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Autore Discussione: SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).  (Letto 50569 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Luglio 01, 2008, 06:30:31 pm »

Intervento di Giovanni Berlinguer


Claudio Fava ha detto giustamente che questo incontro non sarà la celebrazione di una identità ma l’inizio di una ricerca, che vogliamo condividere con altri soggetti della sinistra (e del centrosinistra), ragionando anche sulle nostre colpe, sui mutamenti profondi della società, sul rapporto con i cittadini, e sulle difficili prospettive dell’Italia.

Non dobbiamo nascondere che questo governo è frutto di un forte sostegno elettorale e gode tuttora di un grande consenso popolare. L’arroganza di Berlusconi, nell’imporre ancora una volta le sue leggi ad personam, ha però suscitato vivaci reazioni (e perfino qualche critica interna), che hanno rotto l’acquiescenza e il consenso obbligato. Da molte parti, inoltre, viene contestata la politica economica del governo: i sindacati respingono il trucco dell’1,7% come indice triennale dell’inflazione programmatica, imponendo così una riduzione consistente dei salari, già ora largamente insufficienti; e la rivista “Famiglia cristiana” definisce questa linea come “deludente”, usa l’espressione “luna di fiele”, afferma che alle famiglie è dedicata soltanto la “carità di Stato”, e chiede che non si scambi la vita dei poveri con una “carta degli anziani”.
Mi sembra perciò di percepire lo sviluppo, in tempi più rapidi del previsto, da una parte di una azione aggressiva del governo contro le libertà (l’ultima è quella feroce di Maroni: prendiamo le impronte digitali ai bambini rom che chiedono l’elemosina) e dall’altra parte una gran voglia di agire, di partecipare e di creare nuove aggregazioni; di scoprire forme di lotta aggiornate; di costruire movimenti; di lavorare nell’informazione e della diffusione dei saperi; di lottare per riequilibrare le entrate, le spese e i diritti delle persone.

Abbiamo bisogno, per questo, di un forte rinnovamento culturale e generazionale dei gruppi dirigenti, per analizzare meglio le cause della disfatta subita dalla sinistra e per aprire spazi a nuove esperienze e a fresche energie. Su queste basi si potrà costruire una ripresa della sinistra, a queste condizioni si potranno sviluppare alleanza appropriate, e si potrà procedere verso una maggiore unità.
Queste settimane sono dense di appuntamenti politici diversi, nella sinistra e nel centrosinistra. Vediamoli con molto rispetto. Non si può sfuggire, tuttavia, alla preoccupazione che nelle consultazioni congressuali di Rifondazione, del Pdci e dei Verdi vi siano dei rischi di ulteriori frammentazioni, come risultato di molte diverse mozioni. Sull’altro lato, quello del Partito Democratico), si paga ora la decisione di affrontare da soli l’appuntamento elettorale, e si stanno creando strutture interne, camuffate da “Fondazioni” o da altre aggregazioni interne, che sono foriere del potere personale e di instabilità permanente.

Può darsi che la mia preoccupazione sia eccessiva, o che sia considerata una inframmettenza esterna e indebita. Lo scenario, tuttavia, non lascia dubbi sul presente e sul futuro immediato: l’Italia attraverserà anni difficili, e per modificare il percorso c’è bisogno di due punti di svolta. Uno è la Costituente unita della sinistra; che sia però attuata, come ha scritto Luciana Castellina il 23 maggio, “senza precipitare subito in forme definite, che servirebbero solo a riproporre vecchi e nuovi gruppi dirigenti, pensati con il bilancino o a perpetuare l’esistenza di cose disparate come è stato l’Arcobaleno”. L’altro è pensare che il soggetto unitario della sinistra possa essere autonomo per i prossimi decenni di fronte ad un Pd centrista. In altre parole, dobbiamo lavorare per un sistema di alleanze.

Una pista più vicina, rispetto agli eventuali decenni, sta negli orientamenti che sono emersi nel Partito democratico in rapporto alla sua collocazione futura nel Parlamento europeo, che sono stati resi espliciti da Lapo Pistelli dopo i falliti tentativi di creare un “gruppo italiano” (impraticabile per i regolamenti) o una alleanza con altri paesi (impraticabile per il loro rifiuto). E’ stata perciò aperta una trattativa per collegare il Pd al gruppo socialista europeo, con un duplice eventuale accordo: Il Pse riconosce l’esigenza di una formazione politica più ampia, che raggruppi, oltre alle forze socialiste quelle liberal-democratiche e riformiste (un’idea caldeggiata da Giorgio Ruffolo), e al Pd viene aperta un’area specifica nell’ambito del gruppo del Pse.

Vedremo cosa accadrà


****

La politica italiana è necessariamente partecipe, in gran parte delle decisioni, degli orientamenti dell’Unione europea, che già condizionano la nostra vita quotidiana. La costruzione dell’Europa è stata definita da alcuni come “il più innovativo disegno politico del Novecento”, con qualche solida ragione: l’aver assicurato sessanta anni di pace, l’aver diffuso la democrazia, l’aver costruito lo stato sociale.
A metà degli anni Novanta, fra le 15 Nazioni che la componevano ben 13 avevano governi di sinistra o di centrosinistra, ma essi non hanno saputo sottrarsi all’ondata neoliberista e aprire nuove starde. Ora, fra le 27 nazioni, soltanto cinque o sei hanno una guida  socialista o progressista: basta una mano per contarli! Negli ultimi anni sono anche mutati i rapporti di forza anche nel Parlamento europeo, dove il gruppo liberal-democratico si associa molto frequentemente a quello popolare nel sostenere direttive apertamente reazionarie.
Si possono citare due casi recentissimi (e gravissimi). Uno riguarda l’immigrazione, un tema che in altri tempi era stato oggetto di decisioni positive, fra cui il ricongiungimento familiare e il diritto d’asilo. Ora è stato approvato un testo opposto, blindato, molto simile alle decisioni dell’attuale governo italiano, e molto crudele, rifiutando tutti gli emendamenti tesi ad abbassare la durata massima della detenzione, a migliorare la sorte dei bambini non accompagnati, a consentire qualche giorno in più per il rimpatrio volontario. La Direttiva prevede il trattenimento presso centri di detenzione fino al 18 mesi, i minori possono essere avviati a Stati diversi dalla loro origine, il rimpatrio volontario è fissato nel periodo fra 7 e 30 giorni, insufficiente per chi ha famiglia. Donata Gottardi, un’altra parlamentare del gruppo Pse, ha ricordato che “il flusso migratorio si è invertito nel nostro paese solo nel 1973” e ha aggiunto “Non è passato nemmeno un secolo da quando siamo partiti alla ricerca del lavoro sui piroscafi diretti in America, del Nord come del Sud, spesso emarginati con gli stessi pregiudizi che ora applichiamo a chi consideriamo usurpatore”.
L’altro caso riguarda il tempo di lavoro, che per oltre 150 anni è stato un punto cardinale per la vita degli operai, per la contrattazione, per avere diritto a una famiglia, per compiere le proprie scelte. La prima conquista fu nel 1848, tempo di rivoluzioni in Europa, che affermò il diritto degli operai di lavorare non più di 12 ore al giorno. All’inizio del Novecento si stabilì il riposo settimanale obbligatorio, il massimo di 48 ore lavorative, e poi i congedi pagati. Dopo la Seconda guerra mondiale furono ulteriormente ridotti i limiti di orario e allargati i congedi; e ci fu un lungo periodo di collaborazione e di contrattazione, che produsse un certo equilibrio di reddito, di potere e di sapere tra lavoro e capitale, e favorì lo sviluppo dell’economia europea.

Il 9 e 10 giugno 2008 il Consiglio (in rappresentanza di tutti i governi) decise di “emendare alcuni aspetti dell’organizzazione del tempo di lavoro” e di applicare la opt-out clause (clausola di dissociazione) che consente di non applicare il tempo massimo di lavoro (48 ore) se il lavoratore è d’accordo per lavorare un tempo più lungo sino a 60 o 65 ore, il che significa orari da 12 o 13 ore per cinque giorni consecutivi.


Fermo restando che un certo grado di flessibilità nell’orario di lavoro e nei tempi di vita può migliorare molte situazioni, le conseguenze possono essere assai gravi: una è che il sovraccarico di impegno può facilmente causare malattie e compromettere la sicurezza di chi lavora, come accadde ai sette lavoratori della Tyssen. Un’altra è che le donne già ora impegnate nel doppio lavoro, vedano ulteriormente accentuate le proprie discriminazioni. Inoltre, l’opt-out implica un contratto individuale nel quale il rapporto di potere tra lavoratore e azienda è fortemente sbilanciato. Sono queste alcune delle ragioni che hanno mosso all’azione le organizzazioni sindacali e politiche, con l’obiettivo di  modificare  sostanzialmente questi orientamenti.
Non mi soffermo su altri temi europei, alcuni impellenti e spinosi, come la difficoltà di proseguire e completare il Trattato di Lisbona, non solo per il referendum irlandese ma anche per altri rinvii e ostacoli; e si deve parlare anche di orientamenti positivi, raggiunti dall’Unione europea nei programmi per il clima e per le energie rinnovabili. Non mi soffermo anche perché sono certo che Pasqualina Napoletano, per le sue qualità e per la sua funzione di vice presidente del gruppo del Pse, interverrà con competenze maggiori e migliori delle mie sull’attualità e soprattutto sulle prospettive.
Concluderò con alcune osservazioni personali, partendo da un’esperienza vissuta negli ultimi tre anni (inizio nel 2005 e conclusione al maggio 2008) come componente di una Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, incaricata di affrontare le disuguaglianze nella salute e le cause sociali che ostacolano una migliore condizione e una prospettiva di vita più salubre. Abbiamo svolto indagini comparate in molti paesi e interessato governi, università, movimenti di lotta per la salute e per l’accesso  alle cure, analizzato le tendenze degli ultimi decenni, valutato i molti progressi compiuti, ma constatando che le disuguaglianze prevedibili, prevenibili ed evitabili stanno crescendo in continuazione.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #31 inserito:: Luglio 02, 2008, 06:39:59 pm »

di Fabio Vander

Socialismo e democrazia fra passato e presente


Nella polemica fra Salvi e Zagato quel che più conta è il ‘non-detto’. E si tratta di questione che va ben al di là degli spunti contingenti della polemica. Qualcosa che riguarda il presente e il futuro di Sinistra democratica e soprattutto il futuro della sinistra e della democrazia italiana.
Zagato fondamentalmente paventa il rischio che la creazione di associazioni cultural-politiche significhi di fatto l’infeudamento correntizio di Sinistra democratica. E questo è l’aspetto contingente della polemica con Salvi. Cioè quello meno importante.
Meritevoli di approfondimento sono invece gli argomenti che Zagato usa per liquidare sostanzialmente il ragionamento di Salvi sulla necessità di un rinnovato socialismo. La replica inizia con l’invito a non polemizzare con Fava “partendo dal titolo di un’intervista”, con evidente riferimento all’intervista su “L’Unità” in cui Fava considerava conclusa l’esperienza socialdemocratica. La verità è però che c’è un settore di SD, quello proveniente più direttamente dal “Correntone”, che costituisce di fatto una sorta di “veltronismo di sinistra” e che con il leader del PD condivide tesi tralatizie quali: il comunismo è finito, il socialismo è finito, il ‘900 è finito, ecc., bisogna “andare oltre”, ecc. Che poi i compagni che pensandola così abbiano deciso di non aderire al PD è più un’inconseguenza loro che una risorsa per SD e la sinistra italiana.
Personalmente non ho motivo di pensare che Fava la pensi così; al contrario: sono stato molto rassicurato dalla forte frase pronunciata a Chianciano: “non aderiamo né aderiremo mai al PD”. Perfetto. Ma allora si capisce che non si tratta di un “titolo di intervista”. Perché non accettare il vacuo e pericoloso democratismo veltroniano si può, seriamente e senza ambiguità, solo contrapponendogli un’idea forte di sinistra, di socialismo e di democrazia.
Parlare di socialismo non significa dunque affacciarsi da un “balcone dell’Ottocento” (un’invettiva gratuita, perché forse la democrazia non è un “balcone dell’Ottocento”? Non lo è il liberalismo? Non lo è il repubblicanesimo? E il radicalismo? Chi decide ciò che è attuale e ciò che è sorpassato?). Significa avere armi puntute contro l’ideologia corrente, quella appunto loffiamente democratista, riformista, gradualista. Il moderatismo non è il destino della modernità. E il socialismo è l’antidoto. Certo un socialismo aggiornato. Ma anche questa è una banalità (che troppo spesso copre smanie liquidazioniste). Perché forse la democrazia non si deve aggiornare? “Destra” e “sinistra” non sono categorie da aggiornare? Perché si polemizza solo con chi parla di socialismo?
Così ad esempio Zagato usa l’argomento che il socialismo oggi “non tiene più insieme” le dimensioni della teoria e della prassi. Un argomento per tutte le stagioni. Perché forse oggi la democrazia tiene insieme teoria e prassi? Il liberalismo li tiene insieme? Berlusconi dice di essere liberale e moderato, dobbiamo credere che lo sia? Perché nessun pensatore liberale prende le distanze? Ce ne sono ancora, dopo Bobbio? E ancora: la globalizzazione è compatibile con la democrazia? Può essere una buona ‘prassi’ per la ‘teoria’ democratica del XXI secolo? Ragionare di questo per me significa ragionare di socialismo, oggi. Altro che “balcone dell’Ottocento”.
Ma Zagato usa anche un altro argomento improprio. Una frase nientemeno di Heidegger, definita “degli anni Trenta”, in cui si dice che “ormai solo un dio ci può salvare”. Certe volte si ha l’impressione che, con riferimento alla sinistra italiana, neanche un dio possa ormai tanto. In effetti la frase è del 1967, tratta da un’intervista che Heidegger impose fosse pubblicata solo dopo la sua morte, quindi si tratta di un testo sostanzialmente della seconda metà degli anni ‘70.  Ma il riferimento oltre che errato è anche del tutto estrinseco, Heidegger infatti non pensava né al “mercato”, né al “consumo”, ma al ‘tramonto dell’Occidente’, al compiersi della modernità come epoca della metafisica, ecc., cose che non meritano di essere strumentalizzate a fini di polemica da “sottoscala”.
Come le parole di Napoleoni: “dobbiamo cercare ancora”. Anche qui: tanto vero quanto ovvio. Zagato invece ne trae unilaterali conseguenze: “il socialismo ha un senso se sa cercare ancora”. Perché solo il socialismo? Forse che la democrazia può oggi avere un senso senza “cercare ancora”? Quale partito, movimento, cultura, religione può mai avere senso se smette di “cercare ancora”?
Concludendo e per ulteriore chiarezza: 1) non sono interessato a nessuna corrente entro SD; 2) socialismo non può significare adesione acritica a vecchi modelli tipo il “socialismo europeo” o il PSE, ma con la scusa di questo rischio non si può neanche liquidare qualsiasi istanza critica; 3) Sd deve accentuare i suoi caratteri di forza trainante di una Costituente della sinistra finalizzata ad un nuovo partito capace di conciliare, nel XXI secolo, critica del capitalismo e promozione della democrazia.   

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 04, 2008, 07:33:06 am »

Rifondazione sull'orlo della scissione, lite sul tesseramento


Al posto di un congresso, il processo.

Ormai la corsa alla segreteria di Rifondazione comunista è segnata dallo scontro sempre più duro tra i due candidati, il governatore della Puglia Nichi Vendola e l'ex ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, con relative mozioni e linee contrapposte. L'uno contro l'altro a colpi di tessere, cioè voti, nei congressi locali appena iniziati, e di annullamenti dei risultati ottenuti. E la sentenza politica che si profila è quella di una scissione, sempre più vicina, forse persino prima del congresso nazionale in programma dal 24 al 27 luglio a Chianciano.

Almeno questa è la situazione a giovedì 3 luglio, giorno in cui Nichi Vendola, primo firmatario della mozione due che raccoglie la linea bertinottiana di apertura a una sinistra più diffusa, ha convocato una conferenza stampa in solitaria per contestare l'annullamento di un congresso. Uno dei primi, quello del circolo di Reggio Calabria-centro, i cui risultati sono stati annullati dalla commissione perché «i votanti non risultavano iscritti al partito» nel 2007.

Il problema è tutto nel tesseramento, cioè in chi ha diritto o no a decidere i delegati al congresso nazionale di Chianciano, decisi appunto nelle assise dei circoli territoriali.

A Reggio Calabria-centro il governatore della Puglia Vendola avrebbe vinto con 345 voti, contro i 2 voti ottenuti dalla mozione uno di Ferrero, Grassi e Mantovani. Ma la commissione incaricata di valutare la correttezza delle votazioni e gli aventi diritto ha invalidato il voto accogliendo un ricorso dei "perdenti" della mozione due. Per Vendona «un atto illegale, proclamato con l'interdizione a poter ripetere il congresso». E lui, con i suoi, si dice pronto a ricorrere persino ad un «atto di disobbedienza per difendere il partito. Per noi quei voti sono validi».

Il problema non è solo per quei trecento voti contesi. I vendoliani temono che possano arrivare «altre decisioni di questo genere», altri annullamenti e congressi da ripetere.

Circola così, nella conferenza stampa, la parola «scissione». «La parola scissione va bandita», risponde Vendola. «Noi - riprende poi - rappresentiamo l'ala maggioritaria del partito, a meno che qualcuno non voglia impedire questo con interventi mirati o con una censura chirurgica».

Ma un simile contrasto sulle regole fanno tremare l'intero percorso verso il congresso nazionale. Anche se anche questa ipotesi viene scacciata come un altro incubo da Vendola: «Non consentiremo - ammonisce il leader della mozione due - l'annullamento del congresso nazionale e una militarizzazione per cui l'espulsione di una parte va a vantaggio dell'altra parte». La maggioranza nel congresso nazionale, infatti, viene deciso dal risultato dei congressi dei circoli locali, che determina il numero dei delegati che spettano a ciascuna mozione.

Intanto i rappresentanti della mozione uno (Paolo Ferrero-Claudio Grassi-Ramon-Mantovani) e quelli di tutte le altre mozioni accolgono con plauso la decisione della commissione, la cui maggioranza è di area Ferrero. «La decisione è avvenuta nel pieno rispetto delle regole -afferma Ferrero- e non può diventare argomento di dibattito politico». Inoltre, secondo l'ex ministro, il congresso nazionale dovrà «decidere la linea politica del partito». Al termine del quale Ferrero propone «una gestione unitaria a tutte le altre mozioni».

Le regole stabiliscono che per il congresso hanno diritto a partecipare tutti gli iscritti che abbiano rinnovato la tessera per il 2008. Ma la mozione uno ha più volte denunciato un «tesseramento gonfiato» soprattutto in alcune specifiche realtà del Sud Italia. Anche in una lettera aperta sul giornale Liberazione si parla della questione e di circoli «nei quali il numero delle tessere è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno» e territori nei quali «il partito registra un numero di iscritti pari al 75 per cento dei voti raccolti dalla sinistra alle ultime politiche».

Si profilano, a questo proposito, altri ricorsi sulle votazioni svolte in altri circoli di Rifondazione, Bologna migranti, Pontici, Castellamare, Arezzo, che ancora devono essere discusse dalla commissione del congresso. Insomma, la situazione sul tesseramento, sulle regole, e i numeri è molto controversa.

A guardare ad esempio i siti online delle rispettive mozioni, ci sono dati contrastanti: secondo il sito della mozione uno, dopo circa un migliaio di congressi di circolo, poco meno di metà, l'area Ferrero sarebbe ancora in vantaggio con il 43,1 per cento dei voti rispetto al 42,9 della mozione due. Sul sito dell'area Vendola, invece, la situazione appare ribaltata: 44,9 per cento alla mozione due, 41,3 alla mozione uno.

Le decisioni che la commissione congressuale prenderà sui ricorsi presentati per il "tesseramento dopato" in alcuni circoli saranno quindi determinanti. Perché il congresso si faccia.

E come non bastasse, la divisione si inaprisce anche su altri fronti: Paolo Ferrero annuncia che l'8 luglio sarà in piazza Navona, assieme a Di Pietro, mentre Nichi Vendola, che invece critica l'opposizione dell'invettiva interpretata dall'Italia dei valori chiede al suo partito di riprendere la strada del confronto ad ampio raggio, per arrivare a costruire un «fronte molto largo delle opposizioni al governo delle destre». 


Pubblicato il: 03.07.08
Modificato il: 03.07.08 alle ore 21.26   
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 10, 2008, 05:23:22 pm »

di Ernesto Fedi


Congresso socialista, è l'ora del dialogo e del confronto per un grande soggetto della sinistra


L’apertura del congresso socialista di Montecatini non prometteva niente di buono per chi voleva recuperare quel partito ad un progetto che vedesse, accanto al Partito Democratico, una formazione di sinistra di governo,  larga e in grado di condizionare l’intera politica del centro-sinistra.

La corrente di maggioranza, che faceva capo a Riccardo Nencini ed era appoggiata dal grosso del gruppo dirigente, da Angius a De Michelis, da Craxi a Battilocchio, forte di circa il 75% dei voti congressuali, puntava ad un asse preferenziale con il partito di Veltroni (tanto che qualcuno parlava addirittura di confluenza) e guardava con grandissima attenzione all’UDC, per realizzare un nuovo centro-sinistra che escludesse la sinistra cosiddetta radicale.

La corrente di minoranza di Pia Locatelli, Turci, Grillini, De Bue e Mosca, intendeva lavorare per una nuova sinistra che comprendesse, come diceva Mosca,  “le parti più ragionevoli della Sinistra Arcobaleno”.

Giunti all’elezione del Segretario nella persona di Nencini, per votarlo all’unanimità, la minoranza aveva posto precise condizioni.
Innanzitutto doveva essere esplicitamente fugato ogni sospetto sull’ipotesi di confluenza nel Partito Democratico.

Niente assi preferenziali, ma il partito avrebbe dovuto guardarsi attorno a trecentosessanta gradi senza esclusioni, tantomeno a sinistra, dove si sarebbero dovuti stabilire rapporti di particolare attenzione con quanti si collocano “nella grande famiglia del socialismo europeo ed internazionale”.
Alla presidenza sarebbe dovuta  andare la Locatelli,  anziché Angius.

Queste condizioni sono state accettate in toto, al punto da far dire a molti che politicamente il congresso è stato vinto, o comunque fortemente condizionato dalla minoranza.

Il documento conclusivo recita, infatti, che il partito  non può chiudersi in sé stesso, deve parlare con tutti, confrontandosi in primo luogo con le forze della sinistra non massimalista.

E conclude che occorre “costruire una sinistra di governo che oggi non c’è e che non è riconducibile alla politica del Partito Democratico, per le sue ambiguità e la sua incerta collocazione internazionale. Così come abbiamo affermato la nostra autonomia nelle ultime elezioni, la riaffermiamo oggi come condizione dell’essere del nostro nuovo partito”.

Sul piano dei contenuti , è sempre scritto nel documento conclusivo, si guarda “al mondo del lavoro, dell’istruzione, della ricerca, della cultura, della nuova società multiculturale” e si intende “dare rappresentanza agli interessi sociali più deboli in una politica di sviluppo e modernizzazione della società”.

Senza dubbio, il partito nel sul complesso, è uscito dal congresso su una posizione diversa da quella iniziale. Passi avanti, rispetto soprattutto alla gestione di Boselli e di Villetti, sono stati fatti ed è doveroso prenderne atto,  anche se con cautela e senza farsi troppe illusioni.

Molte sono le differenze che  rimangono marcate. La convergenza resta difficile  su importanti e qualificanti punti strategici e programmatici.
Ma sembra che il nuovo corso socialista si sia reso conto che, con meno dell’1%,  si fa poca strada. De resto, autorevoli esponenti della Costituente socialista, che non hanno di proposito partecipato al Congresso, come Formica e Macaluso,  lo sostengono da sempre.

Il primo auspica un socialismo largo. Il secondo sostiene che “non è pensabile e non è serio che forze politiche con  uno, due, o tre punti percentuali o poco più, si definiscano socialiste. Un partito socialista in tutto il mondo è tale se ha consensi larghi di popolo”.

Rimane, pertanto, all’ordine del giorno,  anche per il nuovo partito socialista,  l’esigenza di ricomporre il quadro politico su basi nuove. Rimane centrale la necessità di realizzare una grande sinistra di governo , indispensabile per il rilancio di un rinnovato centro-sinistra.

Per di più, sia l’attuale legge elettorale, sia quella di risulta dal referendum, sia altre eventuali avranno alte soglie di sbarramento, che costringeranno a nuove fusioni o a nuove aggregazioni.

Ed è lecito domandarsi  con chi ricercherà rapporti preferenziali ed eventualmente con chi si aggregherà il nuovo partito socialista.  Sceglierà il centro di Casini o di Veltroni, o guarderà a sinistra?
Molto dipenderà da noi . Dal progetto e dall’iniziativa che sapremo mettere in campo e dai rapporti che sapremo stabilire.

Il dialogo ed il confronto, dunque, vanno tenuti aperti e vanno incoraggiati, in  particolare con quanti si muovono nella nostra stesso direzione,  che non sono poi così pochi. E soprattutto con il mondo della cultura socialista, indispensabile al rinnovamento della sinistra italiana. Con quegli intellettuali che non si chiudono in recinti identitari,  ma guardano ad orizzonti più ampi ed intendono dare il loro contributo alla formazione di una forte sinistra di governo. Tutto  ciò nella consapevolezza che non sarà possibile rilanciare un centro- sinistra rinnovato, forte e capace di  battere questo centro-destra, senza la formazione di un grande soggetto politico,  che rappresenti la sinistra di governo ed in larghissima misura sia fortemente ancorato ai valori del socialismo.

Questo vale per tutto il popolo socialista, oggi un po’ disperso ovunque. Ma vale soprattutto per quanti  pur appartenendo al campo valoriale della sinistra e del socialismo, hanno finito per cadere nell’imbroglio del voto utile ed hanno dato la loro adesione ad un Partito Democratico,  dal quale non si sentono certo rappresentati.

Un’ultima considerazione sulla comune appartenenza,  nostra e del partito socialista,  al PSE e sul modo di intenderla.
Oggi per tutti è ineludibile la domanda: che cosa significa essere socialisti nel XXI secolo? Certo non è sufficiente rifugiarsi passivamente e acriticamente nel PSE. Non bastano le etichette per essere autenticamente socialisti.

Per di più il socialismo europeo, per tornare a vincere, ha oggi bisogno di una profonda opera di ristrutturazione ed aggiornamento.  Ed il PSE, così com’è, mostra non pochi limiti. Non è un partito  sovranazionale con una sua visione unitaria dell’Europa e del mondo globalizzato. Spesso sembra contenere il tutto e il contrario di tutto.  E’ la somma di tanti partiti nazionali non poche volte in contrasto tra di loro, anche su temi cruciali e su argomenti fondanti per una nuova società.

Certo il socialismo in Europa ha saputo creare le migliori condizioni di vita dell’intero pianeta. Ralph Darhendorf  ha definito quella socialista, con la creazione dello Stato sociale, la più grande rivoluzione dai tempi di Cristo ad oggi.
Ma la società è cambiata. I problemi che siamo chiamati a fronteggiare e a risolvere impongono un rinnovamento profondo e tale da portarci oltre tutte le esperienze storicizzate nel Novecento.

E’ necessario trovare una risposta univoca al modello di sviluppo ipercapitalistico che governa attualmente la globalizzazione, caratterizzata da profonde ingiustizie sociali e da uno sviluppo non sostenibile.
A questo proposito  è indispensabile il confronto, il dialogo la contaminazione con altre culture, come quella ambientalista, femminista, pacifista, che hanno un’ origine ed una storia diversa dal Socialismo.

E’ indispensabile una approfondita opera di riflessione e di ricerca partendo dal presupposto che nessuno è depositario di una verità totale ed assoluta.
Il PSE è l’unico cantiere in Europa dove ciò avviene. Altro di rilevante non c’è. Bisogna parteciparvi dinamicamente e non staticamente per dare un contributo proficuo al suo rinnovamento, per renderlo di nuovo vincente e capace di creare una società più avanzata, più libera e più giusta.

Noi ci stiamo in questo spirito. Con questi presupposti intendiamo andare al confronto con i compagni del nuovo partito socialista, nell’auspicio che sappiano fare altrettanto.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #34 inserito:: Luglio 12, 2008, 11:42:01 pm »

L'approvazione del Lodo Alfano è solo un passo dei tanti gravi compiuti in solo 2 mesi

Siamo, ormai, in una democrazia autoritaria di massa


di Cesare Salvi*


L’approvazione da parte della Camera del cosiddetto Lodo Alfano è un atto politicamente e istituzionalmente grave. Molte argomentazioni critiche sono state svolte da autorevoli giuristi,  e non é quindi necessario tornarci. Se la legge sarà approvata dal Senato, come tutto lascia prevedere, il Presidente della Repubblica non potrà che promulgarla, come fece del resto il suo predecessore Ciampi per il lodo Schifani.

Il Capo dello Stato può infatti rinviare una legge solo se “manifestamente” incostituzionale, e in questo caso l’avverbio non può applicarsi, perché la precedente sentenza della Corte non si era pronunciata sull’esigenza o meno di una normativa costituzionale.

Ma al di là delle critiche giuridiche e di merito, il punto che va sottolineato è che questo cosiddetto lodo si inserisce in una visione complessiva delle istituzioni democratiche che il governo Berlusconi sta seguendo dall’inizio della legislatura e che va contestata in radice.
La tesi è che la democrazia si esaurisce  nell’investitura popolare del capo del Governo, e che una volta che questa si è avuta nessun ostacolo deve essere frapposto all’attuazione di quanto deciso dall’eletto dal popolo. L’argomento per il quale la giustizia va bloccata quando intende agire nei confronti del capo del governo, perché altrimenti gli si impedirebbe  di dedicare  tutto il suo tempo e le sue energie  ai compiti affidatigli dal popolo, fa il paio con il metodo e il merito adottati in tutti gli altri campi di intervento  fin qui avviati dal governo Berlusconi.

Il metodo: il ricorso al decreto legge e la fiducia su maxiemendamenti non sono purtroppo una novità, ma non era mai accaduto che in pochi giorni si costringesse il parlamento  a votare praticamente senza dibattito la manovra economica  e provvedimenti come quelli  sulla sicurezza e l’immigrazione, sui rifiuti, su Alitalia, che contengono una miriade di disposizioni di grande peso e incidenza, spesso del tutto estranee al titolo del provvedimento. Ma anche qui si dice: Berlusconi è stato eletto dal popolo, deve poter attuare al più presto le sue decisioni; al punto che si esalta come prova di efficienza il fatto che in pochi minuti il Consiglio dei Ministri abbia approvato la complessa manovra economica predisposta da Tremonti.

Quanto al merito, e al di là del pesante giudizio negativo sulle singole decisioni, si deve constatare l’assoluta noncuranza che viene frapposta a obiezioni legate ai vincoli giuridici  che pure in uno stato di diritto circoscrivono anche (e soprattutto) l’azione del governo: dalle norme costituzionali a quelle dell’Unione europea, a trattati internazionali come la convenzione sui diritti dell’uomo. Pochi hanno notato che una misura certamente grave e comunque al centro dell’attenzione pubblica, come il prelievo delle impronte dei Rom, non è avvenuta né per legge né per decreto, ma con il ricorso a un’ordinanza di emergenza per la protezione civile emanata dal ministro dell’interno: si è usato cioè uno strumento giuridico previsto per tutt’altri fini e che non è passato al vaglio né del Parlamento e nemmeno dello stesso Consiglio dei Ministri.

Se è vero che è ambiguo parlare di dittatura o di regime, è certo però che si profila quella che si potrebbe chiamare una democrazia autoritaria di massa: l’idea cioè che una persona, purché eletta dal popolo e confortata dai sondaggi, possa e debba decidere tutto ciò che vuole.
Come si vede, il problema non è l’antiberlusconismo viscerale, ma un inquietante degrado della qualità della democrazia e dello stesso stato di diritto, che va fermamente contrastato e sul quale occorre pretendere chiarezza prima di qualunque dialogo sulle riforme.

Purtroppo lo stravolgimento della democrazia parlamentare in democrazia dei leaders ha radici in un degrado della cultura politica che ha toccato, e non marginalmente, anche il centro sinistra. A maggior ragione, una sinistra moderna e rinnovata deve sapere porre al centro, accanto alle questioni sociali, quelle delle libertà e del rispetto dello stato di diritto.

*del Consiglio Nazionale di Sd

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #35 inserito:: Luglio 13, 2008, 04:48:34 pm »

Cuba, addio uguaglianza: guadagni quanto produci


«Socialismo significa giustizia sociale ed eguaglianza, ma eguaglianza dei diritti e delle opportunità e non dei salari». Raul Castro, dopo aver dato la possibilità ai cubani di possedere telefonini e computer, rompendo così la lunga lista dei divieti per i cittadini dell’isola, ora rivede uno dei pilastri su cui si è retta l’economia di Cuba: l’uguaglianza dei salari. Ora anche a l’Avana si guadagnerà in base alla produttività.

Castro, che ha preso il posto del fratello malato, Fidel, quando parla di lavoro pensa soprattutto alla terra: l'isola – ha spiegato – deve «invertire definitivamente la tendenza al decrescere dell'area della terra coltivata», che tra il 1998 e il 2007 è diminuita del 33 per cento.

Anche qui, nessun limite alla proprietà: Raul si rivolge a «chiunque produca con efficienza, indipendentemente da fatto che sia una grande impresa, una cooperativa o un campesino individuale: tutte queste – ha sottolineato – sono forme di proprietà e produzione che possono coesistere armonicamente, perché nessuna è antagonista al socialismo».

Pubblicato il: 12.07.08
Modificato il: 12.07.08 alle ore 18.10   
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« Risposta #36 inserito:: Luglio 20, 2008, 08:23:23 am »

POLITICA

Dopo la sconfitta elettorale, la "Cosa rossa" cerca una strada

Ferrero frena. Tra gli ambientalisti duello tra Boato e Francescato

Comunisti e Verdi a congresso

Diliberto chiama Rifondazione

 

ROMA - Ripartono, dopo il tracollo elettorale che li ha portati fuori dal Parlamento. Cercando di trovare una strada per ripartire dopo la fallimentare esperienza della Sinistra Arcobaleno. Verdi e Comunisti italiani a congresso. I primi a Chianciano, i secondi a Salsomaggiore. In attesa del prossimo fine settimana quando ci sarà il congresso di Rifondazione Comunista. Ed è proprio a Rifondazione che guarda Oliviero Diliberto quando, dal palco, lancia la proposta di una unificazione di tutti i comunisti. Mentre in casa verde va in scena lo scontro tra Grazia Francescato e Marco Boato.

Comunisti: "Tutti uniti". Oliviero Diliberto apre il congresso del Pdci confermando l'impegno per l'unificazione di tutti i comunisti italiani sotto lo stesso simbolo. Una strada non facile. E lo si capisce dalla replica di Paolo Ferrero, candidato alla segreteria del Prc: "No alle fusioni a freddo". Diliberto attacca il Pd accusando i democratici di aver provocato "la catastrofe del centrosinistra e la vittoria duratura di una destra pericolosa", rimproverando a Veltroni di essere "troppo simile proprio al Pdl e di aver distrutto i valori di riferimento storici della sinistra e di aver imitato il partito di Berlusconi nella politica estera nel modello economico". Molti gli applausi degli oltre 600 delegati. D'altronde Diliberto ha raccolto un consenso dell'82% contro il 12% dell'ex ministro Katia Bellillo, rimasta da sola a difendere le ragioni dell'esperienza dell'Arcobaleno. Diliberto ha letto i messaggi di auguri di alcuni Paesi amici come il Vietnam, Cuba, la Cina, la Siria e il Venezuela. Il congresso del Pdci si concluderà domenica. Scontata la vittoria dell'attuale segretario che, però, potrebbe lasciare in futuro l'incarico.

Verdi: scontro Boato-Francescato. Si profila uno scontro tra Grazia Francescato e Marco Boato per la guida dei Verdi al congresso che si è aperto oggi a Chianciano. Il leader uscente, Alfonso Pecoraro Scanio, per oggi non si fa vedere. Arriverà domani con la Francescato che si conferma in pole position per portare il partito fino a dopo le europee del prossimo anno.

Questa sera, però, in una riunione dei delegati delle mozioni che non fanno capo a quella della Francescato, con molta probabilità verrà sancita la candidatura di Boato in alternativa a quella della maggioranza. Tramontata la candidatura, della quale si era parlato nei giorni scorsi, della europarlamentare Monica Frassoni.

(18 luglio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #37 inserito:: Luglio 20, 2008, 09:30:09 am »

POLITICA

Grazia Francescato eletta portavoce. Boato voleva il rinnovamento

Al congresso arriva l'ex n.1 Pecoraro Scanio, qualche fischio

Verdi, è l'ora di Francescato

Pdci, Bellillo contro Diliberto

Scontata l'elezione del leader uscente: "Comunisti uniamoci"

Ma l'ex ministro lancia l'associazione "Per la sinistra unita"

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Prendere tempo. Con tre scadenze decisive: vedere che fine fa Rifondazione, riformismo o falce e martello (indicazioni importanti arriveranno già dal congresso del prossimo fine settimana); capire con quali regole - quale sbarramento e quante circoscrizioni - si andrà a votare per le Europee nella prossima primavera; l'esito stesso delle Europee che mettono in palio simboli, esistenze e, anche, rimborsi e finanziamenti.

Prendere tempo, dunque. E' questo il senso dei due congressi in corso, i Verdi a Chianciano Terme e i Comunisti italiani a Salsomaggiore. L'esito delle due assemblee dice molto anche se definisce ancora poco.

Grazia Francescato, presidente ponte. Con trecento voti su 507 delegati, Grazia Francescato è stata eletta nuovo presidente dei Verdi. Prende il posto, dopo un regno durato sette anni, di Alfonso Pecoraro Scanio che si era dimesso dopo il disastro del voto di aprile. La votazione a scrutinio segreto ha chiuso nei fatti un congresso pieno di tensioni, attese e che doveva regolare conti in sospeso. La storica leader verde era la candidata del presidente uscente, che si è presentato a Chianciano solo dopo un giorno e mezzo di lavoro tra fischi e applausi. Nella sua mozione raccoglie l'anima più radicale del partito, da Paolo Cento a Loredana de Petris, da Gianfranco Bettin a Angelo Bonelli (molto fischiato). Quello di Francescato è un mandato di continuità con la vecchia presidenza e anche un mandato ponte, fino alle Europee. Per vedere cosa succede a sinistra dopo le macerie del voto di aprile.

"Vi garantisco la massima autonomia e quando si dovrà parlare del tema delle alleanze non coinvolgerò solo il coordinamento ma chiederò a ogni delegato di esprimersi" ha detto la nuova portavoce. Un intervento che vuole unire, non certo dividere. "Decideremo insieme - ha aggiunto - maggioranza e minoranza, perchè non abbiamo bisogno di unanimismo, ma di unità e dobbiamo ritrovare insieme la passione per quella bandiera che ci ha visti uniti".

Boato chiedeva il rinnovamento. Parole destinate soprattutto alle minoranze del congresso, prima quattro poi rimaste in due. L'ex deputato trentino Marco Boato, che alle fine ha avuto un buon successo personale con 111 voti, resta convinto della necessità di un rinnovamento totale e immediato per ricominciare a trovare una nuova identità. E magari cercare nuovamente il dialogo con l'ala riformista degli ambientalisti già approdati nel Pd con Ermete Realacci. Boato ha criticato la gestione del partito di questi ultimi anni e ha elencato gli errori: "Il passaggio dalla trasversalità a uno schiacciamento da sinistra antagonista che ci ha fatti percepire come un partito del 'no'; avere abbandonato la nostra posizione verso un progressivo assorbimento nella Cosa rossa; avere accettato la suicida separazione consensuale con il Pd; aver trasformato i Verdi in un mini-partito federalista, cosa che ha alimentato comportamenti cortigiani". Ma i temi dell'ambiente sono al centro dell'agenda politica mondiale" e da qui è la ripartenza. 63 voti sono andati alla mozione di Fabio Roggiolani, il delegato verde della Toscana.

I fischi a Pecoraro e Bonelli, la difesa della Francescato. "Sarà guerra dei Roses" era stato detto alla viglia del congresso. E' andata così. Ed è difficile immaginare che i Verdi possano ritrovare l'unità dopo questo congresso. L'ex capogruppo alla Camera Angelo Bonelli è stato fischiato quando la Francescato lo ha proposto come coordinatore dell'ufficio politico. "Era solo una proposta" ha precisato poi Francescato. Così come l'ex presidente, giunto al Palamontepaschi mentre veniva eletta la sua candidata:"Le minoranze fischiano, sono 40 su 500, non me ne importa nulla" ha detto Pecoraro. Con l'elezione di Francescato, l'ex ministro - indagato alla vigilia per reati contro la pubblica amministrazione - ha ancora il partito in mano. Il nuovo presidente, nell'intervento prima di essere eletta, aveva difeso col cuore l'ex ministro dell'ambiente. "Alfonso Pecoraro Scanio - ha detto a una sala rumoreggiante - sta pagando per gli errori fatti ma chiunque sia amico e non cortigiano, e io sono sempre stata amica mai cortigiana, lo avrebbe criticato quando era al potere e non avrebbe aspettato che fosse a terra per sputargli addosso".
 
Katia Bellillo (Pdci) ha fondato l'associazione "Per la sinistra unita"

Diliberto sbanca, ma Bellillo si dissocia. Il professore-segretario dei Comunisti italiani, dopo un proficuo viaggio in Sudmerica, tra Cuba e Venezuela, ha un sogno che è una scommessa e una sfida: riunire tutti i i comunisti sotto la falce e il martello. Lo sta dicendo in modo chiaro all'assemblea dei circa 600 delegati riuniti al congresso di Salsomaggiore terme. Guarda a Rifondazione ("i compagni di Rc siano coraggiosi" ha rincarato Manuela Palermi) a cui chiede di chiudere con la stagione della scissione. Ma anche a Sinistra critica e Marco Ferrando, la diaspora di Rifondazione partito di lotta e di governo ma ora non più.

Diliberto ha con sè l'88 per cento dei delegati. La sua sembra una rielezione scontata. Ma non pensava di "perdere" per strada la pasionaria ex ministro della Pari Opportunità nel primo governo Prodi Katia Bellillo (12% dei consensi). La quale dice semplicemente che è l'ora di farla finita con la sindrome dei comunisti uniti. "Uscire dalla sindrome dell'identità comunista e accettare invece la sfida di dare al nostro paese una forza di sinistra in grado di incidere" ha detto nel suo intervento. Bellillo ha fondato una associazione. L'ha chiamata "per la sinistra unita". Guarda a Nichi Vendola e a quella parte di Rifondazione aperta alla Costituente per l'unità delle sinistre. Una sinistra di governo che capisce quando è il caso di lasciar perdere la lotta.

(19 luglio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #38 inserito:: Luglio 20, 2008, 05:57:50 pm »

Verdi e Pdci, la sinistra non smette di litigare


Nonostante l'uscita dal Parlamento, nonostante la richiesta continua di unità, la sinistra continua a litigare e a dividersi. Due tristi esempi vengono dai congressi (termali) in corso: quello dei Verdi e quello del Pdci.

A Chianciano il dopo Pecoraro Scanio si tramuta in baruffa. Momenti di fibrillazione quando, presentando la mozione di maggioranza, Angelo Bonelli ufficializza la candidatura di Grazia Francescato e la platea di oltre 400 delegati esplode in un lungo applauso, qualche fischio e molti "buu". Lei, seduta in prima fila, si commuove, poi Bonelli scende dal palco e va ad abbracciarla, come molti altri delegati. Quindi, Francescato assicura: «Le lacrime? Non sono per i fischi, quando stai in politica sai che può succedere. Comunque finirà - aggiunge - l'importante è restare uniti».

Ma il viso della candidata tradisce un po' di nervosismo e forse delusione, dietro gli occhi azzurri e brillanti di lacrime.

Troppo duri quei fischi arrivati dalla platea a sottolineare il dissenso per le affermazioni di Bonelli, che ha presentato la Francescato come una donna «che in vent'anni avrebbe potuto occupare qualsiasi poltrona, e non l'ha fatto». La XV, infatti, è stata la prima e unica legislatura per Grazia Francescato, ma parte della platea urla: "Cambiamento!, a casa!".

Non sono mancati altri momenti di tensione durante l'intervento dal palco, peraltro molto applaudito, dell'ex capogruppo alla Camera. Tra i passaggi più contestati, quello in cui Bonelli ha denunciato come le pale eoliche danneggino il paesaggio della Sila calabrese. Molte le proteste, urla e anche insulti. Tra le altre, quella di Gianfranco Sciarra, tra i fondatori del partito, che lascia la sala spiegando furioso: «Qui si riparla del ritorno al nucleare e mi si dice che il vero verde è chi si batte contro l'eolico in Calabria? Ma siamo fuori dal mondo?».

Non va molto meglio a Salsomaggiore (Parma). Dopo che Diliberto venerdì ha chiesto a Rifondazione di tornare assieme e di scordarsi la scissione, critiche al segretario sono arrivate da Marco Rizzo. Il Pdci è fuori dal Parlamento ma è presente ancora in molte giunte locali. Il segretario Oliviero Diliberto ha detto che le alleanze locali si valuteranno «caso per caso», gli risponde l'europarlamentare, che interviene al congresso per lanciare la proposta di rompere con il Pd in alcuni «luoghi simbolo» come Napoli e Bologna. «Non so - dice Rizzo - se a Pistoia o a Castellammare bisogna uscire o entrare nelle giunte, ma a Napoli e a Bologna, dopo quello che hanno fatto Bassolino e Cofferati, bisogna dire parole chiare».


Pubblicato il: 19.07.08
Modificato il: 19.07.08 alle ore 18.17   
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« Risposta #39 inserito:: Luglio 21, 2008, 02:51:47 pm »

Pdci: conferma per Diliberto e centralismo


Il Comitato centrale, riunitosi a seguito della conclusione del congresso nazionale del Pdci, ha rieletto segretario del partito Oliviero Diliberto.
Confermate anche le cariche del presidente, Antonino Cuffaro, e del tesoriere Roberto Soffritti. I componenti della minoranza guidata da Katia Bellillo hanno deciso di non entrare nel Comitato centrale, per protestare, spiega Luca Robotti, uno dei promotori della seconda mozione congressuale, contro il «mancato rispetto del pluralismo».

Nel Pdci sarà severamente vietato formare correnti e fare propaganda o assumere atteggiamenti contrari alle decisioni degli organismi ufficiali del partito. È questa la novità del quinto congresso del Pdci. Ieri sera i delegati, in seduta segreta, hanno confermato la validità della norma statutaria sul centralismo democratico.

Nel suo intervento conclusivo, Oliviero Diliberto ha sottolineato che questa regola dovrà essere «assolutamente rispettata da tutti», pena sanzioni severe. Lo stesso segretario del Pdci ha ammesso che negli ultimi anni questo principio del comunismo non era di fatto più rispettato. «Fino a quando sarò segretario del partito intendo - ha sottolineato - far rispettare questa regola, anche perchè non potremo andare all'incontro con il Prc in ordine sparso. In questo dobbiamo essere tetragoni e ricordare che la nostra cultura è quella marxista e leninista».

Un altro giro di vite è stato annunciato da Diliberto sul tesseramento: «I militanti che non verseranno la quota annuale verranno "damble" espulsi dal partito. Nel Pci questo era un dato acquisito, ma evidentemente anche nel nostro partito - ha concluso Diliberto - è entrata la degenerazione».

Belillo: no al centralismo democratico «Il centralismo democratico riesumato da Diliberto tradisce solo la sua vocazione autoritaria e non ha nulla a che vedere con le grandi discussioni che si tenevano all'interno del Pci». Così Katia Bellillo, leader della minoranza interna del Pdci, commenta con i giornalisti il discorso conclusivo del segretario del partito. «Il centralismo democratico - ha sottolineato Bellillo che è stata per lungo tempo militante nel Pci - deve essere attuato correttamente. Questo non è stato fatto da Diliberto che non garantisce il diritto di tutti a esprimersi liberamente nel partito». L'ex ministro ha criticato la decisione del congresso di eleggere un comitato centrale di 520 componenti: «Questo conferma la linea autoritaria di Diliberto perchè in un organismo così pletorico per la minoranza esprimersi diventa una farsa, anzi una tragedia».

Diliberto rinnova inviti a Prc «Caro Vendola, a che cosa ci serve farci la guerra tra noi quando il nemico di classe sta governando il Paese?». Nel discorso conclusivo del quinto congresso del Pdci, Oliviero Diliberto, si è rivolto al possibile futuro leader del Prc per chiedergli di perorare la causa dell'unità dei comunisti. A corredo delle sue ragioni Diliberto ha ricordato che nel 2009 si terranno le elezioni Europee. Ha ribadito l'invito a presentare liste comuni con il Prc ed ha aggiunto: «Si tratta di un test fondamentale dopo le elezioni politiche. Sarebbe sciagurato se ci presentassimo alle Europee con due liste contrapposte, anche perchè sarebbe inevitabile scivolare nelle polemiche e nella competizione politica».

Diliberto ha ribadito l'intenzione di dar vita in autunno «ad una grande manifestazione per difendere i salari contro un Berlusconi che farà pagare la crisi mostruosa in arrivo alle classi più deboli». Secondo il leader del Pdci queste ultime sono state completamente abbandonate dagli altri partiti politici: «Finora abbiamo visto dal Pd e dall'Idv un'opposizione sacrosanta solo sui temi della giustizia».

Verdi a Francescato, polemiche su Pecoraro Non tira aria migliore a Chianciano al congresso dei Verdi. Dopo l'elezione di sabato di Grazia Francescato a segretario, polemiche sulla ricomparsa di Pecoraro Scanio. La sua comparsa sul palco del congresso dopo l'elezione della Francescato è stata «una indegna sceneggiata che mi ha impedito di salire sul palco a farle i miei auguri», dice Marco Boato, concorrente della Francescato. «Faccio i miei auguri a Grazia Francescato - dice Boato - di cui sono amico da trent'anni e con la quale collaborerò lealmente come ho sempre fatto anche in passato. Resta profondo e ancor più accentuato il mio dissenso politico sull'operazione che ha portato alla sua vittoria congressuale purtroppo all'insegna del continuismo con il gruppo dirigente che ha portato i Verdi alla catastrofe elettorale dell'aprile scorso».

«Se qualcuno avesse avuto qualche dubbio - attacca - su questa matrice continuista credo che lo abbia brutalmente fugato la sceneggiata disgustosa che si è verificata all'atto della proclamazione del voto con la comparsa improvvisa in sala e sul palco di Alfonso Pecoraro che in un colpo solo è riuscito a delegittimare l'autonomia politica di Grazia Francescato e imporre mediaticamente la sua paternità sulla operazione elettorale che ha portato all'elezione di Grazia». «Anche quest'ultimo atto - conclude - è il segno di un modo "padronale" di concepire i Verdi e di un protagonismo narcisista che purtroppo aveva già portato i Verdi alla disfatta».

Nel suo discorso da neo segretario Grazia Francescato ha attaccato: «Sono a vostra disposizione e in questo anno darò tutta me stessa, ci metterò tutta la mia passione, la mia forza ma anche la mia durezza». «Perchè - aggiunge - con alcune persone bisogna essere duri e se qualcuno ha approfittato dell'aria allegra per farsi i fatti suoi, sappia che ora l'aria è seria». «Servono - aggiunge - rigore e schiena dritta. Qua i furbetti del partitino hanno chiuso».

La Francescato ha detto di voler tenere un filo diretto con tutti e a questo dedicherà un giorno alla settimana. Ha invitato tutti a esprimere le diverse opinioni e a confrontarsi «perchè il confronto non può esserci solo qui e ritornare fuori tra un anno». E si è detta pronta anche a contrasti. «Perchè - ha avvertito - il conflitto quando è espresso va bene, sennò ci si divide in clan».


Pubblicato il: 20.07.08
Modificato il: 20.07.08 alle ore 17.02   
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« Risposta #40 inserito:: Luglio 23, 2008, 10:50:19 pm »

Paolo Ferrero: «La Costituente è chiusa ora ricostruiamo il partito»

Luca Sebastiani


«Non è un problema di analisi logica. È un problema politico». Paolo Ferrero, firmatario della mozione 1 al Congresso di Rifondazione che si apre domani, ha le idee chiare sul futuro della Sinistra. E del Prc. Per questo preferisce non addentrarsi nelle distinzioni grammaticali che Nichi Vendola, firmatario della mozione 2, ha utilizzato per tentare di aprire ad una parte dei sostenitori della mozione dell´ex ministro della Solidarietà sociale. «Per me - dice Ferrero - costituente e processo costituente sono esattamente la stessa cosa». Invece la priorità è «il rilancio del partito», ergo «la costituente è chiusa». Più chiaro di così. Indubbiamente le posizioni tra le due mozioni arrivate in testa al voto degli iscritti restano ancora lontane e domani, molto probabilmente, a Chianciano la platea dei delegati sarà divisa in due. I sostenitori del governatore della Puglia (che ha raccolto il 47,3% dei voti) da una parte e quelli dell´ex ministro (40,3%) dall´altra.

Ferrero, Nichi Vendola ha detto che vuole incontrare i rappresentanti delle altre quattro mozioni per ricostruire l´unità di Rifondazione. Lo ha già visto?
«Non ancora, molto probabilmente lo vedrò domani (ndr oggi)».

Però sembra che Vendola abbia dialogato con Claudio Grassi, firmatario della sua mozione...
«Non voglio trasformare il congresso in una specie di telenovela. Preferisco attenermi alle notizie ufficiali. E vedo che Claudio ha respinto al mittente le aperture. La nostra mozione resta compatta».

Cosa pensa di questa sorta di «bilaterali» lanciati dalla mozione della maggioranza relativa?
«Noi pensiamo che la sede più opportuna per il confronto sia la Commissione politica del congresso. Crediamo che sia un luogo più trasparente, per il semplice fatto che vi siedono tutte le mozioni».

In molti hanno evocato un congresso della doppia platea, con voi da una parte e vendoliani dall´altra... «Indubbiamente è stato un congresso molto combattuto, ma spero si riescano a trovare degli elementi di ascolto reciproco. Del resto anche durante le discussioni nei circoli, qui e là, questi elementi si sono trovati».

Quindi esclude lo spettro della scissione?
«Nessuno ne ha mai parlato, quindi credo che non si possa prendere in considerazione».

Quali sono i margini di ricomposizione?
«Questi si verificheranno nella commissione politica dove noi proporremo una gestione unitaria, di tutte le mozioni, e cercheremo una convergenza sui nostri punti prioritari».

E il segretario?
«Quello viene dopo, prima dobbiamo definire una linea politica».

Quali sono i punti qualificanti della vostra mozione?
«Per prima cosa ripartire da Rifondazione, la costituente è chiusa».

Andrete alle europee insieme ai Comunisti italiani come ha chiesto Diliberto?
«Credo che dovremmo andare alle elezioni col nostro simbolo, non credo sia il caso in questo contesto andare col Pdci. Dobbiamo rifondare il partito attraverso la ricostruzione della sua utilità sociale. E per mettere il sociale al centro abbiamo bisogno della nostra autonomia. Anche dal Pd che ha scelto la strada sbagliata. Per uscire dalla crisi bisogna scavare in basso a sinistra, il contrario d quello che fanno i democratici».

Che vuol dire scavare in basso?
«Ricostruire il conflitto tra il basso e l´alto perché l´alternativa è tra il conflitto di classe e la lotta tra poveri».

Cioè?
«Nella crisi della globalizzazione la destra rischia di essere egemone proponendo la guerra tra i poveri, cioè gestendo le paure dei cittadini e mettendoli gli uni contro gli altri. Una volta è colpa dei cinesi, un´altra dell´immigrato, un´altra ancora dello zingaro».

E come si fa opposizione?
«Appunto, ricostruendo il conflitto tra chi sta in basso e chi sta in alto. Non solo sui luoghi di lavoro, ma in un senso molto più ampio. Per chiedere gli asili, le scuole, etc. Solo così usciremo dalla crisi che ci ha travolto dopo l´esperienza del Governo Prodi».

Un'esperienza fallimentare?
«Sui punti fondamentali per i quali la gente ci aveva votato, non siamo riusciti a dare risposte concrete. Chi non arrivava a fine mese nel 2006 continua a non arrivarci ora. Chi era precario lo è restato. Tra le altre cose non abbiamo risolto il conflitto d´interessi. È anche questa mancanza che ci ha travolto».

Pubblicato il: 23.07.08
Modificato il: 23.07.08 alle ore 15.02   
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« Risposta #41 inserito:: Luglio 24, 2008, 06:55:27 pm »

Vendola: no a un «partitino» giustizialista di duri e puri

Andrea Carugati


Presidente Vendola, che giudizio dà della discussione in Rifondazione di questi mesi? Non crede sia stato un dibattito lontano dalla vita reale, anche dei vostri elettori?
«C’è stata una nevrotica separazione dalla realtà, un avvitamento in una contesa intestina che talvolta ha superato i limiti della ragionevolezza. Però c’è anche un altro elemento: 40mila persone che, sfidando la calura, hanno discusso appassionatamente nei circoli anche dopo il trauma di aprile. È un segno di vitalità, una forte domanda di buona politica a cui purtroppo noi gruppi dirigenti rispondiamo in modo fragile perché siamo parte del problema, parte di una crisi ideale e culturale della sinistra».

È possibile che al congresso di Chianciano il Prc esca da tutto questo?
«Sarà possibile se il congresso sarà un pezzo del processo per rifondare Rifondazione, per rimettere in piedi una comunità: un cantiere per lenire le ferite del partito e fare tutti un passo avanti. Ma per farlo bisogna che ci liberiamo da sindromi come l’idea che ci sia qualcuno che vuole sfasciare il partito. Io sono l’ultimo rimasto del gruppo che ha fondato il Prc e per me è stato molto doloroso essere indicato come il suo dissolutore. Si è manipolata la mia mozione per attribuirle disegni che non c’erano: un’esplosione dei risentimenti e veleni, anche da parte di compagni che ho sempre considerato fratelli. Ma ormai questo è alle nostre spalle».

La sua mozione ha vinto ma non ha la maggioranza assoluta. L’ipotesi che il Prc vada alle europee con il suo simbolo può essere un modo per allargare la sua maggioranza, magari al gruppo di Grassi?
«In Europa Rifondazione ha dato vita alla Sinistra europea e ci sta con il suo simbolo: è un processo contrario a una trincea identitaria. Ci sono ancora in gioco variabili importanti, come la legge elettorale e lo sbarramento: ma io credo che il Prc debba proseguire in questo percorso con il suo simbolo. Non è un arretramento».

C’è però il tema del processo costituente a sinistra da lei proposto. I suoi avversari dicono che, con il 47%, il suo progetto è stato bocciato.
«La politica dice che abbiamo la maggioranza relativa: questo ci chiede di sentire la responsabilità di offrire a tutti un percorso che consenta la salvezza della nostra comunità, che ha vissuto un rischio di dissoluzione, e consenta a una parte più larga del partito di riconoscersi in un governo unitario».

Anche con Ferrero?
«Non si tratta di smussare dissensi strategici che ci sono. Sento una grande distanza culturale con Paolo Ferrero, perché avverto in lui il retaggio del minoritarismo di vecchie culture che invocavano l’apologia del sociale, di ciò che sta in basso, persino flirtando con il giustizialismo e l’antipolitica. Non sono solo sensibilità personali, ma differenze strategiche. Con altri compagni le differenze sono più attenuate. Il punto è: lavoriamo a un piccolo partito di duri e puri o per un Prc come pilastro di una sinistra di popolo?».


Gli incontri con le altre mozioni che lei ha proposto in questi giorni hanno dato risultati?
«Ci hanno aiutato a portare la discussione fuori dal livello delle contumelie. Abbiamo riportato la discussione alla politica e questo ha esorcizzato i fantasmi di scissione o di autodissoluzione. Oggi possiamo andare a Chianciano disarmati dai risentimenti, e rimetterci tutti in cammino per far fronte alla tempesta sociale che sta arrivando. Rifondazione non vuol dire restaurazione: il partito esiste se è la fabbrica di una sinistra più larga, non se è culto identitario o nostalgia».

Sarebbe disponibile a un passo indietro dalla segreteria se questo servisse per trovare una maggioranza più larga alla guida del Prc?
«Sono sempre disponibile a fare un passo avanti per il bene della mia comunità, non indietro. La mia era l’unica mozione che conteneva l’indicazione di un segretario ed è stata votata da 21mila persone: non c’era mai stata un’indicazione così larga, dunque non è una questione di persone ma di democrazia».

È disposto a farsi eleggere segretario solo dai suoi delegati?
«Il segretario è figlio dell’opzione politica su cui si costruisce il governo del partito. Non vogliamo soluzioni pasticciate, ma coraggiose e unitarie».

Come valuta l’esito dei congressi di Pdci e Verdi alla luce del processo costituente a sinistra?
«Lo dico con molto rispetto, ma mi sono parsi ancora più nevrotici del nostro, un rendiconto tutto interno ai gruppi dirigenti e molto aspro, nei Verdi, o scisso dalla realtà nel caso del Pdci. Questo ci fa capire quanto sia profonda la crisi di una sinistra alternativa, per questo il processo costituente deve ricostruire dalle radici, in un panorama di desertificazione a sinistra».

E il rapporto con il Pd?
«Dobbiamo giocare fino in fondo la nostra autonomia e la nostra divaricazione strategica dal Pd e contemporaneamente lavorare con pazienza per rendere largo e forte il fronte delle opposizioni. Il diluvio di aprile ha cancellato l’idea della separazione consensuale. Dove sarà possibile bisogna pensare ad alleanze col Pd: in Emilia Romagna e in Puglia, ad esempio, sarebbe folle immaginare una rottura. Governo e opposizione non sono totem, ma prospettive da affrontare in modo laico».

Pubblicato il: 24.07.08
Modificato il: 24.07.08 alle ore 10.24   
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« Risposta #42 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:23:06 am »

I giovani delegati: basta, torniamo per le strade

Marco Filippetti


All’ingresso delle terme di Chianciano nonostante il caldo si vedono gruppi nutriti di anziani che con l’asciugamano al collo si dirigono verso le vasche termali, vera specialità della zona. Ma oltre il grande atrio di marmo bianco stile anni sessanta si intravedono delle bandiere rosse. All’ingresso dello stabile tante persone con il cartellino al collo da delegati si muovono freneticamente per ultimare il lavori organizzativi dopo che dalla platea del Palamontepaschi ha parlato venerdì mattina il segretario uscente di Rifondazione Franco Giordano. Non sembra di essere ad un congresso di un partito. Nei giardini del centro termale una elegante signora insieme alla sua orchestra con tanto di fisarmonica fa ballare a ritmo di mazurche e valzer decine di coppie over settanta venute solo a rigenerarsi con le portentose acque di queste parti, ignare della kermesse. Ecco che arrivati al bar si capisce subito che stiamo ad un congresso di un partito di sinistra. I tavolini sono pieni di giovani delegati in pausa, e dagli altoparlanti si sentono le voci degli interventi politici dei dirigenti. I ragazzi discutono animatamente su chi diventerà segretario e chi prenderà le redini del partito da lunedì. Carmelo Usa è segretario della federazione di Udine, ha 29 ed è delegato della prima mozione quella dell’ex ministro Paolo Ferrero. Per lui nel congresso c’è stata "poca analisi politica e troppi personalismi Bisogna ritrovare le motivazioni giuste adatte ad esaudire un grande sogno". Per Carmelo la prospettiva della sinistra sta tutta nella scommessa di ritrovare la capacità di rompere gli schemi tradizionale come successe a Genova nel 2001. "Dobbiamo tornare ad un’orizzontalità politica con i movimenti e non tentare di egemonizzarli. In piu – continua Carmelo - penso che la gente sia stufa di sentire chiacchiere.

Basta con dirle le cose. Bisogna farle". Conclude Carmelo: "Se un disoccupato non ha casa non gli devi dire; lotta per tuoi diritti. Gliela devi trovare la casa." Spostandosi vicino all’ingresso del capannone incontriamo Daria Lucchesi messinese di 26 anni. Lei invece ha votato la mozione di Nichi Vendola. "Nichi – dice Daria - deve essere il segretario. Ma non perchè rappresenta tutti noi ma perche la sua linea politica è quella vincente". Alla domanda perché ci sono pochi interventi dei giovani nel congresso ci dice che invece "nei circoli c’è stata tanta partecipazione giovanile, ma qui è vero, stenta ad emergere. Però ci sono tanti giovani che negli organismi dirigenti si sono dati tanto da fare ed hanno determinato molto delle scelte del partito".

Daria dice che anche nelle istituzioni i giovani sono stati determinanti, ma che "bisogna sempre considerare le istituzione come un mezzo mai come un fine". "Insieme a Nichi ripartiamo dai territori e dalle specificità di ogni singola realtà" conclude Daria. Paolo Brini è di Modena e fa l’operaio. Ha 27 anni ed ha votato una mozione che vuole rilanciare "la lotta operaia", è la numero quattro, quella che ha sottoscritto la corrente “falce e martello”. "Sono giovane ma voglio capire che cosa deve fare questo partito da grande", dice Paolo. "Dopo la scelta di andare al governo e di abbandonare i movimenti bisogna capire che cosa vuol oggi la classe dirigente. Noi di base lo sappiamo bene. Dobbiamo tornare a radicarci tra i lavoratori, soprattutto tra i giovani lavoratori". "Il rischio – dice Paolo - è che se si continua così si può fare massimo il satellite del partito democratico". Secondo Paolo il Prc deve essere autonomo indipendente ed alternativo al Pd. Matteo Molinaro è di Udine e studia a Milano ed anche lui ha sostenuto la quarta mozione.

Per Matteo in questo congresso non si è discusso di politica ma si è cristallizzato il discorso sullo scontro personalistico trascurando le dinamiche interne e i ragionamenti collettivi. "Dalla platea piu che la politica emerge la poesia e le citazione colte, ma non è tutto così il partito. Nei circoli si è discusso e pure tanto". Continua Matteo, "bisogna ritrovare il modo di fare politica tra la gente senza ingannarla più, come fu con la scelta di andare al governo. Bisogna sperimentare un nuovo concetto di militanza politica".

Per Matteo i giovani devono avere un ruolo centrale. "Tendenzialmente le giovani generazioni nella storia sono sempre state protagoniste dello slancio in avanti delle idee di cambiamento. In questo congresso i giovani non hanno determinato niente, anzi sono stati risucchiati dalle dinamiche e dai malumori interni". Conclude Matteo, "la spinta d ribellione e di cambiamento dei giovani si è esaurita per delle scelte sbagliate della classe dirigente anche giovane". Al bar dello stabilimento con la Peroni davanti ad un “capannello” di ragazzi intorno c’è Valerio Bruni, giovane segretario del Prc di Nettuno delegato della prima mozione. Valerio ha 26 anni e sono gia dodici che milita nel partito.

Alla domanda come vede il futuro di Rifondazone, Valerio è ottimista e risponde con un brindisi al presente e al futuro dei comunisti. "Certo l’unità non è il nostro punto forte. Ma è chiaro che comunque vada una sintesi va trovata"– dice Valerio. Una forza che conta quasi 100 mila iscritti e decine di migliaia di militanti "deve essere il centro della costruzione della sinistra. Questo comunità politica aspetta solo il via da Chianciano per uscire dai circoli e riempire le strade di politica". Su come coinvolgere i giovani il delegato “ferreiano” ha una sola soluzione. Netta opposizione alle politiche neoliberiste costruendo mobilitazioni sul territorio che coinvolgano la popolazione come i No-Tav in Val di Susa o i No-Dal Molin di Vicenza.

Daniele Licheni invece è “vendoliano” e fa parte dell’esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti (l’organizzazione giovanile del Prc). Anche per Daniele la soluzione è ripartire dai territori, ma senza porre l’ideologia al centro come un feticcio. "Costruire assemblee aperte a tutti nei contesti locali sulle tematiche specifiche, senza la prerogativa di avere una tessera in tasca. Chi ci sta partecipa – dice Daniele – chiaramente con un ottica ed un indirizzo di cambiamento generale dei rapporti di produzione e della società". Le difficoltà intestine verranno superte "intorno alla figura di Nichi Vendola e a quello che rappresenta il suo percorso politico ampio e plurale". I giovani comunisti hanno contribuito notevolmente all’elaborazione del percorso politico che ha portato il partito "in simbiosi con i movimenti da Genova in poi- dice Daniele – Bisogna riprendere quel cammino sperimentando continuamente una pratica di conflitto che non sia distaccata dai bisogni reali della gente".

Pubblicato il: 26.07.08
Modificato il: 26.07.08 alle ore 9.52   
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« Risposta #43 inserito:: Luglio 27, 2008, 12:27:02 am »

L’ex leader oggi parlerà alle assise

L’amarezza di Bertinotti: «Sinistra sprofondata»

Nel mirino la linea giustizialista: la discussione ha raggiunto livelli bassissimi

 
 
CHIANCIANO—Il "suo" partito si divide e si spacca, dietro le quinte si lavora per una candidatura dell'ex ministro Ferrero contro Vendola, da ufficializzare oggi e lui gioca a fare il «delegato semplice». Difficile crederci. Tanto più dopo che Franco Giordano gli rende un appassionato e applauditissimo omaggio dal palco. Allora Fausto Bertinotti si commuove. Con gli occhi lucidi lo abbraccia e poi dice: «Ha fatto un bellissimo discorso, molto profondo ». Ma non tutti gli interventi gli hanno fatto questo effetto. Bertinotti non nasconde, parlando con i fedelissimi, di essere rimasto «impressionato » dalla «regressione non solo politica ma anche culturale » di una parte di Rifondazione.

Il «giustizialismo» abbracciato da Ferrero e i suoi lo ha lasciato di stucco perché non è nel patrimonio genetico del suo partito. Già, quel giustizialismo che Giordano dal palco ha criticato, ricordando a chi nel Prc lo agita, che Di Pietro ha «votato insieme alla destra contro la commissione sui fatti del G8 di Genova». Bertinotti ai compagni di partito spiega la sua delusione. Certe volte la discussione «ha raggiunto livelli bassissimi», sospira amareggiato l'ex presidente della Camera. Lui parlerà oggi («dieci minuti come un semplice delegato»)e volerà alto, come dicono i suoi. Il che non gli impedirà di ripetere, seppure con parole meno nette, quel che va spiegando in questi giorni agli amici. E cioè che «la sinistra ha raggiunto il punto più basso della sua storia».

E che «per non farla sprofondare ancora più in basso bisogna andare avanti con il processo costituente». Insomma, bisogna ricostruire la sinistra e non chiudersi nel guscio di Rifondazione. Ma il Bertinotti che fa il «delegato semplice » in realtà continua a essere ascoltato. E a interessarsi alle vicissitudini interne del suo partito. Non è un caso quindi che Ferrero incontrandolo gli parli all' orecchio per capire che cosa pensa della situazione e che lo abbracci affettuosamente anche se stanno su barricate opposte. E' vero che l'altro ieri sera, alla riunione della maggioranza che ha candidato Vendola, l'ex presidente della Camera, come un delegato di primo pelo, non ha parlato. Ma i suoi consigli, riservatamente, li ha dati (sono stati anche già seguiti).

E ha spiegato che a suo avviso l'ex cossuttiano Claudio Grassi non abbandonerà Ferrero. Anzi, secondo lui il gioco di Grassi nasconde un'insidia: «Cercare di trovare un' intesa politica tra la loro mozione e la nostra per poi proporre che però Nichi faccia un passo indietro». E mettere un altro, sempre della maggioranza, al posto suo. E a quel punto sarebbe molto difficile dire di no, perché non ci sarebbe più la scusa delle differenze politiche per rompere e si sarebbe costretti ad accettare quella proposta. Ma secondo Bertinotti non si deve svendere la linea politica e «non si può e non si deve rinunciare a Nichi ». Perché, Vendola, può essere in grado di portare avanti il processo di ricostruzione della sinistra. E quel che avviene in serata sembra dare ragione all’ex presidente della Camera.

Infatti Grassi fa sapere che le differenze politiche tra la sua componente e quella di Vendola non sono insormontabili e che perciò si può lavorare «a una ricucitura ». E precisa che nel caso di un’intesa non si può negare alla maggioranza il segretario. Senza però aggiungere che quel segretario è Nichi Vendola. Per evitare trappole e per seguire i consigli di Fausto Bertinotti la maggioranza decide perciò di disertare la commissione politica, ovvero il luogo del possibile compromesso che potrebbe far saltare Vendola. Ma se oggi l’ex ministro Ferrero si candida i giochi possono cambiare per l’ennesima volta. Chissà in questo caso quali saranno i consigli che dispenserà il «delegato semplice».

Maria Teresa Meli
26 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #44 inserito:: Luglio 27, 2008, 11:08:20 pm »

Il Prc sceglie la "linea dura" Ferrero è il nuovo segretario

Vendola: la nostra battaglia va avanti

Marco Filippetti


Paolo Ferrero è il nuovo segretario di Rifondazione Comunista: 142 dei 280 delegati del Comitato Politico Nazionale lo hanno eletto, per un soffio sopra il 50 per cento dei voti. Quando sul aplco di Chianciano è avvenuta la proclamazione, Nichi Vendola, lo sconfitto del congresso, era già ripartito per la Puglia. Non ha sentito, perciò, le prime parole del nuovo leader che apriva la segreteria ad una «gestione unitaria» per ricucire la frattura interna, che è stata troppo forte. Vendola non c'era, ma già nel pomeriggio di questa infuocata giornata a Chianciano aveva messo in guardia: «Escludo qualsiasi livello di compromissione nella gestione politica del partito». Insomma non se ne va dal Prc, ma non ci sta nemmeno a subire l'esito di questo congresso che ha spaccato Rifondazione.

Il partito ha scelto  - con 342 voti contro 304 - la mozione 1. Il momento più atteso della giornata è stata proprio la presentazione del documento politico elaborato nella notte dalla commissione politica congressuale. In quel testo, infatti, c’è la linea politica che il partito dovrà tentare di perseguire nei prossimi anni. Giovanni Russo Spena dal palco comincia a leggere il documento che sancisce la vittoria delle mozioni di minoranza: «Il congresso considera chiusa e superata la fase caratterizzata dalla collaborazione organica con il Pd nella fallimentare esperienza di governo dell’Unione, della Sinistra Arcobaleno, e della sbagliata gestione maggioritaria del partito». Queste prime righe sembrano il “manifesto” della Rifondazione che verrà. O, come dirà Vendola più tardi, la «fine» del partito stesso. Basta alleanze con il Pd, dice Russo Spena «dobbiamo essere veramente alternativi al “veltronismo” e alle destre». Il secondo punto è un abiura dell’esperienza dell’Arcobaleno che vuol dire in altre parole un brusco stop al progetto di Nichi Vendola della “costituente della sinistra”. Il terzo punto è la messa al muro della gestione uscita dallo scorso congresso, quello di Venezia, che sanciva la svolta “governista” del partito allora diretto da Fausto Bertinotti. Insomma, nel giro di tre giorni si rinnega tutto quello che è stato fino all’altroieri. E a guidare la “rivoluzione” è Paolo Ferrero, ministro fino a quattro mesi fa nel governo Prodi e difensore della linea vincente a Venezia.

Il documento segna la «svolta a sinistra del Prc» e ribadisce con più forza «la critica alle politiche neo liberiste». Rispetto alla linea Bertinotti, egemone da quattro annia questa parte, si dà spazio all’alleanza con «la sinistra anticapitalista e comunista fuori dal partito» e si tenta il recupero «dell’importanza storica delle esperienze storiche comuniste». I “vendoliani”, dal canto loro, in linea con la svolta segnata da Bertinotti qualche anno fa, hanno sempre sostenuto di non ritornare alle «formule novecentesche» e di «aprirsi alla società civile» perché «il comunismo deve essere una tendenza culturale di una sinistra più ampia».

Unico trait d’union tra le due principali mozioni che si sono sfidate a congresso, la volontà di «ricominciare dall’esperienza di Genova e della commistione con i movimenti sociali, tentando di apprestarli sostanzialmente e non solo formalmente».

Subito dopo Russo Spena, che presentava il documento votato da tutte le mozioni di minoranza che però insieme arrivano solo al 52%, è la volta di Gennaro Migliore. L’ex capogruppo del Prc alla Camera presenta un documento alternativo elaborato interamente dalla seconda mozione, che da sola ha raccolto il 47% dei voti. Migliore esordisce dicendo con voce tuonante che «è la prima volta nella storia della democrazia che una maggioranza relativa in un’organizzazione viene messa in minoranza dalle altre minoranze coalizzate». Per Migliore il congresso «è stato un accordo contro Nichi Vendola, e non una proposta di un progetto alternativo. Le quattro mozioni di minoranza non hanno percorsi comuni – ricorda – anzi sono spesso contrastanti».

Nel momento delle dichiarazioni di voto sale sul palco il grande “sconfitto” , Nichi Vendola che inizia il suo intervento riconoscendo la sconfitta e denunciando «il clima pesante tra le mozioni, spesso con malignità personali». È sconfitto, ammette, ma non se ne va: «I compagni della mozione 2 – rilancia Vendola dal palco – non intendono abbandonare per un attimo, per un millimetro Rifondazione comunista. Staremo qua a costruire – prosegue - la nostra battaglia». Vendola dice chiaramente che ora inizia la sfida «per capovolgere una linea che non ha il fiato necessario per rifondare il partito nel campo largo delle sinistre». «Per anni – analizza Vendola – Rifondazione è stata guidata da una diarchia, non è mai stato un partito acquietato e ha vissuto in modo sempre febbricitante la propria ricerca di rifondazione, ma non è mai stato un guazzabuglio di mozioni di minoranza, un fardello di reazioni di pancia». Questa volta, invece, è andata così: «Una mozione di minoranza - afferma il governatore pugliese - ha cercato in altre mozioni un'aggregazione informe, che porta alla guida del partito una maggioranza precaria, che ha come collante un'ambiguità e un equilibrismo semantico». Per Vendola, quindi, non c’è tempo da perdere: «Lancio un appello – annuncia - per una campagna di iscrizioni per arrivare a capovolgere la linea di maggioranza, e quanto prima faremo una manifestazione. Dalla sconfitta – conclude – noi ripartiamo convinti che c'è in essa un seme per il futuro».


Pubblicato il: 27.07.08
Modificato il: 27.07.08 alle ore 20.40   
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