Shoah. La strage degli innocenti, il miliardo di uccisi. Forse non voglio crederci perché è troppo enorme, e io pusillanime? Quando leggo al primo punto del tuo programma l’intento di fissare per legge l’universale «dovere di seppellire tutti i bambini abortiti nel territorio nazionale, in qualunque fase della gestazione e per qualunque motivo» (e quei «bambini» comprendono gli embrioni crioconservati e inibiti alla ricerca) io mi sento di fronte a una provocazione fanatica o superstiziosa. Forse, com’è avvenuto per altre barbarie, sono accecato dal pregiudizio del mio tempo, o dalla corruzione della consuetudine, e però verrà un giorno in cui noi tutti non ci saremo, e si guarderà al nostro tempo e all’aborto con il raccapriccio che noi tutti riserviamo oggi allo schiavismo o allo sterminio dei popoli indigeni o alla Shoah. Non lo escludo affatto. Mi interrogo, e vacillo. Forse un giorno un monaco dalla testa rasata, suonatore di arpa birmana, si chiederà perché tanta distruzione sia caduta sul mondo, e percorrerà la terra per dare sepoltura ai resti degli umani non nati, compresi quelli che oggi chiamiamo rifiuti speciali ospedalieri. Ma perché si possa sentire così, l'umanità dovrà aver compiuto passi giganteschi. Dovrà essere diventata capace di conoscere e distinguere senza distrazioni e brutalità la sessualità rivolta all'amore o al piacere, dalla sessualità e dall’amore volti a far nascere figli. Chissà se esisterà mai un’umanità così, e se valga la pena di desiderarla, e se scienza e tecnica non si incaricheranno di dirottarla su una strada che renda derisori questi pensieri. Ma è il disordine del mondo, la sua insuperata preistoria a impedirmi la semplificazione, l’ammucchiata lugubre che ti fa pronunciare la tua classifica e il tuo record: Il Miliardo, da Marco Polo dei mattatoi. Il paragone con la Shoah (chiunque lo pronunci, anche il bravo Giovanni Paolo II) è pazzia: e cattiva retorica anche, che non innalza la tragedia dell’aborto a quella della Shoah, ma abbassa questa al rango del pulviscolo di cinismi, leggerezze, disgrazie, abitudini, violenze. Non riesco a estrarre l’aborto dalla congerie di delitti sventure e fallimenti, non riesco nemmeno ad astrarre L’Aborto dagli aborti. È quello che fai tu, o il tuo scrupoloso e ispirato capo contabile Socci, e intanto rimproveri altrui di sbandierare La Donna a scapito delle donne.

Chissà, forse hai ragione. Tuttavia, anche se avessi ragione, hai torto. Perché hai eccitato e guadagnato applausi di una parte e rabbia di un’altra. Le parti sono rimaste quelle di prima: solo più distanti e più impazienti. (...)

* * *

C’è un testo di Carla Lonzi che torna a essere citato ogni volta, benché risalga al 1971, e ogni volta ci mette in un brutto imbarazzo, noi vecchi, tanto più se ci ricordiamo come pensavamo e agivamo nel 1971. «L’uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire. Ma la donna si chiede: per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?».

Oggi tu rinfacci alle femministe di vantare l’aborto come «un diritto». Le femministe - categoria impropriamente generica, ma per capirci - ti rinfacciano che non hanno mai pensato all’aborto come a un “diritto”. «Le femministe non hanno mai detto che l’aborto è un diritto, ma anzi, qualcosa che “esula dal territorio del diritto”» (Eugenia Roccella). Anna Rossi Doria, riflettendo sulla politicizzazione che aveva inevitabilmente preso la battaglia per l’aborto, mostrandolo come «una sorta di diritto civile, un obiettivo di progresso contro la reazione che lo combatteva», parlò della lacerazione fra «la gioia collettiva dei festosi cortei e il dolore individuale dell’esperienza dell’aborto».

Naturalmente, anche questo del diritto può diventare un futile gioco di parole. Ma è vero che la depenalizzazione dell’aborto non riguardava il diritto, e caso mai la sua sottrazione alla sfera del diritto rovesciato, della criminalizzazione. Il linguaggio del diritto a volte promette una certezza e una precisione che non saprà mantenere, e che elude la sostanza. Tu ti indigni se l’aborto viene chiamato diritto, come per esaltarne un pregio, mentre per lo più si tratta di un modo di avvertire che la donna che abortisce non dev’essere perseguitata. Si può uccidere per legittima difesa, ma non si proclamerà che uccidere qualcuno è un diritto, né se ne caverà gioia. Al linguaggio giuridico ti affidi tu, invece, a corpo morto, a proposito del “diritto alla vita”. Il quale è, quanto alla sostanza, il primo dei diritti. Se vuole prendere una forma troppo stringente e tassativa, come nella dichiarazione del diritto alla vita “dal momento del concepimento”, diventa una trappola, contrastando e soverchiando il diritto della madre. Quanto sia complicata questa definizione, e a quali offensivi paradossi logici e morali porti, è facile vedere se appena ci si accosti alla letteratura cosiddetta bioetica, nuova versione della passione e del cinismo casuistico. (Io ci ho provato con il compendio di teorie “bioetiche” di Massimo Reichlin, Aborto. La morale oltre il diritto, Carocci 2007, e ne sono uscito intontito). Io non negherei mai il diritto alla vita del concepito, ma non saprei avventurarmi nella sua fissazione giuridica. Che non sia ancora nato, che non sia ancora persona, e quando lo diventi, mi pare argomento secondario e sfuggente. Sono persuaso che bisogni far tesoro anche della responsabilità verso le generazioni future, e riconoscerne sostanzialmente il diritto, benché le generazioni future non esistano nemmeno in embrione, e nessun codice ritenga tecnicamente titolari di diritti dei soggetti che non sono vivi, e che forse non lo saranno mai.

Tu chiedi il «diritto alla vita, dal momento del concepimento»: che però non ha pressoché niente a che fare con leggi come quella del figlio unico, con la confisca del corpo singolare delle donne in nome del corpo sociale, da parte dello Stato, e, una volta proclamato, può tutt’al più offrire un pretesto ai tentativi di rendere illegale e dunque clandestino l’aborto. Perché non chiedere all'Onu di stabilire che: «Nessuna donna può essere obbligata per legge ad avere figli o a non averne, né in quale numero e di quale sesso averli, né ad abortire o a non abortire»?

Il testo è tratto dal libro di Adriano Sofri «Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto» (Sellerio editore) da oggi in libreria


Pubblicato il: 14.03.08
Modificato il: 14.03.08 alle ore 13.35   
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:45:47 am »

CRONACA

Reportage/Le donne indagate in rivolta: "Viviamo un dramma e vogliono linciarci"

Le vite delle pazienti del ginecologo suicida raccontano storie diverse

La gogna di Genova per gli aborti proibiti

di CONCITA DE GREGORIO


GENOVA - Sì è vero, questa sembra una storia di piani alti. Di ipocrisia e di menzogna: un suicidio per la vergogna, otto imbarazzi da eliminare in fretta e di nascosto, pagando e senza dire niente a casa. Uno scenario di palazzetti ottocenteschi coi capitelli di marmo, di grattacieli e di condomini esclusivi con le grate alle finestre e il citofono che non porta cognomi ma numeri. Suonare al quattro, chiedere del dottore. "Centro polifunzionale" c'è scritto fuori dalla porta dello studio dove si abortiva a Rapallo, undicesimo piano del grattacielo.

Polifunzionale, che vuol dire? Poi però vai a vedere da vicino e l'insegna alla porta è attaccata storta con la colla, l'ascensore è rivestito di formica come le cucine economiche degli anni Cinquanta, il cemento del palazzo è rosso di ruggine che cola, al piano terra c'è la Upim. Un posto sdrucito, un brutto posto. L'altro studio, quello a Genova in centro, sembra austero ma è sciatto: pareti scrostate, scale sporche. Un posto grigio, un palazzo di uffici qualunque.

È tutto così, opaco e difficile da mettere a fuoco: i luoghi e le storie. Si è detto "una faccenda della Genova bene". Signore agiate e annoiate che abortivano a pagamento nello studio del medico famoso, obiettore in pubblico e compiacente in privato, cinquecento o mille euro e via il fastidio. Bovary di provincia tradite da una distrazione dell'amante. Commesse che non volevano avere nausee nell'imminente viaggio alle Maldive. Starlette televisive che eliminano il figlio per partecipare al prossimo show. Ecco di seguito i manifesti del nuovo partito di Giuliano Ferrara, difatti: "Genova, bimbo abortito per un reality show". Ecco lo slogan da affiggere alle pareti dei palazzi del centro e delle cliniche incriminate: "Abort macht frei", l'aborto rende liberi, Genova la nuova Auschwitz.

Genova la capitale dell'aborto clandestino, un suicidio e otto aborti facili da sbandierare in una campagna elettorale che non si fa scrupoli. Del resto il capitano dei Nas che ha avviato le indagini l'ha chiamata "operazione Erode". Era ottobre dell'anno scorso, la moratoria di Ferrara non c'entra: il titolo è stata un'idea sua e non è difficile immaginare cosa abbia pensato Ermanno Rossi il ginecologo quando ha letto l'intestazione del fascicolo. La strage degli innocenti. Erode in questa storia chi è?

La realtà però sa essere più complessa degli slogan. Non ci sono Bovary né commesse in procinto di andare alle Maldive fra le otto donne indagate per aver abortito: tutte entro i 90 giorni ma fuori dall'ospedale pubblico come la legge prevede. Non c'è nemmeno la starlette che doveva andare al reality show. Susanna Torretta era la giovane amica della contessa Agusta, testimone della sua morte nella villa di Portofino. Ha avuto qualche momento di notorietà televisiva, ha partecipato all'Isola dei famosi nel 2003. Oggi vive a Rapallo, è impiegata in una profumeria, ha 37 anni.

"Non è bastato che si sia buttato di sotto il dottore, vogliono che mi ci butti anche io. Questo è un linciaggio ma non ce la faranno. Hanno inseguito mia madre fino dentro al supermercato, ieri sera si è sentita male. I miei nipoti piangono mi chiedono cosa ho fatto. Una pressione micidiale. Il dottor Rossi era il mio ginecologo da 12 anni. Una persona magnifica, mi fidavo ciecamente. Se mi avesse detto prendi l'arsenico per il mal di pancia lo avrei preso. L'ho chiamato sabato per un appuntamento, sono stata sentita dal magistrato perché ero nella sua agenda. Sono anni che non faccio tv e non ho in programma di farne più: è una storia passata. Se quella dei manifesti sono io dico che questa è istigazione al suicidio. Non ho abortito per andare in tv e se qualcuno mi chiede cosa sono andata a fare dal mio ginecologo rispondo che sono fatti miei. Sono a posto con la mia coscienza".

"Tirano fuori la storia della contessa ma io non sono mai stata incriminata per la sua morte, ero una sua amica, non ho avuto niente in eredità. Sono dieci anni che mi mettono alla gogna. Alla domanda se ho abortito o no non rispondo, è vergognoso farla. Però le dico: molte persone non sanno che quel che si può fare in ospedale è vietato in un ambulatorio. Se lei deve fare un'ecografia può aspettare sei mesi in ospedale o andare il giorno dopo da un privato e pagare duecento euro. È una colpa? Oppure è vero che si dovrebbe anche, e non si può, poter andare in ospedale in tempi decenti? Rossi non c'è più. Ha pagato lui. Quelli che strillano sono gente che libera i criminali e lapida le persone per bene".

La seconda donna indagata, la presunta Bovary amante di un uomo sposato, è una ventottenne di Sestri Levante. È andata a Rapallo perché quello era il suo medico. Anche lei non sapeva, dice, che abortire in un centro privato fosse illegittimo. "Col mio ragazzo è finita. Quando ho scoperto di essere incinta non me la sono sentita. Abbiamo rotto molto male, soffro già abbastanza, non credo di dovere spiegare a nessuno. Scusatemi". Rossi non le ha fatto pagare niente, dice. Solo la visita.

La terza è l'assistente del medico. La quarta una donna di 35 anni, impiegata in un'azienda privata, madre di due figli. "Sono stata senza lavorare otto anni, da quando è nato il mio primo figlio finora. Avevo ricominciato da sei mesi con un contratto di collaborazione. Mi hanno detto subito che non me lo avrebbero rinnovato se fossi rimasta incinta. Il mio secondo figlio è piccolo. Non ce la facevo, non ce la faccio a restare un'altra volta senza lavoro. Mio marito mi ha accompagnata dal medico. Era d'accordo". La quinta e la sesta sono le due donne che hanno subito un raschiamento nella clinica delle suore, villa Serena: ufficialmente un raschiamento dopo un aborto spontaneo, le indagini diranno. Delle ultime due donne nulla si sa. C'è il medico, poi.

Ermanno Rossi - ginecologo del Gaslini, ospedale cattolico dove non si praticano aborti - lunedì sera dopo aver subito la perquisizione dei Nas è tornato a cena a casa, a Genova. Un condominio rosa in fondo a una strada senza uscita, grate alle finestre e numeri al citofono. Ha pranzato con la moglie, avvocato, e col figlio undicenne. Alle nove è uscito ancora, è tornato allo studio di Rapallo. È salito da solo nell'ascensore di formica, ha aperto la porta con l'insegna storta. Ha mandato un sms alla moglie: "Le chiavi della macchina sono in garage, dentro la borsa rossa quella che non ti piace. Scusa di tutto". Poi ha aperto la finestra dell'undicesimo piano e si è buttato.

Da qui di sotto, nel vicolo, si vedono solo - piccoli come giocattoli - i cassonetti dell'immondizia circondati da una grata. Si è buttato sulla spazzatura. Per cadere dall'undicesimo piano ci vuole molto tempo, quasi dieci secondi. Bisogna contare per capire. Stamani attaccati ai cassonetti ci sono sette mazzi di fiori, tutti bianchi. Un biglietto dice "Grazie Ermanno". Suo cognato, Pietro Tuo, è primario al Gaslini. "Non so se Ermanno fosse obiettore, non ne abbiamo mai parlato. Non ricordo se vent'anni o più fa, per prendere servizio in quell'ospedale, avessimo dovuto firmare un documento. Davvero non ricordo ma non mi pare. Non si pone il problema, al Gaslini le interruzioni non si fanno e basta. Escludo che Ermanno ne facesse in ambulatorio per denaro. Non ne aveva bisogno. So per certo che parlava molto con le sue pazienti e che le aveva a cuore una per una. L'inchiesta dirà quel che deve. D'altra parte, operazione Erode, lei capisce...".

Le donne incriminate, avendo tutte abortito nei termini di legge, rischiano 51 euro di multa. Ermanno Rossi, se fosse vivo, avrebbe dovuto rispondere di un illecito che prevede come pena massima tre anni. Avrebbe forse perso il lavoro al Gaslini, a discrezione della direzione sanitaria. Avrebbe anche dovuto spiegare a suo figlio, prima o poi, chi fosse Erode. Il magistrato che indaga, Sabrina Monteverde, spiega che questo è il filone secondario di un'inchiesta più ampia "sui medici genovesi". Agli aborti si è arrivati per caso, nessuna denuncia del Movimento per la vita: una semplice intercettazione e si è aperto il nuovo fascicolo. E l'inchiesta principale di che tratta? Tangenti, favori, traffici illeciti, cosa? È ancora presto, nessun commento: serve tempo.

Nell'ufficio accanto, in Procura, ci sono i fascicoli su Bolzaneto. In quello più in là c'è il magistrato che si occupa della corruzione al porto. Di aborti a Genova nessuno parla volentieri: un tema minore. Giusto il nuovo sindaco, Marta Vincenzi, aveva denunciato mesi fa la lentezza degli ospedali pubblici e il gran numero di obiettori di coscienza. I due ospedali principali sono della Curia, del resto. Oggi poi è sabato e si va a passeggio in centro, ci si distrae. Nell'antico caffè accanto alla cattedrale una coppia di coniugi discute col barista. "Quel pover'uomo", dice lui. "E poi basterebbe che le donne stessero più attente invece di pensarci dopo", dice lei. Che le donne stessero più attente, e arrivederci che comincia la messa.

(16 marzo 2008)

da repubblica.it
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