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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 332173 volte)
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« Risposta #510 inserito:: Ottobre 17, 2013, 11:25:16 am »

Buongiorno
17/10/2013

Tra cani e bambini

Massimo Gramellini

È una splendida mattina di ottobre a Torino, ideale per sguinzagliare i propri cagnoni senza museruola nei centralissimi giardini Cavour. Qualche passante forse di cattivo umore, forse vicino a Magistratura Democratica, o forse soltanto preoccupato dalla dentatura smagliante dei quadrupedi, telefona all’Autorità per reclamare il rispetto delle regole. L’Autorità si materializza dentro due divise da vigile urbano e sguaina il blocchetto delle multe in faccia agli accompagnatori dei cani, che non apprezzano. Sono italiani veri e dunque la prima reazione di fronte all’evidenza non è la serafica ammissione di responsabilità, ma la ricerca rabbiosa di un capro espiatorio, di un diversivo o almeno di un correo. 
In quei delicati frangenti, dalla vicina scuola elementare affiora una classe di terza. La capeggia una maestra che intende premiare i bimbi per un compito ben fatto, offrendo loro un quarto d’ora di ricreazione. Ligi alle regole, hanno lasciato sotto il banco i palloni di cuoio e maneggiano una pallina di spugna che profuma di legalità. Ma i padroni neo-multati dei doberman invocano la par condicio. Lì ci sono bambini che corrono senza guinzaglio né museruola: l’Autorità li punisca immediatamente. I vigili obiettano che la pallina di spugna è consentita dalla Costituzione dei Giardini, ma quelli si impuntano come dei Brunetta e minacciano di chiamare i carabinieri, scatenando una guerra tra i corpi dello Stato. Pur di evitarla i vigili si rassegnano a consegnare all’allibita maestra un verbale di cento euro. Il nostro commosso pensiero va a lei, alla pallina, ai cani e naturalmente ai bambini. Sugli altri bipedi è meglio sorvolare. 

http://lastampa.it/2013/10/17/cultura/opinioni/buongiorno/tra-cani-e-bambini-yTDglmfUmCntazpJKcOnKL/pagina.html
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« Risposta #511 inserito:: Ottobre 28, 2013, 08:44:13 am »

Buongiorno
26/10/2013

Un po’ d’olio, grazie
Massimo Gramellini

Nessun laboratorio riuscirà mai a isolare la sostanza che Augusto Odone e sua moglie Michaela utilizzarono per allungare fino a trent’anni la vita di Lorenzo, il bimbo colpito da una forma feroce di distrofia che la scienza ufficiale aveva già dato per perso. In suo onore lo si è chiamato Olio di Lorenzo, un miscuglio di essenze d’oliva e di colza che quei genitori a digiuno di medicina misero a punto nelle notti insonni, dopo avere accumulato ogni nozione possibile sulla malattia del figlio. Ma non è quell’olio, a cui pure in seguito è stata riconosciuta una qualche dignità scientifica, il miracolo dei coniugi Odone che continua a emozionarci. Il miracolo è la pulsione che li spinse a fare qualcosa di assolutamente folle, come improvvisarsi – lui economista, lei glottologa – scienziati potenziali. Se si fossero messi a elucubrare razionalmente i pro e i contro di una scelta simile, non si sarebbero neppure azzardati ad attuarla. Invece una forza assurda – una «mania divina» avrebbe detto Platone – si è impossessata di ogni fibra del loro essere. Ed è stata questa forma di follia, sublimata ma non sostituita dalla ragione, a trasformarli in creatori.

 

Augusto Odone ha raggiunto ieri, a 82 anni, la pianura fuori dal tempo dove passeggiano i suoi cari. Ma a me che, come tanti, comincio ogni giornata con pensieri di rabbia, rassegnazione e inadeguatezza, la sua storia continuerà a insegnare che con l’amore si può fare tutto e che tutto, nella vita, va fatto con amore.

Da - http://lastampa.it/2013/10/26/cultura/opinioni/buongiorno/un-po-dolio-grazie-BF0uql0n7Pmo4rCinXbFgN/pagina.html
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« Risposta #512 inserito:: Ottobre 28, 2013, 09:01:56 am »

BUONGIORNO
19/10/2013

La mossa del cavallo
MASSIMO GRAMELLINI

Visti da lontano dobbiamo fare una certa impressione: un Paese in mutande, e non per metafora, che la sera combatte l’ansia appassionandosi al romanzo sceneggiato di un plutocrate ottantenne (in questi giorni è in cartellone l’acclamata sottotrama saffica, protagoniste una bulgara e una napoletana). Visti da vicino, anzi da dentro, abbiamo una spiegazione che però non è una giustificazione: il desiderio di distrarsi è tipico dei depressi e la realtà procura tali bordate di angoscia che si preferisce guardare altrove. Persino l’indignazione si esercita meglio, se la si applica a un argomento piccante e grottesco. Provate a sorridere con il ministro del Welfare, che ammette come fra qualche anno potrebbero non esserci più soldi per le pensioni. Provate a ricaricarvi con un governo frigido, che attira il plauso dei potenti stranieri e il magone dei contribuenti italiani. 
Il saggio del Quirinale sostiene che il coraggio è cosa diversa dall’incoscienza. Ha ragione. Eppure oggi l’unica alternativa alla scelta perdente tra rimozione e rassegnazione (all’ordinaria amministrazione) consiste nel lasciarsi invadere da un pizzico di follia. Il declino economico rappresenta l’effetto, non la causa, di un declino psicologico che avanza da decenni. Siamo così avviliti che pur di non pensarci ci aggrappiamo ai pettegolezzi d’alcova su un vecchio o ai rimpianti per un passato che non tornerà. Non è più il tempo degli esecutori, questo, ma dei creatori. Alla vita pubblica, forse anche a tante vite private, servirebbe un gesto di rottura, un cambio di abitudini, una mossa del cavallo in grado di restituire significato alla parola futuro. 

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/19/cultura/opinioni/buongiorno/la-mossa-del-cavallo-Yl0XOeGuV3gDKUxyh5EGSM/pagina.html
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« Risposta #513 inserito:: Ottobre 28, 2013, 09:22:07 am »

Buongiorno
21/10/2013

Il colpo segreto di Maradona
Massimo Gramellini

Pubblichiamo il testo della ’Buonanotte’ data domenica sera da Massimo Gramellini ai telespettatori di “Che tempo che fa” su RaiTre. 

Il Maradona che ho conosciuto alla fine degli anni Ottanta era più bravo a giocare che a vivere. O forse soltanto quando giocava sembrava vivere davvero. La storia che voglio raccontarvi parla proprio di uno di quei momenti e si è talmente impressa nella memoria che molti anni dopo finì per ispirarmi un Buongiorno e addirittura una pagina del mio primo romanzo, che con il calcio non c’entrava niente.
Era il mezzogiorno di un sabato, alla vigilia di qualche partita importante, e Maradona, tanto per cambiare, non si era presentato agli allenamenti per tutta la settimana. Il povero addetto stampa del Napoli aveva esaurito la scorta di bugie: la foratura della gomma, la visita medica, l’influenza contagiosa. Il giovedì, proprio quando veniva dato a letto con 40 di febbre, Maradò (come lo chiamavamo tutti) era stato beccato in discoteca nel cuore della notte con un bottiglia vuota di champagne in equilibrio precario sulla testa. 
Ma il sabato mattina si presentò al campo di allenamento. Ovviamente in ritardo, e scortato dal consueto cespuglio di microfoni e taccuini. Uno dei taccuini lo tenevo in mano io, inviato di un giornale del nord e quindi già solo per questo sospettabile di pregiudizi negativi nei suoi confronti. In realtà quel genio del bene e del male mi stava simpatico come un fratello matto. Forse perché, nonostante fosse strafottente e distruttivo, in mezzo a tanti manichini sembrava quasi una persona.
Quel sabato, dunque, al termine dell’allenamento, Maradona non seguì i compagni negli spogliatoi, ma rimase sul campo per allestire uno spettacolo destinato ai giornalisti. Dribbling tra i birilli e palleggi. Era il suo modo di vendicarsi di noi. Scrivevamo ogni giorno che era finito, che non si reggeva in piedi? Ebbene, guardatemi, pareva dire. Guardatemi e tacete.
A un certo punto esagerò. Sistemò il pallone sulla linea di fondo campo. Ma non all’altezza della bandierina del calcio d’angolo: da lì sono buoni tutti (insomma, alcuni…). Lui la mise molto più vicino alla porta: nel punto in cui la linea di fondo interseca l’area piccola del portiere. 
Da lì la porta non riesci a vederla neanche se sei strabico. Puoi vedere solo la parte esterna del palo, ma è talmente vicina che ti sembra un muro: fare gol da quella posizione non è difficile. È impossibile. Bisognerebbe violare una ventina di leggi fisiche. Colpire il pallone con un tiro che a metà del suo breve tragitto si pieghi verso l’esterno per evitare il palo e poi, ma immediatamente, compia una conversione di novanta per infilarsi in porta.
Maradona calciò il pallone e lo infilò in porta. Non una, ma cinque volte. Perché si capisse che la prima non era stato un caso. 
Io lo guardavo a bocca aperta, e non ero il solo. Seduto a bordo campo, in adorazione, c’era un ragazzo delle squadre giovanili del Napoli. Era stato lui a passare a Maradona i cinque palloni che, uno dopo l’altro, quel satanasso aveva messo sulla linea di fondo campo e da lì in rete.
Pensando di non averci ancora umiliato abbastanza, Maradona scavalcò la rete di recinzione che lo separava dai giornalisti e ci raggiunse. Appena si accorse che dalla tasca di un mio collega spuntava un mandarino, glielo chiese in prestito. Se lo appiccicò al piede sinistro e cominciò a palleggiare per cinque, dieci, venti minuti: tutto il tempo dell’intervista. Rispondeva alle domande e intanto il mandarino andava su e giù, come se fosse attaccato a un cordino invisibile.
A un certo punto sentimmo dei latrati provenire dal campo. Era il ragazzo delle squadre giovanili che da venti minuti stava provando a imitare il famoso tiro dalla linea di fondo. Ma i suoi tentativi morivano tutti regolarmente contro il palo: questo spiegava i latrati di disperazione. 
Fu allora che Maradona, con un ultimo colpo di tacco, parcheggiò in terra il mandarino e tornò in campo. Si avvicinò al ragazzo e gli disse: Non ti preoccupare, alla tua età non ci riuscivo nemmeno io. Adesso ti insegno”. Il più famoso calciatore del mondo si inginocchiò davanti al ragazzo, gli afferrò un piede e lo accostò al pallone in un certo modo: “Ecco, devi colpire proprio qui.” 
Poi, come se niente fosse, tornò in mezzo a noi, risuscitò il mandarino e ricominciò a parlare e a palleggiare. Ma non a lungo, perché fummo interrotti da un urlo: Goool. 
Alla fine il ragazzino ce l’aveva fatta. Era stato davvero bravo e tenace: il talento, se non si appoggia al carattere, conta meno di zero. 
Quel ragazzino si chiamava Gianfranco Zola e un giorno anche lui avrebbe insegnato a un altro ragazzino il colpo segreto di Maradona. 
Questa settimana intrisa di rabbia e rassegnazione meritava un congedo all’insegna della speranza. Una storia capace di ricordarci che andrà tutto bene, alla fine e, se non andasse tutto bene, vuol dire che non è ancora la fine. 

Buonanotte.

P.S. Mi si fa giustamente notare che all’epoca di questo episodio Zola non faceva parte delle giovanili, ma era una giovane riserva della prima squadra. Mi ha ingannato il ricordo di averlo visto giocare per la prima volta nella Primavera del Napoli come fuoriquota (aveva 23 anni). Ma non credo che questo lieve scarto temporale (23 anni anziché 18-20) procuratomi dalla memoria modifichi la veridicità e il senso della storia che si svolse sotto i miei occhi. 
Rispondo anche a chi si è irritato nel vedere un personaggio “maledetto” come Maradona portato a esempio positivo. Il Maradona del mio racconto è il calciatore, non l’uomo. O meglio - lo scrivo nelle prime righe - l’uomo che veniva fuori soltanto quando faceva il calciatore. I grandi campioni, come gli eroi dei poemi epici, rimangono nel nostro immaginario per i loro comportamenti sul campo di gioco o di battaglia. Non roviniamoci quel poco di purezza che i gesti sportivi riescono ancora talvolta a trasmetterci. Il mio Maradona è solo un grande calciatore, fuori dal mondo e dal tempo. Il resto, in questa sede, non mi interessa

http://lastampa.it/2013/10/21/cultura/opinioni/buongiorno/il-colpo-segreto-di-maradona-lLW8zvfApwgKJxxJ32yB8H/pagina.html
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« Risposta #514 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:15:22 pm »

Buongiorno
31/10/2013

Amarcord

Massimo Gramellini

A vent’anni dalla morte l’Italia ha dimenticato Fellini, uno dei pochi italiani contemporanei che il mondo ricorda ancora. Non sono stati i vent’anni migliori della nostra storia e neanche della nostra vita. Abbiamo perso colpi dappertutto. Abbiamo perso Fellini e il suo segreto, che poi era il nostro. Le nazioni sono come gli individui, hanno un’indole che non si può impunemente rinnegare troppo a lungo. 

Facciamocene una ragione: l’Italia che piace e che gode è quella di Fellini. L’Italia della provincia sterminata, degli artigiani che si lasciano invadere dalla pazzia del talento, l’Italia di Ferrero e di Ferrari, tanto per non cambiare lettera dell’alfabeto. Un’Italia un po’ ingenua, che guarda alla vita come se fosse un sogno e ai sogni come se fossero la vita, ma sa sublimare il suo autoinganno in una forma superiore d’espressione. Siamo gli occhi che guardano il Rex e siamo la Gradisca che va fiera delle sue forme senza uniformarsi al modello unico. Siamo anche la truffa mediatica dello Sceicco Bianco e la dissoluzione intellettuale della Dolce Vita. Ma certi collassi dell’essere, che da sempre ci accompagnano, vengono riscattati da una fiducia inopinata nella vita. Perché poi siamo anche quelli che conoscono il linguaggio silenzioso delle cose, come Gelsomina, e l’arte di ridere con niente, come l’acrobata della Strada. Siamo il regista che nel girotondo finale di Otto e Mezzo comprende che tutto ha un senso e recupera la gioia d’esistere di un bambino. Se, come dice Baricco, il futuro è tornare a casa, sarebbe tempo di rimetterci in marcia verso la Rimini di Federico Fellini.

http://lastampa.it/2013/10/31/cultura/opinioni/buongiorno/amarcord-2JvduDrnTobBF4xhXBCvEJ/pagina.html
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« Risposta #515 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:16:40 pm »

Buongiorno
30/10/2013

Sotto il loden

Massimo Gramellini

In un fuori onda trasmesso da «Striscia» qualche giorno fa e rilanciato ieri da alcuni siti, l’onorevole Rabino ha scongiurato il ritorno alle urne, confessando di volere restare a Roma non per i privilegi, ma per il tempo e l’abbondanza di femmine (lui ha usato un termine più tecnico, non riportabile sul giornale che ospitava Norberto Bobbio). La dichiarazione ha suscitato scalpore per la durata in cui suscitano scalpore tutte le cose in Italia: cinque minuti. A scanso di equivoci, ad attrarre l’attenzione dei telespettatori non è stato il riferimento al tempo. Si sa che a Roma il sole fa il suo mestiere tutto l’anno, senza ridursi a un biscotto giallo immerso in un cielo di caffelatte. In un pubblico abituato a ben più ampie gesta, neanche l’allusione alla frequenza degli amplessi oftalmici che garantirebbe la città eterna ha destato stupore.

In un sussulto di eleganza il Rabino avrebbe forse potuto evitare il paragone con Torino, dove egli ha ricoperto per cinque interminabili anni il prezioso ufficio di consigliere regionale, conservando di tale esperienza l’unica impressione che a Roma le ragazze appetibili sono più numerose. Ma nemmeno la scoperta della molla che ha spinto Rabino verso più alti destini è riuscita a scuotere gli spettatori, ormai assuefatti a considerare la politica una dépendance del Club Méditerranée. A sconvolgerli è stata semmai la rivelazione del suo partito di appartenenza. Scelta Civica. Ma come - ci si è chiesti davanti al televisore - dunque anche loro, anche quelli del loden, i sobri? Sì, anche loro, e verrebbe da aggiungere un’altra parola, se non fosse che uno poi pensa a Bobbio.

Da - http://lastampa.it/2013/10/30/cultura/opinioni/buongiorno/sotto-il-loden-5PeWbTG0Z6n1nkNtsv3nAN/pagina.html
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« Risposta #516 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:17:52 pm »

Buongiorno
28/10/2013

Di padre in figlio
Pubblichiamo il testo della ’Buonanotte’ scritta da Massimo Gramellini per i telespettatori di “Che tempo che fa” su RaiTre.

Massimo Gramellini

La storia con cui tenterò di farvi addormentare questa sera l’ho scoperta mercoledì scorso in un bell’articolo di Paolo Foschini sul Corriere della Sera. Apparentemente parla solo di un pensionato milanese che trova per terra un portafogli, ma la ragione per cui ho deciso di raccontarvela è un’altra e se rimarrete svegli ancora un paio di minuti la scoprirete.

Tutto comincia nel parcheggio dell’ipermercato di Nerviano, periferia nord di Milano. Il signor Luigi Musazzi sta spingendo il carrello della spesa verso l’automobile, quando occhieggia un portafogli abbandonato sul selciato. Si china a raccoglierlo, lo apre e gli tremano le mani. Dentro ci sono quattordici banconote da 500 euro. 

Irrompe in scena la moglie, pensionata come lui. “Fa un po’ vedere…” Non avendo mai incontrato un biglietto da 500 euro in tutta la sua vita, la Lina giunge alla fulminea conclusione che deve trattarsi dell’opera di un falsario. Ma il Musazzi mica le dà retta: lui i cinquecento euro lo sa come sono fatti e questi sono fatti proprio bene. “Luigi, a cosa stai pensando?” Luigi non risponde. È impegnato in una moltiplicazione. 500 per 14 uguale…

Uguale 7000 euro. Tornato a casa, il Musazzi appoggia il portafogli randagio sopra il comodino e si mette a letto con un pensiero fisso. È vero che settemila mila euro non cambiano l’esistenza a nessuno. Ma è anche vero che di sicuro non gliela peggiorano. 

Lui è un ex idraulico di quasi ottant’anni con 1000 euro al mese di pensione, cui vanno aggiunti i 500 della minima di sua moglie. Non vivono nel lusso ma nemmeno nella fame, abitano in una casa di due camere e cucina che si sono costruiti da soli, hanno figli grandi e sistemati. Però i nipotini crescono, i prezzi pure, e con settemila euro… 

La moglie interrompe le sue elucubrazioni. “Mia mamma mi ha insegnato che le cose trovate non sono nostre, punto e basta.” E spegne la luce. Beata lei. Il Musazzi non riesce a dormire e si gira nel letto in preda ai tormenti come l’Innominato di Manzoni. 

 

Ci fosse almeno un documento in quel benedetto portafogli! Invece ho trovato solo un badge: a parte i soldi, s’intende. Un badge d’ingresso per la Grande Fiera di Rho-Pero. Ma come si può risalire da un badge anonimo a un proprietario in carne e ossa? Tanto vale che me li tenga io… E però la cifra è grossa: chi ha perso tutti quei contanti avrà denunciato lo smarrimento alla polizia e sarebbe facile rintracciarlo… 

Il Musazzi non ci dorme la notte, anzi le notti. Due, per la precisione. Poi succede la cosa che mi ha spinto a raccontarvi questa storia. In cerca di una soluzione, o forse solo di un sostegno morale, va a trovare il figlio maschio Roberto: quel portafogli, in fondo, potrebbe interessare anche a lui… Il figlio lo guarda stupefatto: “Papà, mi meraviglio di te che ancora ci pensi. Io di quei soldi non voglio sapere proprio niente.”

Il Musazzi esce dalla conversazione con un strano pensiero addosso: come se il punteruolo che lo tortura da due giorni e due notti si fosse finalmente squagliato e al suo posto, adesso, fluisse un mare di orgoglio paterno. “Se ho tirato su mio figlio così, allora sono stato bravo.” Una parte del merito è anche della moglie, ma in certi momenti di felicità si diventa tutti un po’egoisti. Sta di fatto che il Musazzi non passa neanche da casa. Col portafogli in mano si presenta direttamente alla sede dei carabinieri, che dal nome di una ditta indicata sul badge risalgono a uno stand della Fiera e da quello al proprietario. Anzi alla proprietaria: svizzera ma col nome italiano ed evocativo, Casanova. Una ex tennista professionista che probabilmente di quei soldi smarriti non ha neppure troppo bisogno. 

Al Musazzi, come prevede la legge, la signora Casanova lascia un decimo del totale: 700 euro, non uno di più. Lui è contento lo stesso. Magari non conosce “Il Complesso di Telemaco”, il saggio in cui il professor Recalcati spiega che l’unica eredità che un padre possa trasmettere al figlio è il desiderio. Ma è un po’ come se lo avesse letto.

Il Musazzi è riuscito a trasmettere al figlio il desiderio dell’onestà e glielo ha trasmesso così bene che al momento opportuno il figlio glielo ha addirittura dato indietro. Una sensazione che vale più di un portafogli. 

Buonanotte. 
Da - http://lastampa.it/2013/10/28/cultura/opinioni/buongiorno/il-desiderio-di-onest-BsLTQPgNX5NZEbaY4WsGVN/pagina.html
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« Risposta #517 inserito:: Novembre 03, 2013, 07:19:49 pm »

Buongiorno
02/11/2013 - l’editoriale

L’amica ritrovata
Massimo Gramellini

Un ministro non può avere amici, scriveva ieri Michele Brambilla. Soprattutto certi amici. Nella società dell’immagine, godere di un’immagine positiva rischia paradossalmente di risultare pericoloso. Lo sta scoprendo in queste ore Annamaria Cancellieri. Il cittadino esasperato dai privilegi (altrui) non le contesta di avere cercato di agevolare la scarcerazione di un detenuto malato, ma l’appartenenza di quel detenuto, e quindi di lei stessa, all’aristocrazia del potere. 

Per intenderci, se la telefonata umanitaria l’avesse fatta Berlusconi, nessuno avrebbe manifestato sorpresa e forse neanche imbarazzo: il passaggio dalla nipote di Mubarak alla figlia di Ligresti sarebbe anzi sembrato un’evoluzione, se non altro generazionale. Ma la Cancellieri non è Berlusconi, e nemmeno Andreotti o D’Alema. È una che non pensi proprio possa avere il numero di telefono dei Ligresti. Nel ritratto che i suoi comportamenti pubblici hanno contribuito a creare, lei è la nonna della Patria, il funzionario dal tratto umano, la persona semplice e di buonsenso che ama circondarsi di persone semplici e di buonsenso, mica di squali e squalette della finanza. 

La difesa della super liquidazione del figlio manager (per qualche tempo di una società dei Ligresti) poteva ancora rientrare nella sfera dei sentimenti materni che tutti le riconoscono, senza turbare troppo la purezza del quadro. Ma la sua amicizia, ovviamente legittima, con una delle famiglie più chiacchierate d’Italia contraddice «la narrazione», come si dice adesso. E segna un punto a favore di chi pensa che l’establishment italiano, appesantito dall’intreccio di troppe relazioni, non sia più riformabile ma vada rinnovato in blocco.

Da - http://lastampa.it/2013/11/02/cultura/opinioni/buongiorno/lamica-ritrovata-TBOsx3P2tBTz30Gs1JYNtI/pagina.html
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« Risposta #518 inserito:: Novembre 13, 2013, 03:55:42 pm »

Buongiorno
09/11/2013

Notizie in retromarcia

Massimo Gramellini

Premesso che i giornalisti sono responsabili di ogni malvagità del creato, dalla glaciazione che sterminò i dinosauri alle dichiarazioni travisate di Cicchitto, bisognerà cominciare a riflettere sulla credibilità delle fonti: le cosiddette Autorità, che diffondono o avallano le notizie con il peso della loro carica. Se il vescovo ausiliario dell’Aquila dichiara urbi et orbi (soprattutto orbi) che nella sua diocesi ci sono ragazzine che si prostituiscono in cambio di una ricarica del telefonino, le persone semplici sono portate a credere che non stia parlando per dare aria ai suoi santissimi denti, ma abbia raccolto testimonianze affidabili e dall’alto del pulpito intenda denunciare un problema. Invece appena vede i titoli sui giornali (titoli aizzati da lui) il vescovo si affanna a far sapere che il suo era solo un allarme preventivo: esiste sempre la possibilità che le ragazzine possano peccare, ma per il momento le ricariche sono al sicuro. 

 

Se ci si sposta dal potere religioso a quello civile, il tasso di serietà non cresce. Campi Salentina è un paese che in tempi più fortunati diede i natali a Carmelo Bene e adesso a un sindaco che prima conferma alla stampa locale che una bambina di undici anni è incinta di un diciassettenne e poi, tramortito dalle pagine dedicate al morboso argomento, ammette di avere dato fiato a una diceria. Sarà smania di protagonismo, superficialità, italica fanfaronaggine. Ma se l’Autorità non è più neanche lontanamente autorevole, chi possiamo ancora prendere sul serio, oltre i comici? 

http://lastampa.it/2013/11/09/cultura/opinioni/buongiorno/notizie-in-retromarcia-kFaLcZlTReYqbnEordl5WJ/pagina.html
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« Risposta #519 inserito:: Novembre 13, 2013, 03:56:59 pm »

Buongiorno
06/11/2013

Abbasso gli algoritmi

Massimo Gramellini

Scandagliando milioni di pagine Facebook, due ricercatori americani hanno messo a punto un algoritmo che consente di prevedere la durata di una coppia. In sintesi: chi ha molti amici e li condivide con il proprio partner costruirà un legame resistente, mentre chi separa la sfera degli amici da quella del partner farà morire il rapporto d’asfissia. Ebbene, ci voleva un algoritmo per scandire questa ovvietà? Bastava il buon senso per rammentarci che una coppia serena si isola dagli altri nella prima fase, quella dell’innamoramento: se continua a farlo anche dopo è destinata a perire. Il primo segnale di una crisi, non solo in amore, è la chiusura verso gli altri. Ma ogni crisi si sviluppa poi lungo percorsi ineffabili che sfuggono alla rigidità degli schemi.

La dittatura dell’algoritmo è l’ultimo rifugio di un certo tipo di persone, per lo più maschi intellettuali con il cuore a forma di granchio e gli occhi a forma di dollaro, che non riuscendo più a sentire niente si illudono di domare le loro insicurezze con una serie di algide formulette attinte dalla marea di dati personali che le nuove tecnologie mettono a disposizione. Ormai esiste un algoritmo per tutto: il giornale perfetto, il pranzo perfetto, il delitto perfetto. Questi aridi manichini del sapere moderno pensano di controllare la realtà, racchiudendola in una previsione statistica che consenta di anticipare i comportamenti umani per offrirli in pasto ai pubblicitari. Poi per fortuna arriva sempre qualcuno posseduto dal coraggio e dalla sana follia della passione che tira un calcio agli algoritmi e, azzardando ciò che nessuno aveva ancora previsto, ci salva. E li frega.

Da - http://lastampa.it/2013/11/06/cultura/opinioni/buongiorno/abbasso-gli-algoritmi-1bOTbEDCNspAL4bpmRnNfK/pagina.html
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« Risposta #520 inserito:: Novembre 13, 2013, 03:57:57 pm »

Buongiorno
08/11/2013

Bolle d’acciaio

Massimo Gramellini

Ieri la notizia più diffusa e chiacchierata del giorno è stata l’affermazione, attribuita a Enrico Letta da un giornale irlandese, di avere le palle d’acciaio. Brunetta, dall’alto delle sue competenze siderurgiche, ha commentato che i lavoratori dell’Ilva gliele fonderebbero all’istante. Beppe Grillo ha lanciato nella Rete una discussione urgente sul tema «Letta ballista d’acciaio». Dalle Alpi alle Piramidi è stato subito un crepitio di tastiere. La battuta migliore: se i leader europei magnificano gli attributi di Letta, allora è vero che quando andiamo a Bruxelles ci caliamo le braghe. Anche il sottoscritto ha confezionato un corsivo sul celodurismo democratico che da alcuni minuti giace esanime nel cestino. Infatti in serata è emersa la banale verità: l’espressione palle d’acciaio («balls of steel») era una traduzione colorita del pensiero castigato di Letta da parte dell’intervistatore irlandese.

Non è il momento di soffermarsi sulla qualità della stampa di Dublino rispetto ai tempi di Joyce. Sta di fatto che abbiamo dato per buona una dichiarazione del presidente del Consiglio per la semplice ragione che era stata diffusa sul web. E che a mettere in moto la baracca mediatica non è stato un discorso, ma una battuta: volgare o estrema come quella (purtroppo vera) sugli ebrei, consegnata da Berlusconi al suo memorialista Bruno Vespa. Siamo all’informazione liofilizzata, alla politica Zelig: hai dieci secondi per dire o scrivere qualcosa di impressionabile, meglio se impressionante, altrimenti cala il sipario dell’attenzione. Il prossimo passo, esprimersi a gesti e grugniti. Bossi verrà ricordato come un precursore.

Da - http://lastampa.it/2013/11/08/cultura/opinioni/buongiorno/bolle-dacciaio-LR3qtXqlfZriybSRXsvhSN/pagina.html
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« Risposta #521 inserito:: Novembre 13, 2013, 03:59:08 pm »

Buongiorno
07/11/2013

Barbara Frank

Massimo Gramellini

I figli di B si sentono perseguitati come gli ebrei ai tempi di Hitler. La fonte della rivelazione è estremamente autorevole: B. In un libro di Vespa, tra l’altro. E allora perché ne parli? (Me lo domando da solo). Per analizzare il meccanismo che ha cambiato l’informazione e un po’ le nostre teste. Funziona così: da vent’anni, quasi ogni giorno, B pronuncia una sciocchezza terrificante, contraria al buonsenso e al buongusto. La sciocchezza ha lo scopo di ribadire l’unica idea forte su cui B ha costruito il suo successo in politica: il vittimismo. Gli italiani adorano i vittimisti. Perciò un uomo che ha fatto affari con tutti i regimi e tutti i governi adora raccontarsi al suo popolo come il capro espiatorio di un’oscura macchinazione. B come i pellerossa, come gli ebrei, prossimamente come i migranti di Lampedusa. La scempiaggine provocatoria rimbalza sui siti e in tv, suscitando il commento divertito dei comici e quello indignato delle vittime vere. Ci cascano tutti. Ci cascano sempre. Per pigrizia, rabbia, automatismi strani. E la reazione alimenterà nel popolo di B il convincimento che lui sia veramente una vittima. 

La tempesta di sabbia sollevata dalle panzane del Grande Incompreso è violenta ma breve, al pari di ogni altra emozione nella civiltà delle immagini. Il giorno dopo è già svanita nel nulla, lasciando un vuoto nevrotico che la prossima sparata provvederà a riempire. È una malattia di cui abbiamo inoculato il morbo. Non so chi perseguiti i figli di B. Ma mi sono fatto un’idea di chi, da vent’anni, perseguita noi.

Da - http://lastampa.it/2013/11/07/cultura/opinioni/buongiorno/barbara-frank-JzGIrmWI6xOpEE47jJ2T7J/pagina.html
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« Risposta #522 inserito:: Novembre 13, 2013, 04:00:44 pm »

Buongiorno
13/11/2013

La Farfalla sbagliata
Massimo Gramellini

Come tanti innamorati del Toro, l’altra sera ho pianto davanti al televisore. Ma non per la storia di Gigi Meroni. Per come l’avevano ridotta. La tv ha trasformato la Farfalla Granata del libro di Dalla Chiesa nell’ennesimo santino senz’anima. Del resto lo aveva appena fatto anche con Adriano Olivetti. Sarà pigrizia o disprezzo per il pubblico, ritenuto sensibile solo alle brodaglie sentimentali, ma in televisione il protagonista di ogni biografia diventa il personaggio di un fotoromanzo. Invece che dentro la breve vita di Meroni sembrava di stare a Centovetrine. Nessuna traccia del suo essere un artista imprestato al calcio, un tipo sghembo, una curva in mezzo ai quadrati. Quando l’epica è rispettata, il telespettatore può anche sopportare incongruenze e sciatterie che per un tifoso sono altrettante pugnalate al cuore: per esempio che nell’ultima partita prima di morire facciano segnare a Meroni un rigore che nella realtà non tirò mai. Ma in questa fiction insulsa le invenzioni non emozionano e le emozioni reali non vengono raccontate. Chissà se il regista Paolo Poeti, un cognome che almeno stavolta indica un vano auspicio, sapeva che la domenica successiva, dopo il quarto gol di un derby vinto 4 a 0 con le lacrime agli occhi e la bava alla bocca, il sostituto di Meroni alzò il pallone al cielo mentre uno stadio intero gridava «Gigi, Gigi». In ogni caso si è guardato bene dal mostrarcelo.

Nelle note di regia, Poeti scrive di avere preferito porre l’accento sulla «grammatica generativa ormonale». Posso solo immaginare cosa gli avrebbe risposto Meroni.

Da - http://lastampa.it/2013/11/13/cultura/opinioni/buongiorno/la-farfalla-sbagliata-bc9IS0njJEwpb6qqNiheDN/pagina.html
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« Risposta #523 inserito:: Novembre 19, 2013, 05:22:41 pm »

Buongiorno
16/11/2013

La Grande Pappa
Massimo Gramellini

Prefetti in carica che si ingozzano a sbafo di aragoste nel resort di Ligresti (li trovate nell’intervista all’ex direttore dell’hotel). La Cancellieri che non trova imbarazzanti gli strusci di un ministro della Repubblica con una famiglia di pregiudicati. E la telefonata di Vendola a un pezzo grosso dell’Ilva poi finito ai domiciliari. L’avete sentita? Il governatore della Puglia ha appena visto il pezzo grosso in televisione, impegnato nell’eroica impresa di togliere il microfono a un giornalista che stava chiedendo conto dei morti di tumore. Il leader della sinistra allergica ai compromessi e vestale della Costituzione si complimenta col censore aziendale per lo «scatto felino» con cui ha zittito il cronista. Sghignazza addirittura nella cornetta, al ricordo di quella «scena fantastica». E, cosa anche più grave, per il resto della conversazione non ammaina mai un certo tono amichevole e deferente. 

Il bubbone italiano è tutto in questa danza che i potenti ballano tra loro, in questa confusione continua di ruoli che non sempre configura dei reati, ma instaura comunque un clima complice, un circuito chiuso al cui interno si consuma lo scambio dei privilegi e dei favori. Chi è fuori dai giochi vi assiste con rabbia o con invidia, a seconda dei gusti e del carattere. È un bubbone incurabile. Si può soltanto estirpare, sostituendo radicalmente la classe dirigente e fissando regole che ne prevedano il ricambio totale ogni dieci anni. Prima che si formi il nuovo bubbone. Non è detto che chi arriva sia migliore di chi se ne va. Ma il salto nel torrente è preferibile a questa pappa in cui ormai si può solo affogare.

Da - http://lastampa.it/2013/11/16/cultura/opinioni/buongiorno/la-grande-pappa-IWg8AOEX5NQBCEvaHN7cDJ/pagina.html
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« Risposta #524 inserito:: Novembre 19, 2013, 05:24:27 pm »

Buongiorno
15/11/2013

Poveri ricchi
Massimo Gramellini

Per il fisco italiano i lavoratori dipendenti guadagnano più degli imprenditori. Aveva ragione la mia mamma a diffidare di qualsiasi attività che non contemplasse una busta paga. Ora è finalmente chiaro a tutti che la libera iniziativa è l’anticamera della miseria e il dipendente l’unico mestiere che rende. Basti pensare che contribuisce per l’83 per cento alle entrate fiscali, insieme con quell’altra categoria di privilegiati, i pensionati. 

 

Senza stipendiati e pensionati, lo Stato non avrebbe più i soldi per pagare stipendi e pensioni. Si sorride per non urlare, ma la realtà è che non si urla neanche più. Certe notizie rilasciano ormai un effetto di morfina: a furia di sentirle ci si fa l’abitudine. Un «pensionato d’oro» da 2000 netti al mese fa più scandalo di un evasore che ostenta beni di lusso. Il lavoro nero viene accettato come se fosse una scappatoia inevitabile e un furto contro ignoti, dal momento che lo Stato, essendo di tutti, è considerato di nessuno. E il cordoglio per tanti imprenditori onesti, vessati fino al suicidio da tasse bislacche e creditori volatili, annacqua l’indignazione per i disonesti, quelli che prevalgono sulla concorrenza proprio perché evadono le imposte. 

 

A chi fosse ancora in cerca di emozioni forti, segnalo la ricerca dell’Ocse sugli emolumenti dei manager pubblici. I più pagati al mondo sono gli italiani: il triplo dei tedeschi. Una valutazione dettata sicuramente dalla competenza, oltre che dall’efficienza dei servizi offerti. I manager pubblici rientrano nella categoria dei lavoratori dipendenti. Saranno stati loro ad alzare la media? 

Da - http://lastampa.it/2013/11/15/cultura/opinioni/buongiorno/poveri-ricchi-wtVqeyz3n1hPdvywn0Jm9K/pagina.html
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