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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 331091 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Dicembre 25, 2010, 06:24:59 pm »

24/12/2010 - LO SLANCIO DELLA PASSIONE PER INVENTARE IL FUTURO

Uno tsunami morale per risalire

Dopo la sbornia del "yes, we can", meno vittimismo e più esempi

MASSIMO GRAMELLINI

Il 2010 è stato l’anno delle sabbie mobili: né avanti né indietro, ma sempre più a fondo. Si discute di nucleare, mentre l’energia di cui avremmo maggiormente bisogno è la passione. Quella che ti spinge prima a immaginare il futuro e poi a crearne uno. Gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile e per questo la fecero, scriveva Bertrand Russell. E invece, dopo la breve sbornia obamiana, «yes we can» ha lasciato di nuovo il posto a «non si può», che è il mantra degli arresi, la gabbia contro cui si spiaccicano i sogni.

Il 2010 si chiude con gli studenti in piazza e presto potrebbe toccare ai pensionati e persino agli occupati, perché se gli stipendi stanno diventando cinesi, il costo della vita rimane drammaticamente europeo. Ci si può opporre a questa crisi epocale che ha cambiato il flusso millenario della storia? No, ma ci si può convivere. Purché tutti facciano qualcosa. E in quel tutti ci siamo davvero tutti. Noi e loro. Loro sarebbero i politici, la classe dirigente. Alla quale per il 2011 non chiediamo miracoli, ma un sussulto di dignità. Anzitutto il coraggio di qualche scelta impopolare che privilegi l’istruzione, la ricerca, la cultura e l’ambiente, sacrificando all’occorrenza qualcosa del resto, perché la sopravvivenza di una specie è garantita dalla crescita dei giovani, non dall’immortalità degli anziani. Dai potenti vorremmo meno prediche e più buoni esempi. Più decenza e senso della realtà. Un presidente del Senato non può menare vanto che i parlamentari lavorino fino all’antivigilia di Natale e poi aggiornare la seduta al 12 gennaio. La classe dirigente si gloria di assomigliare alla società anche nei difetti, ma è proprio questo che le ha tolto autorevolezza. Pretendere da un leader comportamenti superiori alla media - nel trattare i soldi, nel trattare le donne - non è moralismo, ma la precondizione per la tenuta della gerarchia sociale. Se il capufficio ruba e tocca il sedere alla segretaria, gli impiegati si sentiranno autorizzati a fare altrettanto.

Magari lo ammireranno, ma non lo rispetteranno più. Però sarebbe troppo comodo gettare tutto il peso del 2011 sulle spalle di chi ha responsabilità pubbliche. Se potessi evocare uno tsunami morale, gli chiederei di spazzare dalle nostre viscere il vittimismo e l’egocentrismo, in virtù dei quali ci riteniamo continuamente vittime di ingiustizie e di complotti, come se il mondo non avesse altro da fare che pensare a noi, salvo poi lamentarci proprio di questo: che il mondo non pensa abbastanza a noi. Ogni tanto bisognerebbe ricordarsi che siamo fatti di fango ma anche di stelle, che siamo cittadini e non sudditi, che la vita dipende in larga misura dalle nostre scelte personali e non da quelle della politica. Che ogni Io fa parte di un Noi e che il Noi non è solo la nostra famiglia, ma le tante comunità a cui decidiamo di aderire. Che se una cosa è pubblica appartiene a tutti, non a nessuno. E che per ogni porta che si chiude c’è sempre una finestra che si sta aprendo da qualche altra parte. A volte basta smettere di piangere e asciugarsi gli occhi per riuscire a vederla.

http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/381228/
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« Risposta #91 inserito:: Gennaio 14, 2011, 11:20:36 am »

14/1/2011

Le due parti della mela democratica

Prima ancora che gli operai, il referendum di Mirafiori è riuscito a spaccare il Pd.

Massimo GRAMELLINI

Di fronte a una questione finalmente concreta e altamente simbolica (il destino della fabbrica per eccellenza) è venuta alla luce la frattura profonda fra le due parti della mela rosé. C’è una fetta della mela che accetta la globalizzazione come un dato di fatto, cercando quantomeno di contenerne i virus malefici. E un’altra fetta che invece la globalizzazione la rifiuta (in pieno accordo, a leggere i blog, con la maggioranza dei suoi elettori), anche se poi non spinge la scomunica della realtà fino alle conseguenze coerenti: l’isolazionismo e il protezionismo. Altre opzioni purtroppo non ce ne sono, se non quella ovviamente paradossale di paracadutare i marines in Cina per imporre con la forza i nostri diritti civili, sindacali e ambientali a chi non ha alcuna intenzione di adottarli.

I riti bizantini della politica, in cui il Pd si rivela più democristiano che comunista, hanno impedito che già ieri il partito di Bersani si avviasse verso la scissione. Ma la rottura è nelle cose, plasticamente rappresentata dalle parole di Chiamparino: «Questa sinistra fuori del mondo mi ha stufato». Lo stesso spartito di Renzi e in termini più felpati di Veltroni, che su Mirafiori ha inutilmente chiesto alla Cgil di uscire dall’arrocco e sparigliare con una controproposta che coinvolgesse i lavoratori nella gestione dell’impresa, come in Germania.

Il collante dell’antiberlusconismo non basta più a tenere insieme le due parti della mela democratica, ormai divise su tutto, ma soprattutto sulla strategia per battere il centrodestra. La fetta di Veltroni e Chiamparino punta alla maggioranza relativa e per raggiungerla vorrebbe allargare il bacino elettorale, pescando voti nell’area dei moderati delusi dalle promesse a vuoto di re Silvio. La fetta di Bersani e D’Alema mira invece a recuperare i fan di Vendola e gli astensionisti di sinistra, trattando poi un’alleanza di governo col centro di Casini, in una riedizione aggiornata del compromesso storico. Pur riconoscendo ai protagonisti sconfinate risorse di equilibrismo, riesce davvero difficile immaginare che due Pd così diversi possano rimanere ancora a lungo uno solo.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #92 inserito:: Gennaio 19, 2011, 06:42:48 pm »

19/1/2011

La morale dell'Uomo Ragno


E’ il presidente del Consiglio, cribbio (direbbe lui). Il presidente del Consiglio, non un cittadino normale o un miliardario qualsiasi che fa quel che vuole dei suoi soldi e di se stesso, e se si infila venti ricattatrici potenziali sotto le lenzuola, alla peggio ci rimette il portafogli e l’argenteria di famiglia. Lui è il leader politico di uno Stato e i rischi a cui lo espone la sua condotta privata non investono solo la sua persona, ma tutti gli italiani. E se il servizio segreto di una nazione o multinazionale straniera avesse assoldato Ruby per costringere il premier a firmare un accordo economico svantaggioso per l’Italia in cambio del silenzio?

Moralismo? No, Machiavelli. O, se preferite, la morale dell’Uomo Ragno: a grandi poteri grandi responsabilità. Il capo di un governo eletto dal popolo non è «uno di noi». Deve essere meglio di noi o quanto meno sembrarlo. Poiché rappresenta l’immagine del proprio Paese nel mondo, è tenuto a rispettare le sacre regole dell’ipocrisia, a contenere i suoi vizi o comunque a occultarli, come fecero Kennedy, Craxi e Mitterrand. E quando viene beccato, deve chiedere scusa e mostrarsi contrito in stile Clinton, non negare l’evidenza e parlare d’altro, di rispetto della privacy (che per lui non vale) e di complotti che anche se ci fossero non scalfirebbero il nocciolo della questione: chi fa bunga bunga può governare un impero, ma non una democrazia.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=929&ID_sezione=56&sezione=
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« Risposta #93 inserito:: Gennaio 20, 2011, 06:24:08 pm »

20/1/2011

La buccia del chinotto

Un amico sorride amaro: «Non farti illusioni, potenzialmente siamo tutti come lui e la sua corte: trombare e fare soldi, interessati solo ai bisogni primari, ai chakra bassi, per dirla alla maniera di voi che meditate e fate yoga. Sì, qualche disturbato che sogna con un romanzo o va in estasi per una notte d’amore sotto le stelle esisterà pure, ma è la buccia del chinotto: scorza sottile, percentuale insignificante».

Davvero? Davvero la maggioranza dei giovani assomiglia a quel tipo che incita sua sorella a infilarsi nel letto di un anziano miliardario, «così ci sistemiamo»? Davvero il mondo contemporaneo si divide fra padri padroni, disposti a uccidere le figlie che osano ribellarsi, e padri ruffiani che nelle intercettazioni le incitano a sgomitare perché «le altre ti sono passate davanti, svegliati!». Sarò un ingenuo, eppure vedo ancora in giro della dignità, anche in tanti poveri che una busta di 5000 euro l’hanno magari sognata, ma non la vorrebbero trovare nella borsa della figlia a quelle condizioni. Vedo donne e uomini pieni di vizi, ma che non invidiano lo stile di vita dei crapuloni e sognano di invecchiare con una persona amata al fianco e la musica di Mozart nelle orecchie. E quando, come ieri, alcuni lettori telefonano al giornale per segnalare che una luna mai così arancione è spuntata fra le colline e mi arriva sul tavolo la raccolta di poesie di una ragazza timida, allora penso che non è finita. Che la buccia del chinotto è più spessa di tutto il gas che le sta esplodendo intorno, in un enorme rutto di niente.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #94 inserito:: Gennaio 22, 2011, 05:40:25 pm »

22/1/2011
 
Quelle parole che fanno crescere l'Italia
 
Massimo GRAMELLINI

 
Pubblichiamo parte dell’intervento al Quirinale per la Giornata dell’informazione

Nel preparare con Carlo Fruttero l’almanacco dei 150 anni di storia italiana, ci siamo imbattuti in tanto giornalismo di qualità. Certo, erano tempi non avari di retorica e nelle cronache dei funerali di Vittorio Emanuele II si scioglievano inni «al più valoroso fra i Maccabei». Ma i giornali erano anche capaci di parlare chiaro al potere, come Matilde Serao che in una lettera aperta al ministro Depretis denunciava le condizioni igieniche dei bassi di Napoli, chiedendo di smetterla con «la retorichetta del mare glauco e del cielo di cobalto». E furono i giornalisti a rivelare i primi scandali finanziari dello Stato unitario e a tratteggiare il profilo di Bernardo Tanlongo, presidente della Banca Romana, amico di cardinali e massoni, inesausto dispensatore di mance e di barzellette, che ha fornito il prototipo ai furbetti del quartierino.

Furono sempre i giornalisti a strappare il velo di tanti inferni. Come quello dei carusi, i bambini impiegati nelle miniere di zolfo della Sicilia, la cui scoperta si deve a un gruppo di reporter che riuscirono a intrufolarsi in quegli antri bui per raccontare il supplizio dei piccoli schiavi venduti dai genitori per un sacco di farina e costretti a spezzarsi la schiena 12 ore al giorno in cambio di un pezzo di pane e cipolla. Vi devo dare una notizia: il gossip non lo abbiamo inventato noi. Il giornalista-fustigatore Pietro Sbarbaro distrusse la carriera del ministro degli Esteri Mancini, rivelando che la moglie lo aveva trovato a letto con la cameriera: vistosi scoperto, lui le aveva gridato: «Scusami cara, ero convinto che fossi tu». E quando il ministro degli Interni Francesco Crispi venne accusato di bigamia, fu un giornale dell’epoca, «Il Piccolo», a costringerlo alle dimissioni attraverso una campagna di stampa basata sulle famose «Sei Domande».

(...) Purtroppo la mancanza di una vera opinione pubblica - assenza determinata da secoli di servaggio e da un tasso altissimo di analfabetismo - ci ha fatto contrarre due virus dai quali dobbiamo guardarci ancora oggi. Il primo è l’attitudine a parlare al Potere anziché al Lettore, usando un linguaggio per iniziati. Il secondo difetto, per certi versi l’opposto dell’altro, è la deriva populista che porta a seguire gli umori della piazza anziché a indirizzarli. L’esempio più drammatico si ebbe alla vigilia della prima guerra mondiale, quando quasi tutti i giornali (con l’eccezione di quelli socialisti e de La Stampa del giolittiano Frassati) cedettero alla bramosia interventista di una minoranza chiassosa che forzò la mano al capo dello Stato e al Parlamento. Una prova generale di quanto sarebbe accaduto pochi anni dopo, a opera di un giornalista che la leva del populismo sapeva manovrarla assai bene: Benito Mussolini.

Ma se si osserva dall’alto la storia del giornalismo italiano di questo secolo e mezzo, ci si accorge che fra tante luci e immancabili ombre si stende una linea solida e coerente che arriva fino ai giorni nostri. Si dice che gli italiani non abbiano senso dello Stato, e che semmai sia lo Stato, talvolta, a fare loro senso. Ebbene, contro questo luogo comune, che come tutti i luoghi comuni contiene qualche elemento di verità, il giornalismo migliore ha sempre combattuto, pagando prezzi pesanti durante gli anni di piombo. Perciò vorrei chiudere questo breve viaggio nel tempo con una pagina del nostro almanacco in cui Carlo Fruttero racconta il sacrificio di un suo carissimo amico. E lo fa come nelle poesie di Spoon River, lasciando che a raccontare la storia sia lo stesso protagonista.

«(...) Mal di denti. Così sono uscito dall’ufficio e sono andato dal dentista senza la scorta, che avevo da pochi giorni. E loro mi hanno seguito fino a casa, hanno aspettato che parcheggiassi l’auto in corso Re Umberto e quando poi sono entrato nel portone, in due, forse in tre, mi hanno puntato le pistole. Il rimbombo in quella casa borghese, in quel quartiere borghese. Eliminato “un servo dello Stato” con quattro colpi. Tutti sono venuti, tutti hanno sperato, ma io sapevo che non c’era speranza, il dolore era troppo forte. Avrebbero potuto essere pallottole fasciste o naziste, quando ero nella lotta partigiana con Giustizia e Libertà, e invece muoio a più di sessant’anni per mano di questi idioti, sì, degli idioti ignoranti. È così che li giudico, alla fine.

Certo, lo Stato di cui sono un servo non è uno Stato ideale, ma è in grado di difendersi senza legge speciali, con le armi legali che già possiede e che noi gli abbiamo dato in anni lontani. “Né con lo Stato né con le Br” dicono alcuni personaggi eminenti e improvvidi, ma è una neutralità impossibile: lo Stato per quanto debole, zoppicante, carente, talvolta iniquo, non si può mettere sullo stesso piano di gente che non ha un’idea dietro l’assassinio. (...) Di me diranno che sono un eroe, anche se ho vissuto tutta la mia vita lontano da ogni enfasi. Ho fatto il giornalista, ho commentato i fatti politici che mi passavano davanti, non ho mai auspicato la morte di nessuno. Una vita tutto sommato abitudinaria, moderata, passata a lavorare, leggere, studiare, scrivere, giorno dopo giorno. Ma non è bastato a salvarmi da quel rimbombo nell’androne, da quegli idioti ignoranti. Il 29 novembre 1977 è arrivata la fine, dopo tredici giorni di agonia. Sono stato Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa di Torino». 

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #95 inserito:: Gennaio 25, 2011, 05:58:07 pm »

25/1/2011

Totò di Stato

Massimo GRAMELLINI

Da un paio di giorni gli italiani sono sinceramente sorpresi. Non solo un politico è andato in galera (stupore già registrato a caldo dal nostro Mastrolilli), ma ci è andato senza dare del comunista al giudice che ve lo ha spedito. Quanto basta, di questi tempi, perché un uomo condannato per reati di mafia passi per uno statista. Cos’ha fatto di così straordinario Totò Cuffaro? Ha accettato un verdetto. Di più: ha riconosciuto la legittimità della giuria. Un italiano che si rifiuta di fare la vittima non è un eroe, sia ben chiaro. Però è una notizia. Perché da noi di solito sono le vittime a passare per eroi e a venire premiate da un pubblico che si identifica in loro e, assolvendole, assolve se stesso.

La delegittimazione di ogni autorità è il lascito peggiore del Sessantotto e non sarà un caso che abbia attecchito quasi soltanto in Italia, dove nei secoli dei secoli l’autorità ha dato pessimi esempi e i cittadini (pardon, i sudditi) si sono accomodati a considerarla di parte, obbedendole per paura o per interesse, mai per convinzione, cioè per senso dello Stato. Speriamo che, solo in questo, Cuffaro faccia proseliti. Che presto i giornali possano strillare altre notizie clamorose: «Automobilista paga la multa per un parcheggio in terza fila senza accusare il vigile di avercela con lui». «Genitore sgrida il figlio che ha preso 4, anziché sgridare il prof per averglielo dato». Fino alle soglie dell’impossibile: «Presidente di calcio si sfoga: l’arbitro sarà pure venduto, ma la mia squadra meritava di perdere».

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41
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« Risposta #96 inserito:: Gennaio 26, 2011, 11:53:45 pm »

26/1/2011

Salotti buoni


Massimo GRAMELLINI


Immaginate un dopocena a casa vostra in cui gli invitati si interrompono di continuo, un tizio vi mostra il dito medio mentre gli servite l’amaro, una signora se ne va rovesciando il caffè e a mezzanotte telefona uno, sempre il solito, che si annoia a stare da solo e vi urla che siete turpi, spregevoli e ripugnanti. È quanto accade ogni sera nei talk show multi-ospiti (e in quello di Lerner meno che altrove). La caciara è il tratto dominante di queste palestre dell’ego. Ma un tempo era caciara organizzata, secondo la celebre raccomandazione di Biscardi: «Non parlate più di due alla volta». Invece da quando è scoppiato il bunga bunga Biscardi sembra Cetto La Qualunque: un moderato.

L’ospite non va in tv per parlare e ascoltare. Ci va per impedire agli altri ospiti di oltrepassare soggetto, verbo e (nei casi fortunati) complemento oggetto, ripetendo ossessivamente una parola qualsiasi - «capra capra capra» «mavalà mavalà mavalà» - al fine di confondere il malcapitato e obbligare il regista a staccare sulla propria faccia. Conquistata l’inquadratura, farà una premessa, «Io non l’ho interrotta, lei non interrompa me» e poi comincerà a parlare: venendo immediatamente interrotto. Forse agli inizi il pubblico si divertiva. Ma adesso vorrebbe una storia, un pensiero, un discorso compiuto. Non la visione di uomini e donne stravolti dall’ansia di insultare il nemico o difendere il padrone. Modesta proposta ai conduttori: spegnete i microfoni di chi non ha la parola. I duellanti diverrebbero afoni. Oppure si prenderebbero a botte. In entrambi i casi, noi torneremmo a divertirci.

DA lastampa.
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« Risposta #97 inserito:: Gennaio 27, 2011, 11:59:47 pm »

27/1/2011

Lo Stato della Disunione

Massimo Gramellini

 
Obama non lo sa, ma rivolgendosi agli americani nel discorso sullo Stato dell’Unione ha parlato per ben due volte a noi italiani.

La prima quando ha massaggiato l’amor proprio dei suoi connazionali con il ricordo delle grandi conquiste degli Stati Uniti.
Perché un pensiero simile non potrebbe essere accolto anche qui? Possibile che le 150 candeline che spegneremo a marzo debbano essere l’ennesimo pretesto per scannarci fra polentoni e terroni, per parlare di massacri e ingiustizie (presenti nel certificato di nascita di tutti gli Stati moderni), per stabilire se fossero più cruenti i briganti che bevevano nei teschi dei piemontesi o i piemontesi che torturavano i briganti nel lager di Fenestrelle?

Non sarebbe meglio per il nostro umore se la parola Italia rievocasse Manzoni e Marconi, Fellini e Ferrari, traducendosi in un’iniezione corroborante invece che nel solito torcicollo emotivo senza costrutto?

L’altro messaggio in codice intercettato nelle parole di Obama è l’invito a credere nel potere della creatività.
I posti del futuro non verranno dai lavori del passato, destinati a ridimensionarsi e a traslocare altrove per sempre. Arriveranno dalla tecnologia e dalle energie rinnovabili, da idee nuove e progetti d’avanguardia. Vale la pena perdere altro tempo a inseguire la coda di un mondo che non tornerà più, anziché provare a immaginarne un altro? L’Italia risorge soltanto se sblocca il suo torcicollo e accetta di vivere «ora», come suggerisce il titolo del nuovo disco del mio intellettuale di riferimento: Jovanotti.

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« Risposta #98 inserito:: Gennaio 30, 2011, 10:37:05 am »

28/1/2011

Non ce lo meritiamo

Massimo GRAMELLINI

Un lanciatore di baseball della squadra di Kansas City aveva ancora un anno di contratto da 12 milioni di dollari, ma vi ha rinunciato perché stava giocando male: gli sembrava di rubare lo stipendio e si è ritirato. Il baseball stimola pensieri evoluti dai tempi di Charlie Brown. Cionondimeno immagino che in queste ore stuoli di medici si affollino al capezzale di Gil Meche per capire in quale punto esatto della nuca lo abbia colpito la pallina. Sento la voce del cinico: è un campione miliardario, sai che sacrificio! Ma il punto non è la rinuncia (e comunque 12 milioni sono un discreto bottino anche per un nababbo). E' la motivazione.

Non vi sfuggiranno gli effetti che un esempio simile potrebbe avere sugli equilibri del pianeta, in caso di propagazione del contagio. Se tutti i manager scarsi rifiutassero la liquidazione con cui vengono accompagnati alla porta dalle aziende che hanno impoverito con le loro scelte sciagurate. Se gli assunti demotivati, raccomandati e sopravvalutati (tre caratteristiche talora riscontrabili nella stessa persona) presentassero le dimissioni con queste parole: «Troverei giusto che la mia retribuzione andasse a quel precario che sgobba il triplo di me». Se insomma ogni uomo, in ogni circostanza della vita, si guardasse allo specchio con obiettività e ne traesse le conseguenze naturali, anziché sentirsi sempre un fenomeno incompreso e la vittima di qualche complotto, è evidente che il mondo cesserebbe di essere la simpatica schifezza che è. E, finalmente perfetto, si dissolverebbe nello spazio esibendo il cartello: missione compiuta.

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« Risposta #99 inserito:: Febbraio 01, 2011, 04:40:55 pm »

1/2/2011

Il vestito di Carlà

Massimo GRAMELLINI

Carla Bruni non è più di sinistra. Ecco la classica notizia insignificante che piomba sul tavolo della redazione in una giornata plumbea e riesce quantomeno a provocare una smorfia. Madame Sarkozy non è più di sinistra, lo ha dichiarato lei in un’intervista, ed è una bella sorpresa, specialmente per la sinistra, che perso il voto di Carlà potrà dedicarsi a recuperare quelli della colf, della parrucchiera e della sarta di Carlà, che da decenni votano a destra, non foss’altro per reazione ai discorsi di Carlà.

Premessa: un maschio torinese non è la persona più obiettiva per giudicare colei che incarna la casta delle «cremine», come venivano chiamate ai tempi della mia e sua adolescenza le torinesi ricche, snob, enigmatiche e sostanzialmente stronze, nel senso di crudeli, per le quali la rivoluzione e i rivoluzionari erano un giochino cerebrale con cui ingannare la noia di esistenze facilitate dal destino. Con gli anni abbiamo imparato ad apprezzare la sua eleganza e a convincerci che nascondesse tesori di conoscenza. Ma certo il suo passaggio nell’area del non voto, se non addirittura fra le file del marito destrorso, va festeggiato come un momento di libertà. Sì, libertà di dire che i suoi dischi sono di una noia pazzesca, senza più correre il rischio di passare per insensibili. Libertà di vederla per quella che è, una donna di potere intelligente e spregiudicata, non una santa protettrice degli oppressi. Perché quelle come Carlà sono di destra dentro. E indossano le idee di sinistra come un vestito attillato che serve a fare colpo sugli illusi, ma prima o poi si strappa.

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« Risposta #100 inserito:: Febbraio 03, 2011, 06:42:15 pm »

3/2/2011

Altre domande?

Massimo GRAMELLINI


1. Presidente, negli ultimi due anni l’Italia ha tenuto alto l’argine della stabilità dei conti, come hanno riconosciuto l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale. Ora è il momento di tornare a crescere. In che modo?

2. Molti analisti affermano che l’Italia è ancora un Gulliver, ovvero un gigante bloccato da lacci e laccioli. Lei è sceso in politica nel 1994 promettendo la rivoluzione liberale. Per dare una scossa alla nostra economia è arrivato il momento di andare fino in fondo?

3. Proprio su questi temi lei ha fatto una proposta all’opposizione che ha risposto che non è credibile. Ma dietro questo rifiuto, secondo lei, aleggia il partito della patrimoniale, la vecchia ricetta che per risolvere i conti della nostra economia punta sempre sulla scorciatoia dell’aumento della pressione fiscale?

Domande dure, niente da dire. Di quelle che lavorano ai fianchi l’interlocutore, specie nel caso in cui soffra di solletico. A volte capita di leggerle anche sui giornali, ma sussurrate all’ora di cena sul primo canale della tv di Stato fanno tutto un altro effetto. Pur intimidito dalla prospettiva di trovarmi al cospetto di un superuomo che teneva entrambe le mani sopra la cartina geografica del mondo intero, al posto dell’intervistatore del Tg1 avrei approfittato della storica circostanza per rivolgere a Berlusconi una domanda ancora più insidiosa.

4. Presidente, come va?

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« Risposta #101 inserito:: Febbraio 08, 2011, 05:24:32 pm »

8/2/2011

È qui la festa

Massimo GRAMELLINI

Il Centocinquantesimo dell’Italia Unita ricorda quelle feste di compleanno dell’adolescenza dove gli invitati all’ultimo danno buca o si trascinano per inerzia e col segreto desiderio di provocare qualche pasticcio. Ieri ci siamo persi il presidente della provincia di Bolzano: si sente un austriaco all’estero, ha fatto sapere che l’Alto Adige il 17 marzo non festeggerà. La presidente degli industriali, magnanima, quel giorno è pronta a stappare una bottiglia di spumante, ma sui luoghi di lavoro: niente vacanza, perché nell’economia globale occorre aumentare il pil anche sullo stomaco.

A quaranta giorni dal lieto evento gli italiani ignorano di che cosa si tratti (un lettore: «Non andavo alle feste dell’Unità quando c’era il partito comunista, si figuri adesso»), oppure se ne infischiano, oppure prendono a pretesto la ricorrenza dell’unità per tornare a dividersi daccapo. I borbonici vorrebbero trascinare i piemontesi davanti alla Corte di Giustizia dell’Aja. I padani si dividono fra chi considera Cavour vittima di Garibaldi e chi un connivente: imputato di concorso esterno nel reato di associazione italiana. Ma sotto sotto tutti gli italiani sono convinti di stare insieme per sbaglio, per un incidente della storia al quale rassegnarsi, ma di cui non menare vanto. La festa interessa solo a Napolitano e a un centinaio di torinesi eredi delle truppe di occupazione. Potremmo cavarcela col minimo del disturbo, invitando a cena il Presidente in una piola di Torino. Menù di bagna cauda, così all’uscita dispenseremo aliti di patriottismo alle popolazioni oppresse.

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali
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« Risposta #102 inserito:: Febbraio 09, 2011, 11:04:49 am »

9/2/2011

Cento all'ora nella nebbia

Massimo GRAMELLINI

Due morti e decine di incidenti, tamponamenti e feriti sulle autostrade del Nord-Est fasciate dalla nebbia. E la solita domanda: perché? Perché le persone non alzano il piede dall’acceleratore quando intorno a loro la visibilità si riduce a una coperta di latte? Escludiamo che siano tutti ubriachi, o pazzi o aspiranti suicidi. Resta una sola ipotesi: è saltato il senso del limite, la percezione chiara che ogni gesto non è un arabesco nell’iperspazio virtuale, ma va a finire da qualche parte, dove produce effetti concreti e definitivi: se non bagni un fiore, il fiore appassisce; se hai l’amante, tradisci il partner; se corri in auto nella nebbia, prima o poi andrai a sbattere.

Si chiama nesso di causalità e una volta lo insegnavano alle elementari, suppongo anche adesso. E allora cos’è che non si insegna più? Le ringhiere. Nessuno ci insegna più a mettere le ringhiere. Le macchine hanno gli airbag, e noi? Le regole non sono una bizzarria concepita dai tiranni. Sono linee di confine che servono a rassicurare le persone e a renderle coscienti dei propri limiti affinché siano in grado di superarli. Come la metrica nella poesia, hanno il compito di dare ritmo e forma all’esistenza. Le ringhiere interiori proteggono dall’eccesso, dall’arbitrio, dalla perdita di contatto col proprio corpo e con tutto ciò che lo circonda. La libertà consiste nello scavalcarle. Ma senza di esse si brancola in uno spazio informe e alla fine si precipita.

da lastampa.it/_web
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« Risposta #103 inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:37:25 am »

10/2/2011

Burqa bunga

da Massimo GRAMELLINI


Anch’io domenica scenderò in piazza contro chi disprezza il corpo e l’anima delle donne. E cioè contro i vecchi bavosi che le riducono a gingilli. Contro gli arrivisti che le utilizzano come merce di corruzione presso i potenti. Contro le ragazze che si vendono, spacciando la loro bramosia di denaro e di fama per libertà. Contro i genitori disposti ad accettare l’idea umiliante che la carne della propria carne diventi strumento di carriera. Contro chi pensa che non esista una via di mezzo fra il burqa e il bunga bunga e invece esiste: chiamiamolo burqa bunga, oppure dignità. Contro i pubblicitari che da trent’anni riempiono di seni & sederi le tv e i muri delle nostre città per promuovere prodotti (telefoni, gioielli, giornali di sinistra) che nulla c’entrano con la biancheria intima. Contro le tante signore «impegnate» che hanno accettato questo insulto senza protestare. Contro gli autori televisivi che hanno ridotto il vestito delle ballerine a un filo interdentale, imponendo al Paese un’estetica trucida e volgare. Contro gli autori televisivi che hanno fatto la stessa cosa, ma sostenendo che si trattava di una forma sottile di ironia, mentre di sottile c’era solo la gonna. Contro chiunque considera il corpo delle donne un fatto pubblico, quando invece è un bene privato da esibire soltanto a chi si vuole, e nell’intimità. Contro i giornali e i siti «seri» affollati di culi & sederi. E contro coloro che se ne lamentano, ma intanto cliccano lì.

In fondo domenica scenderò in piazza un po’ anche contro me stesso.

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« Risposta #104 inserito:: Febbraio 12, 2011, 10:14:23 am »

12/2/2011

Oltre le mutande

Massimo GRAMELLINI


Mentre una casta di subrettine aspiranti onorevoli domina la scena mediatica, negli angoli meno illuminati della società le loro coetanee stanno dando la spallata definitiva al predominio del maschio. Qualsiasi statistica racconta ormai il sorpasso fra i sessi: le ragazze si laureano di più, conquistano più borse di studio, ottengono più posti come ricercatrici. Ma poiché lo fanno senza dimenare il sedere in televisione, non esistono. La civiltà dello spettacolo funziona così: tutto ciò che esce dal quadrilatero intrattenimento-sport-giornalismo-politica non dà visibilità e quindi non rientra nel dibattito pubblico.

Questa distorsione altera la percezione della realtà, al punto che oggi in Italia si scontrano due opinioni palesemente fasulle. La prima è l’opinione Così Fan Tutti: ogni uomo è un maiale e ogni donna una escort, e chi fa la morale al Silvio e alle sue amichette stia bene attento, perché gli scateniamo dietro un segugio che rivelerà al popolo i suoi altarini sessuali. La seconda è l’opinione Pochi ma Buoni: i virtuosi esistono e coincidono coi nemici del Silvio, una minoranza destinata a perdere sempre.

Per fortuna il mondo reale è un’altra cosa ed è fatto, anche in Italia, da uomini e donne che amministrano il proprio corpo con pudore e dignità, che non votano necessariamente tutti dalla stessa parte, che hanno sogni piccoli o grandi ma comunque diversi dal bunga bunga. E passano la vita a cadere e a rialzarsi, senza che nessuna tv, rivista o inchiesta si occupi mai del loro faticoso e glorioso cammino.

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