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Autore Discussione: Massimo GRAMELLINI.  (Letto 288516 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Marzo 13, 2010, 11:11:22 am »

13/3/2010

Non c'è più religione
   
Massimo Gramellini

Il presidente del Consiglio è indagato per aver tentato di bloccare due puntate di Annozero, esercitando pressioni sull’Agenzia delle Comunicazioni, cioè sull’arbitro.

Un prete pedofilo fu trasferito in Baviera, dove continuò a esercitare indisturbato il suo vizietto, negli anni in cui la diocesi di Monaco era guidata dal futuro papa Ratzinger.

L’onorevole Speciale, generale della Guardia di Finanza in pensione, ha presentato una proposta di legge per aumentare la pensione dei generali della Guardia di Finanza.

Un modenese incensurato di 38 anni organizzava la sezione italiana del Ku Klux Klan reclutando adepti sul web.

Un uomo si è affacciato alla finestra di un albergo di Roma con una pistola ad aria compressa e ha sparato contro una scolaresca in gita, colpendo un ragazzino di striscio alla testa.

Nel pieno centro di Milano una coppia è stata sorpresa in una saletta del bancomat mentre faceva sesso, gratis.

I giurati scandinavi hanno deciso all’unanimità di assegnare il premio Nobel per la pace a Luciano Moggi.

Una sola di queste notizie è falsa, per il momento. Indovinate quale. (Questo giochino amaro nasce da un’idea di Michele Serra, che l’ha lanciato la settimana scorsa. Ma ogni giorno, ahinoi, è buono per riproporlo con le infinite varianti offerte da una cronaca che sembra partorita dalla fantasia di un fumatore d’oppio).

da lastampa.it
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« Risposta #31 inserito:: Marzo 16, 2010, 08:12:15 am »

16/3/2010

Cinque euro
   
Massimo Gramellini

Arriva una lettera firmata. Racconta di una mamma che, facendo pulizia nella stanza della figlia dodicenne, trova una busta con un migliaio di euro in tagli da 5. Pensa a un furto e ad altre cose orribili, tranne all’unica che, messa alle strette, di lì a poco la ragazzina le confesserà: i soldi sono il ricavato di prestazioni sessuali eseguite a scuola. La madre è sconvolta dalla scoperta e dalla reazione della figlia: di normalità. Incolpa il Grande Fratello e i politici (una volta avremmo detto «la società») per il pessimo esempio che danno.

Sorvolando sulle responsabilità di quella famiglia, che sicuramente ci saranno ma che non abbiamo strumenti per valutare, un’osservazione si impone inesorabile: la morte del futuro ha cancellato nei ragazzi l’idea di crescita. Un tempo la vita era un percorso e ogni fase consisteva in un passaggio che tendeva a uno scopo: il raggiungimento della consapevolezza di se stessi e di che cosa si voleva diventare. A un certo punto il meccanismo è saltato. La vita ha smesso di essere una scala da salire un gradino dopo l’altro ed è diventata un’arena piatta e senza confini. Ma se manca l’idea di un percorso da compiere, l’unico navigatore diventa l’utilitarismo. Voglio soldi e me li procuro nel modo più facile. Vendo sesso (o lo compro) senza pensare alle conseguenze, perché già la parola «conseguenze» presuppone una coscienza del tempo e dello spazio che non posseggo più. Purtroppo in un mondo che - a casa, in politica, in tv - non fa che togliere ringhiere da tutte le parti, è molto più facile cadere.

da lastampa.it
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« Risposta #32 inserito:: Marzo 17, 2010, 10:20:00 am »

17/3/2010

La serrata del signor Tv

di Massimo Gramellini

A dieci giorni dal voto, la politica riempie i teatri e irrompe sul web, ritorna al passato e va nel futuro, ma diserta malinconicamente il presente: la televisione. Una situazione surreale, come se alla vigilia dei Mondiali chiudesse la Domenica Sportiva.

Chiunque osservi la scena da una prospettiva più evoluta della nostra, per esempio dallo Zimbabwe, vedrà conduttori televisivi che trasferiscono i talk show nelle piazze e politici in preda alla sindrome di invisibilità che chiamano i giornali per proporre e in qualche caso elemosinare interviste sui siti.

Sempre dallo Zimbabwe ci fanno notare il paradosso del direttorissimo del telegiornale governativo, che è appena andato a spiegare le proprie ragioni su Internet, partecipando al programma online di uno dei grandi epurati della tv, Enrico Mentana.

È un sistema rovesciato, l’effetto della scelta spaventata di una vecchia volpe che controlla lo schermo ma non riesce più a governarlo e perciò decide di spegnerlo. Berlusconi è e rimane il comunicatore di un mondo di cieli azzurri e bimbi sorridenti, il mondo dei rampanti Anni 80, il suo mondo, quello della pubblicità.

Di fronte alla durezza di una crisi epocale, che sta spostando il benessere da una parte all’altra del pianeta (e noi purtroppo ci troviamo dalla parte sbagliata) il capo del centrodestra si scopre senza un progetto e soprattutto senza un linguaggio intonato alle circostanze. Preso dal panico, ricorre allo strumento dei padroni deboli: la serrata. Certo, lo fa appoggiandosi a una legge demenziale come la par condicio, partorita dalla mente mediocre dei suoi oppositori. Ma lo fa, e con uno scopo preciso: zittire i tribuni della plebe, soprattutto Santoro. Non perché tema che lui o Travaglio provochino un travaso di voti da destra a sinistra: il premier è troppo intelligente anche solo per pensarlo. No, è allergico a Ballarò e Annozero perché sporcano i suoi cieli azzurri, tolgono energia al migliore dei mondi possibili, attizzano il discutere e il dubitare che sono nemici del fare. Meglio il silenzio degli indecenti alle chiacchiere distruttive che minano le certezze delle masse consumatrici, a cui il berluscottimismo ha fornito in questi anni l'unica ideologia comprensibile e desiderabile.

Berlusconi è convinto che i programmi che seminano dubbi diffondano angoscia, e che l’angoscia produca astensione, fuga, rifiuto. In realtà il conflitto produce risveglio, e avremmo tutti un dannato bisogno di scuotere questa Italia addormentata, insensibile ormai ai baci di qualsiasi principe azzurro, compreso lui. Il risultato paradossale della sua psicosi è il silenzio della tv, imposto dall’uomo che ha insegnato a tutti come si parla in tv. Quasi che l’elastico, che all’inizio della Seconda Repubblica lo aveva proiettato davanti agli altri di una spanna, ora lo abbia ricacciato all’indietro, riducendolo a una versione chirurgicamente evoluta di Forlani.

da lastampa.it
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« Risposta #33 inserito:: Marzo 20, 2010, 08:59:03 am »

In piazza per fingere che la democrazia non è un'opinione

Massimo Gramellini


Gli italiani riscoprono le piazze. Sembravano un po' dimenticate, negli ultimi tempi. Luogo di passeggio e di turismo, le piazze storiche. Mentre le "nuove" piazze, semplicemente, non esistono. Sono "altro". Spiazzi inseriti in mezzo a urbanizzazioni artificiali. Ad agglomerati immobiliari costruiti senza nesso con la domanda sociale. Piazze senza persone. O traversate da persone di passaggio. Che si lanciano uno sguardo distratto e un cenno imbarazzato, se per caso si incrociano. Non piazze, ma aree senza vita sociale. Ridotte a parcheggi. Dedicate al passeggio con il cane. D'altronde, le attività pubbliche a cui erano dedicate le piazze si sono, in parte, trasferite altrove. I mercati. Ma soprattutto la politica. Concentrata e dislocata in altri luoghi. Due, soprattutto. Il Palazzo e i Media  -  in particolare la Tivù. Il Palazzo, dove si decide, dove agiscono coloro che decidono. Lontano dalla società. La Tivù, dove gli uomini politici, divenuti attori, si mostrano ai cittadini, trasformati in spettatori. E lanciano i loro slogan, elaborano e propongono la loro immagine.

Per questo, le piazze, dove è nata la democrazia hanno perduto visibilità. O meglio: avevano. Perché oggi sembrano ritornate. Luoghi affollati di manifestazioni politiche. Dove, alla vigilia delle elezioni regionali, non si manifesta per un candidato. Ma, perlopiù,  si protesta e si grida. NO.

No a Berlusconi e al furto della legalità. Sabato scorso. No alla sinistra e ai magistrati. Oggi. No al complotto contro la democrazia ordito da chi non accetta la volontà del popolo sovrano. E vorrebbe cacciare il leader eletto. Dal popolo sovrano.

Così le piazze si riempiono ancora. E il sospetto è che ciò avvenga perché il Palazzo è divenuto  -  ma soprattutto "appare" - troppo lontano dalla società. E cittadini non ne ascoltano più la voce. Il richiamo. Neppure quando è utile  -  al Palazzo. Alla vigilia del voto. Così, per paura del vuoto, si cerca di riempire le piazze. In modo da offrire lo spettacolo - e la voce  - della politica in Tivù, dove sulla politica è sceso il silenzio. Per legge.  In modo da mostrare il "popolo sovrano", che altrimenti esprime la sua sovranità una volta ogni tanto (oppure "ogni poco"), alle urne. Ed è evocato, ogni giorno, sotto forma di Opinione Pubblica, mediante percentuali, raccolte nei sondaggi. Ma la Democrazia ha bisogno di riti. Gli elettori, la "gente" non possono essere ridotti a numeri silenziosi, recitati in tivù, oppure dal leader. A conferma del proprio consenso personale.

Così si assiste al ritorno - intermittente - della piazza. Nell'epoca in cui trionfa la democrazia dell'opinione, serve a dimostrare che la democrazia non è un'opinione.

E che la democrazia  rappresentativa non se la passa troppo bene.

(19 marzo 2010)
da repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Marzo 27, 2010, 04:52:29 pm »

26/3/2010

Omertutti

Massimo Gramellini

Il parroco che sa dov’è il cadavere della ragazza scomparsa e non lo dice. Il medico che sa chi lasciò morire in ospedale il detenuto drogato e non lo dice. L’appuntato che sa chi picchiò a morte in caserma l’altro carcerato e non lo dice. I ragazzi del bar che guardano il corpo rantolante di un ragazzo preso a botte da un teppista e non solo non fanno nulla per fermare l’aggressore, ma non si chinano nemmeno a prestare aiuto al ferito, continuando a bere e mangiare. La cronaca ci offre testimonianze di omertà a getto continuo. Pur nelle diverse gradazioni di responsabilità, ciò che unisce il parroco al medico, il medico all’appuntato e l’appuntato ai ragazzi del bar è il disprezzo per le leggi dello Stato in quanto provenienti, appunto, dallo Stato.

Un’entità che essi non riconoscono o comunque subordinano a un’altra molto più importante: la Chiesa, la corporazione, la famiglia, se stessi. Il proprio «particulare», come scriveva Guicciardini degli italiani già parecchi secoli fa. Questo è un Paese che da sempre non ha senso dello Stato perché lo Stato gli fa senso. Dai più viene percepito come un padrino insolente cui siamo costretti a versare il pizzo sotto forma di tasse e chiunque riesca a sottrarsi alla corvée è percepito quasi come un eroe. L’idea di appartenere a una comunità più vasta di una casta ci è sconosciuta. L’omertà di massa nasce da qui. Non tanto dalla mancanza di coraggio, ma da una compiaciuta ignoranza del proprio status di cittadini che dovrebbero avere una sola famiglia, lo Stato, e un solo confine, la legge.

da lastampa.it
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« Risposta #35 inserito:: Aprile 04, 2010, 11:08:08 am »

3/4/2010

Massimo Gramellini



Svelerò un piccolo segreto professionale. Quando un giornalista vi fa una domanda e voi rispondete «sì», per ragioni di spazio quella domanda diventerà la risposta. Sintesi corretta, persino ovvia. Però una cosa è leggere: «Cota, lascerà in magazzino gli scatoloni della pillola RU?» Risposta: «Sì». E un’altra: «Lascerò gli scatoloni delle pillole RU in magazzino». Poiché aspira a diventare la nuova dc, la Lega dovrebbe rivalutare ogni tanto il linguaggio criptico dei democristiani. Non era la spia di una mancanza o confusione di idee. Loro le idee le avevano talmente chiare che si guardavano bene dal farle sapere in giro.

Proprio per scongiurare il rischio di retromarce come quella che il governatore piemontese è stato costretto a compiere nelle ultime ore. Cos’avrebbero risposto un Piccoli, un Forlani o un Rumor al quesito sulle pillole che Belpietro ha rivolto a Cota in tv? «Intanto la ringrazio per la domanda. Non posso non considerare l’ipotesi di valutare in modo più approfondito una questione che richiede quel genere di coinvolgimento complessivo che saprà trarre beneficio da una pausa di riflessione alla quale intendo attenermi fermamente, nel rispetto della coscienza di tutti e di ciascuno».

Belpietro si sarebbe addormentato, e noi con lui, ma almeno il nome del nuovo governatore sarebbe finito sui giornali per altri motivi. Magari per la promessa di far fermare il Frecciarossa nella sua Novara, che un democristiano mai si sarebbe sognato di anticipare. Anche se - sia detto a onore di Cota - quello poi il treno lo avrebbe fatto fermare davvero.

da lastampa.it
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« Risposta #36 inserito:: Aprile 06, 2010, 06:40:40 pm »

6/4/2010

Targhe alterne
   
Massimo Gramellini

Il Pio Sodalizio dei Piceni, proprietario del palazzetto romano di via Campo Marzio in cui nacque Il Mondo di Pannunzio, non vuole che sul muro dello stabile campeggi una targa commemorativa. «Mai nei nostri palazzi sono state poste targhe collegate alle attività degli inquilini», hanno spiegato i Pii Sodali. Per loro un'attività vale l'altra: la rosticceria o il settimanale che ha cambiato la storia del giornalismo e della cultura italiana. Meglio che l'intelligenza rimanga sotto traccia. Una sua costante esposizione al pubblico, sia pure solo sotto forma di targa, potrebbe innescare effetti indesiderati sui passanti. Di intelligenza, nei 120 metri quadri della redazione del Mondo, ne transitava obiettivamente parecchia. Il redattore capo si chiamava Flaiano. E vi circolavano a mente libera Salvemini ed Ernesto Rossi, La Malfa e Salvatorelli, Carandini e Panfilo Gentile, Einaudi e Mario Ferrara (nonno di Giuliano), i giovani Scalfari e Spadolini. La sera andavano in via Veneto ad anticipare la Dolce Vita, ma sempre a schiena dritta di fronte al potere. Quando De Gasperi espresse il desiderio di conoscere il direttore Pannunzio, quell'orgoglioso sedentario gli fece rispondere: «Io qua sto». E «qua» erano i 120 metri quadri di via Campo Marzio.

«I profeti disarmati» - così venivano chiamati gli inquilini - erano liberali, laici e intellettuali. Chissà quale dei tre epiteti avrà maggiormente preoccupato il Pio Sodalizio. Ma è giusto così, la cultura evolve. Adesso a Roma le targhe si mettono davanti alla casa del Grande Fratello.

da lastampa.it
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« Risposta #37 inserito:: Aprile 11, 2010, 11:18:47 am »

10/4/2010

La musica del cuore

MASSIMO GRAMELLINI


L’agenzia di notizie Tiramisù, che attinge abitualmente alle lettere di «Specchio dei tempi», segnala la storia di un’anziana signora torinese, entrata nel salone de La Stampa per dettare il necrologio di una persona cara. Triste per l’incombenza affrontata, si avvia verso la porta, costeggiando gli scaffali dell’adiacente libreria. Vede due adolescenti, un maschio e una femmina, che sfogliano un libro da cui esce una musica lieve. Pensa che sarebbe un regalo perfetto per la nipotina e si avvicina allo scaffale dove i ragazzi hanno appena riposto il volume, ma non riesce a individuarlo fra tutte quelle copertine colorate.

Chiede aiuto alla coppia di adolescenti, che subito lo rintracciano e glielo porgono. Il libro suona davvero, però costa 12 euro e 90. Troppo per le tasche di una pensionata. La signora si allontana a passi lenti, ed è già quasi davanti all’uscita quando si sente toccare una spalla. Sono i ragazzi di prima e hanno un pacchetto in mano. «Tenga, per la sua nipotina». Mi dispiace non conoscere i nomi dei protagonisti. Altrimenti li avrei scritti in stampatello, per una elementare forma di par condicio: se invece di regalare il libro alla vecchietta, l’avessero rapinata, sarebbero stati sbattuti in prima pagina come simboli di una gioventù depravata. So bene che due ragazzini in libreria non rappresentano compiutamente una generazione. Ma nemmeno gli altri. Quelli che picchiano, rubano e stuprano. Dei quali però si parla sempre, al punto da indurre noi adulti a credere che esistano soltanto loro.

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« Risposta #38 inserito:: Aprile 16, 2010, 10:08:36 pm »

16/4/2010

Che barba, che noia

Massimo Gramellini
   
L’immagine che lo consegna per sempre ai nostri ricordi è quella di un anziano gentiluomo in pigiama che a letto sfoglia la Gazzetta dello Sport, mentre accanto a lui la moglie soffia come un mantice, solleva le gambe a candela e borbotta «che barba che noia, che noia che barba». Ciò che distingue un genio dell’umorismo da un marito normale è la sua reazione.
Di fronte all’attacco più grave che ogni maschio sia chiamato a fronteggiare - l’incapacità di suscitare passioni - Raimondo Vianello non si scusa né accusa. Si limita a lanciare uno sguardo in tralice, senza mai perdere di vista il giornale. Il matrimonio che resiste nel tempo, sembra suggerirci il suo silenzio, consiste nella gestione oculata dei litigi e degli scoppi improvvisi di noia.

Raimondo non era solo la parte maschile della ditta Vianello & Mondaini, ma se oggi lo ricordiamo soprattutto così è per la sua decisione giovanile di annullare il proprio talento anarchico, che forse ne avrebbe fatto il Peter Sellers italiano, dentro i vincoli di un rapporto professionale di coppia, allegoria perfetta dei vantaggi e degli svantaggi che procura una vita coniugale felice. I fan del Vianello «single», quello macabro e surreale degli sketch censurati con Tognazzi, sostengono che il matrimonio con una milanese pragmatica e un po’ «sciura» come la Sandra abbia deviato il corso naturale della sua carriera, riducendo alla sola dimensione televisiva un attore che possedeva il dono raro dell’umorismo. Per i fautori del Vianello «matrimoniale» vale il discorso opposto: se avesse seguito il suo istinto di battutista allusivo sarebbe finito nel dimenticatoio, in questo Paese ben poco inglese che detesta gli umoristi perché applaude la risata grassa del comico e le improvvisazioni sguaiate della commedia dell’arte.

Dovunque sia adesso, Vianello sorriderà di certe dispute, senza mai staccare gli occhi dal giornale. Ogni uomo è la scelta che fa e la sua è stata di privilegiare l’aspetto borghese del proprio carattere. Aveva bisogno di vivere al riparo di una doppia cornice di sicurezza: economica e affettiva. La tv e la moglie. L’affetto munifico del pubblico (i suoi show del sabato sera, popolari senza essere volgari, facevano 20 milioni di spettatori) e quello materno di una donna da cui non ebbe figli, ma della quale forse un po’ lo fu.

In un mondo dello spettacolo abitato da troppe coppie che dichiarano di amarsi sul palco (vedi un’altra Sandra, la Bullock, alla cerimonia degli Oscar, una settimana prima del divorzio) e si dilaniano accanitamente in privato, Mondaini & Vianello hanno offerto l’interpretazione opposta e vincente di due persone che si punzecchiano di continuo davanti alla telecamera per ritrovarsi più unite a casa propria. Indimenticabili le sigle finali dei loro varietà degli Anni Settanta, quando davano l’impressione di correre a perdifiato l’uno fra le braccia dell’altra, ma sul più bello qualcosa faceva fallire l’aggancio: di solito qualcosa di macabro, con lei che lottava contro la morte e lui che si girava dalla parte opposta, visibilmente sollevato. Erano gli sposi d’Italia e il passaggio alle tv di Berlusconi aveva istituzionalizzato il loro matrimonio, trasformando Casa Vianello nel contenitore di tutti gli stereotipi della coppia tradizionale. Lui era il marito svogliato e addomesticabile, che risvegliava il suo istinto di predatore in presenza di ragazze provocanti, ma arrivato a un passo dall’adulterio si ritraeva sempre. Apparentemente per un equivoco o un capriccio del destino. In realtà, per l’adesione inconscia a un codice morale al quale non doveva essere del tutto estraneo il sentimento d’amore per la moglie, che pure non veniva mai esplicitato.

Sandra & Raimondo erano lo specchio deformato ma non infedele del matrimonio all’italiana. Nel loro ménage si riconoscevano milioni di piccolo borghesi, quando esserlo significava assomigliare a Vianello: benpensante, magari ipocrita, però mai trucido e volgare. È difficile immaginare che i litigi di una coppia cresciuta col Grande fratello abbiano i toni e le pause, soprattutto le pause, di quelli che sapeva imbastire lui. Il suo segreto è facile da scoprire, ma impossibile da copiare. Ci ha giocato fino all’ultima intervista: «Se tornassi indietro, rifarei tutto. Mi risposerei anche. Con un’altra, ovviamente».

da lastampa.it
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« Risposta #39 inserito:: Aprile 17, 2010, 04:41:58 pm »

17/4/2010

Il rogo di Gomorra
   
MASSIMO GRAMELLINI

Sono d’accordo con l’Amato Premier. La mafia italiana è appena la sesta nel mondo (il prossimo anno non parteciperà neanche alla Champions), la sua fama è tutta colpa di «Gomorra». Che in realtà parla di camorra ed è pubblicato dalla casa editrice dell’Amato. Ma sono quisquilie.
Piuttosto: perché fermarsi a Saviano, dico io. Si chiami il ministro fuochista Calderoli e gli si commissioni un bel falò per buttarci dentro altri libri disfattisti. Comincerei dai «Promessi sposi»: tutti quei bravacci e signorotti arroganti, che agli stranieri suggeriscono l’immagine fasulla di un Paese senza regole, dove la prepotenza e la furbizia prevalgono sul diritto.

E «Il fu Mattia Pascal»? Vogliamo continuare a diffondere la favola negativa dell’uomo che cerca un legittimo impedimento per potersi fare i fatti suoi? Nel fuoco, insieme con «La coscienza di Zeno», un inetto che non riesce nemmeno a liberarsi del vizio del fumo, quanto di più diseducativo per una gioventù che ha bisogno di modelli positivi come il vincitore di «Amici».

Porrei quindi rimedio alla leggerezza sconsiderata del «Gattopardo». «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
Hai trovato la formula segreta del potere e la spiattelli in giro così? In America nessun romanzo ha mai raccontato la ricetta della Coca-Cola. Nel fuoco anche Tomasi di Lampedusa: con quel cognome da nobile sarà di sicuro comunista. E poi «Il nome della rosa». Morti e sesso torbido in un monastero. Di questi tempi! Il nome della Rosa è Pantera. Il resto al rogo. Su con quelle fiamme e linea alla pubblicità.

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« Risposta #40 inserito:: Aprile 21, 2010, 07:52:31 am »

21/4/2010

Impagabile

di Massimo Gramellini


Oggi per me la notizia più importante del mondo è che Dario Brazzo è sceso in garage e si è impiccato. Aveva 50 anni e faceva l’imbianchino a Villadose, provincia di Rovigo, nel Nordest dove i soldi crescevano e adesso non si trovano più. Accanto al cadavere, un biglietto. Dario Brazzo chiede scusa ai figli e ringrazia polemicamente i tre debitori che, rifiutandosi di saldare il conto delle sue prestazioni professionali, lo hanno mandato in rovina. Chissà se quei tre dormiranno male, stanotte. Temo che continueranno a sentirsi perfettamente a loro agio in questa società fondata sui mutui, nella quale sopravvivono soltanto i furbi. Quelli che incassano subito e non pagano mai.

Uno pensa ai bisticci di potere con cui giornali e tivù si riempiono la pancia e ne coglie la sostanziale irrilevanza rispetto alle riforme di cui ha fame la gente vera. Fra queste la trasformazione della giustizia civile in qualcosa di giusto e di civile, che permetta per esempio a un imbianchino con moglie e figli a carico di ottenere ciò che gli spetta, la ricompensa del suo lavoro, senza dover aspettare un’era geologica. Ingannato e umiliato da chi ha usufruito dei suoi servizi e ora, consapevole della propria impunità, lo irride trattandolo come uno che chiede l’elemosina.

Così chi aspetta i soldi muore, mentre chi deve darli campa benone e fa pure la vittima e il nullatenente.

Costoro hanno tutto il nostro disgusto, ma tanto non sanno che farsene. Avrebbero bisogno di uno Stato che mordesse loro le tasche, visto che l’anima, quella l’hanno perduta da un pezzo.

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« Risposta #41 inserito:: Aprile 24, 2010, 11:22:48 pm »

23/4/2010

Ma che storia

Massimo Gramellini

Dopo le dimissioni di Ciampi, motivate da diplomatiche ragioni di stanchezza, anche Zagrebelsky, Gregoretti e Dacia Maraini meditano di lasciare il comitato dei garanti per le celebrazioni dell'Unità d'Italia, liberando quell'impotente consesso dal peso ingombrante della cultura. Perché a questo dovevano servire i festeggiamenti: a restituire agli italiani un minimo di conoscenza della propria storia. Ci si può dividere fra sabaudi e borbonici, unitari e federalisti, partigiani e repubblichini. Ma solo dopo aver saputo chi diavolo fossero tutti costoro. E cosa potrà mai saperne chi, come Bossi jr, afferma che «il tricolore identifica un sentimento di 50 anni fa», cioè gli Anni Sessanta, periodo di contestazioni studentesche nel quale il tricolore era semmai disprezzato come feticcio borghese? O quel sindaco veneto che per la festa della liberazione dal nazifascismo (1945) vorrebbe sostituire «Bella ciao» con le canzoni del Piave che gli alpini cantavano durante la prima guerra mondiale (1915-18)?

L'ignoranza è la dannazione d'Italia dal giorno della sua nascita. La novità è che adesso la si esibisce con orgoglio, recitando quattro frasi lette su un opuscolo. Come la storia di ogni altra nazione, la nostra ha ospitato orrori ed eroi, la deportazione dei briganti meridionali nelle fortezze alpine, ma anche il sacrificio di tanti giovani morti con l'Italia sulle labbra. Meriterebbero di essere ricordati con più rispetto: per la lingua e la memoria di un Paese che non farà mai i conti col suo passato fino a quando continuerà a oscillare fra il revisionismo e la retorica.

da lastampa.it
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« Risposta #42 inserito:: Aprile 28, 2010, 09:04:03 am »

28/4/2010

Il mondo alla rovescia

Massimo Gramellini

Un signore anziano dall’aria mite viene trascinato in auto da uomini col passamontagna sul viso, mentre sull’altro lato della strada centinaia di persone piangono, si disperano, urlano il suo nome.

Sembra l’incubo kafkiano di ogni persona perbene. Invece è il dramma di Reggio Calabria, parte dello Stato italiano da 150 anni, dove la gente blocca il traffico per applaudire il padrino della ’ndrangheta Giovanni Tegano invece della polizia che lo ha appena arrestato.

Le foto di quella folla sono un trattato di sociologia. Bulli addobbati come Corona, con le braccia tatuate e gli occhiali da sole rovesciati. Bambini inerpicati sulle spalle dei padri, affinché possano godersi meglio lo spettacolo. E donne di ogni genere che strillano ai poliziotti: «Così traumatizzate i ragazzi!», quasi che il trauma sia la cattura del boss, non i suoi delitti. Poi dalle retrovie si solleva un urlo solitario, ripetuto ossessivamente come uno spot: «Tegano uomo di pace!». Dicono sia sua cognata. Nessuno si erge a zittirla e meno che mai a contestarla. E’ evidente che le sue parole sono condivise in quel contesto dove lo Stato è un ospite impiccione che ogni tanto si fa bello con qualche arresto, ma non incide nella vita di ogni giorno. Non dà lavoro a tuo figlio - l’uomo di pace sì.

Non ti trova un posto in ospedale - l’uomo di pace sì. Non punisce chi ti ha offeso - l’uomo di pace sì. Adesso che lo hanno tolto di mezzo, chi garantirà la pace? Questa sembra essere l’unica preoccupazione di quella folla. Questo è ciò che ce la rende così lontana. Straniera.

da lastampa.it
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« Risposta #43 inserito:: Maggio 01, 2010, 10:19:57 am »

29/4/2010

Licenza di uccidere
   
Caro Gramellini,
ho sentito il bisogno di scriverle perché vorrei che dedicasse un Buongiorno a questa storia. Sabato scorso, alle 2,45, mentre viaggiavo di ritorno con altri tre amici da un concerto sull'autostrada A4 nei pressi di Desenzano, la mia auto è stata colpita da un'altra. Il tutto è stato velocissimo: la Renault Clio che mi precedeva ha sbandato a velocità funambolica e dopo avermi urtato ha colpito violentemente il muro, finendo la tragica corsa contro il guardrail.
Sia io (che guidavo), sia i miei amici, dopo aver preso coscienza di essere ancora miracolosamente vivi, ci siamo resi conto che per chi era sulla Renault non ci sarebbe stato nulla da fare. Quand’ecco sfrecciare a pochissimo dalla nostra auto una «Bmw X5», completamente distrutta e fuori controllo, che si sarebbe fermata a circa 100 metri. Accosto e ci precipitiamo su ciò che resta della Clio. La scena fa tremare le gambe: cercando di raggiungere l’auto non mi rendevo conto che facevo un passo avanti e uno indietro rimanendo nello stesso esatto posto.
Prendo coraggio e mi avvicino all'auto dove vedo un angelo con una pettorina da volontario 118. Mi chiede aiuto per estrarre un bambino che respira a stento, ma respira. L'angelo fa il possibile per il piccolo, io tornato ormai cosciente lo aiuto con più «disinvoltura». Due miei amici chiamano i soccorsi, mentre l'altro ci presta aiuto con il bambino. Dopo interminabili attimi arrivano i soccorsi, prendono il piccolo e corrono via. Tutti sperano e pregano per la sua vita. L’angelo, con la stessa gentilezza con cui era arrivato, se ne va, facendoci un grande «in bocca al lupo».
Ora resta da capire chi è il conducente della Bmw e la dinamica dell'incidente. Nel frattempo mi dicono che il ragazzo della «X5» sta bene e ha dichiarato il «mea culpa» per un colpo di sonno. Ora è tutto chiaro: la Renault che ci ha colpiti era stata precedentemente centrata, a una velocità molto elevata, dalla Bmw. Arriva la polizia, mi chiede ciò che avevo visto e mi fa fare tutti i test del caso, che risultano ovviamente negativi. Intanto l'investitore dichiara anche agli agenti che tutto è accaduto per un colpo di sonno, ma la sua rilevazione all'etilometro segna 1,47: tre volte il massimo concesso. Ci sembra il minimo pensare che l’Assassino passerà la sua vita in prigione, siccome ne ha tolte due e un’altra è attaccata a un filo, in più era ubriaco e viaggiava a una velocità da circuito.
Domenica sera il piccolo non ce l'ha fatta ed è tornato tra le braccia di mamma e papà. I morti, quindi sono tre: una famiglia intera. Poi ieri sera al telegiornale sento che il pluriomicida è stato rilasciato! Questo è «il dramma nel dramma» non credo di essere crudele con quel ragazzo trentenne che per un miracolo non ha ucciso anche me e i miei amici. Ma come si può rilasciare quella persona dopo tutto quello che ha commesso? Per di più non era la prima volta che guidava ubriaco! Mettiamoci nei panni dei familiari, hanno perso una giovane coppia con un bellissimo bambino e inoltre devono subire questo pesante schiaffo morale? Chiedo anche da parte loro giustizia.
Sono un giovane di 19 anni, è questo l'esempio che la magistratura e lo Stato italiano mi vogliono dare?

FRANCESCO DADONE

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Massimo Gramellini


Caro Francesco,
non avevo mai letto il racconto in presa diretta di una strage del sabato sera e mi è sembrato giusto lasciargli la prima pagina. Immagino quanti genitori avranno seguito con un brivido di angoscia il film che prendeva forma dalle tue parole. Chissà che la tua esperienza non riesca a far scivolare una goccia di consapevolezza nella zucca alterata di chi solca le strade del fine settimana come se fossero rodei e, dopo aver perso il controllo di se stesso, perde quello della vettura, finendo col far perdere la vita agli altri.
Il pirata di Desenzano non è stato rilasciato: si trova agli arresti domiciliari. Comprendo che il tuo animo indignato non colga la differenza: questo genere di delitti viene percepito come un vero e proprio omicidio, e il posto degli assassini è la galera. Ma i reati colposi non prevedono la permanenza in carcere e ogni tentativo di riconoscere il «dolo eventuale» (chi guida ubriaco a 200 l’ora si mette volontariamente nelle condizioni di uccidere) è finora fallito. Per rimediare a questa lacuna, il legislatore ha almeno aumentato le pene: nel caso in questione (omicidio colposo plurimo con guida in stato di ebbrezza) è prevista la reclusione da 5 a 15 anni. Resta incomprensibile la mancanza di prevenzione. Al tuo investitore era già stata sospesa la patente per ben due volte. Come mai si trovava di nuovo al volante di un bolide? Avrebbe meritato qualche anno di squalifica. Il minimo che possiamo augurarci è che, quando tornerà in libertà, gli consentano di salire solo sui sedili posteriori.

da lastampa.it
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« Risposta #44 inserito:: Maggio 08, 2010, 03:05:52 pm »

8/5/2010

Con quelle facce un po' così
   
MASSIMO GRAMELLINI

Il bollettino della repubblica di Cialtronia, della quale siamo sudditi attoniti, assegna un riconoscimento alle persone che nel corso della settimana hanno cercato di risollevare il morale del popolo con esibizioni strepitose di facce di tolla. Terzo premio (Faccina di Tolla) all’ex ministro Scajola. L’uomo dalla lingua irrefrenabile che diede del «rompicoglioni» al professor Biagi e persino a Galileo.

Quello che alla vigilia del G8 di Genova, per scongiurare le incursioni dei No Global da Francia e Svizzera, si impegnò a intensificare il «controllo delle fioriere». Stavolta si è limitato a comprare un appartamento di quasi 200 metri quadri con vista sul Colosseo al prezzo di un trilocale di periferia, mentre il grosso della cifra veniva aggiunto a sua insaputa da un benefattore anonimo, anzi Anemone.

Secondo premio (Faccetta di Tolla) all’architetto Zampolini, il sodale di Anemone che, per giustificare il transito di un milione e mezzo di euro sul suo conto, dichiara ai giudici di aver venduto a un misterioso compratore iraniano alcuni lingotti d’oro, ereditati dal padre contadino (il quale li avrà trovati zappando il Campo dei Miracoli). Primo premio (Faccissima di Tollissima) al consigliere milanese Milko Pennisi, arrestato mentre incassava una tangente da diecimila euro davanti al Comune. L’ho fatto, dice ora ai giudici, perché si avvicinava Natale e avevo bisogno di fare regali sempre più costosi ai miei familiari. Povera stella. Il dramma è che la sua, forse, non è neanche una bugia.

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