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Autore Discussione: Notizie dal PAESE dei berluschini...  (Letto 49972 volte)
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« inserito:: Giugno 27, 2007, 10:49:07 am »

Scandaletti e fesserie

Il Fotografo e l’Ereditiera 

 
È peggio l’Ereditiera o il Povero Bullo? E’ più snervante, col caldo che fa, sciropparsi il probabile fervorino da suonata redenta-ma-non-troppo di Paris Hilton sulla Cnn, oppure il flusso di coscienza (vabbè, quel che è) di Fabrizio Corona a Matrix, le sue storiacce, le sue rivelazioni/vanterie/avvertimenti a calciatori e magistrati, potenti e veline? Ovvero: sono meno sopportabili le fesserie americane o i nostri scandaletti barbarici? Dipende dai punti di vista. Certo, seguire i due neoscarcerati non è più un divertimento trash; è un lavoro, anche deprimente. Perché quando si viene aggiornati sulla vita scema ed estrema di Hilton si pensa, appunto, «che scema».

Ma poi ci si chiede se il bombardamento di notizie sulla ragazzetta troppo bionda, troppo ricca e troppo magra non stia rincretinendo anche noi; se ci stiamo abituando a trovare interessanti (sono informazioni poco faticose da seguire, via) attività come guidare ubriache una Bentley, farsi mettere sul Web le riprese di una notte di sesso (e c’è sesso migliore, sul Web, ovunque), rilasciare interviste fintissime. C’è pure il rischio di cominciare a trovare quella di Hilton una gran vita, galera a parte. Nel caso di Corona poi, che molti lo trovino ganzissimo è sicuro. Ultimamente bastava passare sotto la sua casa di Milano la sera per vedere bande di ragazzi in attesa urlante del loro nuovo idolo, che ogni tanto si affacciava per lanciargli canotte, mutande e biro (biro?). Magari, galera a parte, è meglio una vita da Corona che da precario a ottocento euro al mese (però molti cercatori di canotte votive scendevano da macchine da cinquantamila euro, o giù di lì).

Corona è un super tamarro aitante che ostenta la sua tamarraggine aggressiva come un’arma fine-di-mondo. Sostiene di aver in mano tutti, con i suoi giri e le sue foto. Mostra come non tutti, ma molti, noti e/o importanti, hanno a che fare con i suoi giri. Piace — ad alcuni — più di Hilton perché non è nato ricco ma ha fatto soldi velocissimi, e si vanta di stare per farne ancora di più. La sua saga è più violenta e dolente di quella di Paris, e di certo da noi guarderanno molto di più la sua intervista (ma se sta per guadagnare tanto, non è meglio mandargli direttamente le Fiamme Gialle? Il problema in Italia sono le tasse non pagate, non le pessime abitudini di ricchi, potenti e sgallettate che a sentire cosa fanno sembrano più scemi di Paris, alle volte).

Maria Laura Rodotà
27 giugno 2007
 da corriere.it
« Ultima modifica: Marzo 18, 2009, 10:29:00 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 29, 2007, 05:31:36 pm »

Dossier del Sismi, il Csm: Pollari e Pompa volevano intimidire i giudici


Intimidire e rendere meno credibili alcuni magistrati. Era questo, secondo il Csm, lo scopo dei dossier sulle toghe trovati nell'archivio segreto di via Nazionale del Sismi. Vicenda per la quale sono indagati a Roma per peculato e violazione di corrispondenza elettronica l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e l'ex funzionario del servizio Pio Pompa.

La valutazione è contenuta in una proposta di risoluzione approvata all'unanimità dalla Prima Commissione di Palazzo dei marescialli, che sottolinea come questa attività di "dossieraggio" e schedatura era «estranea» alle attribuzioni del Sismi come disciplinate dalla legge 801 del 1977. Il testo è ora sul tavolo del capo dello Stato che ne deve decidere l'inserimento all'ordine del giorno del plenum.

Nel documento che - se riceverà l'ok del capo dello Stato sarà discusso quasi certamente della Prima sarà discusso mercoledì prossimo dal plenum - il Csm sottolinea che al di là dei giudici che si volevano intimidire o ai quali si voleva far perdere credibilità, la vicenda riguarda tutta la magistratura. E a riprova si cita uno dei documenti trovati nell'archivio di via Nazionale e dedicato alle elezioni del Comitato direttivo centrale dell'Anm del 2003, alla vigilia del loro svolgimento: «fonti bene informate» riferiscono che lo scontro istituzionale tra governo e magistratura determinerebbe «un processo di ricompattamento» tra tutte le correnti delle toghe e esprimono la preoccupazione che i nuovi vertici dell'Anm siano portatori di posizioni più radicali e antagoniste.

Un'ampia parte del documento del Csm - di cui è estensore Fabio Roia, togato di Unità per la Costituzione - è dedicata alla ricostruzione dei fatti. Ricostruzione a cui ha sicuramente contribuito l'audizione di qualche giorno fa davanti alla Prima Commissione del procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, e del sostituto procuratore, Pietro Saviotti, che conducono l' inchiesta sull'archivio di via Nazionale.

Pubblicato il: 28.06.07
Modificato il: 28.06.07 alle ore 18.51   
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 04, 2007, 10:37:11 am »

L’amicizia con Naike Rivelli e le notti al Billionaire: un anno fa era tra i «furbetti» delle scalate

Veline e karaoke: la dolce estate di Fiorani

Ospite fisso di Lele Mora, l’ex banchiere scatenato in Costa Smeralda 

 
PORTO CERVO — Pantaloni gialli, polo rossa, mocassini blu, un uomo distribuisce mezzi sorrisi al bar Glamour, cuore della piazzetta all’ora dell’aperitivo: è Gianpiero Fiorani, un tempo non remoto fra i banchieri più potenti d’Italia, disinvoltamente transitato dalle stanze discrete e ovattate dell’alta finanza — previo intermezzo a San Vittore — ai palcoscenici by night in Costa Smeralda, infine approdato ai separé del Billionaire e al sofà di Lele Mora. Ormai a suo agio fra giovanottoni di belle speranze, probabili illusioni e aspiranti veline.

Poco importa se la gente che conta gira al largo, se nessuno più lo invita alle cene importanti; i pour parler dell’ estate 2005 a l l o Yachting Club con Gnutti, Consorte, Ricucci e gli altri «furbetti del quartierino» sono altre storie, ora appare accanto a Costantino Vitagliano, Marco Balestri e Francesco Guzzi detto Fragolino: la nuova mission di Fiorani è altrove, diventare la star di un mondo che la bufera di Vallettopoli sembrava aver appena scalfito e che nelle prime notti di mezz’estate è invece riapparso come se niente fosse accaduto. Ed ecco Fiorani scatenato offrirsi in pose disinvolte ai paparazzi, conquistare non più banchemapagine e pagine dei rotocalchi rosa. I settimanali Chi e Oggi lo propongono ovunque: al Billionaire, barba e abbigliamento casual, in un duetto canoro con Ramona Badescu; e poi, sempre nel locale di Flavio Briatore, a cena con Naike Rivelli (figlia di Ornella Muti) e altri amici del clan di Lele Mora, presente anche Algen Nikolla, fidanzato di Naike.

Il quale pare non aver gradito—annotano le cronache di Chi — e dopo che l’ex banchiere e l’attrice si erano appartati nel privé ha guadagnato l’uscita rientrando a casa con il primo volo. (Si è perduto i giochini del giorno dopo: a villa Mora abbracci, carezze rubate, sguardi complici). Della memorabile notte rimane qualche immagine: Fiorani con Naike sulle ginocchia. Silvio Berlusconi e le cinque «stagiste» sorpresi in primavera a villa Certosa hanno fatto scuola.

E la moglie? La signora Gloria Fiorani Sangalli non si è vista né fatta sentire. Già dopo l’arresto (dicembre 2005) aveva misurato le parole: «Non riesco a perdonarlo. La sua colpa? Essere finanziariamente troppo svelto». I gossip della Costa riferiscono di un Fiorani dichiaratamente single; a un dopocena nella villa di Lele Mora, si sussurrava: «Lui dice che lei lo ha lasciato». Le notti allegre hanno comunque ritemprato Fiorani: non è più cupo, silenzioso né depresso. Associazione a delinquere, aggiotaggio, truffa? «Ne uscirà» è la parola d’ordine del clan Mora: ognuno pensa ai suoi guai. Nei momenti di relax sta a Villa Alberta, due piani, immersa fra ginepri, cisto e lentischio, sulla collina che degrada verso il campo di golf del Pevero e si affaccia sulla baia di Cala di Volpe, sullo sfondo l’isola di Tavolara.

La villa—valore più di 5 milioni: pagati parte in nero e parte con un mutuo concesso dalla Popolare di Lodi quando Fiorani era già in carcere — è fra le proprietà acquistate con fondi del conto cifrato Gattuccio e di società (Giorni Sereni, Immobiliare finanziaria lodigiana) finite nel mirino dei magistrati, controllate da prestanome e poi amministrate anche dalla signora Gloria: ma Fiorani l’ha blindata, insieme con appartamenti, box e ville in campagna a Lodi, in un fondo superprotetto e qualche mese fa ha ceduto tutto al più grande dei tre figli, Matteo, che aveva appena compiuto 18 anni. Ma a Villa Alberta spesso le luci sono spente, Gianpiero Fiorani ci sta pochissimo.

È quasi sempre ospite di Lele Mora, nella megavilla di Cala Granu: «Adora cantare, è bravo, ama Gino Paoli, la Pausini e Renato Zero — così Mora parla dell’amico —, lo conosco da 10 anni, che male c’è se si fa un po’ di sana baldoria?». Giovedì scorso inconsueto show sui sofà bianchissimi dell’anfitrione Lele. Tutti davanti a un megaschermo tv, in diretta Fabrizio Corona a Matrix parlava di Vallettopoli. Alla fine un brindisi (proprio Fiorani ha stappato una bottiglia di Porto) e un applauso: «Bravo Fabrizio».

Alberto Pinna
04 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 05, 2007, 12:17:04 pm »

CRONACA

Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull'attività di spionaggio sui giudici

"Il Sismi ha svolto un'attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità"

Toghe spiate, Csm contro il Sismi

"Fu il servizio e non i settori deviati"

Monitorati quasi tutti i giudici di Milano e anche qualche straniero

Pollari si difende: "Mai svolte attività non consentite"


ROMA - E' stato il Sismi e non i "settori deviati" del servizio a svolgere l'attività di spionaggio nei confronti di magistrati che è venuta alla luce con la scoperta dell'archivio di via Nazionale a Roma. Ad affermarlo è una risoluzione approvata all'unanimità dal Plenum del Csm. Secondo il Consiglio superiore della magistratura il Sismi ha svolto un'attività "estranea" ai suoi compiti con lo scopo "intimidire" e far "perdere credibilità " ai magistrati.

La risoluzione del Csm arriva dopo le dichiarazioni dell'ex funzionario Pio Pompa che aveva voluto sminuire l'importanza dell'archivio. "La quasi totalità del materiale sequestrato nei miei pc personali - aveva scritto nella dichiarazione spontanea consegnata ieri pomeriggio al pm Pietro Saviotti - proviene da fonti aperte (internet, organi di informazioni, etc.). Le informazioni contenute nei files attinenti a magistrati sono tutte, ribadisco tutte, di fonte pubblica, giornalistica o informatica".

Per il Csm, l'opera di intelligence nei confronti delle toghe invece "si è concretizzata non solo nella raccolta e nella schedatura di materiali noti o comunque pubblici, ma anche in un capillare monitoraggio delle attività dei movimenti e della corrispondenza informatica di magistrati, mediante forme di osservazione diretta o a opera di terzi non individuati". Non solo. Il documento del Csm sottolinea: "Sono stati posti in essere dal Sismi specifici interventi tesi a ostacolare e contrastare l'attività professionale o politico culturale dei magistrati e delle loro associazioni".

In particolare, scrive al riguardo il relatore della risoluzione, Fabio Roia, l'attività di intelligence da parte del Sismi - "che si è protratta in modo capillare e continuativo, fino al settembre 2003 e in modo saltuario fino al maggio 2006" - "fu oggetto di ripetute informazioni al direttore del servizio e sembra quindi riferibile al Sismi in quanto tale e non a suoi settori deviati come conferma del resto nella memoria depositata alla procura di Milano il 7 luglio del 2006 il coordinatore di questa attività, Pio Pompa".

Infine, a preoccupare il Consiglio superiore della magistratura è anche il fatto che l'opera di intelligence nei confronti di magistrati "si è talora svolta con la partecipazione o l'ausilio di appartenenti all'ordine giudiziario".

Il rapporto del Csm. Da quanto emerge dalla risoluzione, quasi l'intera procura di Milano, 10 tra consiglieri in carica ed ex del Csm, due ex presidenti dell'Anm e 203 giudici di 12 Paesi europei (di cui 47 italiani) sono citati nell'archivio segreto di via Nazionale. I nomi di alcuni di loro (è il caso dei 203) compaiono in elenchi; mentre per altri ci sono schede che danno conto sopratutto dei rapporti intrattenuti con autorità politiche: è il caso di dei pm milanesi Armando Spataro e Stefano Dambruoso e di Domenico Gallo. Spiati anche magistrati di Torino, Roma e Palermo. Una scheda è dedicata a Emmanuel Barbe, magistrato francese di collegamento presso il ministero della Giustizia. Si parla tra l'altro dei suoi legami con Violante, Di Pietro, Caselli, Bruti Liberati e Ignazio Patrone, allora presidente di Medel e segretario di Magistratura democratica.

A quanto riferisce l'Ansa, ai magistrati delle sedi giudiziarie di Milano, Torino, Roma e Napoli si fa riferimento in appunti risalenti alla primavera-estate del 2001 riguardanti un "progetto di osservazione e intervento del Sismi su settori della magistratura definiti 'portatori di pensieri e strategie destabilizzanti e vicini ai partiti della passata maggioranza'". L'obiettivo era la "neutralizzazione di iniziative politico-giudiziarie , riferite direttamente a esponenti dell'attuale maggioranza di governo e di loro familiari (anche attraverso l'adozione di provvedimenti traumatici su singoli soggetti)".

La gran parte dei nomi dei pm milanesi (alcuni sono ancora in procura mentre altri c'erano all'epoca delle informative) compaiono in elenchi e schede di magistrati qualificati come "aree di sensibilità da sottoporre a osservazione e interventi di contrasto e dissuasione": ci sono Borrelli, Davigo, Boccassini, Greco, Taddei, Ichino Carnevali, D'Ambrosio e Colombo (i cui nomi compaiono anche sotto la voce "supporters e/o braccio armato"); e anche De Pasquale, Napoleoni e Bruti Liberati, che è uno degli ex presidenti dell'Anm (l'altro citato per strategia antigovernativa ma su cui c'è solo un articolo del "Giornale" è Elena Paciotti).

Nell'elenco delle toghe da sottoporre a osservazione ci sono anche i magistrati di Palermo Ingroia, Natoli, Principato e Sabella; quelli di Torino Caselli e Perduca; e di Roma Almerighi e Salvi. Ma ci sono pure Casson (allora pm a Venezia) e i due fratelli Mancuso ( uno in servizio a Napoli e l'altro a Bologna).

I consiglieri del Csm citati sono soprattutto delle passate consiliature ( dell'attuale sono solo due Cesqui e Pepino, mentre tra i "vecchi" c'è l'attuale capo dell'Organizzazione giudiziaria di via Arenula Claudio Castelli)e la gran parte di loro è oggetto di attenzione per la loro appartenenza alla corrente di Magistratura democratica e a all'associazione europea di magistrati Medel (a cui Md aderisce) e che viene definita "il deus ex machina del movimento internazionale dei magistrati militanti". Su Medel ci sono elenchi di tutte le organizzazioni e dei singoli magistrati che ne fanno parte: il più ricco del 2001 comprende 203 magistrati con relativi indirizzi di posta elettronica di 12 Paesi.

Ma c'è anche un monitoraggio capillare delle attività e dei contatti e dei documenti dell'organizzazione, che avviene- sottolinea la risoluzione del Csm- "anche attraverso l'analisi dettagliata dei messaggi di posta elettronica diffusi nella lista (di carattere interno) dell'associazione".

Pollari si difende. In serata una reazione del'ex direttore dei servizi, in esclusiva al Tg5: "Dal Sismi mai svolte attività non consentite. Si tratta di conclusioni ingiuste. Ho sempre mantenuto una linea di doveroso riserbo per rispetto della funzione che ho svolto e delle responsabilità che me ne derivano, anche oggi. Mi sono imposto in questo caso una deroga, non al fine di difendere me stesso, ma per il fatto -ha aggiunto- che le conclusioni cui è pervenuto oggi il Consiglio superiore della magistratura, secondo quanto divulgato dagli organi di informazione, investono ingiustamente l'istituzione Sismi".

"Il Sismi da me diretto - ha proseguito Pollari - in un periodo di guerre, si è occupato di evitare attentati in Italia o contro obiettivi italiani, di salvare vite umane".
"Non esiste - ha scandito - nè in via Nazionale, nè in altro luogo alcun archivio del Sismi che contenga dossier illeciti nei confronti di chiunque, nè esiste alcun documento da utilizzare a fini intimidatori nei confronti di chicchessia". I file in questione, ha aggiunto, "rinvenuti nei computer personali del dottor Pompa, che aveva funzioni di analista di fonti aperte, specie di analista internet, recano documentazione sua personale. Si tratta, peraltro, per quanto mi è dato di conoscere, di dati e notizie di fonti giornalistiche, attinti dai giornali, libri e siti internet, aperti e disponibili per chiunque legga o navighi nel web. Mai tali atti e documenti sono stati trasmessi al servizio o sono stati utilizzati in alcun modo dal Sismi".

Le reazioni. Titta Madia, avvocato dell'ex capo dei servizi Pollari e di Pompa, ha criticato l'iniziativa del Csm: "Il processo è appena iniziato, la presunzione di innocenza dovrebbe valere anche per i magistrati". A stretto giro di posta, gli ha risposto il vicepresidente Mancino: "Nessuna sentenza, ma non potevamo stare zitti".

Per il vicepresidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti Massimo Brutti (Ds) "ora ci vorrebbe un pronunciamento del Copaco". Il Copaco, spiega Brutti, "ha il compito di esercitare il massimo del controllo su questa nuova fase. Il governo, da parte sua, ha il dovere di fare pulizia". Secondo il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro i rilievi del Csm nei confronti del Sismi dimostrano che "la magistratura viene messa sotto scacco dai poteri forti".

Critico invece verso il Csm il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto: "La pronuncia sul Sismi è molto singolare e conferma l'organica deviazione di questa struttura che dovrebbe esprimere l'autogoverno dei giudici ma che da tempo travalica il suo ruolo costituzionale". Il senatore di An Alfredo Mantovano sottolinea la gravità del momento scelto dal Csm per rendere pubbliche le proprie contestazioni.

(4 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:34:38 pm »



PERSONAGGI

Bossi, il figlio a Palazzo con il placet di Silvio

Renzo erede designato ha già conquistato il premier: Umberto porta ai vertici il tuo angelo custode



ROMA — Proprio nei giorni in cui Kim Jong Il si eclissa da Pyongyang, un altro figlio di un capo assoluto si manifesta a Roma. Renzo Bossi è tornato l'altra sera, per la seconda volta in due settimane, a palazzo Grazioli, dove con cinque ministri e i capigruppo del Pdl ha partecipato al vertice sul federalismo tra Bossi (Umberto) e Berlusconi. Ieri il prediletto ha accompagnato il padre pure a palazzo Chigi, ed era al suo fianco quando il Senatur, all'uscita del Consiglio dei ministri, ha salutato a pugno alzato in segno di vittoria.
Bossi quindi non scherzava affatto nel marzo 2005, nella prima intervista a un anno dalla malattia. Parlando di Renzo, disse che «quando passerò la mano, non certo adesso, qualcosa di me resterà. La mia famiglia resterà al servizio della Lega. Avanti, sino alla Padania». La predizione suscitò parecchie gelosie. Il primogenito di Bossi, Riccardo, si lamentò: «E io? Anche io sono attratto dalla politica — disse a Gian Antonio Stella del Corriere —. Ho due modelli: papà e Napoleone ». I colonnelli leghisti in pubblico elogiarono l'erede e in privato protestarono. Bossi ripeté che l'indicazione valeva per un futuro remoto: a lungo avrebbe comandato ancora lui. E ci fu anche chi tacque ma capì di essere tra i destinatari del messaggio, e si mosse di conseguenza.

Silvio Berlusconi non è affatto contrariato dalla presenza di Renzo accanto al padre. Anzi, la sollecita. «Umberto, porta anche tuo figlio, dai!». Il premier capisce che la successione dinastica è un modo per affermare l'indipendenza della Lega: sul Carroccio Berlusconi non metterà le mani. Può sperare però di legarlo a sé anche nelle prossime generazioni. Il Cavaliere sa che Renzo non ha soltanto un effetto benefico sul padre; la sua parola comincia a essere ascoltata. Meglio quindi avere il ragazzo dalla propria parte, farlo sentire importante, guadagnarsene la simpatia. Tra l'altro, è coetaneo — vent'anni — di Luigi Berlusconi, con cui divide la passione per i motori (entrambi vanno spesso a correre all'autodromo di Monza).

«Eccolo, l'angelo custode che veglia su di te» disse il Cavaliere a Bossi quando, il 16 novembre 2005, Renzo venne al Senato con i fratelli Roberto Libertà e Sirio Eridanio e la madre Manuela Marrone — prima signora della Lega, e qualcosa di più — ad assistere al voto sulla devolution. Il battesimo era avvenuto qualche mese prima, quando l'allora minorenne Renzo si era affacciato dalla finestra di casa Cattaneo, a Lugano, urlando: «Padania libera!». Se come giocatore di basket non è andato oltre il Valcuvia di Cuveglio, come segretario generale della nazionale padana di calcio è campione del mondo in carica: i suoi atleti hanno dominato il torneo in Lapponia riservato alle nazioni mancate. Ora gli verrà delegato il rito dell'ampolla, lo sposalizio con il Dio Po, dal Monviso alla Laguna veneta. Il 28 agosto scorso, la prima volta a palazzo Grazioli. Gelosissimo, il fratello maggiore Riccardo commentò: «Speriamo che abbia capito cosa si sono detti nostro padre e Berlusconi. E comunque, io sono stato anche ad Arcore!».

Bossi lo ama al punto da polemizzare con l'intero corpo docente di origine meridionale, prima ancora della detestata Gelmini, quando Renzo fu bocciato — «per il secondo anno di fila!» fece notare perfidamente all'Ansa il senatore del Pd Antonio Rusconi — all'esame di maturità, nonostante avesse preparato una tesina dall'impegnativo titolo Carlo Cattaneo e la valorizzazione romantica dell'appartenenza delle identità. Chi l'ha scritta?, gli chiesero. «Mi sono ispirato ai libri di Cattaneo e di Gianfranco Miglio» fu la risposta. Il fratello maggiore Riccardo, sempre più geloso, infierì: «Strano. Alla biblioteca della Camera nei primi mesi della legislatura non risultano libri chiesti dalla Lega. Prima dell'esame di mio fratello, però, qualcuno ha voluto gli scritti di Miglio e di Cattaneo... ». Commentò La Stampa: «È possibile che tra i compiti dei parlamentari leghisti ci sia pure quello di scrivere la tesina al figlio del capo».

Non è andata senz'altro così, ma anche la svogliatezza scolastica è un tratto di famiglia: il Senatur ha festeggiato per tre volte una laurea mai presa. Il tempo e il male non ne hanno intaccato il carisma, anzi: vedendolo avanzare in Transatlantico con il passo incerto e lo sguardo duro, un parlamentare di buone letture l'ha accostato al generale Dumesnil, amputato a Wagram ma mai domo, al punto da gridare ai prussiani che lo assediavano a Vincennes, alle porte di Parigi: «Vi renderò questo castello quando voi mi renderete la mia gamba!». Ecco, il problema di uomini così è che di rado lasciano veri eredi. Ma questo non frena le decine di leghiste che lasciano messaggi nella sua pagina di Facebook: «Renzo, sei bellissimo; sposami!».

Aldo Cazzullo
12 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:35:39 pm »

12/9/2008
 
Tintinnar di manette
 
 

GIANCARLO DOTTO

 
Ricetta infallibile. Manette (e gogna) agli ultras di ogni tipo, a quelli del sesso a pagamento sulle strade e a quelli della violenza gratuita negli stadi. Gli uni e gli altri liquidati come scarto sociale, delinquenti da mettere al bando. Vecchia storia. La politica che mostra i muscoli confessa pubblicamente due cose, il suo fallimento strategico oltre che il suo deficit intellettuale. Ovvero, l’incapacità di meditare sul tema. Se poi a mostrare i muscoli non è Ignazio La Russa ma Antonio Matarrese, l’effetto esilarante è garantito. Da tempo i comizi di Tonino surclassano quelli di Totò in quanto a comicità. La gente fa la fila come al cabaret. Nella smania di mostrarsi più duro del duro Maroni, il presidente della Lega stavolta ha esagerato.

Matarrese ha detto: «Se necessario mettiamo delle celle negli stadi. O siamo forti o ci arrendiamo, noi non ci arrendiamo». Attorno a lui, tutto un darsi di gomito e di risatine, a cominciare dallo stupefatto Roberto Maroni che, fino a un attimo prima, era convinto di essersi seduto a un tavolo istituzionale.

Tonino a parte, il clima che si respira oggi un po’ ovunque è questo: bastonare uguale semplificare. Gli stadi non sono ancora sicuri? Lungo i marciapiedi dilaga il vizio? Chiudere gli stadi, perimetrare i marciapiedi. Totale sintonia tra Mara, intesa come Carfagna, e Maroni. Matarrese a parte, non sono al sicuro nemmeno i comici. Ritornano divise, pagelle e insegnanti unici. A quando il ripristino della censura al cinema per decreto regio? Il modello politico imperante è Giorgio Bracardi in versione Catenacci: tutti in galera!
Se la politica è occupata a bastonare e ad amputare, proviamo noi a ragionare. E a distinguere. Meretricio e violenza. Nel primo caso c’è la pena, ma non esiste il delitto. Nel secondo c’è il delitto, ma non si capisce bene quale sia la pena. Si chiamavano cortigiane e poi lucciole, puttane, prostitute, ma quella del sesso mercenario è storia che va avanti da millenni. Dalla legge Merlin ai giorni nostri è tutta una pirotecnica di proposte, uno strepitare di proclami, purché nulla accada. Incapaci di regolamentare e di educare, non ci resta che stroncare. Stroncare il racket? No, criminalizzare il cliente. Si alza la voce per negare il problema. Tutti in galera! Ottimo. Riapriamo allora i bordelli? C’inventiamo i quartieri a luci rosse, recintiamo l’orrida pulsione? Macché. Zero.

Si finge di non sapere che appiccicare la lettera scarlatta a prostitute e clienti è solo un modo per fuorviare la meditazione sulla donna offesa. La donna che si prostituisce forse, ma anche quella spesso degradata a macchina di riproduzione, umiliata a schiava del sesso, condizione sancita e prescritta dall’alibi di un contratto matrimoniale.

E ancora. Sono davvero tutti patologici gravi i nove milioni d’italiani che, secondo i dati forniti dallo stesso dipartimento delle Pari Opportunità, il ministero della Carfagna, cercano sesso a pagamento? La Mara si sente certo bene quando si dice dentro il suo impeccabile tailleur: «Come donna le case chiuse mi fanno rabbrividire...». Fosse per lei, avrebbe schiaffato in galera miliardi di malafemmine e di uomini depravati, inclusi Baudelaire, Picasso e Simenon, per non parlare di Fellini. Più illuminata di Solone, che istituì le prime case di piacere ad Atene, e di Camillo Benso conte di Cavour, che per arruffianarsi i francesi autorizzò le prime case di tolleranza in Italia. Dovere di un ministro è identificarsi con i suoi cittadini. Ha mai provato la leggiadra Mara a identificarsi con il ripugnante settantenne ancora sessualmente vispo, disgrazia sua, anche perché, dalla farmacia oggi gli passano di tutto, tra Viagra e Cialis, e nelle promozioni televisive gli spiegano che la vecchiaia non esiste, che è un pregiudizio e lui poveraccio ci crede?

Ancora scorciatoie. Blindare gli stadi, vietare le trasferte, risultato garantito. Ma a che prezzo? E quale la prospettiva? Vincenzo Paparelli fu trapassato da un razzo ostile il 28 ottobre del 1979, quasi trent’anni fa. Una vita. Da allora, solo la spettacolare resa delle istituzioni rispetto a un fenomeno che si poteva e si doveva controllare. Solo polizia e muro contro muro. Lo Stato che fa concorrenza al teppista, nella sfida del «odia il prossimo tuo almeno quanto odi te stesso».


da lastampa.it
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« Risposta #6 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:36:30 pm »

12/9/2008
 
Alitalia, un boccone amaro
 
 
 
 
 
MARIO DEAGLIO
 
C’è qualcosa di più del crepuscolo, si spera definitivo, della vecchia Alitalia nel trascinarsi delle trattative tra governo, azienda e sindacato in un clima nervoso, pieno di malessere e rancori, con qualche tensione con la polizia e gli ennesimi disservizi a Fiumicino: un Paese che ha tranquillamente accettato l’eclissi dell’Olivetti, e altrettanto tranquillamente è di fatto uscito da settori strategici come la chimica e la farmaceutica, che non ha capito il valore economico e sociale rappresentato dalle proprie grandi imprese non può ora piangere su una delle peggio gestite tra queste, della quale resterà poco più che il nome (e forse bisognerebbe cambiare anche quello).

I «diritti acquisiti» dei dipendenti Alitalia vanno certamente salvaguardati e va fatto ogni sforzo per trovare nuove occasioni di impiego per i lavoratori in eccesso; non si può però subordinare una trasformazione strutturale, della portata necessaria a risolvere il nodo Alitalia, alla sistemazione prioritaria, in ambito aziendale, di tali diritti e di tali occasioni.
Occorre domandarsi se il trattamento da riservare ai lavoratori colpiti da questa grave crisi aziendale debba essere migliore di quello della generalità dei lavoratori delle imprese in difficoltà.

O se il problema non debba invece essere affrontato in termini più generali, con la revisione delle «reti di sicurezza» per chi rischia di trovarsi privo del posto di lavoro.
Quello che sta tramontando non è solo il relitto della «compagnia di bandiera», bensì l’intero sistema di relazioni industriali. Sta terminando, in un orizzonte europeo perturbato - sullo sfondo non solo dell’attuale stagnazione italiana, ma di una possibile crisi europea e mondiale - il modo tradizionale di concepire il cambiamento industriale, di gestire le strategie delle imprese in difficoltà specie nel settore pubblico (o comunque nei servizi pubblici). Le procedure tradizionali hanno avuto i loro successi ma, in un quadro di interdipendenza globale, sono senz’altro superate.

In questo contesto, è in particolare il sindacato a doversi interrogare sulla gestione specifica di questa vicenda, nella quale proprio il «no» sindacale alla soluzione Air France, che avrebbe garantito una certa continuità aziendale, è stato determinante per il fallimento del progetto del governo Prodi. La parola «autocritica» è certo passata di moda, sia in politica sia nel mondo dell’economia, ma in ogni caso, quando tutto sarà terminato, è opportuno che proprio il sindacato dia inizio a un riesame spassionato - che deve coinvolgere anche governo e parti sociali - del proprio ruolo in questa vicenda con l’intento di contribuire a un miglior sistema di governo delle imprese di servizio pubblico.

In tempi molto più brevi, mondo del lavoro e mondo della politica si trovano di fronte al piano industriale messo a punto dalla «cordata» di imprenditori intenzionata a rilevare quanto di economicamente valido rimane dell’Alitalia. Quando si lasciano colpevolmente partire tutti gli autobus, non rimane che prendere l’ultimo, anche se i sedili non sono comodi e se occorre sperare che non si rompa per strada, lasciando tutti a piedi. È vero, come ha detto un rappresentate sindacale, che oggi la scelta è «o mangiare questa minestra o saltare dalla finestra», ma quando si poteva scegliere tra più minestre, il mondo sindacale non l’ha fatto.

Di questo piano industriale si può dire che esso appare ragionevole dati i pesantissimi vincoli di partenza; che l’articolazione della nuova Alitalia in sei sedi differenziate costituisce una netta rottura con il passato, necessaria proprio perché la cultura «romana» della vecchia compagnia si è tradotta in un’organizzazione particolarmente costosa e inefficiente; che è probabilmente vero che, per le finanze pubbliche e dal punto di vista sociale, la sua attuazione comporterà costi inferiori a quelli che deriverebbero dall’attuale assenza di qualsiasi altra alternativa. È in particolare apprezzabile la prospettiva di riuscire a riannodare, in un periodo di tempo relativamente breve, discorsi di collaborazione e partecipazione con grandi compagnie estere, senza i quali la vita della nuova Alitalia sarebbe comunque sempre risicata e vulnerabile a eventi esterni, come le variazioni del prezzo del petrolio, che incidono sensibilmente su questo settore.

Ci si deve augurare, insomma, che l’accordo si trovi e che la nuova Alitalia finalmente nasca; ma, per favore, risparmiateci la retorica e il trionfalismo. Ricordiamo che si sta trangugiando un boccone molto amaro che sancisce un declassamento del Paese, nella speranza che ne derivino prospettive migliori.

mario.deaglio@unito.it 


da lastampa.it


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Voli & SPRECHI: Il volo Roma-Albenga e i soggiorni degli equipaggi al Lido di Venezia

Trucchi e segreti della casta volante

Politici, manager, calciatori. La saga della compagnia. Anche una commissione a 8 per scegliere i nomi degli aerei


ROMA — C'era una volta una compagnia aerea che perdeva 25 mila euro l'anno per ognuno dei suoi dipendenti. Che aveva 5 (cinque) aerei cargo sui quali si alternavano 135 (centotrentacinque) piloti. Che arrivò ad avere un consiglio di amministrazione composto di 17 poltrone: tre per i sindacalisti e una assegnata, chissà perché, al Provveditore generale dello Stato, l'uomo incaricato di comprare le matite, le lampadine e le sedie dei ministeri.

Che istituì perfino una commissione di otto persone per decidere i nomi da dare agli aeroplani: e si possono immaginare i dibattiti fra i sostenitori di Caravaggio e quelli di Agnolo Bronzino. Che in vent'anni cambiò dieci capi azienda, nessuno uscito di scena alla scadenza naturale del suo mandato. E che negli ultimi dieci anni ha scavato una voragine di tre miliardi chiudendo un solo bilancio in utile, ma unicamente grazie a una gigantesca penale che i preveggenti olandesi della Klm preferirono pagare pur di liberarsi dal suo abbraccio mortale.

C'era una volta, appunto. Perché una cosa sola, mentre scade l'ultimatum di Augusto Fantozzi, è certa: quella Alitalia lì non c'è più. La corsa disperata di cui parlò Tommaso Padoa-Schioppa quando ancora confidava di poter passare la patata bollente ad Air France, dicendo di sentirsi come «il guidatore di un'ambulanza che sta correndo per portare il malato nell'unica clinica che si è dichiarata diposta ad accettarlo», è comunque finita. E con quell'ultimo viaggio, fallito in modo drammatico, si è chiusa un'epoca. Con un solo rammarico: che la parola fine doveva essere scritta molti anni prima. Se soltanto i politici l'avessero voluto.

Già, i politici. Ricordate Giuseppe Bonomi? Politico forse sui generis, leghista e oggi presidente della Sea, ora ha chiesto all'Alitalia 1,2 miliardi di euro di danni perché la compagnia ha deciso di lasciare l'aeroporto di Malpensa. Anche lui è stato presidente dell'Alitalia: durante la sua presidenza la compagnia prossima ad essere «tecnicamente in bancarotta», per usare le parole del capo della Emirates, Ahmed bin Saeed Al-Maktoum, sponsorizzò generosamente i concorsi ippici di Assago e piazza di Siena. Alle quali Bonomi, provetto cavallerizzo, partecipò come concorrente. Ma senza portare a casa una medaglia. Ritorno d'immagine? Boh.

E ricordate Luigi Martini? Ex calciatore della Lazio, protagonista dello storico scudetto del 1974, chiusa la carriera sportiva diventò pilota dell'Alitalia. Poi parlamentare e responsabile trasporti di Alleanza nazionale: ma senza smettere mai di volare. Per conservare il brevetto gli fu concesso di mantenere anche grado e stipendio. Faceva tre decolli e tre atterraggi ogni 90 giorni, quando gli impegni politici lo consentivano, pilotando aerei di linea con 160 passeggeri a bordo. Inconsapevoli, probabilmente, che alla cloche c'era nientemeno che un parlamentare in carica. Questa sì che era degna di chiamarsi italianità. In quale altro Paese sarebbe stato possibile?

Domanda legittima anche a proposito di quello che accadde nel 2002, quando con la benedizione di Claudio Scajola venne istituita una linea quotidiana Alitalia fra Fiumicino e Villanova D'Albenga, collegio elettorale dell'allora ministro dell'Interno. Numero massimo di passeggeri, denunciò il rifondarolo Luigi Malabarba, diciotto. Dimesso il ministro, fu dimessa anche la linea. Ripristinato il ministro, come responsabile dell'Attuazione del programma, fu ripristinato pure il volo: in quel caso da Air One, con contributi pubblici. Volo successivamente abolito dopo la fine del precedente governo Berlusconi e quindi ora, si legge sui giornali, riesumato per la terza volta.

Ma politici e flap in Italia hanno sempre rappresentato un connubio spettacolare. Lo sapevano bene i 9 sindacati dell'Alitalia, che non a caso nei momenti critici, ha raccontato al Corriere Luigi Angeletti, regolarmente pretendevano di avere al tavolo il governo, delegittimando la controparte naturale, cioè l'amministratore delegato. E i ministri regolarmente si calavano le braghe. Forse questo spiega perché mentre tutte le compagnie straniere, alle prese con le crisi, tagliavano il personale e riducevano i costi, all'Alitalia accadeva il contrario.

Nel 1991, dopo la guerra del Golfo, si decisero 2.600 prepensionamenti. Poi arrivò Roberto Schisano, che diede un'altra strizzatina, e i dipendenti scesero nel 1995 a 19.366. Armato di buone intenzioni, Domenico Cempella nel 1996 li portò a 18.850. Nel 1998 però erano già risaliti a 19.683. L'anno dopo a 20.770. E nel 2001, l'anno dell'attentato alle Torri gemelle di New York, si arrivò a 23.478. Poi ci si stupì che per 14 anni, fino al 1999, fosse stato tenuto in vita a Città del Messico, come denunciò l'Espresso, un ufficio dell'Alitalia con 15 dipendenti, nonostante gli aerei avessero smesso di atterrare lì nel lontano 1985. Come ci si stupì che gli equipaggi in transito a Venezia venissero fatti alloggiare nel lussuoso Hotel Des Bains del Lido, con trasferimento in motoscafo. O che per un intero anno (il 2005) la compagnia avesse preso in affitto 600 stanze d'albergo, quasi sempre vuote, nei dintorni dell'aeroporto, per gli equipaggi composti da dipendenti con residenza a Roma ma luogo di lavoro a Malpensa. Per non parlare della guerra sui lettini per il riposo del personale di bordo montati sui Jumbo, al termine della quale 350 piloti portarono a casa una indennità di 1.800 euro al mese anche se il lettino loro ce l'avevano. O dell'incredibile numero di dipendenti all'ufficio paghe del personale navigante, che aveva raggiunto 89 unità. Incredibile soltanto per chi non sa che gli stipendi arrivavano a contare 505 voci diverse.

Tutto questo ora appartiene al passato. Prossimo o remoto, comunque al passato. Della futura Alitalia, per ora, si conosce soltanto il promotore: Compagnia aerea italiana, Cai, stesso acronimo di un'altra Cai, la Compagnia aeronautica italiana, la società che gestisce la flotta dei servizi segreti. E le cui azioni, per una curiosa e assolutamente casuale coincidenza, sono custodite nella SanPaolo fiduciaria, del gruppo bancario Intesa SanPaolo, lo stesso che supporta la cordata italiana per l'Alitalia.

Sergio Rizzo
12 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:37:28 pm »

ECONOMIA   

Istat, produzione industriale in calo

E' il terzo ribasso da maggio


ROMA - La produzione industriale ha registrato un calo dell'1,1% congiunturale a luglio e dello 0,6% tendenziale. Lo comunica Istat, segnalando che in sette mesi la produzione industriale ha accumulato una diminuzione dell'1,4% rispetto al 2007. Si tratta del terzo calo consecutivo da maggio.

Nel confronto con luglio 2007, gli indici della produzione industriale corretti per i giorni lavorativi relativo ai raggruppamenti principali di industrie hanno segnato tutti variazioni negative: 3,9% i beni intermedi, 3,3% i beni strumentali, 2,9% l'energia e 2,3% i beni di consumo (- 2,4% i beni non durevoli, - 2,0% i beni durevoli). Nel mese di luglio 2008 l'indice della produzione industriale corretto per i giorni lavorativi ha segnato variazioni positive solo nel settore degli alimentari, bevande e tabacco (+0,1%). Le diminuzioni più marcate hanno riguardato i settori delle raffinerie di petrolio (-12,5%), delle pelli e calzature (- 12,3%), dei minerali non metalliferi (-7,6%) e del legno e prodotti in legno (-7,6%).

(12 settembre 2008)
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:38:48 pm »

I sindacati: «Subito un incontro in Comune per il nuovo progetto»

Flop per lo «sportello Biagi», solo 32 occupati

Fallito il progetto che doveva dare lavoro ai milanesi più sfortunati.

Dopo tre anni l'esperienza si è chiusa. Spesi 4 milioni di euro 
 
Tre anni per trovare lavoro a 32 persone.


E il tutto spendendo quattro milioni di euro dei sette stanziati. Gli sportelli Marco Biagi dovevano dare uno stipendio ai milanesi più sfortunati. Quelli a cui la città del lavoro volta le spalle: ultracinquantenni licenziati, disoccupati da almeno un anno, persone sole con figli a carico ma senza un impiego. Dopo tre anni l'esperienza si è chiusa. In modo deludente. Gli «sportelli Marco Biagi» non esistono più. Le vetrofanie con il nome del giuslavorista ucciso dalle nuove Brigate rosse sono state tolte nel marzo scorso dalle sedi di via Savona e via Satta, a Quarto Oggiaro.
La sperimentazione era stata lanciata esattamente tre anni prima — il 14 marzo 2005 — dal sindaco Gabriele Albertini. «Con gli sportelli Marco Biagi ancora una volta Milano si conferma sede dell'innovazione in materia di lavoro — disse l'allora ministro del Lavoro, Roberto Maroni —, vogliamo replicare questa soluzione in altre regioni ». Nella sostanza l'obiettivo era ricollocare a tempo indeterminato 500 disoccupati «difficili» e coinvolgerne in progetti di riqualificazione altri 4.500. Il tutto con l'aiuto di sette agenzie per il lavoro (società private autorizzate dal ministero del Lavoro a intermediare manodopera) selezionate tramite concorso.
Le cose sono andate diversamente. Alla fine dei sette miliardi stanziati (5 e mezzo dal ministero del Lavoro e 2 dalla regione Lombardia) ne sono stati spesi poco meno di quattro. I soldi sono serviti a pagare le strutture, le agenzie del lavoro, i dipendenti del Comune. Ma anche a dare 400 euro al mese ai lavoratori coinvolti nel progetto in cambio della disponibilità a seguire corsi formazione. Al momento di tirare le somme, però, solo 32 hanno conquistato il posto fisso grazie agli sportelli. Gli altri (circa 2.300 persone) si sono dovuti accontentare nella migliore delle ipotesi di qualche contratto a termine. E il tutto in una città dove il tasso di disoccupazione è da anni sotto la soglia fisiologica del 4 per cento. E in cui ogni anno le agenzie del lavoro in affitto trattano un centinaio di migliaia di curriculum.
Da alcuni mesi sindacato e Comune discutono di un nuovo progetto su cui dovrebbero essere investiti i soldi non spesi dagli sportelli Marco Biagi (circa un milione e mezzo di euro). Si tratterebbe di una rete di sportelli in grado di orientare i milanesi nel vasto mondo dei servizi forniti dal Comune. «L'esperienza degli sportelli Marco Biagi è stata quantomeno deludente — valuta Antonio Lareno, segretario della Cgil che partecipa alla trattativa sulla sulla loro riconversione —. Il 23 settembre è previsto un incontro in Comune per mettere a punto il nuovo progetto. È forse l'ultima opportunità per dimostrare che questa città è in grado di produrre iniziative utili per i cittadini».

 
Rita Querzé
12 settembre 2008

da corriere.it/vivimilano
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:39:46 pm »

Fnsi: «Cè la volontà di affievolire la capacità di ricerca della verità»

Perquisita redazione dell'Espresso

Guardia di Finanza anche nelle abitazioni dei due giornalisti che si sono occupati dell'immondizia a Napoli



ROMA - La Guardia di finanza di Napoli ha perquisito la redazione de "L'Espresso" e le abitazioni e il luogo di lavoro dei giornalisti dell'Espresso Gianluca De Feo ed Emiliano Fittipaldi. I redattori del settimanale si sono occupati dello smaltimento dei rifiuti in Campania.

FNSI: «INACCETTABILE» - «È davvero inaccettabile» ha sottolineato il Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi. «Comprendiamo che l'attività della magistratura sia in questa fase in una situazione delicata ma non possiamo accettare che l'attività giornalistica di inchiesta venga trattata come fosse illegale e sotto tutela. Ci pare che fin troppo chiaro - ha proseguito Siddi - il tentativo di affievolire la capacità di ricerca della verità da parte dei giornalisti. Sono ormai, infatti, troppi in questi mesi gli interventi sui colleghi e sulle redazioni. Abbiamo immediatamente chiamato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per esprimergli tutto il nostro disappunto sull'accaduto e per chiedergli un incontro urgente».


12 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:40:58 pm »

Indagine Acli: gli italiani sempre più poveri


Sempre più poveri. Sempre più in condizione di incertezza sociale. Negli ultimi cinque anni sei italiani su dieci sentono peggiorata la loro condizione economica. Mentre in tre anni, dal 2005 al 2008, il popolo della quarta settimana è cresciuto del 14%. Sono alcuni dei dati che certificano il clima di incertezza sociale ed economica del Paese emersi dall'indagine esplorativa presentata dalle Acli venerdì 12 settembre a Perugia, nel corso della seconda giornata del convegno nazionale di studi, dedicata al tema della destra e della sinistra 'dopo le ideologie', tra 'nuove paure e nuove povertà'.

Il 45% degli italiani, prosegue l'indagine, dichiara di aver avuto difficoltà nell`ultimo anno nell`acquisto di beni o servizi di prima necessità (qualche volta, 35%, spesso, 10%). Lo stesso dato, registrato nel 2005 dall'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli, si fermava al 31%. Rispetto a 5 anni fa sentono peggiorata la loro condizione economica il 61% dei cittadini (soprattutto pensionati, operai, artigiani e piccoli esercenti). Solo il 6% del campione (1500 individui rappresentativi della popolazione italiana, intervistati dall'Iref nel mese di luglio) ha risposto indicando un miglioramento.

Il futuro incerto e carico di rischi deprime, quindi, 6 italiani su 10, che dicono di ritenere «inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia». Si sentono appartenenti al ceto medio il 51% degli intervistati, al ceto popolare il 39%, alla classe dirigente il 4%. Esiste un 'ceto medio impoverito' che sente fortemente peggiorata la propria condizione (79%), più di quanto non l'avvertano gli stessi appartenenti al ceto popolare (74%). La prima preoccupazione degli italiani sul lavoro è legata al reddito.

Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese è il primo pensiero per il 42% degli intervistati. La precarietà è l'incubo per il 36% degli italiani: il 20% preoccupati di non riuscire ad ottenere un impiego continuativo e sicuro, il 16% con la paura di perdere il lavoro Con l'incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali.
Sul lavoro la fiducia nei colleghi sopravanza la diffidenza di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%, mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso).

Ci si fida (molto o abbastanza) dei parenti (85%), dei vicini (74%), ma per il resto si vive sul chi va là, se a stento 1 italiano 2 (50,5%) due dichiara di nutrire fiducia nei confronti della gentè in generale. Nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere il grado di fiducia, com`era prevedibile, è ancora più basso (36%). È alto anche il livello di preoccupazione sui rischi connessi alla criminalità. Gli italiani temono di subire furti in casa (molto + abbastanza, 62%), di essere aggrediti da un malvivente sconosciuto (62%), di rimanere vittima di scippi e borseggi (61%). Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55).

Solo il 3% degli intervistati, tuttavia, mostra fiducia nella difesa autorganizzata dei cittadini, come ad esempio le ronde. Gli italiani chiedono senz'altro pene più severe contro la criminalità e il pugno di ferro delle forze dell`ordine (46%), ma si dicono anche consapevoli (44%) che è necessario anche agire sulle cause e spingono le persone a delinquere.



Pubblicato il: 12.09.08
Modificato il: 12.09.08 alle ore 17.27   
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« Risposta #11 inserito:: Settembre 12, 2008, 06:41:59 pm »

Liberalizzazioni, il governo tenta il dietrofront


Due anni fa, quando i tassisti protestavano contro le liberalizzazioni di Bersani, il centrodestra li difese a spada tratta. E il loro leader storico, Loreno Bittarelli, l'hanno pure candidato alle elezioni dell'aprile scorso, senza risultati. Ora il governo delle Libertà, come si vanta di essere, prova a tornare indietro anche sul capitolo delle liberalizzazioni farmaceutiche: i senatori del Pdl, Maurizio Gasparri e Antonio Tomassini, hanno presentato un disegno di legge sul sistema farmaceutico italiano che prevede la sostanziale cancellazione del precedente decreto Bersani. Secondo il Movimento nazionale liberi farmacisti e la Federazione esercizi farmaceutici, se la proposta Gasparri-Tomassini fosse approvata sarebbero a rischio ben cinquemila posti di lavoro. Inoltre ci sarebbe la chiusura di duemila parafarmacie.

«Il progetto prevede di riportare sotto il controllo delle farmacie tutti i farmaci oggi venduti nelle parafarmacie, lasciando ai supermercati una quantità esigua di medicinali costituiti da un numero ridotto di unità posologiche», denunciano in una nota le due associazioni. Se la proposta di legge andasse in porto verrebbe meno la maggior concorrenza, ed i connessi risparmi per i consumatori, introdotti dal decreto Bersani.

Per fermare questo ritorno al passato, il Movimento nazionale liberi farmacisti e la Federazione esercizi farmaceutici, chiedono «l'immediato ritiro del disegno di legge». Se questo non dovesse avvenire le due organizzazioni minacciano di portare il problema «davanti alla Corte Costituzionale, alla Comunità Europea e alla Corte di Giustizia». Ma non è tutto: le due associazioni intendono aprire una causa risarcitoria contro il Governo in quanto non si può, dicono nella nota, «giocare sulla pelle dei cittadini consentendo prima una parziale liberalizzazione del settore per poi cancellare tutto al cambio di coalizione».

Sul tema interviene anche Pier Luigi Bersani, artefice dell'ondata di liberalizzazioni realizzate nel 2006 dal governo Prodi: «Parlamento e governo ascoltino le ragioni dei parafarmacisti». Bersani sottolinea che il suo decreto ha «garantito sconti sui farmaci» ed ha «prodotto più di 5000 nuovi posti di lavoro, in particolare tra i giovani laureati in farmacia». L'esponente democratico si dice preoccupato per la proposta Gasparri-Tomassini e ritiene che con il governo Berlusconi si stia tornando indietro su più fronti, «dalla scuola alle liberalizzazioni, dalla lotta all'evasione alla sicurezza».

Pubblicato il: 12.09.08
Modificato il: 12.09.08 alle ore 17.24   
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« Risposta #12 inserito:: Settembre 13, 2008, 12:32:24 am »

12/9/2008 (19:41) - I DATI DI VIALE DELL'ASTRONOMIA


Confindustria: Italia in recessione
 
Caduta più accentuata del previsto la ripresa solo nel 2009 inoltrato


ROMA
Per Confindustria l’Italia è in recessione. La flessione a luglio della produzione industriale, molto più marcata dell`atteso (-1,1%, il Centro studi di Confindustria e il consenso puntavano a un già forte -0,5%), conferma le stime di Confindustria di una dinamica ancora negativa dell`economia italiana nel terzo trimestre del 2008, dopo la contrazione del Pil nel secondo (-0,3%).

Analoghe valutazioni - spiega il Csc - sono state espresse di recente nelle nuove previsioni rilasciate da Ocse e Commissione europea. Il dato particolarmente negativo di luglio delinea una caduta trimestrale più accentuata di quanto previsto. Si conferma la forbice di crescita con gli altri maggiori Paesi europei.

L`andamento degli indicatori anticipatori - fiducia, ordini, superindice Ocse - non lascia spazio a possibilità di miglioramento nel quarto trimestre.
E` molto probabile il segno meno davanti alla variazione del pil per l`intero 2008, afferma Confindustria. La ripresa, aiutata dal ridimensionamento del petrolio e dal recupero del dollaro, partirà nel 2009 inoltrato.

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« Risposta #13 inserito:: Settembre 14, 2008, 04:15:46 pm »

12/9/2008 (8:23)

E il Pdl salvò le Province
 
Pochi tagli sparsi. Le Comunità montane continuano a esistere

ROBERTO GIOVANNINI


Berlusconi con le promesse e gli annunci, si sa, non si fa troppi scrupoli. Questa promessa, per esempio, non sembra proprio che abbia avuto finora l’intenzione, la voglia o la possibilità di mantenerla: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei consiglieri comunali. Non parlo di Province, perché bisogna eliminarle». Era il 31 marzo, e parlava a una videochat organizzata dal «Corriere della Sera». «Quindi - proseguiva il Cav., rincarando la dose - dimezzamento dei costi della politica significa innanzitutto dimezzare il numero delle persone che fanno politica di mestiere ed eliminare tanti enti inutili, Province, Comunità montane, e tutti quegli enti antichi che sono rimasti in funzione senza produrre alcun effetto». Stesse parole dieci giorni dopo, a «Porta a Porta»: «Dobbiamo ridurre della metà la casta, cioè il numero delle persone che vivono di politica. Secondo alcuni si tratta di 300.000 persone». Dopodiché, tutti sanno che i deputati, i senatori e i consiglieri sono sempre quelli, non uno di meno, e senza un euro di meno in tasca.

Che le Province esistono eccome, ed esisteranno ancora, se è vero che secondo i piani del governo potranno finanziarsi con i proventi del bollo auto (un altro tributo di cui l’attuale premier annunciò l’abolizione entro la legislatura, dalle telecamere di «Matrix»). Per adesso, hanno pagato dazio soltanto le Province ancora non operative, Monza, Fermo e Barletta, congelate fino al giugno 2009. Addirittura le Comunità montane continuano a campare, sia pure tra gli stenti. I deputati salvano integro lo stipendio, anche se dovranno pagare un po’ di più il tramezzino alla buvette (da 1,80 a 2,80 euro) e lavorare cinque giorni su sette, come stabilito da Gianfranco Fini. Il presidente del Senato Schifani, invece, non sembra appassionato al tema del taglio dei costi. E come scoperto da Gian Antonio Stella, quest’anno spenderà 260.000 euro per realizzate la (peraltro molto ben fatta) agendina di Palazzo Madama.

Insomma, ormai la «Casta» non fa più notizia. E in pochi si scandalizzano se - con decreto pubblicato il 22 agosto scorso sulla Gazzetta Ufficiale - a sorpresa il governo Berlusconi riapre le porte degli aerei di Stato sostanzialmente a chiunque, dopo la parentesi rigorista di Prodi, che negava il «volo Blu» anche ai ministri. Ora viaggiano tutti: ministri, viceministri, sottosegretari, portaborse, giornalisti di testate gradite, collaboratori vari, purché «accreditato al seguito della stessa su indicazione dell'Autorità anche in relazione alla natura del viaggio, al rango rivestito dalle personalità trasportate, alle esigenze protocollari ed alle consuetudini, anche di carattere internazionale». Destarono ira e proteste Mastella e figlio Elio in volo per il Gp di Monza? Sabato scorso il ministro degli Esteri Frattini è volato al vertice Ue di Avignone con a fianco la sua fidanzata, Chantal Sciuto. Aereo di Stato, ça va sans dire.

Il governo, però, si difende, snocciolando una lunga lista di interventi mirati a tagliare spesa, sprechi e caste. Ovviamente, c’è Brunetta e le sue consulenze: la norma che consente l’«operazione trasparenza» fu varata dal governo Prodi, ma di suo il ministro della Pa ha inserito nel Dl 112 (la manovra) una norma che rende molto più difficoltosa l’assegnazione di consulenze non utili. In parte, almeno, colpiranno le clientele la norma che elimina gli enti con meno di 50 dipendenti non espressamente «salvati», così come l’abolizione del Secit. Si tagliano del 20% stipendi dei direttori (generali, sanitari e amministrativi) delle strutture sanitarie pubbliche. Del 30% le indennità dei sindaci che non rispettano il «patto di stabilità» interno, così come scenderanno del 30% le spese per compensi ad organi collegiali della Pa, sponsorizzazioni e (del 50%) convegni e mostre. Giro di vite anche per i contributi ai giornali di partito.

Non basta, denuncia l’opposizione. Linda Lanzillotta, controparte «ombra» di Brunetta, attacca: «Il governo Prodi aveva fatto un accordo con Regioni ed Enti Locali per ridurre costi e organigrammi. Che fine ha fatto? Perché non si lavora per ridurre la moltiplicazione di organismi con compiti più o meno simili? Perché si va a un federalismo che rischia di moltiplicare spese e inefficienza»? «Anche l’operazione Nuova Alitalia - denuncia l’economista del Pd Stefano Fassina - indirettamente è un “costo della politica”. Un’operazione costruita per rispondere a esigenze politico-elettorali del centrodestra, scaricando sui contribuenti 1,5 miliardi di debito che resterà nella bad company».

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« Risposta #14 inserito:: Settembre 14, 2008, 06:15:12 pm »

Maroni, alla festa della Lega, punta sulla sicurezza: tolleranza zero e niente voto agli immigrati 

 
VENEZIA (14 settembre) - Il ministro degli Interni Roberto Maroni, alla festa della Lega a Venezia, ha cominciato il suo intervento con la tradizionale frase leghista “Padania libera”. Tema centrale del suo discorso: la sicurezza. Tolleranza zero ed extracomunitari da rimandare a casa. «L'unico piano svuota carceri è quello che permette di mandare in galera a casa loro gli immigrati». E ricordando che i romeni sono i più numerosi, sottolinea come l'accordo firmato con la Romania dall'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli con la Romania, non è mai stato applicato.

D'accordo con il collega Alfano per il braccialetto elettronico ma solo se ci sarà la garanzia di evasione zero. Interventi drastici anche contro il tifo criminale polemizzando con il giudice che li ha rimessi in libertà. «Davanti ai nostri provvedimenti una sinistra cialtrona - ha aggiunto - ha lanciato una canea di reazioni, ci ha insultato dopo che la sua politica è stata zero sulla sicurezza aprendo le frontiere ai clandestini».

Per Maroni con i provvedimenti del governo «abbiamo dato potere ai sindaci - ha concluso - perché sono bravi e siamo orgogliosi che vengano chiamati sceriffi». Chiusura per tutti campi nomadi abusivi, definiti da Maroni una vergogna, dove i bambini vengono mandati a rubare. E sempre in tema di immigrazioni Maroni ha ribadito il no al voto per gli extracomunitari.

da ilmessaggero.it



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Piazza Navona, in 20 pestano studente inglese e due italiani intervenuti per aiutarlo

 
ROMA (14 settembre) - In venti hanno circondato uno studente inglese di 22 anni, in evidente stato di ebrezza, e hanno cominciato a picchiarlo. E' accaduto intorno alle 3.15 di notte in piazza Navona. L'inglese è stato preso a calci e pugni al volto. Due italiani di 39 e 43 anni, intervenuti per aiutarlo, sono rimasti anch'essi coinvolti. Ancora da chiarire i motivi dell'aggressione nei confronti dello studente. All'arrivo dei carabinieri gli aggressori si sono dileguati per le vie del centro.

Il 22enne e i due italiani intervenuti in suo soccorso sono stati trasportati al Santo Spirito. Lo studente inglese è stato giudicato guaribile in 25 giorni. I due italiani in 10.


dailmessaggero.it


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«Sporchi negri vi ammazziamo»

Italiano di colore ucciso a sprangate a Milano

Gli aggressori accusavano i giovani di aver rubato merce da un furgone

 
MILANO (14 settembre) - Un giovane italiano, Abdul G., 19 anni, originario del Burkina Faso, è stato aggredito questa mattina intorno alle 6 in via Zuretti a Milano, da due uomini che l'hanno colpito alla testa con una mazza di legno e una spranga. Abdul G. era con altri due amici di colore. Dopo aver trascorso la notte in un locale in corso Lodi, a bordo dei mezzi pubblici la comitiva era arrivata in via Zuretti con l'intenzione di andare al centro sociale Leoncavallo. A quel punto i tre sono stati avvicinati da un furgone bar. Dal mezzo sono scesi due uomini che li hanno accusati di avere rubato della merce. I due, uno intorno ai 25 anni, l'altro un adulto sulla quarantina, hanno cominciato a colpire il giovane e a lanciare epiteti razzisti: «Sporchi negri vi ammazziamo».

Abdul G, colpito alla testa con una mazza di legno e una spranga, è stato ricoverato all'ospedale Fatebenefratelli in stato di coma, ed è morto intorno alle 13.30.

Minniti: odioso episodio di razzismo. «È importante che si faccia piena luce sulla drammatica aggressione di Milano. La natura e i contorni dell'episodio sono estremamente preoccupanti e richiamano alla mente fatti di grave intolleranza - ha detto Marco Minniti, ministro dell'Interno nel governo ombra del Pd - Per come è stato fino ad ora ricostruito quanto avvenuto a Milano, sembra configurarsi come un odioso episodio di razzismo. Proprio per questo è necessario il massimo impegno per chiarire i fatti e colpire i responsabili».

da ilmessaggero.it
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