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Autore Discussione: Jacques Attali e le virtù del pareggio  (Letto 2457 volte)
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« inserito:: Marzo 03, 2008, 11:11:52 am »

Politica italiana

Jacques Attali e le virtù del pareggio

Scenari bipartisan


Apprezza gli sforzi che il candidato premier Walter Veltroni sta facendo per rimontare la china ma il gruppo dirigente del centrosinistra, almeno quello che ha ricoperto incarichi operativi nel governo di Romano Prodi e che per collocazione ha il compito di intermediare il rapporto con l'establishment, non si fa soverchie illusioni. Alla fine pensa che comunque vincerà Silvio Berlusconi e che al massimo si possa sperare in qualcosa che assomigli a un pareggio. «Perdere meno, perdere meglio» è il refrain che sintetizza questi umori.

Un refrain che trascina ministri pro tempore, economisti gauchisti e intellighenzia liberal ad ascoltare in religioso silenzio Jacques Attali e il racconto dell'esperienza no partisan, iniziata a Parigi con il varo della commissione che porta il suo nome. Per scaramanzia nessuno accetta di collegare esplicitamente l'ipotesi di un pareggio e il replay italiano di una commissione Attali ma è questo il retropensiero che li motiva. Alla fin fine è pur sempre vero che il caro cugino Jacques incarna due grandi tradizioni, la socialista e la franco-illuminista, che sono care a chiunque nel Novecento abbia fatto della politica a sinistra l'asse della sua vita. E tifare Attali significa ripetersi a mo' di rassicurazione che «le nostre idee comunque sono capaci di tenere il campo» anche quando gli elettori finiscono per premiare Nicolas Sarkozy al di là delle Alpi e il Cavaliere al di qua. I più sinceri arrivano anche a dire che «molte delle 300 prescrizioni del rapporto Attali noi le abbiamo già fatte o almeno scritte nei nostri programmi », confondendo nel ricordo le elaborazioni dei centri studi innovativi con la pratica concreta del governo Prodi, che fosse stata più liberale e bipartisan non avrebbe forse regalato 10 punti di consenso agli avversari.

Agli occhi di questa fetta del ceto dirigente del Pd — quello che davanti al nuovismo di Veltroni e alle candidature tipo Marianna-Madia-prima-della-lista l'unico commento che fa è alzare gli occhi al cielo — il sentiero Attali è anche un modo per approcciare il tema della Grande Coalizione in maniera più charmant e meno angosciosa. Vuol dire lasciarsi alle spalle ogni timore dell'inciucio (parola poco traducibile in francese) e rileggere gli accordi bipartisan dal lato più nobile dell'arte politica, quello che in omaggio alla tradizione pedagogica di ogni sinistra tende sempre a voler modellare la società. Che poi il rapporto francese contenga qualche ingenuità e paghi più d'un tributo al nazionalismo è anch'esso un elemento che toglie ansia, serve a raccontarsi che più di tanto non si può cambiare e che il Pd non fa niente di male se continua a coltivare la cultura degli ossimori (come la definì Franco Debenedetti prima che Crozza scoprisse il «ma anche»). E non è peccato, dunque, sperare di riuscire a conciliare gli opposti. Il merito e l'equità, la mobilità sociale e la coesione, gli animal spirits degli imprenditori e la concertazione e via di questo passo. Al netto di tutte queste piccole e grandi contraddizioni l'attenzione verso Attali va salutata con favore. E' pur sempre un passo (importante) sulla strada della modernizzazione delle culture politiche del Pd, serve a creare le condizioni per un confronto con l'avversario che metta da parte gli ideologismi e le invettive anti-Caimano e sposti il confronto sul terreno delle policy utili a governare le società moderne. Aiuta a fare i conti in maniera inedita con temi come la battaglia contro le lobby, l'aggregazione del consenso a favore delle riforme e la neutralizzazione del potere di veto delle minoranze rumorose. Si può obiettare che in una campagna elettorale tutto ciò dovrebbe essere compito del confronto tra i programmi ma dopo la pubblicazione delle lenzuolate del Pd e del Pdl non risulta che sia cresciuto il coinvolgimento emotivo né degli elettori né delle élite. Ben venga dunque Attali se non a scaldare i cuori almeno a ritemprare le menti. E chi vuole sogni pure il pareggio.

Dario Di Vico
03 marzo 2008

da corriere.it
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