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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO (2).  (Letto 39396 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Gennaio 05, 2008, 06:32:40 pm »

La Nuova Stagione.

4 gennaio 2008


Tonini: "Vogliamo dare al paese la leadership democratica"
Tiene il punto Giorgio Tonini. L’esecutivo del Pd fa quadrato intorno al vertice del partito. Dario Franceschini ha rilanciato il presidenzialismo alla francese, già sponsorizzato a Milano nella prima uscita ufficiale di Walter Veltroni. Ma a chi, come D’Alema, chiede se il Pd sia impazzito, Tonini replica che è ora di scoprire i giochi: «Noi vogliamo dare al Paese la leadership democratica.
L’accordo di tutti non è possibile, bisogna trattare».
L’intervista di Franceschini sa più di boicottaggio del dialogo che di apertura...
No... Le reazioni sono surreali. Franceschini si è limitato a ricordare qual è il punto di partenza del nostro ragionamento. Il Pd è nato per affrontare il problema di fondo del Paese che è la carenza di leadership democratica. Quando Prodi ha incontrato Zapatero e Sarkozy ha confessato la sua invidia per chi ha i poteri come la Francia e la Spagna. Noi dobbiamo trovare soluzioni per dare al Paese quella leadership che non ha, sia dal versante forma di governo sia per la forma partito,
Allora perché D’Alema vi ha chiesto se siete «impazziti»?
Io trovo surreali infatti le reazioni di D’Alema.
Ma perché iniziare a confrontarsi con Berlusconi su un altro sistema, se poi si torna al francese? Così pare un boicottaggio del dialogo...
Non c’è nessun boicottaggio. Siamo stati accusati di aver venduto tutto, perfino l’anima, a Berlusconi. Ora dicono che facciamo saltare il tavolo... Noi siamo disposti ad abbandonare il sistema francese, purché ci siano i correttivi proposti da Vassallo. Ma quella per noi è la mediazio- ne, non la proposta di partenza. Quanti vogliono il sistema tedesco devono anche loro fare mediazioni e non fermarsi alla soglia di sbarramento, altrimenti stiamo fermi anche noi sul sistema francese.
Un ragionamento che per D’Alema non fila...
D’Alema mi risulta abbia sempre condiviso la nostra prima proposta del modello francese. Non vorrei che ci fosse una confusione tra il fine e il mezzo, perché a cosa deve servire il dialogo sulle riforme? A produrre una buona riforma o il referendum?
Ma aver bloccato il dialogo rende il referendum inevitabile. Pare non vi dispiaccia.
Il referendum non risolve tutti i problemi, magari...Non lo temiamo, ma non è la soluzione. Le gare, poi, si decidono negli ultimi cento metri, l’accordo è ancora possibile, per questo Franceschini ha ricordato i termini della questione.
Eppure non solo D’Alema ha capito altro. Berlusconi legge l’intervista come un regolamento di conti nella maggioranza.
È chiaro dal suo punto di vista...
Ma se era disponibile a trattare con Veltroni?
Noi sappiamo che sul sistema francese c’è il consenso di An. Fi preferisce i correttivi al sistema tedesco... Ma il punto è trovare un sistema che produca leadership democratica, lo ripeto.
Non sarebbe stato meglio parlarne prima nel vertice del 10?
È stato solo ricordato questo punto mentre si cerca l’accordo su un altro modello, per dimostrare che noi stiamo mediando.
Non lo ha capito nessuno. Si sono infuriati tutti, dai partiti piccoli a D’Alema...O forse anche D’Alema ha una strategia diversa?
Questo lo dice lei. Il modello tedesco in Italia porta alla grande coalizione, che a noi non va bene.
Neanche An vi ha creduto.
Chi vuole l’accordo venga a trattare. Non per evitare il referendum, ma per fare una buona legge elettorale.

Roberta D'angelo

da www.veltroniperlitalia.it
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« Risposta #31 inserito:: Gennaio 19, 2008, 11:12:37 pm »

Veltroni: «Il Pd correrà da solo» I piccoli: mina la maggioranza

Rifondazione: sfida positiva per sinistra


Il Pd balla da solo.

Il segretario del Pd Walter Veltroni in un convegno a Orvieto precisa la sua strategia. «Quale che sia il sistema elettorale, o il testo Bianco o il referendum o l'attuale legge elettorale – ha detto senza mezzi termini – voglio dire con chiarezza che il Pd si presenterà con le liste del Partito democratico. E se Forza Italia avesse il coraggio di fare altrettanto – invita Veltroni – sarebbe un enorme conquista per la democrazia italiana».

Non si può approvare la legge elettorale da soli, senza Berlusconi, afferma Veltroni. La questione è di principio: «O la Cdl che approvò da sola la legge elettorale – ha detto – o la strada giusta è il dialogo con le principali forze dell'opposizione» condito dall’annuncio che il Pd correrà da solo.

Nella maggioranza Riforndazione comunista raccoglie la sfida.
Il segretario Franco Giordano commenta così: «Penso che la sfida lanciata da Veltroni vada raccolta positivamente. Si apre un confronto - prosegue - tra due modelli diversi di governo e di trasformazione della società. La decisione del Pd di correre da solo alle prossime elezioni rende ancora più urgente e imperativa la necessità di dare vita a un soggetto unitario e plurale della sinistra, che deve raccogliere la sfida lanciata oggi da Veltroni. E anche per questo - conclude Giordano - è fondamentale varare in Parlamento una legge elettorale che permetta a soggetti portatori di modelli diversi di aggregarsi».

Russo Spena che «al nuovo soggetto a sinistra va impressa la spinta propulsiva necessaria a renderlo in grado di una reale competizione con il Pd». Ma per farlo, serve «una legge elettorale in grado di produrre democraticamente la diversità, non di annullarla».

I piccoli dell’Unione la prendono malissimo. «Gli facciamo tanti auguri – ironizza il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Monelli – ma ci pare che non sia d'aiuto al governo Prodi». Meno ironico il socialista Roberto Villetti che «ha l'impressione che Veltroni sia molto più preoccupato di far vincere il Pd all'interno del centrosinistra contro i suoi stessi alleati che non nel paese». Ma anche Rosi Bindi, che “piccola” non è, è furibonda con il suo segretario: «Ma ci volete interpellare? - è sbottata – Prima ci si è messi d'accordo con Berlusconi, poi si è convocata la coalizione... Mi domando quando si convocherà il partito! Si convochi l'assemblea costituente, si discuta, si decida e noi saremo come sempre i più disciplinati. Ma è difficile – ha ammesso – richiamarci al senso di responsabilità senza avere potuto partecipare alle scelte; anzi, avendole imparate dalle conferenze stampa».

Veltroni risponde al volo: «Il Pd non è una minaccia per il governo: quello che si deve fare si deve cercare di farlo con questo Parlamento – spiega a proposito delle riforme – e dunque tenendo conto del fatto che esiste un governo e che è nostro interesse e nostro obiettivo consentire che vada avanti».


Pubblicato il: 19.01.08
Modificato il: 19.01.08 alle ore 18.16   
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« Risposta #32 inserito:: Gennaio 20, 2008, 04:41:49 pm »

Dietro le quinte

Caso rifiuti, spunta l'ipotesi della fiducia

Silvio fa da sponda a Walter: voto anticipato, ma solo nel 2009


E' la stretta finale. Walter Veltroni, con le parole pronunciate a Orvieto (e concordate con i maggiorenti del Pd, come D'Alema e Rutelli), ha inteso imprimere un'accelerazione alla legge elettorale sperando nella sponda di Silvio Berlusconi. Il quale non si sbilancia. E manda segnali controversi. Un giorno fa trattare i suoi sulla «terza bozza» Bianco, il giorno dopo fa sapere di volere il «referendum o le elezioni», e quello dopo ancora torna trattativista. Dall'Umbria comunque il segretario del Partito Democratico non ha voluto mandare — com'è apparso a Rifondazione comunista in un primo tempo — un monito al Prc. Walter Veltroni ritiene che anche con il referendum Fausto Bertinotti possa organizzare la Cosa rossa e che le due sinistre possano poi collaborare, in caso di vittoria, al governo. Così, almeno, si è premurato di far sapere lo stesso sindaco di Roma a Rifondazione onde evitare equivoci e confusioni.

Ma il vero problema per il segretario del Pd è il leader di Forza Italia. Silvio Berlusconi attende mercoledì, quando si voterà la mozione contro il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. Che accadrà in quel caso al governo? Prodi starebbe meditando di mettere la fiducia sul governo, per salvare sia il titolare di quel dicastero che il suo esecutivo. Contatti in questo senso ci sono stati anche con il Quirinale per capire come la pensasse Giorgio Napolitano. «I numeri ci sono», dicevano l'altro giorno i prodiani. E una politica avveduta (nonché sostenitrice del presidente del Consiglio) come Rosy Bindi faceva osservare: «Non credo che succederà niente. Rifondazione non farà cadere il governo sui referendum, anche se Veltroni poteva evitare di dire quelle cose perché così li ha chiaramente provocati. Mastella con i quesiti referendari secondo me non ha problemi: tratterà su quanti posti devono avere i suoi parlamentari alle prossime elezioni. Insomma, il governo andrà avanti. E diciamoci la verità, in queste condizioni solo un personaggio come Romano è in grado di farlo continuare a vivere».

Ma c'è chi ritiene che la sopravvivenza di questo esecutivo sia dovuta anche a un altro motivo. O, per essere più esatti, a un'altra persona: Silvio Berlusconi. «Il Cavaliere — spiegava l'altro giorno ad alcuni colleghi della coalizione il sottosegretario agli Esteri Bobo Craxi — ha capito che ora c'è il rischio di un governo istituzionale o tecnico e lui invece vuole andare alle elezioni con Prodi nel 2009 perché ritiene che tra un anno il governo sarà ancora più debole. Non solo: se ci va nel 2009 sarà il Parlamento eletto in quella data a nominare il capo dello Stato. E siccome Berlusconi è convinto di stravincere pensa che in questo modo dopo palazzo Chigi potrà andare al Quirinale». Ma è vera questa interpretazione? Ancora una volta i segnali che Berlusconi invia sono contrastanti. Pubblicamente dice di voler andare alle urne al più presto e lo ripete in privato anche agli alleati. Ma in alcuni conversari riservati ha spiegato che l'idea di un «Prodi sotto schiaffo e debolissimo, sfiancato da un anno in cui ogni giorno la maggioranza va in fibrillazione per qualcosa » non gli sarebbe nient'affatto sgradita. Come gli piacerebbe l'ipotesi di finire la sua avventura politica al Quirinale.

Anche nel Partito democratico, com'è ovvio visti i tempi non facili che corrono, si discute dell'eventualità che Prodi possa cadere. «Rifondazione pur di evitare i referendum potrebbe andarsene», è il ragionamento che Veltroni è solito fare ai compagni di partito e agli alleati. Ma nel Prc non si respira quest'aria. Un conto sono gli avvertimenti (privati e pubblici) di Fausto Bertinotti nei confronti del presidente del Consiglio, altra storia è decidere di staccare veramente la spina al governo Prodi dopo il «peccato originale» del '98. Rifondazione comunista non lo farà (e di questo, in realtà è convinto pure lo stesso premier). Ma se il governo dovesse crollare in queste condizioni Veltroni, che in un primo tempo, non sembrava contrario alle elezioni nel 2008, ora ha mutato idea. Anche perché il «patto tra gentiluomini» che aveva fatto con il Cavaliere, secondo il quale Pd e Forza Italia si sarebbero presentati da soli, potrebbe non reggere. Allora meglio un governo tecnico per fare i referendum o la legge elettorale e poi andare alle elezioni nella prima primavera del prossimo anno. La data del 2009 è stata pronunciata nei colloqui che ci sono stati tra il sindaco di Roma e il leader di Forza Italia. Il 2009, tutto sommato, potrebbe andare bene a entrambi. Ma il Cavaliere vuole arrivarci con Prodi al governo. Veltroni no.

Maria Teresa Meli
20 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #33 inserito:: Gennaio 20, 2008, 05:21:44 pm »

19 gennaio 2008

I talenti italiani per il Pd


Saranno migliaia gli appuntamenti previsti dalla campagna di insediamento dei Circoli territoriali del Pd. Sono stati presentati da Walter Veltroni e Dario Franceschini assieme al coordinatore della fase costituente Goffredo Bettini, il responsabile Organizzazione Andrea Orlando e la responsabile Sapere Maria Paola Merloni. «Il Pd, le cui forme future saranno definite con l’approvazione dello Statuto nei prossimi giorni – ha spiegato Bettini – è e sarà un partito nuovo e innovativo ma sarà un partito. Un partito che darà forza ai diritti degli elettori e riconoscerà però i diritti di chi ha deciso di impegnarsi nell’attività quotidiana».

«I circoli – ha sottolineato – sono la base del Pd, il modo di stare dentro il Pd. Questo partito ha cominciato a lavorare e vuole intervenire da subito sulle grandi questioni che interessano gli italiani, dalla sicurezza alla competitività. E, - ha aggiunto – i Circoli saranno anche i luoghi dove si mischieranno e incontreranno coloro che hanno militato per anni nei Ds e nella Margherita e coloro che per la prima volta, lo scorso 14 ottobre, hanno dichiarato con il voto di voler partecipare alla vita del Paese».

A sostenere questo spirito c'è la disponibilità di centinaia e centinaia di “talenti italiani” , che consegneranno gli attetstai di soci fondatori a coloro che hanno votato alle primarie: Massimiliano Fuksas, che ha voluto testimoniare la sua «adesione a un progetto nuovo che riporti serenità al Paese», Ettore Scola, Lucio Dalla,Ignazio Marino, Sabrina Ferilli, Umberto Veronesi. Ed ancora Massimo Carraro, Simona Dalla Chiesa, Maria Falcone, Luca Barbarossa, Raoul Bova, Carmine Donzelli, Carlo Lizzani, Corrado Guzzanti, Simona Marchini, Lidia Ravera, Carlo Ghezzi, Paolo Taviani e molti altri.

A Viareggio sono stati già aperti 6 circoli e consegnati 1800 attestati su 3000 votanti alle primarie, superando quindi di gran lunga la somma degli iscritti precedenti ai due partiti Ds e Dl (500 iscritti).

Ma l’obiettivo è molto più arduo: 8500 sedi con un numero certamente superiore alla somma dei due partiti di origine. «Il Pd – ha quindi esordito il segretario nazionale Walter Veltroni - è un partito nuovo davvero. Lo Statuto lo dimostrerà».

«Siamo contenti – ha aggiunto - di lavorare con la costante attenzione, quasi da entomologi, per accompagnare i primi passi di questo partito. Ma soprattutto – ha sottolineato - siamo contenti per il lavoro fin qui svolto. In quattro mesi, perfettamente nei tempi che ci eravamo imposti, abbiamo costruito un percorso che si concluderà con il lavoro delle Commissioni».

«Il Pd sa di avere come soggetto fondatore – ha spiegato – quei 3 milioni e mezzo di persone che hanno partecipato alle primarie. E’ un partito che nasce con l’obiettivo di cambiare radicalmente questo Paese. Un partito che nasce in una stagione legata alla capacità delle forze politiche di dare al Paese stabilità e autorevolezza, perché è di questo che l’Italia – ha concluso - ha bisogno».

Nel corso della conferenza è stato distribuito l'elenco dei nomi delle personalità che distribuiranno in tutta Italia l'attestato di socio fondatore del Pd.

da veltroniperlitalia.it
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« Risposta #34 inserito:: Gennaio 24, 2008, 06:32:43 pm »

La prova del fuoco

Stefano Ceccanti


Il Pd è di fronte alla sua vera prima prova.

Chiariamoci anzitutto, come primo pilastro di ragionamento, sulla natura della sfida: non siamo di fronte alla semplice crisi di un governo.

Se così fosse sarebbe tutto molto più facile: si tratterebbe solo di tentare di costruirne un altro o, in alternativa, di andare alle elezioni.

È invece la crisi di un sistema che non ha saputo trovare le soluzioni stabili ai problemi della transizione aperta dagli anni 90. Il bipolarismo, che è una conquista irrinunciabile, al livello del Parlamento nazionale (diverso è il discorso ai livelli di comuni, province e regioni) è rimasto a uno stadio primordiale, infantile, con la demonizzazione reciproca e la conseguente spinta ad aggregare contro il nemico tutte le forze coalizzabili, al di là di valutazioni obiettive di compatibilità programmatica. La crisi si manifesta ora in modo del tutto esplicito, ma la sua incubazione era evidente a tutti, specie dopo le nuove leggi elettorali che l’hanno sensibilmente aggravata. Siamo quindi come dei marinai che devono riparare la nave mentre essa è in mare aperto, senza poter tornare in porto.

Come secondo pilastro di ragionamento proporrei un breve bilancio di ciò che abbiamo già fatto e detto: il Partito Democratico è nato nei mesi scorsi con la consapevolezza della radicalità di questa crisi. La sua stessa nascita ha costituito un tentativo di rispondervi sul piano dei soggetti politici. Infatti qualsiasi sistema in cui vi è un rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, al di là delle regole, deve comunque trovare dei solidi pilastri, pochi gruppi parlamentari corrispondenti a partiti radicati nel Paese in grado di organizzare in modo efficace e comprensibile la vita politica. A questa scelta coraggiosa, che ha riunificato larga parte delle matrici del riformismo italiano, e che a soli tre mesi dal 14 ottobre ha già prodotto bozze largamente condivise di Statuto, Manifesto e Codice Etico, ha logicamente corrisposto la scelta complementare di enunciare un programma radicale di svolta sulle regole. Veltroni ha sin da subito parlato di sistema francese integrale, sia per le regole elettorali sia per il semi-presidenzialismo, di riforme costituzionali che completino anche il rapporto tra centro e periferia con un Senato delle autonomie svincolato dal rapporto di fiducia, di riforma dei regolamenti in modo che i partiti coincidano con i gruppi parlamentari. Un programma di innovazione forte che certo deve fare i conti con la necessità di aggregare maggioranze vaste, trattandosi delle regole comuni, in coerenza col magistrale intervento di ieri del Presidente Napolitano, secondo il quale, rispetto alla Costituzione «nessuna delle forze oggi in campo può rivendicarne in esclusiva l’eredità, né farsene strumento nei confronti di altre. Possono solo tutte insieme richiamarsi ai valori e alle regole della Costituzione, e insieme affrontare anche i problemi di ogni sua specifica, possibile revisione». Le necessarie mediazioni e le eventuali tappe intermedie non possono certo contraddire quelle indicazioni di linea e di lungo periodo. Inoltre le scelte politiche che si annunciano nel frattempo debbono essere conformi a quella direzione di marcia.

Si colloca qui il terzo pilastro della riflessione, il tema di quale sia il rapporto fecondo del Pd con la coalizione e col Governo. Quando vari esponenti di primo piano del Pd, fino all’intervento di Veltroni al convegno di «LibertàEguale» a Orvieto, hanno denunciato la gravità della crisi di sistema, riproposto la necessità delle riforme e annunciato la volontà di chiudere l’esperienza di coalizioni disomogenee, non hanno affatto delegittimato il Governo, provocato la crisi, ma hanno evidenziato che quel Governo non poteva da solo essere chiamato a rispondere dei deficit di sistema. Così hanno fatto anche gli aderenti del Pd che hanno firmato per i referendum elettorali. Hanno quindi sgravato il Governo da responsabilità non sue. Quando il dito indica la luna è solo lo sciocco (o il prevenuto, in questo caso) che guarda il dito. Omettere queste verità, negare l’evidenza, non avrebbe affatto rafforzato la coalizione e il Governo. Il patto siglato con la creazione della coalizione dell’Unione e stipulato con gli elettori va certo rispettato per tutta la legislatura, ma esso non è un totem, è uno strumento per riformare il Paese e come tutti gli strumenti suppone una valutazione laica del molto che è stato raggiunto, ma anche di ciò che si è rivelato insuperabile e delle relative cause.

Così è anche possibile (quarto e ultimo pilastro, più immediato e operativo) stabilire una chiara gerarchia di priorità per le prossime settimane. Al primo posto si colloca chiaramente la scelta per proseguire nel duplice impegno con un Governo guidato da Prodi che onori il programma e che consenta il varo delle riforme, elettorali, costituzionali e regolamentari. Al secondo posto un Governo con mandato più ristretto per le riforme possibili, che accompagni anche la celebrazione del referendum (a quel punto difficilmente evitabile) e che ne perfezioni l’esito. Le elezioni, invece, non ha senso sceglierle, visto che qualsiasi fosse l’esito, non sarebbero risolutive. Se però alle elezioni si fosse irresponsabilmente trascinati, il programma di riforme del Pd dovrebbe essere l’elemento centrale distinguendosi nettamente da tutti coloro che le hanno volute rinviare correndo precipitosamente al voto e che le hanno osteggiate nei mesi passati, anche dall’interno della coalizione dell’Unione.


Pubblicato il: 24.01.08
Modificato il: 24.01.08 alle ore 12.44   
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 29, 2008, 10:52:30 pm »

28/1/2008 (20:19)

Vassallo: "La crisi potrebbe allontanare la riforma elettorale"
 
Parla l'autore della proposta inizialmente sostenuta da Pd e FI

LUCA ROLANDI
ROMA


Salvatore Vassallo, ex fucino, quarantaduenne giovane politologo campano, bolognese d’adozione, professore di Scienza della Politica all’Università di Bologna e presidente della Commissione per lo Statuto, eletta dall’Assemblea Costituente nazionale del Partito Democratico, fa il punto sulla riforma, che potrebbe allontanarsi con l’ipotesi elettorale. Studia da anni un progetto di riforma elettorale e la sua proposta era sostenuta dai maggiori partiti italiani il Pd e Forza Italia.

Vi è stato un momento in cui la sua proposta di riforma elettorale potesse essere sostenuta da uno schieramento qualificato. Nel frattempo però molte cose sono mutate. Lei ha continuato a lavorare per perfezionarla andando incontro alle critiche mosse sopratutto dai partito più piccoli delle due colazioni.

Lo schieramento a sostegno dell'ispano-tedesco non è mai stato, adire il vero, tanto ampio. Nel Pd, come è noto, non tutti hanno sostenuto l'iniziativa di Veltroni. Il progetto, naturalmente, non piaceva ai micro-partiti, e i medi avrebbero preferito un sistema elettorale che li liberasse dalla concorrenza dei piccoli aumentando però la loro stessa capacità di condizionare i partiti più grandi. Silvio Berlusconi e Forza Italia hanno dato a vedere di essere molto interessati. Ma proprio adesso che sarebbe possibile approvare se non quello un progetto che segue la medesima ispirazione, preferiscono per un calcolo di brevissimo termine correre alle elezioni.

La crisi di Governo complica tutto l'iter di riforma elettorale e isitituzionale. Quali scenari si potrebbero aprire nel caso di un esecutivo istituzionale. E' possibile una sintesi tra la proposta di riforma da lei ispirata e la bozza di Enzo Bianco?

Se i maggiori partiti si muovessero responsabilmente, oggi, sulla base del lavoro preparatorio che si è svolto nelle scorse settimane, ed anche dei tentativi e degli errori fatti fino ad ora nella ricerca di una soluzione soddisfacente, potrebbero trovare in tempi brevi l'accordo su un sistema elettorale magari non perfetto ma largamente meno vizioso della Calderoli. Potrebbero forse anche avviare un primo discorso su riforme di rango costituzionale anche se devo ammettere che questo terreno sarebbe più difficile da praticare perché richiede tempi lunghi.

Sulla crisi di Governo va aggiunto il tema del Referendum. Quali sono gli scenari possibili nel caso di svolgimento e di vittoria dei SI, con un Governo che potrebbe essere appunto varato con un obiettivo primario la legge elettorale e una prima riforma istituzionale (Pd)

Presumo che se dovesse risultare praticabile la via del governo istituzionale, quest'ultimo si impegnerebbe a varare una riforma elettorale in tempi brevi, tenendo conto dell'indirizzo referendario, ma prima che si svolga il referendum. Se al contrario si dovesse andare al voto con la pessima legge attualmente in vigore, sarà il referendum, tra un anno, a rimettere il tema nell'agenda parlamentare.

da lastampa.it
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« Risposta #36 inserito:: Febbraio 02, 2008, 08:59:30 pm »

I PRINCIPI DELLA RESISTENZA E DELL’ANTIFASCISMO PARTE DEL PD

2 Febbraio 2008


Pubblichiamo la lettera con cui il segretario del PD Walter Veltroni chiede ad Alfredo Reichlin e a tutti i componenti della Commissione Manifesto dei Valori di inserire nella Carta dei valori un riferimento esplicito alla Resistenza e all’antifascismo.

Ho letto, questa mattina, alcune osservazioni e perplessità sull’assenza di un riferimento esplicito alla Resistenza e all’antifascismo nel Manifesto dei valori del Partito democratico.

Non può, evidentemente, essersi trattato di altro che la conseguenza del fatto che quei valori, che sono quelli della democrazia e della libertà, sono parte integrante di noi, della nostra storia e identità. Ciò è tanto più vero se solo si pensa che uno dei protagonisti dell’estensione del documento è Alfredo Reichlin, che fu uno degli artefici della Resistenza
romana.

La Resistenza, i principi che l’hanno animata e sostenuta, sono patrimonio fondamentale e naturale del Partito democratico. Fanno parte della nostra cultura, accompagnano il nostro modo di essere e di intendere la politica.
Sono un valore acquisito, nostro e degli italiani.

E’ nella Resistenza, che affonda le sue radici la nostra Repubblica. E’ grazie a quella rinascita civile e morale che l’Italia ha riguadagnato la libertà e si sono potuti affermare i principi fondamentali della nostra Costituzione. E’ lì, in quel tempo e in quelle scelte, il valore del "patriottismo costituzionale" richiamato dal Presidente Giorgio Napolitano. Ed è lì il momento fondante della nostra unità nazionale, della nostra democrazia, della nostra convivenza civile, del nostro orgoglioso essere italiani.

Tutto questo è scritto nell’identità del Partito democratico. Fa parte della sua stessa natura, proprio nel momento in cui la fine delle ideologie consente di battersi con più forza contro ogni forma di dittatura, di intolleranza, di negazione dei diritti umani.

E dunque il richiamo ai valori dell’antifascismo oggi può unire, e non dividere, il Paese.

Per tutte queste ragioni ritengo che i principi della Resistenza e dell’antifascismo debbano essere richiamati nel Manifesto dei valori del Partito democratico.


da ulivo.it
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« Risposta #37 inserito:: Febbraio 02, 2008, 09:04:04 pm »

Un partito chiaro. Per statuto

Marina Sereni


Oggi la Commissione Statuto Nazionale conclude i suoi lavori e approva il testo da sottoporre all’Assemblea Costituente. Chi aveva pronosticato uno scontro tra posizioni inconciliabili (vi ricordate il partito fluido senza tessere contro il partito burocratico e autoreferenziale?) resterà deluso. La sintesi che sta uscendo dalla Commissione, almeno su questo nodo di fondo, è a mio parere convincente e fa del Pd, con la sua doppia apertura alla partecipazione degli iscritti e degli elettori, un partito nuovo sul serio, non la brutta copia dei Democratici americani, bensì un’esperienza originale nel panorama europeo.

Mi aspetto, comunque, una riunione impegnativa che sciolga gli ultimi nodi. Il primo riguarda le modalità di selezione delle candidature per le assemblee elettive, ed in particolare per il Parlamento. È del tutto ovvio che la discussione su questo aspetto rischia di essere un po’ condizionata dall’avvicinarsi probabile della scadenza elettorale (anche se noi sosteniamo il lavoro del Presidente incaricato Marini e speriamo in un ravvedimento della rinata vecchia Cdl per fare una riforma elettorale prima del voto).

In queste ore in tanti ci stanno mandando mail per sostenere l’idea che tutte le cariche nelle assemblee elettive possano essere selezionate attraverso primarie. Personalmente condivido questa proposta e l’ho già sostenuto nelle precedenti riunioni della Commissione. Su questa materia ho presentato, insieme ad altri, un emendamento e so che ce ne saranno altri di segno simile. Approfitto per sottolineare alcuni elementi di riflessione. Se le prossime elezioni fossero in tempi molto ravvicinati l’organizzazione di vere e proprie primarie potrebbe risultare molto complicata. Tuttavia sotto il profilo politico sarebbe una dimostrazione straordinaria di forza, tanto più se dovessimo trovarci a votare con il “Porcellum”. Le primarie del Pd sarebbero una scelta “unilaterale” di grande coerenza con la battaglia che abbiamo condotto e continueremo a fare per riavvicinare gli eletti agli elettori. Naturalmente non mi sfugge - tanto più alla luce del ruolo che ricopro attualmente nel Gruppo del Pd alla Camera - che agli organismi dirigenti nazionali del Partito debba essere consegnato il compito e la responsabilità di garantire, nella scelta delle candidature, un nucleo fondamentale di competenze e di esperienze indispensabili all’attività parlamentare.

La seconda questione riguarda il ruolo dei parlamentari. Si fa riferimento agli eletti indicando i doveri e gli obblighi di queste figure, ma mai il loro contributo alla costruzione dell’iniziativa del Pd e si usa l’espressione “collaborare lealmente” con le altre figure del Pd senza mai nominare i Gruppi parlamentari, se non quando si prevede che i Presidenti dei Gruppi (Camera, Senato, Parlamento Europeo) siano membri di diritto di alcuni organismi. Vedo qui il rischio di una sottovalutazione dei Gruppi, che soltanto parzialmente è recuperata da alcuni emendamenti, tra cui quello che prevede che siano queste assemblee ad eleggere una quota di cento membri dell’Assemblea Nazionale. Credo che il lavoro della Commissione e della relatrice possano ancora recuperare questa lacuna, tanto più che in queste settimane come Pd ci stiamo caratterizzando per la proposta di accompagnare le riforme istituzionali ed elettorale con una modifica dei regolamenti parlamentari volta ad impedire che in sede istituzionale si dia vita a gruppi non espressione delle liste sottoposte agli elettori. Sarebbe credo del tutto coerente con questa nostra iniziativa legislativa (proposta Franceschini) prevedere espressamente nello Statuto che «gli eletti e le elette nelle liste del Pd costituiscono i Gruppi del Pd(...)».

Infine un’ultima considerazione che riguarda l’azione di “riscrittura” generale che dovrà seguire l’approvazione del testo base da parte della Commissione. Per molte ragioni lo Statuto ha un’architettura un po’ pesante, in alcuni punti barocca, in altri bizantina... Ciò era in parte inevitabile perché abbiamo lavorato cercando di dare al Partito Democratico regole certe, sufficientemente chiare che non lascino troppe domande aperte. Tuttavia essendo la carta fondamentale di un partito che fa dell’innovazione della politica un suo tratto distintivo, è bene operare, nel coordinamento e drafting finale per un documento più essenziale che renda evidenti e valorizzi principi e scelte di fondo.



vicepresidente dei deputati Pd

www.marinasereni.it


Pubblicato il: 02.02.08
Modificato il: 02.02.08 alle ore 8.38   
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« Risposta #38 inserito:: Febbraio 03, 2008, 07:39:56 pm »

Reichlin: «Sarei revisionista io che sono stato gappista?»

Roberto Monteforte


«È tutta una bufala. Nessuno ha mai cancellato la parola Resistenza dalla bozza della Carta dei valori. Il documento approvato oggi (ieri per chi legge) contiene un esplicito riferimento alla Costituzione nata dalla resistenza e dalla lotta antifascita. È vero che nella bozza non era presente. Ma era inteso come implicito nel forte richiamo alla Costituzione e ai suoi valori. È bastato che venisse fatto notare perché immediatamente, senza nessuna esitazione, questo richiamo venisse inserito nel testo che poi è stato approvato praticamente all´unanimità, vi è stata una sola astensione ma per altri motivi». È questa la risposta di Alfredo Reichlin, il presidente della commissione del Partito Democratico incaricata di redigere il Manifesto dei valori del nuovo partito. Non c´è aria di logiche revisioniste sulla Resistenza tra chi ha redatto il documento. Lo puntualizza con un misto di fastidio e preoccupazione l´intellettuale e dirigente dell´ex Pci che la Resistenza l´ha vissuta da «gappista» nella Roma occupata dai nazifascisti.

Cosa la preoccupa?
«Il fatto che su di una cosa del genere, costruita sul nulla, si possa imbastire una speculazione. Sono i segni preoccupanti di cosa ci si possa attendere nella prossima campagna elettorale».

E invece?
«La verità, il fatto politico significativo, è che è andato a buon fine il lavoro della Commissione dei valori con l´approvazione del Manifesto. È un successo per il Partito democratico. Poteva finire diveramente. È stato il frutto di un lavoro intenso, durato due mesi, che ha visto impegnati personalità provenienti da culture e sensibilità diverse, laici e cattolici, che hanno trovato un accordo su temi di fondo. Su questioni difficili come quelle etiche, dello Stato laico, della famiglia. Sono passaggi delicati per un partito come il nostro fatto da credenti e non credenti....».

Non è la somma di due tradizioni culturali e politiche quella della sinistra democratica rappresentata dai Ds e quella cattolica che ha animato la Margherita? Una mediazione tra sensibilità?
«Non è questo. Abbiamo lavorato alla definizione di qualcosa di inedito, ad una sintesi che guarda al futuro, ai problemi inediti che ha di fronte l´uomo contemporaneo. Alle risposte da dare per misurarsi con un contesto dove tutto muta. Che vede, ad esempio, sempre più messa in discussione l´idea dello Stato nazionale, della sua sovranità, come pure cambia la produzione, l´organizzazione del lavoro. Bisogna ripensare al concetto di classe. Sono solo alcune delle sfide con cui confrontarsi. Il Manifesto non è un documento elettorale. Non si pone questo obiettivo, ma quello di fornire strumenti culturali e un sistema preciso di valori che consentano alla politica di misurarsi con il nuovo. Questa è l´ambizione del Pd».

Senza mettere in discussione l´ancoraggio alla Costituzione..
«Esattamente. Abbiamo approvato un emendamento proposto da Franco Bassanini che rafforza il carattere della nostra Costituzione. Si afferma che non può essere messa in discussione ad ogni cambio di maggioranza. È stato ribadito con più forza di quanto non si usi normalmente fare non solo il fondamento costituzionale di tutto il nostro ragionare, ma anche che è tempo di mettere paletti ancora più forti per impedire che una maggioranza parlamentare possa con disinvoltura introdurre modifiche alla nostra Carta fondamentale».



Pubblicato il: 03.02.08
Modificato il: 03.02.08 alle ore 11.41   
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« Risposta #39 inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:04:16 pm »

Verso le urne

Candidature, no a De Mita

La rinuncia di Violante

Duello sulla Serafini. Trenta «big» in salvo grazie alle deroghe

Non in discussione il seggio alla Binetti

Dubbi di Polito, Cacciari resta sindaco


ROMA — In Transatlantico si materializza Beppe Fioroni e sul tappeto rosso si forma la fila, peones e dirigenti a consulto dal gran cardinale degli ex Popolari per sapere se saranno ricandidati, oppure no. Si avvicina Sergio Mattarella, presidente della commissione Codice etico del Pd nonché parlamentare da sette legislature. Lei si ricandida? «Non lo so ancora, vedremo...» si allontana a larghi passi il padre del Mattarellum, al quale certo non è sfuggito il «capo V» dello Statuto, dove sta scritto che dopo tre mandati si va a casa.

È questo, a una manciata di ore dallo scioglimento delle Camere, il gran dilemma che tormenta i parlamentari del Pd, il partito della «nuova stagione » e dell'«aria fresca», come da vocabolario del veltronismo elettorale. «Lo volete capire che il Pd è un partito nuovo e non è la somma dei due partiti vecchi?», va ripetendo a porte chiuse Walter Veltroni. Detto così fa un gran bell'effetto, ma andarlo a spiegare ai silurati in pectore, molti dei quali vicini a D'Alema, Fioroni e Fassino, non è poi così semplice. Ciriaco De Mita, 11 inossidabili legislature: «Sono tanto indeciso...». Il partito ha già deciso per lui, ma chi lo conosce sa che non sarà facile metterlo da parte. «Io a dirigere la scuola del Pd? Per trasmettere ai giovani una grande speranza bisognerebbe averla».

La speranza degli uscenti illustri è in un codicillo che prevede il 10% di deroghe, il che vuol dire una trentina di ciambelle di salvataggio per i vari D'Alema, Fassino, Rutelli (se non dovesse tornare in Campidoglio), Soro, Castagnetti, Amato, Bindi, Parisi, Follini... Romano Prodi ha detto che farà il nonno il che rischia di indebolire fedelissimi come Levi, Sircana, Santagata o Monaco, ma l'elenco dei big è comunque ben più lungo dei posti in lista e quindi, come si dice, ne vedremo delle belle. Giovanna Melandri? Quattro legislature. Livia Turco? Sei. Anna Serafini? Cinque. Per la moglie di Piero Fassino nel 2006 scattò l'eccezione e fu polemica. E ora il caso Serafini è destinato a riesplodere. Anna Maria Carloni invece, consorte di Antonio Bassolino e senatrice anche lei, a Palazzo Madama c'è stata solo mezza legislatura, ne esce «con l'amaro in bocca» e buone probabilità di tornarci: «Non disarmo, ma mi rimetto ai vertici del partito ».

Ci sono nomi scomodi come la teodem Paola Binetti che nessuno vorrebbe candidare, ma il cui scranno è a prova di bomba. «Far fuori Paola — spiega senza imbarazzi Enzo Carra — sarebbe visto come una epurazione». A quota sei (legislature) ci si imbatte nel derogato eccellente D'Alema, deciso a correre da capolista in Puglia per il Senato. E lì, se Berlusconi terrà fede alla promessa di una Camera all'opposizione, dovrà vedersela con Franco Marini per lo scranno di presidente. Ad Anna Finocchiaro, Veltroni ha chiesto il sacrificio più grande: sfidare in Sicilia l'erede di Cuffaro. Ma ieri, faccia a faccia col leader, lei ha detto «no grazie », per correre nel Lazio o altra regione chiave.

Mimmo Lucà teme la scomparsa dei suoi cristiano sociali, Franco Bassanini difficilmente tornerà in pista e il tesoriere ds Ugo Sposetti, tre legislature alle spalle, non sembra preoccupato: «Il Parlamento ancora non è sciolto e lo Statuto non è stato approvato. Dopo, vedremo». Luciano Violante, invece, si tira elegantemente fuori. «Dopo 28 anni di vita parlamentare mi pare che possa bastare». Può sempre chiedere per iscritto la deroga... «A un ex presidente della Camera la darebbero, ma non mi interessa. Ho imparato un sacco di cose che vorrei trasmettere ad altri».

 Violante farà il professore, Massimo Cacciari resta sindaco a Venezia, Peppino Caldarola rischia di soccombere causa monocolore dalemiano in Puglia («Sto riflettendo»). E Antonio Polito, ex Margherita di rito rutelliano, potrebbe tornare a fare il giornalista, con qualche sollievo di chi ne teme gli affondi: «Io scomodo? Anche il Pd comincia ad esserlo. Prima di decidere se mi ricandido devo decidere se lo voto».

Monica Guerzoni
06 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #40 inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:05:24 pm »

Alleanze

La scelta di Walter Pannella no, Di Pietro sì

Distinguo dalemiani e prodiani.

Ma la decisione è presa

 
ROMA — Da soli alla Camera e da soli anche al Senato. Se i socialisti vogliono, possono accomodarsi in una micro-pattuglia sotto le insegne del Pd. Lo stesso dicasi per Emma Bonino. Niente radicali che sono «difficili» da gestire e infatti gli uomini di Pannella meditano di andare alle urne con l'accoppiata Bordon- Manzione. L'alleanza elettorale si farà (ma verrà annunciata solo più in là) esclusivamente con Italia dei Valori, del resto Di Pietro era stato tentato di entrare nel Pd già all'epoca delle primarie. Così ha deciso Walter Veltroni e così ripete. Nel partito non c'è chi lo contrasta apertamente. Anche i prodiani condiscono le loro perplessità con molti «se» e «ma».

Però nei discorsi di tutti i dirigenti che veltroniani non sono c'è qualche distinguo. «Certo — è il ragionamento di Bersani — dobbiamo andare alle elezioni ben visibili e non confusi in ammucchiate, però non possiamo sostenere che si va da soli a prescindere, anche perché dobbiamo evitare che si producano delle ripercussioni sulle giunte in cui governiamo con tutta l'Unione». Non dissimile la riflessione che va facendo ad alta voce D'Alema: «Evitiamo di fare una campagna in cui ci attacchiamo tra di noi del centrosinistra». Bersani aggiunge anche un'altra chiosa: «Non si può nemmeno andare alle elezioni rinnegando il governo Prodi, piuttosto dobbiamo andarci esaltando quel che di buono c'è stato in questa esperienza». E Rosy Bindi: «La solitudine del Pd non vuol dire autosufficienza, ma ricerca di alleanze coerenti e coese. Vocazione maggioritaria significa lavorare a un sistema in cui Il Pd è il perno di un'alleanza alternativa al centrodestra: la nuova stagione non può essere costruita rinnegando l'esperienza di questi 15 anni perché in realtà le alleanze in questi anni le abbiamo sempre promosse noi e mai subite». Ma alla fine nessuno polemizzerà più di tanto con il segretario cui lo statuto — e la legge elettorale — danno in mano la partita delle candidature. Gli addii al Parlamento saranno tanti: «L'importante — è il convincimento di Veltroni — è che ciò accada senza mettere le dita negli occhi a nessuno». Quindi via Violante, Mattarella, Castagnetti e Anna Serafini, la moglie di Fassino. E via (ma qui ci vorrà grande cautela) Visco e De Mita. Verrà fatto anche un repulisti di prodiani: in forse, per esempio, la ricandidatura di Andrea Papini. Porte aperte, invece, a Enrico Gasbarra, presidente della provincia di Roma, che traghetterà al Senato, a Filippo Penati e al consigliere di Veltroni, Walter Verini. Tra gli imprenditori si pensa a Guido Barilla. Poi c'è la la sezione «talenti per l'Italia»: sarà questo lo slogan con cui il Pd presenterà alcuni personaggi che sta corteggiando come Tito Boeri.

Per evitare l'assalto alla diligenza da parte dei maggiorenti del Pd che vorrebbero infilare i loro uomini Veltroni ha escogitato un piano. Innanzitutto, le candidature verranno preparate dai segretari regionali, che sono stati eletti alle primarie e non messi lì da qualche big del Pd. Poi quando la pratica tornerà a Roma cominceranno le prime grane. Ma vi sono altri due modi per risolverle. Il primo è quello che Goffredo Bettini ha imposto con lo Statuto: il limite dei tre mandati. Il braccio destro e sinistro di Veltroni è stato categorico con la Margherita che si lamentava: «Voi non avevate nessun vincolo, noi quello dei due mandati, vada per tre e basta». Non solo, anche le donne tornano utili all'occorrenza. Nelle liste uomini e donne si devono alternare. Tra i parlamentari della Margherita le donne erano solo il 17 per cento, mentre tra i Ds rappresentavano il doppio, ossia il 34, questo fa sì che gli ex diessini possano avere più posti rispetto agli ex dl.

Con la Cosa Rossa sembra chiusa ogni strada. Non si può fare nessuna alleanza. Tutt'al più si può candidare qualche esterno di lusso di quella formazione a palazzo Madama ma sotto le bandiere del Pd. Bertinotti l'ha presa non bene ma benissimo. Anche perché questa decisione di Veltroni ha spuntato le unghie agli uomini della Sinistra Democratica che chiedevano l'alleanza con il Pd e non volevano che la leadership della Cosa Rossa venisse affidata al presidente della Camera. Ora devono accettarla. Il che ha creato non pochi problemi dentro la Sd dove la capogruppo alla Camera Titti Di Salvo ha accusato Mussi e Salvi «di aver tradito il loro mandato». Anche in quel gruppo, comunque in molti non si ricandideranno: Marco Fumagalli, Gloria Buffo e Fulvia Bandoli, per esempio. Il sottosegretario Famiano Crucianelli invece traslocherà nel Pd. A conti fatti, il Pdci dovrebbe avere 10 parlamentari, altrettanti i Verdi, 6 la Sd e 25 Rifondazione, che, stavolta, non dovrebbe ricandidare Caruso.


Maria Teresa Meli
06 febbraio 2008

da corriere.it
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« Risposta #41 inserito:: Febbraio 17, 2008, 09:16:55 pm »

Colaninno: «Più crescita al Paese e il nord ci seguirà»

Andrea Carugati


«È come il mio primo giorno di scuola», confida Matteo Colaninno, sotto il palco della costituente Pd. Poco prima Walter Veltroni ha annunciato la sua candidatura come capolista al Nord, più che caloroso l’applauso della platea. Lui si alza e saluta, si vede che non è abituato. Durante tutto l’intervento del leader Pd ha preso appunti, seduto in prima fila vicino a Franco Bassanini. Nato a Mantova nel 1970, figlio del numero uno della Piaggio Roberto, è padre di un figlio e un secondo è in arrivo.

Colaninno ha cambiato mestiere da poche ore, venerdì sera l’addio alle cariche in Confindustria (presidente dei giovani e vicepresidente dell’associazione), e nel cda del Sole 24 Ore dove era entrato recentemente. Mantiene per ora il ruolo in azienda, vicepresidente della Piaggio: «Per ora non c’è incompatibilità, tutto dipende da quale ruolo svolgerò dopo le elezioni: se sarò membro di una commissione parlamentare che prevede l’incompatibilità mi dimetterò anche dagli incarichi in Piaggio». «Mi candiderò come capolista nella circoscrizione di Milano», annuncia. «È il momento dell’impegno e della responsabilità personale per modernizzare il Paese», spiega. «Per me questa candidatura è un grandissimo onore, ho a lungo parlato della necessità di modernizzare l’Italia, e ora mi impegnerò al massimo per questo obiettivo.

Come imprenditore mi sono sentito molto a mio agio ascoltando il discorso di Veltroni, lo sottoscrivo in pieno, molti passaggi corrispondono perfettamente ai miei pensieri: la priorità alla crescita, alla creazione di nuova ricchezza. Senza crescita non c’è redistribuzione». «Lasciare il mio lavoro è stato difficile, ma non ho avuto dubbi: il cuore mi ha portato ad accettare fin dalla prima offerta di Veltroni. Mi pare che il Pd sia davvero una grandissima novità. Darò tutto me stesso in questo nuovo impegno». Ma la scelta del Pd di correre da solo ha pesato? «È una delle ragioni che mi ha spinto ad accettare».

Che clima sente tra gli imprenditori, in particolare al Nord, sulla proposta del Pd? «Anche dalle mail che sto ricevendo mi pare che si stia cogliendo il segnale di novità del Pd. Sono sicuro che col passare delle settimane questa novità sarà colta in misura ancora maggiore. E questo riguarda anche i ceti produttivi che tradizionalmente non sono vicini al centrosinistra». Crede che il Pd possa recuperare quel rapporto con il Nord produttivo così difficile in questi anni? «Credo che sia un obiettivo raggiungibile, ma senza affanno, diciamo nel medio periodo. Io credo che il rapporto tra il Pd e i ceti produttivi del Nord si possa ricostruire sul campo, meritandoselo e non con operazioni spot.

Penso che se noi, come Pd, manterremo al centro dei nostri pensieri, e soprattutto delle nostre azioni, il tema della crescita l’obiettivo Nord si possa concretamente raggiungere. È una possibilità concreta, e lo dimostrano i messaggi di apprezzamento che sto ricevendo per la mia scelta, messaggi che arrivano anche da persone che non sono vicine al centrosinistra». Sulla possibilità reale di aumentare i salari ancora non si sbilancia: «È il mio primo giorno da candidato, datemi il tempo...».

Pubblicato il: 17.02.08
Modificato il: 17.02.08 alle ore 15.10   
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« Risposta #42 inserito:: Febbraio 17, 2008, 09:17:48 pm »

Antonio Boccuzzi: «Noi operai non saremo più solo serbatoio di voti»

Giampiero Rossi


Non era a Roma a vivere in prima persona il momento in cui il suo nome veniva scandito dal leader del Pd, ma ha seguito il discorso di Walter Veltroni per televisione. Ha dovuto declinare l'invito perché non poteva, non voleva mancare a un altro appuntamento di questo sabato di metà febbraio.
Antonio Boccuzzi ieri era infatti al centro sportivo «Primo Nebiolo», a Torino, dove insieme ai suoi compagni di lavoro della Thyssen ha partecipato a un torneo di calcio di solidarietà alle famiglie dei quattro colleghi morti nel rogo del 6 dicembre scorso. Perché come lui stesso continua a ripetere mentre arriva al campo «da quanto è accaduto quella notte che io non potrò mai prescindere, qualsiasi cosa faccia nella mia vita». Boccuzzi è nato a Torino 43 anni fa, figlio di immigrati pugliesi arrivati nel capoluogo piemontese «veramente con le valige di cartone». La sua è una giovane storia di una vita operaia, vissuto però quando la «classe» già poteva scordarsi qualsiasi viatico per il paradiso ed era sprofondata nel più completo oblio mediatico e politico. È stata proprio la maledetta fiammata assassina che ha risparmiato lui solo a restituire un po' di visibilità a chi fa i turni in fabbrica.

Boccuzzi, dopo voci, le ipotesi e i dubbi adesso è ufficiale, lei sarà candidato del Pd. Cosa l'ha convinta ad accettare quella proposta sulla quale aveva mantenuto inizialmente qualche riserva?

«Mi ha convinto il progetto di riportare il lavoro della fabbrica in politica e, quindi, la politica di nuovo in fabbrica, senza più fermarsi fuori dai cancelli, ma per occuparsi davvero dei problemi posti da quelle persone come destinatari delle scelte politiche e non serbatoio di voti. Ho capito che il Pd ha un progetto serio che spero di onorare».

Ma i suoi dubbi quali erano?

«Non volevo essere soltanto uno specchietto per le allodole, una bandierina. Sì, anche i simboli hanno la loro importanza, ma di fronte a questioni serie e delicate come quelle che riguardano la vita di milioni di operai non ci si può limitare a questo. Devono seguire impegni e fatti concreti».

Con chi ha discusso di questo progetto? Direttamente con Veltroni?

«No, in particolare ho avuto come interlocutore il sindaco, Sergio Chiamparino».

E con i colleghi della ThyssenKrupp ha parlato?

«Come prima cosa ho scelto di consultare alcuni dei familiari dei miei colleghi morti. In questi due mesi siamo rimasti sempre in stretto contatto con alcuni di loro e sono stati proprio loro a incoraggiarmi: "Devi farlo", mi hanno detto, perché colgono in quest'operazione una possibilità di dare voce al mondo che sono chiamato a rappresentare».

E lei che impegni si sente di assumere di fronte a quel mondo?

«Mi impegno perché la politica affronti seriamente temi come la sicurezza nei luoghi di lavoro, il salario dei lavoratori e la precarietà. Anche perché io ho vissuto sulla mia pelle tutte e tre queste ragioni: sono strato precario, da sempre devo fare mille conti per arrivare a fine mese e... per quanto riguarda la sicurezza che dire? Se sono qui a parlare adesso è perché sono stato fortunato, a differenza degli altri ragazzi che erano al lavoro con me quella notte».


Pubblicato il: 17.02.08
Modificato il: 17.02.08 alle ore 15.10   
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« Risposta #43 inserito:: Febbraio 19, 2008, 12:16:07 am »

De Sena: «Punterò sul dialogo, ma qui serve una rivoluzione culturale»

Massimo Solani


Pensionato da giovedì, dopo quarant’anni in divisa, il prefetto ed ex vicecapo vicario della Polizia Luigi De Sena sarà capolista del Pd al Senato in Calabria. In quella terra dove nel novembre del 2005 fu inviato con poteri speciali dopo l’omicidio di Francesco Fortugno. «È una nuova e bella sfida...», dice. «Ma la vedo come una prosecuzione del lavoro fatto come prefetto di Reggio Calabria». Nato in provincia di Napoli 65 anni fa (spegnerà le candeline il prossimo 5 marzo) nella sua carriera è stato fra l’altro capo della Mobile a Roma, dirigente del Sisde e direttore della Criminalpol. Un impegno che ha raccolto consensi unanimi, tanto che ieri il sindaco di Locri di An Francesco Macrì ha criticato la coalizione di centrodestra («immobile, spettatrice mentre si accinge a riproporre in Calabria le liste “fotocopia” degli anni passati) lodando la candidatura di Sena che, ha spiegato, «costituisce un serio tentativo di cambiamento del volto della Calabria».

Prefetto, com’è nata l’dea?

«Credo che Walter Veltroni e il viceministro dell’Interno Minniti mi abbiano fatto questa proposta per portare avanti quelle iniziative di dialogo che abbiamo iniziato quando sono stato nominato prefetto di Reggio dall’allora ministro dell’Interno Pisanu. In quei mesi abbiamo inaugurato un’ipotesi reale di sviluppo dell’area, percorrendo un cammino concreto di legalità».

Lei arrivò a Reggio in un momento durissimo e non lesinò critiche alla classe politica locale. Cosa di quella esperienza porterà con sé nell’impegno politico?

«La mia volontà è quella di continuare sulla strada di un dialogo che è già iniziato. In passato sono stato molto critico nei confronti della pubblica amministrazione, facendo anche autocritica in qualità di massimo rappresentante sul territorio dell’amministrazione centrale. L’ho fatto perché ho sempre pensato che qualsiasi cambiamento dovesse passare innanzitutto da uno slancio concreto per ridare credibilità al sistema. In Calabria, ne sono convinto, ci sono effervescenze positive e capacità forse ancora inespresse. Non dobbiamo dimenticarle e lasciarle sole».

Inchieste e operazioni di polizia nelle ultime settimane hanno di nuovo evidenziato l’esistenza di una zona grigia in cui politica e criminalità convivono e addirittura fanno affari insieme.

«Per questo sono convinto che serva una rivoluzione culturale. Prima di passare al perseguimento della legalità bisognerebbe recuperare la civiltà dei comportamenti, per poi arrivare veramente a progetti concreti che portino allo sviluppo economico. È una strada possibile, si può fare. A patto però di condurre una reale concertazione e condivisione strategica con tutti gli attori positivi presenti sul territorio. Fermo restando che il contrasto alla criminalità organizzata deve proseguire a tutto campo. Negli ultimi mesi sono stati ottenuti risultati formidabili, ma la partita vera si gioca sulla prevenzione generale».

Ora la campagna elettorale. Cosa dirà alle persone che incontrerà nelle piazze? Come parlerà alla gente?

«Come ho sempre fatto: nella maniera più semplice e comprensibile di questo mondo. Ma nella mia carriera ho imparato che prima di parlare bisogna ascoltare, e che l’incapacità di saper ascoltare è uno dei difetti della pubblica amministrazione. Quando ero prefetto ho ascoltato molto, e conto di continuare a farlo per poi passare ad un dialogo e ad una concertazione che sia figlia di una proposta concreta di recupero di credibilità del sistema. Anche di recupero economico».

In Calabria il pericolo peggiore è la resa alla sfiducia nei confronti della politica. La vicenda De Magistris, se possibile, ha aggravato ancora di più la situazione. Come riannodare il filo del dialogo?

«I calabresi chiedono di essere ascoltati e esigono risposte concrete. L’apparato pubblico e politico ha l’obbligo di comportarsi in questo modo».

Pubblicato il: 18.02.08
Modificato il: 18.02.08 alle ore 18.07   
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« Risposta #44 inserito:: Febbraio 20, 2008, 06:00:50 pm »

Pd: «Unioni civili e testamento biologico»

Federica Fantozzi


Snello e laico. Un programma di 60 pagine da asciugare a una quarantina: «un settimo» esatto di quello prodiano, commenta Veltroni. Spazio ai temi etici: ci saranno la disciplina delle unioni di fatto, la difesa della Legge 194, il testamento biologico. Ieri sera al loft i big del Pd hanno dato via libera al programma che stamattina sarà presentato ai circa 150 esponenti del coordinamento nazionale.

Al tavolo con il leader del Pd e il vice Franceschini c’erano i ministri D’Alema, Bersani, Chiti, Gentiloni, Fioroni, Bindi, Parisi, più i due capigruppo Soro e Finocchiaro, il responsabile Informazione Follini, il relatore del programma Enrico Morando. E quest’ultimo è stato incoraggiato da tutti a limare ulteriormente il suo lavoro: da una sessantina di pagine a una quarantina. Il massimo che Veltroni, desideroso di staccarsi dall’immagine delle 280 pagine dell’Unione, può accettare. Punto di partenza e asse da sviluppare sono stati i dodici punti esposti dal candidato premier all’assemblea costituente del partito sabato scorso. Vale a dire ambiente (Tav, rigassificatori, termovalorizzatori, energia eolica); infrastrutture al Mezzogiorno; taglio della spesa pubblica; riduzione della pressione fiscale (detrazioni e tagli Irpef); sostegno alle donne; politica degli affitti (più case e detassazione del canone); dote fiscale di 2500 euro per ogni nuovo nato; innovazione e ricerca per scuola e università; compenso minimo di mille euro ai precari; sicurezza; giustizia più veloce; banda larga in tutta Italia.

E nel settore televisivo, il vertice si è occupato delle polemiche seguite all’annuncio di Di Pietro che lascerebbe una sola rete a Mediaset. Ha chiuso la questione il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni uscendo da piazza Santa Anastasia: «Il programma del Pd che abbiamo esaminato prevede il superamento dell’attuale duopolio televisivo» ma non la dieta dimagrante di due reti per il Biscione.
Il testo si rifà alla normativa europea (spedendo quindi Rete4 sul satellite) e propone per la Rai un amministratore unico.

Soprattutto si è parlato di temi eticamente sensibili. Con una preoccupazione: “coprirsi” sul fronte laico dato il volgere al tramonto dell’alleanza con i Radicali. Dal loft considerano l’alzata di toni e la diffusione di particolari riservati da parte Radicale come una manifesta volontà di stoppare la trattativa. E cominciano a farsi una ragione di una corsa senza di loro, soffrendo dunque la concorrenza a sinistra dei temi che sono storici cavalli di battaglia per Pannella ed Emma Bonino.
Ebbene, nel programma era già presente la difesa della Legge 194: del resto, di recente era stata pubblicamente sostenuta da Veltroni. E ieri sera sono state inserite cinque righe sulle coppie di fatto e tre sul testamento biologico. La disciplina delle unioni civili ricalca quella civilistica dei Cus, ma il nome non verrà riproposto. Chi ha partecipato all’incontro racconta che incaricati di mettere a punto la formulazione esatta siano stati i cattolici Giuliano Amato e Rosy Bindi. Mentre è probabile che di testamento biologico si sia occupato il medico Ignazio Marino.

Su quest’ultimo punto Beppe Fioroni, ex Popolare, ha sollevato un’obiezione: «È l’avvio di un percorso che non ci convince». Mentre Bersani ha sottolineato la necessità che sui temi etici, piuttosto che assumere una posizione specifica che la scienza può superare in ogni momento, venga ritrovata un’«agorà», un luogo di discussione collettiva.

Pubblicato il: 20.02.08
Modificato il: 20.02.08 alle ore 10.03   
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