Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #300 inserito:: Maggio 29, 2012, 11:09:18 am » |
|
29/5/2012 Signora Maestra Massimo GRAMELLINI Domenica sera ho condiviso con una trentina di temerari uno spericolato esperimento sentimentale: il raduno dei compagni di classe delle elementari. Erano quarant’anni e centomila capelli che non ci si vedeva e per farsi riconoscere ciascuno si era pinzato sul petto una targhetta con nome, cognome e una propria foto di allora. E' stata una delle serate meno nostalgiche della mia vita: il passato da rammentare era così remoto che sembrava futuro. Si è parlato tantissimo di progetti e speranze, pochissimo di calcio, niente di politica. Ma si è parlato soprattutto della, e con la, Maestra. Era per i suoi 88 anni appena compiuti che avevamo apparecchiato lo spettacolo, salvo accorgerci in fretta che lo spettacolo era lei. Buona ma non debole, la schiena ancora dritta come i suoi pensieri. La Maestra. Quella che ci aveva insegnato a leggere con i libri di Primo Levi e di Rigoni Stern. Anche l'altra sera ha ascoltato con attenzione il primo e l'ultimo della classe declamare "bosco degli urogalli" e poi ha dato loro il voto: basso e però giusto, come sempre. Si aggirava fra i suoi scolari attempati distribuendo carezze ruvide e rimproveri dolci. Nel guardarla pensavo all'esercito silenzioso di cui quella donnina formidabile fa parte: le maestre elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una nazione con stipendi da fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai. Il nostro rispetto. Prima di andare a dormire ci ha detto che averci avuti come alunni era stato, per lei, come riceverci in dono. Poi ci ha baciati sulla fronte, uno a uno. Sono rientrato a casa con addosso l'energia di un leone. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1186
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #301 inserito:: Maggio 31, 2012, 04:28:05 pm » |
|
30/5/2012 La parata più bella Massimo GRAMELLNI Che senso ha la parata del 2 giugno con l’Emilia a pezzi che piange i suoi morti? Il quesito, che sarebbe considerato blasfemo in Francia, qui può sembrare velleitario, dal momento che il Capo dello Stato ha deciso di confermare la cerimonia dei Fori Imperiali, sia pure improntandola alla sobrietà. Però vale egualmente la pena di porselo. Sgombriamo il campo dalle pregiudiziali ideologiche, che condannano la sfilata delle Forze Armate in quanto manifestazione muscolare. E sforziamoci di sgombrarlo anche dai condizionamenti emotivi che in queste ore ci inducono a considerare uno spreco di risorse qualsiasi iniziativa dello Stato che non consista nel portare sollievo alle popolazioni emiliane in apnea. I soldi per la parata sono già stati quasi tutti spesi. Con quel poco che resta si finanzierebbe al massimo la ricostruzione di un comignolo. Andrebbe ricordato a quella genia di politici in malafede che cercano di agganciare l’umore popolare con proposte furbastre, ma si guardano bene dal devolvere a chi soffre le cifre ben più consistenti che si ricaverebbero dalla drastica riduzione del numero dei parlamentari. La domanda che la coincidenza fra celebrazione e tragedia riporta alla ribalta è un’altra: nel 2012 ha ancora senso festeggiare la Repubblica con un rito così poco sentito dalla maggioranza dei cittadini? Ogni comunità ha bisogno di riti e di simboli. Ma sono le religioni che li mantengono inalterati nei secoli. Non gli Stati. Non tutti, almeno. Penso sommessamente che quest’anno il 2 giugno si onori di più la Repubblica andando fra i terremotati che fra i carri armati. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1187
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #302 inserito:: Giugno 04, 2012, 09:41:03 am » |
|
1/6/2012 La vita, nonostante Massimo GRAMELLINI Ci stanno impartendo una lezione di vita. Non solo di sopravvivenza. Di vita. Questi sfollati che si spaventano ma non vogliono dare soddisfazione alla paura. Che piangono senza piangersi addosso. E che ricominciano a vivere, nonostante. Nonostante sia un cumulo di macerie, il supermercato di Mirandola funziona ancora: a cielo aperto. Hanno portato per strada le merci, i carrelli e naturalmente la cassa. Bisogna pur nutrirsi, coprirsi, curarsi. I verbi primordiali del vivere continuano a essere declinati al presente e al futuro, nonostante. Amare, per esempio. Alice e Davide hanno confermato le nozze, nonostante la chiesa abbia perso un po' di mattoni e il ricevimento sia stato dirottato fra le tende. Per la luna di miele si vedrà. Intanto c'è il miele, appena arrivato con il latte e i biscotti da Reggio Emilia sopra un Tir. E c'è la luna, che splende in un cielo di promesse e trema molto meno della terra. La gastronomia di Medolla sforna gnocchi fritti, nonostante. Nonostante la gastronomia sia diventata una cucina da campo in mezzo alla piazza del municipio. Potrebbe accontentarsi di fare panini e invece preferisce esagerare. E la merciaia? Ha pianto tanto e dormito in automobile con il marito più anziano di lei. Ma ieri ha riaperto bottega perché le donne del terremoto sono scappate di casa senza ricambi e si mettono in coda sotto il sole per fare incetta di mutande e reggiseno, nonostante. La regina del marketing è la fruttivendola biologica che alle ciliegie sopravvissute alla scossa impone il cartello «duroni della rinascita», trasformandole nel frutto della riscossa. Intorno a lei scene di gentilezza e onestà che altrove sarebbero straordinarie, ma non qui, nonostante. Un cliente vuole un chilo di mele però non può pagarle perché il bancomat ha esaurito i soldi. La fruttivendola: «Le prenda lo stesso, pagherà domani». E lui: «Ci mancherebbe, vado a cercare un altro bancomat». Poi ci sono i bambini che giocano, nonostante. E le loro mamme che cercano di trasformare il terremoto in uno spettacolo d'arte varia. Al piccolo che dopo una scossa di assestamento frignava, la mamma ha spiegato: «Adesso ti insegno un nuovo gioco. Il gioco del salterello». Il bimbo ha smesso di piangere. «Che gioco è?» «Funziona così: io canto una filastrocca e ogni volta che mi fermo, tu salti». La mamma si fermava ogni volta che c'era una scossa. Così le scosse sono diventate una parte del gioco e il bambino si è riempito talmente di gioia che non ha trovato più posto per la paura. E ha continuato a saltare, nonostante. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1189
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #303 inserito:: Giugno 04, 2012, 09:41:46 am » |
|
2/6/2012 Non gioco più, me ne vado Massimo GRAMELLINI Il santo furbacchione è un classico tipo italiano. In politica annuncia nobili dimissioni allo scopo di farsele respingere. In amore minaccia romantiche rotture per vedersi riconfermare il proprio fascino. E sul lavoro, indossato uno sguardo umile e offeso, si dichiarerà disposto a fare ciò che non vuole nella certezza che lo scongiureranno di non farlo, così da continuare a fare quello che vuole. Con quella faccia un po’ così, a strapiombo sulle lacrime, temo che il commissario tecnico Prandelli appartenga alla categoria. Meglio un santo furbacchione che un furbo mascalzone (abbiamo anche quelli), però non me la sento di esaltare la sua ultima frignata: se proprio serve, rinunciamo agli Europei. Ma chi glielo ha chiesto? Nessuno. Anzi: tutti, persino la ministra dell’Interno, si sono affrettati a benedire la partecipazione all’evento. Che era poi ciò che Prandelli voleva. Ma avrebbe potuto ottenerlo senza rifugiarsi nel patetico. Il c.t. si è inserito in una scia di successo. Pare stia diventando di moda auspicare una fuga romantica dal calcio brutto sporco e cattivo, anziché andare addosso alla realtà e triplicare le pene per gli scommettitori, oggi talmente blande da convincere la malavita a investire nel pallone truccato invece che in altri vizi sanzionati più duramente dalla legge. Ma è possibile che per motivare una Nazionale circondata dagli scandali si debba sempre pigiare il tasto del vittimismo? Ciascuno ha diritto al suo quarto d’ora di emotività. Ma da chi siede sulla panchina di Pozzo e Bearzot resta lecito aspettarsi forme di vita più evolute. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1190
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #304 inserito:: Giugno 05, 2012, 07:13:27 pm » |
|
5/6/2012 La macchina del tempo Massimo GRAMELLINI Erano da poco passate le otto di sera quando mi sono appisolato davanti al televisore mentre il direttore del Tg1 intervistava il segretario di Stato vaticano. Nell’appisolarmi ho sognato. E nel sognare ho rivisto il me stesso bambino addormentarsi davanti a un televisore in bianco e nero mentre il direttore del telegiornale intervistava il segretario di Stato vaticano. Che modi avevano allora, i direttori del telegiornale. Diritti e compunti sulla sedia come dinanzi al prete del loro matrimonio. E poi quelle domande felpate con la risposta già incorporata. E la faccia: protesa ad annuire in sincrono con l’intero corpo e paralizzata in una smorfia ineffabile di beatitudine. Anche i segretari di Stato vaticani erano ben strani, a quei tempi. Tradivano la scarsa conoscenza del mezzo televisivo e il loro eloquio curiale scorreva distante dalla realtà, caldo e inafferrabile come sciolina nelle orecchie: «La trasparenza è un fatto di solidarietà… Spesso avviene che le chiarificazioni siano frutto di un lavoro di dialogo… Questi non sono giorni di divisione ma di unità…» Mi sono svegliato di soprassalto. La tv era diventata a colori, ma le facce erano rimaste le stesse. Anche le domande del direttore. Con le risposte già incorporate, anzi forse già scritte in precedenza, dal momento che il segretario di Stato le leggeva direttamente da un foglio. Nessun riferimento a corvi e maggiordomi di Curia, ma un solenne spot sulla solidità eterna della Chiesa. Anche se a noi appisolati d’Italia l’unica cosa solida, ma soprattutto eterna, sembra la sudditanza del Tg1 al Vaticano. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1191
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #305 inserito:: Giugno 06, 2012, 05:04:54 pm » |
|
6/6/2012 Fuori orario Massimo GRAMELLINI Durante una visita all’ufficio di collocamento della sua città, la ministra torinese Elsa Fornero ha teso la mano a un disoccupato di vent’anni seduto in attesa, il quale ha eroicamente resistito al richiamo della buona educazione che gli suggeriva di alzarsi in piedi. Col sedere ancorato alla seggiola, il James Dean di Porta Palazzo ha spiegato alla ministra di essersi diplomato presso l’istituto alberghiero e, quando lei gli ha fatto notare che di solito quel diploma garantisce un lavoro, le ha candidamente risposto: «Ma a me non piace lavorare la sera mentre gli altri escono». Le cronache sostengono che Fornero non lo abbia neanche addentato. Ci sarebbe da chiedersi come mai il seder-incollato abbia scelto l’indirizzo alberghiero: alberghi e ristoranti hanno da sempre la pessima abitudine di servire la cena all’ora di cena. E’ una notizia sconvolgente, me ne rendo conto, però qualcuno doveva pur darla a quel caro fanciullo. Storie come questa rinforzano purtroppo i luoghi comuni sulla molle gioventù, quando invece esistono ragazzi che vorrebbero lavorare e non ci riescono, e tantissimi altri che lo fanno gratis o per due soldi, con contratti finti o precari, e vedono il proprio entusiasmo messo a repentaglio da adulti giovanilisti a parole. Quei ragazzi mi fanno pena. L’alberghiero fuori orario soltanto rabbia. Spero per lui che la vita gli tolga in fretta la seggiola da sotto il sedere. Una bella culata sul pavimento potrebbe ancora avere effetti miracolosi sul suo carattere. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1192
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #306 inserito:: Giugno 12, 2012, 04:41:11 pm » |
|
12/6/2012 Aspettando Balot Massimo GRAMELLINI Passiamo la vita ad aspettare chi non arriva mai. Da anni leggo articoli che auspicano la maturazione di Sua Indolenza Balotelli e la annunciano come imminente, sicura o altamente probabile. Ogni volta che segna uno dei suoi rari ma bellissimi gol c’è qualcuno che dice: ci siamo. Ogni volta che sfascia l’auto in un fosso o si addormenta davanti al portiere c’è qualcuno, magari lo stesso, che si contraddice: non ci siamo, ma ci saremo. Pochi hanno il coraggio di ammettere che Balotelli resterà sempre quello che è: un talento senza carattere, un eterno immaturo, una magnifica occasione perduta. Trovo folle che un mezzo campione guadagni certe cifre ed è probabile che il guadagnarle renda ancora più difficile il bagno di umiltà che forse gli permetterebbe di compiere il salto evolutivo. Poi mi guardo intorno e penso: ma chi lo ha fatto davvero, quel salto? Quanti amici, parenti e colleghi parlano, pensano e vivono esattamente come venti o trent’anni fa? Eppure ci si continua a illudere, aspettando la svolta che ci rassicuri sulle possibilità di cambiamento dell’essere umano. Credo sia per questo che al cinema e nei romanzi amiamo le storie dove il protagonista si trasforma e cambia. Perché nella vita non succede quasi mai. Si resta aggrappati alle proprie granitiche incertezze, al trauma infantile (Balotelli ne avrà più d’uno), alla reazione automatica che ti induce a comportarti sempre allo stesso modo, a pensare sempre le stesse cose, a nutrire sempre le stesse aspettative: per esempio che gli altri possano cambiare, mentre spesso il primo che non riesce a farlo sei tu. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1195
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #307 inserito:: Giugno 17, 2012, 09:50:01 am » |
|
14/6/2012 Chissenefrega Massimo GRAMELLINI Una lettrice racconta la sua giornata in compagnia dell’informazione: «Apro i giornali e in prima pagina trovo le dichiarazioni di Cassano sull’omosessualità. Salgo in macchina, accendo la radio e stanno intervistando Cecchi Paone in merito alle dichiarazioni di Cassano sull’omosessualità. Stufa, cambio frequenza, ma sull’altra emittente c’è uno che intervista Vendola in merito alle dichiarazioni di Cassano sull’omosessualità. Annoiata, cambio ancora e mi imbatto in un giornale-radio che riporta la notizia delle dichiarazioni di Cassano in merito all’omosessualità. Nauseata, smanetto su una quarta radio, dove un presentatore malizioso chiede a un commentatore sportivo cosa ne pensa delle clamorose esternazioni di Cassano… Ma lo vogliamo dire un bel chissenefrega di cosa pensa Cassano sull’omosessualità?». Condivido le nausee della lettrice e, in quanto esponente del baraccone mediatico, mi prendo la mia quota di responsabilità. Anch’io trovo sbagliato dare risalto alle dichiarazioni di un calciatore su temi che esulano dal suo lavoro e altrettanto assurdo scandalizzarsi per l’ennesima, prevedibile «cassanata». Certi pensieri da bar sugli omosessuali indignano quando a darvi fiato è Giovanardi, un politico eletto dai cittadini. Ma, pronunciati da Cassano, hanno lo stesso peso di una dichiarazione di Giovanardi sul 4-3-3. Eppure nessuno nei media si è smarcato, pur sapendo di fare una sciocchezza. Ciascuno di noi l’ha fatta per abitudine, per pigrizia, ma soprattutto per paura di essere il solo a non farla. Dimenticando che la diversità è un valore, e mica solo nel sesso. da - lastampa.it ----------------- 15/6/2012 Un'avventura IMUzionante Ignorando la moglie, che gli suggeriva di rivolgersi a un commercialista, a un sindacalista o almeno a un ingegnere termonucleare, il contribuente Z. di Asti decise di far valere la sua vecchia laurea in economia per pagare l'Imu da solo. A metà maggio si mise all'opera con l'amico Gianni. Stamparono il modello F24, scavalcarono con qualche livido l'ostacolo dei codici 3918 e 3919 per le quote dovute a Stato e Comuni, ma si arenarono alla voce «rateazione», trovando sul sito dell'Agenzia delle Entrate tre risposte diverse e in conflitto fra loro. Il 29 maggio l'amico Gianni corse a pagare, ma nella fretta sbarrò il codice sbagliato. La sera stessa l'Agenzia emanava una disposizione che sopprimeva il modello F24 usato da Gianni e lo sostituiva con uno semplificato. Rimasto solo a combattere, il contribuente Z. si incantò davanti ai destinatari del versamento - ER, RG, EL - e mandò una mail all'Agenzia che gli rispose con una videata in cui lo avvertiva che era stato raggiunto il numero massimo di mail ricevibili. Andò su internet in cerca d'aiuto e trovò decine di poveri cristi con laurea come lui, terrorizzati dalla notizia che l'errata compilazione avrebbe comportato un nuovo pagamento delle somme già versate. La mattina dell'8 giugno il contribuente Z si recò in banca per consegnare il modulo semplificato, che risultò compilato in modo complicato e forse sbagliato. Lui, pur di liberarsene, lo pagò. Poi fece ritorno a casa con una proposta di legge nel cervello: «La tassa sull'Imu entrerà in vigore soltanto dopo che ogni membro dal governo avrà dimostrato di riuscire a pagarla da solo». --------------- 16/6/2012 A sogni fatti MASSIMO GRAMELLINI Tuttolibri anticipa un estratto del racconto che concluderà il Festival di Massenzio, la sera del 21 giugno a Roma. Ho scritto uno di quei libri che ti cambiano la vita. Infatti il giorno dopo averlo presentato in televisione sono stato ricoverato in ospedale. Avevo la febbre a quaranta e un’infezione alle regioni meridionali dello stomaco che mi strappava ululati mannari. Eppure la sera prima stavo benissimo. Nei camerini di «Che tempo che fa» avevo addirittura incontrato uno dei miei idoli. Il capo di Equitalia. Un’anima gentile e sensibile intrappolata dentro una maschera da cattivo. La scaletta della trasmissione prevedeva un’intervista a lui sulle tasse e una a me sugli orfani: per tirarsi su. Dopo aver rimasticato in diretta i bocconi amari della mia infanzia, esco dallo studio visibilmente stremato, ma trovo il passaggio ostruito da una cerniera di sbirri giganteschi e piuttosto armati. Dovevo essere andato peggio di quanto avessi immaginato, visto che erano già venuti a prendermi. Mentre cerco una via di fuga, la scorta dei rambo si apre come il Mar Rosso e in mezzo appare lui, il Mosè degli scontrini fiscali. Aveva gli occhiali appannati. Credetemi: vedere piangere un uomo che di solito fa piangere gli altri è un’esperienza struggente. Mi viene addosso e, puntandomi contro un dito ammonitore, mi fa: «Si ricordi che io la tengo d’occhio!». Per tranquillizzarlo gli ho giurato su quanto ho di più caro, la santissima Imu e il beato Modello Unico, che presto avrei pianto anch’io, pagando le tasse sui diritti d’autore fino all’ultimo sospiro. Era soltanto l’inizio. Da quel giorno mi sono piovuti addosso i resoconti di centinaia di vite ammalate, per le quali la farmacia ero io. Pare si chiami empatia. Le persone si specchiano in una storia autentica, apparecchiata a romanzo senza neanche il filtro della vergogna, e si sentono autorizzate a rivelare la loro. Non ai propri cari, ma all’amico di carta in cui riconoscono il compagno di sofferenze e rimonte esistenziali. Ne ho ricevute di ogni genere. Alcune, considerato il tema, persino divertenti. Mi ha scritto un amico dell’adolescenza: «Anch’io come te ho scoperto il segreto della mia famiglia da un articolo di giornale». E mi racconta di quando, facendo ricerche in tribunale per non so quale causa, si era imbattuto in un fascicolo con il suo cognome. Dentro aveva trovato il ritaglio ingiallito di un quotidiano da cui risultava che suo padre - che tutti ricordavamo integerrimo e moralista - in gioventù era finito in carcere per furto. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di rivelarlo al mio amico. Eppure, scriveva lui, «il mio subconscio sapeva. Adesso posso confessartelo, Massimo: da ragazzo ero un cleptomane. A proposito, ricordi quei tuoi sci misteriosamente scomparsi?». Eccome se li ricordavo! Li avevo lasciati fuori da una baita per andare a fare pipì e un attimo dopo non c’erano più. «Te li avevo rubati io», mi ha confessato con appena trent’anni di ritardo. «Poi li ho rivenduti. Però ci tengo a farti sapere che ho devoluto il ricavato in beneficenza». Un’altra lettera aveva il timbro di una località di villeggiatura che anni prima era approdata in cronaca nera per l’incendio di un albergo conclusosi con la morte del proprietario. L’autore della lettera raccontava che quell’uomo era suo padre. Aveva fatto uscire clienti e collaboratori con una scusa, poi aveva dato fuoco alle pareti di legno e si era rifugiato in mansarda ad aspettare la fine. Di lì a pochi mesi anche la madre era morta di crepacuore e il mio amico di carta si era ritrovato da solo in mezzo alle ceneri di una vita intera. Aveva usato i risparmi del padre per ricostruire l’albergo nello stesso luogo in cui sorgeva un tempo. Nell’opera di rinascita, non soltanto edilizia, gli era stata accanto una ragazza. Ma appena l’esistenza aveva ripreso a fluire in modo ordinato, ecco che era comparso Belfagor. Nel mio romanzo Belfagor è il nome che da bambino avevo dato al mostro che abita dentro di noi. Uno spiritaccio animato da buone intenzioni, in realtà pernicioso, perché pur di tenerci lontano dalla sofferenza ci chiude in una gabbia di paure. Paura di vivere, di amare, di credere nei propri sogni. Il mio interlocutore era stato indotto a scappare dalla sua ragazza. Con la codardia tipica dei maschi quando vogliono sbarazzarsi delle femmine, non aveva avuto la forza di lasciarla. Perciò aveva fatto di tutto per farsi lasciare da lei e, dopo sforzi considerevoli, c’era riuscito. Quando gli avevano regalato Fai bei sogni , lo aveva tenuto per un mese sul comodino senza aprirlo. Gli incuteva timore. «Ma una notte», mi scriveva nell’ultimo capoverso della lettera, «una notte in cui mi rivoltavo nel letto come un pescecane nella rete, accendo la luce e comincio a sfogliare le pagine. Sono arrivato all’ultimo capitolo - quello in cui Elisa le insegna a perdonare e ad accettare dalla vita ciò che ci dà - e ho capito che stava parlando con me. Fuori aveva cominciato ad albeggiare. Così ho chiuso il libro e, indossata una felpa sopra il pigiama, sono andato sotto le finestre della mia ex. Le ho citofonato, lei si è affacciata. Mi vuoi ancora?, ho urlato. Non ha risposto, ma ha aperto il portone». Con Fai bei sogni ho aperto un portone da cui sono entrate carezze, confessioni e ringraziamenti. Un muretto di gratitudine a cui è dolce appoggiarsi quando fa buio. Perché da quel portone, oltre alle carezze, è entrato anche qualche ceffone. Era prevedibile. Se alzi il velo sui tuoi tormenti più intimi, ti esponi alle critiche di chi trova insopportabile la sincerità perché ne teme il contagio. Ma se fin dall’inizio sapevo benissimo a quali rischi mi sarei esposto con questo romanzo, cosa mi aveva spinto a pubblicarlo? Semplice. Quando uno ha ricevuto in sorte una storia e gli strumenti per raccontarla, non è giusto che la tenga soltanto per sé. Da molto tempo desideravo ricordare ai miei lettori che la vita ha un senso e che dobbiamo affrontarla «nonostante», senza lasciarci paralizzare dai «se». Ma certe prediche sarebbero suonate false in bocca a un giornalista percepito come un privilegiato. Soltanto la confessione spietata delle mie disgrazie e delle mie debolezze avrebbe reso credibile il messaggio, anzi il massaggio di speranza che intendevo dare. Per non avere più paura di soffrire è indispensabile liberarsi dal dolore. Milioni di persone provano a farlo ogni giorno, prodigandosi in preghiere e buone azioni oppure stordendosi con droghe ed esperienze estreme. Ma i ricordi dolorosi non si possono eliminare. Quello che si può eliminare è il dolore associato ai ricordi. Oggi riesco a pensare a mia madre senza più provare dolore perché ho accettato intimamente una verità indimostrabile: che tutto ciò che accade è sempre giusto e perfetto. Che il dolore è qualcosa che ci capita addosso non per sfortuna, ma per concederci l’opportunità di conoscere la parte irrisolta di noi. Se da quando nasci a quando muori nella tua vita non è cambiato tutto o almeno qualcosa, significa che la vita non ti è servita a niente. DA - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1199
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #308 inserito:: Giugno 17, 2012, 10:02:22 am » |
|
15/6/2012 Un'avventura IMUzionante Massimo GRAMELLINI Ignorando la moglie, che gli suggeriva di rivolgersi a un commercialista, a un sindacalista o almeno a un ingegnere termonucleare, il contribuente Z. di Asti decise di far valere la sua vecchia laurea in economia per pagare l'Imu da solo. A metà maggio si mise all'opera con l'amico Gianni. Stamparono il modello F24, scavalcarono con qualche livido l'ostacolo dei codici 3918 e 3919 per le quote dovute a Stato e Comuni, ma si arenarono alla voce «rateazione», trovando sul sito dell'Agenzia delle Entrate tre risposte diverse e in conflitto fra loro. Il 29 maggio l'amico Gianni corse a pagare, ma nella fretta sbarrò il codice sbagliato. La sera stessa l'Agenzia emanava una disposizione che sopprimeva il modello F24 usato da Gianni e lo sostituiva con uno semplificato. Rimasto solo a combattere, il contribuente Z. si incantò davanti ai destinatari del versamento - ER, RG, EL - e mandò una mail all'Agenzia che gli rispose con una videata in cui lo avvertiva che era stato raggiunto il numero massimo di mail ricevibili. Andò su internet in cerca d'aiuto e trovò decine di poveri cristi con laurea come lui, terrorizzati dalla notizia che l'errata compilazione avrebbe comportato un nuovo pagamento delle somme già versate. La mattina dell'8 giugno il contribuente Z si recò in banca per consegnare il modulo semplificato, che risultò compilato in modo complicato e forse sbagliato. Lui, pur di liberarsene, lo pagò. Poi fece ritorno a casa con una proposta di legge nel cervello: «La tassa sull'Imu entrerà in vigore soltanto dopo che ogni membro dal governo avrà dimostrato di riuscire a pagarla da solo». da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1198
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #309 inserito:: Giugno 19, 2012, 11:16:40 pm » |
|
19/6/2012 Il sottosegretario Quaresima Massimo GRAMELLINI Lo scrivo a voce bassa e raccomandando il massimo riserbo - non vorremo svelare i piani segreti del governo a qualche potenza straniera? - ma il sottosegretario all’Economia con delega alle chiacchiere Polillo ha appena avuto un’idea geniale per far impennare il Pil. Rinunciare a una settimana di ferie. Non lui, gli italiani tutti. Poiché i lavoratori dipendenti godono di tre mesi di vacanze l’anno, ha ragionato il grand’uomo (temo li abbia confusi con i parlamentari), basterebbe offrire alla Patria una settimana di tintarella e l’economia nazionale ripartirebbe a razzo verso il cielo stellato. Non intendo guastare i sogni di Polillo ricordando che è inutile produrre di più se poi non c’è nessuno a cui vendere e che oggi il problema non è rappresentato da quelli che fanno le ferie, ma da quelli che non le fanno perché hanno perso il lavoro. Mi limito a prendere spunto dall’ultima uscita «tecnica» per invocare dai rispettabili membri del governo un cambio: se non di marcia, almeno di umore. Sarà vero che arriviamo da un carnevale di vent’anni (anche se la maggioranza di noi nemmeno stava sui carri e applaudiva o fischiava la sfilata dal bordo della strada). Ma non mi sembra una buona ragione per sprofondarci in questa quaresima senza pasque, quasi dovessimo espiare una colpa collettiva. Chi lavora, in Italia, lavora tantissimo. Semmai lavora male, a causa della corruzione e della burocrazia, figlie naturali della cattiva politica. Invece di farlo sentire un verme, gli andrebbe restituita una speranza, mandando in ferie non pagate gli ottusocrati e in carcere i ladri. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1200
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #310 inserito:: Giugno 21, 2012, 06:42:26 pm » |
|
21/6/2012 Forza Grecia Massimo GRAMELLINI Continuo a sentire persone insospettabili che domani sera faranno il tifo per la Grecia contro la Germania. Il calcio c'entra poco. Anche la solidarietà per i cugini mediterranei. In Italia - e non solo dalle parti del Cavalier Grillo, ultima metamorfosi di Berlusconi - sta montando un pregiudizio antitedesco: alla Germania egoista viene attribuita la crisi mortale in cui si sta avvitando l'Europa. I più arrabbiati sono gli anziani, o diversamente giovani, ai quali le recenti vicende evocano antichi fantasmi. Se parlate con qualcuno di loro, vi dirà che gli eredi di chi trascinò l'Europa in un conflitto che la indebolì per sempre dovrebbero sentire una responsabilità speciale, affatto esaurita. Nel dopoguerra gli americani finanziarono la rinascita di Paesi lontani, in cui oltretutto erano morti i loro figli. Come possono i tedeschi non avvertire il dovere morale di promuovere un piano Marshall per salvare l'Europa? Pensano davvero di riuscire a rimanere un'isola di benessere nel cuore di un continente in miseria? Così ragionano i sopravvissuti della seconda guerra mondiale, arrivando a suggerire atti estremi come il boicottaggio dei prodotti tedeschi. Ma anche chi è arrivato in seguito prova un certo disagio nel confrontarsi con gli stereotipi del bavarese medio, che raffigura noi popoli mediterranei come una massa di scansafatiche abbronzati e pieni di debiti, perciò meritevoli di un ridimensionamento che ci costringa a illividire nella tristezza. In realtà il bavarese medio la pensava così già ai tempi di Kohl. Ma Kohl se ne infischiava, perché a differenza di Merkel era uno statista. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1202
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #311 inserito:: Giugno 24, 2012, 09:13:56 am » |
|
22/6/2012 Gli Aristotecnici Massimo GRAMELLINI Dalle vivide cronache del sito Studenti.it si apprende che la prova di greco scritto ha seminato il panico fra i maturandi. Aristotele non usciva dal 1978. Ha passato gli Anni 80 tappato in casa e anche il ventennio successivo non deve essergli garbato un granché, se per riaffacciarsi all’esame di maturità ha preferito attendere il governo tecnico. Pur di rendere indimenticabile la sua rentrée, il filosofo ha scelto un brano intitolato «Non il caso ma la finalità regna nelle opere della natura». Pensiero condivisibile, benché di difficile digestione per le vittime di un cataclisma. Durante la lunga clausura Aristotele ha maturato una perfidia da vero tecnico: il testo, infatti, è scritto non per essere letto, ma per essere detto. Sono appunti di una lezione di filosofia, particolarmente improbi per dei ragazzi abituati a tradurre brani di narrativa. Ma l’Aristotecnico ha sottovalutato la reattività italica. Stando a Studenti.it, molti professori che presidiavano le aule d’esame hanno affiancato eroicamente i maturandi nell’opera di traduzione. Da un sondaggio rudimentale risulterebbe che il 34% dei ragazzi abbia copiato tutto, il 14 abbastanza e il 20 soltanto un po’. Il rimanente 32 è vivamente pregato di lasciare il Paese per manifesta incompatibilità ambientale. Perché non solo nelle opere della natura, caro Aristo, ma anche in quelle di molti italiani a regnare non è il caso ma una finalità ben precisa: porsi obiettivi che siano al di sopra delle loro possibilità per poi eluderli con un espediente, meglio se un sotterfugio. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1203
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #312 inserito:: Giugno 25, 2012, 10:17:05 am » |
|
23/6/2012 Figli delle (5) stelle Massimo GRAMELLINI Nominato la sera, l’assessore all’Urbanistica della Parma di Grillo si è dimesso la mattina, dopo che sul sito del giornale locale una lettrice ne aveva rivelato gli altarini: il fallimento di un’azienda e la ristrutturazione di una casa senza permessi. Non il curriculum ideale per chi, nel nuovo incarico, quei permessi avrebbe dovuto concederli. La fulminea parabola dell’architetto Bruni ha riacceso la miccia del disincanto. Nella città-laboratorio del grillismo si assiste da settimane a un susseguirsi di lentezze, ingenuità e goffaggini che in politica sono altrettanti peccati mortali. La difficoltà del sindaco Pizzarotti nel selezionare la nuova classe dirigente sta dando ragione ai realisti che considerano la politica una professione, non un passatempo per dilettanti allo sbaraglio. Mentre strapperà un sorriso di compiacimento ai cinici l’amara considerazione che, in questo Paese di moralisti verbali, tutti sembrano custodire uno scheletro nell’armadio. Poiché un corsivo chiamato Buongiorno non può venire meno alla sua ragione sociale, mi ostino a cercare in tanto sconforto uno spiraglio di speranza: una cittadina ha rivelato le magagne dell’assessore sul web, il movimento che aveva scelto l’assessore ha riconosciuto la bontà della denuncia, l’assessore si è dimesso. Tutto in ventiquattr’ore. Capisco che la democrazia di Internet si presti al rischio dell’isteria e della gogna. Ma capisco anche che, se i partiti in disgrazia avessero applicato il metodo Parma, ci saremmo risparmiati qualche Lusi e parecchi abusi. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1204
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #313 inserito:: Luglio 01, 2012, 03:45:51 pm » |
|
30/6/2012 L'Italia può davvero cambiare? Massimo GRAMELLINI Gioisce la Borsa, guaisce lo spread, Mariochiaro batte i pugni a Bruxelles, Marioscuro sguaina i pettorali a Varsavia, la Nazionale di calcio schianta e incanta, e pare proprio che nel week-end scenderà di nuovo il prezzo della benzina. Ma cosa succede? Dov’è finita la raffica di cattive notizie con cui ero abituato a iniziare la giornata? I titoli dei giornali radio del mattino mi proiettano in un Paese sconosciuto e dentro un’atmosfera dimenticata: soddisfazione, orgoglio, speranza che per una volta la fetta non cada dalla parte della marmellata. Non fosse per il cafone che mi taglia la strada al semaforo e ha ancora ragione lui, penserei di essere emigrato durante la notte a mia insaputa. Sono travolto da questa ondata di italiani anomali che in poche ore hanno deciso di smontare luoghi comuni coltivati nei secoli e a cui mi ero persino affezionato, come ci si affeziona a una zia bisbetica o a una malattia cronica. Furbizia e Vittimismo, dove siete? Catenaccio, non ti riconosco più. Da Bruxelles a Varsavia questa è un’Italia che se la gioca, impone il suo ritmo, smette di nascondersi. Forse perché ha finalmente voglia di farsi scoprire diversa da come l’hanno sempre raccontata. Dei simboli tricolori resiste solo la Mamma, però declinato in modo inedito: lo sguardo della signora Silvia mentre si avvinghia al suo Balotellino preferito e quella mano bianca che scende con amore sulla testa nera sono gesti che sembrano quadri e valgono poemi. Stavolta i parallelismi fra politica e sport non sono nevrosi giornalistiche, ma slanci del cuore. Ne avevamo bisogno. Ho visto persone abbracciarsi dopo la vittoria contro la Germania, perfettamente consapevoli che non darà lavoro ai giovani né umanità ai banchieri, eppure fanciullescamente felici di riscoprire che si può essere felici anche solo per due ore e anche solo per due gol. Finché nella notte dei bagordi sobri è sobriamente affiorata la notizia del successo di Monti sullo scudo antispread, che detto così sembra un’arma da Guerre Stellari e in fondo lo è. Monti che sovverte l’immagine dell’italiano sbruffone e traditore, sostituendola con quella del negoziatore duro, leale nel rispetto della parola data, ma inamovibile nella difesa degli interessi nazionali. Buffon che, invece di festeggiare, lascia il campo imbufalito con i compagni perché nel finale qualche loro sciatteria aveva rischiato di compromettere la vittoria. Comunque la pensiate su Monti e su Buffon, non sono atteggiamenti da italiani. O non lo erano? Mi sorge il dubbio che questo Paese stia cambiando più in fretta delle statistiche, dei sondaggi e dei corsivi di giornale arrotolati sui cliché. Che, insieme con la corruzione, il familismo e l’insopportabile disprezzo per qualsiasi cosa assomigli a una regola collettiva convivano, spesso nella stessa persona, il senso della dignità e persino della comunità. E se anche non fosse così, questi sogni europei di mezza estate possono dettare la linea, lanciare una moda. Si può giocare contro la Germania come se i tedeschi fossimo noi, ma dei tedeschi più creativi. E si può trattare con la Germania come se i tedeschi fossimo noi, ma dei tedeschi più duttili. Si può cioè immaginare di essere diversi rimanendo uguali. Con un po’ di fatica, di fiducia, di disciplina. In fondo l’evoluzione è questa, e vale per i popoli come per i singoli umani. da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1208
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #314 inserito:: Luglio 01, 2012, 03:46:42 pm » |
|
29/6/2012 Cosa vogliono le donne Massimo GRAMELLINI Per ragioni non riassumibili in venti righe, un cavaliere della Tavola Rotonda si ritrovò sposato a una donna vecchia, sdentata e puzzolente. Dopo il supplizio della festa di nozze, durante la quale il mostro gli aveva ruttato addosso a ogni boccone, il cavaliere raggiunse la camera da letto con passi lenti da condannato. Quand’ecco spalancarsi la porta e apparire la megera, trasformata in una fanciulla incantevole. Abbracciò lo sposo e gli disse: «Sono vittima di un sortilegio. Devi scegliere: preferisci avermi orrida di giorno e radiosa di sera, o viceversa?». Il pensiero del cavaliere andò al suo amico più caro: esibizionista com’era, avrebbe tranquillamente accettato di dormire per sempre con una racchia, pur di avere una fata da esibire agli amici. Poi si immaginò la risposta del suo palafreniere, un ragazzo passionale. Lui al contrario avrebbe sfidato volentieri i commenti malevoli del prossimo, in cambio della possibilità di incontrare la bellezza fra le lenzuola. Ma il cavaliere della Tavola Rotonda la pensava diversamente da entrambi. Disse alla sua sposa che una scelta così importante poteva spettare soltanto a lei. La strega sorrise: «Allora io scelgo di rimanere bella per tutto il tempo, dal momento che tu mi hai rispettata, lasciandomi libera di decidere il mio destino». (Dedicato ai maschi privi di educazione sentimentale e incapaci di evolvere, che perseguitano le donne che non li desiderano o non li desiderano più, arrivando a picchiarle e addirittura a ucciderle, come è accaduto ancora ieri a Legnano). da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1207
|
|
|
Registrato
|
|
|
|
|