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Autore Discussione: “I leader israeliani chiedono di avere uno stato israeliano a una condizione:...  (Letto 251 volte)
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« inserito:: Ottobre 29, 2024, 06:23:46 pm »


Rumore#17: nessuno fa niente per i palestinesi
Posta in arrivo
Fanpage.it <rumore@fanpage.it>
14:33 (5 ore fa)
a me
da rumore@fanpage.it

Ciao Gaetano

“I leader israeliani chiedono di avere uno stato israeliano a una condizione: che non ci siano palestinesi. C'è un'espressione per questa cosa: pulizia etnica”.
Che tu ci creda o no, questa frase è stata pronunciata poco meno di dieci anni fa dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Io mi sono semplicemente limitato a sostituire israeliani con palestinesi, e viceversa.


E no, non l’ho fatto per prenderti in giro. Ma per provare a ragionare insieme su quel che ci sta passando di fronte agli occhi, giorno dopo giorno, da un anno a questa parte. Con la complicità di molti e l’acquiescenza di moltissimi, a partire da tutti quei Paesi - occidentali o arabi, poco importa -, che dicono di avere a cuore il destino di chi abita a Gaza o in Cisgiordania.
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Vorrei capire meglio le guerre in corso. Vorrei sapere perché, a cominciare dagli USA, nessuno si pone il problema di dove ricollocare i palestinesi. Israele andrà fino in fondo.
Norma
In attesa che la Corte Internazionale di Giustizia si pronunci sull'accusa di genocidio, non vi sono ormai dubbi che il piano di Israele sia la pulizia etnica di Gaza, ovvero l'espulsione dei palestinesi da quel fazzoletto di terra. Lo ha denunciato pochi giorni fa anche il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, chiedendosi - come te e come noi - perché la comunità internazionale resti impassibile di fronte ai bombardamenti sui civili e al blocco delle forniture di aiuti umanitari. Non è facile dare una risposta sintetica, ma potremmo dire che gli interessi geopolitici ed economici hanno ancora una volta preso il sopravvento. Gli Stati Uniti, che tu menzioni, non solo non hanno fermato Netanyahu, ma - come spiega la CNN - hanno recentemente approvato la vendita di altri 20 miliardi di dollari di sistemi d'arma, tra i quali caccia F-15, missili e munizioni. Siamo così al paradosso: mentre nei consessi internazionali gli USA chiedono a Tel Aviv di salvaguardare la vita dei civili, vendono armi che vengono impiegate proprio contro i civili. Lo stesso hanno fatto anche altri Paesi occidentali. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ad esempio, ha annunciato ulteriori consegne di armi a Israele e persino l'Italia, tra dicembre 2023 e gennaio 2024, ha esportato a Tel Aviv armi e munizioni da guerra.

Ma anche la postura dei diversi Paesi del Medio Oriente, a dispetto della pomposa retorica pro-Palestina esibita dai loro leader, induce a pensare l’esatto opposto. Oltre il valico di Rafah c'è la penisola del Sinai, ma gli egiziani non sembrano inclini ad accogliere centinaia di migliaia di palestinesi, per non rischiare di alterare gli equilibri politici che permettono ad Al Sisi di restare saldamente alla guida del regime. Come ha spiegato di recente l'Ispi, anche l’Arabia Saudita non vuole schierarsi esplicitamente contro Tel Aviv, così come non intendono farlo gli Emirati Arabi. Non conviene alla loro strategia politica di medio-lungo termine. Potremmo andare avanti a lungo, citando anche la Giordania, la Turchia e altri stati, ma il succo della questione non cambia. Sulla pelle dei palestinesi, soprattutto di quelli di Gaza, si muovono interessi economici e politici soverchianti rispetto alle loro legittime rivendicazioni di pace, terra e sicurezza.
Davide Falcioni
Redattore area Cronaca Fanpage.it
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Sono molto preoccupata per le dichiarazioni di Meloni e dei suoi ministri su molti temi. In questi giorni ha accusato ingiustamente Open Arms, urlando in Parlamento. Ieri ha dichiarato che il compito della magistratura è coadiuvare il governo. Cosa possiamo fare noi cittadini quando apprendiamo queste continue falsità? C'è un modo per rivolgerci alla Corte Costituzionale, per esempio?

Giorgio
Questi due episodi che hai scelto, cara Dora, sono entrambi ottimi esempi per spiegare cosa pensi Giorgia Meloni della magistratura. Una magistratura che nel caso Open Arms non può permettersi di condannare un ministro per aver compiuto atti “come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini” - sarebbe un “precedente gravissimo”, chiosa Meloni. Allo stesso modo, nel caso Albania, se la prende coi giudici che se ne fregano della volontà popolare nell’applicare le leggi. In entrambi i casi, Meloni tradisce l’idea che la magistratura debba essere un potere subalterno alla volontà dell’esecutivo, perché quest’ultimo è depositario del mandato ricevuto dai cittadini.

Intendiamoci: che lo pensi non è reato, sebbene la Costituzione reciti, all’articolo 101, che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”, non certo al governo. Il problema semmai è che, dalla posizione in cui è, Meloni possa provare a cambiare, in tutto o in parte, lo stato delle cose. Non mi addentro in materia da giuristi, ma nell’attuale proposta di riforma della giustizia promossa dal governo, il cosiddetto DL Nordio, si ritrovano alcune proposte, dalla separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici, all’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, che secondo numerosi magistrati e giuristi mirano a riequilibrare i rapporti di forza tra poteri dello Stato, in favore dell'esecutivo e a discapito della magistratura.

Ecco, Dora, perché quelle parole sono pericolose: perché preparano il terreno.
Francesco Cancellato
Direttore Fanpage.it
 
Perché non si cambia la legge Bossi-Fini assurda e obsoleta?
Edgardo
Si scrive “Bossi-Fini”, si legge “irregolarità”. Quando il ministro Piantedosi dice che chiedere di “cambiare la Bossi-Fini” senza una controproposta chiara e dettagliata che spieghi dove si vuole andare a parare rischia di essere uno slogan, non ha tutti i torti. Bisogna mettersi d’accordo su cosa voglia dire rinnovare questa legge, per adattarla alla situazione attuale. Intendiamoci, il ministro dell’interno vuole delegittimare un’istanza giusta e banalizzare una richiesta serissima. Il punto è che maggioranza e opposizione hanno due idee diametralmente opposte di come si debba intervenire oggi. Dall’approvazione della “Bossi-Fini” nel 2002, gli ingressi per lavoro in Italia sono regolati dai “decreti flussi“: in pratica ogni anno si stabilisce il numero di persone che possono entrare in Italia per lavorare.

Meloni ha annunciato di voler riformare la legge, ma in senso restrittivo. E infatti il decreto approvato a inizio ottobre va in questa direzione: sono stati rafforzati i controlli sui datori di lavoro che assumono dall’estero; e i click day non sono stati affatto eliminati, anzi, ci si avvia verso una fase in cui ce ne saranno di più, divisi per categoria di lavoratori, perché secondo il governo abolirli per ora non è possibile. Non si tratta di certo del superamento ​​del legame tra permesso di soggiorno e durata del contratto di lavoro, che da tempo chiedono opposizioni e associazioni.

Purtroppo, la posizione di Meloni sull’immigrazione non è così lontana da quella dell’UE, che infatti guarda con interesse al modello Albania, basato sul meccanismo di esternalizzazione del processo migratorio. Del resto, la gestione della migrazione fuori dai confini UE è uno dei punti del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, che a giugno 2026 diventerà legge su tutto il territorio dell’Unione. I voti dei cittadini si stanno sempre più spostando a destra, e inevitabilmente i governi europei cercano di assecondarli mettendo in campo misure di controllo del fenomeno migratorio. Lo dimostra anche il fatto che il governo laburista del Regno Unito, guidato da Starmer, che pure ha archiviato il piano del precedente governo conservatore di spedire i richiedenti asilo in Ruanda, ha lodato l’approccio italiano.

In un momento in cui lo stesso ministro dell’Economia Giorgetti dichiara che andiamo “diritti verso il disastro”, perché con i dati attuali sulle nascite “non c'è futuro per il sistema previdenziale, ma neanche per quello produttivo”, qualcuno dovrebbe ricordare al governo che ai migranti dovremmo stendere i tappeti rossi.
Annalisa Cangemi
Vice capa area Politica Fanpage.it
 
Vorrei trattare l'argomento affitto con animali: è diventata una piaga sociale, nessuno li vuole.
Grazia

Grazia, quello che metti in luce è un dato di fatto, purtroppo. In un mercato immobiliare già di per sé complesso, fatto di fitti a costi elevatissimi nelle principali metropoli del Paese, chi vive con un animale domestico è ancora più penalizzato. Abbiamo diverse volte denunciato casi del genere e raccolto testimonianze di persone in difficoltà perché non riescono, appunto, a trovare un luogo che sia una "tana" condivisa con il proprio cane, soprattutto. Il problema è da vedere sotto diverse prospettive ma una che mi sembra fondamentale dover affrontare verte sull'educazione di chi è la persona di riferimento dell'animale, più che di quest'ultimo in realtà. È altrettanto vero, infatti, che tantissimi proprietari si sono ritrovati con abitazioni usurate per la presenza di un cane, soprattutto, o che abbiano avuto problemi con il condominio perché "il cane era maleducato". Eh no, il punto è proprio questo: la responsabilità sta in capo al lato umano della relazione. Al di là, dunque, dell'odioso "no" basato su un preconcetto e che invece dovrebbe arrivare come risposta solo a seguito della vera conoscenza del nucleo familiare di cui il cane fa parte, ci sono ancora troppi animali che vengono trattati come oggetti e i cui bisogni non sono compresi. Ed ecco che si creano situazioni per noi umani incresciose, come gli abbai molesti o la distruttività in casa, ma che in realtà rappresentano segnali di estremo disagio da parte dell'animale. Il risultato qual è? Le persone perbene, ovvero che badano davvero al benessere psicofisico del proprio compagno a quattro zampe, vengono associate ancora a tante altre, purtroppo, che invece non hanno a cuore il rispetto nei confronti di nessuno. Animale domestico o persona che sia.

Diana Letizia
Capa area Kodami Fanpage.it
Fai RUMORE con Fanpage.it

Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua!

A presto,
Francesco
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