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Autore Discussione: PARTITO DEMOCRATICO (2).  (Letto 39159 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Novembre 22, 2007, 08:45:45 am »

POLITICA

L'ANALISI

Pdl e Pd: potenzialità alla pari

La grande sfida è già cominciata

di ANTONIO NOTO *


CHE IL PDL possa essere speculare al PD lo si comprende già dal nome che Berlusconi ha voluto dare al nuovo partito. Infatti il Cavaliere farà scegliere agli elettori tra la dicitura "Partito della Libertà" o "Popolo della Libertà", ma qualsiasi sarà il risultato, ci sarà sempre il Pdl contro il Pd.

Dai primi sondaggi l'espressione "Partito" sembra raccogliere un maggior numero di giudizi positivi rispetto a "Popolo". Forse questo lo sapeva anche lo stesso Berlusconi, ma mettendo sul piatto la parola "Popolo" ha forse voluto lanciare un messaggio anche a chi è ideologicamente più vicino alla destra.

Alla fine, sempre che ci sia realmente una consultazione popolare sul nome, magari il "partito" vincerà sul "popolo", ma intanto, il Cavaliere avrà attirato anche le simpatie di una marginale quota di elettori di destra.

E' ovviamente ancora presto per poter stimare con precisione il consenso che potrà calamitare un partito che in parte non esiste ancora (bisognerà capire quali saranno le strategie politiche nuove) ed in parte esiste già (la sovrapposizione con Forza Italia sembra evidente). Un dato è certo in partenza e diversifica il trend del mercato elettorale del PDL rispetto a quello del PD. Mentre il nuovo partito del centrosinistra è nato in flessione rispetto alla aggregazione Ds e Margherita (e, poi, ha dato segnali di crescita), oggi il Pdl non solo riconfermerebbe il voto degli elettori di Forza Italia, ma addirittura avrebbe una potenzialità di incremento di +7%, e quindi dal 28% degli azzurri potrebbe, in linea di massima, raggiungere il 35%.

Se però si analizzano i valori finali in relazione alla potenzialità di incremento, la stima di voto reale e potenziale al Pd potrebbe essere simile a quella del Pdl. Il partito di Veltroni oggi può contare sul 29% dei consensi ma come potenziale elettorale potrebbe arrivare al 37%, dunque, addirittura un paio di punti sopra il nuovo partito berlusconiano.

E' dunque questa la vera sfida, il Cavaliere non pensa più ad un confronto centrodestra-centrosinistra, ma ad un altro tipo di scenario: Pd contro Pdl, e, allo stato attuale, i due partiti hanno più o meno lo stesso numero di consensi, reali e potenziali. Il Gong è suonato.

*(direttore Ipr Marketing)

(21 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #16 inserito:: Novembre 22, 2007, 10:15:37 pm »

POLITICA

Il segretario del Pd oggi a Madrid incontra Zapatero. Il primo incontro ufficiale

In un'intervista a L'Espresso precisa la posizione su riforme e legge elettorale

Veltroni: "Mai parlato di grande coalizione. Nel 2008 non si voterà"

Fini: "An non confluirà mai nella Cosa bianca". Il segretario smentisce di allearsi con Casini e Pezzotta

Berlusconi: "Noi puntiamo al voto subito. In alternativa una legge elettorale proporzionale"


ROMA - "Nel 2008 non si andrà a votare. E per il governo non c'è nessuna data di scadenza". Lo dice il segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, in un'intervista al settimanale "L'Espresso" in edicola domani.

Così, dopo il rilancio di Berlusconi che dice sì alla grande coalizione degli eventuali due partiti più forti che escono da un'elezione con sistema proporzionale e invoca le urne, il segretario del Pd mette in chiaro alcuni punti. Veltroni oggi è a Madrid dove ha incontrato il premier Josè Luis Zapatero. Nel pomeriggio doveva proseguire per Sofia che ospita il congresso del Pse ma ha rinunciato per problemi di nebbia.

2008, anno delle riforme - "Il 2008 sarà l'anno delle riforme - sottolinea il sindaco di Roma -: quella elettorale, ma anche quella costituzionale già alla Camera e dei regolamenti parlamentari, pure questa importante". L'apertura di Berlusconi al dialogo è "un fatto positivo. Sino a domenica scorsa, nessuno del centrodestra voleva parlare con noi. Erano bloccati, guardavano le nuvole. Persino Fini credeva che le divisioni nell'Unione avrebbero fatto cadere Prodi!".

Il Pdl del Cavaliere - "Io non sottovaluto Berlusconi - aggiunge Veltroni - Ha una sua missione e molti soldi. Però un partito può nascere una sola volta per impulso personale. Ma farne nascere un altro tredici anni dopo... Non riesco a vedere una grande capacità espansiva di questo nuovo partito" che in realtà è "sempre Forza Italia a cui è sttao solo cambiato il nome".

No alla grande coalizione - "Non c'è nessuna grande
coalizione, non si sta discutendo di questo. Anzi, considero un'anomalia parlarne" ha detto Veltroni a Madrid. "Per me quello che conta è il completamento del processo di riforme istituzionali dentro il quale pongo la riforma elettorale".

Quale sistema elettorale - Dopo il turbinio di dichiarazioni di questi giorni, Veltroni torna a precisare il suo punto di vista sul modello di legge elettorale. "In venti giorni la stampa mi ha fatto partecipare a tutti gli assi possibili. La mia, invece, è semplicemente una posizione di responsabilità per dare al paese quelle certezze che da troppo tempo non ha e la velocità di cui ha bisogno". Quindi la sua proposta è di un sistema elettorale "proporzionale, senza premi di maggioranza ma bipolare, due cose che non sono impossibili". Con questi obiettivi il segretario del Pd incontrerà lunedì Fini, successivamente Casini, la Lega e infine, Berlusconi. Quali previsioni? "Una settimana è lunga e può accadere assolutamente di tutto".

L'agenda di Berlusconi - Il leader del Pdl intanto precisa quella che per lui sarà l'agenda politica dei prossimi mesi: "La nostra posizione è molto chiara: lavoriamo perchè questo governo cada e si possa quindi andare al più presto alle elezioni. Con questa legge elettorale oppure, in considerazione della nascita del nuovo partito, con una nuova legge in senso proporzionale". E con questo programma il Cavaliere incontrerà venerdì Veltroni.

Fini: "Mai nella Cosa bianca" - "Alleanza nazionale non confluirà mai nella Cosa bianca. Noi siamo pronti a dialogare con tutti coloro che sono alternativi alla sinistra". Così, in base ad indiscrezioni, le parole di Fini durante l'esecutivo di An. Fini avrebbe quindi smentito che An sarebbe pronta a confluire nel nuovo progetto centrista di Pier Ferdinando Casini e di Savino Pezzotta.

(22 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #17 inserito:: Novembre 28, 2007, 05:41:48 pm »

Il professore, presidente del comitato scientifico di Nomisma, boccia il continuismo emiliano-romagnolo.

"Clamoroso il caso di Bologna"

"Pd, è il test del fallimento incapace di attrarre novità"

Luciano Nigro



Andreatta: e Cofferati ha stoppato tutto

Centristi Gli ex Margherita si sentiranno lacerati tra lo strapotere Ds e tentazioni centriste

Traghettatori Scommettiamo? Io non ci credo che saranno traghettatori

Debolezza Il sindaco ha puntato al controllo del partito dando segno di debolezza

Occasione persa Con poca spesa, qui poteva arrivare un segnale di rinnovamento


«L´Emilia-Romagna sembra il test del fallimento del partito democratico come forza politica capace di attrarre energie al di fuori del vecchio ceto politico di Ds e Margherita. Clamoroso il caso di Bologna, dove Cofferati ha voluto dimostrare di controllare il partito, impedendo così anche la ricerca di una possibile alternativa».

E´ sferzante il giudizio di Filippo Andreatta su come concretamente si sta organizzando il Pd lungo la via Emilia. Il professore di relazioni internazionali, ora presidente del comitato scientifico di Nomisma, figlio dello scomparso Nino Andreatta, era stato uno dei consiglieri di Prodi nella fabbrica del programma e tra i promotori del Pd.
In estate, però, si è messo in posizione critica. Temeva, viste le premesse, che sarebbe nato un partito d´apparato. Molto diesse e un po´ margherita. Disse che il Pd era «sull´orlo di una crisi sprecata».

E oggi, professore Andreatta?
«Se dovessi valutare il neonato partito democratico sulla base di quello che è accaduto a Bologna direi che l´occasione è stata persa del tutto».

In che senso?
«Con poca spesa, qui poteva arrivare un segnale di rinnovamento che desse l´idea che il Pd non è soltanto il vecchio ceto politico della Quercia e della Margherita».

E invece capo provvisorio del nuovo partito è l´ex segretario ds.
«Il guaio è che un´alternativa non è stata neppure cercata. La partita era finita prima ancora di cominciare».

La ragione?
«Agli errori commessi a livello nazionale e regionale si è aggiunta la situazione tutta particolare di Bologna».

Ovvero?
«Dando segno di debolezza istituzionale il sindaco ha puntato al controllo del partito, imponendo il segretario, ma il Pd sarebbe dovuto nascere con un orizzonte più lungo di una sindacatura».

Questo vale per tutti i sindaci.
«E´ vero. Ma a Bologna la forzatura del sindaco ha spinto l´intera macchina a schierarsi per la riconferma del candidato di apparato ed è caduta nel vuoto ogni ipotesi di innovazione. Peccato, bastava così poco».

Bologna non è diversa dal resto. In regione sei segretari ds e uno della Margherita su 11 sono diventati coordinatori del Pd.
«Se l´Emilia è un test per il partito nazionale, il problema è serio. Significa che il Pd sta fallendo: si sta rivelando la somma di due forze e dei loro difetti».

Un mese fa alle primarie hanno votato 3-4 milioni di italiani.
«L´entusiasmo c´è, è evidente. Ma l´elezione dei coordinatori provinciali, purtroppo, conferma ciò che in estate temevo: la predominanza del vecchio ceto politico dei due partiti fondatori».

Non era inevitabile?
«Lo è diventato perché sono stati commessi tre errori. Il primo e più importante: nel 2005 quando la Margherita non ha voluto che la scelta di Prodi desse l´avvio al partito democratico. L´entusiasmo di allora sarebbe stato finalizzato alla sconfitta di Berlusconi e avrebbe dato forza al nascente partito».

Non parte troppo lontano?
«Gli altri due errori sono recenti. Il secondo è stata l´accelerazione voluta dai Ds a un anno dalle elezioni che ha creato confusione tra governo e partito. Un guaio in un paese dove è forte la partitocrazia. Tantopiù che il premier, carica istituzionale, non poteva sottoporsi a primarie. In questo modo era inevitabile che nascesse una diarchia».

Veltroni e Prodi? Per ora il doppio potere non ha creato sconquassi nel centrosinistra.
«E´ vero, per fortuna sono tra i migliori politici del centrosinistra. Perciò reggono a una tensione che è strutturale. Ma il terzo errore lo ha commesso Veltroni quando ha scelto di correre con il beneplacito delle gerarchie».

Ha stravinto, però.
«Aveva la popolarità per vincere comunque, così si è fatto intruppare ed è diventato un candidato istituzionale, in parte del popolo, in parte della partitocrazia. E ora i nodi vengono al pettine. Mi verrebbe da chiedergli: sull´onda di un grande successo, è contento che la maggior parte dei segretari sia dei vecchi partiti?»

Veltroni ha scritto ai segretari regionali di essere preoccupato. Ma i coordinatori, gli hanno risposto, sono solo provvisori.
«Scommettiamo? Io non ci credo che saranno traghettatori. Viste le premesse, c´è da aspettarsi che saranno quasi tutti segretari tra qualche mese».

Ma è così terribile questa partitocrazia? Lo vede così male il Pd?
«Paradossalmente le novità verranno dal proporzionale. Io sono contrario perché garantisce i ceti politici, però sta producendo spinte imprevedibili».

A cosa si riferisce?
«Sarà più difficile un accordo di centrosinistra come quello che ha portato all´elezione di Cofferati. E gli ex della Margherita si sentiranno lacerati tra lo strapotere dei Ds e le tentazioni centriste».

(27 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #18 inserito:: Dicembre 02, 2007, 06:51:54 pm »

POLITICA

Oggi il vertice per informare nel dettaglio i vertici del partito sull'incontro con il Cavaliere e i possibili sviluppi.

Il premier: "Stranieri in patria"

Allarme nel Pd, Veltroni convoca i big

Prodi: che miseria la politica spettacolo

Rosi Bindi: " Ho paura delle mani libere. E del rapporto privilegiato con Berlusconi"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - Spiegare, capirsi, evitare strappi, portare virtualmente tutto il Partito democratico nella stanza in cui Veltroni e Berlusconi, venerdì, hanno detto che un accordo è possibile.

Il segretario del Pd convoca un vertice ristretto e riservato (e domenicale) per avere il mandato dei leader ad andare avanti sulla legge elettorale e sulle riforme. Cioè per continuare il dialogo con il Cavaliere. L´appuntamento è per stasera. Con D´Alema, Parisi, Fassino, Franceschini, Rutelli, la Bindi, Enrico Letta. Anche il presidente del Pd Romano Prodi è stato invitato. Sul piatto il racconto del faccia a faccia, le strategie per non fermarsi proprio adesso. Ma non solo.

Lo scetticismo del premier è ormai palese. «Va bene confrontarsi, ma bisogna farlo con tutti. Le parti in causa sono tante e certo non ci si può limitare a valutare la soluzione che piace di più a Berlusconi», è il ragionamento irritato del Professore. Che naturalmente teme i contraccolpi sul governo, la fibrillazione dei partiti minori, vuole saperne di più sulla pregiudiziale caduta e ricomparsa ieri del voto dopo la riforma, di quella scadenza (dodici mesi) fissata dal sindaco di Roma.

A quel tavolo ci saranno poi i sostenitori di un sistema tedesco puro, come D´Alema e Fassino. E sulla sponda opposta Parisi. Il ministro della Difesa applaude il leader di Forza Italia nel senso che «ha detto finalmente parole di verità sul ritorno al proporzionale». Una iattura, per il bipolare della primissima ora Parisi. Che stasera è pronto a chiedere un giudizio sulla proposta secondo lui più naturale. «La legge elettorale - dice - è lo statuto degli statuti, la madre di tutte le battaglie. Sul superamento del bipolarismo non possiamo non coinvolgere gli stessi elettori chiamati ad eleggere il segretario del Pd. Ossia fare le primarie».

Veltroni si aspettava il contraccolpo. Il vertice punta a superare i dissensi nel Pd, un´eventuale fronda interna. E il vorticoso giro di telefonate di ieri e dell´altro ieri ha avuto lo scopo di sondare gli umori degli alleati. Il sindaco ha sentito D´Alema già venerdì sera. Poi Fassino e Rutelli. Una lunga telefonata con Fausto Bertinotti è servita ad avere la conferma dell´apertura cui Veltroni tiene di più, quella di Rifondazione.

Il presidente del Camera vede con favore il dialogo con il leader dell´opposizione, secondo i veltroniani neanche lui ha gradito i toni critici di Liberazione sul colloquio di venerdì. Bertinotti del resto è stato il primo leader del centrosinistra a ricevere la bozza di riforma preparata dai tecnici di Veltroni. Ed è Rifondazione l´interlocutore privilegiato dei professori Vassallo e Ceccanti, autori di quella bozza. I colloqui alla luce del sole, le parole chiare degli uomini più vicini al sindaco (come Goffredo Bettini) hanno però una controindicazione. Gli «esclusi» del dialogo sono sempre più scoperti, visibili e molti stanno nella maggioranza che sostiene Prodi. Clemente Mastella e Alfonso Pecoraro Scanio bocciano il Vassallum. Enrico Boselli attacca: «Dal bipolarismo coatto al bipartitismo coatto. Qui ci vogliono portare Veltroni e Berlusconi».
Chi soffre il dialogo con il Cavaliere scarica le sue tensioni sull´esecutivo. Immaginandolo sempre più prossimo alla fine.

E Prodi non fa molto per scacciare questi retropensieri, evidentemente anche suoi. Alla lettura del Mulino, ieri, si è ricordato di una battuta pronunciata venerdì da Parisi a Nizza. «Povero Garibaldi - aveva sospirato il ministro davanti ai colleghi durante il summit italofrancese -. Si era battuto per unire l´Italia ed era finito straniero in patria». Già, ha risospirato Prodi citando Parisi: «Qualche volta, pensando al Pd, temo che a noi toccherà la stessa fine. Finire stranieri in patria e in più non unificare niente, anzi assistere a una nuova spartizione nel campo dell´Ulivo». Prodi lancia più di un allarme all´indomani del faccia a faccia sulle riforme: «La politica spettacolo accorcia tutto, rende tutto più misero. Dobbiamo pensare a lungo termine. Dobbiamo piantare piante, non erba».

I prodiani raccolgono questi timori. La Bindi scuote la testa: «Ho paura delle mani libere». Ha paura anche «del rapporto privilegiato con Berlusconi». «Attenzione - ammonisce - non si può prescindere da un confronto sulle riforme istituzionali e dalla garanzia di una vita stabile e duratura dell´attuale squadra di Prodi».


(2 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #19 inserito:: Dicembre 03, 2007, 10:07:13 pm »

«Legalità, liberalizzazioni e salari Le riforme? Si fanno con Prodi»

Rutelli: tre priorità per stare in sella

Il vicepremier: «Di Berlusconi non mi fido troppo. A luglio era per il sistema tedesco, a settembre contrario...»

 
ROMA — È domenica sera. Francesco Rutelli, vicepremier e ministro dei Beni culturali, ha appena partecipato all'incontro con Romano Prodi, Walter Veltroni, Massimo D'Alema e gli altri ottimati del Partito democratico. Allora com'è andata? Il segretario del Pd ha il vostro pieno sostegno per andare avanti sulla strada della riforma elettorale? «Bene. Via libera a Veltroni per la legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza, con sbarramento, scelta degli eletti e non liste bloccate. Puntiamo ad un bipolarismo credibile. Quello coatto è indifendibile. E attenzione alle difficoltà sociali e alla sicurezza: non basta un'agenda solo istituzionale».

Ci sarà un vertice di tutta l'Unione, per tranquillizzare i leader dei piccoli partiti, da Clemente Mastella a Oliviero Diliberto?
«Prodi sente e incontra quotidianamente i leader di tutta la coalizione. E giustamente ha ricordato di esserne il garante. Se vorrà riunire tutta la comitiva, siamo pronti».

Prodi teme che l'improvvisa conversione di Silvio Berlusconi sia un espediente per dividere la maggioranza. I sospetti del premier influenzeranno il dialogo?
«Mi pare che stia capitando l'opposto: è nel centrodestra che si è aperta una salutare fase nuova. È merito della nascita del Pd, della tenuta del governo e della volontà di fare davvero riforme indispensabili per far funzionare questo Paese».

Ma lei si fida di Berlusconi?
«Non troppo. A luglio Berlusconi mi disse di essere favorevole al sistema tedesco. A settembre si dichiarò totalmente contrario. Una settimana fa ha detto nuovamente sì. Oggi pare abbia cambiato di nuovo. Ma il sistema elettorale va riformato nell'interesse generale, non secondo interessi settimanali. Altrimenti si producono leggi-porcata come la Calderoli, non difesa neppure da chi l'ha voluta, scritta e votata».

E Prodi si fida pienamente di Veltroni o teme di essere oscurato dal protagonismo del neosegretario?
«Guardi, siamo tutti a remare sulla stessa barca. È evidente che da metà ottobre c'è un partito nuovo che si fa sentire. Dunque c'è un altro centro di iniziativa oltre a Palazzo Chigi. Ma finora Prodi e Veltroni si sono aiutati a vicenda e non vedo motivo perché accada il contrario».

Se il dialogo fallisse, si tornerebbe ad un clima di verbale guerra civile? L'Italia è condannata ad essere divisa tra guelfi o ghibellini o, per dirla con D'Alema, può diventare un Paese normale?
«Voglio con tutte le forze un dialogo trasparente, un bipolarismo civile. Mi batto perché le riforme sulle regole si facciano insieme. E perché i due schieramenti maggiori condividano politica estera e politiche per la sicurezza. Le pare un sogno? No, oggi ci siamo più vicini, come dimostrano le aperture all'iniziativa di Veltroni».

Ma il tema del conflitto di interessi è sempre lì, come un macigno. Se lo si affronta adesso, Berlusconi potrebbe far saltare il tavolo, se lo si mette da parte la sinistra intransigente grida all'inciucio. Si va avanti a colpi di crasi: prima i Dalemoni, ora aleggia il fantasma dei Veltrusconi.
«Rispetto ai neologismi di questa demo-crasia preferisco parole antiche come politica, o civiltà. Hanno una radice simile: dal greco polis, ovvero la vita nella città, e dal latino civilitas, che nasce pure dentro la città, la civitas. Ma la storia insegna che il conflitto d'interessi creava scontri pure nell'antichità... In Italia è tempo di regolarlo: con una buona legge sulla Rai e norme non punitive, europee, sui conflitti e sul sistema radio-tv. Senza, non può esserci normale civiltà del dialogo politico».

Lei è stato il primo, un mese fa, a rompere il fronte maggioritario e ad invocare il sistema proporzionale alla tedesca. Ma se la riforma elettorale va in porto, quanti partiti ci saranno?
«Se non sono bastati 14 anni di questo bipolarismo dominato dai capricci dei micropartiti e dalla difficoltà estrema di governare e modernizzare il Paese, cosa si cerca? Il sistema tedesco è bipolare, ma non costringe a subire il ricatto delle minoranze. Con lo sbarramento, ci saranno 5 o 6 partiti, non 55 come oggi».

Al centro nascerà la «Cosa bianca»?
«Ma sarà la politica a decidere! Un Pd troppo a sinistra aprirebbe spazi al centro, ad esempio. Chi vorrà aggregare in un nuovo partito dovrà, appunto, aggregare: non dividere, scindere. E gli elettori premieranno coalizioni di governo credibili, non caravanserragli».

Arturo Parisi critica aspramente l'abbandono del sistema maggioritario e paventa il ritorno di nuovi «Ghini di Tacco».
«È proprio il contrario. Mastella, spiritosamente, ha raccontato che i referendari gli chiedono appoggio, perché il referendum difende meglio i suoi interessi. È proprio così: più i partiti sono piccoli, più questo maggioritario fallito gli dà potere».

È possibile che alla fine si arriverà al referendum? È un'ipotesi che la preoccupa?
«L'unica cosa decente del referendum è che spinge alla riforma. La soluzione che porterebbe? Disastrosa. Listoni coatti per ottenere il premio di maggioranza, liste bloccate senza scelta per gli elettori: calderolum e referendum per me pari sono».

Ma se Prodi cadesse, va fatto un governo istituzionale per portare a termine la riforma elettorale o bisogna tornare subito al voto?
«Le riforme si fanno col governo Prodi. Dopo, non vedo altro, ma la parola andrebbe al capo dello Stato».

Rifondazione chiede la verifica di governo a gennaio, adombrando l'ipotesi di un appoggio esterno. Ci sarà il rimpasto, con un Prodi bis e un numero ridotto di ministri?
«Oddio, ma non sarebbe l'ora di innovare questo lessico politico della Prima Repubblica? Rimpasto, vertice, verifica, crisi, chiarimento... Chiederò all'amico linguista Luca Serianni e al professor Sabatini dell'Accademia della Crusca di suggerire parole meno consumate. Comunque, sulle eventuali riunioni di gennaio sarà Prodi a consultare e decidere».

Ma non c'è il rischio che superati gli scogli del welfare e della Finanziaria il governo tiri a campare?
«No, il governo vive proprio se non tira a campare. Il vero appuntamento è dal primo gennaio. Approvati Finanziaria e Protocollo welfare, non dobbiamo tirare i remi in barca. Al contrario, credo che Prodi, mentre si accelera il confronto sulle riforme, potrà lanciare le priorità per il 2008. Il governo macina e continuerà a portare avanti molte riforme, ma si tratta di indicare priorità strategiche, coinvolgenti. Credo che la scelta dovrà scaturire da un confronto nella maggioranza. Io vedo tre priorità».

Quali?
«Sicurezza e legalità: proponiamo sessioni parlamentari per approvare le misure che rimettano sui binari certezza della legge e della pena in questo Paese. O vogliamo occuparcene solo quando c'è un delitto orrendo, l'emozione popolare e la pressione dei media? Le nuove misure per sicurezza e giustizia — inclusa la Banca del Dna, che mi sta molto a cuore — sono già in Parlamento. Ma possiamo inserire altre norme per migliorare la funzionalità delle Forze dell'ordine, che protestano e meritano risposte. Tocca a noi fare l'agenda, pronti al confronto col centrodestra. Se la priorità delle priorità è la crescita dell'economia, dobbiamo completare e rafforzare le liberalizzazioni. Aggiungo: assieme, ci vuole un robusto pacchetto di semplificazioni. Meno burocrazia, meno passaggi amministrativi e complicazioni che costano ogni anno a imprese e famiglie come una Finanziaria. Nelle ultime settimane ho raccolto proposte da varie forze produttive e tra breve le porterò in sede di governo».

Ma perché la sinistra dovrebbe appoggiare misure di questo tipo?
«Perché ci sarebbe l'interesse comune ad affrontare nel contempo la terza priorità». I salari bassi? «C'è una reale sofferenza sociale tra chi ha un reddito fisso, anche per via dei rincari. Possiamo elaborare risposte credibili a difesa del potere d'acquisto per i ceti popolari. Ecco un terreno di confronto utile anche per le formazioni a sinistra del Pd».

Però nel Pd, dai soldi alle tessere, tutto è confuso. Si farà il congresso?
«Le primarie non sono di un secolo fa: sono passati appena 45 giorni. Sulla politica Veltroni si sta muovendo bene. Quanto all'organizzazione, si tratta di costruire un partito nuovo. Diamoci il tempo giusto. Non vedo motivo per precoci ansie congressuali».

Tra i nemici di Veltroni il quotidiano «Europa» elenca dalemiani, fassiniani, prodiani sospettosi, parisiani furiosi, popolari delusi. Ma davvero qualcuno sta organizzando la fronda?
«Fronda? Nel Pd facciamo largo a idee e progetti, non alle vecchie appartenenze ».

Marco Cianca
03 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #20 inserito:: Dicembre 03, 2007, 10:19:26 pm »

POLITICA

Rutelli e D'Alema si schierano per il sistema tedesco: "Parliamo con Casini"

Il premier al vertice notturno: attenti al Cavaliere, vuole andare al referendum

Riforme, Prodi a Veltroni "Il Pd unisca e sia garante"

di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Confronto in due tempi tra Romano Prodi e Walter Veltroni sulla legge elettorale, dopo il freddo degli ultimi giorni. Prima con le dichiarazioni a distanza, poi nel vertice notturno del Pd. Il sindaco difende il dialogo con Berlusconi: "Rafforza il governo, solo con le riforme l'esecutivo va avanti". Prodi però esprime tutti i suoi dubbi, a più riprese. Nel summit del Partito democratico (tre ore e mezza di dibattito) si dice "molto preoccupato per il ritorno al proporzionale".

E mette in chiaro il timore già paventato in queste ore: tenuta della maggioranza a rischio dopo il faccia a faccia di venerdì. "Il Pd è nato per essere il riferimento del centrosinistra e non di una parte. Non deve dividere", è il suo avvertimento. Per parlare con Berlusconi forse il gioco non vale la candela. "Vi sembra uno che vuole dialogare", si chiede sarcastico. "Occhio al Cavaliere - insiste nel loft del Pd -. Vuole soprattutto andare al referendum".

Al vertice Veltroni fa il punto dopo le consultazioni, chiede un mandato per andare avanti. Ma con cautela. Per mettere nero su bianco una proposta di legge ci vuole tempo: "Senza correre", dice il segretario. Piedi di piombo. Anche per evitare i contraccolpi non solo nell'Unione ma nel Pd (oggi si riuniscono i parisiani per valutare gli esiti di una trattativa che non li convince affatto). Ieri sono venuti fuori i nervi scoperti dentro il partito. "Io sono il garante della coalizione", dice Prodi. Un segnale di rassicurazione lanciato verso alleati, ma anche un monito per Walter. Rafforzato dalle parole prevertice. "Non sono solo io il garante - precisa - ma è tutto il Pd che garantisce anche gli altri partiti della coalizione".

Il vertice di ieri sera è stato il primo vero confronto interno dal giorno delle primarie, il 14 ottobre, cioè, un mese e mezzo fa. Insieme con Prodi e Veltroni, ci sono il vicesegretario Dario Franceschini, i ministri Rutelli, D'Alema, Parisi, Bindi, Amato, Fioroni, Bersani, Chiti e Gentiloni, il sottosegretario Enrico Letta, Fassino, Bettini, Follini, i capigruppo Soro e Finocchiaro e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali Violante e Bianco.

Insomma, è il vero stato maggiore del Pd. Che scavalca di fatto gli organismi nominati nelle ultime settimane, segreteria e direzione. Prodi saluta con soddisfazione la discussione nel Pd, che finora è mancata. Entrando al vertice spiega: "Di queste riunioni i partiti dovrebbero farne tante. Si è persa l'abitudine, ma si devono fare". Durante il summit serale Veltroni fa il punto della consultazione.

Riferisce, domanda una mandato pieno per proseguire. "Come non vedere che il cammino delle riforme è un sostegno al governo?". Anche perché i piccoli del centrosinistra contestano il quesito elettorale. Subito dopo il suo intervento Arturo Parisi va all'attacco: "Mi meraviglio che di fronte a un tema così delicato si sia più preoccupati di evitare il referendum che di fare una buona legge". Lo spalleggia la Bindi: "Otteniamo almeno l'indicazione preventiva delle alleanze.

Combattiamo le mani libere, sul serio", ammonisce.
Al vertice si confrontano a viso aperto i "maggioritari" (Prodi compreso che "avrebbe lavorato sul Mattarellum") e i "proporzionalisti". Rutelli sposa la linea del sindaco: "Non è vero che le coalizione stabili vivono solo con il maggioritario, basta guardare all'Europa. È al centro che si decidono le politiche del governo, per questo dobbiamo tenere dentro la Lega e l'Udc". Con D'Alema, Fassino ed Enrico Letta, il vicepremier costituisce l'asse favorevole al sistema tedesco e al dialogo con Casini (il ministro degli Esteri ha insistito molto su questo punto). Per alcuni ieri sera è stato perciò seppellito il Vassallum caro a Veltroni e sul quale si basa il confronto con il Cavaliere (entrambi escludono un centro che sia l'ago della bilancia) spostando il Pd sul proporzionale puro senza correttivi maggioritari.


(3 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #21 inserito:: Dicembre 03, 2007, 10:20:53 pm »

3/12/2007 (7:44) - INTERVISTA

Parisi: "Walter, un voltafaccia che pagherai caro"

Il più vicino a Prodi: «A Blair dico: non spingiamo la sinistra verso il massimalismo»

FABIO MARTINI


Onorevole Parisi, dopo l’incontro Veltroni-Berlusconi il dubbio resta: è la fine di un’epoca segnata dal reciproco insulto («voi comunisti», «Cavaliere criminale») o siamo al tatticismo?
«Se i due si riconoscono reciprocamente come leader mettendo tra parentesi l’odio reciproco, se Veltroni e Berlusconi riconoscono che non è più una tragedia se l’altro vince le elezioni, se di questo si tratta, allora possiamo tornare alla questione centrale, per cui nacque la nostra battaglia, ben prima che comparisse Berlusconi: come dare un governo all’Italia. Che è cosa ben diversa dalla preoccupazione di come ingrandire elettoralmente il mio e il tuo partito».

Davvero Veltroni e Berlusconi pensano solo a questo?
«Non proprio. Oggi più che mai il problema dell’Italia è avere un sistema istituzionale capace di dare un governo all’altezza dei nostri partner internazionali. Ma un governo di questo tipo deve essere fatto di fronte agli elettori. Il sistema di cui si sta discutendo in questi giorni ci riporterebbe invece a fare i governi in Parlamento e a disfarli in Parlamento».

Lei è molto critico, ma se avesse il pallino in mano cosa farebbe?
«Riconoscere innanzitutto il primato della riforma istituzionale. Io dico: non vogliamo nessuno dei principali modelli istituzionali, ripeto istituzionali, europei? Scegliamo allora uno dei modelli che governano l’Italia. Quello applicato ai Comuni, alle Province, alle Regioni. Il governo delle nostre città è assicurato dal sindaco eletto dai cittadini, non certo dalla regola che presiede alla ripartizione dei posti in Consiglio comunale. L’incontro Berlusconi-Veltroni potrebbe rivelarsi storico se avesse avuto per oggetto la storia del Paese. Ma un incontro che ha per oggetto la regola per ripartirsi al meglio per tutti e due i posti in Parlamento, che incontro storico vuole che sia?».

Con l’offensiva veltroniana rischia di esplodere l’Unione?
«No. Le due coalizioni assieme stanno, assieme cadono. Ma tutti sembrano attratti inesorabilmente dall’idea di dividersi in pace da buoni fratelli, come se una volta divisi, fosse possibile riunirsi domani di nuovo per governare davvero il Paese. Divisi una volta, divisi si resta.»

Ma non le pare che Rifondazione comunista, nell’ostinato rifiuto di valorizzare i risultati ottenuti in 18 mesi, viva l’esperienza di governo con senso di colpa? Non è legittimo per Veltroni immaginare un futuro senza comunisti?
«Le confesso che individuare “il” colpevole non è facile per nessuno. La verità è che ogni partito ha ceduto alla logica proporzionale della nuova legge pensando che premiava mettere l’enfasi sulle differenze. Ho presente gli errori fatti da Rifondazione, ma onestamente non si può accusarla di essere entrata nell’area di governo per ultima e poi non tener conto di questo ritardo. Mi preoccupa di più che nella trappola ci siamo caduti noi».

Tony Blair vi suggerisce di fare a meno della sinistra radicale. Le pare un consiglio utile?
«Quella che condivido è la sua netta condanna del proporzionale e “del potere di condizionamento che consegna alle piccole componenti”. Più che i cosiddetti radicali dobbiamo evitare il radicalismo. Ma soprattutto quella che dobbiamo evitare è, come ho detto, la tentazione di dividerci il lavoro d’amore e d’accordo spingendo loro a fare i radicali per poi rifiutare di allearci con loro a causa del loro radicalismo».

Anche nel vostro vertice notturno si è svolta una discussione che si potrebbe sintetizzare così: lei pensa che bipolarismo e alleanza con Rifondazione vadano salvaguardati; D’Alema e Rutelli, che vogliono il sistema tedesco, vagheggiano una Grande coalizione; Veltroni vuole correre da solo e allearsi poi con chi gli consentirà di fare maggioranza. E’ così?
«Una ricostruzione forzata, ma corrispondente in qualche modo alle posizioni».

Lei è rincorso dalla fama dell’incontentabile: perché da quando Veltroni ha preso la guida del Pd, lei è così critico?
«Ma non vede? In pochi giorni sono stati distrutti il linguaggio e i riferimenti concettuali cumulati in 20 anni. Noi avevamo immaginato che la “nuova stagione” del Pd potesse essere un ulteriore avanzamento di quella dell’Ulivo. Questo voltafaccia conferma il sospetto che abbiano vinto quelli che la pensano come la risposta al fallimento della stagione precedente».

Meglio il referendum e il suo bipartitismo forzoso o il bipolarismo blando del «Vassallum»? E come ha fatto a convincere Mastella che lui potrebbe salvarsi dal referendum?
«Quello che non mi piace è il bipolarismo “alla carta”, le alleanze decise alle spalle degli elettori. E’ appunto ciò che ho detto a Mastella. Anche per lui è meglio un confronto aperto prima delle elezioni per verificare la possibilità di un accordo di governo da sottoporre assieme ai cittadini. Altrimenti l’alternativa è tra una legge proporzionale che consenta la rappresentanza di tutti ma impedisca la possibilità di governare, e una legge che per consentire il governo tagli fuori il maggior numero di partiti possibile. La prima alternativa non va bene a me, la seconda non va bene a lui. Una che fa finta di essere l’una ma è invece l’altra non va bene né a me né a lui. Altrimenti è meglio il referendum».

da lastampa.it
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« Risposta #22 inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:19:08 pm »

Un Partito con i piedi per terra

Goffredo Bettini


Il Pd in poche settimane è stato determinante per cambiare la politica italiana. Il governo appare, seppure oggettivamente fragile nei numeri, più saldo e popolare. L'opposizione è divisa. Si è aperta una discussione finalmente concreta sulle riforme. E poi la politica, grazie alle novità messe in campo da Veltroni, pare aver ripreso il bandolo nelle sue mani; dopo che per troppi mesi banche, imprese, finanzieri, giornali e mille corporativismi di piazza sembravano aver occupato tutto il campo.
Mi aspetto contraccolpi.

Guai a sottovalutare la quantità e la forza di chi nella Repubblica vuole una politica debole, instabile e ancella. Ma il Pd su questo crinale combatterà.
È la sua vera scommessa: rifondare la democrazia, ricostruire un patto tra gli italiani e ridare nobiltà alla politica. Su questo tante volte Alfredo Reichlin ci ha richiamato con passione e intelligenza. Ed è questo il vero nucleo del discorso di Veltroni a Torino. Contemporaneamente all’iniziativa politica stiamo costruendo il partito.

Abbiamo una sede nazionale ed un simbolo. Abbiamo eletto l’assemblea nazionale, i segretari regionali, un esecutivo giovane con tante donne, il coordinamento nazionale ed i coordinatori in tutte le province. Ci sono, poi, al lavoro tre commissioni, con cento membri ciascuna, che stanno lavorando per redigere lo statuto, la carta dei valori, il codice etico. Dunque c’è già alle spalle un lavoro straordinario. E tuttavia abbiamo di fronte, ancora, compiti urgenti e difficili. Ne vedo tre principali. Mettere il Partito con i piedi per terra, articolandolo e strutturandolo tra il popolo e in tutti i luoghi dove i cittadini vivono e lavorano.

Secondo: utilizzare da subito quelle straordinarie energie professionali, quelle competenze e talenti italiani, a cui il nostro progetto ha ridato speranza. E, infine: superare il più rapidamente (anche nella composizione dei vari gruppi dirigenti) la sindrome degli ex. Dobbiamo cominciare a mischiarci veramente. A sentirci tutti democratici, affidandoci a trasparenti meccanismi interni davvero aperti, che suscitino responsabilità e scelte nei singoli, piuttosto che nei gruppi e nelle cordate. Lo statuto deciderà.

Ma io auspico un partito sempre più dei cittadini e degli aderenti, mobile e dinamico nella sua vita democratica e capace di incoraggiare un pluralismo ricco culturalmente e politicamente attraverso fondazioni, associazioni, pubblicazioni; piuttosto che attraverso rigide catene di comando, che alla fine hanno sempre prodotto grigi «fedelissimi» e mai menti aperte, critiche, e vivaddio autonome. Per cominciare ad operare, se ci sarà consenso, in questa direzione, mi pare essenziale impegnarci con grande energia sulla strada concreta decisa dalla conferenza nazionale dei segretari regionali. Assise di grande rilevanza e che raccoglie dirigenti (uomini e donne) eletti da milioni di cittadini. Nei mesi di dicembre e di gennaio ci siamo posti l’obiettivo di costituire in ogni parte del Paese 8.000 circoli.

Sarà una grande festa della democrazia italiana. Richiameremo gli elettori del 14 ottobre e consegneremo, a chi raccoglierà il nostro appello, l’attestato di fondatore del nuovo partito. Non è affatto male che ci sia una solennità in questa cerimonia di radicamento del Pd. Perché sarà un momento alto (e per tanti emozionante) nel quale, forse per la prima volta, uomini e donne che vengono da storie diverse, o che per la prima volta vogliono iniziare una loro storia, si vedranno in faccia, cominceranno a discutere, a mischiarsi, a cercare il nuovo linguaggio unitario della riscossa repubblicana. In occasione della nascita dei circoli, i cittadini, secondo le regole che ciascun coordinamento regionale avrà deciso, potranno votare l’ampliamento dei coordinamenti federali ed eventualmente la costituzione di quelli comunali.

Questa nuova legittimazione nei prossimi mesi permetterà di passare dagli attuali coordinatori transitori, a dei segretari eletti da platee più certe, rappresentative e ampie. Inoltre sarebbe decisivo, così come si farà a livello nazionale, dare vita in tutta Italia ai primi forum sulle tematiche che appaiono più urgenti e sentite. I forum, secondo me, devono essere strutture dotate di autonomia e, dove si può, di sedi. Devono essere soggetti riconoscibili pubblicamente, aperti anche ai non aderenti, presieduti da personalità di indiscusso valore. Non hanno il compito di rappresentare la linea del Partito giorno per giorno sulle varie questioni. Ad essi va dato lo spazio della ricerca di pensieri, proposte, scenari nuovi, futuri e lunghi. E tuttavia possono essere il luogo privilegiato per istruire le discussioni e i dilemmi che noi, su questioni controverse, vogliamo portare alla decisione di tutti gli aderenti e di tutti gli elettori-cittadini. I forum, insomma, dovranno cavalcare il difficile confine tra partito e società. Tra il dentro e il fuori. In un interscambio continuo, che non può che arricchire il Pd e tenerlo continuamente sulla corda delle tensioni più profonde che scuotono il Paese.

Naturalmente tutto quello che stiamo facendo è provvisorio. Siamo nella fase costituente. Solo lo statuto, che si sta elaborando e che mi auguro possa raccogliere anche gli stimoli positivi di questa fase transitoria, ci potrà dire come vivremo a regime e quali diritti avranno i cittadini delle primarie e gli aderenti al Pd. Sarà quello il tempo nel quale sapremo le forme, i modi e i tempi delle nostre assisi democratiche e nel quale potremo andare, ovviamente, ad un primo congresso del Partito che aprirà davvero una seconda fase della nostra nuova storia comune.

Pubblicato il: 03.12.07
Modificato il: 03.12.07 alle ore 13.10   
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« Risposta #23 inserito:: Dicembre 04, 2007, 11:30:40 pm »

 Padova, 4 dic - Settimana importante per il Partito Democratico del Veneto.

Ieri sera si si sono insediate le commissioni Statuto e Manifesto dei Valori, alla presenza del segretario Paolo Giaretta,

La duplice cerimonia si è tenuta nella sede del Pd regionale a Padova (piazza De Gasperi, ex sede Margherita).

Compito delle due commissioni sarà formulare contributi di idee a integrazione del lavoro delle commissioni nazionali impegnate rispettivamente a formulare la carta costituente del nuovo partito e a definire l’universo valoriale di riferimento dei militanti del Pd. Due documenti fondamentali per la vita dell’organizzazione.

Nei prossimi giorni, il sen. Giaretta ufficializzerà i nomi dei componenti della direzione politica del Pd veneto, che sarà composta da 25 persone, e insedierà i gruppi di lavoro e i forum tematici.

I gruppi di lavoro sono tre: “Scuola regionale di formazione politica”, “Comunicazione” e “Veneto che sarà”; hanno carattere temporaneo e cesseranno quando avranno elaborato le proposte da presentare al partito (indicativamente in primavera). I forum tematici hanno invece carattere permanente e il loro compito sarà elaborare le politiche territoriali del nuovo partito, anche a supporto degli amministratori locali.

Due, quelli nati per iniziativa del segretario: “Nuove generazioni” e “Montagna”. Altrettanti quelli sorti finora per iniziativa del territorio: “Sicurezza” e “Fisco e spesa pubblica”. Venerdì scorso, il segretario Giaretta ha incontrato i nuovi segretari provinciali del Pd, eletti dalle assemblee dei delegati sabato 24. “La squadra dei sette è uno spaccato autentico della società veneta - è stato il commento del segretario - perché vi sono rappresentate tutte le categorie produttive: l’imprenditoria privata e del terzo settore, le professioni, il pubblico impiego, il sindacato.

È una squadra giovane, motivata, che saprà far crescere il Pd nei rispettivi territori”. Il primo impegno organizzativo che spetta ai nuovi segretari è l’organizzazione delle consultazioni nei Comuni per l’elezione dei segretari comunali, prevista per gennaio/febbraio.


In collaborazione con 9colonne.it

da HP di partitodemocratico.it
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« Risposta #24 inserito:: Dicembre 06, 2007, 11:09:29 pm »

Il Pd sbarca in Europa. Ma non sa ancora dove sedersi


Rinnovamento. Veltroni sbarca in Europa per parlare di Pd. «Le risposte del Novecento non sono più sufficienti ad affrontare le questioni attuali e il centrosinistra in Europa deve innovarsi», spiega al presidente del Partito Socialista Europeo Poul Nyrup Rasmussen.

Il centrosinistra deve riflettere perché «negli ultimi anni i governi di centrosinistra in Europa si sono dimezzati». Secondo Veltroni devono essere tre i punti cardine del rinnovamento della sinistra: il rapporto tra immigrazione e sicurezza, l'ambiente e lo sviluppo sostenibile e la pace. Temi che vanno affrontati favorendo «l'incontro di culture diverse», facendo «convivere identità e dialogo».

Rasmussen apprezza le parole di Veltroni e spiega che «dalla mia esperienza personale so che dividere partiti in gruppi differenti crea sempre debolezza e noi non siamo qui per fare questo». Certo, per rinnovare servirà tempo: «Sappiamo – afferma il leader del Pse – che non stiamo parlando di oggi, domani o Natale, ma la prospettiva è il giugno 2009». Al centrosinistra, Rasmussen augura non solo unità, ma soprattutto nuovi contenuti, e in questo, dichiara, il Pd può avere «un ruolo buono e importante».

Insomma, unità, rinnovamento. Ma il nodo, si sa, è un altro. È quello che riguarda la collocazione politica del Pd all'interno del Parlamento europeo. Da un lato i liberal democratici che piacciono a Rutelli e ai margheritini. Dall’altro, il Pse che garantirebbe agli ex-ds l’ancoraggio al socialismo. Veltroni per ora nicchia. Nessuna delle famiglie tradizionali della politica europea, dice, «ha tutte le risposte a tutte le domande, perché queste sono nuove» e auspica perciò delle «contaminazioni». Poi si lascia andare a un siparietto con il capogruppo dei liberaldemocratici Graham Watson e alla domanda sulla collocazione del Pd risponde con un pronostico calcistico: «1, X, 2…». Fino alle Europee del 2009 gli eurodeputati che fanno riferimento ai due gruppi rimarranno nella loro collocazione, poi, ancora non si sa chi farà tredici.

Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 16.44   
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« Risposta #25 inserito:: Dicembre 06, 2007, 11:11:42 pm »

6/12/2007 - NELLE URNE DELL'UNIONE
 
L'euroschedina del PD

Dilemma comunitario per la nuova aggregazione di centrosinistra.

Dove collocarsi a Strasburgo? Diciotto mesi per decidere
 
 
Proviamo a parlare del Partito democratico in valore assoluto, usandolo come modello e senza tenere conto della sua colorazione politica. Le considerazioni che ne derivano per gli asseti europei sono interessanti.

Il PD nasce dal desiderio del centro sinistra di coagularsi intorno a un formula che superi le tante e dolorose divisioni e frammentazioni italiane che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, vedi scontro Prodi-Bertinotti che si contrappone a quello fra Berlusconi e Casini.. Si tratta insomma di andare oltre le differenze fra schieramenti che sono più agitati da quello che li divide piuttosto che animate da ciò che li unisce. All'interno del PD sono confluite le forze moderate di sinistra, con quelle più progressiste e votate ad un impegni sociale del centro, indipendentemente dalla cultura laica o cattolica che li caratterizza.

La potenzialità della formula è dimostrata dai movimenti di aggregazioni analoghi avviati nel centrodestra (speculare in questo caso) e nella sinistra-sinistra (in versione radicale).

Ieri a Bruxelles il numero uno del PD, Walter Veltroni, ha spiegato con la consueta pazienza che la sua intenzione è di "battere strade nuove nel rispetto delle identità", di trovare un punto di incontro fra culture diverse, di coniugare identità e dialogo. Questo, ha affermato, perché il nuovo secolo ha posto sfide inedite che richiedono risposte nuove che nessuna compagine o alleanza politica è in grado di formulare da solo. Non per il momento.

Posto che il PD, in Italia, si collocherà a sinistra del Partito del Popolo (o come si chiamerà se si farà ) di Berlusconi e a destra della Cosa Rossa di Bertinotti & Friends, il problema compatibile con le chiacchiere di Straneuropa è dove si piazzerà a livello continentale.

Attualmente il governo Prodi è sostenuto da eurodeputati che fanno parte di sei gruppi differenti. Il grosso siede però nei banchi dei Socialisti (PSE) e dei liberaldemocratici (ALDE). Cosa farà il PD?

Veltroni c’ha scherzato su. "Uno, due ics" ha detto, come per sottolineare che dirlo oggi è come giocare la schedina e, del resto, a 18 mesi dall’eurovoto, non si può neanche pretendere che nel gioco tattico dei politici ci sia già una risposta. Tuttavia gli scenari possibili sono chiari:

1.Il PD entra nel gruppo PSE come vuole il suo presidente Schulz, il "kapò di Silvio" per intenderci. In questo modo si crea uno schieramento molto forte, ma per nulla innovativo. Controindicazione: la componente liberale e cattolica non sarebbe per nulla contenta.

2. Il PD conserva le divisioni. Una parte degli eletti va nel PSE e un’altra nell’ALDE. Non cambia niente, ma sono tutti contenti. Quasi tutti. Probabilmente non Veltroni.

X. Il PD diventa il modello di aggregazione dell’Europa. Socialisti, liberali e democratici si mettono insieme. Cambiano nome al gruppo. Dialogano nonostante le differenti identità trainati delle esigenze comuni di "trovare le nuove risposte". Creano una forza progressista e moderata molto pesante, al punto da poter influenzare in modo significativo la vita futura degli europei.

Come andrà a finire lo sapremo fra un anno e mezzo, alla vigilia dell’eurovoto del 2009. Oggi, però, possiamo giocare la schedina. La mia è che l’esito finale sarà 2, anche se X sarebbe il risultato più efficace e costruttivo. Ma l’impressione è che la politica europea, per il momento, non si sia ancora convinta a rinunciare ai vecchi schemi.

I socialisti vogliono tenere in piedi il loro carrozzone, così chiedono a Veltroni di entrare nella loro casa. I liberlademocratici sono pronti anche ad accettare la divisione del Pd (mantenendo lo status quo) pur di continuare nel loro progetto e no sparire. per quanto strano possa sembrare, per una volta un'idea italiana - indipendentemente dalla sua colorazione - è più avanti dell'Europa.

Che dite? 1, 2, X?


 
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« Risposta #26 inserito:: Dicembre 06, 2007, 11:12:49 pm »

PD seconda parte - UN AMERICANO A BRUXELLES (la cronaca della giornata di ieri)


La domanda che rimbalza di bocca in bocca è «dove collocare il Partito democratico in Europa?». La risposta dell'Americano a Bruxelles è una battuta. «Uno, due, ics» come sulla schedina, scherza Walter Veltroni, per dire che il pronostico è complesso e certamente prematuro, visto che il luogo della grande alleanza di centrosinistra nella geografia politica comunitaria sarà deciso solo in concomitanza del voto per Strasburgo del giugno 2009. I corteggiatori sono tanti, il match è appena cominciato. Possibile una fusione coi socialisti, una divisione fra quest'ultimi e i liberaldemocratici e, ancora, la creazione di una cosa nuova e mai vista che metta tutto insieme. Uno, due ics, appunto. Giochino avvincente sul quale, però, oggi si accettano più facilmente scommesse che previsioni.

 Veltroni sfila tranquillo nei corridoi dei palazzi bruxellese scortato dal suo "ministro degli esteri" Lapo Pistelli. Comincia la parata di prima mattina col presidente degli Eurosocialisti, Poul Nyrup Rasmussen, poi affronta l'intera delegazione del Pse, prima di passare ai liberaldemocratici di Graham Watson e finire con la delegazione di casa Pd. A tutti ricorda il processo politico che ha generato l'aggregazione di centrosinistra e, sopratutto, le sue radici, poste in un paese che «ha fatto della vocazione europea una ragione di identità e speranza». E' vero che «tagliamo le grandi famiglie politiche europee» e «capisco che il Pd possa essere difficile da decifrare». Eppure, insiste, «viviamo in un mondo che pone domande inedite: per questo dobbiamo aprire le nostre valige e cercare risposte nuove per problemi nuovi». Nella consapevolezza che le soluzioni «si trovano spesso al crocevia fra le identità».

 L'idea ricorrente del segretario del Pd è che bisogna delineare un campo di gioco diverso dal passato in cui «far convergere le forze socialiste e democratiche». Europee e non solo. L'Americano a Bruxelles traccia esplicitamente un terreno di dialogo mondiale sui cui vede confrontarsi anche i democratici statunitensi, quelli indiani e giapponesi. Un'aggregazione senza confini che sia «punto di incontro fra culture diverse» perchè i problemi sono gli stessi per tutti. Il Partito democratico «non è un modello ma un'esperienza», sottolinea. Ma questo non risposte alla domanda iniziale. Socialisti, Alde o tutti e due?

 La linea del Pse è palese. Il presidente Martin Schulz, dice secco «sono disposto ad aprire il gruppo, ho fatto tutto quello che potevo, sta a voi decidere dove volete andare». «Credo che sarà possibile continuare a camminare insieme - apre Watson -; da questo punto di vista, l'Alde è stato un apripista in Europa come incontro di soggetti di diversa estrazione che condividevano la stessa visione politica per il futuro». Veltroni non si sbilancia più di tanto, tuttavia sogna qualcosa di più ambizioso. «Noi - dice - spingeremo per la costruzione di un campo comune dei socialisti e dei democratici».

 La sua impressione è che con Schulz, quello che goffamente aveva invitato il Pd a «sottoscrivere il programma», si possa dialogare. «Mi pare che nel gruppo socialista stia maturando la consapevolezza che c'è  bisogno di apertura verso nuove forze». Ci vorrà tempo. Intanto, sino al giugno 2009, gli uomini del Pd resteranno dove sono, chi nel Pse, chi nell'Alde, «per rispettare il loro patto con gli elettori». Veltroni vuole unire e avverte che nessuna delle famiglie tradizionali della politica europea «ha tutte le risposte a tutte le domande». A sentire i commenti nei corridoi si capisce l'interesse per il Pd. Progetto nuovo, se funziona. Certamente diverso, almeno sulla carta, da ogni altri schemi dei tanti Schulz e Watson che vivono sull'asse Bruxelles-Strasburgo. La difficoltà di trovarsi è anzitutto un travaglio di sintonie.

Ps. Lo sapevate che nell'apparato dei socialisti europei sopravvivono zelanti e inespressivi funzionari di scuola ortodossa comunista in stile Frattocchie che, per di essere ligi all'ordine e al regolamento, si prendono la briga di allontanare i giornalisti connazionali che (effettivamente in barba ai divieti ma, ragazzi, questa è la vita) cercano di seguire le riunioni politiche per capire cosa accade e raccontarlo ai lettori? I Vopos sono ancora fra noi.

da lastampa.it
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« Risposta #27 inserito:: Dicembre 10, 2007, 07:24:53 pm »

Zanda: «Binetti ha sbagliato Deve restare, ma il Pd è laico»

Maria Zegarelli


Per chi la politica l’ha sempre conosciuta ed ha collaborato anche con un democristiano del calibro di Francesco Cossiga, comportamenti come quelli della Binetti sono difficili da condividere. Luigi Zanda, senatore del Pd, dice «rispetto la mia collega ma non condivido il suo voto contrario alla fiducia al governo». Ma la Binetti deve andarsene dal Pd? «Detesto la sola idea che se ne vada», risponde Zanda. «Adesso dobbiamo pensare al futuro del partito, dobbiamo avere il coraggio, davanti a leggi che riguardano grandi temi, di pensare al bene del Paese». E una norma contro le discriminazioni, compresa l’omofobia, dice, è il bene del Paese.

Senatore, non c’è il rischio che la Sinistra Arcobaleno sia più chiara e netta del Pd sui diritti civili e la laicità?
«La nascita di questa federazione a sinistra del Pd è uno degli effetti positivi del Pd, perché è un ulteriore contributo alla chiusura di un’epoca di frammentazione e separazioni. Il problema di come la politica deve affrontare e risolvere le grandi questioni etiche, morali, civili, che ci presenta il terzo Millennio si risolve dialogando e confrontandosi con molta franchezza, ma decidendo, alla fine, con coraggio. Noi del Pd, dobbiamo sapere che siamo un partito a vocazione maggioritaria che lavora per il bene del Paese. Ogni volta che votiamo è al bene del Paese che dobbiamo pensare e sono convinto che l’Italia abbia bisogno anche di una norma contro ogni forma di discriminazione, per questo l’ho votata a prescindere dagli errori tecnici della sua formulazione».

Mussi da sinistra ha detto: “vedo il Pd e sono contento di essere qui. Mi chiedo come è possibile che in uno stesso partito ci siano Paola Binetti e Paola Concia”. Le giro la domanda. Come è possibile?
«Mi sembra che questa domanda vada rivolta a Concia e Binetti. Ho letto le loro dichiarazioni delle ultime ore: mi sembra che entrambe vogliano stare nel Pd e che continuino ostinatamente e positivamente a voler discutere».

Zanda, ma ammetterà che la questione c’è: una senatrice del Pd non ha votato la fiducia al governo su una norma contro l’omofobia...
«Credo che queste questioni vadano giudicate molto più nel merito di quanto si sia fatto finora. Se Paola Binetti voleva manifestare un suo dissenso dal provvedimento ma voleva confermare la sua presenza nel partito e nel governo, come ha detto subito dopo, sarebbe stato meglio se avesse votato contro il provvedimento e a favore della fiducia. La questione è che secondo Binetti questa norma potrebbe costituire un primo passo verso l’approvazione dei matrimoni tra omosessuali e verso l’adozione da parte di omosessuali. Credo che la teoria del piano inclinato sia un errore parlamentare. Ciascuna norma deve essere letta per quel che è e per quel che dice, non si possono fare processi alle intenzioni che in questo caso, tra l’altro, sono sbagliate. Se non si commettessero errori di questo genere molte cose sarebbero più semplici. Paola Concia pone una domanda giusta: “la Binetti può accettare che qualcuno mi insulti in quanto donna omosessuale?”. Sono certo che la stessa Binetti non lo voglia».

Ma tutto questo come si concilia con un partito che si professa nuovo, laico e che individua l’autonomia della politica come valore fondante?
«La laicità non chiede a nessuno di rinunciare ai propri valori: chiede a tutti di avere per i valori degli altri lo stesso rispetto che si richiede per i propri. Penso che questo debba essere il segno distintivo del partito democratico».

Il ministro Fioroni ha detto che ai cattolici del Pd non basta una stanza. Concorda?
«Il Pd è appena nato e mi sembra che le dichiarazioni di Walter Veltroni facciano capire che questo partito è nato per unire e non per dividere. Fioroni forse voleva intendere che bisogna tenere conto dei valori cattolici, ma questo è fuori questione. Neanche io starei in un partito che non tenesse conto dei valori cattolici, ma non starei neanche in un partito che non tenesse conto dei diritti degli omosessuali, delle minoranze. Credo, d’altra parte, che sia un dovere di ognuno, ma prima di tutto dei cattolici, quello di combattere le discriminazioni, anche per l’orientamento sessuale, oltre che per le minoranze. È la Chiesa la prima a condannare le discriminazioni».

Si parla di una telefonata di monsignor Betori alla Binetti prima del voto in Senato. Se fosse vero, non la riterrebbe una ingerenza?
«La Binetti ha detto di non avere ricevuto alcuna telefonata ed io le credo, ma se così non fosse non sarebbe una buona cosa, perché al momento della decisione i parlamentari non debbono subire condizionamenti».

Pubblicato il: 10.12.07
Modificato il: 10.12.07 alle ore 8.14   
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« Risposta #28 inserito:: Dicembre 11, 2007, 11:28:53 pm »

Il segretario del Pd: «A Gennaio tutte le condizioni per rilancio del governo»

Veltroni: «Io porto la croce, altri urlano»

Riforma elettorale: «Guardo all'interesse del Paese, altro che inciucio o legge truffa. Nessuno può porre veti»

 
ROMA - Walter Veltroni si toglie alcuni sassolini dalle scarpe, parlando, senza citarli, di alleati e avversari sulla riforma elettorale. «C'è chi urla e c'è chi, come me, porta la croce», ha detto il segretario del Partito democratico inaugurando la nuova sede del Pd a Roma. «Faccio finta di non vedere il teatrino di questi giorni, anche con parole sguaiate come inciucio o legge-truffa. C'è chi urla e chi porta la croce: noi ci ritroviamo nella seconda parte di questa espressione, perché guardiamo all'interesse del Paese». Il sindaco di Roma ne ha per tutti, non solo per gli alleati, e critica le posizioni Fini, Casini ma anche gli attacchi di Mastella. «A nessuno è consentito dire "o così o niente", perché così non si discute e il rischio è che alla fine non ci sia niente. La democrazia italiana sta male e noi vogliamo cogliere veramente questa opportunità per fare uscire gli italiani dal tunnel della crisi democratica con le tre riforme che abbiamo proposto». Veltroni ritiene che la bozza Bianco (la proposta di riforma elettorale depositata alla Camera che prevede in sostanza un proporzionale alla tedesca con alcune modifiche) sia «un buon punto di partenza e va nella direzione giusta».

 GOVERNO - L'ipotesi di un vertice all'interno della maggioranza «che è responsabilità del presidente Prodi, penso che debba avvenire sul tema complessivo dell'azione di governo perché se si sta al governo si sta coerentemente e lo si sostiene», ha aggiunto Veltroni accennando alla verifica chiesta da Mastella. «Non può esserci un Paese in cui i ministri si alzano in piedi e dicono "domani è un altro giorno". A gennaio ci sono tutte le condizioni per avere un rilancio dell'azione di governo. Se si vuole fare sul serio, ci si siede al tavolo e si cerca una soluzione».


11 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #29 inserito:: Dicembre 11, 2007, 11:34:33 pm »

Pd, un partito da costruire tutti insieme

Maurizio Migliavacca


Il 14 ottobre ha rappresentato un grande evento di partecipazione democratica senza precedenti. Ad esso hanno contribuito decine di migliaia di iscritti ai Ds e alla Margherita e semplici cittadini con un notevole impegno organizzativo e finanziario. Ora siamo entrati nella fase di costruzione del Partito democratico.

Anche per questo è importante accelerare il passo per lasciarsi presto alle spalle incertezze e precarietà organizzativa per andare avanti verso il partito nuovo. Un partito aperto agli elettori con una base associativa di aderenti per i quali siano definiti diritti e doveri significativi.

La recente decisione assunta dalla conferenza dei segretari regionali per la promozione e la costituzione di ottomila circoli del Partito democratico è senz’altro un fatto importante. Un punto fermo è dato dall'elezione diretta del segretario nazionale e dei segretari regionali e delle rispettive assemblee.

Tuttavia, non sarà certo cosa facile articolare lo Statuto se contro i fantasmi, troppo spesso ambiguamente evocati da diversi protagonisti, delle tessere (i signori), dei voti (l’elettoralismo), del pluralismo (il correntismo), non è resa chiara l’ispirazione politica e culturale e le regole conseguenti che dovranno essere approvate per animare la vita del partito nuovo.

Mi riferisco in particolare, e non sembri così ovvio, all’assunzione piena dei caratteri democratici e liberali delle regole e, in questo contesto, alla ricerca della forma partito che può essere più adeguata ai tratti peculiari della storia d’Italia e alle aspettative di una società individualizzata: il Pd come partito della riforma della democrazia italiana (democrazia governante) che si ispira all’idea di un riformismo partecipato. Ricordo, come promemoria, che la differenza di fondo tra la destra e la sinistra democratica e riformista è quella, per quest'ultima, di considerare la cittadinanza come forma permanente di coinvolgimento e partecipazione politica: i cittadini non sono solo spettatori degli avvenimenti che condizionano la vita presente e che ipotecano il futuro.

Mi sembra, a questo punto, rilevante trovare forme più stabili di collegamento con la base elettorale delle primarie: così come è avvenuto il 14 ottobre, agli elettori che si riconoscono in un albo pubblico va attribuito il diritto di decidere delle grandi scelte del Pd.

Altrettanto significativo sarà dare agli aderenti, in nuovi contenitori organizzativi, il ruolo che gli spetta di promotori dell'iniziativa politica e il diritto di formare le proposte da sottoporre all'approvazione o alla scelta degli elettori attivi. Gli aderenti, quindi, come soggetti attivi della partecipazione, che strutturano con un confronto democratico, anche di tipo congressuale, le proposte, e gli elettori come soggetti delle più importanti decisioni: la leadership e le grandi opzioni politiche e programmatiche.

Da questo punto di vista l’elezione dei segretari regionali con lo stesso metodo di quella del segretario nazionale è essenziale per dare al partito nuovo un coerente carattere federale. Una ispirazione questa che corrisponde alle diversità del nostro territorio, alle sue molteplici vocazioni e che è resa efficacemente praticabile se orientata dalla sussidiarietà, se in altri termini la soluzione e la gestione dei problemi si affrontano il più vicino possibile là dove questi si pongono.

Diviene allora ineludibile l’autonomia politica, organizzativa e finanziaria della dimensione regionale che dovrà esprimersi nella concertazione delle alleanze politiche, nella determinazione di quote di partecipazione agli organismi nazionali, nella organizzazione territoriale del partito, fatti salvi i diritti e i doveri degli elettori e degli aderenti e l'obbligatorietà di costituire unità territoriali di base in ogni Comune.

Il profilo, insomma, di un partito nazionale su base federale, di un partito di governo che decide di scegliere i candidati alle cariche monocratiche e i parlamentari con il metodo delle primarie e che prevede nei propri organi dirigenti una rappresentanza degli eletti da loro stessi indicata.

Cosa certa è che bisogna approvare il Manifesto, lo Statuto e il Codice etico nei tempi indicati a Milano per portare a compimento la fase costituente e mettere a regime la vita del partito nuovo, sulla base delle regole che ci saremo date.

Formalizzare le regole della vita di un partito è una cosa seria. Richiede dialogo e partecipazione. Anche per questo, insieme ai lavori della Commissione Statuto, decisivi per giungere a soluzioni unitarie, è importante promuovere una ricerca culturale e politica più ampia, una discussione larga e impegnativa nel Paese. Per uno Statuto che corrisponda il più possibile alle decisioni che abbiano assunto nel compiere la scelta del Partito democratico.

Pubblicato il: 11.12.07
Modificato il: 11.12.07 alle ore 12.52   
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