LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Giugno 27, 2007, 10:49:07 am



Titolo: Notizie dal PAESE dei berluschini...
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2007, 10:49:07 am
Scandaletti e fesserie

Il Fotografo e l’Ereditiera 

 
È peggio l’Ereditiera o il Povero Bullo? E’ più snervante, col caldo che fa, sciropparsi il probabile fervorino da suonata redenta-ma-non-troppo di Paris Hilton sulla Cnn, oppure il flusso di coscienza (vabbè, quel che è) di Fabrizio Corona a Matrix, le sue storiacce, le sue rivelazioni/vanterie/avvertimenti a calciatori e magistrati, potenti e veline? Ovvero: sono meno sopportabili le fesserie americane o i nostri scandaletti barbarici? Dipende dai punti di vista. Certo, seguire i due neoscarcerati non è più un divertimento trash; è un lavoro, anche deprimente. Perché quando si viene aggiornati sulla vita scema ed estrema di Hilton si pensa, appunto, «che scema».

Ma poi ci si chiede se il bombardamento di notizie sulla ragazzetta troppo bionda, troppo ricca e troppo magra non stia rincretinendo anche noi; se ci stiamo abituando a trovare interessanti (sono informazioni poco faticose da seguire, via) attività come guidare ubriache una Bentley, farsi mettere sul Web le riprese di una notte di sesso (e c’è sesso migliore, sul Web, ovunque), rilasciare interviste fintissime. C’è pure il rischio di cominciare a trovare quella di Hilton una gran vita, galera a parte. Nel caso di Corona poi, che molti lo trovino ganzissimo è sicuro. Ultimamente bastava passare sotto la sua casa di Milano la sera per vedere bande di ragazzi in attesa urlante del loro nuovo idolo, che ogni tanto si affacciava per lanciargli canotte, mutande e biro (biro?). Magari, galera a parte, è meglio una vita da Corona che da precario a ottocento euro al mese (però molti cercatori di canotte votive scendevano da macchine da cinquantamila euro, o giù di lì).

Corona è un super tamarro aitante che ostenta la sua tamarraggine aggressiva come un’arma fine-di-mondo. Sostiene di aver in mano tutti, con i suoi giri e le sue foto. Mostra come non tutti, ma molti, noti e/o importanti, hanno a che fare con i suoi giri. Piace — ad alcuni — più di Hilton perché non è nato ricco ma ha fatto soldi velocissimi, e si vanta di stare per farne ancora di più. La sua saga è più violenta e dolente di quella di Paris, e di certo da noi guarderanno molto di più la sua intervista (ma se sta per guadagnare tanto, non è meglio mandargli direttamente le Fiamme Gialle? Il problema in Italia sono le tasse non pagate, non le pessime abitudini di ricchi, potenti e sgallettate che a sentire cosa fanno sembrano più scemi di Paris, alle volte).

Maria Laura Rodotà
27 giugno 2007
 da corriere.it


Titolo: ... ma anche peggio.
Inserito da: Admin - Giugno 29, 2007, 05:31:36 pm
Dossier del Sismi, il Csm: Pollari e Pompa volevano intimidire i giudici


Intimidire e rendere meno credibili alcuni magistrati. Era questo, secondo il Csm, lo scopo dei dossier sulle toghe trovati nell'archivio segreto di via Nazionale del Sismi. Vicenda per la quale sono indagati a Roma per peculato e violazione di corrispondenza elettronica l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e l'ex funzionario del servizio Pio Pompa.

La valutazione è contenuta in una proposta di risoluzione approvata all'unanimità dalla Prima Commissione di Palazzo dei marescialli, che sottolinea come questa attività di "dossieraggio" e schedatura era «estranea» alle attribuzioni del Sismi come disciplinate dalla legge 801 del 1977. Il testo è ora sul tavolo del capo dello Stato che ne deve decidere l'inserimento all'ordine del giorno del plenum.

Nel documento che - se riceverà l'ok del capo dello Stato sarà discusso quasi certamente della Prima sarà discusso mercoledì prossimo dal plenum - il Csm sottolinea che al di là dei giudici che si volevano intimidire o ai quali si voleva far perdere credibilità, la vicenda riguarda tutta la magistratura. E a riprova si cita uno dei documenti trovati nell'archivio di via Nazionale e dedicato alle elezioni del Comitato direttivo centrale dell'Anm del 2003, alla vigilia del loro svolgimento: «fonti bene informate» riferiscono che lo scontro istituzionale tra governo e magistratura determinerebbe «un processo di ricompattamento» tra tutte le correnti delle toghe e esprimono la preoccupazione che i nuovi vertici dell'Anm siano portatori di posizioni più radicali e antagoniste.

Un'ampia parte del documento del Csm - di cui è estensore Fabio Roia, togato di Unità per la Costituzione - è dedicata alla ricostruzione dei fatti. Ricostruzione a cui ha sicuramente contribuito l'audizione di qualche giorno fa davanti alla Prima Commissione del procuratore di Roma, Giovanni Ferrara, e del sostituto procuratore, Pietro Saviotti, che conducono l' inchiesta sull'archivio di via Nazionale.

Pubblicato il: 28.06.07
Modificato il: 28.06.07 alle ore 18.51   
© l'Unità.


Titolo: Veline e karaoke: la dolce estate di Fiorani
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2007, 10:37:11 am
L’amicizia con Naike Rivelli e le notti al Billionaire: un anno fa era tra i «furbetti» delle scalate

Veline e karaoke: la dolce estate di Fiorani

Ospite fisso di Lele Mora, l’ex banchiere scatenato in Costa Smeralda 

 
PORTO CERVO — Pantaloni gialli, polo rossa, mocassini blu, un uomo distribuisce mezzi sorrisi al bar Glamour, cuore della piazzetta all’ora dell’aperitivo: è Gianpiero Fiorani, un tempo non remoto fra i banchieri più potenti d’Italia, disinvoltamente transitato dalle stanze discrete e ovattate dell’alta finanza — previo intermezzo a San Vittore — ai palcoscenici by night in Costa Smeralda, infine approdato ai separé del Billionaire e al sofà di Lele Mora. Ormai a suo agio fra giovanottoni di belle speranze, probabili illusioni e aspiranti veline.

Poco importa se la gente che conta gira al largo, se nessuno più lo invita alle cene importanti; i pour parler dell’ estate 2005 a l l o Yachting Club con Gnutti, Consorte, Ricucci e gli altri «furbetti del quartierino» sono altre storie, ora appare accanto a Costantino Vitagliano, Marco Balestri e Francesco Guzzi detto Fragolino: la nuova mission di Fiorani è altrove, diventare la star di un mondo che la bufera di Vallettopoli sembrava aver appena scalfito e che nelle prime notti di mezz’estate è invece riapparso come se niente fosse accaduto. Ed ecco Fiorani scatenato offrirsi in pose disinvolte ai paparazzi, conquistare non più banchemapagine e pagine dei rotocalchi rosa. I settimanali Chi e Oggi lo propongono ovunque: al Billionaire, barba e abbigliamento casual, in un duetto canoro con Ramona Badescu; e poi, sempre nel locale di Flavio Briatore, a cena con Naike Rivelli (figlia di Ornella Muti) e altri amici del clan di Lele Mora, presente anche Algen Nikolla, fidanzato di Naike.

Il quale pare non aver gradito—annotano le cronache di Chi — e dopo che l’ex banchiere e l’attrice si erano appartati nel privé ha guadagnato l’uscita rientrando a casa con il primo volo. (Si è perduto i giochini del giorno dopo: a villa Mora abbracci, carezze rubate, sguardi complici). Della memorabile notte rimane qualche immagine: Fiorani con Naike sulle ginocchia. Silvio Berlusconi e le cinque «stagiste» sorpresi in primavera a villa Certosa hanno fatto scuola.

E la moglie? La signora Gloria Fiorani Sangalli non si è vista né fatta sentire. Già dopo l’arresto (dicembre 2005) aveva misurato le parole: «Non riesco a perdonarlo. La sua colpa? Essere finanziariamente troppo svelto». I gossip della Costa riferiscono di un Fiorani dichiaratamente single; a un dopocena nella villa di Lele Mora, si sussurrava: «Lui dice che lei lo ha lasciato». Le notti allegre hanno comunque ritemprato Fiorani: non è più cupo, silenzioso né depresso. Associazione a delinquere, aggiotaggio, truffa? «Ne uscirà» è la parola d’ordine del clan Mora: ognuno pensa ai suoi guai. Nei momenti di relax sta a Villa Alberta, due piani, immersa fra ginepri, cisto e lentischio, sulla collina che degrada verso il campo di golf del Pevero e si affaccia sulla baia di Cala di Volpe, sullo sfondo l’isola di Tavolara.

La villa—valore più di 5 milioni: pagati parte in nero e parte con un mutuo concesso dalla Popolare di Lodi quando Fiorani era già in carcere — è fra le proprietà acquistate con fondi del conto cifrato Gattuccio e di società (Giorni Sereni, Immobiliare finanziaria lodigiana) finite nel mirino dei magistrati, controllate da prestanome e poi amministrate anche dalla signora Gloria: ma Fiorani l’ha blindata, insieme con appartamenti, box e ville in campagna a Lodi, in un fondo superprotetto e qualche mese fa ha ceduto tutto al più grande dei tre figli, Matteo, che aveva appena compiuto 18 anni. Ma a Villa Alberta spesso le luci sono spente, Gianpiero Fiorani ci sta pochissimo.

È quasi sempre ospite di Lele Mora, nella megavilla di Cala Granu: «Adora cantare, è bravo, ama Gino Paoli, la Pausini e Renato Zero — così Mora parla dell’amico —, lo conosco da 10 anni, che male c’è se si fa un po’ di sana baldoria?». Giovedì scorso inconsueto show sui sofà bianchissimi dell’anfitrione Lele. Tutti davanti a un megaschermo tv, in diretta Fabrizio Corona a Matrix parlava di Vallettopoli. Alla fine un brindisi (proprio Fiorani ha stappato una bottiglia di Porto) e un applauso: «Bravo Fabrizio».

Alberto Pinna
04 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: berlusconismo diffuso... Pollari si difende: Mai svolte attività non consentite
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2007, 12:17:04 pm
CRONACA

Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull'attività di spionaggio sui giudici

"Il Sismi ha svolto un'attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità"

Toghe spiate, Csm contro il Sismi

"Fu il servizio e non i settori deviati"

Monitorati quasi tutti i giudici di Milano e anche qualche straniero

Pollari si difende: "Mai svolte attività non consentite"


ROMA - E' stato il Sismi e non i "settori deviati" del servizio a svolgere l'attività di spionaggio nei confronti di magistrati che è venuta alla luce con la scoperta dell'archivio di via Nazionale a Roma. Ad affermarlo è una risoluzione approvata all'unanimità dal Plenum del Csm. Secondo il Consiglio superiore della magistratura il Sismi ha svolto un'attività "estranea" ai suoi compiti con lo scopo "intimidire" e far "perdere credibilità " ai magistrati.

La risoluzione del Csm arriva dopo le dichiarazioni dell'ex funzionario Pio Pompa che aveva voluto sminuire l'importanza dell'archivio. "La quasi totalità del materiale sequestrato nei miei pc personali - aveva scritto nella dichiarazione spontanea consegnata ieri pomeriggio al pm Pietro Saviotti - proviene da fonti aperte (internet, organi di informazioni, etc.). Le informazioni contenute nei files attinenti a magistrati sono tutte, ribadisco tutte, di fonte pubblica, giornalistica o informatica".

Per il Csm, l'opera di intelligence nei confronti delle toghe invece "si è concretizzata non solo nella raccolta e nella schedatura di materiali noti o comunque pubblici, ma anche in un capillare monitoraggio delle attività dei movimenti e della corrispondenza informatica di magistrati, mediante forme di osservazione diretta o a opera di terzi non individuati". Non solo. Il documento del Csm sottolinea: "Sono stati posti in essere dal Sismi specifici interventi tesi a ostacolare e contrastare l'attività professionale o politico culturale dei magistrati e delle loro associazioni".

In particolare, scrive al riguardo il relatore della risoluzione, Fabio Roia, l'attività di intelligence da parte del Sismi - "che si è protratta in modo capillare e continuativo, fino al settembre 2003 e in modo saltuario fino al maggio 2006" - "fu oggetto di ripetute informazioni al direttore del servizio e sembra quindi riferibile al Sismi in quanto tale e non a suoi settori deviati come conferma del resto nella memoria depositata alla procura di Milano il 7 luglio del 2006 il coordinatore di questa attività, Pio Pompa".

Infine, a preoccupare il Consiglio superiore della magistratura è anche il fatto che l'opera di intelligence nei confronti di magistrati "si è talora svolta con la partecipazione o l'ausilio di appartenenti all'ordine giudiziario".

Il rapporto del Csm. Da quanto emerge dalla risoluzione, quasi l'intera procura di Milano, 10 tra consiglieri in carica ed ex del Csm, due ex presidenti dell'Anm e 203 giudici di 12 Paesi europei (di cui 47 italiani) sono citati nell'archivio segreto di via Nazionale. I nomi di alcuni di loro (è il caso dei 203) compaiono in elenchi; mentre per altri ci sono schede che danno conto sopratutto dei rapporti intrattenuti con autorità politiche: è il caso di dei pm milanesi Armando Spataro e Stefano Dambruoso e di Domenico Gallo. Spiati anche magistrati di Torino, Roma e Palermo. Una scheda è dedicata a Emmanuel Barbe, magistrato francese di collegamento presso il ministero della Giustizia. Si parla tra l'altro dei suoi legami con Violante, Di Pietro, Caselli, Bruti Liberati e Ignazio Patrone, allora presidente di Medel e segretario di Magistratura democratica.

A quanto riferisce l'Ansa, ai magistrati delle sedi giudiziarie di Milano, Torino, Roma e Napoli si fa riferimento in appunti risalenti alla primavera-estate del 2001 riguardanti un "progetto di osservazione e intervento del Sismi su settori della magistratura definiti 'portatori di pensieri e strategie destabilizzanti e vicini ai partiti della passata maggioranza'". L'obiettivo era la "neutralizzazione di iniziative politico-giudiziarie , riferite direttamente a esponenti dell'attuale maggioranza di governo e di loro familiari (anche attraverso l'adozione di provvedimenti traumatici su singoli soggetti)".

La gran parte dei nomi dei pm milanesi (alcuni sono ancora in procura mentre altri c'erano all'epoca delle informative) compaiono in elenchi e schede di magistrati qualificati come "aree di sensibilità da sottoporre a osservazione e interventi di contrasto e dissuasione": ci sono Borrelli, Davigo, Boccassini, Greco, Taddei, Ichino Carnevali, D'Ambrosio e Colombo (i cui nomi compaiono anche sotto la voce "supporters e/o braccio armato"); e anche De Pasquale, Napoleoni e Bruti Liberati, che è uno degli ex presidenti dell'Anm (l'altro citato per strategia antigovernativa ma su cui c'è solo un articolo del "Giornale" è Elena Paciotti).

Nell'elenco delle toghe da sottoporre a osservazione ci sono anche i magistrati di Palermo Ingroia, Natoli, Principato e Sabella; quelli di Torino Caselli e Perduca; e di Roma Almerighi e Salvi. Ma ci sono pure Casson (allora pm a Venezia) e i due fratelli Mancuso ( uno in servizio a Napoli e l'altro a Bologna).

I consiglieri del Csm citati sono soprattutto delle passate consiliature ( dell'attuale sono solo due Cesqui e Pepino, mentre tra i "vecchi" c'è l'attuale capo dell'Organizzazione giudiziaria di via Arenula Claudio Castelli)e la gran parte di loro è oggetto di attenzione per la loro appartenenza alla corrente di Magistratura democratica e a all'associazione europea di magistrati Medel (a cui Md aderisce) e che viene definita "il deus ex machina del movimento internazionale dei magistrati militanti". Su Medel ci sono elenchi di tutte le organizzazioni e dei singoli magistrati che ne fanno parte: il più ricco del 2001 comprende 203 magistrati con relativi indirizzi di posta elettronica di 12 Paesi.

Ma c'è anche un monitoraggio capillare delle attività e dei contatti e dei documenti dell'organizzazione, che avviene- sottolinea la risoluzione del Csm- "anche attraverso l'analisi dettagliata dei messaggi di posta elettronica diffusi nella lista (di carattere interno) dell'associazione".

Pollari si difende. In serata una reazione del'ex direttore dei servizi, in esclusiva al Tg5: "Dal Sismi mai svolte attività non consentite. Si tratta di conclusioni ingiuste. Ho sempre mantenuto una linea di doveroso riserbo per rispetto della funzione che ho svolto e delle responsabilità che me ne derivano, anche oggi. Mi sono imposto in questo caso una deroga, non al fine di difendere me stesso, ma per il fatto -ha aggiunto- che le conclusioni cui è pervenuto oggi il Consiglio superiore della magistratura, secondo quanto divulgato dagli organi di informazione, investono ingiustamente l'istituzione Sismi".

"Il Sismi da me diretto - ha proseguito Pollari - in un periodo di guerre, si è occupato di evitare attentati in Italia o contro obiettivi italiani, di salvare vite umane".
"Non esiste - ha scandito - nè in via Nazionale, nè in altro luogo alcun archivio del Sismi che contenga dossier illeciti nei confronti di chiunque, nè esiste alcun documento da utilizzare a fini intimidatori nei confronti di chicchessia". I file in questione, ha aggiunto, "rinvenuti nei computer personali del dottor Pompa, che aveva funzioni di analista di fonti aperte, specie di analista internet, recano documentazione sua personale. Si tratta, peraltro, per quanto mi è dato di conoscere, di dati e notizie di fonti giornalistiche, attinti dai giornali, libri e siti internet, aperti e disponibili per chiunque legga o navighi nel web. Mai tali atti e documenti sono stati trasmessi al servizio o sono stati utilizzati in alcun modo dal Sismi".

Le reazioni. Titta Madia, avvocato dell'ex capo dei servizi Pollari e di Pompa, ha criticato l'iniziativa del Csm: "Il processo è appena iniziato, la presunzione di innocenza dovrebbe valere anche per i magistrati". A stretto giro di posta, gli ha risposto il vicepresidente Mancino: "Nessuna sentenza, ma non potevamo stare zitti".

Per il vicepresidente del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti Massimo Brutti (Ds) "ora ci vorrebbe un pronunciamento del Copaco". Il Copaco, spiega Brutti, "ha il compito di esercitare il massimo del controllo su questa nuova fase. Il governo, da parte sua, ha il dovere di fare pulizia". Secondo il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro i rilievi del Csm nei confronti del Sismi dimostrano che "la magistratura viene messa sotto scacco dai poteri forti".

Critico invece verso il Csm il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto: "La pronuncia sul Sismi è molto singolare e conferma l'organica deviazione di questa struttura che dovrebbe esprimere l'autogoverno dei giudici ma che da tempo travalica il suo ruolo costituzionale". Il senatore di An Alfredo Mantovano sottolinea la gravità del momento scelto dal Csm per rendere pubbliche le proprie contestazioni.

(4 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Notizie dal PAESE dei BERLUSCHINI...
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:34:38 pm


PERSONAGGI

Bossi, il figlio a Palazzo con il placet di Silvio

Renzo erede designato ha già conquistato il premier: Umberto porta ai vertici il tuo angelo custode



ROMA — Proprio nei giorni in cui Kim Jong Il si eclissa da Pyongyang, un altro figlio di un capo assoluto si manifesta a Roma. Renzo Bossi è tornato l'altra sera, per la seconda volta in due settimane, a palazzo Grazioli, dove con cinque ministri e i capigruppo del Pdl ha partecipato al vertice sul federalismo tra Bossi (Umberto) e Berlusconi. Ieri il prediletto ha accompagnato il padre pure a palazzo Chigi, ed era al suo fianco quando il Senatur, all'uscita del Consiglio dei ministri, ha salutato a pugno alzato in segno di vittoria.
Bossi quindi non scherzava affatto nel marzo 2005, nella prima intervista a un anno dalla malattia. Parlando di Renzo, disse che «quando passerò la mano, non certo adesso, qualcosa di me resterà. La mia famiglia resterà al servizio della Lega. Avanti, sino alla Padania». La predizione suscitò parecchie gelosie. Il primogenito di Bossi, Riccardo, si lamentò: «E io? Anche io sono attratto dalla politica — disse a Gian Antonio Stella del Corriere —. Ho due modelli: papà e Napoleone ». I colonnelli leghisti in pubblico elogiarono l'erede e in privato protestarono. Bossi ripeté che l'indicazione valeva per un futuro remoto: a lungo avrebbe comandato ancora lui. E ci fu anche chi tacque ma capì di essere tra i destinatari del messaggio, e si mosse di conseguenza.

Silvio Berlusconi non è affatto contrariato dalla presenza di Renzo accanto al padre. Anzi, la sollecita. «Umberto, porta anche tuo figlio, dai!». Il premier capisce che la successione dinastica è un modo per affermare l'indipendenza della Lega: sul Carroccio Berlusconi non metterà le mani. Può sperare però di legarlo a sé anche nelle prossime generazioni. Il Cavaliere sa che Renzo non ha soltanto un effetto benefico sul padre; la sua parola comincia a essere ascoltata. Meglio quindi avere il ragazzo dalla propria parte, farlo sentire importante, guadagnarsene la simpatia. Tra l'altro, è coetaneo — vent'anni — di Luigi Berlusconi, con cui divide la passione per i motori (entrambi vanno spesso a correre all'autodromo di Monza).

«Eccolo, l'angelo custode che veglia su di te» disse il Cavaliere a Bossi quando, il 16 novembre 2005, Renzo venne al Senato con i fratelli Roberto Libertà e Sirio Eridanio e la madre Manuela Marrone — prima signora della Lega, e qualcosa di più — ad assistere al voto sulla devolution. Il battesimo era avvenuto qualche mese prima, quando l'allora minorenne Renzo si era affacciato dalla finestra di casa Cattaneo, a Lugano, urlando: «Padania libera!». Se come giocatore di basket non è andato oltre il Valcuvia di Cuveglio, come segretario generale della nazionale padana di calcio è campione del mondo in carica: i suoi atleti hanno dominato il torneo in Lapponia riservato alle nazioni mancate. Ora gli verrà delegato il rito dell'ampolla, lo sposalizio con il Dio Po, dal Monviso alla Laguna veneta. Il 28 agosto scorso, la prima volta a palazzo Grazioli. Gelosissimo, il fratello maggiore Riccardo commentò: «Speriamo che abbia capito cosa si sono detti nostro padre e Berlusconi. E comunque, io sono stato anche ad Arcore!».

Bossi lo ama al punto da polemizzare con l'intero corpo docente di origine meridionale, prima ancora della detestata Gelmini, quando Renzo fu bocciato — «per il secondo anno di fila!» fece notare perfidamente all'Ansa il senatore del Pd Antonio Rusconi — all'esame di maturità, nonostante avesse preparato una tesina dall'impegnativo titolo Carlo Cattaneo e la valorizzazione romantica dell'appartenenza delle identità. Chi l'ha scritta?, gli chiesero. «Mi sono ispirato ai libri di Cattaneo e di Gianfranco Miglio» fu la risposta. Il fratello maggiore Riccardo, sempre più geloso, infierì: «Strano. Alla biblioteca della Camera nei primi mesi della legislatura non risultano libri chiesti dalla Lega. Prima dell'esame di mio fratello, però, qualcuno ha voluto gli scritti di Miglio e di Cattaneo... ». Commentò La Stampa: «È possibile che tra i compiti dei parlamentari leghisti ci sia pure quello di scrivere la tesina al figlio del capo».

Non è andata senz'altro così, ma anche la svogliatezza scolastica è un tratto di famiglia: il Senatur ha festeggiato per tre volte una laurea mai presa. Il tempo e il male non ne hanno intaccato il carisma, anzi: vedendolo avanzare in Transatlantico con il passo incerto e lo sguardo duro, un parlamentare di buone letture l'ha accostato al generale Dumesnil, amputato a Wagram ma mai domo, al punto da gridare ai prussiani che lo assediavano a Vincennes, alle porte di Parigi: «Vi renderò questo castello quando voi mi renderete la mia gamba!». Ecco, il problema di uomini così è che di rado lasciano veri eredi. Ma questo non frena le decine di leghiste che lasciano messaggi nella sua pagina di Facebook: «Renzo, sei bellissimo; sposami!».

Aldo Cazzullo
12 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: GIANCARLO DOTTO Tintinnar di manette
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:35:39 pm
12/9/2008
 
Tintinnar di manette
 
 

GIANCARLO DOTTO

 
Ricetta infallibile. Manette (e gogna) agli ultras di ogni tipo, a quelli del sesso a pagamento sulle strade e a quelli della violenza gratuita negli stadi. Gli uni e gli altri liquidati come scarto sociale, delinquenti da mettere al bando. Vecchia storia. La politica che mostra i muscoli confessa pubblicamente due cose, il suo fallimento strategico oltre che il suo deficit intellettuale. Ovvero, l’incapacità di meditare sul tema. Se poi a mostrare i muscoli non è Ignazio La Russa ma Antonio Matarrese, l’effetto esilarante è garantito. Da tempo i comizi di Tonino surclassano quelli di Totò in quanto a comicità. La gente fa la fila come al cabaret. Nella smania di mostrarsi più duro del duro Maroni, il presidente della Lega stavolta ha esagerato.

Matarrese ha detto: «Se necessario mettiamo delle celle negli stadi. O siamo forti o ci arrendiamo, noi non ci arrendiamo». Attorno a lui, tutto un darsi di gomito e di risatine, a cominciare dallo stupefatto Roberto Maroni che, fino a un attimo prima, era convinto di essersi seduto a un tavolo istituzionale.

Tonino a parte, il clima che si respira oggi un po’ ovunque è questo: bastonare uguale semplificare. Gli stadi non sono ancora sicuri? Lungo i marciapiedi dilaga il vizio? Chiudere gli stadi, perimetrare i marciapiedi. Totale sintonia tra Mara, intesa come Carfagna, e Maroni. Matarrese a parte, non sono al sicuro nemmeno i comici. Ritornano divise, pagelle e insegnanti unici. A quando il ripristino della censura al cinema per decreto regio? Il modello politico imperante è Giorgio Bracardi in versione Catenacci: tutti in galera!
Se la politica è occupata a bastonare e ad amputare, proviamo noi a ragionare. E a distinguere. Meretricio e violenza. Nel primo caso c’è la pena, ma non esiste il delitto. Nel secondo c’è il delitto, ma non si capisce bene quale sia la pena. Si chiamavano cortigiane e poi lucciole, puttane, prostitute, ma quella del sesso mercenario è storia che va avanti da millenni. Dalla legge Merlin ai giorni nostri è tutta una pirotecnica di proposte, uno strepitare di proclami, purché nulla accada. Incapaci di regolamentare e di educare, non ci resta che stroncare. Stroncare il racket? No, criminalizzare il cliente. Si alza la voce per negare il problema. Tutti in galera! Ottimo. Riapriamo allora i bordelli? C’inventiamo i quartieri a luci rosse, recintiamo l’orrida pulsione? Macché. Zero.

Si finge di non sapere che appiccicare la lettera scarlatta a prostitute e clienti è solo un modo per fuorviare la meditazione sulla donna offesa. La donna che si prostituisce forse, ma anche quella spesso degradata a macchina di riproduzione, umiliata a schiava del sesso, condizione sancita e prescritta dall’alibi di un contratto matrimoniale.

E ancora. Sono davvero tutti patologici gravi i nove milioni d’italiani che, secondo i dati forniti dallo stesso dipartimento delle Pari Opportunità, il ministero della Carfagna, cercano sesso a pagamento? La Mara si sente certo bene quando si dice dentro il suo impeccabile tailleur: «Come donna le case chiuse mi fanno rabbrividire...». Fosse per lei, avrebbe schiaffato in galera miliardi di malafemmine e di uomini depravati, inclusi Baudelaire, Picasso e Simenon, per non parlare di Fellini. Più illuminata di Solone, che istituì le prime case di piacere ad Atene, e di Camillo Benso conte di Cavour, che per arruffianarsi i francesi autorizzò le prime case di tolleranza in Italia. Dovere di un ministro è identificarsi con i suoi cittadini. Ha mai provato la leggiadra Mara a identificarsi con il ripugnante settantenne ancora sessualmente vispo, disgrazia sua, anche perché, dalla farmacia oggi gli passano di tutto, tra Viagra e Cialis, e nelle promozioni televisive gli spiegano che la vecchiaia non esiste, che è un pregiudizio e lui poveraccio ci crede?

Ancora scorciatoie. Blindare gli stadi, vietare le trasferte, risultato garantito. Ma a che prezzo? E quale la prospettiva? Vincenzo Paparelli fu trapassato da un razzo ostile il 28 ottobre del 1979, quasi trent’anni fa. Una vita. Da allora, solo la spettacolare resa delle istituzioni rispetto a un fenomeno che si poteva e si doveva controllare. Solo polizia e muro contro muro. Lo Stato che fa concorrenza al teppista, nella sfida del «odia il prossimo tuo almeno quanto odi te stesso».


da lastampa.it


Titolo: MARIO DEAGLIO Alitalia, un boccone amaro
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:36:30 pm
12/9/2008
 
Alitalia, un boccone amaro
 
 
 
 
 
MARIO DEAGLIO
 
C’è qualcosa di più del crepuscolo, si spera definitivo, della vecchia Alitalia nel trascinarsi delle trattative tra governo, azienda e sindacato in un clima nervoso, pieno di malessere e rancori, con qualche tensione con la polizia e gli ennesimi disservizi a Fiumicino: un Paese che ha tranquillamente accettato l’eclissi dell’Olivetti, e altrettanto tranquillamente è di fatto uscito da settori strategici come la chimica e la farmaceutica, che non ha capito il valore economico e sociale rappresentato dalle proprie grandi imprese non può ora piangere su una delle peggio gestite tra queste, della quale resterà poco più che il nome (e forse bisognerebbe cambiare anche quello).

I «diritti acquisiti» dei dipendenti Alitalia vanno certamente salvaguardati e va fatto ogni sforzo per trovare nuove occasioni di impiego per i lavoratori in eccesso; non si può però subordinare una trasformazione strutturale, della portata necessaria a risolvere il nodo Alitalia, alla sistemazione prioritaria, in ambito aziendale, di tali diritti e di tali occasioni.
Occorre domandarsi se il trattamento da riservare ai lavoratori colpiti da questa grave crisi aziendale debba essere migliore di quello della generalità dei lavoratori delle imprese in difficoltà.

O se il problema non debba invece essere affrontato in termini più generali, con la revisione delle «reti di sicurezza» per chi rischia di trovarsi privo del posto di lavoro.
Quello che sta tramontando non è solo il relitto della «compagnia di bandiera», bensì l’intero sistema di relazioni industriali. Sta terminando, in un orizzonte europeo perturbato - sullo sfondo non solo dell’attuale stagnazione italiana, ma di una possibile crisi europea e mondiale - il modo tradizionale di concepire il cambiamento industriale, di gestire le strategie delle imprese in difficoltà specie nel settore pubblico (o comunque nei servizi pubblici). Le procedure tradizionali hanno avuto i loro successi ma, in un quadro di interdipendenza globale, sono senz’altro superate.

In questo contesto, è in particolare il sindacato a doversi interrogare sulla gestione specifica di questa vicenda, nella quale proprio il «no» sindacale alla soluzione Air France, che avrebbe garantito una certa continuità aziendale, è stato determinante per il fallimento del progetto del governo Prodi. La parola «autocritica» è certo passata di moda, sia in politica sia nel mondo dell’economia, ma in ogni caso, quando tutto sarà terminato, è opportuno che proprio il sindacato dia inizio a un riesame spassionato - che deve coinvolgere anche governo e parti sociali - del proprio ruolo in questa vicenda con l’intento di contribuire a un miglior sistema di governo delle imprese di servizio pubblico.

In tempi molto più brevi, mondo del lavoro e mondo della politica si trovano di fronte al piano industriale messo a punto dalla «cordata» di imprenditori intenzionata a rilevare quanto di economicamente valido rimane dell’Alitalia. Quando si lasciano colpevolmente partire tutti gli autobus, non rimane che prendere l’ultimo, anche se i sedili non sono comodi e se occorre sperare che non si rompa per strada, lasciando tutti a piedi. È vero, come ha detto un rappresentate sindacale, che oggi la scelta è «o mangiare questa minestra o saltare dalla finestra», ma quando si poteva scegliere tra più minestre, il mondo sindacale non l’ha fatto.

Di questo piano industriale si può dire che esso appare ragionevole dati i pesantissimi vincoli di partenza; che l’articolazione della nuova Alitalia in sei sedi differenziate costituisce una netta rottura con il passato, necessaria proprio perché la cultura «romana» della vecchia compagnia si è tradotta in un’organizzazione particolarmente costosa e inefficiente; che è probabilmente vero che, per le finanze pubbliche e dal punto di vista sociale, la sua attuazione comporterà costi inferiori a quelli che deriverebbero dall’attuale assenza di qualsiasi altra alternativa. È in particolare apprezzabile la prospettiva di riuscire a riannodare, in un periodo di tempo relativamente breve, discorsi di collaborazione e partecipazione con grandi compagnie estere, senza i quali la vita della nuova Alitalia sarebbe comunque sempre risicata e vulnerabile a eventi esterni, come le variazioni del prezzo del petrolio, che incidono sensibilmente su questo settore.

Ci si deve augurare, insomma, che l’accordo si trovi e che la nuova Alitalia finalmente nasca; ma, per favore, risparmiateci la retorica e il trionfalismo. Ricordiamo che si sta trangugiando un boccone molto amaro che sancisce un declassamento del Paese, nella speranza che ne derivino prospettive migliori.

mario.deaglio@unito.it 


da lastampa.it


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Voli & SPRECHI: Il volo Roma-Albenga e i soggiorni degli equipaggi al Lido di Venezia

Trucchi e segreti della casta volante

Politici, manager, calciatori. La saga della compagnia. Anche una commissione a 8 per scegliere i nomi degli aerei


ROMA — C'era una volta una compagnia aerea che perdeva 25 mila euro l'anno per ognuno dei suoi dipendenti. Che aveva 5 (cinque) aerei cargo sui quali si alternavano 135 (centotrentacinque) piloti. Che arrivò ad avere un consiglio di amministrazione composto di 17 poltrone: tre per i sindacalisti e una assegnata, chissà perché, al Provveditore generale dello Stato, l'uomo incaricato di comprare le matite, le lampadine e le sedie dei ministeri.

Che istituì perfino una commissione di otto persone per decidere i nomi da dare agli aeroplani: e si possono immaginare i dibattiti fra i sostenitori di Caravaggio e quelli di Agnolo Bronzino. Che in vent'anni cambiò dieci capi azienda, nessuno uscito di scena alla scadenza naturale del suo mandato. E che negli ultimi dieci anni ha scavato una voragine di tre miliardi chiudendo un solo bilancio in utile, ma unicamente grazie a una gigantesca penale che i preveggenti olandesi della Klm preferirono pagare pur di liberarsi dal suo abbraccio mortale.

C'era una volta, appunto. Perché una cosa sola, mentre scade l'ultimatum di Augusto Fantozzi, è certa: quella Alitalia lì non c'è più. La corsa disperata di cui parlò Tommaso Padoa-Schioppa quando ancora confidava di poter passare la patata bollente ad Air France, dicendo di sentirsi come «il guidatore di un'ambulanza che sta correndo per portare il malato nell'unica clinica che si è dichiarata diposta ad accettarlo», è comunque finita. E con quell'ultimo viaggio, fallito in modo drammatico, si è chiusa un'epoca. Con un solo rammarico: che la parola fine doveva essere scritta molti anni prima. Se soltanto i politici l'avessero voluto.

Già, i politici. Ricordate Giuseppe Bonomi? Politico forse sui generis, leghista e oggi presidente della Sea, ora ha chiesto all'Alitalia 1,2 miliardi di euro di danni perché la compagnia ha deciso di lasciare l'aeroporto di Malpensa. Anche lui è stato presidente dell'Alitalia: durante la sua presidenza la compagnia prossima ad essere «tecnicamente in bancarotta», per usare le parole del capo della Emirates, Ahmed bin Saeed Al-Maktoum, sponsorizzò generosamente i concorsi ippici di Assago e piazza di Siena. Alle quali Bonomi, provetto cavallerizzo, partecipò come concorrente. Ma senza portare a casa una medaglia. Ritorno d'immagine? Boh.

E ricordate Luigi Martini? Ex calciatore della Lazio, protagonista dello storico scudetto del 1974, chiusa la carriera sportiva diventò pilota dell'Alitalia. Poi parlamentare e responsabile trasporti di Alleanza nazionale: ma senza smettere mai di volare. Per conservare il brevetto gli fu concesso di mantenere anche grado e stipendio. Faceva tre decolli e tre atterraggi ogni 90 giorni, quando gli impegni politici lo consentivano, pilotando aerei di linea con 160 passeggeri a bordo. Inconsapevoli, probabilmente, che alla cloche c'era nientemeno che un parlamentare in carica. Questa sì che era degna di chiamarsi italianità. In quale altro Paese sarebbe stato possibile?

Domanda legittima anche a proposito di quello che accadde nel 2002, quando con la benedizione di Claudio Scajola venne istituita una linea quotidiana Alitalia fra Fiumicino e Villanova D'Albenga, collegio elettorale dell'allora ministro dell'Interno. Numero massimo di passeggeri, denunciò il rifondarolo Luigi Malabarba, diciotto. Dimesso il ministro, fu dimessa anche la linea. Ripristinato il ministro, come responsabile dell'Attuazione del programma, fu ripristinato pure il volo: in quel caso da Air One, con contributi pubblici. Volo successivamente abolito dopo la fine del precedente governo Berlusconi e quindi ora, si legge sui giornali, riesumato per la terza volta.

Ma politici e flap in Italia hanno sempre rappresentato un connubio spettacolare. Lo sapevano bene i 9 sindacati dell'Alitalia, che non a caso nei momenti critici, ha raccontato al Corriere Luigi Angeletti, regolarmente pretendevano di avere al tavolo il governo, delegittimando la controparte naturale, cioè l'amministratore delegato. E i ministri regolarmente si calavano le braghe. Forse questo spiega perché mentre tutte le compagnie straniere, alle prese con le crisi, tagliavano il personale e riducevano i costi, all'Alitalia accadeva il contrario.

Nel 1991, dopo la guerra del Golfo, si decisero 2.600 prepensionamenti. Poi arrivò Roberto Schisano, che diede un'altra strizzatina, e i dipendenti scesero nel 1995 a 19.366. Armato di buone intenzioni, Domenico Cempella nel 1996 li portò a 18.850. Nel 1998 però erano già risaliti a 19.683. L'anno dopo a 20.770. E nel 2001, l'anno dell'attentato alle Torri gemelle di New York, si arrivò a 23.478. Poi ci si stupì che per 14 anni, fino al 1999, fosse stato tenuto in vita a Città del Messico, come denunciò l'Espresso, un ufficio dell'Alitalia con 15 dipendenti, nonostante gli aerei avessero smesso di atterrare lì nel lontano 1985. Come ci si stupì che gli equipaggi in transito a Venezia venissero fatti alloggiare nel lussuoso Hotel Des Bains del Lido, con trasferimento in motoscafo. O che per un intero anno (il 2005) la compagnia avesse preso in affitto 600 stanze d'albergo, quasi sempre vuote, nei dintorni dell'aeroporto, per gli equipaggi composti da dipendenti con residenza a Roma ma luogo di lavoro a Malpensa. Per non parlare della guerra sui lettini per il riposo del personale di bordo montati sui Jumbo, al termine della quale 350 piloti portarono a casa una indennità di 1.800 euro al mese anche se il lettino loro ce l'avevano. O dell'incredibile numero di dipendenti all'ufficio paghe del personale navigante, che aveva raggiunto 89 unità. Incredibile soltanto per chi non sa che gli stipendi arrivavano a contare 505 voci diverse.

Tutto questo ora appartiene al passato. Prossimo o remoto, comunque al passato. Della futura Alitalia, per ora, si conosce soltanto il promotore: Compagnia aerea italiana, Cai, stesso acronimo di un'altra Cai, la Compagnia aeronautica italiana, la società che gestisce la flotta dei servizi segreti. E le cui azioni, per una curiosa e assolutamente casuale coincidenza, sono custodite nella SanPaolo fiduciaria, del gruppo bancario Intesa SanPaolo, lo stesso che supporta la cordata italiana per l'Alitalia.

Sergio Rizzo
12 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Istat, produzione industriale in calo E' il terzo ribasso da maggio
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:37:28 pm
ECONOMIA   

Istat, produzione industriale in calo

E' il terzo ribasso da maggio


ROMA - La produzione industriale ha registrato un calo dell'1,1% congiunturale a luglio e dello 0,6% tendenziale. Lo comunica Istat, segnalando che in sette mesi la produzione industriale ha accumulato una diminuzione dell'1,4% rispetto al 2007. Si tratta del terzo calo consecutivo da maggio.

Nel confronto con luglio 2007, gli indici della produzione industriale corretti per i giorni lavorativi relativo ai raggruppamenti principali di industrie hanno segnato tutti variazioni negative: 3,9% i beni intermedi, 3,3% i beni strumentali, 2,9% l'energia e 2,3% i beni di consumo (- 2,4% i beni non durevoli, - 2,0% i beni durevoli). Nel mese di luglio 2008 l'indice della produzione industriale corretto per i giorni lavorativi ha segnato variazioni positive solo nel settore degli alimentari, bevande e tabacco (+0,1%). Le diminuzioni più marcate hanno riguardato i settori delle raffinerie di petrolio (-12,5%), delle pelli e calzature (- 12,3%), dei minerali non metalliferi (-7,6%) e del legno e prodotti in legno (-7,6%).

(12 settembre 2008)


Titolo: Flop per lo «sportello Biagi», solo 32 occupati. Spesi 4 milioni di euro
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:38:48 pm
I sindacati: «Subito un incontro in Comune per il nuovo progetto»

Flop per lo «sportello Biagi», solo 32 occupati

Fallito il progetto che doveva dare lavoro ai milanesi più sfortunati.

Dopo tre anni l'esperienza si è chiusa. Spesi 4 milioni di euro 
 
Tre anni per trovare lavoro a 32 persone.


E il tutto spendendo quattro milioni di euro dei sette stanziati. Gli sportelli Marco Biagi dovevano dare uno stipendio ai milanesi più sfortunati. Quelli a cui la città del lavoro volta le spalle: ultracinquantenni licenziati, disoccupati da almeno un anno, persone sole con figli a carico ma senza un impiego. Dopo tre anni l'esperienza si è chiusa. In modo deludente. Gli «sportelli Marco Biagi» non esistono più. Le vetrofanie con il nome del giuslavorista ucciso dalle nuove Brigate rosse sono state tolte nel marzo scorso dalle sedi di via Savona e via Satta, a Quarto Oggiaro.
La sperimentazione era stata lanciata esattamente tre anni prima — il 14 marzo 2005 — dal sindaco Gabriele Albertini. «Con gli sportelli Marco Biagi ancora una volta Milano si conferma sede dell'innovazione in materia di lavoro — disse l'allora ministro del Lavoro, Roberto Maroni —, vogliamo replicare questa soluzione in altre regioni ». Nella sostanza l'obiettivo era ricollocare a tempo indeterminato 500 disoccupati «difficili» e coinvolgerne in progetti di riqualificazione altri 4.500. Il tutto con l'aiuto di sette agenzie per il lavoro (società private autorizzate dal ministero del Lavoro a intermediare manodopera) selezionate tramite concorso.
Le cose sono andate diversamente. Alla fine dei sette miliardi stanziati (5 e mezzo dal ministero del Lavoro e 2 dalla regione Lombardia) ne sono stati spesi poco meno di quattro. I soldi sono serviti a pagare le strutture, le agenzie del lavoro, i dipendenti del Comune. Ma anche a dare 400 euro al mese ai lavoratori coinvolti nel progetto in cambio della disponibilità a seguire corsi formazione. Al momento di tirare le somme, però, solo 32 hanno conquistato il posto fisso grazie agli sportelli. Gli altri (circa 2.300 persone) si sono dovuti accontentare nella migliore delle ipotesi di qualche contratto a termine. E il tutto in una città dove il tasso di disoccupazione è da anni sotto la soglia fisiologica del 4 per cento. E in cui ogni anno le agenzie del lavoro in affitto trattano un centinaio di migliaia di curriculum.
Da alcuni mesi sindacato e Comune discutono di un nuovo progetto su cui dovrebbero essere investiti i soldi non spesi dagli sportelli Marco Biagi (circa un milione e mezzo di euro). Si tratterebbe di una rete di sportelli in grado di orientare i milanesi nel vasto mondo dei servizi forniti dal Comune. «L'esperienza degli sportelli Marco Biagi è stata quantomeno deludente — valuta Antonio Lareno, segretario della Cgil che partecipa alla trattativa sulla sulla loro riconversione —. Il 23 settembre è previsto un incontro in Comune per mettere a punto il nuovo progetto. È forse l'ultima opportunità per dimostrare che questa città è in grado di produrre iniziative utili per i cittadini».

 
Rita Querzé
12 settembre 2008

da corriere.it/vivimilano


Titolo: Perquisita redazione dell'Espresso
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:39:46 pm
Fnsi: «Cè la volontà di affievolire la capacità di ricerca della verità»

Perquisita redazione dell'Espresso

Guardia di Finanza anche nelle abitazioni dei due giornalisti che si sono occupati dell'immondizia a Napoli



ROMA - La Guardia di finanza di Napoli ha perquisito la redazione de "L'Espresso" e le abitazioni e il luogo di lavoro dei giornalisti dell'Espresso Gianluca De Feo ed Emiliano Fittipaldi. I redattori del settimanale si sono occupati dello smaltimento dei rifiuti in Campania.

FNSI: «INACCETTABILE» - «È davvero inaccettabile» ha sottolineato il Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi. «Comprendiamo che l'attività della magistratura sia in questa fase in una situazione delicata ma non possiamo accettare che l'attività giornalistica di inchiesta venga trattata come fosse illegale e sotto tutela. Ci pare che fin troppo chiaro - ha proseguito Siddi - il tentativo di affievolire la capacità di ricerca della verità da parte dei giornalisti. Sono ormai, infatti, troppi in questi mesi gli interventi sui colleghi e sulle redazioni. Abbiamo immediatamente chiamato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per esprimergli tutto il nostro disappunto sull'accaduto e per chiedergli un incontro urgente».


12 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Indagine Acli: gli italiani sempre più poveri
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:40:58 pm
Indagine Acli: gli italiani sempre più poveri


Sempre più poveri. Sempre più in condizione di incertezza sociale. Negli ultimi cinque anni sei italiani su dieci sentono peggiorata la loro condizione economica. Mentre in tre anni, dal 2005 al 2008, il popolo della quarta settimana è cresciuto del 14%. Sono alcuni dei dati che certificano il clima di incertezza sociale ed economica del Paese emersi dall'indagine esplorativa presentata dalle Acli venerdì 12 settembre a Perugia, nel corso della seconda giornata del convegno nazionale di studi, dedicata al tema della destra e della sinistra 'dopo le ideologie', tra 'nuove paure e nuove povertà'.

Il 45% degli italiani, prosegue l'indagine, dichiara di aver avuto difficoltà nell`ultimo anno nell`acquisto di beni o servizi di prima necessità (qualche volta, 35%, spesso, 10%). Lo stesso dato, registrato nel 2005 dall'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli, si fermava al 31%. Rispetto a 5 anni fa sentono peggiorata la loro condizione economica il 61% dei cittadini (soprattutto pensionati, operai, artigiani e piccoli esercenti). Solo il 6% del campione (1500 individui rappresentativi della popolazione italiana, intervistati dall'Iref nel mese di luglio) ha risposto indicando un miglioramento.

Il futuro incerto e carico di rischi deprime, quindi, 6 italiani su 10, che dicono di ritenere «inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia». Si sentono appartenenti al ceto medio il 51% degli intervistati, al ceto popolare il 39%, alla classe dirigente il 4%. Esiste un 'ceto medio impoverito' che sente fortemente peggiorata la propria condizione (79%), più di quanto non l'avvertano gli stessi appartenenti al ceto popolare (74%). La prima preoccupazione degli italiani sul lavoro è legata al reddito.

Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese è il primo pensiero per il 42% degli intervistati. La precarietà è l'incubo per il 36% degli italiani: il 20% preoccupati di non riuscire ad ottenere un impiego continuativo e sicuro, il 16% con la paura di perdere il lavoro Con l'incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali.
Sul lavoro la fiducia nei colleghi sopravanza la diffidenza di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%, mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso).

Ci si fida (molto o abbastanza) dei parenti (85%), dei vicini (74%), ma per il resto si vive sul chi va là, se a stento 1 italiano 2 (50,5%) due dichiara di nutrire fiducia nei confronti della gentè in generale. Nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere il grado di fiducia, com`era prevedibile, è ancora più basso (36%). È alto anche il livello di preoccupazione sui rischi connessi alla criminalità. Gli italiani temono di subire furti in casa (molto + abbastanza, 62%), di essere aggrediti da un malvivente sconosciuto (62%), di rimanere vittima di scippi e borseggi (61%). Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55).

Solo il 3% degli intervistati, tuttavia, mostra fiducia nella difesa autorganizzata dei cittadini, come ad esempio le ronde. Gli italiani chiedono senz'altro pene più severe contro la criminalità e il pugno di ferro delle forze dell`ordine (46%), ma si dicono anche consapevoli (44%) che è necessario anche agire sulle cause e spingono le persone a delinquere.



Pubblicato il: 12.09.08
Modificato il: 12.09.08 alle ore 17.27   
© l'Unità


Titolo: Liberalizzazioni, il governo tenta il dietrofront
Inserito da: Admin - Settembre 12, 2008, 06:41:59 pm
Liberalizzazioni, il governo tenta il dietrofront


Due anni fa, quando i tassisti protestavano contro le liberalizzazioni di Bersani, il centrodestra li difese a spada tratta. E il loro leader storico, Loreno Bittarelli, l'hanno pure candidato alle elezioni dell'aprile scorso, senza risultati. Ora il governo delle Libertà, come si vanta di essere, prova a tornare indietro anche sul capitolo delle liberalizzazioni farmaceutiche: i senatori del Pdl, Maurizio Gasparri e Antonio Tomassini, hanno presentato un disegno di legge sul sistema farmaceutico italiano che prevede la sostanziale cancellazione del precedente decreto Bersani. Secondo il Movimento nazionale liberi farmacisti e la Federazione esercizi farmaceutici, se la proposta Gasparri-Tomassini fosse approvata sarebbero a rischio ben cinquemila posti di lavoro. Inoltre ci sarebbe la chiusura di duemila parafarmacie.

«Il progetto prevede di riportare sotto il controllo delle farmacie tutti i farmaci oggi venduti nelle parafarmacie, lasciando ai supermercati una quantità esigua di medicinali costituiti da un numero ridotto di unità posologiche», denunciano in una nota le due associazioni. Se la proposta di legge andasse in porto verrebbe meno la maggior concorrenza, ed i connessi risparmi per i consumatori, introdotti dal decreto Bersani.

Per fermare questo ritorno al passato, il Movimento nazionale liberi farmacisti e la Federazione esercizi farmaceutici, chiedono «l'immediato ritiro del disegno di legge». Se questo non dovesse avvenire le due organizzazioni minacciano di portare il problema «davanti alla Corte Costituzionale, alla Comunità Europea e alla Corte di Giustizia». Ma non è tutto: le due associazioni intendono aprire una causa risarcitoria contro il Governo in quanto non si può, dicono nella nota, «giocare sulla pelle dei cittadini consentendo prima una parziale liberalizzazione del settore per poi cancellare tutto al cambio di coalizione».

Sul tema interviene anche Pier Luigi Bersani, artefice dell'ondata di liberalizzazioni realizzate nel 2006 dal governo Prodi: «Parlamento e governo ascoltino le ragioni dei parafarmacisti». Bersani sottolinea che il suo decreto ha «garantito sconti sui farmaci» ed ha «prodotto più di 5000 nuovi posti di lavoro, in particolare tra i giovani laureati in farmacia». L'esponente democratico si dice preoccupato per la proposta Gasparri-Tomassini e ritiene che con il governo Berlusconi si stia tornando indietro su più fronti, «dalla scuola alle liberalizzazioni, dalla lotta all'evasione alla sicurezza».

Pubblicato il: 12.09.08
Modificato il: 12.09.08 alle ore 17.24   
© l'Unità.


Titolo: Confindustria: Italia in recessione
Inserito da: Admin - Settembre 13, 2008, 12:32:24 am
12/9/2008 (19:41) - I DATI DI VIALE DELL'ASTRONOMIA


Confindustria: Italia in recessione
 
Caduta più accentuata del previsto la ripresa solo nel 2009 inoltrato


ROMA
Per Confindustria l’Italia è in recessione. La flessione a luglio della produzione industriale, molto più marcata dell`atteso (-1,1%, il Centro studi di Confindustria e il consenso puntavano a un già forte -0,5%), conferma le stime di Confindustria di una dinamica ancora negativa dell`economia italiana nel terzo trimestre del 2008, dopo la contrazione del Pil nel secondo (-0,3%).

Analoghe valutazioni - spiega il Csc - sono state espresse di recente nelle nuove previsioni rilasciate da Ocse e Commissione europea. Il dato particolarmente negativo di luglio delinea una caduta trimestrale più accentuata di quanto previsto. Si conferma la forbice di crescita con gli altri maggiori Paesi europei.

L`andamento degli indicatori anticipatori - fiducia, ordini, superindice Ocse - non lascia spazio a possibilità di miglioramento nel quarto trimestre.
E` molto probabile il segno meno davanti alla variazione del pil per l`intero 2008, afferma Confindustria. La ripresa, aiutata dal ridimensionamento del petrolio e dal recupero del dollaro, partirà nel 2009 inoltrato.

da lastampa.it


Titolo: Notizie dal PAESE dei BERLUSCHINI...
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2008, 04:15:46 pm
12/9/2008 (8:23)

E il Pdl salvò le Province
 
Pochi tagli sparsi. Le Comunità montane continuano a esistere

ROBERTO GIOVANNINI


Berlusconi con le promesse e gli annunci, si sa, non si fa troppi scrupoli. Questa promessa, per esempio, non sembra proprio che abbia avuto finora l’intenzione, la voglia o la possibilità di mantenerla: «La prima cosa da fare è dimezzare il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei consiglieri comunali. Non parlo di Province, perché bisogna eliminarle». Era il 31 marzo, e parlava a una videochat organizzata dal «Corriere della Sera». «Quindi - proseguiva il Cav., rincarando la dose - dimezzamento dei costi della politica significa innanzitutto dimezzare il numero delle persone che fanno politica di mestiere ed eliminare tanti enti inutili, Province, Comunità montane, e tutti quegli enti antichi che sono rimasti in funzione senza produrre alcun effetto». Stesse parole dieci giorni dopo, a «Porta a Porta»: «Dobbiamo ridurre della metà la casta, cioè il numero delle persone che vivono di politica. Secondo alcuni si tratta di 300.000 persone». Dopodiché, tutti sanno che i deputati, i senatori e i consiglieri sono sempre quelli, non uno di meno, e senza un euro di meno in tasca.

Che le Province esistono eccome, ed esisteranno ancora, se è vero che secondo i piani del governo potranno finanziarsi con i proventi del bollo auto (un altro tributo di cui l’attuale premier annunciò l’abolizione entro la legislatura, dalle telecamere di «Matrix»). Per adesso, hanno pagato dazio soltanto le Province ancora non operative, Monza, Fermo e Barletta, congelate fino al giugno 2009. Addirittura le Comunità montane continuano a campare, sia pure tra gli stenti. I deputati salvano integro lo stipendio, anche se dovranno pagare un po’ di più il tramezzino alla buvette (da 1,80 a 2,80 euro) e lavorare cinque giorni su sette, come stabilito da Gianfranco Fini. Il presidente del Senato Schifani, invece, non sembra appassionato al tema del taglio dei costi. E come scoperto da Gian Antonio Stella, quest’anno spenderà 260.000 euro per realizzate la (peraltro molto ben fatta) agendina di Palazzo Madama.

Insomma, ormai la «Casta» non fa più notizia. E in pochi si scandalizzano se - con decreto pubblicato il 22 agosto scorso sulla Gazzetta Ufficiale - a sorpresa il governo Berlusconi riapre le porte degli aerei di Stato sostanzialmente a chiunque, dopo la parentesi rigorista di Prodi, che negava il «volo Blu» anche ai ministri. Ora viaggiano tutti: ministri, viceministri, sottosegretari, portaborse, giornalisti di testate gradite, collaboratori vari, purché «accreditato al seguito della stessa su indicazione dell'Autorità anche in relazione alla natura del viaggio, al rango rivestito dalle personalità trasportate, alle esigenze protocollari ed alle consuetudini, anche di carattere internazionale». Destarono ira e proteste Mastella e figlio Elio in volo per il Gp di Monza? Sabato scorso il ministro degli Esteri Frattini è volato al vertice Ue di Avignone con a fianco la sua fidanzata, Chantal Sciuto. Aereo di Stato, ça va sans dire.

Il governo, però, si difende, snocciolando una lunga lista di interventi mirati a tagliare spesa, sprechi e caste. Ovviamente, c’è Brunetta e le sue consulenze: la norma che consente l’«operazione trasparenza» fu varata dal governo Prodi, ma di suo il ministro della Pa ha inserito nel Dl 112 (la manovra) una norma che rende molto più difficoltosa l’assegnazione di consulenze non utili. In parte, almeno, colpiranno le clientele la norma che elimina gli enti con meno di 50 dipendenti non espressamente «salvati», così come l’abolizione del Secit. Si tagliano del 20% stipendi dei direttori (generali, sanitari e amministrativi) delle strutture sanitarie pubbliche. Del 30% le indennità dei sindaci che non rispettano il «patto di stabilità» interno, così come scenderanno del 30% le spese per compensi ad organi collegiali della Pa, sponsorizzazioni e (del 50%) convegni e mostre. Giro di vite anche per i contributi ai giornali di partito.

Non basta, denuncia l’opposizione. Linda Lanzillotta, controparte «ombra» di Brunetta, attacca: «Il governo Prodi aveva fatto un accordo con Regioni ed Enti Locali per ridurre costi e organigrammi. Che fine ha fatto? Perché non si lavora per ridurre la moltiplicazione di organismi con compiti più o meno simili? Perché si va a un federalismo che rischia di moltiplicare spese e inefficienza»? «Anche l’operazione Nuova Alitalia - denuncia l’economista del Pd Stefano Fassina - indirettamente è un “costo della politica”. Un’operazione costruita per rispondere a esigenze politico-elettorali del centrodestra, scaricando sui contribuenti 1,5 miliardi di debito che resterà nella bad company».

da lastampa.it


Titolo: Maroni, alla festa della Lega, punta sulla sicurezza: tolleranza zero e niente..
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2008, 06:15:12 pm
Maroni, alla festa della Lega, punta sulla sicurezza: tolleranza zero e niente voto agli immigrati 

 
VENEZIA (14 settembre) - Il ministro degli Interni Roberto Maroni, alla festa della Lega a Venezia, ha cominciato il suo intervento con la tradizionale frase leghista “Padania libera”. Tema centrale del suo discorso: la sicurezza. Tolleranza zero ed extracomunitari da rimandare a casa. «L'unico piano svuota carceri è quello che permette di mandare in galera a casa loro gli immigrati». E ricordando che i romeni sono i più numerosi, sottolinea come l'accordo firmato con la Romania dall'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli con la Romania, non è mai stato applicato.

D'accordo con il collega Alfano per il braccialetto elettronico ma solo se ci sarà la garanzia di evasione zero. Interventi drastici anche contro il tifo criminale polemizzando con il giudice che li ha rimessi in libertà. «Davanti ai nostri provvedimenti una sinistra cialtrona - ha aggiunto - ha lanciato una canea di reazioni, ci ha insultato dopo che la sua politica è stata zero sulla sicurezza aprendo le frontiere ai clandestini».

Per Maroni con i provvedimenti del governo «abbiamo dato potere ai sindaci - ha concluso - perché sono bravi e siamo orgogliosi che vengano chiamati sceriffi». Chiusura per tutti campi nomadi abusivi, definiti da Maroni una vergogna, dove i bambini vengono mandati a rubare. E sempre in tema di immigrazioni Maroni ha ribadito il no al voto per gli extracomunitari.

da ilmessaggero.it



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Piazza Navona, in 20 pestano studente inglese e due italiani intervenuti per aiutarlo

 
ROMA (14 settembre) - In venti hanno circondato uno studente inglese di 22 anni, in evidente stato di ebrezza, e hanno cominciato a picchiarlo. E' accaduto intorno alle 3.15 di notte in piazza Navona. L'inglese è stato preso a calci e pugni al volto. Due italiani di 39 e 43 anni, intervenuti per aiutarlo, sono rimasti anch'essi coinvolti. Ancora da chiarire i motivi dell'aggressione nei confronti dello studente. All'arrivo dei carabinieri gli aggressori si sono dileguati per le vie del centro.

Il 22enne e i due italiani intervenuti in suo soccorso sono stati trasportati al Santo Spirito. Lo studente inglese è stato giudicato guaribile in 25 giorni. I due italiani in 10.


dailmessaggero.it


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«Sporchi negri vi ammazziamo»

Italiano di colore ucciso a sprangate a Milano

Gli aggressori accusavano i giovani di aver rubato merce da un furgone

 
MILANO (14 settembre) - Un giovane italiano, Abdul G., 19 anni, originario del Burkina Faso, è stato aggredito questa mattina intorno alle 6 in via Zuretti a Milano, da due uomini che l'hanno colpito alla testa con una mazza di legno e una spranga. Abdul G. era con altri due amici di colore. Dopo aver trascorso la notte in un locale in corso Lodi, a bordo dei mezzi pubblici la comitiva era arrivata in via Zuretti con l'intenzione di andare al centro sociale Leoncavallo. A quel punto i tre sono stati avvicinati da un furgone bar. Dal mezzo sono scesi due uomini che li hanno accusati di avere rubato della merce. I due, uno intorno ai 25 anni, l'altro un adulto sulla quarantina, hanno cominciato a colpire il giovane e a lanciare epiteti razzisti: «Sporchi negri vi ammazziamo».

Abdul G, colpito alla testa con una mazza di legno e una spranga, è stato ricoverato all'ospedale Fatebenefratelli in stato di coma, ed è morto intorno alle 13.30.

Minniti: odioso episodio di razzismo. «È importante che si faccia piena luce sulla drammatica aggressione di Milano. La natura e i contorni dell'episodio sono estremamente preoccupanti e richiamano alla mente fatti di grave intolleranza - ha detto Marco Minniti, ministro dell'Interno nel governo ombra del Pd - Per come è stato fino ad ora ricostruito quanto avvenuto a Milano, sembra configurarsi come un odioso episodio di razzismo. Proprio per questo è necessario il massimo impegno per chiarire i fatti e colpire i responsabili».

da ilmessaggero.it


Titolo: Rinaldo Gianola. Razzisti a Milano ?
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2008, 09:49:36 pm
Razzisti a Milano

Rinaldo Gianola


Abdul è stato sprangato a morte ieri mattina alle 6, vicino alla Stazione Centrale di Milano. I killer lo hanno aggredito in via Zuretti, una strada che corre parallela, vicinissima, alla famosa via Gluck cantata da Celentano. Una zona popolare dove la solidarietà e l´amicizia, un tempo, si misuravano sul ballatoio, attorno ai cortili e alle ringhiere delle vecchie case.

I bar dei ferrovieri, il mercato del pesce, il Naviglio della Martesana dove nel dopoguerra i ragazzi facevano i tuffi, l´oratorio con i platani in mezzo al campo di calcio erano il tessuto di una società di lavoro, fatica e di passione politica. C´era in quella Milano un welfare non istituzionalizzato alimentato da una vicinanza elementare, umile ma solida di famiglie di operai e di molti immigrati.

In quei prati, prima che la speculazione del boom economico realizzasse il suo disastro, abbiamo giocato da ragazzi, superato a fatica pregiudizi e divisioni, diventando amici tra i banchi di scuola e i campetti di calcio abusivi: noi figli dei proletari del Nord e i figli dei "terroni" immigrati, i diversi di allora. I nostri papà consumavano la vita alla Pirelli Bicocca o alla Breda e noi crescevamo rissosi e incavolati come conveniva in quegli anni. Assieme andavamo in via Zuretti dove c´era la sede di "Giovani", una rivista di musica alla moda, a caccia di foto e autografi. Pensavamo che Gianni Morandi e Laura Efrikian non si sarebbero mai lasciati. Poi, quando in tasca c´era qualche spicciolo, puntavamo sulla splendida gelateria di via Gluck per un cono, piccolo però. Quando Celentano cantò a San Remo «là dove c´era l´erba ora c´è una città...» noi ci sentimmo un po´ riscattati, sapevamo di cosa parlava.

Gli assassini hanno aspettato Abdul proprio qui, in questo nuovo incrocio dell´odio, nelle strade di una Milano che non c´è più e che ci manca. Dove sono finite la solidarietà e la pietà di una città una volta davvero riformista (ma non come si intende oggi...)? Dov´è quella Milano capace pure di obbligare i padroni del vapore a spalmare una parte dei loro profitti sulla comunità, che si sforzava di non lasciare soli gli ultimi, che arginava i rigurgiti fascisti invadendo le piazze? Scomparsa, tra una faticosa modernità e un´efficienza improbabile, mentre le banche e i profitti d´impresa scalano ovviamente le classifiche e siamo tutti diventati un grande ceto medio, mediamente inutili nelle nostre paure e gelosie.

Abdul è stato sprangato perchè non aveva pagato una "consumazione", un piccolo furto di biscotti probabilmente. Abdul è italiano, un nostro concittadino originario del Burkina Faso. Era andato a ballare in un locale, poi quando già albeggiava aveva deciso coi suoi amici di fare un salto al Centro sociale Leoncavallo. Non ci è arrivato. «Sporchi negri, vi ammazziamo» hanno gridato gli aggressori, due milanesi, mentre lo colpivano con le mazze, riferiscono i testimoni. Per un piccolo furto si consuma un omicidio tremendo, incredibile, ma oggi spiegabile con l´aria che tira, con il clima politico e, come dire?, culturale del Paese.

Se i leghisti vanno in giro con il ddt per spruzzare le prostitute nigeriane, se il governo prepara l´espulsione di massa di quella moltitudine diversa rappresentata dagli immigrati (ultimo annuncio ieri del ministro Maroni alla sceneggiata padana di Venezia), se i fascisti riscattano il passato, se il ministro milanese La Russa celebra la Repubblica razzista di Salò, perchè sorprendersi se poi un nero viene ammazzato? E il sindaco Moratti non può cavarsela semplicemente affermando che questa crudeltà «è estranea alla tolleranza dei milanesi». Troppo facile. Nella città dell´Expo 2015 gli amici del sindaco vanno in giro a bruciare i campi rom, a chiedere la distruzione dei tuguri dove si rifugiano gli ultimi immigrati e sono gli alleati della signora Moratti a organizzare le ronde contro le prostitute che deturpano l´arredo urbano e a consentire l´apertura dei circoli neonazisti di «Cuore Nero». In questa nostra città si respira un´aria xenofoba e fascista intollerabile. Così come non è tollerabile il tentativo, già in atto anche da parte della solerte Questura, di derubricare il delitto a sprangate come l´esito tragico di una rissa tra giovani scapestrati dopo un piccolo furto. Se anche gli aggrediti hanno cercato di difendersi allora è tutto meno grave, no?

Un ragazzo è stato ucciso a Milano dall´odio e dalla violenza razzista. Questo è il fatto. Se proprio non riuscite a trovare le parole giuste, cari signori almeno state zitti.



Pubblicato il: 15.09.08
Modificato il: 15.09.08 alle ore 10.43   
© l'Unità.


Titolo: OLMERT: «COSTRETTO AD ANDARSENE PER DIFETTO DEMOCRAZIA» (dice il signor B)
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2008, 03:48:04 pm
All'associazione ebraica Keren Hayesod di Parigi

Berlusconi: «Attenzione costante alle follie di Ahmadinejad su Israele»

«Una volta c'era un signore che sembrava democratico, poi ha fatto quel che ha fatto»

 

PARIGI - Secondo Silvio Berlusconi, parlando all'associazione ebraica Keren Hayesod di Parigi che gli ha conferito il premio Personalità dell'anno, occorre dare il giusto peso alle dichiarazioni sulla distruzione di Israele del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, affermazioni che comunque meritano una costante attenzione visti i precedenti. «Credo che dovremo avere tutti la massima e assoluta attenzione nei confronti delle follie di chi addirittura arriva a dire, magari soltanto per ragioni politiche interne, che bisognerebbe cancellare Israele dalla carta geografica», ha affermato il presidente del Consiglio. «Queste sono cose a cui noi dobbiamo dare il senso che hanno e non crediamo siano reali. Però già una volta c'era un tal signore che all'inizio sembrava un democratico e che poi ha fatto quel che ha fatto e voi purtroppo sapete a chi mi riferisco».

«SEMPRE STATO AMICO DI ISRAELE» - Il premier si è rivolto alla platea ricordando che il secolo scorso è stato «insanguinato da due ideologie terribili: comunismo e nazismo. Ma ora tutto questo è alle nostre spalle». Berlusconi ha poi raccontato di «essere sempre stato naturalmente amico di Israele. Ho avuto nella mia infanzia compagni ebrei che ho amato, riamato, che mi hanno raccontato ciò che le loro famiglie avevano subito. Ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz e da quel momento mi sono sentito anch'io israeliano. In tutto quel che ho fatto da privato cittadino e da capo di governo ho sempre capito l'importanza di essere dalla parte di Israele e dei suoi abitanti».

OLMERT: «COSTRETTO AD ANDARSENE PER DIFETTO DEMOCRAZIA» - Infine Berlusconi è entrato nella politica interna israeliana alla vigilia delle dimissioni del primo ministro Ehud Olmert. «Sono molto triste che Olmert viva il suo ultimo giorno da primo ministro perché è una persona capace, esperta e concretà. Sono arrivato al convincimento che lui fosse una delle migliori persone per trattare con i palestinesi e per questo spero che chi lo seguirà continui ad avvalersi della sua preziosa esperienza. La democrazia ha anche questi difetti». Olmert si dimetterà in quanto oggetto di diverse indagini per corruzione, accuse dalle quale si è sempre proclamato estraneo.
16 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Il gradimento per il presidente del Consiglio al 60% 5 punti in più che a luglio
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2008, 05:25:22 pm
POLITICA         

Sondaggio Ipr: "Sicurezza, prostituzione e scuola accrescono la popolarità"

Il gradimento per il presidente del Consiglio al 60%, 5 punti in più che a luglio

L'estate porta consenso al governo in aumento la fiducia in Berlusconi

In caduta libera il centrosinistra: Pd (-4%) e Idv (-3%). Stabile l'Udc


di MARCO GRASSO


ROMA - Decreto antiprostituzione, giro di vite sulla sicurezza e riforma scolastica: sono questi i temi che spingono in alto la popolarità della maggioranza. Gli italiani hanno più fiducia nel governo, ma soprattutto nel presidente del Consiglio. Ad affermarlo è un sondaggio di Ipr Marketing per Repubblica.it. Due mesi senza attività parlamentare non scalfiscono il consenso di cui gode l'esecutivo, che aumenta del 2%. E segnano un aumento del gradimento per la figura di Silvio Berlusconi, che registra un incremento di cinque punti percentuali e tocca quota 60%. Sempre secondo l'istituto guidato da Antonio Noto, nello stesso periodo è calata la fiducia nei confronti del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, mentre rimane stabile l'Udc.

Maroni il più popolare. L'unico membro del governo a tenere il passo del premier è il titolare del Viminale Roberto Maroni, il più apprezzato tra i ministri. La sua popolarità è al 62%, due punti in più rispetto a sessanta giorni fa. Podio per Frattini e Tremonti, che nonostante una lieve flessione, sono al secondo e terzo posto con il 60 e il 58%. Chi ha registrato l'aumento più significativo è Mara Carfagna, il cui consenso passa dal 38 al 42%, forse in seguito alle nuovi leggi sulla prostituzione. In positivo anche il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, il cui apprezzamento è salito dal 35 al 38%. Perde e più di tutti il titolare del Welfare Maurizio Sacconi (-6%), forse per via della trattativa Alitalia.

Aumenta il consenso per Berlusconi. "Le maggiori oscillazioni - fa notare l'istituto di ricerca - Sono quelle che riguardano ministeri al centro del dibattito mediatico durante l'estate: Maroni per la sicurezza, Sacconi per l'Alitalia, Carfagna per la Legge sulla prostituzione e Gelmini per le riforme scolastiche". Ma se la popolarità del governo nel complesso ha conquistato due punti percentuali, il presidente del Consiglio aumenta il divario che lo separa dal suo esecutivo. Se a luglio il saldo era di +3 a favore del Presidente del Consiglio, a settembre risulta a +6.

Diminuisce la fiducia nel centrosinistra. Non naviga in buone acque l'opposizione. La perdita più pesante è quella del Pd, che dal 34% scende al 30%. Cala anche l'Idv, che dopo una crescita di due punti da giugno a luglio, nei due mesi successivi cala del 3%, dal 47 al 44%, un livello comunque alto. Rimane stabile invece l'Udc al 20%.

(16 settembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Mariagrazia Gerina. Pavia Alemanno non si lava la coscienza andando ad Auschwitz
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2008, 03:45:14 pm
Pavia: «Alemanno non si lava la coscienza andando ad Auschwitz»


Mariagrazia Gerina


Il peso della storia. «Certo che i ragazzi delle scuole vadano a vedere Auschwitz insieme ai testimoni è la cosa più importante...», ragiona ad alta voce Aldo Pavia, presidente dell’associazione nazionale ex deportati di Roma, che da anni accompagna le scuole romane nei campi di sterminio. Per spiegare perché però questa volta proprio non se la sente di fare insieme al sindaco di Roma che ora è Alemanno quel viaggio della memoria inaugurato da Veltroni sei anni fa, Aldo Pavia parte da sè: «Tutto il ramo paterno della mia famiglia è stato deportato a Birkenau, sono stati presi dai fascisti al confine con la Svizzera e portati nelle carceri di Varese, da lì a San Vittore e poi tutti a Birkenau: nessuno è più tornato... Ecco con la mia storia accompagnare ad Auschwitz Alemanno che alle spalle ha tutt’altra vicenda e ancora oggi si mette a fare distinguo sul fascismo è piuttosto difficile...».

Quindi ha già deciso: non andrà ad Auschwitz?

«Come presidente dell’Aned rimetterò la mia decisione al consiglio direttivo che si riunirà tra dieci giorni, ma d’istinto la mia reazione è questa: Alemanno, non ti lavi la coscienza con un viaggio ad Auschwitz».

Dice che è questo l’obiettivo politico del viaggio che Alemanno ha già confermato per novembre?

«Sarò maligno, ma penso di sì».

Quindi chi va ad Auschwitz con lui rischia di farsi strumentalizzare?

«Io avverto questo pericolo, ma se sbaglio sarò lieto di sbagliarmi. Il fatto è che certe conversioni sulla via di Damasco proprio non mi convincono».

Anche Fini però è andato Auschwitz...

«Io credo che Fini abbia fatto un percorso e una apertura di credito bisogna dargliela, Alemanno no altrimenti non parlerebbe ancora di male assoluto per le leggi razziali come se il resto fosse un male minore. Ad Alemanno vorrei dire che oltre agli ebrei italiani sterminati ci sono trentaduemila italiani non ebrei morti nei campi di sterminio e molti sono stati denunciati o catturati o venduti dai fascisti ai nazisti per riscuotere la taglia: cinquemila lire per ogni maschio adulto, meglio se ebreo ma se è partigiano va bene lo stesso. Nei campi ci sono finiti i sacerdoti che andavano a dire messa nelle formazioni partigiane, gli operai, il direttore dei cantiri di Monfalcone e persino alcuni fascisti. Il male assoluto se proprio vogliamo usare questa categoria (che non mi piace) è tutto il fascismo: l’uccisione di Matteotti, i condannati a morte del Tribunale speciale, i gas usati nelle colonie italiane. Troppo comodo dire che le leggi razziali sono state il male assoluto, questo ormai lo sappiamo tutti. Non puoi dicendo così pensare di assolvere il fascismo, liquidando tutto il resto come un fenomeno complesso. Per questo non me la sento di condividere il viaggio ad Auschwitz con lui».

Ma il programma in sè rispetto agli anni scorsi resta lo stesso?

«Questo ancora non lo so, ma il viaggio faceva parte di un progetto con le scuole, “Noi ricordiamo”, che durava tutto l’anno ed era dedicato alla memoria della Shoah. Da quest’anno si chiama “Le tragedie del Novecento”. Vogliono che parliamo anche delle foibe? Benissimo, noi sono trent’anni che accompagnamo la gente a vederle. Ma se vogliono fare esclusivamente il martirologio delle popolazioni giuliano-dalmate perseguitate da Tito, senza raccontare la fascistizzazione delle popolazioni slave dell’Istria, se lo facciano. La storia per noi va raccontata tutta, altrimenti l’orrore rischia di diventare solo una strumentalizzazione».

Pubblicato il: 18.09.08
Modificato il: 18.09.08 alle ore 8.50   
© l'Unità.


Titolo: Carolina Lussana - La leghista avvocato a Napoli
Inserito da: Admin - Settembre 18, 2008, 03:56:42 pm
18/9/2008
 
La leghista avvocato a Napoli
 
Carolina Lussana ha appena sostenuto nel capoluogo campano gli scritti dell'esame per l'esercizio della professione
 
 
FLAVIA AMABILE
 


Entro la prossima settimana si saprà se Carolina Lussana avrà superato gli esami scritti per diventare avvocato. Carolina Lussana è un’onorevole della Lega Nord, 37 anni a novembre, bergamasca, bionda, molto ma molto in alto nelle classifiche di bellezza parlamentari.

Laureata in Giurisprudenza, è vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. Quest’anno, dopo diversi anni dalla laurea, ha deciso di tentare anche l’esame di abilitazione alla professione. Come sede invece dei luoghi dove abitualmente vive, Roma e Bergamo, ha scelto Napoli.

Nel capoluogo partenopeo quest’anno la percentuale di promossi alle prove scritte in base alle prime indiscrezioni dovrebbe aggirarsi intorno al 30%, gli esami sono stati corretti da una commissione che ha sede a Roma. Agli orali la commissione invece è napoletana e da anni la percentuale di promossi si aggira intorno all’80-90%.

Onorevole, avrà seguito le polemiche nate quando si è saputo che il ministro Gelmini da Brescia si era trasferita a Reggio Calabria per sostenere l’esame.
«Sì, ma nel mio caso non c’è da fare polemiche. Quando ministro della Giusizia era Roberto Castelli abbiamo cambiato le regole. Abbiamo introdotto il sorteggio della sede che correggerà i compiti e quindi non importa dove si sostiene l’esame. Non è più possibile andare alla ricerca di esami facili».

Durante la preparazione della legge lei ha sempre dichiarato di essere contro gli esami facili.
«E coerentemente con quanto ho sempre sostenuto, anche se potevo darlo prima, ho preferito aspettare».

Così come è strutturato l’esame non da’ adito a trucchi.
«Penso che si debba fare un’ulteriore passo avanti e capire se è adeguato a selezionare chi dovrà svolgere la professione. Si parla anche di adottare sistemi diversi».

Da vicepresidente della commmissione Giustizia e praticante avrà modo di constatare che cosa non va.
«Non ho bisogno di fare l’esame per capire che cosa non va. Comunque se ne discuterà».

Onorevole, mi perdoni, ma lei dove abita?
«A Roma e a Bergamo»

E perché ha scelto di dare l’esame a Napoli, allora?
«Non avrei potuto frequentare a Bergamo perché vivo tra Roma e Bergamo e allora faccio pratica da un avvocato che ha lo studio a Roma e a Napoli. Ma gliel’ho detto: con me non c’è da fare polemiche».

E  la pratica lei la fa a Roma o a Napoli?
«A Napoli».

E perché se abita a Roma e a Bergamo?
«Perché mi è stata data la possibilità di frequentare uno studio a Napoli. Mi era venuto comodo così».

L’onorevole chiude con fare brusco la telefonata. C’era ancora una domanda da farle: se ha cambiato residenza come prevede la legge.
 
da lastampa.it


Titolo: Nuova crociata di Brunetta: lotta ai graffitari
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2008, 11:35:32 am
Nuova crociata di Brunetta: lotta ai graffitari

Poi annuncia: «Dimezzerò i distacchi sindacali»

E Sgarbi critica il ministro: «Cosa c'entra lui con i writers?»

 
CORTINA D'AMPEZZO (20 settembre) - Renato Brunetta, il ministro della Funzione Pubblica, lancia una nuova crociata contro i graffitari. Intervenendo a
un convegno di Forza Italia di Cortina d'Ampezzo svela poi il "segreto del suo successo": l'aver saputo dire di no ai sindacati. Quindi ribadisce il suo impegno contro i «chirurghi macellai» e se la prende con certi «cattivi professori» e la «cattiva borghesia» dell'68.

«I sindacati sono diventati una burocrazia». Brunetta ha spiegato che il suo successo è iniziato quando «ho incominciato a dire basta al sindacato che difende i fannulloni. Non è accettabile». Il ministro ha poi fatto cenno alle dichiarazioni del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, il quale «mi ha dato dello showman e in parallelo ha detto "Brunetta fa lo showman, perché si arroga il diritto di parlare con la gente". Se un politico non parla con la gente con chi deve parlare - si è chiesto Brunetta -. Ma poi Bonanni ha detto un'altra cosa che nascondeva la verità. Ha detto: "Dobbiamo ricominciare a parlare con la gente, perché abbiamo perso il contatto". Bravo Bonanni, perché hai capito veramente il problema. Il sindacato ha perso il contatto con la gente. Siete diventati una burocrazia, dei cogestori che assieme alla politica avete prodotto dei mostri, come Alitalia e la pubblica amministrazione».

«Dimezzeremo i distacchi sindacali». E ancora, sul tema dei sindacati, Brunetta ha detto: «Conto di dimezzare nel corso di tre anni i distacchi sindacali nel pubblico impiego, e lo faccio. Con o senza l'accordo dei sindacati stessi». «L'abuso di distacchi sindacali - ha aggiunto - è elemento insopportabile di costo e di caduta di competitività. Quindi occorre una giusta quota. Ho una delega che mi è stata data dal decreto 112». Per Brunetta, in ogni caso, «il distacco sindacale è fondamentale per la democrazia industriale. Ma altra cosa è l'abuso». «Il costo del lavoro di un pilota - ha citato come esempio - è di 400mila euro l'anno. Se ne distacchi 30 quanto costa?». Brunetta ha annunciato inoltre che interverrà anche sulla legge 104 che consente un permesso di tre giorni al mese ai familiari delle persone disabili. Per il ministro «l'inganno» è che questa norma è stata adoperata spesso da parenti «con grado di parentela molto, molto lontano».

«Attenzione ai chirurghi macellai». «Stiamo attentissimi a yogurt e succhi di frutta, ma andiamo in ospedale e ci facciamo operare dal primo venuto, senza sapere se è bravo o è un macellaio. E noi sappiamo che negli ospedali i macellai non sono pochi». Così il ministro è tornato sul tema della sanità in Italia. «Dal prossimo anno - ha ribadito - voglio pubblicare i curricula e gli score dei chirurghi. Quando l'ho detto, alcuni giorni fa, mi hanno insultato tutti, mi hanno detto che ho usato un linguaggio truculento». «La verità - ha proseguito - è che i macellai possono ancora operare perché i concorsi per i primari negli ospedali, nella stragrande maggioranza, non sono trasparenti e non premiano i migliori. Sfido chiunque a dire che non è vero».

«Mai più graffiti». Brunetta ha poi lanciato la crociata contro i graffiti, gli imbrattamenti degli edifici pubblici e delle scuole: «Mai più graffiti», ha sentenziato. «Ci siamo abituati - ha detto - a vivere in città non solo sporche e maleodoranti, ma imbrattate, violentate nei luoghi della nostra vita comune. Ma che razza di Paese, che razza di insegnanti, di famiglie, di alunni che tollerano che la loro scuola per decenni sia tutta istoriata, imbrattata di fuori e di dentro? Non è - ha spiegato - solo un fatto estetico, ma anche un fatto morale. Siccome Berlusconi è un pragmatico, e io pure, abbiamo pensato a una strategia per tenere sotto controllo, per prevenire ed educare, per tenere belle e pulite e decorose le nostre città».

Gli errori del '68. Secondo il ministro della Funzione pubblica, la causa di molti problemi dell'Italia è che «ci sono stati cattivi maestri che, sulla base di buone intenzioni, hanno declinato cattivi comportamenti, per cui lo Stato e il poliziotto erano il nemico, perché altri erano i valori». «La cattiva interpretazione del '68, le tossine del '68, i cattivi protagonisti del '68, hanno prodotto tutto questo. Il '68 - ha aggiunto - non è stata una storia di popolo, ma una storia minoritaria di una cattiva borghesia viziata, dei figli di una borghesia». Secondo Brunetta, la cattiva borghesia minoritaria del Paese, dopo il boom economico, «ha pensato di impadronirsi della cultura, della scuola, delle istituzioni che hanno portato al proliferare della cattiva politica e del cattivo sindacato, che hanno prodotto lo strangolamento per debiti di questo nostro Paese. Hanno prodotto il proliferare della spesa pubblica e l'inefficienza. Dobbiamo, come dice Troisi, ricominciare da tre: dall'impresa, dal vitalismo di questo Paese, dal vitalismo di chi rischia tutti i giorni. Basta con le rendite come quella della Fiat, dei burocrati, dei piloti e delle hostess di Alitalia».

«Criminalità è parte dello Stato». Commentando l'eccidio di Casal di Principe, il ministro ha detto che la criminalità organizzata è «diventata parte dello Stato, repubblica dentro la repubblica, la repubblica criminale». Dopo aver sentenziato come il Paese sia «caduto così in basso», Brunetta ha sottolineato che «non dobbiamo lasciare spazio né culturale, né ideologico, né organizzativo a questa cattiva Italia». Quello che è successo a Casal di Principe, secondo il ministro, «è la punta di un iceberg, di una deriva che vive il Paese ormai usato in tanti modi e quello è il più feroce».

«La gente si ammala di meno...». Brunetta ha voluto sottolineare, poi, i risultati della sua crociata anti-fannulloni, ricordando che «in luglio si è avuta una caduta dell'assenteismo per malattia di quasi il 40%, in agosto, rispetto all'agosto 2007, le stime vanno dal 40 al 50%. Non oso pensare quello che sarà settembre». «La gente si ammala di meno - ha aggiunto - e ne sono felice. Abbiamo aumentato la salute del popolo dei dipendenti pubblici».

Sgarbi: «Cosa c'entra Brunetta con i writers?». Da assessore alla Cultura a Milano, difese i graffitari del Leoncavallo, inaugurando una lunga serie di polemiche con il sindaco Moratti. Ora Vittorio Sgarbi se la prende col ministro Brunetta, che oggi ha dichiarato guerra a chi imbratta i muri. «I graffiti - dice Sgarbi - sono tutti illegali, ma alcuni sono belli, sono opere d'arte. Chi si prende la responsabilità di cancellarli? E soprattutto, cosa c'entra Brunetta con i writers?». «Brunetta è cittadino di Salemi, devo trattarlo bene - sorride Sgarbi, che è sindaco del piccolo comune siciliano -, però il ruolo di ministro lo porta a espandersi un po' troppo. Parla di argomenti che non conosce». Sgarbi non è contrario a una «stretta» legalitaria sui writers, ma con eccezioni: «A volte, come nel caso del Leoncavallo a Milano, l'illegalità genera bellezza, e migliora l'orrore urbano». «Far rispettare la legge - aggiunge il critico d'arte - vuol dire cancellare tutti i graffiti, che sono sempre illegali. Ma vuol dire anche distruggere potenziali capolavori. Se sorprendiamo Leonardo a dipingere un muro di periferia, cancelliamo tutto?» Sgarbi ammette che è un problema stabilire cosa è arte e cosa non lo è. «Ma si potrebbe cercare un compromesso, vietando di dipingere solo sugli edifici che hanno più di 55 anni. Mentre dopo il '60, l'orrore edilizio è tale che qualsiasi graffito lo migliora. Anche sulla teca dell'Ara Pacis, uno schifo voluto da Rutelli e Veltroni, un bel murales starebbe bene».


da ilmessaggero.it


Titolo: Aldo Cazzullo. Sul sito azzurro gli insulti a Silvio
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2008, 12:05:37 pm
«Maledizioni» e messaggi di odio su Forzaitalia.it. Furio Colombo: si fa un piacere al premier

Sul sito azzurro gli insulti a Silvio

Palmieri, responsabile della comunicazione elettorale: Berlusconi conosca violenza verbale che lo circonda

 
 
ROMA - Messaggi apocalittici: «Il vostro padrone sarà concime per i vermi e voi sparirete dalla faccia della terra». Previsivi: «Tra breve si aprirà un nuovo fronte giudiziario, e allora...». Recriminatori: «La colpa è di Togliatti, vi doveva uccidere tutti quando ne aveva l'opportunità» (firmato: Volante Rossa). Minacciosi: «Fatti processare o ti veniamo a prendere». Soprattutto: molti, moltissimi. Pubblicati non da oppositori, ma dal sito ufficiale di Forza Italia, nell'apposito spazio «Sinistra tolleranza». Unica avvertenza, i messaggi «banalmente offensivi» vengono censurati. Ciò non toglie che il campionario di insulti e minacce sia vasto. Ma la gran parte sono auspici sulla fine del Cavaliere.

I mittenti non si fanno illusioni sulla possibilità di sconfiggerlo politicamente. Però, scrive Nicola, «per fortuna il duce che ci opprime è vecchio». Nando specifica: «Ha i giorni contati». Un anonimo che si firma «Mi fate schifo» chiosa: «Me lo sento, morirà presto». Un omonimo che si firma «Silvio Berlusconi»: «Finirà come Mussolini». Bruno: «In effetti impiccarlo per i piedi sarebbe il massimo». «Democratica»: «Un impegno concreto/ Silvio a Piazzale Loreto!». Ivo: «Non auguro al vostro capo di morire subito, ma di prendere un ictus e restare paralizzato senza potersi muovere né parlare». Segue una serie di interventi sul tema dell'ictus e varie malattie. Alcuni, più esigenti: «Bruciarlo vivo». Altri, più specifici: «Bruciarlo vivo lentamente ». Ennio: «Prego Bin Laden e Al Qaeda che ce ne liberi». Max corregge: «Voglio vederlo in catene supplicare pietà». «Contribuente »: «Silvio fai un gesto di patriottismo, sparati!». Gino: «Preparatevi ad andare al suo funerale. Noi stiamo mettendo le bottiglie in fresco». Renato: «E voi dopo cosa farete? Chi vi manterrà? Ahaha!». Giovanni Benedetto, ieratico: «Pregherò tutti i giorni affinché gli arrivi la morte». L'architetto Lorenzo D'Albo: «Desiderare la morte di Berlusconi è un dovere civile». Ancora Ennio: «Bin, ti prego!». La scelta di pubblicare (quasi) tutto è rivendicata da un uomo chiave del berlusconismo, sia pure dietro le quinte.

Antonio Palmieri cura il sito di Forza Italia sin dalla fondazione, nel '95. Parlamentare alla terza legislatura, come responsabile della comunicazione elettorale si è occupato di tutte le campagne azzurre dal '98 a oggi. Alcuni messaggi si rivolgono direttamente a lui, indicato come «servizievolissimo paggio», «nato per servire», «essere larvato senza spina dorsale», «servo senza dignità»... «Mi assumo la responsabilità di rendere pubblici questi interventi - dice Palmieri -. Ignoro se Berlusconi vada a leggerseli. Di certo, lui sa. Troviamo giusto che si conosca non solo l'amore, ma anche l'odio che lo circonda. È vero che Internet allenta i freni inibitori; però la violenza verbale dell'antiberlusconismo è impressionante». Non che il Cavaliere la dissimuli. Anzi, la esibisce. Berlusconi ti odio si intitola la raccolta di critiche e offese pubblicata tre anni fa da Mondadori, a cura di Luca D'Alessandro, capufficio stampa di Forza Italia. Per mesi il Cavaliere è andato in giro con una collezione di articoli dell'Unità sottobraccio, in cui per sbaglio erano finiti anche articoli del Giornale («Mi chiamano mascalzone bavoso!»; ma era Paolo Guzzanti che scriveva di Prodi). Direttore dell'Unità era allora Furio Colombo. «Ma non abbiamo mai pubblicato un solo insulto personale - dice -. Il vittimismo è una delle corde preferite del premier. Non dubito che quel materiale sia autentico: anch'io, che non sono un leader, ricevo "hate mail", cattive, minacciose, volgarissime. Mandare quei messaggi al sito berlusconiano è palesemente un errore: gli si fa un piacere. Così come è un grave errore che loro, anziché lasciarli cadere provocandone la scomparsa, li pubblichino».

I ministri compaiono di sfuggita: Scajola, ribattezzato «il Boia di Genova»; la Gelmini — «al rogo!» —; Brunetta— «c'è Biancaneve che ti aspetta!» —; e ovviamente la Carfagna, su cui si preferisce non infierire. Ma il protagonista è lui: il nano, nanetto, nanottolo, nanerottolo, nano di Stato, nano trapiantato, nano pappone, solo per restare alla statura. Alcuni si firmano con nome e cognome; ricorrente un certo Walter. Un anonimo «Genetista» vorrebbe «sterilizzare i maschi forzidioti» ma anche «innestare su di loro i geni Rom, molto più onesti e utili al paese». Dario: «Neppure il presidente romeno gli crede!». Altro anonimo che si firma «Tutta Italia»: «Guai a voi se toccate Travaglio; sarebbe l'inizio di una fase pericolosa per la democrazia». Dalla Sicilia «Pagamento in ritardo» fa sapere di attendere da anni cento euro promessi da Cuffaro. «Vergogna»: «Vi ricordate quando ha comperato tutte le copie del film con Montesano in cui Veronica diventava lesbica?». Attilio Greco, dolente: «Avete rubato il nostro futuro e quello dei nostri figli». Ancora «Genetista»: «Il Dna forzaitaliota evidenzia una dominanza del gene 51, che deprime i processi cognitivi e attiva il comportamento innato da servo della gleba...».

Aldo Cazzullo
24 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: CORRUZIONE: ITALIA PEGGIORA, IN UE BULGARIA LA PIU' CORROTTA
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2008, 12:21:26 pm
CORRUZIONE: ITALIA PEGGIORA, IN UE BULGARIA LA PIU' CORROTTA

 
L'Italia non migliora la sua immagine nel mondo e, piu' di altri paesi Ue, perde posti nella classifica mondiale della trasparenza.

Secondo la classifica di Transparency International, l'organizzazione non governativa che ogni anno pubblica la classifica della corruzione, il Belpaese perde posti e dal 44esimo dello scorso anno passa al 55esimo, superato in mancanza di trasparenza in Europa solo da Grecia (57), Polonia (58), Croazia (62), Romania (70) e Bulgaria (72).
 
Va infatti quest'anno a Sofia la palma della peggiore di Europa, mentre i migliori restano la Danimarca e la Finlandia (al primo posto), la Finlandia e la Svizzera (5) e l'Olanda al settimo posto. La corruzione, ha spiegato la presidente dell'organizzazione, Huguette Labelle, rischia di provocare un disastro umanitario" soprattutto sul fronte della lotta alla poverta' non piu' sostenuta da governi credibili. Secondo lo studio infatti il 'costo' della corruzione si aggira sui 50 miliardi, quasi la meta' dell'ammontare degli aiuti mondiali.

In fondo alla lista dei paesi piu' corrotti, la Somalia, preceduta dal Myanmar, dall'Iraq e da Haiti.


(AGI) - Roma, 23 settembre


Titolo: LETIZIA MORATTI Perché multo chi "fuma"
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2008, 03:11:38 pm
25/9/2008 - L'INTERVENTO
 
Perché multo chi "fuma"
 
 
LETIZIA MORATTI

 
Caro direttore,
ci sta a cuore la nostra città, ci sta a cuore la serenità dei milanesi e di chi ogni giorno vive Milano per lavoro, studio, turismo. Le ordinanze che stiamo definendo in questi giorni sono uno strumento perché Milano diventi più vivibile, a misura di chi più è esposto ai pericoli - le donne, i bambini, gli anziani -, capace però anche di offrire un’alternativa concreta a chi imbocca la strada sbagliata, a chi è nell'illegalità. Stiamo ancora lavorando, in accordo con la Prefettura, per la messa a punto delle ordinanze.

Sono provvedimenti previsti dai nuovi poteri ai Sindaci concessi dal decreto Maroni «per prevenire e contrastare le situazioni urbane di degrado o di isolamento».

Situazioni «che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, come lo spaccio, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio e l’abuso di alcol».

Queste misure per la sicurezza dovranno essere integrate da un rafforzamento delle politiche per il sociale. Questo è necessario per prevenire i fenomeni di disagio ed emarginazione, per dare sostegno a coloro che intendono seguire percorsi di recupero e reinserimento sociale. Le ordinanze saranno dunque emesse solo contestualmente a iniziative di sostegno e recupero.

Contrasto all’illegalità e sostegno per chi vuole reinserirsi nella società: è questa la via che seguiamo. Di fronte ad alcuni commenti che leggono solo la parte delle regole non si tratta di essere «trasgressivi».

I milanesi non vogliono una Milano da bere o, peggio, da fumare. Milano è una città di persone normali, che lavorano, che hanno la responsabilità di una famiglia, che desiderano poter vivere serenamente tutti gli spazi della Città, e che non desiderano vedere qualcuno che si droga sotto casa o ai giardinetti magari davanti ai bambini.

Sono i milanesi che mi chiedono di intervenire concretamente e che, nello stesso tempo, si raccomandano di non abbandonare le famiglie che hanno un ragazzo drogato in casa, che devono vivere questa tragedia nella solitudine del loro privato.

Ecco il significato più profondo delle nostre politiche, che si compongono anche di ordinanze pensate per riportare nella nostra Città condizioni di vita «normali». Condizioni tali per cui ciascuno si possa sentire «a casa».

Misure severe e iniziative di solidarietà concreta: è questa l’anima profonda di Milano, la città del fare e, insieme, la città che aiuta, che aggrega, che tende una mano. Se dimentichiamo quest’anima, se dimentichiamo questo amore, allora vuol dire che c’è stato un corto circuito, che siamo diventati superficiali ed egoisti. Ma non è così. La maggioranza dei milanesi sono persone abituate a confrontarsi con la realtà, una realtà anche dura, fatta di sacrifici, ma questo non li ha inariditi, sono persone aperte, positive. Chi sostiene il contrario non conosce né frequenta questa città, pensa che siamo rimasti a trent'anni fa, mentre il mondo cammina, cambia, si evolve.

Qui non c’è una amministrazione più o meno rigida, solo un sindaco che ha un mandato a governare, che deve amministrare la città 365 giorni l'anno per i propri cittadini.

Ascoltando tutti i bisogni veri e dando risposte vere.

*Sindaco di Milano
 
da lastampa.it


Titolo: Domenico Valter Rizzo. Cassibile, tra i profughi in balia dei caporali
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2008, 04:57:58 pm
Cassibile, tra i profughi in balia dei caporali

Domenico Valter Rizzo


Bisogna contare 500 passi sulle traversine di legno che tengono insieme i binari e camminare velocemente, attraverso un passaggio angusto, che vede la linea ferrata scorrere tra due pareti di roccia bianca. Se ti sorprende il treno non puoi scappare. Puoi solo appiattirti contro la recinzione, tenerti stretto fino a farti sanguinare le mani, e pregare che il convoglio non ti risucchi. Fino ad oggi è andata bene. Nessuno si è fatto male. Nessuno dei "fantasmi" che, ogni giorno, su questo corto passaggio si giocano la vita per fare le cose più semplici, come andare a riempire un bidone d’acqua in paese o cercare qualcosa che assomiglia ad un lavoro per sopravvivere.

I 500 passi si contano dalla piccola stazione di Cassibile. Per arrivare in un luogo che non è un luogo. Non è un accampamento, né una bidonville. È qualcosa che non ha nome, un nulla. Un agglomerato di brandine sgangherate, materassi, coperte arrotolate, lenzuola bianche che coprono i corpi. Una piana triste, che si estende su alcune centinaia di metri quadrati, tra olivi, ogliastri e carrubi. Al centro c’è un carrubo gigantesco con i rami che si piegano fino al terreno e delimitano un’area circolare. In questa sorta di tenda naturale c’è la cucina: alcune pietre a formare un circolo dentro il quale si accende un fuoco di legna. Un po’ più in là, tra le pentole lerce, le provviste: pasta, confezioni di formaggio, rese molli e unte dal caldo, latte a lunga conservazione, scatole di tonno. È l’unico posto dove il sole non batte, ma anche sotto il carrubo la temperatura supera i 30 gradi. Sono 40 i ragazzi che vivono in questo posto assurdo. Giovanissimi, vengono dalla Somalia e fino a qualche settimana fa stavano nel centro di accoglienza di Cassibile. Un Centro pagato dallo Stato, attorno al quale ogni anno gira un fatturato di 3 milioni di euro.

Nessuno dei quaranta giovani africani è un clandestino. Tutti hanno in tasca un permesso di soggiorno per asilo politico. Con la concessione dell’asilo politico i ragazzi devono lasciare il Centro, ma senza che nessuno abbia dato loro la minima informazione, abbia spiegato cosa devono fare per ottenere quel che loro spetta. Pochissimi finiscono negli Sprar, i centri di seconda accoglienza, che hanno solo 2500 posti in tutta Italia contro le circa 7/8 mila richieste. La maggior parte viene accompagnata al cancello, se va bene con in tasca pochi euro o un biglietto per una città del centro nord. Da quel momento diventano fantasmi e vagano attorno al Centro. «Non sapevo dove andare, nessuno mi ha detto nulla, così sono rimasto qui attorno - racconta Ahmed, 21 anni che in Somalia faceva il muratore ed è scappato dalla guerra civile, dopo aver visto ammazzare suo padre - Ho visto altri che andavano verso la ferrovia e li ho seguiti. Ora la situazione è molto buona, prima era peggio: dormivamo per terra, ora invece abbiamo brandine e materassi». Cosa aspetti? «Non lo so cosa aspetto… non aspetto niente».

Alla stazione di Cassibile arriviamo al mattino, insieme ad Antonio De Carlo, un volontario della parrocchia di Bosco Minniti a Siracusa che ha scoperto questo inferno e oggi, insieme agli altri volontari della comunità, si danna per dare un minimo di assistenza a chi vive in questo luogo folle. Cassibile è un villaggio polveroso: una doppia fila di case lungo due chilometri di strada. Qui si campa di agricoltura e ci crogiola nell’orgoglio di vivere sul luogo dove, il 3 settembre del ’43, alleati e italiani firmarono l’armistizio. Qui se parli di "Oro nero" non pensi al petrolio, pensi agli immigrati. Oro per chi gestisce i centri, oro per i piccoli padroncini e per i caporali di Cassibile che li sfruttano mentre la gente vorrebbe vederli sparire al tramonto, per vederli ricomparire, come macchine, solo all’alba quando si ricomincia a lavorare. La regola è semplice: si lavora di continuo, niente pause, si mangia un boccone in fretta e furia. Poi di nuovo al lavoro e guai a alzare la schiena, se lo fai la prima volta ti becchi una lavata di capo, alla seconda ti cacciano. Cinquanta euro al giorno, per lavorare da «sole a sole» come si usava con i braccianti siciliani. Quindici euro finiscono però nelle tasche dei caporali, in gran parte maghrebbini integrati o italiani. Una pattuglia di caporali stranieri alcune settimane fa è finita in una retata dei carabinieri.

Antonio De Carlo a Cassibile non può più venirci da solo. Deve avere un po’ di gente al seguito. Una scorta? «Macché scorta, io non amo le sceneggiate. Prendo solo le mie precauzioni. Se denunci il caporalato dai fastidio a molti, magari qualcuno pensa che è meglio convincerti ad occuparti dei fatti tuoi». A Siracusa nella Parrocchia di Bosco Minniti, diretta da padre Carlo D’Antoni, c’è una task force per garantire un minimo di assistenza ai richiedenti asilo, che non sanno nulla delle procedure. Le richieste - spiegano i volontari - raramente vengono fatte nei tempi previsti dalla legge perché quasi nessuno, fuori di qui, spiega a questi ragazzi cosa fare. Ma anche quando le richieste vengono fatte accadono fatti strani. Mohamed ha 22 anni, è lungo come una pertica e viene dalla Guinea. «Al mio paese ero un giocatore di basket, un pivot, ed ero bravo, molto bravo, poi mi hanno arrestato ed è finito tutto». È arrabbiato Mohamed, arrabbiatissimo. Alza la maglietta bianca e mostra i segni delle torture che gli hanno fatto in carcere gli aguzzini del regime. «Mi hanno arrestato con tutto il mio gruppo politico e mi hanno torturato per due giorni. Poi mi hanno fatto uscire e sono riuscito a scappare. Allora se la sono presa con la mia famiglia. I paramilitari sono andati a casa mia ed hanno ucciso mia madre. Bene, ho chiesto asilo politico in Italia e me lo hanno negato senza spiegazione. Eppure ho addosso i segni di quello che ho passato».

Mohamed ha presentato ricorso, grazie ai legali della parrocchia di Bosco Minniti. «La sua storia è emblematica - dice Antonio De Carlo - La commissione a Siracusa ha un atteggiamento burocratico. C’è una sorta di esame preventivo. Se sei somalo, eritreo o etiope passano la pratica senza quasi guardarla, ci sono indicazioni superiori. Per gli altri è un calvario: interrogatori assurdi, rinvii continui, insomma un percorso ad ostacoli fatto di moduli, burocrazia, tempi strettissimi per ragazzi che quasi sempre non parlano una parola di italiano». Ne sa qualcosa Ahyuba che dopo tre mesi aspetta l’esito della sua domanda di asilo. Era un membro del Ufc, la forza di opposizione che nel Togo si batte contro Faure Gnassingbe e i militari. Lo hanno arrestato durante una manifestazione. «A me è toccata solo la prigione e le torture, mio fratello è morto (un particolare che nel verbale di interrogatorio della commissione non viene riportato). Sono riuscito a scappare. In Italia nessuno mi ha dato aiuto.

Dopo l’uscita dal centro di Pian del Lago avevo solo un foglio di carta che mi diceva di aspettare la convocazione della commissione per l’asilo politico a Siracusa. Ma dove dovevo andare? Dove dovevo ricevere la convocazione? Io dormivo alla stazione, o nei parchi. Un inferno. Poi per fortuna ho saputo di questo centro e adesso ho qualche speranza». Uno dei paradossi della procedura è nelle comunicazioni. «Non si presentano - spiega De Carlo - perché non hanno un indirizzo dove gli può esser notificata la convocazione. Noi abbiamo creato un sistema che permette ai richiedenti asilo di eleggere come loro domicilio temporaneo la parrocchia. Ma per molti il problema resta».
Eppure l’ostilità del quartiere è forte, la parrocchia è sotto assedio. «Lanci di pietre, uova, bottiglie. La gente del quartiere mostra fastidio per la presenza di questi ragazzi e si allontanano dalla parrocchia - dice don Carlo - Un fastidio che a volte si traduce in razzismo, grazie anche a una campagna dei media che crea un clima di paura.

Come meravigliarsi se poi ci lanciano le pietre? Gli immigrati in Italia sono visti solo come schiavi da sfruttare».


Pubblicato il: 25.09.08
Modificato il: 25.09.08 alle ore 14.26   
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Titolo: Chi uccise Borsellino?
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2008, 11:58:12 am
27/9/2008 (8:8) - RETROSCENA

Chi uccise Borsellino?
 
Da Ciancimino jr nuovi scenari sulla strage di via D’Amelio e sulla cattura di Riina

ALFIO CARUSO


PALERMO

Le dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo gettano una nuova luce sulla trattativa segreta sviluppatasi fra lo Stato e l’Antistato nella primavera-estate del 1992. E già: finora la versione ufficiale raccontava che soltanto all’indomani della strage di via D’Amelio (19 luglio, massacro di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina) i carabinieri contattarono Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo già condannato per reati di mafia. L’allora colonnello del Ros Mario Mori ha sempre affermato di aver incontrato Ciancimino ai primi di agosto nella sua abitazione romana di via San Sebastianello.

Massimo Ciancimino è stato un testimone molto attento di quel periodo: era diventato l’ombra del padre, l’esecutore di alcuni suoi disegni al punto che nel 2007 è stato condannato a oltre cinque anni di galera per averne riciclato il tesoro con la complicità d’insospettabili professionisti. Gli investigatori lo ritengono assai attendibile e per di più niente di quanto ha affermato è servito ad alleggerire la sua posizione processuale o ad allontanare la condanna a morte pronunciata sedici anni addietro da Riina. Ebbene Ciancimino ha messo a verbale che gli incontri con il capitano De Donno, il tramite iniziale, e il colonnello Mori incominciarono all’inizio di giugno e ben tre avvennero prima della mattanza di Borsellino e della scorta. Ma sono numerosi gli episodi rievocati da Ciancimino e ciascuno di essi contraddice quanto affermato fin qui dai rappresentanti delle istituzioni.

Il primo appuntamento
Ai primi di giugno del 1992, sul volo Palermo-Roma, Ciancimino jr s’imbatte nel capitano De Donno, conosciuto durante gli interrogatori di Falcone al genitore. Ottenuti dalla hostess due posti contigui, De Donno domanda a Massimo se al padre può interessare una chiacchierata con lui. Il vecchio Ciancimino chiede di conoscerne in anticipo il contenuto. De Donno rivela a Massimo che si punta alla cattura dei boss latitanti: naturalmente, avrebbe aggiunto il capitano, se tuo padre ci aiuta, noi vedremo di fargli trarre qualche beneficio.

Appreso di che cosa si tratta, Vito Ciancimino rientra di corsa a Palermo. Contatta qualcuno? Cerca un'autorizzazione? Massimo informa De Donno che l’aspetta a Roma. Lo Stato e l’Antistato s’incontrano nel salone dell’appartamento di via San Sebastianello seguendo una prassi battezzata nel 1950 allorché bisognò ingabbiare Salvatore Giuliano. Massimo viene relegato in un’altra stanza e convocato dopo un’ora e mezzo per accompagnare il capitano alla porta.

Tre giorni più tardi, intorno alla fine di giugno, De Donno si presenta con il colonnello Mori. Stavolta il colloquio dura un paio di ore. Alla fine Mori raccomanda a Massimo di essere prudente nei suoi spostamenti siciliani, mentre il padre gli svela che il colonnello ha chiesto la cattura dei superlatitanti. Si può fare, è il suo giudizio lapidario. E il pensiero corre a Totò Riina, con il quale Ciancimino mai si è inteso, non certo a Provenzano, di cui è il principale consigliere politico. Un’amicizia cominciata a Corleone quando Vito impartiva lezioni di matematica al piccolo Binnu con l’aggiunta dello scappellotto in caso di errori o disattenzioni.

Ciancimino torna a Palermo e nella casa sulla curva di Monte Pellegrino riceve una persona distinta, coperta da omissis, che gli consegna la busta contenente il foglio con le dodici richieste di Cosa Nostra per non compiere più attentati. È il famoso papello scritto a penna. Leggendolo, a Ciancimino sfugge un’imprecazione: è il solito testa di minchia, riferendosi all’autore. Secondo Massimo il padre aveva subito riconosciuto che si trattava di Riina. Davanti alle insistenze dei sostituti procuratori, Massimo chiarisce che al padre bastava leggere una frase per capire se l’aveva scritta Riina o Provenzano.

Ciancimino spiega al figlio che di quelle dodici richieste, tre-quattro sono trattabili, ma le altre proprio no. Anzi, sospetta che siano state inserite per mandare a gambe all’aria ogni possibilità d’intesa. Comunque spiega di dover avvisare Mori, benché preveda di essere spedito a quel paese.

Dodici richieste
Con il papello in tasca Ciancimino risale a Roma. Massimo convoca di nuovo De Donno, che spunta assieme a Mori. Al colonnello viene mostrato il foglio con le dodici richieste, circostanza sempre negata da Mori, il quale avrebbe ribattuto domandando la consegna di Riina. A questo punto si conclude la prima parte della trattativa, la quale riparte dopo il macello di via D’Amelio. Alla ripresa avviene però un cambiamento importante: esce di scena il dottor Nino Cinà - indicato con il nome in codice di dottor Iolanda, il neurologo al servizio della mafia costretto a barcamenarsi fra l’incudine (Provenzano) e il martello (Riina) - e vi subentra Binnu in persona. Massimo spiega che con l’eliminazione di Borsellino suo padre e Provenzano avevano capito che Riina andava neutralizzato. Addirittura Massimo sostiene che Provenzano abbandoni il rifugio sicuro in Germania e ricompaia in Sicilia.

Cambia anche la finalità della trattativa: anziché la resa di Cosa Nostra con la consegna dei superlatitanti, la cattura di Totò Riina.

Ciancimino riceve da Provenzano diversi pizzini scritti a penna: dopo averli letti li strappa minuziosamente. Allora si fa consegnare da De Donno alcune piantine topografiche gialle e verdi di Palermo e su una di queste segna la zona dov'è nascosto Totò u' curtu. Ciancimino jr dice ai magistrati che il padre raccolse quest’informazione in ventiquattr’ore prima di consegnare la mappa a De Donno nell’ultimo incontro in casa. Il 19 dicembre è arrestato Ciancimino, il 15 gennaio 1993 tocca a Riina. Ufficialmente grazie a Balduccio Di Maggio, che riconosce moglie e figlia del capo dei capi nelle riprese filmate di nascosto dai carabinieri del capitano Ultimo.

Quanto fin qui dichiarato da Massimo Ciancimino s’incastona alla perfezione con un vecchio verbale di Nino Giuffrè, boss di Cacciamo, uno dei bracci sinistri di Provenzano ammanettato nel 2002 e immediatamente divenuto collaboratore di giustizia. Giuffrè rammentò che nel gennaio ’93 zu Binnu gli aveva detto di non preoccuparsi delle confidenze di Ciancimino ai carabinieri: era in missione per conto di Cosa Nostra. E sulla cattura di Riina pronunciò frasi che oggi assumono un valore particolare: Provenzano aveva le spalle coperte da una divinità e ogni tanto a questa divinità doveva offrire sacrifici umani. Nelle parole di Giuffrè pure la mancata perquisizione della villa di via Bernini faceva parte dell’accordo: acchiapparono Totò in strada - è la sua tesi - per lasciare il tempo a noi altri di far sparire dalla casa documenti, lettere, bigliettini.

Così Provenzano, garante di una mafia che non sfiderà più lo Stato, s'incammina verso il potere assoluto. All’interno delle famiglie si diffonde la voce che sia un confidente degli sbirri cu’ giummu (i carabinieri), lui mostra di riderci sopra. Cadono Bagarella e Brusca, gli ultimi alleati di Riina; Messina Denaro s’isola nel suo feudo trapanese; Provenzano assicura gli accoliti che in dieci anni la situazione cambierà, promette di trovare nuovi interlocutori nella politica. Fa sua la famosa battuta di Badalamenti: Cosa Nostra per prosperare dev’essere governativa come la Fiat.

Ma le rievocazioni di Ciancimino jr riaprono anche il lato oscuro dell’assassinio di Borsellino. Dopo sedici anni sono ancora ignoti il movente preciso, l’esecutore, il luogo da dove fu azionato il timer. E se Borsellino avesse avuto sentore della trattativa in corso fra lo Stato e l’Antistato?

E se l’Antistato avesse deciso di eliminare un ostacolo a questa trattativa?

da lastampa.it


Titolo: Pietro Spataro. La scomparsa del Parlamento
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2008, 05:33:44 pm
La scomparsa del Parlamento


Pietro Spataro


La legge salva-premier è incostituzionale? La domanda da ieri ha lasciato i litigiosi corridoi del dibattito politico ed è approdata nelle austere stanze della Corte Costituzionale. La decisione dei giudici di Milano apre nuovi interrogativi sul modo di legiferare seguito dalla maggioranza.

Vedremo ora cosa dirà la Consulta. Ma intanto questo nuovo capitolo della saga berlusconiana, che pure riguarda una delle rare leggi approvate dalle Camere, suona come una conferma della preoccupazione espressa dall’insospettabile Famiglia Cristiana: in Italia si sta imponendo una semi-democrazia. È in atto, ha spiegato il settimanale dei Paolini, un "processo degenerativo che svuota il Parlamento sulla scia della Russia di Putin o del Venezuela di Chavez".

Esempi, questi, che ovviamente non lasciano tranquille le persone per bene.

Stiamo per caso assistendo, in Italia, alla scomparsa del Parlamento? I dati che vengono forniti dalle due Camere non sono per nulla confortanti. In quattro mesi di governo Berlusconi sono stati emanati 17 decreti legge, in media più di quattro al mese, nettamente superiori ai 3,72 registrati durante il precedente governo del Cavaliere. Prodi nella scorsa legislatura si era tenuto molto più basso: 1,99.

Il problema diventa ancora più serio se si dà un’occhiata ai temi oggetto della decretazione, che spesso hanno labili presupposti di necessità e di urgenza. Con decreto infatti è stata approvata una manovra finanziaria triennale, si è esclusa la responsabilità civile e penale per le società («affaire Alitalia») e sono state introdotte norme penali di limitazione della libertà personale nel capitolo delicatissimo della sicurezza. Se a questo quadro, già di per sé allarmante, si aggiunge che il governo ha già posto la fiducia sulla Finanziaria o che addirittura la riforma del processo civile viene inserita artificiosamente nella Manovra, il fenomeno della esautorazione del Parlamento diventa consistente. Una delle poche leggi che ha seguito il normale iter parlamentare, pensate un po’, è stata proprio il Lodo Alfano. Con quali risultati si è visto ieri.

La prevalenza del governo, se non è bilanciata, è un fattore di rischio per qualsiasi sistema democratico. In Italia sta diventando troppo alto: le nostre istituzioni sembrano ormai rispondere ad una sorta di «legge di Arcore» secondo la quale si decide in villa, si comunica al Consiglio dei Ministri, si approva il decreto legge e poi si costringe il Parlamento alla semplice ratifica. Tutto questo avviene, inoltre, in un sistema politico in cui la vita interna di molti partiti non risponde a criteri di trasparenza e democrazia. E nel quale, soprattutto a destra, i partiti vengono ormai considerati come esclusiva «cosa del leader».

È un problema talmente grave che lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano è stato costretto a intervenire più volte. L’ultima, prima dell’estate, per dire che l’«abuso della decretazione di urgenza deve essere preso in seria considerazione». Ma alla ripresa la situazione come s’è visto è ricominciata tale e quale. Al punto che ormai il Parlamento è scomparso dalle cronache politiche e deputati e senatori si aggirano, spesso spaesati, come strani personaggi in cerca d’autore. Speriamo che questo pericoloso declino non sia inarrestabile. E dunque: i presidenti delle due Camere, che vengono dalla stessa coalizione del premier, non hanno nulla da dire? E l’opposizione, non crede che anche questo sia un tema di inflessibile battaglia politica?

«Ritengo empio e odioso il principio secondo il quale in materia di governo la maggioranza di un popolo ha il diritto di fare tutto», ha scritto quasi due secoli fa Alexis de Tocqueville in quel caposaldo del pensiero moderno che è La democrazia in America. Non vorremmo che l’Italia diventasse un’altra drammatica eccezione. La giornata di ieri non lascia ben sperare.

pspataro@unita.it

Pubblicato il: 27.09.08
Modificato il: 27.09.08 alle ore 10.18   
© l'Unità.


Titolo: Catania in bancarotta si consola con le miss
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2008, 12:06:22 pm
28/9/2008 (7:28) - IL REPORTAGE

Catania in bancarotta si consola con le miss
 
L'ex sindaco di Catania Umberto Scapagnini
 
Sessanta indagati per un crac senza precedenti: 700 milioni

ALFIO CARUSO


CATANIA

Anche l’odore della notte è cambiato a piazza Umberto. In realtà da quasi novant’anni si chiama piazza Vittorio Emanuele III, ma il giorno dopo l’inaugurazione i catanesi cominciarono a indicarla con il nome della strada sulla quale si affaccia e pazienza per sua maestà, che aveva persino spedito un telegramma di ringraziamenti. Negli anni della spensieratezza c’era l’odore del gelsomino d’Arabia, con il quale erano addobbati i due chioschi, c’era l’odore degli sciroppi, c’era l’odore della menta che tendeva a sopraffare gli altri. D’estate, su tavolini improvvisati, fiorivano le sfide a briscola in cinque e a zecchinetta, al cui confronto lo chemin de fer è un passatempo da monaci di clausura. Ogni vittoria procurava un giro di orzate, di champagnino, di completo (limone, orzata, gocce di anice, seltz) per gli amici e per i picciotti; quelli deboli di stomaco si accontentavano del tamarindo, che a metà bicchiere dava diritto all’aggiunta di bicarbonato in aiuto alla digestione.

In questa sera di fine settembre, con l’infida arietta subentrata alla calura del giorno, si respirano sentori di marcio e di bruciato. I primi provengono dalla spazzatura in continuo accumulo sui marciapiedi, i secondi dalle graticole di rosticcerie e di ristoranti, che in barba a permessi e divieti si sono impadroniti delle stradine laterali. Inseguendo il ricordo della brezza marina, nell’alternarsi di strade buie e di altre fiocamente illuminate, s’imbocca corso Italia, l’unica via ad aver conservato una parvenza di eleganza e di benessere, ma non si sfocia più nella piazza con la vista mozzafiato dell’insenatura punteggiata dalle lampare dei pescatori, il respiro del mare ad accarezzare lo scorrere delle ore. Piazza Europa continua a esserci, ma la sciagurata decisione della giunta Scapagnini di trasformarla in un enorme parcheggio l’ha stravolta. Da oltre un anno appare un campo di battaglia. L’intervento della magistratura per bloccare due centri commerciali assenti nel progetto iniziale ha stoppato i lavori e non è prevista una data per la ripresa. Così Catania è priva sia del velleitario megaricovero di auto, utile soltanto ai suoi costruttori, sia dell’affascinante colpo d’occhio che apriva la riviera dei Ciclopi. Fortunatamente la città ha altro con cui baloccarsi: la squadra quarta in classifica e soprattutto le due stangone arrivate prima e seconda al concorso di miss Italia. Miriam Leone e Marianna Di Martino impazzano sulle pagine de «La Sicilia» e in ogni manifestazione pubblica con contorno di onorevoli e di consiglieri comunali in cerca di foto e di luce riflessa.

“Catania capitale della bellezza” inorgoglisce i suoi abitanti e mette in secondo piano le bollette non pagate all’Enel, le cooperative addette ai servizi sociali senza stipendio da gennaio, il rifiuto dei dipendenti del cimitero di seppellire i defunti, l’incubo di una raccolta dell’immondizia sempre in bilico, gli impiegati comunali che l’altro giorno hanno manifestato in piazza Duomo preoccupati per il proprio futuro e inferociti per i 2 milioni 130 mila euro distribuiti ad agosto ai dirigenti. Figurano quale premio per i risultati conseguiti nel 2006 quando il deficit toccò i 700 milioni di euro. E fanno il paio con la famosa indennità «cenere dell’Etna» elargita dall’allora sindaco Scapagnini agli oltre quattromila stipendiati del Comune per favorire la propria rielezione nel 2005. A causa di tale regalo fatto con i nostri soldi l’alchimista delle pozioni magiche, caro al cuore, e non solo, di Berlusconi, è già stato condannato in primo grado.


Dopo esser stato riverito e lisciato per sette anni, ora Scapagnini rappresenta l’oggetto di qualsiasi critica. Eppure non è l’unico responsabile dello sfascio. Era soprattutto un elegante incompetente, l’uomo sbagliato nel posto sbagliato, capace di definire il «mio Tremonti» l’assessore al Bilancio D’Asero, accusato da tre indagini della Corte dei Conti e da una del ministero delle Finanze di aver presentato nel 2003 e nel 2004 bilanci non veritieri: risultavano in pareggio, viceversa nascondevano deficit di 40,6 e di 42,7 milioni di euro. E’ stato l’inizio del crac. Ma alle spalle del vanesio sindaco, attento a sfoggiare una mise diversa in ogni cerimonia, ha campeggiato fino all’ultimo il malinconico, ma tosto Lombardo, prima vicesindaco, poi azionista di riferimento della maggioranza politica, da tre mesi anche presidente regionale.

Lombardo esercita un potere assoluto. Dalla sua benevolenza dipendono i posti di lavoro, lontano dal suo impressionante riporto non c’è luce e soprattutto non c’è stipendio. Prendete l’avvocato Gaetano Tafuri, ex assessore al bilancio, trombato alle regionali, ma con fama di fedelissimo: è stato appena ripescato quale commissario della Ferrovia circumetnea.
La capillare occupazione del territorio ha coinvolto anche gli ultimi ridotti sfuggiti per sessant’anni alle designazioni dei partiti, lo Stabile e il Teatro Massimo. Qui è stato insediato l’avvocato Antonio Fiumefreddo, reduce da diverse cambi di campo. Con assoluto sprezzo del ridicolo il sovrintendente ha dedicato il Massimo alla Madonna, la qualcosa comporterebbe la cancellazione di metà delle opere liriche, visto il loro spregiudicato contenuto. La ricerca di notorietà l’ha pure indotto ad annunciare che un suo assistito era stato violentato in galera, però il garante dei carcerati l’ha contraddetto; e che cento allievi delle scuole di danze avevano disertato per ordine dei genitori una manifestazione contro Cosa Nostra, tuttavia anche in questo caso sono piovute precisazioni e smentite.

Eppure i catanesi, ancora esultanti per i sessanta fra assessori, dirigenti e sindaco della vecchia giunta indagati con l’accusa di associazione a delinquere, falso ideologico aggravato e falso in bilancio, nelle elezioni di giugno hanno scelto quale successore di Scapagnini un’altra propaggine di Lombardo, il senatore Stancanelli. Formalmente sarebbe un rappresentante del Popolo della Libertà in quota An, nella sostanza è l’uomo di fiducia di Lombardo. E dire che all’interno dello stesso centrodestra - della sinistra oramai si ha notizia soltanto il 2 novembre, giorno dei morti – esisteva l’alternativa dell’ex europarlamentare con fama di persona dabbene, Nello Musumeci. Ma nella prima città d’Italia a riaprire nel ’44 le logge massoniche, da allora camera di compensazione di tutti i fatti e misfatti, nessuno ha avuto cuore di rifilare simile sgarbo a Lombardo. Lui non perdona: in ogni critica vede un affronto personale; dietro ogni articolo contrario legge, parole sue, “un complotto dei proprietari delle raffinerie”, che però stanno altrove, “un’azione di killeraggio meritevole di risposta giudiziaria”.

Accogliendo il grido di dolore degli sconsolati parrocchiani Berlusconi ha anticipato 100 milioni a Stancanelli per evitare il fallimento. Riusciranno a sperperare pure questi?

da lastampa.it


Titolo: Marcella Ciarnelli. Il premier festeggia auguri all’Italia
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2008, 12:01:27 am
Il premier festeggia auguri all’Italia

Marcella Ciarnelli


Settantadue anni. Silvio Berlusconi li compie oggi. Per non dimostrarli si è concesso una “full immersion” in un lussuoso centro benessere nella campagna umbra che fornisce la dimostrazione convincente che pagando si può raggiungere rapidamente l’obbiettivo della “remise en forme”. Il privato che vince. A caro prezzo. Forse il Cavaliere ogni volta che vuole privatizzare qualcosa, la scuola, la sanità, i trasporti, fa i conti con le proprie tasche che non sono esattamente all’asciutto come quelle della gran parte degli italiani.
La festa, la prima senza mamma Rosa, si svolgerà con i familiari al completo, moglie, figli di primo e secondo letto, nipotini tra cui l’ultimo che è stato fatto nascere lo stesso giorno del nonno e ne porta anche il nome, ma non si terrà nella prediletta villa in Sardegna. Non si svolgerà vista cactus e piante rare il brindisi beneaugurante per cento di questi giorni. O anche di più visto che il professor Scapagnini, medico e sodale, in tempi non recenti già testimoniò della possibile immortalità del festeggiato. A far da fondale sarà la nuova residenza appena acquistata sulle rive del lago Maggiore. Non lontana da Milano ma per ogni evenienza attrezzata con una pista per elicotteri.
E’ la tredicesima dimora di famiglia. E c’è da scommetterci che non finirà qui. La festa sarà scandita dal consueto copione. Il pranzo preparato dal cuoco Michele che compie gli anni anche lui, i figli riuniti intorno a papà, a chiacchierare di affari e studi. I nipotini, la moglie Veronica che nelle scadenze istituzionali non manca. Colonna sonora garantita da Mariano Apicella, il collega cantautore che sta scrivendo con il premier le canzoni del loro prossimo cd, in uscita per Natale.
Da domani di nuovo al lavoro. Per esorcizzare la sindrome della panchina c’è un lungo elenco: vincere le prossime elezioni, ammodernare la pubblica amministrazione, combattere l’evasione fiscale con il federalismo, cambiare la scuola, riformare la giustizia e la sanità, provvedre all’ordine e al decoro nelle città. Un programma fitto. Vedremo. Intanto ci sono le candeline da spegnere.

Il regalo che i Rom
vorrebbero farle. In rima
Io non posso leggerLe la mano ma prevedo ancora tanti compleanni. È fortunato, non tutti ce la fanno: solo 3 Rom su 100 arrivano a 60 anni, c’è chi muore lavorando da mane a sera,e chi perde la vita per la sua pelle nera. Lei, l’Unto del Signore, festeggerà con gli dei; cosa possiamo regalare noi poveri zingari a Lei?
A Lei che ha tutto, tante aziende e tante ville, noi che nulla abbiamo una baracchina regaliamo. Per avere la quale non deve neanche firmare, come noi, noti ladri e criminali,il patto di legalità che ci rende meno uguali.In cambio una cosa sola Le chiediamo: i nostri tentativi sono stati tutti vani, spieghi Lei a Maroni ANCHE I ROM SONO ESSERI UMANI!
Dijana Pavlovic

Che fortuna festeggiare
sulle note dell’Equipe 84
29 settembre. Basta dirlo e irrompono nella mente inquiete melodie dell’adolescenza. Già, grazie all’Equipe 84 e a Lucio Battisti la data del Suo compleanno, gentile Presidente, ha qualcosa di simbolico. In fondo è una prova della Sua fortuna potere festeggiare gli anni in un giorno che, grazie a una canzone, sa di poesia e di gioventù per molte generazioni. Però qualcuno ricorda settembre per altre ragioni. Per esempio: lo sa, Presidente, quante persone sono state uccise in settembre dalla mafia?
Sarò disordinato e colpevolmente incompleto: il giudice Rosario Livatino, il giudice Cesare Terranova, il maresciallo Lenin Mancuso, padre Pino Puglisi, il sociologo-giornalista Mauro Rostagno, il giudice Antonino Saetta e suo figlio Stefano, il giudice Alberto Giacomelli, il sottufficiale dei carabinieri Vito Jevolella, il giornalista Mauro De Mauro, il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa (che compiva gli anni il 27 settembre).
Vede quante intense ragioni per ricordare settembre, il mese della festa… Da qui l’idea che Le regalo. Perché non fa un bellissimo dono agli italiani, anzi, perché non lo fa anzitutto a se stesso per il Suo compleanno? Perché, ora che può tutto, non si prende la libertà rivoluzionaria, l’orgoglio civile di dire finalmente che Vittorio Mangano era un assassino?
Perché, insomma, andando oltre il Suo sogno di eterna giovinezza, non festeggia questo compleanno nascendo a nuova vita?
Nando Dalla Chiesa

E ora si trasformi in Papa
e cambi anche nome
Cosa augurare a un arzillo vecchietto che ha già tutto? L’unica cosa che potrebbe fargli piacere è la garanzia del mantenimento del suo immenso potere, se possibile rafforzato e amplificato. E dunque non si può che augurare a Silvio Berlusconi, alla festa del suo settantaduesimo compleanno, di diventare Papa, assumendo il nome di Pio (Pijo Tutto).
Vediamo i vantaggi: enorme copertura mediatica in tutto il mondo. Totale immunità di fronte alla legge italiana (ce l’ha già), il dono dell’infallibilità (crede di averla già), immensi finanziamenti dallo Stato italiano, ubbidienza totale dei suoi sottoposti (ce l’ha già), e Fede (ha già pure quello). Ma se diventasse papa, avrebbe dalla sua anche Vespa (ce l’ha già). Auguri. Soprattutto a noi, ne abbiamo bisogno.
Silvia Ballestra

Benito volava
Silvio non ancora
Mussolini aveva 5 figli, Berlusconi ha 5 figli.
M. giocava a tennis, B. ha fatto jogging (alle Bermude).
M. suonava il violino, B. suona il pianoforte.
M. parlava il francese, B. canta in francese.
M. era pieno di donne, B. (omissis, intercettazioni secretate).
M. chiuse il Parlamento, B. ci prova.
M. trebbiava il grano a petto nudo, Berlusconi: «Non vale. Lo fa già Di Pietro».
M. pilotava gli aerei... Dottor Colaninno, faccia prendere un brevetto CAI a Berlusconi, altrimenti muore di invidia.
Vittorio Emiliani

Un dono anche a noi:
rispetti la memoria
Caro Presidente,
il suo potere e la sua intelligenza le possono consentire interventi cruciali per il destino del paese e per la sua gloria personale: perché allora non impone a certi suoi alleati a rispettare la storia e la memoria di questo paese, di coloro che in tempi passati hanno combattuto e sofferti per la sua unità, di quelli che hanno fatto grande la sua cultura?
Lei, che in fondo è anche il maggiore editore italiano, può essere in grado di arginare il becerume culturale che ha invaso l’Italia e che lei, purtroppo (forse contro voglia?), ha finora troppo disinvoltamente promosso. Come regalo a se stesso e ai suoi concittadini potrebbe allora mettere fine a certi volgarissimi e costosissimi programmi di RAI e Mediaset e destinare i relativi budget a quella povera scuola e a quella afflitta università che i tagli del suo governo rendono più misere di quanto già fossero.
Giulio Ferroni

Deve durare all’infinito
per evitarci il post Silvio
Gli auguro di durare, durare, durare... 72, poi 82, poi 92, poi 102, per sempre. E così all’infinito rinviare l’incubo del Cavaliere postumo: intestazione di piazze, inaugurazione di monumenti, discorsi davanti a lapidi sul "piu’ grande statista degli ultimi due secoli" (Bondi o Ferrara? O Fini? ). E riflessioni! Peggio dei suoi peggiori ministri, peggio della legge Gasparri, peggio delle telefonate a Saccà sarebbe il tormento dei "meditati bilanci", le ore e ore di «Porta a Porta» e «La storia siamo noi» dedicate ai confronti Berlusconi-Cavour-Garibaldi.
E poi fiumi di editoriali, sofisticati approfondimenti ideologici di PG Battista sul tema "la televisione non contava, era grande politica" e poi le autocritiche sofferte di sinceri riformisti con la lista sterminata delle cose che "lui aveva capito e la sinistra no".
Lunga, eterna vita dunque a Silvio Berlusconi, politico in salute.
Giancarlo Bosetti

Nudo tra di noi
come nel film di Pisolini
Gentile Dio,
c’è da fare un regalo di compleanno a tale Berlusconi, uno che ha già tutto, così mi rivolgo direttamente alla Sua onnipotenza, al Suo catalogo. Qui da noi in Italia non c’è ormai traccia d’opposizione, mentre il festeggiato, come forse saprà, è terribilmente gagliardo, quindi non si batte chiodo in tema di democrazia e di vera legalità, per non parlare del solito conflitto d’interessi. Mi piacerebbe dunque che il diretto (appunto) interessato ricevesse una certa folgorazione a domicilio. Ricorda quel film di Pier Paolo Pasolini del 1970 intitolato "Teorema"?
Lì c’è l’industriale che regala tutte le sue fabbrica agli operai, e intanto si spoglia nudo alla stazione centrale di Milano. Si potrebbe combinare la stessa cosa al nostro amico? Non Le chiedo nulla di trascendentale, semmai un miracolo. Silvio stesso non aspetta altro. Accludo supplica più vaglia. Grazie.
Fulvio Abbate

Una cabina telefonica
piazzata in Parlamento
Non c’è dubbio che Berlusconi sia un uomo di pace: affinché lo diventi sempre di più gli auguro di saper trasformare il suo attivismo diplomatico smettendola di far telefonate a destra e a manca, oggi a Putin ieri a Bush, domani — chi sa — a McCain, credendo di sistemare la politica mondiale a colpi di telefono. Non so se con Obama funzionerebbe. E con la Palin? Non è con il telefono-amico che si risolvono i problemi. Insieme agli auguri, gli farei presente che la politica internazionale è una cosa seria e che i ministri degli Esteri li hanno inventati per occuparsene. Ma se pensa a tutto lui e non ci racconta nulla, a che cosa serve un bel Parlamento, solitamente vuoto, nel quale non appare quasi mai? Come regalo, potremmo fargli installare una comoda cabina telefonica...
Luigi Bonanate

Basta coi lifting: pensi
agli anziani come lei
Caro Silvio,
le auguro un compleanno di riflessione: nonostante l’invidiabile effetto lifting del potere e del denaro, lei è un uomo anziano. Perché non si concentra sulla sua età e, partendo da sé come ha fatto tanto spesso (penso a tutte le leggi che ha voluto e ottenuto per risolvere problemi suoi), non fa qualcosa per migliorare la condizione di milioni di over-settanta che soffrono solitudine e povertà nel Paese che lei governa?
Lidia Ravera

È il suo momento:
scriva un’autobiografia
Caro Presidente,
più che gli auguri un augurio. Sarebbe bello, in occasione di questo compleanno, che lei avviasse il progetto di una sua autobiografia. Che può superare le 10mila pagine, e non può essere scritta di suo pugno. So bene che questo progetto ambizioso richiede un impegno totale, tutto il giorno per buona parte dei suoi giorni futuri, e che in una delle sue tante ville principesche potrà trovare l’ambiente e la concentrazione giusta. Riguardo alla politica, la vedrà lontana, una piccola cosa, perfino fastidiosa. Leggeremo le sue memorie, la vedremo molto meno. Sarà una soddisfazione per lei. E un sollievo per noi.
Roberto Cotroneo

L’intervista imprevista
firmata da Bruno Vespa
Il miglior augurio che si possa fare ad un settantaduenne, per quanto immortale (Scapagnini dixit, prima di togliere la vita a Catania), è quello di ricevere un regalo a sorpresa: ergo, auguro a Silvio un’intervista scomoda a Porta a Porta, o un servizio critico su di lui del Tg5 (del Tg4 no: un conto è un augurio, un altro è la fantascienza), o un pezzo del Tg1 che rammenti di quando, a marzo, lisciava il pelo a sindacati e piloti contrari ad Air France (che evidentemente, all’epoca, non erano né irresponsabili né privilegiati). Sarebbe davvero una sorpresa. Inattesa (dal festeggiato) e gradita (da me).
Enzo Costa

La propaganda aleggia
anche sulle candeline
Signor Silvio Berlusconi buon compleanno. Approfitto della fausta
ricorrenza del suo genetliaco per farle una piccola richiesta. La prossima volta che visiterà un campo di sterminio nazista invece di dire che si sente israeliano dica più opportunamente che si sente: ebreo, zingaro, antifascista, omosessuale, soldato italiano che si rifiutò di servire la barbarie repubblichina, menomato, slavo, testimone di Geova, pacifista e oppositore del nazifascismo a vario titolo. Questi furono infatti le donne e gli uomini deportati, internati, torturati e quindi gasati e passati per i camini. A queste categorie umane appartengono i sopravissuti allo sterminio che oggi ricevono gli sputi i n faccia delle sue improvvide dichiarazioni di propaganda.
Moni Ovadia

Dimentichi
il Milan
Caro Presidente,
tanti auguri per il suo compleanno, ma se permette colgo la felice occasione per porle una domanda. Lei ha rilevato il Milan che stava male e ha costruito una grande società e una grande squadra. Ha preso l’Italia che non stava bene e la sta facendo a pezzi. Quando pensa di ritornare ad occuparsi del Milan a tempo pieno?
Renzo Ulivieri

Auguri di grande felicità
ma lontano da qui
Dottor Silvio Berlusconi,
le faccio i miei più sentiti auguri di buon compleanno. E le auguro, dunque, di vivere altri 100 anni felice, ricco, in buona salute. E in un altro Paese.
Carlo Lucarelli

Scelga il delfino del Pdl
tra Fini e Tremonti
Tanti auguri e una domanda. Questa: se Bossi è incerto tra suo figlio e Maroni come successore alla guida della Lega, chi sceglierà Berlusconi tra Fini e Tremonti per guidare il Pdl?
Piero Ignazi




Pubblicato il: 29.09.08
Modificato il: 29.09.08 alle ore 8.24   
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Titolo: Clara Sereni. Il Paese dell’odio
Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2008, 05:21:08 pm
Il Paese dell’odio

Clara Sereni


Ieri è successo a Parma, a Emmanuel Bonsu, picchiato da sette vigili urbani per un sospetto, e nel verbale invece del suo nome hanno scritto «negro». È successo nei giorni scorsi a Milano, a Castelvolturno, a Monza, a Cosenza, ancora a Parma, e in tanti luoghi di cui non abbiamo notizia. È successo che gli invisibili - disabili, negri, prostitute, lavoratori in nero di ogni etnia - li vediamo in cronaca, picchiati espulsi uccisi. Ma questo non è un Paese razzista, ci dicono e ci diciamo.

Proviamo a partire da lontano, forse può aiutarci a capire. Nei campi di sterminio nazi-fascisti furono soppressi circa 13 milioni (milioni!) di persone.

Tredici milioni vuol dire un pezzo non irrilevante di popolazione mondiale: ci vogliono Austria e Danimarca sommate insieme, per arrivare a questo numero, o due terzi dei cittadini australiani. Sei milioni circa erano ebrei. Sette milioni circa erano antifascisti e antinazisti, zingari e disabili, omosessuali e comunisti, e perfino coppie di gemelli, un’eccezione della natura particolarmente cara a Mengele, il mostruoso dottor Morte. Tredici milioni di “diversi” per scelta o per destino, accomunati dall’essere considerati meno di niente, un agglomerato di rifiuti, un’immondizia da eliminare, in quanto tali da riciclare per le loro parti preziose: l’oro delle protesi dentarie per farne lingotti, o i grassi umani per farne sapone, tanto per fare qualche esempio. Come le lattine d’alluminio, come il vetro, come la carta. Intorno a quei 13 milioni, un numero così grande da essere quasi inconcepibile, un’Europa cieca e muta.

Ad oggi, e malgrado ogni negazionismo, il nucleo più integrale di razzismo è questo: le persone diventano meno di niente. I diversi prima diventano invisibili, inesistenti, privi di diritti, e solo dopo vengono in un modo o nell’altro (ce ne sono tanti!) eliminati, in un sogno folle ma frequente di omogeneità sociale.

Sono partita da lontano, ma tutto questo ci riguarda: oggi, e non solo per la memoria che qualcuno di noi ancora ne porta. Per alcuni (pochi) decenni l’integrazione delle e fra le diversità è stata il leit-motiv dei movimenti più avanzati: dalla scuola alla psichiatria, dalla religiosità più avanzata all’emigrazione italiana all’estero. Numeri solo un po’ meno milionari anche qui, ma sembrava normale, ed era possibile. «Diverso è bello», si diceva, pur con la coscienza delle difficoltà. Si diceva “integrazione” per significare che senza questo o quel pezzo, questa o quella diversità, il corpo sociale non è intero, è deprivato.

Mi chiedo dove i saperi legati a tutte queste esperienze siano andati a finire. Certo negli insegnanti di sostegno disperati e disperate che (come nella lettera a Cancrini pubblicata di recente su queste pagine) vedono svanire il lavoro di tanti anni grazie alla sbrigativa ministra Gelmini. Certo nei timori di tanti psichiatri, utenti, famigliari, cooperative e associazioni che aspettano con grande preoccupazione i provvedimenti annunciati da Berlusconi nel programma elettorale in tema di trattamenti sanitari obbligatori, questione che porta con sé idee sulla riforma della 180 che non possono che spaventare, tanto più se in coppia con la privatizzazione della salute minacciata in questi giorni. Certo non dimenticano gli appartenenti a tante confessioni, che ancora e ostinatamente cercano l’incontro e il dialogo con l’Altro ma sono ridotti in piccoli gruppi, la cui voce è difficile far sentire. Né dimenticano molteplici strutture della Chiesa cattolica, che su più fronti ha dato conto delle proprie ansie e preoccupazioni. Non dimenticano le operatrici e gli operatori di strada, siano quelli coinvolti nella prostituzione, siano quelli che provano a portare a scuola chi è risucchiato dalle mafie.

Ma il Paese, l’Italia nel suo complesso, ciascuno di noi “normali”, cosa ricorda? E, soprattutto, cosa “vede”? Da ogni parte arrivano richieste perché chi è scomodo diventi anche invisibile: le prostitute non devono più farsi vedere per strada, i disabili se non vanno a scuola è meglio, i matti risultano pericolosi come i magistrati e viceversa, i migranti hanno il dovere di farci vivere meglio e non il diritto di affacciarsi ai diritti, le preghiere dei musulmani vanno bene purché non ingombrino, e via cancellando.

Tutto questo, tutto insieme, è razzismo. E alberga in ciascuno di noi, anche se ci piacerebbe credere che non è così. Ogni volta in cui ci sembra che il singolo problema - disabilità o Islam, colore della pelle o follia - non ci riguardi, e che dunque possiamo tacere, non opporci, non scendere in strada, rinunciare, quella che avanza è l’idea che si possano tagliar via singoli pezzi di società senza che questo sia una perdita per tutti. Il silenzio uccide l’integrazione, uccide gli invisibili, e ci uccide anche dentro.

Così come, quando c’è un vuoto, qualcosa interviene sempre a riempirlo, così nel vuoto di gesti e di parole maturano altri gesti, altre parole. Qualche anno fa, ho studiato gli archivi dell’ufficio per la difesa della razza istituito dal fascismo. Era in gran parte un tremendo elenco di piccole denunce: il tale aveva, in spregio della legge allora vigente, una domestica non ebrea, un altro aveva una radio, strumento anch’esso proibito. Piccole cose, nel piccolo mondo ottuso che dava vita e vigore al fascismo. Piccole e grandi invidie, piccole e grandi paure, piccole e grandi delazioni, il frutto velenoso di egoismi ristretti ha aperto la strada allo sterminio, maturato grazie ad una irresponsabilità e ad un silenzio collettivi. Irresponsabilità e silenzio più gravi in altre parti d’Europa ma che hanno largamente riguardato anche degli italiani, con troppa facilità e continuità messisi al sicuro sotto la coperta calda degli “italiani brava gente”.

Credo che gli italiani siano tuttora, in larga misura, brava gente. Gente con il cuore in mano, soprattutto se il portafoglio è ben custodito. Ma la smemoratezza diffusa a larghe mani, il portafoglio mai come ora in pericolo, i rischi reali e quelli artatamente innescati, il disfacimento progressivo dei legami di solidarietà, la precarietà di una politica incapace di tenere insieme tutti i fili senza farli aggrovigliare, mi fa temere che sempre più siamo e saremo come le famose tre scimmiette: non vedere, non sentire, non parlare, lasciando che qualcun altro se ne occupi, e che gli invisibili affondino nel loro mare (e non solo in senso figurato, come sappiamo). Convinti di salvarci aggrappandoci a privilegi che ci sembrano garantiti e ci fanno sentire al riparo: la cittadinanza, il colore della pelle, la cultura, le disponibilità economiche. Ma nessuno è garantito per sempre, quando i pezzi vanno via senza posa: nel silenzio sempre più cupo alla fine - come scriveva Brecht - entrerò fra gli invisibili anche io, anche tu, e non ci sarà più nessuno a gridare.

Per ricominciare a vedere gli invisibili con occhio partecipe, fuori dal silenzio, per non essere razzisti nel nostro fondo, c’è bisogno di un grande salto culturale, di quelli difficili. C’è bisogno che ciascuno riparta da sé, dalle proprie personali scimmiette. Perché, come diceva don Milani, “mi riguarda” è il contrario di “me ne frego”: concetto da tenere a mente, in questi tempi di fascismo rinascente. Quando si tende a dimenticare che i problemi li abbiamo tutti, ma uscirne ciascuno per proprio conto è egoismo sterile, mentre uscirne tutte e tutti insieme è Politica. Quella con la P maiuscola.


Pubblicato il: 01.10.08
Modificato il: 01.10.08 alle ore 11.10   
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Titolo: Marina Berlusconi: no alla speculazione, sì alla finanza buona... (dilagano)
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2008, 04:07:41 pm
L’intervista La presidente della Fininvest sarà proposta nel consiglio di amministrazione di Mediobanca alla prossima assemblea

«Il mondo è in piena crisi e Veltroni parla di regime...»

Marina Berlusconi: no alla speculazione, sì alla finanza buona



«Anche oggi i mercati ballano…». Marina Berlusconi si siede preoccupata, meno sorridente del solito, sul divano del suo salotto, quello dove normalmente sono appoggiati i giocattoli dei figli Gabriele e Silvio. «Unicredito?» chiede. Sì, ancora Unicredito ma anche Intesa comincia a soffrire, dicono le agenzie di stampa. Arrivano poi in rapida successione le note di Palazzo Chigi, del premier suo padre, e poi quelle del Tesoro, della Bankitalia. La situazione sembra rasserenarsi un po’. La giornata è ancora lunga. Ancora una volta il suo nome è apparso sui giornali in queste settimane per quella che si annuncia essere una svolta nella sua carriera: il 28 ottobre il patto dei soci di Mediobanca la proporrà come componente del consiglio d’amministrazione di Piazzetta Cuccia. E ancora l’altro ieri, il leader dei democratici Walter Veltroni, l’accusava di conflitto di interessi... «Peccato. Dopo anni di rispettabilissimi travagli, di primarie, di loft, di "yes we can" e "ma anche", con l’intervista al Corriere siamo tornati alla casella di partenza: a Berlusconi con coda e forcone, l’unica cosa su cui a sinistra non litigano. Ma come, ora c’è un governo che finalmente fa quello che gli italiani chiedono, cioè decide. E di governi che decidono non c’è mai stato tanto bisogno come adesso, con questo tsunami che sta scuotendo l’economia mondiale e la speculazione che ha messo nel mirino anche le nostre banche. Che l’opposizione critichi tutti i provvedimenti che ritiene sbagliati: è un suo diritto e anche un suo dovere. Ma perché tirare ancora in ballo il rischio di regime»?

Eppure sull'Alitalia Confalonieri ha detto bravo a Veltroni
«Confalonieri, come sempre, ha detto quello che pensa. Ma, Alitalia a parte, il leader del Pd mi ricorda chi guardandosi allo specchio si trova ingrassato e dà la colpa allo specchio invece di mettersi a dieta. E se posso dare un consiglio: per dimagrire non servono i girotondi, perché si consumano poche calorie. Molto più efficace correre».

L’accusa è stata però di quelle brucianti: la figlia del premier entra nel santuario della finanza italiana...
«Beh, che io sia la figlia del premier mi pare innegabile. E le dirò di più. Non sono Silvio, sono Marina, ma sono molto orgogliosa di chiamarmi Berlusconi».

Resta l’accusa sul conflitto di interesse.
«L’interesse è evidente: parliamo di una istituzione prestigiosa, in cui abbiamo investito 280 milioni di euro. Quello che non vedo invece è il conflitto. Mi ero ripromessa di non parlare prima dell’assemblea, ma visto che continuano a tirarmi in ballo… Nel sindacato abbiamo solo l’1%, ma siamo comunque tra i principali soci industriali ed eravamo gli unici non presenti in consiglio. E poi non abbiamo chiesto noi di entrare, ce l’hanno proposto, tutti i soci del patto erano d’accordo».

Con questa crisi non è il momento migliore per entrare nel tempio della finanza italiana, Mediobanca.
«Guardi, c’è finanza e finanza. C’è la finanza dei subprime, dei giocatori di poker con le carte truccate, e c’è la finanza sana, parsimoniosa, che Mediobanca rappresenta molto bene e che è un sostegno indispensabile per lo sviluppo delle imprese».

Lei ne ha conosciuto parecchi di quelli che chiama «giocatori di poker»?
«Abbastanza. Con la liquidità che abbiamo, ci hanno proposto parecchie operazioni che non esito a definire speculative. Tutte rifiutate. E poi si ricorda la bolla Internet? In quei mesi noi ricevevamo progetti di ogni genere. Poi si faceva la fatidica domanda: ma i ricavi? E gli utili? A quel punto il castello di carte cadeva. Proprio come sta cadendo oggi quella che era diventata una enorme bisca, dove girava vorticosamente carta che rendeva alcuni spaventosamente ricchi senza però creare vera ricchezza».

Ma fior di banchieri si sono trovati nella bufera.
«Per fortuna in Italia no. Aldilà della speculazione di queste ore, gli istituti italiani sembrano mostrare una salute migliore».

Però si parla di fine del capitalismo...
«Non ho ricette da dare, ma comunque non sono d’accordo. Il capitalismo sarà pure un sistema pessimo, ma ad oggi non ne è stato inventato uno migliore. E poi quello di cui stiamo parlando non ha niente a che vedere con il capitalismo vero e con i suoi principi: concorrenza, trasparenza, responsabilità, merito… Mi dica che cosa c’entrano col merito le buonuscite miliardarie di manager che hanno schiantato aziende blasonate e distrutto migliaia di posti di lavoro. Per questo resto una liberista non pentita: perché, lo ripeto, tutto questo con il capitalismo non c’entra niente».

Ammetterà che le regole non hanno funzionato.
«Mi pare evidente, e chi doveva controllare non lo ha fatto. Quindi, più regole, ma non solo. Chiediamoci se ha un senso il modo in cui oggi vengono valutate le imprese e i loro manager, basandosi su una visione di breve o brevissimo periodo. Quando un’azienda è di fronte ad una decisione strategica, deve poter avere la serenità di soppesare quali saranno gli impatti nell’arco di anni, senza essere ossessionata da come reagirà il mercato il giorno dopo. Detto questo, sa qual è il rischio? Che si ecceda nelle regole: non discuto l’emergenza, non discuto che la deregulation abbia completamente fallito, ma finita l’emergenza, non spazziamo via quei semi della cultura liberale che a fatica stavano germogliando anche da noi, perché da lì bisognerà comunque ripartire».

Una critica indiretta al governo di centro destra? La vicenda Alitalia mostra che in quanto a interventi il governo di suo padre sa bene come fare.
«No, nessuna critica, io ragiono da imprenditore, e governare tenendo conto di interessi molto più generali è tutt’altra cosa. Qualcuno ha detto che per fare politiche di destra occorrono governi di sinistra. Le categorie di destra e sinistra non hanno più senso, ma se per pura convenzione dovessimo definire di "sinistra" tutto quello che va nel senso dell’attenzione ai più deboli e ai modi per poter dare loro pari opportunità, allora questo è l'esatto contrario: un governo di destra che fa politiche di sinistra».

Ma non mi ha risposto su Alitalia.
«Beh, intanto non è stata nazionalizzata ma privatizzata. E poi sono stati mantenuti gli impegni presi: è rimasta una compagnia di bandiera, controllata da soci italiani, aperta in prospettiva ad alleanze internazionali ».

Però le spese sono state accollate allo stato.
«E quali sarebbero state le alternative? Lo Stato è giustamente intervenuto nell’alleviare una situazione che poteva essere molto dolorosa per alcune fasce di lavoratori».

Torniamo alle regole. Resta il fatto che in Mediobanca, tra le partecipazioni strategiche c'è Rcs e lei è presidente di Mondadori...
«Mi pare che il problema di potenziali conflitti di interessi dei soci sia stato affrontato in occasione del cambio di governance, e tutti si sono dichiarati soddisfatti sulle soluzioni adottate. E poi per molti anni fra gli azionisti più influenti di Mediobanca c'è stato l'editore di uno dei maggiori quotidiani nazionali, senza che nessuno gridasse allo scandalo».

Non le fa impressione entrare nel vertice della società che rifiutò la quotazione di Mediaset?
«Quella ormai non solo è storia, è preistoria. Con Mediobanca lavoriamo, e bene, da parecchio tempo».

Alla fine anche voi entrate nel salotto buono.
«Guardi, certo Mediobanca ha una storia unica e straordinaria, certo - non voglio fare l’ingenua - ha alcune partecipazioni diciamo sensibili. Ma a noi interessa soprattutto come importante diversificazione finanziaria, in quanto impresa moderna, dinamica, che guarda allo sviluppo internazionale e che ha saputo ottenere risultati eccellenti anche in momenti complessi come questo. E poi francamente, di fronte a una realtà come la Mediobanca di oggi, mi pare davvero riduttiva l'immagine del salotto. Anche se buono o direi addirittura ottimo».

Daniele Manca
02 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: Scuola, il premier: «Disastro è colpa della sinistra» - (lui dov'era? ndr).
Inserito da: Admin - Ottobre 03, 2008, 06:00:34 pm
Scuola, il premier: «Disastro è colpa della sinistra»

"No Gelmini day", insegnanti e genitori protestano

Il ministro dell'Istruzione: «Bisogna avere il coraggio di cambiare»

Dl Gelmini: il Pd abbandona la commissione Bilancio della Camera

 
ROMA (2 ottobre) - Nuova giornata di proteste, oggi, contro i provvedimenti della riforma Gelmini, mentre Silvio Berlusconi accusa: il disastro della scuola è colpa della sinistra e dei sindacati. Davanti al ministero della pubblica Istruzione decine di genitori si sono radunati per partecipare al "No Gelmini day": un sit-in per dire no alla riforma dell'Istruzione. «Maestro unico, no grazie», «Abbasso le lavagne luminose, viva le maestre» e «Nessun genitore vuole risparmiare sui bambini»: queste le scritte su cartelli e striscioni esposti dai manifestanti. Hanno aderito all'iniziativa gruppi di genitori del Guds (genitori uniti per difendere la scuola), sorti in tutta Italia in queste settimane per contrastare il provvedimenti varati dalla Gelmini che prevede, tra l'altro, il ripristino del maestro unico alle elementari.

Al sit-in hanno partecipato anche numerosi docenti. Tra gli slogan più gridati, quelli riferiti all'accesso alle graduatorie: «Tutti dentro, tutti dentro», ha scandito più volte la folla, e «Sì agli specializzati, no ai raccomandati». Dalla scalinata del ministero, molti all'altoparlante hanno poi contestato «il silenzio assordante dei sindacati». Un piccolo gruppo di docenti precari si è vestito con sacchi neri, portando il cartello «Insegnanti uguale spazzatura». Nella manifestazione hanno trovato spazio anche situazioni particolari, come quella dei «congelati» delle Ssis, che, dopo aver vinto il concorso d'ammissione, hanno rimandato l'ingresso alla scuola di specializzazione per completare un dottorato, o per motivi familiari, e ora sono tagliati fuori dal blocco delle Ssis.

La protesta si allarga a diverse scuole di Roma: alle 17.30 l'istituto Basile a Torre Angela darà il via a incontri e spettacoli. Pomeriggio di mobilitazione anche in numerose scuole elementari. Venerdì scendono in piazza gli studenti dei licei della capitale: a partire dalle 9 presidi al Virgilio, Tasso, Kennedy e Mamiani. La mobilitazione si concluderà alle 10 davanti a Viale Trastevere.

Berlusconi: disastro è colpa della sinistra  «I leader delle opposizioni dicono che vogliono salvare la scuola e non hanno il coraggio di ammettere che il disastro in cui si trova quella italiana è colpa di molti governi del passato e del consociativismo della sinistra e dei sindacati». A sottolinearlo è stato il premier Silvio Berlusconi in una conferenza stampa a palazzo Chigi. «Per anni -avverte il premier- hanno illuso i precari con la speranza del posto fisso, senza attenzione alla qualità dell'istruzione. Hanno usato la scuola come ammortizzatore sociale». Con l'introduzione del maestro unico, garantisce il Cavaliere, «il tempo pieno aumenterà del 50%».

Berlusconi sottolinea la necessità di pagare di più gli insegnanti italiani che percepiscono stipendi «troppo bassi». Secondo il Cavaliere, le buste paga sono ridotte e non tengono conto «dell'entusiasmo e del merito dei singoli» e rispondono invece a «un egualitarismo che forse troverebbe cittadinanza in un'economia socialista e che non risponde invece alla filosofia liberale e capitalista». Per il premier, si tratta di «una cosa assolutamente indebita» che gli stipendi degli insegnanti siano «simili» a quelli dei bidelli o a quelli dei precari che sono «da fame. Queste buste paga basse rappresentano un vero e proprio disastro a cui vogliamo porre rimedio».

«Dico in modo chiaro e deciso che non ci sarà nessuna cacciata. Gli 87 mila insegnanti di meno da qui a tre anni li raggiungeremo per effetto dei prepensionamenti e del blocco del turn over», ha detto ancora il premier, sostenendo che quella della "cacciata" di 87 mila insegnanti è «l'ennesima
menzogna» della sinistra e dei sindacati che per anni «hanno usato la scuola come un ammortizzatore sociale».

Il ministro: sono piccole frange che non guardano ai problemi. Da parte sua, il ministro dell'Istruzione ha definito oggi i manifestanti "piccole frange che non guardano i problemi": «Ci sono due Italie - ha detto - Una è per una scuola di qualità, per insegnanti che voglio essere pagati meglio ed è quella che rappresenta la maggioranza degli italiani. Poi ci sono piccole frange che hanno deciso di non guardare nel merito i problemi e preferiscono protestare. Li lascio fare. Chi si limita a difendere lo status quo non fa un buon servizio per il futuro della scuola. Bisogna avere coraggio di cambiare. La scuola come è oggi scontenta tutti, docenti e ragazzi».

Castagnetti (Pd): riforma? Il ministro ci ripensi. In una lettera aperta al ministro pubblicata da Europa, Pierluigi Castagnetti ha criticato la decisione di Gelmini di adottare lo strumento del decreto per riformare la scuola: «Se fosse venuta in Parlamento con un disegno di legge avrebbe potuto apprezzare la nostra sincera volontà a collaborare - ha scritto - perché la scuola italiana ci sta a cuore, molto. La scuola è di tutti, e non di un governo o di una maggioranza. La scuola è il futuro dei nostri figli e del paese. Gli interventi previsti dal decreto concentrano la loro attenzione più sugli effetti di risonanza esterna (la bocciatura sia per ragioni di condotta sia per quelle di apprendimento) che non sugli obiettivi di qualificazione degli apprendimenti, più sugli aspetti di selezione sociale che sullo studio degli interventi promozionali, più sugli aspetti di apparenza (il voto numerico) che su quelli di significato (la valutazione formativa)». Castagnetti ha poi rivolto un appello al ministro: «Ci ripensi signora ministro, chieda l'autorizzazione a Berlusconi e a Tremonti di poter aprire un dialogo in Parlamento, e vedrà che tutti insieme riusciremo a migliorare questo provvedimento scritto nottetempo».

Dl Gelmini: Pd abbandona la commissione Bilancio della Camera. Oggi il gruppo del Pd ha abbandonato la commissione Bilancio della Camera sul voto relativo al parere sul decreto Gelmini: «Il governo non ha quantificato gli oneri relativi all'istituzione del maestro unico - ha affermato il capogruppo del Pd nella commissione Pierpaolo Baretta - La commissione Bilancio, all'unanimità, aveva richiesto in una precedente seduta che il governo prevedesse questi oneri. Nella riunione odierna il governo non ha apportato né una relazione tecnica né i dati relativi al provvedimento in questione. È un fatto molto grave: l'approvazione di un provvedimento di legge senza conoscerne gli effetti finanziari rappresenta un precedente al di fuori di ogni regola parlamentare. Tanto più in questa delicata situazione generale - conclude Baretta - e su un provvedimento che ha tanta influenza sulle famiglie italiane».

Fiducia alla Camera martedì prossimo. Sul decreto legge si profila il ricorso alla fiducia martedì prossimo. Lo riferiscono fonti dell'Esecutivo, segnalando che i calendari di alcune commissioni di Montecitorio sono stati organizzati tenendo conto dello stop ai lavori che si avrebbe martedì con l'annuncio della fiducia da parte del Governo.

da ilmessaggero.it


Titolo: ...ribattezzato Villa Schifani un pezzo di Villa Certosa (ma che bello!!! ndr)
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2008, 04:46:57 pm
Il presidente del Senato a "Domenica in" attacca il leader dell'opposizione

"Non intravedo il rischio, mi auguro che si torni al confronto"

Schifani contro l'allarme di Veltroni

"Autoritarismo? Così avvelena il clima"

Minimizzato anche il pericolo razzismo: "Non è nel Dna degli italiani"

 

ROMA - Walter Veltroni "avvelena il clima" quando accusa il governo di evolvere verso una deriva autoritaria. Lo afferma il presidente del Senato Renato Schifani. Questo rischio secondo la seconda carica dello Stato infatti in Italia non c'è. "Registro un pericolo di avvelenamento del clima politico", dice Schifani ospite di 'Domenica in', attribuendone la responsabilità al leader del Pd, al quale pure riconosce il merito di "una svolta" nell'incontro "con Berlusconi", che aveva determinato una legittimazione di parti fino a quel momento "contrapposte".

C'è "un avvelenamento del clima politico, di cui fanno parte questa dichiarazioni", prosegue il presidente del Senato, sottolineando che "non intravedo il rischio di questo pericolo e mi auguro che si torni al confronto".

Schifani affronta poi l'allarme razzismo scattato dopo il ripetersi di episodi di violenza. "Non credo nel nostro Paese esista il razzismo - dice - Non può esistere, non è nel nostro Dna. Nel nostro Dna c'è l'accoglienza, la solidarietà". "Altra questione - precisa poi - è quella del pericolo di razzismo, di frange 'dormienti' che si sono risvegliate con episodi gravi come quello dell'omicidio della signora Reggiani. Di fronte a episodi di questo tipo la parte sana del Paese ha reagito positivamente una parte massimalista ha reagito in maniera xenofoba. Fenomeni di questo tipo vanno condannati e tenuti sotto controllo".

Per ottenere questo risultato il presidente del Senato invoca la stessa unità delle forze politiche che si è registrata nella lotta alla mafia. "Mi auguro che questo argomento - spiega - sfugga alla politica della contrapposizione tra parti. Con la mafia è stato possibile, non ci sono state spaccature e la guerra contro Cosa nostra si sta vincendo in una logica di sinergie unitarie. Con la mafia la politica non si è divisa: non deve farlo neanche contro il razzismo".

Al centro dell'intervista di Schifani a 'Domenica in' anche il suo rapporto di amicizia con Silvio Berlusconi. Con orgoglio il presidente del Senato ha rivelato che il presidente del Consiglio ha ribattezzato "Villa Schifani" un pezzo del parco di Villa La Certosa, la tenuta del premier in Costa Smeralda. "Berlusconi - spiega - ama la sua villa in Sardegna, e io attraverso le mie 'spie' cerco di sapere quali sono le piante che mancano nel suo parco così da potergliele regalare. Per questo il Cavaliere mi ha detto di aver ribattezzato un pezzo di quel parco con il mio nome".

(5 ottobre 2008)


da repubblica.it


Titolo: Enrico Fierro. Casal di Principe, arrivano i parà. Ma la camorra uccide ancora
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2008, 06:18:55 pm
Casal di Principe, arrivano i parà. Ma la camorra uccide ancora

Enrico Fierro


Come Al Qaeda. Peggio di Al Qaeda. I casalesi uccidono nel giorno in cui nella «loro» terra arrivano i parà della Folgore. Con i blindati, i mitra spianati e gli uomini in mimetica, la stessa di Falluja e di Baghdad. E come in una città irachena i terroristi, che qui si chiamano camorristi, hanno cognomi noti e soprannomi da operetta, sparano indisturbati, lasciano morti a terra facciabocconi e si dissolvono come ombre del male nella luce del giorno. Un regolamento di conti con gli «infami», i pentiti che con le loro rivelazioni stanno demolendo l’architettura dei casalesi, la loro rete militare, i loro rapporti con la politica.

Un avvertimento a quelli che sono finiti in carcere e che potrebbero «cantarsela». Forse. Ogni ipotesi è buona. Anche quella di una sfida allo Stato: tu mandi i militari, io uccido perché sono più forte di te. Tu «invadi» la mia terra, io sparo perché questi paesi, le loro campagne invase di monnezza e veleni, i centri commerciali e le boutique volgari, le puttane che occupano ogni metro della Domiziana: ecco, è tutta roba mia. Di un altro Stato.
Ipotesi. L'unico dato drammaticamente certo è che Stanislao Cantelli, 60 anni, un passato da operaio, è stato massacrato alle 10 del mattino mentre giocava a carte. «Circolo ricreativo» si chiama quel basso dove il vecchio «Siddano» aveva deciso di passare qualche ora di svago. Dentro, il suo tavolino apparecchiato per due, attorno altri tavoli con giocatori di briscola. I killer, almeno due, sono entrati, si sono avvicinati e hanno sparato. Diciotto volte. Continuando a mirare e far fuoco con le loro calibro 9, le stesse usate in altri omicidi. Con calma. Il sangue del vecchio Siddano è schizzato dovunque fino a coprire di rosso il marmo d'ingresso del circolo e parte del marciapiede. È morto così il vecchio «curativo», in pratica l'esperto casaro per la lavorazione delle mozzarelle di bufala, come si muore a Casal Di Principe. Per una parentela acquisita, quella con Francesco Bidognetti (Cicciotto 'e mezzanotte), boss dei casalesi in carcere. O per quella più importante con Luigi Diana, ex picciotto di Bidognetti che da mesi è «un pentito». Quanta gente ha mandato in galera «Giggino». Il rischio è che altri possano seguire il suo esempio. E allora si fa piazza pulita degli «infami» e dei familiari.

Ora che il vecchio è morto, qualcuno ricorda una sibillina frase di Sandokan, Francesco Schiavone, il capo dei capi. La pronunciò nell'inverno scorso durante una delle udienze del processo d'appello «Spartakus» per ribattere alle accuse del pentito Giggino Diana. «Ma perché ce l'hai con me? Io ti ho sempre voluto bene ed ho voluto bene alla tua famiglia, soprattutto a tuo zio Stanislao». Così parla un capo di camorra, che non minaccia mai, «vuole bene». Forse è morto per tutto questo il vecchio casaro, un incensurato (anche a Casal di Principe ne esistono e sono la maggioranza della popolazione) che aveva assaggiato le durezze del lavoro fin da bambino. Ma Siddano è morto anche perché lo Stato ha mandato 500 parà della Folgore, centinaia di poliziotti e carabinieri. Un esercito che ieri ha perso la sua prima battaglia. Il circolo dove hanno ucciso Stanislao Cantelli dista poche decine di metri da via Benedetto Croce. a quell'ora c'era un posto di blocco. Nella piazza che chiamano del Mercato, invece, c'erano i parà, fermi nei loro gipponi. Tutto inutile: i killer hanno sparato e sono andati via. Nessuno ha visto, nessuno offre un minimo di aiuto agli investigatori. Qualcuno ha visto una moto fuggire dopo gli spari. Nessuno, almeno fino a ieri notte, è riuscita a trovarla.
Ed è proprio un senso di inutilità, di sconfitta e di paura che ti avvolge arrivando nel pomeriggio nel regno dei Casalesi. Attraversiamo il raccordo che dall'autostrada porta in questa parte del casertano: non c’è un solo posto di blocco. Entriamo a bordo di una macchina sconosciuta dentro Casal Di Principe e non ci ferma nessuno. Possiamo girare indisturbati. Killer o cronisti con la stessa libertà. «Quando sono arrivati i parà c'era una selva di telecamere. I militari avevano le facce dure buone per i tg. E poi? È successo quello che avete visto. Una bella parata, non c'è che dire». Il giovane che accetta di parlarci si è laureato da poco in architettura. Passeggiamo a pochi metri dal circolo della morte, stando attenti a non calpestare il sangue del povero Siddano. «Qui non c'è futuro. Vado via, su al Nord, anche a fare lo sguattero. Questa è una terra di morte».

«Fuitevenne a Napoli», disse il grande Edoardo trent'anni fa, stanco di vedere la sua terra martoriata da camorre e politica corrotta. «Via, andiamo via, la speranza è morta», ha detto ieri con un groppo alla gola don Carlo Aversano alla messa di mezzogiorno. Il resto è l'indifferenza degli uomini seduti davanti ai circoli. Ce ne sono tanti a Casale. «Ma che volete da noi? Qua ci trattano come se fossimo in guerra. Mo ci mandano pure i carrarmati. Iatevenne». Il morto? «Era una brava persona. Forse lo hanno inguaiato le parentele». «Dottò, qua ci vuole il lavoro. Ma quale camorra! Lo Stato porti il lavoro». Parole vuote, frasi inutili nella terra dove la vita vale meno di un euro, dove una potente camorra se ne fotte dei parà e delle dispute tra ministri (Èè guerra civile? Chi coordina i militari, Maroni o La Russa?). Il <CF74>chi se ne frega</CF> risuona potente come uno sbuffo del Vesuvio.
 


Pubblicato il: 06.10.08
Modificato il: 06.10.08 alle ore 11.49   
© l'Unità.


Titolo: In discoteca col Cavaliere fino all'alba "Dormo 3 ore, altre 3 per fare l'amore"
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2008, 06:38:30 pm
IL PERSONAGGIO

In discoteca col Cavaliere fino all'alba "Dormo 3 ore, altre 3 per fare l'amore"

Berlusconi arriva da Parigi e si immerge nel cuore della movida milanese: "Dai giovani ho sempre da imparare".

Poi elogia il sindaco Moratti


di FRANCO VANNI


MILANO - Esce alle sei e un quarto del mattino da una porta laterale. Giacca nera su maglia nera. Al suo fianco le ragazze incontrate in discoteca, lo seguono i giovani che hanno trascorso con lui la notte, seduti ai tavoli del privé. Silvio Berlusconi non ha ancora sonno: "Fra un'ora comincio a lavorare, ma mi sento fresco. Ero alla notte bianca di Parigi, poi un amico mi ha invitato a questa festa e non ho saputo resistere". Già all'una di notte, quando lo avevano visto entrare nel club, i ventenni davanti all'ingresso lo avevano punzecchiato: presidente, ma non è un po' tardi per stare in giro? "Se dormo tre ore, poi ho ancora energia per fare l'amore per altre tre". Presidente, ma non si ferma mai? "Vi auguro di arrivare a settant'anni nello stato di forma in cui ci sono arrivato io".

Discoteca Lotus, a pochi passi da corso Como, cuore della movida milanese. Il locale è chiuso da un'ora. Gli ultimi a uscire sono il premier e una ventina di ragazzi. "Amici del nipote di un amico costruttore - dice Silvio - la politica non c'entra". Un'Audi scura aspetta con la portiera aperta, Berlusconi si ferma, ha voglia di parlare. Si rivolge al sindaco di Milano Letizia Moratti, che non ha gradito i regali plurimilionari del governo a Roma e a Catania. Una pioggia di soldi per ripianare bilanci disastrati, mentre i Comuni virtuosi ancora aspettano i fondi per coprire il buco aperto dal governo con la cancellazione dell'Ici. "La polemica, pur condivisibile, non tiene conto della realtà. Abbiamo dato soldi a Roma perché era in una situazione finanziaria impossibile, per colpa delle giunte di centrosinistra - dice Berlusconi - e poi perché è la capitale e i simboli hanno un valore. A Catania il contributo dello Stato è andato perché quel Comune ha fatto investimenti in infrastrutture molto importanti, e lasciarlo senza soldi significava condannare la città alla paralisi amministrativa". Ma per la Moratti e per tutti i sindaci del Nord che protestano, dopo il bastone arriva la carota: "Letizia sta facendo un bellissimo lavoro. Ci piacerebbe poter premiare le città virtuose come Milano, ma prima dobbiamo risolvere i problemi dei Comuni in condizioni di emergenza. E comunque Milano riceverà il rimborso Ici come tutte le altre città, in base alle quote di entrate mancate che ha già messo a bilancio".

In strada la polizia ha appena calmato una rissa fra ubriachi. Ragazzi usciti dalla discoteca un po' troppo su di giri. Calci e pugni che macchiano di sangue le polo ben stirate. Il presidente non c'era e non ha visto. Era nel privè al primo piano, a colloquio con i "suoi" giovani. Ne dice ogni bene: "Dai ragazzi ho sempre da imparare. Mi hanno parlato della loro situazione, sempre la stessa: lavorano per grandi aziende, hanno poche certezze e stipendi bassi. Ho consigliato di mettersi in proprio, di fare impresa, di non avere paura". Come esempio, porta se stesso: le Coppe Campioni vinte, le aziende e la politica. Poi torna indietro, a quando dopo ogni trenta e lode all'università l'intero palazzo in cui abitava faceva festa, con sorrisi e frittelle. Parabole che fanno breccia: "Grazie per la lezione di vita", gli dice un bocconiano mentre torna alla sua Smart. "Apriremo un Circolo della Libertà, questa può considerarsi la prima riunione", assicura il padrone di casa, 33 anni, nipote del vicino di villa del premier in Sardegna.

Dai giovani, al Milan: "Devo dirlo ad Ancelotti: Ronaldinho è uomo da area. Deve stare in mezzo all'attacco e fare movimento, procurare rigori. È un peccato farlo partire dalla fascia sinistra. Poi si sa che sulla sinistra ci stanno i comunisti..." E avanti col calcio: "José Mourinho? Non lo conosco, non ho niente da dire su di lui, qualunque mio commento sarebbe casuale. Ho cose più importanti a cui pensare". Ad esempio? "I gol di Ibrahimovich - scherza il premier - È un giocatore impressionante e mi fa effetto vederlo all'Inter. È un campione fra i campioni, stavamo per portarlo al Milan, l'accordo c'era. Poi quando si è capito che non saremmo andati in Champions è saltato tutto. Con Shevchenko in forma, comunque, siamo competitivi per lo scudetto".

Dalla sua squadra, Berlusconi torna alla sua città: "L'Expo del 2015 per Milano sarà un'occasione straordinaria di rilancio". E dà l'annuncio che tutti i milanesi, a cominciare dal sindaco, aspettano da mesi: "Al prossimo Consiglio dei ministri firmerò il decreto con cui si definisce la governance della società speciale che gestirà l'Esposizione internazionale. Finalmente le parti in causa, il Comune e la Regione soprattutto, hanno trovato un accordo. Mi è stata consegnata una lista delle persone scelte per guidare la costruzione di Expo, e non ho veti da fare". Qualche nome? "Non me li ricordo".

In corso Como la voce della presenza di Berlusconi rimbalza da cellulare a cellulare già poco prima dell'una. Il pierre di una discoteca che chiama il buttafuori di un'altra, che via sms giura al barman: "C'è Silvio". Prima della festa nel privè, un salto al Luminal, locale a due passi. Prima di infilarsi in macchina, una battuta sulla crisi internazionale: "Al G4 di Parigi ho fatto di tutto per convincere gli stati europei a creare un fondo anti-crisi a cui i Paesi contribuissero in base al Pil, ma ho avuto resistenze proprio da parte delle nazioni più ricche". Leggi: la Germania. E si rivolge ai risparmiatori italiani: "Chi ha soldi in deposito nelle banche che hanno fatto affari con le società di credito americane fallite non abbiano timori per i loro soldi: il piano Bush da 700 miliardi è un ombrello solido". E con il grazie a Bush si chiude la notte più lunga del premier. "Un'improvvisata in discoteca di cinque ore", scherza tornando al lavoro, mezz'ora prima dell'alba.

(6 ottobre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Enrico Fierro. Affare tra sindaco e ’ndrangheta Lo svincolo della A3 va spostato
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2008, 03:12:05 pm
L’affare tra sindaco e ’ndrangheta: «Lo svincolo della A3 va spostato»


Enrico Fierro


Erano i sindaci della ‘ndrangheta. Uomini di paglia, politici del disonore al servizio dei boss. Come il sindaco di Gioia Tauro, 18 mila abitanti, sede di uno dei più importanti porti del Mediterraneo. Si chiama Giorgio Dal Torrione, ha 62 anni e milita nell’Udc di Pierferdinando Casini. Per la procura di Reggio Calabria è il referente dei Piromalli, un uomo a disposizione. Per il gip Kate Tassone «uno dei più pericolosi tra quei tristi personaggi della politica che mettono il mandato del popolo a disposizione delle cosche mafiose».

Le conseguenze di questo patto scellerato sono la morte della Calabria. La gip è impietosa nell’analisi: «Il loro atteggiamento perpetua quel perverso meccanismo che rende queste terre del meridione sempre schiave della criminalità mafiosa». Dal Torrione è finito in galera insieme al sindaco di Rosarno, Carlo Martelli di Forza Italia, in una inchiesta che è solo una parte dell’operazione che nel luglio scorso ha messo a nudo i rapporti tra le cosche della Piana, i loro referenti nel mondo affaristico e personaggi di primo livello della politica come Marcello Dell’Utri. Al centro di questa indagine un episodio già portato alla luce della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Francesco Forgione.
Una storia emblematica dei nuovi atteggiamenti «culturali» della mafia calabrese. Dal Torrione è un personaggio insidioso «perché ha tentato di mascherarsi da campione dell’antimafia a parole, osando persino avvicinarsi e sedere accanto a magistrati di questo ufficio, mentre nei fatti operava per il crimine organizzato». È l’antimafia dei convegni e degli applausi, quella che non costa nulla anche nella terra dove i sindaci invisi alle cosche vengono uccisi o fatti decadere.

Significativi sono i favori che il sindaco fa alle cosche. Il suo comune e quello di Rosarno, in altra epoca politica, si era costituito parte civile nei processi contro i Piromalli. «Uno smacco per le cosche, una sorta di sconfessione pubblica della loro capacità di piegare la pubblica amministrazione agli interessi mafiosi», scrive il gip. Il 4 luglio 2007, Gioacchino Piromalli, 38 anni, rampollo della «famiglia», viene condannato al risarcimento di 10 milioni di euro a favore dei comuni di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando. Ma il giovane nipote di uno dei «casati» storici della ‘ndrangheta, padrona degli appalti, ben presente nei cartelli del narcotraffico mondiale, si dichiara nullatenente, povero in canna. Vuole certamente risarcire il danno, ma prestando la sua opera di avvocato. Insomma, lavorerà per quegli stessi comuni che la sua famiglia mafiosa ha gravemente danneggiato. «Il Tribunale di sorveglianza - si legge negli atti della Commissione antimafia - come se nulla fosse e come se non conoscesse la reale identità del soggetto, gira la richiesta alle amministrazioni comunali interessate». Che accettano, non vedendo e truccando gli atti. È Dal Torrione che spinge perché si concretizzi la disponibilità dell’ «avvocato» Piromalli, facendo anche pressioni sul suo segretario comunale. Che firma tutto e ammette: «Mi rendo conto che sono stato utilizzato come una marionetta». Convincere Martelli, sindaco berlusconiano di Rosarno, non è difficile. Si tratta, scrivono i magistrati, «di un sindaco voluto dalla cosca mafiosa dei Pesce, notoriamente legata a quella di Gioia Tauro, anzi con essa federata, eletto grazie all’appoggio fornitogli dal gruppo mafioso che controlla quel territorio». Fortunatamente, però, non tutto lo Stato in Calabria è compromesso. Appena ricevono la richiesta dei comuni di utilizzare il giovane Piromalli, gli uffici dell’Avvocatura di Reggio Calabria informano tempestivamente la procura di Reggio.

Sono potentissimi i Piromalli e i loro alleati Molé in tutta la Piana, al punto di poter decidere di deviare il corso dell’autostrada. E’ il vecchio boss Gioacchino Piromalli, lo zio dell’«avvocato» a raccogliere le proteste di un gruppo di proprietari che rischiavano l’esproprio e ad imporre «la modifica dello svincolo dell'autostrada Salerno-Reggio all’altezza di Gioia Tauro».

Il sindaco Del Torrione sentiva il fiato sul collo della procura e temeva lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiosa. E così si incontra a Roma con l’onorevole Mario Tassone (Udc) membro della Commissione antimafia. Telefona anche all’onorevole Maria Grazia Laganà, la vedova di Francesco Fortugno, sua avversaria politica. Risponde un tale Fabio, l’accesso dei commissari prefettizi è stato rinviato. «Bisogna stare attenti - dice Fabio - e comunque si tratta di un dato positivo altrimenti avrebbero già chiuso il discorso». Commenta Dal Torrione: «Altrimenti ci avrebbero fatto un culo a cappello di prete».
È un classico - scrive la gip Kate Tassone - «che risponde ad una logica che in Calabria non può non definirsi mafiosa, secondo la quale l’esponente politico che sia indagato per mafia, non può fare a meno di prendere contatti con i suoi referenti». «Ma fortunatamente - concludono i magistrati - la Storia non si scrive solo con le dichiarazioni di comodo di amministratori compiacenti, la Storia è fatta di episodi concreti: e quella giudiziaria, in particolare, di quei fatti concreti che prendono il nome di indagini, processi e sentenze».

Pubblicato il: 14.10.08
Modificato il: 14.10.08 alle ore 8.51   
© l'Unità.


Titolo: MARIO DILIBERTO. Niente ciak senza pizzo Wertmuller via da Taranto
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2008, 03:12:59 pm
La richiesta degli estorsori: 50.000 euro per girare nei vicoli della città

La troupe emigra a Brindisi. Il governatore Vendola si scusa a nome dei pugliesi

Niente ciak senza pizzo Wertmuller via da Taranto

di MARIO DILIBERTO


TARANTO - La mala di Taranto voleva imporre il pizzo a Lina Wertmuller. Per continuare a filmare i vicoli della città vecchia bisognava sborsare 50.000 euro in contanti. Ma lei, piuttosto che pagare, ha preferito abbandonare la città pugliese.

La regista aveva scelto le strette viuzze del borgo antico di Taranto per i ciak del suo film "Mannaggia alla Miseria". Doveva restare in città un'altra settimana, ma di fronte al ricatto della mala ha deciso di cambiare programma. Girerà nella vicina Brindisi le ultime riprese pugliesi del suo film. E così sabato pomeriggio, scortata dalla polizia, la troupe ha abbandonato Taranto in fretta e furia.

Soltanto poche ore prima gli emissari dei signori del pizzo si erano presentati sul set. Mentre la Wertmuller si apprestava a conquistare i vicoli spagnoleggianti del borgo antico, hanno ufficializzato il diktat: pagare per lavorare.

La notizia ha fatto ben presto capolino tra cineprese e microfoni, turbando la Wertmuller ed i suoi collaboratori. La regista è innamorata di Taranto sin da quando, in quelle viuzze, girò "Io speriamo che me la cavo". Ma questa volta la città pugliese le ha riservato un'amara sorpresa. Tra un ciak e l'altro il direttore di produzione è stato minacciato. Per far filare tutto liscio occorreva scucire quei 50.000 euro. Poco dopo la richiesta è stata abbassata a 20.000 euro. Regista e troupe non hanno voluto cedere. Niente compromessi con la mala, meglio abbandonare. E così è stato.

Il responsabile di produzione ha contattato la polizia e l'assessorato regionale agli spettacoli e al turismo. La giornata di sabato è trascorsa tra febbrili colloqui istituzionali. Il prefetto e il questore di Taranto hanno tentato di convincere la produzione a non gettare la spugna. È stata offerta protezione, ma ormai la serenità del gruppo di lavoro di Lina Wertmuller era compromessa. Quindi meglio fare i bagagli.

Le attrezzature sono state smontate a tempo di record e caricate sui camion sotto gli occhi vigili della polizia. Poi il lungo serpentone di tir e furgoni, preceduto dalle staffette delle forze dell'ordine, si è allontanato da Taranto in direzione Brindisi. Prontamente sono scattate le indagini per dare un volto ai responsabili di quanto accaduto. La squadra mobile tarantina ha già imboccato una pista ritenuta affidabile e potrebbe chiudere il cerchio in poco tempo.

Ieri, non appena si è diffusa la notizia del tentativo di estorsione, il governatore della Puglia Nichi Vendola ha telefonato alla regista per scusarsi a nome dei pugliesi. L'agenzia regionale Apulia Film commission, inoltre, si è attivata per garantire il proseguimento in Puglia del lavoro della regista.

(14 ottobre 2008)

da repubblica.it


Titolo: "Io non faccio entrare la polizia all’Università"
Inserito da: Admin - Ottobre 24, 2008, 12:01:41 am
23/10/2008 (7:49) - PROTESTA ANTI GELMINI

"Io non faccio entrare la polizia all’Università"
 

Il rettore a Berlusconi: “Ateneo luogo di confronto”


GIULIA VOLA

TORINO


«Forse per la prima volta ci si ritrova tutti dalla stessa parte della barricata e forse le parole del premier vanno lette nel senso che incomincia a rendersi conto che quello che sta succedendo non è una robetta da quattro soldi, forse si tratta di una posizione difensiva che vuole far presa sull’opinione pubblica».

Così ieri il prorettore dell’Università, Sergio Roda, che ha ricevuto nel pomeriggio una delegazione di esponenti dell’Assemblea «No Gelmini» al termine della riunione che si è tenuta nel cortile del rettorato.

Ezio Pelizzetti, dal canto suo, ha voluto sottolineare, dopo il discorso del premier di ieri, che «è il rettore a decidere l’intervento eventuale della polizia all’interno dell’Università. In questo momento non ci sono proprio i presupposti. Questo è un luogo aperto al confronto».


da lastampa.it


Titolo: Il Cavaliere al leader del pd « Walter dovrebbe riposarsi e lasciarci lavorare»
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2008, 12:58:14 am
Il Cavaliere al leader del pd « Walter dovrebbe riposarsi e lasciarci lavorare»

Berlusconi contro Veltroni «Ha perso, si rassegni»

Il premier sulla manifestazione del Pd: «È la sinistra delle frottole».

Affondo su Di Pietro: «Malvagio»

 

ROMA - «Non sono riuscito a vedere le immagini della manifestazione. Ho sentito solo le dichiarazioni della Questura di Roma e non posso che dire, come hanno già detto altri, che questa è la sinistra delle frottole, delle invettive, delle calunnie». All'indomani della manifestazione del Pd a Roma, Silvio Berlusconi non risparmia critiche al Partito democratico e al suo leader Walter Veltroni. Uscendo da Palazzo Grazioli, il premier ha voluto replicare seccamente al messaggio chiave lanciato da Walter Veltroni al Circo Massimo e cioè che «l’Italia è migliore di chi la governa». È «un’insulsaggine - ha detto Berlusconi-, neanche replico». Per il premier quella di sabato è stata sì «una dimostrazione democratica» («nulla da eccepire - ha detto Berlusconi - eccetto sulle cifre») , ma la più grande dimostrazione democratica - ci tiene a sottolineare il premier - «c'è stata il 13 e il 14 aprile». Berlusconi ha voluto infatti sottolineare che alle urne il Paese ha dato al Pdl «una grande maggioranza e noi siamo obbligati - ha sottolineato il Cavaliere - e impegnati a realizzare il nostro programma».

«GOVERNEREMO PER 5 ANNI» - «Veltroni - ha aggiunto il premier - si dovrebbe rassegnare: ha perso e per cinque anni non c'è più niente da fare.
Invece di fare manifestazioni, dovrebbe andarsi a riposare, per prepararsi a fare una bella campagna elettorale tra cinque anni, ci lascerebbe così lavorare meglio e con più profitto per gli italiani». Quanto ai rapporti futuri tra governo e opposizione il presidente del Consiglio non sembra nutrire molte speranze. «Con questa opposizione che sfortunatamente ci troviamo avremo il solito rapporto: se vorranno unirsi a noi per votare i provvedimenti nell’interesse del Paese sono i benvenuti, se hanno suggerimenti utili al Paese saremo noi a votare i loro provvedimenti, ma finora sono arrivate solo critiche».

SCUOLA - Nessun passo indietro da parte del premier e del governo tutto sulla scuola. A chi gli chiedeva conto della richiesta dell'opposizione di ritirare il decreto Gelmini, Berlusconi ha risposto: «Andiamo avanti a governare e a fare cose di buon senso che sono nel programma qualunque cosa dica Veltroni o qualcun altro nell'opposizione». «Hanno usato strumentalmente la scuola - ha aggiunto il premier - pensate all'università, non abbiamo ancora fatto nulla e già ci hanno mosso critiche e mosso gli studenti nelle strade con una strumentalizzazione difficilmente definibile anche di studenti e bambini».

DI PIETRO - Sull'ipotesi che Veltroni e Di Pietro si ricompattino il premier non usa mezzi termini, mettendo in guardia il leader del Pd. «Ricompattarsi con un uomo malvagio come Di Pietro, che ha mandato in galera 15 persone che poi non sono state nemmeno rinviate a giudizio - ha detto il presidente del Consiglio - che ha rovinato la vita di 15 persone, mettersi in alleanza con un uomo del genere che sbraita in questo modo in maniera forsennata e irragionevole credo che vada a tutto disdoro di chiunque lo facesse». «È il classico atteggiamento della volpe che, non riuscendo a prendere l'uva, dice che è acerba» replica Di Pietro. «Berlusconi prima ha cercato di comprarmi offrendomi di fare il ministro e poi ha cercato di fermarmi per via giudiziaria. Ma siccome entrambi i tentativi sono andati a vuoto - dice il leader dell'Italia dei Valori - adesso mi attacca e dice che non vado bene e sono un malvagio. La verità è molto più semplice: non sopporta le persone libere che non vogliono sottoporsi a lui».

SONDAGGI - Berlusconi fa anche riferimento ai sondaggi: «Io sono al 72% di gradimento. Il centrosinistra continui pure a sgambettare in televisione, a dire le solite insulsaggini: non faranno che continuare a perdere consenso anche di chi oggi è dalla loro parte».



26 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: Arriva la recessione? Le lobby si mettono in fila
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2008, 11:01:52 pm
Arriva la recessione? Le lobby si mettono in fila

Auto, frigoriferi. Ma anche petrolio e autostrade.

Non ci sono solo le richieste avanzate dalla Fiat.

Le mosse di Castellucci (Atlantia) e Scaroni (Eni). Il caso di Vito Bonsignore


Convincere Giulio Tremonti sarà dura. Per non dire addirittura impossibile. Agli incentivi per la rottamazione delle automobili e degli elettrodomestici il ministro dell’Economia sarebbe assolutamente contrario. E nessun lobbista, per quanto potente, riuscirà a fargli cambiare idea. Tanto più, visto che la rottamazione non è troppo popolare nemmeno al settimo piano della Confindustria di Emma Marcegaglia, che ha detto apertamente di preferire interventi di più ampio respiro per le imprese. E il grido di dolore degli industriali, d’altra parte, non è certamente caduto nel vuoto, a giudicare dalla determinazione con la quale il governo si sta impegnando in Europa per ottenere sconti sui limiti delle emissioni inquinanti. Armi spuntate Ma non tutte le lobby, evidentemente, hanno le armi spuntate come quelle che sostengono la rottamazione. I lobbisti delle banche non sono stati neanche costretti a entrare in azione per ottenere il sostegno dello Stato, tanto grave è la situazione finanziaria e tale è il pericolo che il panico si diffonda fra i risparmiatori. La lobby dei petrolieri, invece, ha lavorato, eccome. Con risultati decisamente apprezzabili: naturalmente, dal loro punto di vista. Ricordate la Robin (Hood) tax? Ricordate come la presentò Tremonti all’Eurogruppo il 3 giugno di quest’anno? «A volte gli sceriffi, come quello di Nottingham, subiscono anche loro una punizione, dal Re o dal popolo sovrano. La Robin Hood tax è un’imposta etica: tasseremo un po’ di più i petrolieri per dare più burro, pane e pasta alla gente più povera». Ebbene, a distanza di tre mesi, qualcuno ha visto quei soldi? La Robin (Hood) tax è stata più che compensata dagli aumenti della benzina e del gasolio, che hanno seguito passo passo la crescita del prezzo del greggio ma non ne hanno seguito allo stesso modo la discesa, senza che questo anomalo andamento provocasse il benché minimo sussulto governativo. Per giunta, nello stesso provvedimento che ha introdotto la famigerata Robin (Hood) tax, il governo ha infilato una piccola norma che si intitola, guarda caso: «Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi». La norma, spiega la relazione alla legge, «è diretta a riaprire la possibilità di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dell’Alto Adriatico, nonché ad agevolare lo sfruttamento dei giacimenti cosiddetti marginali». Per inciso, sotto le acque dell’Alto Adriatico ci sono quaranta, diconsi quaranta, miliardi di metri cubi di metano. Che volete che siano, al confronto, poche centinaia di milioni di Robin (Hood) tax? Certo, si dovrà fare i conti con il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, che giustamente teme il rischio della subsidenza che potrebbe far sprofondare la laguna di Venezia: al Senato è passato un emendamento per il quale ogni decisione dovrà essere presa «d’intesa» con lui. E lui ha detto, risoluto: «Continuerò a dire di no finché non avrò la certezza che il terreno non scende neanche di un millimetro». Vedremo come andrà a finire. Ma Galan farebbe molto male a prendere sottogamba l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni.
Caselli E che dire della lobby autostradale? Non gli deve essere andata poi tanto male, né con il precedente governo di centrodestra, che concesse a loro l’aumento delle tariffe e lo negò alle Ferrovie, né con quello di centrosinistra, che gli ha bloccato, sì, la fusione con la spagnola Abertis, ma ha dato via libera a un nuovo non trascurabile rincaro scattato dal primo gennaio scorso. Sentite le parole dell’amministratore delegato di Atlantia Giovanni Castellucci, pronunciate giovedì 23 ottobre: «Non ci lamentiamo dell’attuale sistema tariffario ma non ci lamentavamo nemmeno del precedente». Se lo dice lui... Del resto, i due principali gestori autostradali italiani, il gruppo Benetton e il gruppo Gavio, non sono forse stati chiamati a far parte della cordata di imprenditori voluta da Silvio Berlusconi che dovrebbe far sopravvivere l’Alitalia? Il terzo privato con interessi nel settore autostradale, poi, è addirittura un politico in piena attività: Vito Bonsignore, europarlamentare eletto con l’Udc (quando l’Udc faceva parte della maggioranza di governo) e ora passato con Berlusconi.
Lobby e partito La verità è che il lobbismo all’italiana è veramente efficace non soltanto se si sta sempre a stretto contatto con la politica. Ma addirittura se si è parte del sistema politico. Un Parlamento nel quale i professori universitari sono un centinaio avrà la forza di approvare un provvedimento che, per esempio, impedisca ai familiari dei professori di insegnare nella stessa facoltà nella quale insegna il loro congiunto? E un Parlamento zeppo di avvocati, potrà mai varare una norma che obblighi i legali a sospendere l’attività professionale durante il mandato?
Interessi verdi La partecipazione fisica alle decisioni politiche: ecco il segreto delle lobby che funzionano. Nei tempi d’oro la Coldiretti si vantava di far eleggere a ogni giro di giostra decine di deputati nelle file della Democrazia Cristiana. E non sono stati rari, in passato, i casi in cui ex presidenti di Confindustria e Confagricoltura hanno avuto un seggio in Parlamento. Oggi, al governo, e in una posizione chiave per la sua ex organizzazione, c’è Michela Vittoria Brambilla, fino a sei mesi fa presidente dei giovani della Confcommercio: è sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Turismo, uno dei settori chiave dell’associazione dei commercianti. Quella organizzazione è sempre stata molto attiva sul fronte del lobbismo politico, organizzando e finanziando addirittura le campagne elettorali. Come sta a dimostrare l’istruttivo siparietto del quale l’attuale presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, fu protagonista il 24 novembre del 2005 durante una riunione di consiglio della Confcommercio con il suo predecessore Sergio Billè, che all’epoca stava per essere rimosso per essere sostituito con lo stesso Sangalli. Facendo riferimento al famoso fondo riservato del presidente dell’associazione, Billé disse di aver saputo che «anche nel 1995 (quando arrivò al vertice dell’associazione, ndr) i flussi (di denaro, ndr) esistevano, senza che nessuno se ne fosse mai accorto, forse perché utilizzati per altri scopi, forse elettorali». Una stilettata che indusse Sangalli a precisare, testualmente: «Milano, che aveva un suo esponente impegnato in campagna elettorale, essendo candidato della Confcommercio, ha sempre costituito un comitato elettorale per raccogliere i fondi per sostenere la campagna del candidato dell’Unione commerciante di Milano alla Camera dei Deputati». E insistette, Sangalli, perché la sua precisazione fosse messa a verbale, «perché un passaggio nell’intervento del presidente Billé potrebbe apparire altrimenti strumentale nei suoi confronti». Il candidato dei commercianti di Milano per Montecitorio era lui. Sangalli è stato deputato ininterrottamente dal 1968 al 1994.


da corriere.it


Titolo: RENATO BRUNETTA Tornelli vuol dire giustizia
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2008, 07:49:02 pm
28/10/2008 - L'INTERVENTO
 
Tornelli vuol dire giustizia

 
RENATO BRUNETTA
 
Ho parlato dei tornelli in tribunale, intendendo non tanto, e non solo, le strutture fisiche, quanto il controllo degli orari di lavoro, della presenza e, quindi, della produttività di tutto il personale della giustizia, e subito, come al solito, s’è levato il solito coro: è una boutade, non conosco la materia, non ho competenza. Cercherò di esser più preciso: la fine dell’anarchia giudiziaria, dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro negli uffici, è solo un primo passo, piccolo e necessario, perché i costi della giustizia che non funziona sono insopportabili, sia in termini di spesa pubblica che di civiltà collettiva. Mi limito ad alcuni punti, consapevole che il tema è complesso e non esauribile in poche righe.

Abbiamo avviato l’operazione trasparenza sull’assenteismo nella Pubblica Amministrazione, documentando l’impatto delle assenze per malattia dei dipendenti, dopo l’introduzione delle trattenute previste dal decreto 112, e mettendo i dati in sequenza storica. Il risultato è stato un crollo dei finti malati (-44,6% nel mese di settembre rispetto allo stesso mese di un anno fa). Non è la soluzione di tutti i mali, ma è un passo in avanti.

Come sono andate le cose nel comparto della giustizia? Non lo so, non lo sa nessuno, perché quei dati non sono mai arrivati. Hanno risposto alcune amministrazioni centrali, ma la trasparenza è stata rifiutata dall’insieme degli uffici periferici. Non abbiamo dati relativi alle presenze dei magistrati, ma neanche dei cancellieri e dell’altro personale amministrativo, che sono tutti dipendenti pubblici. Che sia chi amministra la giustizia a sottrarsi alla trasparenza non è un bell’esempio.

I tempi della giustizia italiana (penale, civile, amministrativa) sono scandalosamente lunghi, al punto da esporci a fondati e preoccupanti rilievi internazionali. Una giustizia che viaggia con i tempi italiani non merita di chiamarsi giustizia. Di questo, naturalmente, non portano la responsabilità solo i magistrati, essendoci colpe enormi del legislatore. Ma sono responsabili anche i magistrati. Per esempio: la legge è chiarissima, stabilendo che le motivazioni delle sentenze si depositano contemporaneamente o pochi giorni dopo la lettura del dispositivo, e solo in casi eccezionali entro tre mesi. La regola, di fatto, è che le motivazioni arrivano dopo molti mesi, e talora dopo anni. Nessuno paga, perché i tempi che riguardano i cittadini sono perentori (quindi obbligatori), mentre quelli cui devono attenersi i magistrati ordinatori (vale a dire che sono solo indicativi). Non credo sia tollerabile.

Dei procedimenti penali che s’iniziano arrivano a sentenza sì e no il 30%, fra questi risultando numerosi gli assolti. Significa che più del 70% dei procedimenti si perde per strada, risucchiato dai tempi delle prescrizioni. Una pacchia, per i criminali. Nel solo tribunale penale di Roma quasi l’80% dei rinvii è dovuto ad errori procedurali commessi dagli uffici, il che meriterebbe un serio controllo di produttività, con premi a chi lavora bene e sanzioni per chi lo fa come capita. Ogni volta che si solleva il tema la risposta dei magistrati è: servono più soldi. Ma noi abbiamo più magistrati e spendiamo più della media europea. Spendiamo troppo, non troppo poco, ma spendiamo male, come dimostra il capitolo informatizzazione: ci sono 7000 server al servizio della giustizia (ne basterebbe il 10%) e 169 sale dedicate (ne basterebbero 29). Tutto questo non solo è costato per gli acquisti, ma costa ogni anno, in servizi di assistenza e manutenzione, un occhio della testa. E non funziona, perché la telematica richiede integrazione dei sistemi, non moltiplicazione dei centri autogestiti ed autoreferenziali. E integrazione vuol dire scientificità dell’organizzazione con relative responsabilità manageriali e di gestione che, nei nostri palazzi di giustizia, semplicemente non esistono. Ognuno per sé, magari in buona fede, ma in totale disorganizzazione.

Dicono i magistrati: ci portiamo il lavoro a casa. Ma mica voglio una giustizia amministrata nel tinello! Ed a che serve informatizzare tutto, se poi il lavoro si fa da un’altra parte? Mancano gli uffici? Si organizzi il lavoro giudiziario in modo che gli uffici ci siano e siano aperti al pubblico, che problema c’è? Non vedo proprio perché qualcuno debba sentirsi sminuito se si controllano le entrate e le uscite dal lavoro al fine di evitare i tanti deserti pomeridiani nei nostri tribunali. Ci guadagneranno quelli che lavorano tanto, come si dimostra in alcune procure che, a legislazione vigente, sono riuscite a migliorare l’organizzazione interna, ci guadagneranno i cittadini, ci guadagnerà l’economia del Paese. Non ce l’ho con i magistrati, ma non possono esistere delle aree protette dalla trasparenza e dalla produttività. Meno che mai dove ci si occupa dei diritti dei cittadini.

* ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione
 
da lastampa.it


Titolo: Sicurezza, Maroni vuole cacciare il prefetto Mosca
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2008, 07:50:40 pm
Sicurezza, Maroni vuole cacciare il prefetto Mosca

Mariagrazia Gerina


«Preferirei continuare a svolgere il mio lavoro», ha risposto con garbo e fermezza, respingendo anche lo zucchero di un incarico prestigioso (capo di gabinetto di Scajola) offertogli per dissimulare la sgradevolezza della rimozione: «Ma da ragazzo nell’antica caserma della Nunziatella mi hanno insegnato l’obbedienza». Solo un servitore dello stato che ama il posto in cui è stato messo può dire dei «no» come quello pronunciato, senza clamore, in queste ore dal prefetto di Roma, Carlo Mosca. Un no da prefetto galantuomo, che, a 62 anni, dopo esser stato capo di gabinetto di Pisanu e di Amato, può anche decidere di andare in pensione, se proprio deve togliere il disturbo. E dedicarsi solo all’insegnamento universitario.

Il capo di gabinetto di Maroni, che lo ha incontrato nel fine settimana, è tornato al Viminale con la certezza che rimuovere Mosca non sarà facile. Come fu impossibile del resto convincerlo che suo compito era prendere le impronte digitali ai bambini rom se un ministro disponeva così. Qualche suo collega si adeguò, lui no, forte della Costituzione. Alla fine il Viminale ha dovuto dargli ragione.

Tre mesi dopo, la volontà di rimuoverlo sembra più che mai ferma. «Sono decisioni governative, non entro nel merito», se ne lava le mani il sindaco di Roma Alemanno: «Il prefetto ha sempre la stima di tutti noi», recita la sua difesa d’ufficio. Ma non è un mistero che in questi mesi il sindaco abbia sofferto la coabitazione. E se ne sia più volte lamentato con il Viminale. Alemanno vince le elezioni cavalcando la sicurezza e nel primo vertice in prefettura Mosca gli spiega che da mesi i reati sono già in calo. Alemanno invoca sgomberi e Mosca frena. Le sue posizioni, molto apprezzate in Vaticano, uniscono sempre il buon senso, la scomodità e un pizzico di cattolicesimo. Lo stesso sindaco ha dovuto più volte andargli dietro. Non solo lui: mentre Berlusconi invocava la polizia per gli studenti, Mosca ricordava che «la Costituzione prevede la libertà di riunione». Pochi giorni fa, appena terminato il censimento rom, ha di nuovo dettato la linea: «Ora dobbiamo garantire loro migliori condizioni». Anche i risultati di quel censimento adesso gli vengono contestati. Insieme a quella caparbietà nel mantenere la barra: «Severi con i delinquenti (parola che Mosca pronuncia con la “g”), accoglienti con gli altri». Un’idea troppo moderna della sicurezza?

Maroni potrebbe portare il nome del nuovo prefetto nel prossimo consiglio dei ministri. Ma la pratica, visti i pretendenti (dall’ex prefetto di Palermo Marino a Morcone, in Campidoglio nell'interim tra Veltroni e Alemanno), non è semplice. E Maroni sa che si troverà contro i tanti estimatori di Mosca. A cominciare da Letta che in pubblico lo ha già difeso: «Un esempio per tutti noi».

Pubblicato il: 28.10.08
Modificato il: 28.10.08 alle ore 9.29   
© l'Unità.


Titolo: La colpa del tifoso qualunque
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2008, 02:55:45 pm
31/10/2008
 
La colpa del tifoso qualunque
 
ROBERTO BECCANTINI

 
Un padre di famiglia, tifoso come tanti: per questo, temo che la notizia del suo vile ferimento non sazierà il sentimento popolare come, di solito, lo alimentano le risse fra ultrà, con l’immancabile strascico di tavole rotonde e seminari assortiti. I politici politicanti sono sempre pronti a scendere in campo in base a dove porta il saluto (romano) o il pugno (chiuso), ma stavolta? Mi auguro che gli attestati di solidarietà e impegno manifestati dalla presidentessa del Bologna e ribaditi dalle forze dell’ordine non calino d’intensità in coincidenza con la progressiva rimozione del caso da giornali e telegiornali.

Era un padre, non un padrino: ha difeso il figlio, che portava una sciarpa bianconera, una sciarpa e basta. Era pensiero debole, non pensiero unico: nel senso che essere preso a sassate e soccorso a calci e insulti in quel punto lì, per quel motivo lì, in quel momento lì costituiva l’eventualità più eticamente remota, anche se lombrosianamente possibile. Le dotte disquisizioni attorno all’imbarbarimento delle ideologie non c’entrano: ci troviamo di fronte a un «classico» ferito del calcio, con la maglia che sfratta la divisa del carabiniere o del poliziotto e si riappropria, in maniera trucida, del cuore del ring. Li hanno aggrediti perché «nemici» e, in quanto tali, soldati di uno stato avverso. Calciopoli ha contribuito a esacerbare gli animi: stiamo attenti, quando ne maneggiamo le sentenze. Dovremo resistere alla carenza di appigli (la partita era filata via liscia come l’olio), all’assenza di moventi sociologici (nessun estremismo di destra contro nessun estremismo di sinistra) e, soprattutto, all’aspetto più inquietante: «In fin dei conti, non è stata mica un’ecatombe, di mezzo ci è andata solo una persona, e non è manco morta». Ecco: se ci arrendiamo al tepore falso della quantità, non capiremo mai l’aberrante gelo della qualità del teppismo calcistico che, aizzato dall’odio diffuso nel Paese, appena può ci mette, vergognosamente, una pietra sopra.
 
da lastampa.it


Titolo: Il senatore Guzzanti ancora contro la Carfagna, duro attacco a Berlusconi
Inserito da: Admin - Novembre 03, 2008, 11:24:09 pm
Dal suo blog, l'esponente del Pdl avanza pesanti insinuazioni

"Abbasso la mignottocrazia, viva la Repubblica"

"Calendarista delle pari opportunità quali favori ha fatto al premier?"

Il senatore Guzzanti ancora contro la Carfagna, duro attacco a Berlusconi

di MARCO PASQUA


ROMA - Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia, torna a criticare Silvio Berlusconi e, stavolta, attraverso le pagine del suo blog, se la prende anche con Mara Carfagna. Il ministro viene definito "calendarista alle pari opportunità", "inadatta" a ricoprire quel ruolo. Non solo: quella di Berlusconi, nei suoi confronti, sarebbe stata una "nomina di scambio", offerta in cambio di qualcosa che il senatore non specifica.

Una presa di posizione che fa seguito alle dichiarazioni, rilasciate lo scorso 8 ottobre, quando Guzzanti aveva attaccato il premier per aver lodato la Russia di Putin. "Berlusconi mi fa vomitare", aveva detto in quell'occasione. Adesso critica senza troppe mezze misure il ministro delle Pari Opportunità: "Secondo quanto dicono alcuni testimoni che considero credibili, attendibili e tutt'altro che interessati - scrive nei commenti, rispondendo ad un suo lettore - esistono proporzionati motivi per temere che la signorina in questione occupi il posto per motivi che esulano dalla valutazione delle sue capacità di servitore dello Stato, sia pure apprendista. La sua intelligenza politica è nulla".

Ancora: "Resta aperta una questione irrisolta: quali meriti straordinari hanno condotto questo giovane cittadino della Repubblica ad una carriera così fulminea? Mi chiedo come questa persona abbia ottenuto il posto".

Ma l'accusa di Guzzanti è più pesante, perché è quella di una vera e propria nomina di scambio, un favore fatto alla Carfagna dal premier. Facendo riferimento ad alcune intercettazioni mai pubblicate dai giornali, ma che lui avrebbe letto, Guzzanti risponde ad un lettore che gli chiede se le "nomine di scambio" fossero più d'una: "Per quel che ne so, dai testi oculari, più di una. Per questo lo scandalo sarebbe devastante, costituzionalmente e istituzionalmente devastante. Più di scambio, tratterebbesi di compenso. Come scrisse Cossiga: 'ai miei tempi si offriva un filo di perle o un appartamento'".

Guzzanti è padre della comica Sabina, alla quale proprio la Carfagna ha chiesto un milione di euro di danni. A chi lo attacca per questa sua presa di posizione contro la Carfagna, Guzzanti dice: "C'entra il senso dello Stato, il primato delle regole, la limpidezza della democrazia. Abbasso la mignottocrazia, viva la Repubblica". E nel post vero e proprio, il senatore si chiede se sia possibile che in una democrazia "il capo di un governo nomini ministro persone che hanno il solo e unico merito di averlo servito, emozionato, soddisfatto personalmente? Potrebbe essere il suo giardiniere che ha ben potato le sue rose, l'autista che lo ha ben guidato in un viaggio, la meretrice che ha ben succhiato il suo uccello, ma anche il padre spirituale che abbia ben salvato la sua anima, il ciabattino che abbia ben risuolato le sue scarpe". Infine, un altro interrogativo: "è lecito o non è lecito che si faccia ministro in uno Stato immaginario e anzi in un Pianeta di un'altra costellazione, una persona che ha come suo merito specifico ben soddisfatto il capo del governo?".

(3 novembre 2008)

da repubblica.it


Titolo: Paolo Guzzanti e la Carfagna si rotolano nel fango di governo (ndr)
Inserito da: Admin - Novembre 06, 2008, 08:52:43 am
Paolo Guzzanti: «Se Carfagna querela farò nomi»

Poi si scusa. Il ministro: «Vicenda chiusa»

 
ROMA (5 novembre) - Paolo Guzzanti insiste e parlando in mattinata alla radio torna ad attaccare il ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, che ha già querelato il deputato del Pdl per altre dichiarazioni dei giorni scorsi, facendo nuove insinuazioni sui rapporti fra la ex soubrette e il premier Silvio Berlusconi. Poi però dal suo blog si scusa e il ministro accetta: vicenda chiusa.

Farò i nomi. In mattinata Guzzanti aveva dichiarato: «Mi è capitato di imbattermi in persone, parlo di membri del parlamento, che mi hanno raccontato di avere letto le intercettazioni e di avere da esse tratto certe sensazioni e a loro parere fondate sulla vicenda. Se dovessi essere chiamato da un magistrato per difendermi sarei pronto a dire i nomi di questi autorevoli membri del parlamento», ha detto Guzzanti, padre di Sabrina, che dal ministro delle Pari opportunità è già stata querelata per alcune dichiarazioni fatte dal palco di piazza Navona lo scorso luglio.

«Il ministro Carfagna ha annunciato una querela nei miei confronti - ha detto ancora il deputato del Pdl a Radio 24, durante il programma «La Zanzara» -. L'esperienza insegna che tra una querela annunciata e una querela fatta non dico ci passi il mare, ma insomma, staremo a vedere. Se e quando la querela diventasse un processo e io diventassi un imputato che si deve difendere, naturalmente a quel punto mi difenderei». Alla domanda se questo prefiguri una rottura con il suo partito, Guzzanti ha risposto: «Io nego di avere posizioni di rottura nei confronti del mio partito. Io ho sollevato brutalmente un problema senza voler investire personalmente il ministro Carfagna anche se poi, di fatto, l'ho investita. Parlavo di una questione più generale: se i ministri debbano essere nominati solo perché in rapporti molto personali, lasciamo perdere il sesso, col primo ministro».

Le scuse di Guzzanti sul blog. Il deputato del Pdl poi invece porge «idealmente in segno di pace una rosa bianca» a Carfagna. «C'è stata la questione delle voci sulle intercettazioni», scrive Guzzanti in un nuovo lungo intervento sul blog, spiegando che a lui «ne hanno riferito ampiamente i contenuti». «Ho provato un senso di sgomento, di nausea, di panico. Io non so quelle trascrizioni chi riguardino. Lo ignoro. So che altri lo sanno». «Io ho già detto, e lo ripeto, che la minaccia di querela di Mara Carfagna non mi preoccupa - va avanti Guzzanti - ma non ho alcuna vocazione alla lite personalizzata con Mara Carfagna e non ho alcuna intenzione di alimentarla. Voglio dunque chiarire ancora una volta e definitivamente e al di là dei motivi indicati per cui Mara Carfagna mi ha ingiustamente provocato, che io non ho mai avuto interesse, voglia e intenzione di passare dal caso generale (etica e politica) ad un linciaggio nei suoi confronti».

Il ministro vicenda chiusa. «Una rosa bianca in segno di pace è sempre ben accetta. Prendo pertanto atto delle scuse che mi presenta il collega Paolo Guzzanti e ritengo che questa vicenda debba considerarsi chiusa», ha detto Carfagna.


da ilmessaggero.it


Titolo: Che vergogna, per Berlusconi Obama è bello e abbronzato
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2008, 12:21:37 am
Che vergogna, per Berlusconi Obama è bello e abbronzato

Finocchiaro: che altro aspettarsi da lui?


È bello, giovane e abbronzato». Di chi parla Berlusconi? Non di suo figlio, né dell’ultima star arruolata per Mediaset. Parla di Baraci Obama, il nuovo presidente degli Stati Uniti. E anche stavolta ci siamo fatti riconoscere. Il premier fa l’ennesima gaffe e come al solito finge di non rendersene conto. Dare dell’abbronzato a Obama? «È una carineria assoluta, un grande complimento». E quelli che non capiscono le battute, aggiunge, «vadano a...».

L’opposizione tenta di riparare all’irreparabile. «La migliore delle ipotesi è che Berlusconi non riesca più a controllarsi» dice Dario Franceschini, vicesegretario del Pd. Il premier «dimentica che le sue parole coinvolgono l’immagine del nostro Paese nel mondo. Dire che il presidente degli Stati Uniti è “giovane, bello e anche abbronzato” - sottolinea Franceschini - suonerà alle orecchie di tutto il mondo come una offesa carica di pericolose ambiguità. Chieda subito scusa e non coinvolga più l’Italia nelle sue affermazioni quantomeno di pessimo gusto».

Poco dopo interviene anche il segretario Veltroni, secondo il quale l’uscita di Berlusconi colpisce «gravemente l'immagine e la dignità del nostro Paese sulla scena internazionale e rischiano di provocare – aggiunge – una incrinatura nei rapporti di amicizia con quel Paese e quel popolo che ha dato al mondo un grande segnale di speranza e cambiamento. Un uomo di Stato – prosegue Veltroni - non può consentirsi, con battute da cabaret, questa mancanza di rispetto che caratterizza spesso i comportamenti pubblici del Presidente del Consiglio. Auspichiamo che al nuovo presidente americano vengano al più presto rivolte scuse ufficiali e che da parte di tante persone serie presenti all'interno del centro-destra italiano possano venire prese di distanza da questi intollerabili comportamenti».

Della stessa opinione anche l’Italia dei Valori. Il capogruppo alla Camera Massimo Donadi sostiene che «con le sue battute infelici e grevi Berlusconi scredita l'Italia sullo scenario internazionale. Mai un presidente del Consiglio era caduto così in basso, lasciandosi andare a battute d'avanspettacolo che tradiscono un razzismo strisciante».

Il problema è che, ora che “l’amico Bush” se n’è andato, a Berlusconi interessa mantenere buoni rapporti almeno con “l’amico Putin”: e così, da Mosca, in conferenza stampa con il presidente russo Medvedev, fa la sua battutaccia su Obama, che secondo lui è stato «presentato quasi come un messia e quindi carico di speranze che ci auguriamo veramente che non vadano deluse». Di certo, Berlusconi non ci delude mai, e riesce sempre a superarsi in peggio. Anche a Mosca ha spiegato che per avere buoni rapporti tra Russia e Italia, «anche gli spaghetti e la pizza possono aiutare».

«Il povero Gasparri - è l’opinione di Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21 – è stato giustamente crocifisso per la sue battute su Obama, ma Berlusconi non ha voluto perdere l'occasione per riprendersi il primato. Le sue dichiarazioni sull'Obama “giovane bello e abbronzato” – ricorda Giulietti – espressione quanto mai infelice utilizzata qualche anno fa da Calderoli per insolentire la giornalista Rula Jebreal non solo non fanno neanche ridere, ma dal punto di vista delle gaffe istituzionali – conclude – forse sono alla pari col gesto delle corna che fece ridere il mondo intero sulle spalle dell'Italia».


Pubblicato il: 06.11.08
Modificato il: 06.11.08 alle ore 21.47   
© l'Unità.


Titolo: Tosi e la paletta per il parcheggio. Usata quella della scorta, niente multa
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2008, 04:50:54 pm
Milano: il sindaco leghista di Verona

Tosi e la paletta per il parcheggio

Usata quella della scorta, niente multa


MILANO — L’allarme nel centro di Milano scatta intorno alle 18,30. C’è un’Audi A6 parcheggiata in sosta vietata, tra via Verri e via Montenapoleone. Ha i finestrini oscurati. E sul parabrezza una paletta del ministero dell’Interno. È una «zona sensibile», la macchina è sospetta. Arrivano le moto della polizia che pattugliano la zona, agenti in divisa e in borghese. Scattano tutte le verifiche, finché, una ventina di minuti dopo, spunta il proprietario dell’auto: il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi. «Mi dispiace— si scusa— è stata solo una leggerezza».

Tosi è sotto tutela, significa che ha la scorta, per quello nella sua auto c’è la paletta. Alla scena assistono decine di persone che passeggiano in centro. Il sindaco continua a scusarsi, poi al telefonino fa qualche chiamata sull’asse Milano-Verona-Roma. A quel punto la tensione si è già sciolta. Il centro di Milano è costantemente sotto controllo per il rischio terrorismo e rapine. Un contrassegno del Viminale (in questo caso prefettura di Verona) va controllato per accertarsi che sia vero. Per tutta la durata della discussione, l’uomo della scorta non si vede. E il sindaco si allontanerà poi da solo, al volante della sua auto. Un vigile aveva già scritto la multa, ma dopo gli accertamenti Tosi è stato «perdonato».


09 novembre 2008

da corriere.it


Titolo: Camera, salta il blitz anti-pianisti - (si seguita a truffare ndr).
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2008, 03:56:15 pm
IL CASO/ Montecitorio ha già speso mezzo milione per il rilevatore

Ma l'Avvocatura sostiene che la procedura può avvenire solo su base volontaria

I peones si ribellano alle impronte

Camera, salta il blitz anti-pianisti

di CARMELO LOPAPA


 ROMA - Impronte digitali alla Camera? Ai bimbi rom non sono state rilevate, non si penserà davvero di prenderle adesso ai deputati? La rivolta è partita col tam-tam sotto traccia, giusto un insofferente chiacchiericcio in Transatlantico, per approdare poi alle carte bollate che infine hanno sancito il successo contro l'operazione che, appena due settimane fa, era stata battezzata con una certa enfasi come "rivoluzione elettronica". Troppo invasivo quel meccanismo pensato per costringere ogni onorevole a votare per sé e non per il collega: violerebbe la privacy, sentenzia l'Avvocatura della Camera con un parere sollecitato dai malpancisti e prontamente servito. Le impronte saranno sì registrate, ma solo su base volontaria, a chi accetterà di sottoporsi alla rilevazione. E a Montecitorio ieri c'era già chi festeggiava.

L'intento, si ricorderà, è quello di bandire lo spettacolo poco decoroso dei deputati pianisti, sempre lì a sbracciarsi per votare al posto del vicino assente così da non fargli perdere la diaria. Il 6 novembre l'ufficio di presidenza della Camera ha approvato all'unanimità il via libera all'operazione, fortemente voluta dal presidente Gianfranco Fini: installazione dell'impianto, sperimentazione nelle prossime settimane, partenza ufficiale il primo febbraio. Costo della sofisticata macchina per la rilevazione delle impronte in ciascuno dei 630 scranni: 450 mila euro (390 mila più iva, per l'esattezza). Ma ogni rivoluzione, si sa, deve fare i conti con il riflusso e alla Camera dei deputati è arrivato prima che la rivoluzione esplicasse i suoi effetti.

"Da più parti erano state sollevate perplessità legate alla tutela della privacy - spiega il vicepresidente centrista Rocco Buttiglione - La creazione di un registro delle impronte, in effetti, costituisce un problema oggettivo, al di là delle lamentele dei singoli. Abbiamo chiesto perciò un parere all'Avvocatura (ufficio legale della Camera, ndr) che ha confermato quelle perplessità". Tutto lecito e opportuno, sostengono i "giuristi" di Montecitorio nel documento, ma la rilevazione andrebbe fatta "solo su base volontaria", è il suggerimento.

E così avverrà. Le proteste più veementi sembra che siano piovute sulla presidenza Fini proprio dai banchi della maggioranza, Carroccio in testa. "L'esito non poteva che essere quello - se la ride soddisfatto il baffuto leghista Matteo Brigandì, avvocato di mestiere - La registrazione delle impronte, come abbiamo fatto notare in tanti, non potevano certo imporla. E poi, politicamente parlando, non l'hanno voluta per i rom, non vedo perché dovremmo farla noi. Io non concederò la rilevazione delle mie e così molti miei colleghi. Altri facciano quello che vogliono". E siccome a pensarla così non saranno in pochi, alla presidenza della Camera stanno pensando alle contromisure.

"Tra le ipotesi in cantiere c'è anche quella di istituire forme di pubblicità degli elenchi di chi si sottoporrà e chi non si sottoporrà alla rilevazione delle impronte, in rispetto al dovere di trasparenza" spiega Buttiglione. Un po' come da qualche giorno avviene col registro delle presenze alle votazioni, pubblicato sul sito della Camera. Ma basterà a convincere i più riottosi?

"La verità è che tutto si risolverà ancora una volta in una presa in giro per i cittadini - protesta la dipietrista Silvana Mura, tra i big sponsor dell'operazione anti pianisti dentro l'ufficio di presidenza - È stato speso mezzo milione di euro per conseguire ora un risultato che certo non è quello che il presidente Fini intendeva perseguire. La furbizia di pochi vanificherà il risultato, i pianisti non scompariranno e il Parlamento farà la solita figuraccia".


(26 novembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: ALFIO CARUSO Quant'è maleducata Milano
Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2008, 08:40:22 am
2/12/2008
 
Quant'è maleducata Milano
 
ALFIO CARUSO

 
Nel 1971 arrivando da Catania a Milano il disorientamento poteva durare settimane. Non era dovuto al semplice rispetto del codice stradale, ai marciapiedi liberi da auto in sosta, alla possibilità di attraversare la strada senza essere travolti, agli uomini che cedevano il passo alle donne al momento di salire sui mezzi pubblici, all’abitudine di far sedere le persone anziane e le signore incinte; il disorientamento era dovuto al prevalere della creanza, dalla quale discendevano i piccoli comportamenti virtuosi che stupivano l’aspirante meteco appena sfuggito all’eccessivo calore del Meridione. Prima di essere la capitale dell’economia, della stampa, della moda, benché i futuri stilisti venissero chiamati sarti, Milano era la capitale dell’educazione elargita e pretesa. A simbolo assurgeva l’anziana signora pronta a sbattere l’ombrellino sul cofano dell’auto colpevole, sulle strisce pedonali in via Senato, di aver frenato troppo vicina. E il consenso dei passanti sottolineava che quell’ombrellino veniva sostenuto da cento mani. Proteste, rabbia, odi segnavano vie e piazze, tuttavia la cortesia del vivere, il regalo di un sorriso, la spontaneità del saluto rappresentavano la regola, non l’eccezione. Nelle pieghe degli affari e sui divani dei salotti si esibivano farabutti, pescecani e maliarde in numero identico a quello attuale, ma almeno - Arbasino docet - non portavano i pantaloni con la vita bassa. E il dialetto, dolce e sincopato, delle mercerie e dei panifici, degli artigiani e dei tassisti fungeva da colonna sonora, costituiva il veicolo di trasmissione delle buone maniere: ai meteci era concesso di non saperlo pronunciare, non di sconoscerlo.

Oggi Milano ha perso le sue botteghe, ha perso il dialetto, soprattutto ha perso l’educazione. Le macchine posteggiate in seconda fila, davanti agli scivoli degli handicappati, sulle rare piste ciclabili; gli epiteti truculenti che si scambiano guidatori di auto e di moto; l’assalto tracotante ai sedili della metropolitana, degli autobus, dei tram; le dieci soperchierie alle quali si può assistere percorrendo a mezzogiorno via Manzoni non esprimono il malessere della nostra epoca, bensì l’imbarbarimento della città. Da esso deriva la rottura del patto di grande tolleranza fra le diverse anime, che ne ha scandito la crescita. Neppure la Milano delle tangenti avrebbe sconvolto il tessuto urbano e l’esistenza degli abitanti con l’imposizione di smisurati cantieri per parcheggi il più delle volte inutili. Fino ad Albertini nessun sindaco, ladro o perbene che fosse, avrebbe compiuto un simile sopruso non venendo per altro chiamato a renderne conto. La Milano resa illustre dal fucecchiese Montanelli, dal triestino Strehler, dal pugliese Grassi, dall’alessandrino Eco, dal piacentino Armani, avrebbe concesso a occhi chiusi l’Ambrogino d’oro al bolognese Enzo Biagi senza questionare sui riconoscimenti già attribuitigli. Nell’educazione di Milano, che durante gli anni di feroce contrapposizione ideologica menò vanto delle scudisciate di Dario Fo, rientrava la deferenza verso chi compiva al meglio il proprio lavoro. Da ambo i lati della barricata si praticava la religione del dovere: allora si prediligeva la politica del fare e non c’era motivo di annunciarla; adesso, malgrado gli annunci, pare che al fare vengano anteposti atti di fede, dichiarazioni d’appartenenza. Viceversa l’appartenenza si dimostrava ricostruendo la Scala, distrutta dai bombardamenti, prima ancora delle case. I suoi musicisti mai avrebbero privato i concittadini dell’orgoglio della prima per una rivendicazione sindacale. D’altronde perché i soli orchestrali della Scala dovrebbero avere a cuore le sorti di una città che, otto mesi dopo essersi aggiudicata l’Expo, continua a litigare per le competenze d’un amministratore? Al confronto sostituire Mattei e Cuccia fu un esercizio accademico. Purtroppo Milan non l’è più un gran Milan.

da lastampa.it


Titolo: Incontro con Piersilvio Berlusconi (e i suoi suggeritori. ndr).
Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2008, 11:10:38 am
Incontro con Piersilvio Berlusconi

Dicembre 5, 2008 on 2:37 am | In Politica



La sede del circolo Arci di via Bellezza a Milano ha cent’anni.
Ma i tempi cambiano, e nonostante l’aspetto frugale, a qualcuno è sembrata la location ideale per la conferenza stampa per il nuovo programma di Piero Chiambretti su Italia1. A benedire la circostanza il figlio del capo, Piersilvio Berlusconi.
Con Elia e Diego decidiamo che l’occasione è ghiotta.

Nell’attesa dei vip, gli impiegati del biscione scherzano tra loro: si danno del compagno, del comunista. Trovarsi in un circolo Arci li diverte, ridanciani sudditi di un’ideologia che ha sbaragliato tutte le altre: quella dello spot, dell’audience, dei soldi.
Alla parete gli occhi di Antonio Gramsci con un monito per le nuove generazioni: “Agitatevi, Organizzatevi, Studiate”. Compiaciuti, i compagni di Mediaset sfoggiano copie del Foglio, del Giornale. Fedeli alla linea.

Fotografi e cameramen prendono posto, i giornalisti sguainano i taccuini, le penne pungenti. Dobbiamo accreditarci anche noi: Qui Milano Libera, grazie. Lascio nome, numero di telefono, e ci fanno accomodare tra gli operatori dell’informazione.
Dal fondo della sala un olezzo di pane e salame solletica le narici: è il buffet preparato dal circolo per i compagni di Cologno Monzese.
Si va in scena. Dopo un breve monologo in cui non rinuncia a citare Gramsci, Chiambretti definisce la scelta del circolo Arci un “compromesso storico”. Vi risparmio il resto del repertorio.

Chiude Piersilvio Berlusconi che, espletati i convenevoli, si concede alle domande dei giornalisti. Un suo collaboratore, mimetizzato tra i microfoni, suggerisce qualche parola, qualche via di fuga. Deve trattarsi del famoso ‘aiuto del pubblico’! Pare un genitore alla recita scolastica del figlio. Fanno quasi tenerezza.

Manco a dirlo, la nostra domanda è fuori copione. A giorni il Consiglio di Stato ci dirà quanto lo Stato deve a Francesco Di Stefano (Europa7) per mancati guadagni in nove anni di forzata inattività e connessa odissea giudiziaria. Preso atto del parere della Corte Europea, il Consiglio di Stato ha deciso di attendere che il governo si “rideterminasse” nel merito per quantificare l’eventuale risarcimento.

Piersilvio afferma di non capire la domanda e di non voler rispondere. Il camaleontico suggeritore, visibilmente preoccupato, avanza. Provo a ricordare che diverse autorità giudiziarie si sono espresse a favore di Europa7. Piersilvio fa il vago, dice che la Corte Europea ha dichiarato chiusa la faccenda. Che lo hanno detto addirittura a ‘Porta a Porta’. Una garanzia! Obietto ricordandogli lo scandalo ‘Raiset’. Piersilvio inizia a toccarsi la cravatta. Domando se non provino vergogna, ma ‘il gobbo’ mi è addosso. Mi allontana e mi spiega che devo capire da solo qual è il limite oltre il quale è meglio non avventurarsi. Velate minacce dal mondo in cui tutti hanno un prezzo?

Il secondo round è all’esterno. Domando al sempre sorridente Piersilvio se Vittorio Mangano fosse già un eroe quando lo accompagnava a scuola.
Nessuna risposta. Il delfino preferisce regalarmi una stretta di mano, bontà sua. Mentre lo accompagnano alla macchina, il compagno suggeritore prova a trattare: vi va di parlarne davvero? Niet!

Quando ricordammo a Silvio chi fosse Mangano lui mi liquidò con un “vergognati!”. Il figlio è miseramente più loquace. Si farà!

Buona visione, Franz


da www.pieromicca.org


Titolo: L'ossessione del Cavaliere tra statue, cipressi e fontane
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2008, 11:52:32 am
IL PERSONAGGIO

L'ossessione del Cavaliere tra statue, cipressi e fontane


di FILIPPO CECCARELLI


E' una monarchia presidenziale, prima che una Repubblica, quella che Silvio Berlusconi ha delineato al termine dell'interminabile conferenza stampa di fine anno. Un principato elettivo, ha lasciato capire l'aspirante unico sventolando un paio di volte il 72 per cento dei consensi di cui già disporrebbe

O meglio, considerata la necessaria unanimità che pure ha voluto evocare, si tratterebbe di una signoria plebiscitaria: questo è l'esito dichiarato del prossimo quadriennio che del resto era ben inscritto, visioni e simboli, nella maestosa ambientazione di villa Madama, fra statue, cipressi, fontane e amorini, scenografia affidata a Raffaello Sanzio, Sangallo, Giulio Romano e Baldassarre Peruzzi, oltre s'intende al fidatissimo Gasparotti, regista d'ogni prestazione scenica del Cavaliere.

Certo faceva impressione veder questo imminente (forse) sovrano presidenziale, collocato comunque in quello scenario di magnificenza; e non per accarezzare profezie o indulgere a vetero catastrofismi penitenziali, ma un po' veniva anche da pensare al vecchio Giuseppe Dossetti, il professorino democristiano della Costituente poi divenuto monaco, che nel 1994 fece a tempo a prevedere, "verificandosi certe condizioni oggettive e attraverso una manipolazione mediatica dell'opinione", come il berlusconismo, che traeva origine da "una grande casa economica finanziaria fattasi Signoria politica", ecco, il berlusconismo si sarebbe potuto evolvere per l'appunto "in un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea" aggiungeva preziosamente don Pippo Dossetti.

E il fatto, guarda caso, è che quel gioiello rinascimentale di villa Madama fu commissionato da Giulio dè Medici, il futuro papa Clemente VII. Come un papa, comunque, Berlusconi sembrava felice. A proposito: i rapporti con la Santa Sede non sono mai stati migliori. Anche con i giornalisti, che pure ha paternalisticamente designati come "birichini", non va male. Nessuno scontro, nessuno sgarbo, il buffet era rimarchevole, e lì si sono viste un sacco di belle ragazze che giornaliste in verità non erano, o almeno non sembravano per audace eleganza, ma di sicuro facevano effetto, e poi lui era contento. Nel potere è sempre successo. E comunque.

L'Italia ha riacquistato il suo prestigio nel mondo. Lo Stato, vedi Napoli, è tornato a essere e a fare lo Stato.
L'Alitalia eccola qui: salva e tutta nazionale - giacché l'Air France avrebbe dirottato i turisti sui castelli della Loira anziché sulle nostre città d'arte. I problemi energetici si risolveranno con le centrali nucleari. Le infrastrutture - non più dette "grandi opere" - finalmente si faranno. La giustizia verrà riformata, sia quella civile che quella penale; l'evasione fiscale sarà combattuta, sta per partire una campagna; la pubblica amministrazione sarà digitalizzata - e anche questa è parso di averla già sentita. La formula in uso, nelle sue varie articolazioni: "Abbiamo avviato un grande lavoro".

L'introduzione, che lo stesso presidente ha avuto il cuore di definire "prolissa", è durata tre quarti d'ora. Berlusconi ha parlato dietro un tavolo marrone chiaro e posticcio che decisamente, almeno dal vivo, stonava con il resto. Pure il tele-padellone grigiastro con il simbolo della Presidenza del Consiglio faceva a pugni con il tabernacolo d'avorio intarsiato e le sue figurine nude. Mentre sulla testa del Cavaliere gravava l'affresco di un gigante, ebbro e debitamente discinto, con mega-zufolo e clava. Senza farla troppo lunga, né troppo complicata, è stata la sagra dell'ottimismo necessitato.

Tutto va bene, madama la marchesa. A dire il vero, in tutta onestà, non c'è politico, non c'è potente, non c'è presidente che in occasioni del genere non reciti questa parte. Ma Berlusconi, che viene dalla cultura della pubblicità, è meglio di chiunque altro. Quello che non va bene è sempre colpa di qualche altro (sinistra e ambientalisti); le difficoltà riguardano sempre il passato; le magagne sono sempre ereditarie. La crisi c'è, ma proprio per questo bisogna essere ottimisti, invece la tv a volte mette ansia, e allora è peggio. In questa indispensabile dissimulazione l'uomo si conferma un prodigio di maestria. Lo tradisce appena qualche segno, qualche gesto, qualche spia del linguaggio extra-verbale, il piede che batte il nervosismo, la mano dell'insincerità che s'infila nella tasca interna, tipo Napoleone.

L'altro ieri ha raccontato ai dipendenti di Palazzo Chigi, con cui ha anche cantato, di aver appeso a un elicottero un pupazzo di Superman con la sua faccia di Superman. Ieri invece è apparso sobrio, misurato, al massimo intermittente, cioè ora benevolo e ora più freddo, ora larvatamente populista e ora istituzionale. Solo che Berlusconi è Berlusconi e quindi a volte esagera.

Così ha spiegato che a fare quel mestiere lui non si "diverte", come diceva l'Avvocato Agnelli, ma lo fa "per spirito di sacrificio" - però mentre lo diceva si torceva le mani. Ha accennato al tema dei successori. Ha rivelato di sfuggita che con Veltroni, a suo tempo, volevano fare insieme la legge per le europee, con clausola ed eurodeputati nominati dall'alto. A proposito di questi ultimi, quelli davvero preparati, se n'è uscito con una sorprendente citazione virgiliana: "Apparent rari Nantes in gurgite vasto". A un certo punto gli è scappato: "In una precedente fase del nostro governo", e si è capito che era un plurale majestatis.

Per il resto l'egolatria si è declinata su tutti i campi dell'attività di governo. Io, io, io, me, mi, eccetera. Ha candidamente ammesso che sarebbe felice di avere "un'opposizione, come si dice, di Sua Maestà".

La monarchia presidenziale comunque la prescrive, e non è detto che Berlusconi prima o poi non la ottenga.

(21 dicembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: Re: Notizie dal PAESE dei BERLUSCHINI...
Inserito da: Admin - Dicembre 23, 2008, 06:44:54 pm
Scandalo Formato G8

di Fabrizio Gatti


Per il summit dei grandi della terra alla Maddalena lavori da 300 milioni di euro. E l'appalto più ricco va a una società vicina alla moglie del dirigente della Protezione civile che sovrintendeva all'intera opera  Prende forma il palazzo del vertice
In Italia è tra le più piccole imprese edili e incasserà oltre 117 milioni in nove mesi. Non è la lotteria di Capodanno, ma la montagna di soldi pubblici che l'Anemone Costruzioni di Grottaferrata, alle porte di Roma, riceverà grazie ai lavori per il G8 sull'isola della Maddalena. Luciano Anemone, 54 anni, amministratore unico della società a responsabilità limitata, tra le tante opere sta costruendo il centro congressi che nel luglio 2009 ospiterà il primo grande vertice internazionale con il neopresidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Ed è come se gli italiani gli consegnassero 2 euro a testa. Neonati compresi. Un record. Anche perché il signor Anemone, pur dichiarando soltanto 26 dipendenti, si è preso la fetta più grossa della torta da quasi 300 milioni di euro suddivisi tra cinque società. Una spesa da nababbi con l'aria che tira, le famiglie in crisi, la Fiat in gravi difficoltà e l'Alitalia ko. Inutile tentare di sapere perché sia stata scelta proprio la ditta Anemone. I criteri di selezione delle cinque imprese, chiamate senza pubbliche gare d'appalto, così come i progetti, sono coperti dal segreto di Stato: provvedimento imposto da Romano Prodi, confermato da Silvio Berlusconi e affidato con tutte le opere alla Protezione civile e al suo direttore, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Bertolaso.

Questioni di sicurezza, hanno dichiarato. Ma sollevando il velo della riservatezza si incontra ben altro. 'L'espresso' è entrato di nascosto nei cantieri sull'isola della Maddalena. E ha scoperto cosa finora il segreto di Stato ha impedito di vedere. Il sospetto di spese gonfiate. Costi di costruzione da capogiro a più di 3.800 euro al metro quadro. Lavoratori senza contratto. Operai pagati con fondi neri. Le minacce del caporalato (vedi l'articolo a pag. 38). E un curioso legame d'affari tra la famiglia del coordinatore della struttura di missione della Protezione civile,
Angelo Balducci, e l'impresa che a fine lavori guadagnerà di più. L'Anemone, appunto.

Non finisce qui. Il secondo grande appalto, 59 milioni per la costruzione dell'albergo che ospiterà i capi di Stato, la Protezione civile lo ha affidato alla Gia.Fi. di Valerio Carducci, 60 anni, cavaliere della Repubblica, l'imprenditore fiorentino coinvolto nell'inchiesta di Luigi De Magistris sulla presunta rete di favori tra malaffare e politica nazionale in Calabria. E anche i criteri di selezione della Gia.Fi. sono coperti da segreto.

Angelo Balducci, ingegnere spesso accanto a Bertolaso, ha fama di uomo da centinaia di milioni di euro. È il braccio operativo nei grandi appalti della Protezione civile. Non solo calamità, soprattutto organizzazione di grandi eventi come il G8. Per anni provveditore ai Lavori pubblici su Lazio e Sardegna, Balducci ha coltivato le amicizie che contano con l'imprenditoria e il Vaticano. Le sue relazioni politiche vanno dal leader della Margherita, Francesco Rutelli, al ministro di An alle Infrastrutture, Altero Matteoli. Il 10 ottobre scorso Matteoli propone al Consiglio dei ministri e ottiene la nomina di Balducci a presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Nei mesi precedenti, dal 19 marzo al 13 giugno 2008, proprio durante il periodo più delicato con la preparazione dei cantieri e il conferimento degli appalti, l'ingegnere è il soggetto attuatore di tutte le opere per il G8, cioè l'uomo dalle mani d'oro: provvede alle procedure necessarie per l'affidamento degli incarichi, alla stipula dei contratti, alla direzione dei lavori e al pagamento degli stati di avanzamento. E come soggetto attuatore si occupa delle imprese della famiglia Anemone.

Balducci è un grande esperto nei contratti assegnati d'urgenza dalla Protezione civile, senza gare d'appalto. Segue per mesi i lavori per i Mondiali di nuoto del 2009 a Roma e per le manifestazioni del centocinquantesimo anniversario della Repubblica da celebrare nel 2011. Venerdì 13 giugno, però, è una pessima giornata. Un'ordinanza di Berlusconi lo rimuove dall'incarico di soggetto attuatore per il G8 e i Mondiali di nuoto. Ai cantieri della Maddalena, Balducci viene sostituito da un ingegnere dello staff, Fabio De Santis. Ma continua a occuparsene con "funzioni di raccordo tra la struttura di missione", cioè la Protezione civile, e i "soggetti coinvolti dagli interventi infrastrutturali". In quell'ordinanza, c'è però un passaggio che farebbe tremare i polsi a qualunque funzionario. Berlusconi dispone che Bertolaso costituisca "una commissione di garanzia composta da tre esperti di riconosciuta competenza e professionalità, anche estranei alla pubblica amministrazione". Una spesa in più per il G8, perché i compensi per gli esperti sono ovviamente a carico dello Stato. Obiettivo della commissione: "Assicurare un'adeguata attività di verifica degli interventi infrastrutturali posti in essere dai soggetti attuatori... in termini di congruità dei relativi atti negoziali".

Filo spinato intorno al cantiereQualcosa insomma non va nella contrattazione degli appalti. Ma il segreto di Stato mette tutto a tacere. Così la squadra della Protezione civile in missione in Sardegna può raccontare, senza essere smentita, che Balducci è stato promosso. Anche se per lui, che era già stato presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, è un ritorno al passato. Il 31 ottobre tocca a De Santis. Sostituito per decreto, come Balducci. Berlusconi ora nomina un esterno alla pubblica amministrazione, Gian Michele Calvi, professore di ingegneria all'Università di Pavia. Il caso è archiviato.

Eppure non è solo una questione di nomine tra il governo e la Protezione civile. Tutte le ditte per lavorare ai progetti del G8 devono ottenere il nulla osta di segretezza. E il nulla osta dovrebbe essere rilasciato dal ministero dell'Interno soltanto dopo accurate indagini sulla trasparenza delle imprese. Invece troppi particolari sono sfuggiti a chi avrebbe dovuto controllare. Bisogna lasciare la Maddalena, volare a Fiumicino e salire a Grottaferrata, alle porte di Roma. Via 4 novembre 32, nel mezzo di un quartiere di viali alberati, è l'indirizzo dichiarato da Luciano Anemone come sua residenza o come sede legale dell'Anemone Costruzioni. Ed è anche, come ha scoperto 'L'espresso', l'indirizzo di una casa di produzioni cinematografica, la Erretifilm srl. Di chi è? Amministratore unico e proprietaria al 50 per cento è Rosanna Thau, 62 anni, moglie di Angelo Balducci. Venticinquemila euro per costituire la srl della signora Balducci li ha messi però Vanessa Pascucci, 37 anni, amministratore unico e socia a metà di un'altra impresa edile legata alla famiglia Anemone, la Redim 2002 di Grottaferrata. E attraverso la Redim 2002, Vanessa Pascucci è anche socia dell'Arsenale scarl: società costituita apposta per il cantiere nell'ex Arsenale della Maddalena. Così il cerchio si chiude. Protetto dal segreto di Stato, l'appalto più ricco del G8 è finito a società amiche di chi aveva in mano la cassa. Con il suo seguito di domande. A cominciare da questa: chi ha scelto di affidare a Balducci l'incarico più delicato?

I guadagni in gioco sono spaventosi. L'opera su cui è già possibile fare qualche conto è l'albergo che ospiterà i presidenti. Capocommessa del cantiere, la Gia.Fi. di Valerio Carducci. Le poche notizie uscite dagli uffici della Regione Sardegna parlano di 57 mila metri cubi per un costo d'opera salito da 59 a 73 milioni di euro. Considerando un'altezza media delle stanze di 3 metri, sono 19 mila metri quadri coperti. Dunque un costo di costruzione al metro quadro di 3.842 euro, escluso il valore dell'area. Una cifra pazzesca se paragonata al valore di costruzione che per le case di lusso, secondo un capomastro della Maddalena, non supera i 1.200 euro al metro. Polverizzati anche i valori di vendita pubblicati dal sito dell'Agenzia del territorio: un massimo di 3.100 euro al metro quadro per le ville e di 2.000-2.300 per le attività commerciali. Così un ente dello Stato, la Protezione civile, sta finanziando un'opera ignorando le quotazioni pubblicate da un altro ente statale, l'Agenzia del territorio. L'esubero potrebbe essere giustificato con le spese per l'arredamento, il centro benessere e i letti su cui dormiranno Nicolas Sarkozy, Carla Bruni e Angela Merkel. Ma è difficile crederlo. Ammettendo un costo di costruzione molto vantaggioso per le imprese di 2000 euro al metro quadro (38 milioni in totale), per l'arredamento avanzerebbero 35 milioni. Cioè il costo di un altro albergo.

(23 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Lampedusa in rivolta contro Maroni. L'Onu: preoccupa il sovraffollamento
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2009, 05:06:12 pm
23/1/2009 (18:50)

Lampedusa in rivolta contro Maroni

L'Onu: preoccupa il sovraffollamento
 

LAMPEDUSA

Non si placano le proteste a Lampedusa contro la decisione del ministro Maroni di realizzare nell’isola un nuovo centro per gli immigrati. L'ira dei cittadini è esplosa oggi con proteste e tensioni nel giorno dello sciopero generale che ha visto negozi chiusi e abitanti in corteo.

La mobilitazione è stata indetta dal consiglio comunale e dal sindaco Bernardino De Rubeis. Altissima l’adesione dei commercianti, la quasi totalità non ha nemmeno aperto prima dello sciopero. La cittadinanza si è riunita in piazza Martiri d’Italia, davanti al municipio, per sfilare poi in corteo verso le scuole cittadine fino al Centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola, dove si trovano circa 1.800 immigrati a fronte di una capienza di 800 posti. Nel mirino la decisione di Maroni che ha deciso di non tarsferire più in altre strutture i migranti che sbarcano a Lampedusa, ma di ricondurli in patri direttamente dall’isola. I tempi lunghi necessari ad accertare la nazionalità, presupposto indispensabile per il rimpatrio, comporta però l’esigenza di creare nuovi alloggi per gli stranieri.

Gli abitanti di Lampedusa sostengono che questo trasformerebbe l’isola in «una nuova Alcatraz» e si oppongono decisamente al progetto. La vicenda ha causato anche frizioni in seno alla giunta comunale, da cui il sindaco Bernardino De Rubeis ha estromesso la sua vice, la senatrice della Lega, Angela Maraventano, all’indomani della visita di Maroni a Lampedusa e dei nuovo maxi sbarchi di migranti poche ore dopo le rassicurazioni del ministro. Il clima tra i lampedusani è di forte tensione. A Lampedusa oggi è arrivata anche una delegazione del Pd, guidata dal vicesegretario Dario Franceschini. Il corteo degli abitanti ha impedito questa mattina il traferimento di due pulman di immigrati dal Centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola alla ex base Loran della Nato dove è prevista la nuova struttura.

Intanto interviene anche ò’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) che in una nota esprime «crescente preoccupazione per la situazione umanitaria dei quasi 2.000 migranti, fra i quali molti richiedenti asilo, attualmente ospitati nel Centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa in condizioni di estremo sovraffollamento». La struttura, ricorda la nota, «ha una capienza massima di 850 posti e non è in grado di ospitare un così alto numero di persone. Pertanto, centinaia di soggiornanti sono costretti a dormire all’addiaccio sotto teli di plastica come unico riparo. In queste condizioni -prosegue la nota dell’UNHCR- non possono essere garantiti adeguati standard di accoglienza. «Il sovraffollamento che si è venuto a creare sta dando origine ad una situazione umanitaria molto preoccupante che oltretutto ostacola il lavoro dell’UNHCR e delle altre organizzazioni che operano nel centro».


da lastampa.it


Titolo: Lampedusa, Maraventano contestata: «Bastarda, venduta: ci hai tradito»
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2009, 04:50:24 pm
DE RUBEIS: «IO HO GESTITO BENE IL FENOMENO. GLI IMMIGRATI FATTI USCIRE DA POLIZIA»

Lampedusa, Maraventano contestata: «Bastarda, venduta: ci hai tradito»

Comizio su un palco improvvisato: «Non merito di essere condannata in questo modo, siete fomentati dal sindaco»


LAMPEDUSA - Il giorno dopo la fuga in massa degli immigrati dal Centro di prima accoglienza, il popolo di Lampedusa si rivolta contro la senatrice della Lega Angela Maraventano, ex vice del sindaco Dino De Rubeis destituita dall'incarico qualche giorno fa, dopo l'ennesimo sbarco di clandestini.

«VENDUTA, CI HAI TRADITO» - Ci sono stati momenti di tensione durante il comizio della senatrice, duramente contestata dalla popolazione che l'ha accolta con un coro di fischi gridando: «Venduta, venduta», «Bastarda, ci hai tradito», «Vergogna, torna al Senato». Alcuni cittadini hanno cercato di avvicinarsi al palco improvvisato nella piazza del municipio, dove la Maraventano ha cercato di spiegare perché il governo vuole aprire a Lampedusa un centro di identificazione e di espulsione per i clandestini. Sono intervenuti i carabinieri ma a riportare la calma sono stati gli stessi cittadini presenti. La senatrice, con il fazzoletto verde al collo, ha continuato a parlare: «Non merito di essere condannata in questo modo, vi spiegherò cosa sta succedendo a Lampedusa. Siete in cattive mani in questo momento ma io ho il coraggio di dire le cose come stanno, però fatemi parlare».

«FOMENTATI DAL SINDACO» - Il sindaco De Rubeis è intervenuto per tentare di riportare la calma ma poi ha abbandonato il palco. E proprio con lui se l'è presa l'esponente leghista: «Io non ho paura. Voi, che siete stati istigati dal sindaco e per questo sarà denunciato, siete un popolo pacifico. Non fatevi istigare, non mi condannate, ho lavorato per voi al governo e qualcuno ha approfittato della mia assenza. Non importa se non ho più le deleghe di assessore e vicesindaco perché io continuerò lo stesso a lavorare per il mio popolo e vigilerò 24 ore su 24 sull'operato di questo sindaco, ammesso che rimanga sindaco perché troveremo il modo, con il Consiglio comunale, di mandarlo a casa». Angela Maraventano è arrivata sabato sera a Lampedusa dopo i lavori al Senato. Ad attenderla ha trovato un cordone di forze dell'ordine. «So che le persone sono arrabbiate - spiega -, ma io non le ho abbandonate e comunque non credo che mi possano fare del male. È dal palazzo comunale che sono stati fomentati, tanto che per mettermi i bastoni fra le ruote mi hanno comunicato che non ho il permesso di fare il comizio sul palco in piazza Municipio. Ma io non mi fermo, sono abituata a parlare per strada con la gente e lo farò su un furgoncino».

DE RUBEIS: «LAMPEDUSA NON È IN VENDITA» - «Sono un sindaco scomodo che lotta per risolvere i problemi. Avrei potuto accontentarmi dei soldi offerti dal governo, delle tante promesse. Invece non starò zitto. Lampedusa non è in vendita». Con queste parole il sindaco Dino De Rubeis, ha aperto il comizio nella piazza del municipio, prendendo la parola dopo la Maraventano. «Siamo davanti a uno Stato prepotente che vuole imporci le sue scelte e vuole trasformare quest'isola in un carcere a cielo aperto - ha aggiunto -. Pensano a creare centri di identificazione ed espulsione per far fronte a una politica che, finora, si è rivelata fallimentare». De Rubeis, tra gli applausi della folla, ha annunciato che al termine del comizio denuncerà la senatrice Maraventano per avere «istigato i lampedusani contro l'amministrazione comunale».

«IMMIGRATI FATTI USCIRE DALLA POLIZIA» - De Rubeis nega invece di aver fomentato il popolo, come denunciato dalla stessa Maraventano: «Io l'istigatore del popolo? Affatto. Ho soltanto dimostrato di sapere gestire bene il fenomeno». E sulla "fuga" degli immigrati dal Cpa: «Ma quale fuga? Quegli immigrati qualcuno li ha fatti uscire dal Centro di accoglienza... cosa hanno fatto i mille e passa poliziotti che sono qui sul territorio? Dovevano garantire che gli immigrati stessero nel Centro e non l'hanno fatto. Vergogna per quegli uomini di legge che hanno permesso che gli immigrati si trovassero in massa in mezzo alla strada». Infine De Rubeis ha annunciato che per martedì è stato indetto un nuovo sciopero generale e organizzata una manifestazione a cui «parteciperanno parlamentari nazionali e il presidente siciliano Raffaele Lombardo».


25 gennaio 2009
da corriere.it


Titolo: Berlusconi. Il Pd: Solo chiacchere, dà i numeri (il fanfarone alita balle. ndr)
Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2009, 10:42:14 am
2/2/2009 (17:45) - LA GRANDE CRISI - I PROVVEDIMENTI

Berlusconi: già stanziati 40 miliardi
Il premier: possono salire a ottanta.
Il Pd: «Solo chiacchere, dà i numeri»

ROMA


Quaranta miliardi in tre anni, che potrebbero diventare il doppio con il sostegno dei contributi europei. Il premier Silvio Berlusconi rilancia il piano messo a punto per fronteggiare l’emergenza finanziaria e economica ma le opposizioni non ci stanno a ascoltare ancora una volta cifre e vanno all’attacco del Cavaliere.

Il premier sceglie la platea di "Governincontra" e in collegamento telefonico da Milano, rivendica di aver mantenuto gli impegni assunti in campagna elettorale. Certo, dice, «non avevamo promesso la luna», ma quelle gli impegni «sono stati realizzati». Il presidente del Consiglio indica anzitutto gli interventi messi in campo per far fronte alla crisi economica. E si dice «fiducioso» che l’Italia possa uscirne «meglio di altri Paesi, grazie a banche che non sono avvelenate da titoli tossici e alle famiglie che hanno un debito privato contenuto».

Quanto alle risorse da mettere in moto, il Cavaliere ripete i dati indicati al vertice del G20 di Washington a metà novembre: «40 miliardi di euro in tre anni per l’economia, una cifra che salirà a 80 miliardi con gli aiuti europei». Un altro passo riguarderà il sostegno all’industria dell’auto e il credito al consumo, con interventi che saranno «varati già al prossimo Consiglio dei ministri». Ma la crisi non è l’unico argomento su cui si sofferma il presidente del Consiglio. Approfittando della presenza di alcuni ministri ospiti della manifestazione, Berlusconi ricorda le altre misure varate dall’esecutivo, dalle misure per lo smaltimento dei rifiuti ai progetti per le grandi opere agli interventi in campo energetico.

Le opposizioni nel frattempo incalzano e se la prendono in particolare con i numeri forniti dal premier. «Le chiacchiere sono sempre più consistenti - attacca Pier Luigi Bersani, ministro dell’Economia nel governo ombra del Pd - e i fatti sempre meno reali». «Gli 80 miliardi di euro strombazzati anche oggi dal premier - afferma Stefano Fassina consigliere economico del governo ombra del Pd - sono risorse interamente previste in Bilancio ben prima della crisi». Quelli lanciati dal presidente del Consiglio sono «messaggi pubblicitari», dice il deputato dell’Italia dei Valori Antonio Borghesi. «Parla di 80 miliardi di euro reali - aggiunge - ma non dice nè dove, nè come trovarli. Lo aveva fatto già più di due mesi fa e alla resa dei conti sono meno di cinque». Duro anche l’Udc: «Le bugie hanno le gambe corte - sottolinea il deputato centrista Luca Volontè - sul fisco familiare stiamo all’anno zero».

da lastampa.it


Titolo: CRISI: BERSANI (PD), DA GOVERNO CHIACCHIERE E NON FATTI
Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2009, 10:43:26 am
24ore - POLITICA

Roma, 19:57

CRISI: BERSANI (PD), DA GOVERNO CHIACCHIERE E NON FATTI


Pier Luigi Bersani, ministro dell'Economia del governo ombra, in una nota afferma: "Dopo gli 80 miliardi promessi a luglio dal governo, eccone altri 40, e altri 40 ancora.

Le chiacchiere sono sempre piu' consistenti e i fatti sempre meno reali.

Per stare a un 'piccolo' fatto, le immatricolazioni di gennaio delle auto sono dicembre ed essersi messi a chiacchierare dal 1' gennaio senza concludere nulla ha affossato un mercato gia' debole.

Questi sono i risultati".


(02 febbraio 2009)
da repubblica.it
 


Titolo: Eluana. Canale5 non cambia programmazione Mentana lascia: "Qui solo business"
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2009, 05:21:21 pm
Il direttore editoriale dà le dimissioni dopo che Mediaset manda in onda il Grande Fratello e non lascia spazi all'informazione sulla morte di Eluana

Canale5 non cambia programmazione Mentana lascia: "Qui solo business"

di ANTONIO DIPOLLINA

 
ROMA - "Mi dimetto dal mio incarico di direttore editoriale, Canale 5 non fa informazione". Con poche parole rabbiose Enrico Mentana reagisce in serata alla scelta di Mediaset di fronte alla morte di Eluana. C'è Vespa in onda su Raiuno in prima serata, da Mediaset gli si contrappone il solo Emilio Fede.

Mentana e il Tg5 restano al palo, devono lasciare spazio alla seratona del Grande Fratello, tutto è rimandato alla puntata di Matrix prevista a mezzanotte e poi cancellata in favore di uno speciale del Tg5. Mentana ci ha provato fino all'ultimo ad andare in onda in prima serata, senza risultato, dall'azienda è arrivato il niet: il Grande Fratello non si tocca. Il reality prende infatti regolarmente il via con una ventina di secondi di frasi di circostanza della conduttrice Alessia Marcuzzi, l'abbraccio virtuale alla famiglia di Eluana e via con i giochi.

Il punto è che la prima ora consiste in questo: il pianto continuo e straziante di una delle concorrenti che si vorrebbe cacciare dalla Casa per una storia di bicchieri lanciati o qualche simile stupidaggine di quelle che intrigano gli snobboni all'incontrario, eccitati dal trash tv. Quelle scene fanno definitivamente saltare la pazienza a Mentana che intorno alle 22 annuncia le sue dimissioni.

Dall'azienda arriva in tarda serata una risposta altrettanto decisa: Matrix non va in onda e le dimissioni di Mentana sono accettate. È rottura totale. Mentana è una furia.


Perché l'azienda non le ha lasciato spazio?
"Business as usual. O, se preferisce, the show must go on".

E in italiano?
"Non è così che si fa informazione su una grande rete nazionale, non esiste solo l'audience. Eravamo pronti ad andare in onda, il Tg5 era pronto ad aprire finestre informative".

Forse le finestre informative a interrompere la bionda che piange sconsolata sarebbero state peggio.
"Ma sarebbe stata una presenza doverosa. Oppure è stato meglio ascoltare tutta la sera al Grande Fratello gli slogan su chi viene eliminato?".

A Striscia la Notizia hanno fatto un breve saluto finale.
"Era un programma registrato, e comunque era in onda a pochissimi minuti dalla notizia della morte di Eluana. Non si sarebbe fatto in tempo a cambiare.
Per noi il tempo c'era, la Rai ha cambiato programmazione, era doveroso andare in onda. Simili scelte tolgono credibilità a chi le compie".

Quindi dimissioni.
"Ho un ruolo da direttore editoriale, non è stato possibile farlo valere. E quindi per un minimo di coerenza devo agire in questo modo: non posso avallare questa scelta, dev'essere chiaro che non ho deciso io e soprattutto che non ero d'accordo. E che anzi ritengo incredibile quanto successo".

Incredibile ma forse prevedibile.
"Di prevedibile c'era la puntata del Grande Fratello, dove si sa quello che va a succedere. La realtà è un'altra cosa, quella che irrompe improvvisa e riguarda un dramma che nelle ultime settimane ha scosso il Paese intero e di fronte al quale la mia azienda decide di non cambiare di una virgola la programmazione".

Chi l'ha bloccata, PierSilvio o Confalonieri?
"Non mi sembra così decisivo".

(10 febbraio 2009)
da repubblica.it


Titolo: Marcello Dell’Utri, ... un bel Tomo da ricordare. (ndr)
Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2009, 06:38:55 pm
    INTERVISTE


 Intervista realizzata da Claudio Sabelli Fioretti  
 
 

Marcello Dell’Utri - Corsera Magazine

(Pubblicata il 23/02/2006 - letta 2421 volte**)


È amico di Berlusconi da 35 anni. Fu il suo primo assistente personale. Per lui ha creato una macchina da soldi, Publitalia. Lo ha appoggiato contro tutti nella decisione di fondare Forza Italia. Ha conosciuto la galera e la condanna. La più pesante, ancora in primo grado: nove anni per «concorso esterno in associazione mafiosa».

Oggi Marcello Dell’Utri è di nuovo in pista: sta selezionando i candidati berlusconiani per le prossime politiche.


Sto parlando con l’amico di Napoleone e di Gesù Cristo?
«Cominciamo bene…».
Però il suo amico sulle gaffe non conosce sosta.
«Chi non lo conosce immagina che sia presuntuoso. Invece Berlusconi ha un senso dell’ironia e dell’autoironia straordinario. Quando dice quelle cose ci ride anche lui».
Anche quando dice che Mussolini mandava in vacanza i suoi avversari politici? E quando dà del kapò a Schulz? Ironia e autoironia? Ridere?
«Qualche difetto l’avrà pure lui, no? Qualche gaffe ogni tanto gliela vogliamo concedere? Berlusconi è più grande anche delle sue gaffe».
La mafia fa schifo. Lo dice anche lei come Totò Cuffaro?
«La mafia fa schifo e bisogna fare tutto quello che si può per combattere la mafia. La mafia fa schifo ma l’antimafia, invece di combattere la mafia, combatte me. L’antimafia a volte si comporta come la mafia».
Lei va ai matrimoni dei mafiosi, frequenta mafiosi, pranza con mafiosi, assume mafiosi. Come minimo lei è molto sfortunato.
«Io non mi sento sfortunato. Può succedere di frequentare persone senza sapere che sono della mafia. Come è successo quando ho portato a Berlusconi il famoso fattore».
Mangano, la vostra palla al piede.
«Non aveva mai avuto condanne per mafia».
I giudici sostengono che lei sapeva che era sospetto di mafia.
Ma è falso
Vi siete frequentati anche dopo le sue condanne…
«No, non ci siamo mai frequentati».
Appena uscito di galera è venuto da lei…
«È venuto a trovarmi ed io l’ho ricevuto. Lei non riceverebbe uno che conosce e che esce di galera?».
Vede? Lei è sfortunato.
«Era giusto riceverlo».
Fra tutti gli stallieri d’Italia è andato a beccare il mafioso…
«Se si fosse saputo che era mafioso pensa che Berlusconi lo avrebbe assunto?».
I giudici sostengono che «doveva» assumerlo perché la mafia voleva così.
«E qui sta la falsità. Ci voleva una persona esperta e tra le tante viste, perché abbiamo fatto una selezione, abbiamo preso quella che sembrava migliore».
Sono stati intercettate le telefonate di mafiosi che dicono: «Bisogna votare Dell’Utri altrimenti lo fottono». Pesante no?
«Pesante, certo. Ma come posso impedire che qualcuno pensi una cosa del genere? I mafiosi leggono i giornali. E leggono che qualcuno dice che Dell’Utri è mafioso. E allora dicono: aiutiamolo».
Sta dicendo che i giudici sono riusciti a convincere anche i mafiosi che Dell’Utri è mafioso?
«Mi accusano solo di concorso esterno».
Ci sono 35 pentiti.
«35 pentiti che hanno letto i giornali e capito come ci si comporta per ottenere prebende e vantaggi».
Ma Mangano…
«Sa come l’ho conosciuto Mangano? Frequentando i campi di calcio».
Lei aveva una società di calcio, la Bacigalupo.
«Ci giocava anche Pietro Grasso, l’attuale capo dell’antimafia. Era bravo, giocava tecnicamente bene. Non gli piaceva sporcarsi di fango. Era sempre pulito e pettinato.
C’erano anche i quattro figli del ministro Restivo, il barone Planeta, i principi Lanza di Trabìa, tra i quali Giuseppe, l’attuale fidanzato di Alba Parietti. Li allenava Zeman. Fui io a fargli scoprire il calcio. Lui era un ottimo giocatore di pallavolo. Suo zio, Vicpalek, giocatore del Palermo, mi aveva chiesto di fargli guadagnare qualche lira e così lo avevo assunto come preparatore atletico dei ragazzi. Avevamo un bel vivaio e 12 squadre giovanili. Ci finanziava Vittorio Caronia, un grosso imprenditore di articoli sanitari».
Lei come andava a scuola?
«Primo della classe alle medie. Poi aurea mediocrità».
Università?
«Legge. Pensavo di fare il magistrato, pensi un po’. Non l’ho fatto ma come vede sono rimasto nell’ambiente dei tribunali. Il mio vero sogno era fare l’allenatore. Ho preso il tesserino a Coverciano. Sono stato forse il più giovane allenatore dilettante d’Italia. Ho allenato anche l’Edilnord di Berlusconi. Ci giocava il fratello Paolo, centravanti».
Chi decideva la formazione, lei o Silvio?
«Silvio si interessava molto e discuteva la formazione. Lui era offensivista. Io catenacciaro. Volevo il risultato. Lui anche il bel gioco».
Nella intercettazione di una telefonata fra lei e Berlusconi, dopo che era scoppiata una bomba sul cancello degli uffici di via Rovani, voi, credendo che fosse stato Mangano a metterla, la definiste «affettuosa». Mi può spiegare che cosa intende per bomba affettuosa?
«Mangano era stato in villa e si era comportato benissimo! I suoi figli erano amici dei figli di Berlusconi, lui accompagnava Piersilvio e Marina a scuola. Se ci limitiamo alla persona che abbiamo conosciuto in quel periodo il termine giusto per definirlo è disponibile, affettuoso».
Berlusconi le ha mai rimproverato di avergli portato in casa un mafioso?
«Sarebbe stato crudele. Sapeva che non l’avevo fatto apposta».
Queste elezioni sembra proprio che le perderete.
«No, le vinceremo».
E se perderete?
«Come ha detto Confalonieri, la voglia di piazzale Loreto trasuda da ogni poro del centro-sinistra».
Dove lo vede?
«Nella cattiveria che c’è in giro. Nella crudeltà che la sinistra mostra contro di me».
Fu Cesare Previti che disse: «Non faremo prigionieri».
«Una gaffe, ovviamente. Nella nostra mentalità non c’è l’idea di non fare prigionieri. Berlusconi è buono. Non sarebbe mai capace di fare quello che farebbe la sinistra se andasse al potere».
Che cosa farà la sinistra?
«Tenterà di far fuori Berlusconi. Sono i comunisti che non fanno prigionieri».
I comunisti non ci sono più.
«Berlusconi dice che ci sono e io la penso come lui».
Chi sono i comunisti?
«Tutti quelli che lo erano prima. Si chiamano in maniera diversa ma sono rimasti con la mentalità comunista. I comunisti sono come i tifosi. Non cambiano squadra».
Ci sono più comunisti da voi che a sinistra: Bondi, Ferrara, Adornato.
«Sono dei convertiti. Erano comunisti e hanno visto che cosa succedeva di là. Per questo oggi sono contrari».
Quindi ci sono comunisti convertiti, i vostri, e finti convertiti, i loro.
«Hanno cambiato il nome della ditta, ma la ditta è sempre quella».
Le piace qualcuno a sinistra?
«D’Alema. È attrezzato dal punto di vista del pensiero politico. Però è un po’ supponente».
Oliviero Diliberto?
«Con Diliberto sono pure amico».
Lui dice di no.
«Lo capisco. Comunista era e comunista rimane. Ma a me non dispiace. Ama come me i libri antichi».
Mi ha detto: «Io sono uno studioso di libri antichi, Dell’Utri è un collezionista».
«Non rispondo a queste provocazioni. Che ne sa lui? Io odio il collezionismo. Io compro i libri che mi interessano e che leggo. Diliberto ha detto a Cossiga, che me l’ha riferito: “Quando ho visto i libri di Dell’Utri a Milano ho provato l’odio sociale”».
Cossiga è uno spione.
«Cossiga è una persona che adoro. Parlare con lui arricchisce».
Lei ha mai litigato con Berlusconi?
«Discusso spesso, litigato mai».
Almeno un litigio c’è stato.
«Quando?».
Dopo la puntata «riparatoria» di Santoro.
«Ha ragione. È stato l’unico litigio. Ero stato molto pacato in trasmissione. Berlusconi mi avrebbe voluto più aggressivo e potente. Mi disse: “Sei andato malissimo!”. Litigammo di brutto. C’era anche Letta e litigai anche con lui. Io abitavo nella casa di Berlusconi in via del Plebiscito. Ero talmente incazzato che feci la valigia e me ne andai la sera stessa».
Lei è uno dei responsabili della nascita di Forza Italia. Confalonieri era contro, Letta e Costanzo pure.
«Tutti erano contrari. Confalonieri pensava che fosse pericoloso scendere in campo e che per risolvere il problema bastasse dare una rete ai comunisti. Solo Doris e Galliani erano tiepidi, in attesa di vedere come andavano le cose. Io invece mi schierai subito per la discesa in campo di Silvio. Quando mi disse che bisognava fare un partito chiesi: “Come si fa?”. E lui: “Mah, non so, vedi tu, in Publitalia ci sono mille persone…”. Io andai in Publitalia e ne scelsi 27».
Galan, Ghigo, Micciché… Chi ha mollato di quei 27 iniziali?
«Roberto Cipriani, Marco Seniga, Roberto Spingardi, Giovanni Schiaffino, Nicola Odone…».
Chi ha inventato il nome Forza Italia?
«Berlusconi. Quando ce lo comunicò noi restammo perplessi. C’erano altri nomi. Tanti. Forza Italia ci sembrava troppo calcistico. Ma lui è sempre davanti a tutti. Insieme a Guido Dall’Oglio ha scritto anche l’inno di Forza Italia. Il colore azzurro l’ha inventato lui. Anche lo slogan: “L’Italia è il Paese che amo”. Anche il kit del candidato».
Voi non avete fatto niente?
«Siamo stati dietro a Berlusconi, è la verità, non lo dico per falsa modestia».
È vero che in Mediaset sono tutti comunisti?
«Non tutti».
Ci sono più comunisti in Mediaset o in Rai?
«In Rai ce ne sono meno se si esclude Rete Tre».
Lei pensa seriamente che in Mediaset ci siano comunisti?
«Non sono comunisti, la pensano in maniera diversa, sono di sinistra…».
Berlusconi è sempre stato molto munifico con lei. Le regalava e le prestava molti soldi. Il suo tenore di vita è così dispendioso?
«A parte il tenore di vita, in quei tempi avevo comprato una casa sul lago di Como che dovevo anche ristrutturare».
Lei quanto guadagna?
«Il mio 740 depositato in Parlamento è di un milione di euro. L’anno scorso».
È uno spendaccione.
«Lei sa quanto costa ristrutturare una casa? Non lo faccia perché si rovina».
Berlusconi era iscritto alla P2. Lei no.
«Io mica ero Berlusconi. Lui imprenditore, io impiegato».
Però è dell’Opus Dei…
«Sono amico dell’Opus Dei. Grande ammiratore…».
È vero che doveva essere il ministro dell’Interno del primo governo Berlusconi?
«È una balla. Nel ’94 non mi sono neppure candidato. Avrei dovuto farlo. Se avessi saputo che mi stava per piovere addosso il mondo intero, per proteggermi mi sarei candidato».
Partecipava alle trattative di governo.
«Altra balla. Anche perché dopo la vittoria del ’94 sono stato immediatamente perseguitato…».
Perseguitato mi sembra una parola grossa.
«È stata una persecuzione. Ho dovuto anche abbandonare l’attività di organizzazione di Forza Italia per dedicarmi ai processi, che sono stati tanti, pesanti e costosi».
Continua a chiedere prestiti?
«Senza l’aiuto di Berlusconi non avrei potuto difendermi. Non potevo permettermi avvocati di livello. Se non avessi avuto l’aiuto di Berlusconi avrei chiesto l’avvocato d’ufficio. Solo di fotocopie degli atti ho speso centinaia di milioni».
Lei ha fatto 21 giorni di galera.
«Lei non ci crederà, ma nel carcere di Ivrea ho provato un incredibile senso di libertà. Finalmente ero solo, senza telefonate, segretarie, riunioni. In quel carcere c’è la biblioteca dell’Olivetti, straordinaria, ho letto libri e ho risposto a tutte le tremila lettere che mi sono arrivate».
Perché invece i ricchi e i potenti patiscono così tanto la galera?
«Sono persone abituate a comandare e lì si sentono dei poveri disgraziati. Mancanza di cultura e molte volte anche di umanità».
Anche lei era abituato a comandare…
«Ma io ho un’educazione diversa. Sono stato in collegio da ragazzo».
Forza Italia viene da una serie di sconfitte elettorali. Come le spiega?
«Errori nella scelta degli uomini. Nelle amministrative prevalgono interessi locali. In Forza Italia, a livello locale, non ci sono persone di rilievo».
Colpa di Bondi e di Cicchitto?
«Non penso proprio. Non possono far perdere voti. Magari non ne hanno fatti conquistare».
Briatore mi ha detto che quelli di Forza Italia come comunicazione sono pessimi e che li licenzierebbe tutti.
«Ha ragione. Conoscono la comunicazione commerciale ma ignorano quella politica».
Adesso è lei che seleziona i candidati. Considera la moralità pubblica dei candidati. Che non siano condannati, che non siano indagati…
«Io sono uno di questi…».
Lei dovrebbe essere uno non candidabile. Eppure addirittura li sceglie.
«Ma io sono candidabilissimo finché non c’è una sentenza definitiva…».
C’è, falso in bilancio.
«Io la contesto e sto preparando il processo di revisione. L’importante è che non mi condanni Berlusconi Qualsiasi cosa abbia fatto, l’ho fatta per lui».
Prescrizioni, amnistie, patteggiamenti… è imbarazzante oppure va bene lo stesso?
«È imbarazzante per i colpevoli. Va bene lo stesso per gli innocenti».
In questi giorni Berlusconi fa più comparsate in tv che Vespa col suo libro. Non è una esagerazione?
«Sicuramente, ma è molto efficace. Grazie a questa sua azione stiamo recuperando molte persone che erano indecise se andare via».
E la sparata di Berlusconi contro Floris?
«Floris è un fanatico come Santoro».
Chi è il più grande voltagabbana in Italia?
«Sono tanti…».
Cirino Pomicino?
«Non è un voltagabbana. È uno che cerca, senza trovarla, neppure la gabbana».
Chi altri?
«Fisichella è un caso clamoroso. Da An alla Margherita senza nemmeno passare per Mastella».
Gioco della torre. Caselli o Ingroia?
«Butto Ingroia. I pm che si sono occupati di me sono tutti dei fanatici. Ma Ingroia è il peggiore».
Travaglio o Biagi?
«Travaglio, non c’è lotta. Mi cita anche quando non c’entro. Qualunque cosa scriva ci aggiunge sempre il mio nome».
Costanzo o Mentana?
«Dal punto di vista di Forza Italia è da buttare Costanzo. È dichiaratamente dall’altra parte…».
E Mentana?
«Mentana è più attento...».
Dotti o Ariosto?
«Il vero colpevole è Dotti. Aveva una grande invidia per Previti. L’Ariosto è stata solo il suo strumento».
Casini o Pera?
«Come faccio a buttare Casini?».
Quando i giudici erano in camera di consiglio fece quella dichiarazione a suo favore…
«Casini mi conosce bene è si è ricordato di me. Un vero amico».
Era il presidente della Camera.
«Ha fatto una cosa che poteva solo danneggiarlo. Si è comportato da uomo e io l’ho gradito molto».
Non le è parso inopportuno?
«A maggior ragione apprezzo il suo coraggio».
Annunziata o Bignardi?
«Tutte e due mi piacciono».
Lei è un adulatore?
«Direi proprio di no».
Quando la Bignardi le ha chiesto chi è il miglior giornalista d’Italia lei ha risposto Luca Sofri, suo marito.
«Non sapevo che fosse suo marito».
Poi si lamenta che i giudici non le credono.
«Lo ignoravo, veramente».
È proprio sfortunato. Tra tutti i giornalisti italiani va a scegliere proprio il marito della Bignardi. Non è credibile…
«Eppure è così».
Se Berlusconi perde…
«Ipotesi dell’irrealtà…».
C’è un erede di Berlusconi?
«Dentro Forza Italia? Ne vedo almeno tre: Pisanu, Formigoni e Tremonti».
E la leadership della Casa delle Libertà?
«Per adesso sgomitano Casini e Fini. Non vedo altri».
Un difetto di Berlusconi?
«Concede troppo alla sinistra».
Sta scherzando?
«Certe nomine…».
Un esempio…
«Capo della polizia è Giovanni De Gennaro, il compilatore del rapporto contro Dell’Utri e Berlusconi. Berlusconi non l’ha mai rimosso».
Ricorda la famosa fotografia delle Bermuda?
«Certamente».
Tutti in fila agli ordini di Berlusconi.
«Era una cosa normale per correre in quelle stradette».
Tutti vestiti uguali.
«A Berlusconi piaceva la maglietta bianca e ci siamo vestiti tutti da tennis».
Sembravate una scolaresca.
«Un po’ lo eravamo. C’era l’ora di lettura collettiva del libro. Abbiamo letto Machiavelli, Erasmo da Rotterdam, Platone».
E le altre ore?
«Fisioterapia».
I massaggi.
«Elioterapia».
Prendevate il sole.
«Talassoterapia».
Facevate il bagno.
«E poi la dieta. Pesce, insalate e frutta esotica».

 da www.melba.it


Titolo: Berlusconi "Fare il premier mi fa schifo" (quanto a noi?)
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2009, 10:30:25 pm
Il presidente del Consiglio: "Sono otto settimane che non faccio un giorno di riposo"

"Lo faccio soltanto per senso di responsabilità. Ma sono disperato..."

Napoli, lo sfogo di Berlusconi "Fare il premier mi fa schifo"

 
NAPOLI - Si dice "disperato". E torna a ripetere quanto il lavoro del politico gli "faccia schifo". Serata di svago per Silvio Berlusconi al teatro Quirino di Napoli. Ieri sera tra il primo e il secondo atto il premier si concede un bagno di folla. "Sono otto settimane che non faccio un giorno di riposo" scherza nel foier con il pubblico. "Ma lei si diverte", lo punzecchia una signora. "No, a me non piace quello che faccio - replica il Cavaliere - lo faccio solo per senso di responsabilità. Mi fa schifo quello che faccio. Sono disperato...".

"Sono abituato a lavorare - riprende Berlusconi sorridendo - pensi che per 21 giorni non ho mai dormito due notti consecutive nello stesso letto". "E' stata una tourneè", ribatte un signore. "No - risponde il Cavaliere - perché in tourneè si recita sempre la stessa parte. Io ogni giorno devo invece cambiarla".

Non è la prima volta che Berlusconi tocca il tasto del "sacrificio" che gli costerebbe fare il lavoro del politico. Quello stesso che più volte ha sbeffeggiato pubblicamente, attaccando "i politici di professione", quelli "solo chiacchiere" e "niente fatti". Opponendoli a quelli come lui, gli uomini "del fare". Ricordando, con orgoglio, la sua ascesa imprenditoriale.

Sospirando quando, elenca le sue innumerevoli case al mare, dalla Sardegna ai Caraibi, che non si può "godere". Elencando minuziosamente i tempi sempre più stretti della sua giornata. "Dormo poche ore al giorno e il resto lavoro" ha ripetuto più volte. "Sono uno di voi" non perde occasione per dire ogni volta che si presenta davanti ad una platea di industriali. Uno di loro che però da 15 anni resta tenacemente attaccato a quel lavoro che, di tanto in tanto, dice di detestare. Ma di cui, evidentemente, non può fare a meno. "Ma solo per il bene degli altri". Ovviamente.

(18 marzo 2009)
da repubblica.it


Titolo: Verano: tombe aperte e teschi profanati
Inserito da: Admin - Marzo 19, 2009, 11:11:11 pm
Verano: tombe aperte e teschi profanati

Tra lapidi rotte e spazzatura, anche cumuli di ossa umane gettate negli sgabuzzini

 
 di Elena Panarella


ROMA (19 marzo) - Tombe pericolanti, transenne abbattute, ripostigli usati come deposito di resti umani, teschi e ossa abbandonati tra rifiuti e calcinacci; dietro altre porte, proprio accanto ai loculi, cumuli di escrementi umani, impossibile passare per l’odore nauseabondo.  Eccolo, di nuovo e sempre, il vergognoso degrado del Verano, che era emerso in tutto il suo orrore già lo scorso anno. Tombe storiche trasformate in spogliatoi, cappelle gentilizie abbandonate a se stesse, trasformate in alloggi di fortuna da sbandati e senzatetto con tanto di sdraio e materassi, riempite di immondizia e usate come alcove. Con tanto di inchieste che hanno portato alla spsensione di alcuni dipendenti dell’Ama. Poi tutto è tornato nel silenzio.
«Un cimitero monumentale che cade a pezzi ormai da troppo tempo - si sfoga Giorgia Bellini, che da anni viene a pregare sulla tomba di un suo caro - e non si tratta solo della parte monumentale. Erano settimane che sentivo un cattivo odore, all’inizio pensavo che arrivasse da uno dei loculi del piano, e invece l’altro giorno ho visto la porta di quella specie di sgabuzzino socchiusa, l’ho aperta e mi sono trovata in una specie di latrina. Uno schifo, mi chiedo come sia possibile arrivare a questo. Per non parlare delle condizioni in cui si trovano i vialetti, Non i viali vicino alle entrate, ma tutti gli altri coperti di foglie su cui si scivola, di un tappeto di aghi di pino e di ferri arrugginiti che spuntano da ogni dove».

Sul vialetto che porta alla tomba di sua sorella, la signora Antonia getta lo sguardo verso una porticina. Non crede a quello che vede: «tra i calcinacci, porte e altro ho visto sbucare quel teschio; pensavo di averlo immaginato, pensavo si trattasse di un pallone sgonfio annerito dal tempo, e invece no. Di chi sono quelle ossa buttate lì?». E poi aggiunge: «Non c’è pace per i nostri cari. Mi viene una grande tristezza a parlare con mia sorella, a pregare per lei circondata da questo degrado. Certe volte prego Dio di non farmi morire in questa città, per non diventare anch’io vittima della strafottenza e dell’incuria che regnano qua dentro».

Accanto ad alcune cappelle “non storiche” come quelle del Pincetto che cadono a pezzi, ce n’è una sequestrata l’anno scorso dai carabinieri: l’unica protezione è offerta da una selva di ferri arrugginiti. Dentro, una vera e propria piscina: tre metri d’acqua cresciuti durante tutto l’inverno. «Praticamente bisognerebbe tenere i bambini stretti per mano per non farli precipitare in trappole pericolose come questa - si sfoga Angelo Carvone - E ce ne sono a decine. Lo scorso anno hanno messo le catene ad alcune cappelle, quelle antiche, ma ce ne sono talmente tante che il lavoro non può finire solo con una ventina di tombe chiuse alla meglio». Basta spostarsi in un’altra zona del cimitero per scoprire che la situazione non cambia. Ecco un cancello spalancato, il pavimento sfondato mostra le bare antiche di una antica cappella. C’è anche la scaletta per scendere. Chi scende in quella tomba? E perché?

Lungo i vialetti, cumuli di mattoni lapidi spezzate buttate dove capita. «Ormai siamo abituati a tutto - commenta a gran voce Rosa Sorrento - Ormai è diventato pericoloso persino venire a far visita ai propri cari, soprattutto per gli anziani. C’è il rischio concreto di rompersi una gamba, si inciampa ovunque, si cade. Dove ti giri trovi solo strade e stradine sconquassate, buche, spuntoni che escono dal terreno, radici che spaccano i marmi delle tombe. E non vengano a dirci che non è così, basta guardarsi intorno. Qui qualcuno deve assumersi le proprie responsabilità». Qualcuno tenta di dare consigli su come gestire lo storico cimitero: «Basterebbe dividerlo per quadranti, assegnare le aree a piccole squadre e a qualcuno che controlli almeno una volta alla settimana con una macchinina elettrica, come quelle che si usano nei campi da golf, il lavoro svolto. Insomma di idee ce ne sarebbero. Per ora l’unica cosa certa, è che se ti allontani dai viali, dall’apparenza, si vede solo tanta desolazione. Vorrei che le istituzioni si fermassero a riflettere, perché se non c’è rispetto per i morti e per i parenti che li amano, che esseri umani siamo?».

Le croci distrutte e gettate tra i rifiuti, così come le bare ultracentenarie sventrate dentro le cappelle, sono sempre lì. Tra i resti, biancheggiano ancora le ossa dei defunti oltraggiati, probabilmente anche depredati nella tomba. E intanto la direzione del cimitero, interpellata, oggi come l’anno scorso rifiuta di rispondere di uno scandalo sotto gli occhi di tutti.
 
da ilmessaggero.it


Titolo: E se il terremoto arrivasse a Milano Due?
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2009, 11:06:28 am
L'INCHIESTA SUL TERREMOTO

«Arresteremo responsabili dei crolli»

Via ai primi rilievi. Nel mirino i materiali degli edifici. Il procuratore: «Si cerchi la verità»
 

L'AQUILA - Il procuratore della Repubblica dell'Aquila, Adriano Rossini, che ha aperto un'inchiesta sui crolli e le morti del terremoto, assicura: «Molto probabilmente non ci saranno indagati, perché gli indagati saranno anche arrestati». E conferma che s'indaga anche sull'ipotesi che sia stata usata in qualche caso sabbia marina mescolata al cemento: «se dovesse risultare - afferma - avremmo già avuto un risultato quasi definitivo, perché è notorio che la sabbia marina corrode il cemento che non regge per niente». Dopo l'apertura formale dei fascicoli, sabato è stato dato il via alle verifiche condotte dai carabinieri. L'inchiesta del procuratore Rossini e dei suoi sostituti muove i primi passi sulle macerie provocate dal sisma: pezzi di intonaco, sassi, mattoni, che verranno sequestrati perché potrebbero contribuire all'accertamento delle eventuali responsabilità dell'accaduto. Il procuratore dell'Aquila spiega di voler «indagare fino in fondo, procedendo con tutto il rigore che questa insostenibile situazione comporta».

Oggetto dell'inchiesta, spiega Rossini, è «accertare i motivi per cui sono crollati questi palazzi, per cui di conseguenza sono morte tutte queste persone. E vedere naturalmente se questo dipende solamente dal terremoto oppure dipende dalle manine degli uomini che hanno costruito male, hanno usato cattivi materiali, hanno fatto cattive progettazioni e magari hanno anche speculato sul cemento, mettendoci del cemento che non avrebbe mai potuto reggere». Il procuratore ha intanto affidato ai carabinieri la delega per compiere, insieme ad alcuni tecnici, le prime acquisizioni di documenti e le prime verifiche su alcuni edifici. Tra questi vi sarebbero la casa dello studente, l'ospedale e la Prefettura, diventati luoghi simbolo del sisma, ma anche lo stabile dello stesso tribunale.

La priorità dovrebbe essere data agli edifici pubblici, poi si passerà agli stabili privati, a cominciare da quelli completamente crollati e in cui si sono avuti più morti, come alcuni palazzi di via XX Settembre. Gli accertamenti, secondo quanto è stato possibile apprendere, riguarderanno tutto l'iter della costruzione: dall'assegnazione degli appalti alla progettazione, dall'edificazione dell'immobile ai controlli successivi, con particolare riguardo alla verifica della rispondenza alle leggi antisismiche. Particolare attenzione sarà riservata ai materiali utilizzati, come cemento, sabbia, materiale edilizio.

L'indagine si annuncia, dunque, come particolarmente complessa, anche perché in gran parte basata sul materiale documentario - come progetti e autorizzazioni - di immobili che, come nel caso della casa dello studente, sono stati costruiti tra gli anni Sessanta e Settanta. Più recente, anche se è durata molti anni, la realizzazione dell'ospedale San Salvatore che è stato gravemente lesionato ed è inagibile. Oltre all'acquisizione di tutti i verbali dei sopralluoghi, potrebbero anche essere sequestrati campioni delle macerie dei palazzi; e non è escluso che presto si proceda al sequestro di aree o di fabbricati per verificare quali sono stati i materiali usati per la costruzione dei fabbricati crollati. Il fascicolo aperto dalla procura è contro ignoti, cioè senza iscrizioni, finora, nel registro degli indagati. Tra i reati ipotizzati dagli inquirenti quello di disastro colposo.

(Ansa)
11 aprile 2009

da corriere.it


Titolo: «Raccolgo i "Gratta e vinci" usati: così vinco (e tiro a campare)»
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2009, 05:04:51 pm
Napoli, l'arte di arrangiarsi

«Raccolgo i "Gratta e vinci" usati: così vinco (e tiro a campare)»

Francesca cerca in strada i biglietti. «La gente non controlla bene. Trovo ogni giorno 5 o 10 euro»

La signora del Gratta e vinci


NAPOLI - «Gratto e rigratto, ma oggi ancora niente, mannaggia, invece ieri…». Ieri Francesca ha ritirato 25 euro in tabaccheria grazie al «Gratta e vinci». Sarebbe più corretto però chiamarlo ri-Gratta e vinci. Cosa significa? Lo spiega lei: «Raccolgo le cedoline che la gente butta via dopo aver grattato e me li riguardo con attenzione. Ogni tanto capita che qualcuno non ha grattato proprio tutti gli spazi sul biglietto, magari quelli vincenti, oppure che non si sia accorto di aver vinto». Quindi, incredibile ma vero, la signora Francesca, che tutti conoscono e salutano nella centralissima via Toledo, ogni santo giorno fa il giro dei cestini sistemati nei pressi di ben individuate tabaccherie e edicole («le più fortunate, nei dintorni del Municipio»), indossa un guantino in lattice, rovista, pesca i «Gratta e vinci» usati, li ripone in una grande busta. E poi, nel pomeriggio, con puntualità svizzera, sugli scalini della stazione della funicolare in piazzetta Augusteo, passa al setaccio i tagliandi raccolti. Grattando via le parti che sono state ignorate - per quale motivo? boh – dagli acquirenti, oppure non adeguatamente controllate. «Su questo non c'è niente, su quest’altro niente, su questo, forse, forse…». «Così arrangio: un giorno trovo 25 euro, un altro dieci euro, un altro 5. Capitano però anche le giornate sfortunate».

«LA PRIMA VOLTA TROVAI 100 EURO» - Grattando grattando Francesca tira a campare. L’arte di arrangiarsi insegue i tempi nuovi di riffe e lotterie usa e getta.
Il coraggio Francesca lo prese dopo aver vinto, dice, cento euro, «la seconda volta che ho iniziato a raccogliere i Gratta e vinci che la gente butta via». Cento euro, oggi, venti domani, la signora, ha iniziato a prenderci gusto. La possiamo mettere naturalmente sotto una luce giocosa e simpatica, anche se è chiaro che il giochino del ri-grattare e sperare nasconde una vita di ristrettezze e indigenza. «Madonna mi’ aiutami tu, perché ne ho tanto bisogno» ripete Francesca, originaria di Ponticelli e ora residente ai Quartieri spagnoli da un parente. Ha anche i suoi annetti, eppure non salta mai il lungo e faticoso tour per la pesca miracolosa. «Sono nata nel ’50. Vulite vedè ‘a tessera?». Ma ha mai comprato un Gratta e vinci “normale”? «Mai! La fortuna la tento soltanto così».

Alessandro Chetta
15 maggio 2009