LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Gennaio 18, 2008, 05:29:56 pm



Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2008, 05:29:56 pm
Nel nome di Galileo

Fabio Mussi


Io non sono un credente. Non appartengo alla Chiesa cattolica. E non capisco perché Papa Benedetto XVI non possa oggi qui pronunziare di persona il discorso che ha inviato scritto a questa cerimonia della Sapienza di Roma. È già pubblico, qualcuno lo ha già letto, altri lo ascoltano qui: è un testo che merita di essere ascoltato, e discusso. Io parlo dell’Università, non d’altro. L’Università è laica: cioè libera, tollerante, aperta. Se c’è un luogo in cui la regola è la parola, la parola di tutti, questa è la Universitas.

Non esistono, nell’Università territori inaccessibili alla critica. Quello che dice un Papa può ben essere criticato. Ma non è un attentato al principio di laicità il fatto che il Papa possa prendere la parola in questa sede. Un intervento, e non la lectio magistralis a nome dell’Ateneo. E da ministro della Repubblica, che ha difeso con intransigenza il carattere laico delle Istituzioni pubbliche sotto la sua responsabilità, confermo il mio rammarico, grande, sincero, per il fatto che si siano create le condizioni che lo hanno spinto a rinunciare. (...)

Io parlo di Università, del suo supremo statuto di libertà. Della sua autonomia, che la preserva da vincoli ideologici e confessionali. Dei contrasti intellettuali che la rendono viva, e del piacere del dialogo e del confronto che accende la didattica e la ricerca. In una agorà che non tollera steccati e dogane. (...)

Il mondo contiene tutti i saperi, tutte le filosofie,tutte le concezioni religiose, tutte le idee. È la libera circolazione delle idee che fa evolvere la mente. La terra gira effettivamente intorno al sole, ha avuto ragione Galileo, dunque ha vinto il pensiero critico che poggia su “sensate esperienze”, non su un principio esterno di autorità. Proprio per questo bisogna spalancare le porte al confronto. In anni lontani, in un’epoca di contrapposizioni certo non meno dure di quelle attuali, un matematico, professore di questa Università, Lucio Lombardo Radice, scriveva: «il pluralismo come dialogo tra diversi, come confronto delle idee, come collaborazione dialettica nella reciproca libertà, si impone come principio informatore essenziale di ogni educazione, di ogni scuola che meriti questo nome. Le preclusioni e le incompatibilità, i “ghetti” per cattolici e acattolici, sono davvero revenants, spettri che tornano dal trapassato remoto».

La Sapienza ha voluto quest’anno dedicare l’inaugurazione del suo anno accademico alla moratoria della pena di morte, votata dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Un evento che ha visto protagonista l’Italia e il Governo italiano. Non sarà facile passare dalla proposta d moratoria alla moratoria effettiva, alla cancellazione della pena di morte. È un lungo cammino. Il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte è stato il Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Si respirava l’aria dell’Illuminismo alla vigilia della Rivoluzione francese. È nota poi, una «Dialettica dell’Illuminismo»,studiata in particolare da uno dei miei maestri, Th. W. Adorno: le nuove forme di dominio e alienazione determinatesi nell’era della tecnica e della società di massa. Ma questa dialettica non può essere scagliata contro l’illuminismo da cui scaturiscono nuovi valori, principi democratici e diritti della persona. Quel valore della tolleranza che è uno dei pilastri della nostra civiltà.

L’Illuminismo raccoglieva la lezione della “scienza nuova”, di quello straordinario XVII secolo in cui si era andata accumulando una enorme quantità di conoscenze del mondo naturale e che aveva fatto annunciare a Sir Francis Bacon la nascita di una scienza «a beneficio di tutti, non di qualcuno».

Da allora sono stati fatti passi giganteschi. Ci saranno sempre domande sull’uomo alle quali la scienza non sarà in grado di rispondere, anzi, che non rientrano nei suoi compiti. Ma la scienza ha guardato dentro se stessa, ha scavato nella sua propria logica e nei suoi metodi. Essa è fondata non perché scopre “la verità”, ma perché le sue teorie sono falsificabili. Perché esisterà sempre, ad ogni livello di complessità, una proposizione “indecidibile” - ecco la grande idea di Kurt Godel - , di cui non si potrà mai dire né che sia vera né che sia falsa. Un sistema è coerente, dunque incompleto, è completo, dunque incoerente. C’è un motore democratico che muove il pensiero scientifico. Naturalmente, le tecnologie che si applicano all’economia e alla società possono essere appropriate o inappropriate, inefficiente o efficienti, amichevoli o minacciose. Qui intervengono le scelte politiche ed etiche. Basti ricordare, il tumulto, i drammi di coscienza degli scienziati che lavorano al «Manhattan Project», la bomba atomica. (...)

Quello che è sicuro è che i grandi problemi attuali dell’umanità non avranno soluzione senza uno straordinario sviluppo del sapere e delle conoscenze scientifiche. Della libertà della scienza. Presto sulla Terra saremo nove miliardi, con una inedita concentrazione in alcune zone del Pianeta e nelle città, con una vita media più lunga. E dovremo nell’arco di poche generazioni affrontare problemi inediti, della salute, delle comunicazioni, dell’energia, dei cambiamenti climatici, della scarsità di risorse vitali come l’acqua. In un mondo sempre più globalizzato e connesso.

C’è la via del dominio, della forza del conflitto di civiltà, della guerra. E c’è la via della cooperazione, della solidarietà, della pace. Della humanitas una. Questa seconda via ha bisogno di una diffusione mai conosciuta prima di valori umani, di conoscenze, di scienza. Di un nuovo inventario di beni comuni dell’umanità: primo, il sapere.

L’Università, le istituzioni della ricerca scientifica, hanno dunque un valore immenso. Il nostro Paese deve recuperare ritardi gravi, a cominciare dalle risorse che vi destiniamo.

Quest’anno in finanziaria ci sono più risorse dell’anno scorso. Meno di come la finanziaria era partita: il taglio in extremis alla “tabella C”, per finanziare una cascatella di emendamenti parlamentari minori e l’accordo con i camionisti, ha portato le risorse aggiuntive da 550 a 460 milioni di euro. Tutto il mondo corre. Gli Atenei sono 17.000, il finanziamento globale degli investimenti in formazione superiore e ricerca è passato in pochi anni da 300 a 1000 miliardi di dollari. Corrono velocissime America del Nord ed Asia. Grandi Paesi come la Cina e l’India tornano ad occupare posizioni di primato intellettuale che già hanno avuto in passato. L’Europa è più lenta. Il nostro Paese lentissimo.

Occorre accelerare il passo, e proseguire nelle riforme, volte ad aprire l’Università ai giovani, a fortificare l’autonomia (è pronto il progetto sulla nuova governance), elevare la qualità alzando la capacità di valutare i risultati (l’Anvur, Agenzia di valutazione dell’Università e della Ricerca sarà operativa a metà 2008), premiare il merito. Il merito è l’unico metro con cui si misura il valore di persone e istituzioni, nel nostro campo.

Ho visto volantini che me lo rimproverano. Ma quelli che pensano che invocare il merito significa apologia della diseguaglianza, sono teorici dell’ignoranza, e dimenticano da quali tasche vengono le risorse pubbliche sulle quali si reggono didattica e ricerca: prima di tutto le tasche dei lavoratori italiani. L’Università è preziosa. Dobbiamo averne cura, tutti insieme.



Stralci del discorso tenuto ieri dal ministro dell’Università e della Ricerca alla Sapienza di Roma

Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 8.25   
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Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).
Inserito da: Admin - Aprile 18, 2008, 05:59:49 pm
Sinistra, che fare?

Giuseppe Tamburrano


Che fare? Così titolava il famoso opuscolo di Lenin. Già: che fare? Vorrei proporre alcune riflessioni sul risultato più clamoroso e inaspettato di queste elezioni: la (quasi) scomparsa della sinistra. E mi chiedo, preliminarmente: è l’effetto del superamento nella moderna società della dicotomia destra-sinistra, come molti sostengono, o è il «tradimento» della sinistra politica che non ha saputo interpretare i bisogni e le aspirazioni di un’area sociale - e culturale - che c’è, che è rimasta orfana e si è dispersa nel non voto, nel voto per partiti estranei di centro e di destra?

La sinistra sociale e culturale c’è, c’è stata e con molte articolazioni, divisioni, errori era - nella prima repubblica - attorno al 40% (socialisti, comunisti e «sinistra diffusa»). Non può essere scomparsa.

È mutata perché cambiata è la società, ma c’è. Ci sono le vecchie e nuove povertà, i bisogni sociali, le aspirazioni ideali. La società moderna è divisa, diversamente divisa rispetto a ieri, ma divisa: e la dialettica che è la forza del cambiamento e del progresso non si è esaurita: la storia non è finita. E per tanti aspetti nuova perché è il portato, appunto, del processo e del progresso. Prima conclusione: la sinistra c’è ma si è quasi dissolto il soggetto politico che la incarna e la rappresenta.

La controprova empirica è che in Europa c’è la destra e c’è la sinistra. E la sinistra è socialista: anche se lo è più di nome che di fatto e deve aprire gli occhi sui problemi del mondo e rinnovarsi.

Oggi in Italia ci sono fondamentalmente due “poli” ma uno, quello diretto da Berlusconi, paradossalmente è alleato con un partito, la Lega, che si reclama rappresentante di vaste categorie operaie, e ospita una intellighenzia che civetta con concetti di sinistra (Tremonti); e l’altro, quello diretto da Veltroni, che, con un altro paradosso, pur avendo le sue radici nella sinistra storica, ha fatto ogni sforzo per non apparire (e non essere?) di sinistra rifiutando persino e recisamente la parola, l’etichetta “sinistra” per disputare all’altro polo la rappresentanza di interessi e di ceti moderati ed occupare un’area di centro.

Insomma vi è una sinistra storica che rifiuta di esserlo tout court, che non si riconosce nemmeno nella sinistra moderata che è il socialismo europeo, e vi è una sinistra politica che ha preteso di esserlo in modo radicale ma è svanita perché ha doppiamente “tradito” la sua area di riferimento partecipando ad un governo che ha praticato una politica impopolare e non rinnovando il suo “antagonismo” in un progetto di socialismo moderno.

Che fare? È possibile rimettere le cose al loro posto? E rivolgo la domanda prima di tutto a Veltroni. Il quale ha tentato di realizzare in Italia l’operazione riuscita a Blair in Inghilterra. Il leader laburista, senza cambiare nome al partito, ha adottato il liberismo della signora Thatcher: molti elettori conservatori stanchi e delusi di un lungo e ormai inefficiente governo conservatore (erano finiti i tempi ruggenti della signora!) hanno sposato il liberismo del giovane e brillante Tony.

In Italia - questo è stato l’handicap di Veltroni - il governo che ha deluso non è stato diretto dall’avversario Berlusconi, ma dall’amico Prodi. E Veltroni non ha potuto scrollarsi di dosso l’impopolarità di quel governo. E il suo disegno non ha avuto successo. Se ha imparato la lezione il leader del Partito democratico deve guardare dalla sua parte, deve guardare a sinistra, a quel progetto tante volte annunciato e mai neanche avviato di costruire anche in Italia un grande partito socialista di tipo europeo e se possibile più avanzato e moderno di quello europeo.

Sarà un processo lungo - ma abbiamo lunghi anni di governo Berlusconi - che forse vedrà la scissione di Calearo e di Colaninno (e speriamo non di tutta l’ex Margherita), ma è l’unica via per un leader che voglia costruire il futuro e “rassembler” la sinistra: come ha fatto Mitterrand il quale ha invertito il corso e la crisi della screditata socialdemocrazia francese; come ha fatto Nenni che, nel 1956, ha capovolto la sua politica frontista e ha restituito al Psi la sua identità democratica.

Ma un compito importante spetta alla residua sinistra radicale. Bertinotti ha lasciato la carica, ma non ha perso la “carica”. Coinvolgendo il Partito socialista occorre avviare un profondo processo costituente, una Epinay o un congresso di Venezia (Psi 1957) ma non per rilanciare l’Arcobaleno: lo lasci perdere perché non ha annunciato bel tempo, ma è stato foriero dell’uragano. La «via maestra, l’immortale» (ho citato Lenin, cito anche Turati), il quadro di riferimento è il socialismo.

Quella sinistra può rinascere dalle sue ceneri a condizione che 1) a provarci non siano solo quelli che in cenere l’hanno ridotta: e perciò Bertinotti deve cercare nuove facce; 2) si parta dalle idee, dalla ricerca di una nuova identità del progetto socialista, e si cerchi di propagare questo processo al Pd, incalzando Veltroni.

E concludo con l’ultimo paradosso. Il modello del capitalismo globalizzato è in crisi; si accentua il malessere sociale nelle aree metropolitane colpite dalla recessione e si aggravano le già drammatiche condizioni dei Paesi poveri colpiti anche da una crisi alimentare di enormi proporzioni. Ormai il ricorso alla mano pubblica è chiesto e praticato dall’establishment. È il momento della sinistra: la quale invece cerca il “centro”, difende il mercato o si gingilla con un “antagonismo” fraseologico mentre operai, lavoratori precari o a reddito insufficiente, pensionati, famiglie povere, giovani in cerca di avvenire, cittadini tartassati da tasse o rifiuti se ne vanno verso la Lega o la sfiducia.

Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.44   
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Titolo: Due compiti all'indomani della nostra Caporetto. Capire e ripartire.
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2008, 12:17:54 pm
Ripartire è possibile

Due compiti all'indomani della nostra Caporetto. Capire e ripartire.



Proviamo dal primo: capire le cause senza cadere nella facile logica delle colpe e delle recriminazioni.

Non solo non siamo stati nuovi, ma non é il concetto di nuovo che determina la qualità di un progetto politico, ma soprattutto non siamo stati convincenti, non siamo stati alternativi. Era evidente, ed ecco la responsabilità degli organismi dirigenti, che la sinistra arcobaleno fosse una creatura artificiale, costruita in fretta e furia per non soccombere alle logiche di questa improvvida legge elettorale.
Troppo visibile la discrepanza tra il messaggio politico lanciato (ricambio classe dirigente, questione morale, abbattimento costi politici) e la logica molto partitica che ha caratterizzato sia la scelta di alcuni candidati sia e soprattutto la gestione piatta e rassegnata con la quale si é impostata la campagna elettorale.

Fausto Bertinotti in questa campagna ha fatto il possibile per promuovere il soggetto unitario e per convincere sulla necessità impellente della sinistra ad unirsi ed a proporsi come soggetto politico moderno e plurale.

Ma per la gente, si per la gente, per gli elettori, per il popolo, hanno prevalso l'assuefazione al personalismo della politica e la logica elementare ma efficace del voto utile. Ergo Bertinotti non era spendibile né per la prima né per la seconda.


Ripartire: come, con quale progetto politico, con chi.

A mio avviso o si prosegue, allargandolo,  con il progetto unitario o spariamo del tutto. Chi non ci sta si accomodi nella falce e martello. Punto.
Come: intanto superare il metodo classico verticale della rappresentanza politica (classe dirigente-elettorato) e inaugurare un movimento orizzontale che sia in  grado di capire e  rappresentare la società nella sua interezza, non solo la classe operaia, non solo nelle fabbriche, caro il mio Diliberto, ma anche nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca, nelle attività produttive.

Su questa base allora ridiscutere dei contenuti, del rapporto tra lavoro, rendita, profitto, di laicità e beni comuni, di ambiente e partecipazione.

Cogliere pero´anche i disagi di chi paga molte tasse e ma non ne vede il beneficio diretto sui servizi di cui fruisce, capire, e fare proprio ribaltando la dinamica pericolo-immigrazione, il problema della sicurezza, specie al nord.

Cogliere e fare nostri gli aspetti positivi del federalismo, inteso come diretta amministrazione della cosa pubblica.

Non solo abbiamo perso rappresentanza del mondo operaio, come drammaticamente dimostrano i dati di Sesto San Giovanni, dove la Lega ha rimontato incredibilmente solo a scapito nostro, ma bisogna che ci rendiamo conto che noi scontiamo il silenzio sui ceti medi.

Non abbiamo capito che anche la raffigurazione sociale classica del cittadino piccolo borghese come lo si chiamava un tempo é drasticamente cambiata.
Anche lui non arriva a fine mese ed ha problemi enormi a pagare il mutuo. Anche lui vive con disagio e frustrazione le anomalie di questo sistema capitalistico frutto di una globalizzazione mal governata.

I suoi figli, nostri compagni di scuola e di università non sanno dove sbattere la testa perché non hanno uno sbocco nel mondo del lavoro e pagano il prezzo di una preparazione scolastica ed universitaria non competitiva. Il precariato é un male che non ha classe sociale.

Rivediamo anche la posizione vetusta sul veto al numero chiuso; dobbiamo proporre un sistema che sia in grado di permettere ai più meritevoli di proseguire il percorso formativo che deve essere all'avanguardia garantendo allo stesso tempo la possibilità di percorsi alternativi.

E` necessario poi che si oltrepassino i comodi confini entro i quali si muove la comunicazione politica attuale (televisione con i vari Vespa) per fare spazio alla comunicazione orizzontale, andare incontro alla cultura digitale (reti,  bloggers,  comunità virtuale), ovvero a quella che Baumann definirebbe la comunità liquida. Che oggi si auto rappresenta in maniera spontanea e che é numericamente molto elevata. Pensiamo ai milioni di persone che condividono informazioni, musica, video e che instaurano tra loro una sorta di solidarietà interna, di condivisione orizzontale che trascende e d oltrepassa ogni differenziazione sociale.

Non lasciamo questo popolo attento ed informato solo a Grillo.
La questione morale, uno dei punti cardini della nostra  identità politica, deve riflettersi e rappresentarsi attraverso la pubblicità e la chiarezza che solo questi mezzi di comunicazione, come detto orizzontali, possono garantire. Ogni nostra mossa, ogni nostro messaggio deve essere chiaro, veloce ed accessibile.

Infine, il ricambio generazionale. Dall'osservatorio privilegiato che é l'Europa, l'Italia é un paese gerontocratico con troppi politici poltronipeti.
Allora non basta mischiare le carte, occorre giocare con un nuovo mazzo.

Questo week end si inizieranno a definire alcuni aspetti importanti.

Rifondazione e PDCI hanno convocato i loro direttivi, da cui usciranno lacrime e sangue, ma almeno dopo si saprà cosa e chi vorrà continuare il percorso unitario. 

E sabato a Firenze, dove l'associazione x una sinistraunitaeplurale ha indetto un'assemblea alla quale, insieme ad alcuni eurodeputati (a proposito, l'unica istituzione che vede rappresentanti della sinistra Arcobaleno é il Parlamento europeo, cosa sulla quale invito a ragionare) parteciperò e spero sia occasione di riflessione e di confronto per impostare questa nuova partenza. Spero saremo in molti.
 

da sinistra-democratica.it


Titolo: Abbiamo commesso errori ma dobbiamo guardare avanti
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2008, 12:19:31 pm
Abbiamo commesso errori ma dobbiamo guardare avanti


Guardiamo lo studio dei flussi elettorali di Carlo Buttaroni, della società Gpf e del professor Paolo Natale, dell'Università di Milano: un milione e mezzo di persone che nel 2006 avevano scelto PRC, PdCI e Verdi questa volta ha scelto il “voto utile” e votato per il PD. Sono certamente voti contro Berlusconi Un'altra parte di elettori della sinistra che non ha votato PD si è divisa tra l'Arcobaleno e l'astensione. Entrambi gli studi fissano attorno al 20% la quota degli ex elettori della sinistra che non hanno votato. C'è un altro dato particolarmente significativo:2,5 milioni di elettori che nel 2006 avevano votato alla Camera dei Deputati per l'Ulivo questa volta non sono tornati a votare. Sono divisi, più o meno, in parti uguali tra elettori dei DS e della Margheritra. Il fatto che il PD abbia incassato 100 mila voti in più rispetto al 2006 è dato dal fatto – sostiene Buttaroni – che 1,5 milioni di astensionisti di due anni fa sono tornati alle urne e hanno scelto Veltroni.

Dunque gli astensionisti hanno fatto la differenza anche in questa occasione determinando la vittoria di Berlusconi e della sua coalizione.

Ci sono stati poi spostamenti di voti  in misura minore dall'arcobaleno verso la Lega, soprattutto nel Nord, e verso IDV, ad esempio nelle Marche.  Piccoli spostamenti, invece, si  registrano nella coalizione di Centro destra.

Queste tendenze nazionali sono le stesse  che emergono nelle Marche. L'Arcobaleno perde più del 10% dei voti (alla Camera conquista il 3,02% – 29,603 voti e al Senato 27.882 voti pari al 3,09%) che oltre ad una quota di astensionismo si riversano sul PD e anche su l'IdV. Il PD migliora le sua forza elettorale superando il 41% in tutte e due le schede e tocca come coalizione il 46% dei voti. Ma non sono tutti quelli che perde la sinistra. Ciò vuol dire che come sul piano nazionale non porta a casa tutti i voti dell'Ulivo del 2006. E questo voto è più o meno omogeneo a livello territoriale e sociale, nelle Marche e in Italia.

A destra il movimento dei flussi elettorali è, invece, marginale. Forza Italia cede piccole quote alla Lega a Nord e AN alla destra di Storace. Sostanzialmente l'elettorato di destra e assai stabile e fedele.

Da questi dati marchigiani e nazionali emerge chiaramente  la grande instabilità dell'elettorato di centro sinistra.  La  straordinaria  mobilità di voti da una forza all'altra dello schieramento,  le notevoli percentuali di astensionisti di sinistra del 2006 e del 2008, che peraltro mutano da una consultazione all'altra,  spiegano più di tante parole  il vero motivo politico della grave sconfitta della Sinistra segnata il 13 e 14 aprile; I soggetti della sinistra sono ( e questo vale anche per il PD) da troppo tempo ormai non più partiti politici (forse alcuni non lo sono mai stati) ma movimenti di opinione senza radici nella società reale. Il loro legame con i cittadini appare  del tutto superficiale e provvisorio. Anche il linguaggio, le forme organizzative e di lavoro, non sono certo in sintonia con una società cambiata e in movimento. Nella campagna elettorale siamo apparsi con poche idee e poco credibili nella possibilità di ottenere trasformazioni a vantaggio dei ceti che abbiamo detto di voler rappresentare. Io credo che anche la scelta di manifestarci come una forza condannata di nuovo ad un ruolo di opposizione non ha giovato. Nell'Italia del 2000 la sinistra deve concorrere al governo del Paese: dev'essere questa la nostra vocazione non quella minoritaria e di testimonianza che una parte della coalizione ha manifestato nel corso della campagna elettorale e subito dopo. 

Hanno pesato, poi,  fortemente in senso negativo i metodi che sono stati usati nella formazione delle liste, tagliando fuori in maniera drastica non solo la base elettorale ma perfino i gruppi dirigenti territoriali.

Infine, ha giocato negativamente anche la scelta dei candidati, in molti casi inadatti a guidare la campagna elettorale. Invece di volti nuovi, rappresentativi e credibili delle reali esigenze delle categorie sociali che più soffrono nella società, dei giovani, delle donne, del la scuola. ecc..., abbiamo spesso presentato in troppe parti d'Italia la rappresentanza di un ceto politico sotto tiro mediatico in questa fase come non mai.

E' vero, il “voto utile” e la critica al governo Prodi ha inciso sulla sconfitta della Sinistra ma non dobbiamo illuderci che sia stato soprattutto per questo. Ora bisogna indagare più a fondo per scovare il male che affligge la Sinistra in Italia.  Dobbiamo però ripartire prima possibile (la perdita di tempo può essere letale) , facendo tesoro degli errori commessi, per rilanciare quel progetto alla base della nascita stessa del nostro  Movimento. La Sinistra l'Arcobaleno ha subito una sconfitta ma non dobbiamo pensare che ha perso la guerra. Non si può tornare indietro: dobbiamo rilanciare la costruzione del nuovo partito della sinistra unitario, plurale, di governo, d'ispirazione socialista, partendo dalle posizioni
che abbiamo nei tanti livelli istituzionali.

*Coordinatore SD delle Marche.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Una Sinistra unitaria e plurale resta la strada
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2008, 04:47:16 pm
Una Sinistra unitaria e plurale resta la strada


Sarà un pezzo più lungo di quelli che scrivo di solito, me ne scuso. Ma il momento è serio. Il Popolo delle libertà e la Lega stravincono le elezioni,  il Pd resta inchiodato a oltre nove punti di distanza , Berlusconi torna al governo, la Sinistra Arcobaleno subisce una sconfitta storica  e per la prima volta non entra in Parlamento. Siamo stati penalizzati dall’appello ossessivo al voto utile ( tanti elettori di sinistra hanno votato Pd illudendosi  di poter  battere Berlusconi ma il loro voto non è servito) e dall’astensione di un’altra parte delusa dall’operato del Governo Prodi appoggiato anche dalle forze di sinistra.

Questi due elementi però non spiegano una sconfitta tanto bruciante maturata nell’ultimo anno, e che deriva dai nostri enormi e persino incredibili errori.
 
Non abbiamo convinto gli elettori che avevano votato a sinistra nel 2006, non abbiamo conquistato nuove forze. La Sinistra Arcobaleno in versione lista elettorale finisce qui.

Quando nacque il Pd dicemmo che era un terremoto politico, che nulla sarebbe più stato come prima.  Che nessuna delle forze della sinistra  poteva da sola rispondere al vuoto che si creava a sinistra del Pd: che era necessaria e urgente una sinistra unitaria e plurale, un nuovo soggetto politico. Ma tra il nostro dire e il nostro fare c’è stato di mezzo il mare. Abbiamo sprecato un anno .

Nonostante gli Stati Generali in dicembre , dove tutti i dirigenti della sinistra politica si erano dichiarati pronti a promuovere e a farsi “travolgere” da una costituente della Sinistra , capace di risvegliare la partecipazione alla politica, pochi giorni dopo tornavano a prevalere chiusure, piccoli egoismi e nessuna costituente è partita nei  territori. Siamo così arrivati tardi all’appuntamento delle elezioni anticipate,  solo con una lista elettorale ( la Sinistra Arcobaleno), senza una idea di sviluppo di questo paese, senza un progetto chiaro e credibile per il dopo elezioni, noncuranti di ristabilire un minimo di radicamento sociale. Abbiamo puntato tutto sul fatto che la sinistra rischiava di scomparire, che bisognava difenderne l’esistenza. Questo appello non poteva essere sufficiente perché per quanto un elettore di sinistra sia sensibile al mantenimento di una Sinistra nel suo Paese egli vuole capire come sarà, dove lo porta, quali politiche concrete propone per cambiare in meglio la vita delle persone, quali principi mette a base del suo progetto.  E vuole anche democrazia nelle scelte programmatiche, nella elezione dei gruppi dirigenti, nella definizione delle liste, condivisione e partecipazione.

Senza democrazia diventa asfittico qualsiasi organismo politico ( oppure diventa leaderistico e personalistico come sono il PDL e il PD). Senza partecipazione siamo stati percepiti come uno dei tanti ceti politici che cercano di salvare loro stessi, e questo, per una sinistra che aveva denunciato la crisi della politica e si era proposta di cambiarla nelle forme e nei modi è risultata una contraddizione enorme. Se ci guardiamo intorno siamo, paradossalmente, noi dirigenti della Sinistra Arcobaleno quelli che più di tutti gli altri risultano travolti dalla pesante critica che montava, spesso con analisi che io non ho condiviso, dalla cosiddetta antipolitica. E  a questo voglio aggiungere che l’aver dato una immagine  totalmente maschile è stato un  limite serissimo che denuncia una cecità profonda e mai superata.

Se sono vere anche solo una parte delle cose che ho scritto fin qui è chiarissimo che siamo di fronte ad una mole enorme di problemi da capire e da risolvere se vogliamo pensare ad una ripartenza. Per ricominciare bisogna avere chiare le ragioni di una sconfitta, rimettere mano in fretta alle pratiche politiche sbagliate che hanno condotto a quegli errori, cambiare con la democrazia ( e non con sommarie rese dei conti) coloro che dirigeranno in futuro l’eventuale progetto di rilancio. Ma bisogna anche dirsi con chiarezza e senza prese in giro qual’è la proposta politica e il progetto di paese che vogliamo rimettere in campo.  Ho scritto tante volte della Sinistra che vorrei e non potrei adesso scrivere cose diverse .

Vedo moltiplicarsi in questi giorni convulsi appelli di ogni genere ma ciò che li accomuna è un dato chiaro: la richiesta di tornare ognuno nei propri accampamenti e nei vecchi perimetri culturali. Il solito ritornello che vuole i comunisti con i comunisti, i verdi con i verdi, i socialisti con i socialisti..ripropone solo la congenita e maledetta incapacità delle varie culture della sinistra italiana a stare insieme. E’ una resa. Credo che ognuna di queste culture politiche per quanto ben organizzata non possa, da sola, andare da nessuna parte.  Temo che andrebbe solo verso il suo esaurimento. Sento anche che alcuni altri ( pochi per fortuna) propongono di trasferirci armi e bagagli nel Pd : mi pare anche questa una proposta disperata e sbagliata. Se siamo uomini e donne di sinistra come potremmo ritrovarci in un partito che , per sua stessa ammissione non è e non vuole essere un partito di Sinistra?

Tutte le ipotesi che ho elencato rinunciano alla sfida che resta intatta davanti a noi e che ci è caduta addosso quando è nato il Pd : come e chi ridarà forza ad una sinistra in italia? Come ricostruirla?

E su quali basi? Dobbiamo tenere i nervi saldamente ancorati alla ragione perché in un momento tanto grave i gesti istintivi e frettolosi possono apparire  più semplici, ma in genere  sono sostenuti da poco pensiero e rischiano di diventare altri errori che si accumulano a quelli già fatti. Io penso che resti tutto intero davanti a noi l’obiettivo di una sinistra unitaria e plurale perché ritengo maturo ( anzi oramai quasi scaduto) il tempo nel quale le culture più storiche della sinistra possano convivere insieme a quelle più recenti  e nuove ( quelle nate dall’ecologia scientifica, dal pensiero della differenza di sesso e dalla libertà femminile, dalla critica alla globalizzazione). E del resto quanti di noi interrogando la loro coscienza ( e anche la loro pratica politica quotidiana) potrebbero dirsi oggi solo e soltanto comunisti, o solo socialisti o soltanto verdi? Siamo molte culture ( ognuno di noi ne raccoglie nel suo intimo molte più di quel che ci diciamo) e insieme dobbiamo cercare di radicare nel paese una sinistra unitaria e plurale. Che non può essere la somma di tanti partitini e dei suoi gruppi dirigenti, ma un soggetto politico nuovo.

Per quel che attiene al progetto riparto anche qui da cose già dette :
“Se non si cresce non c’è nulla da ridistribuire. La crescita prima di tutto e il Pil come totem” Questo è stato il tema della campagna elettorale del PDL ma purtroppo è diventato anche il motivo dominante di quella del Pd.   La Sinistra parte da altri presupposti: è una forza politica che vede il mondo e le sue contraddizioni globali e ha il coraggio di dire al Paese cosa deve crescere e cosa invece deve decrescere. Devono crescere, ad esempio,i servizi immateriali, i trasporti di merci su ferro e per mare e i mezzi pubblici per le persone, il risparmio energetico e le energie rinnovabili, il salario e gli stipendi, la sicurezza  e il ruolo sociale del lavoro, l’agricoltura non modificata, le reti idriche, l’edilizia di manutenzione e di recupero , l’impresa sociale, i diritti. Devono diminuire le rendite, le speculazioni edilizie e finanziarie, l’uso di cemento che ci vede tra i primi Paesi nel mondo, il trasporto di merci su gomma, la dipendenza dal petrolio,  il numero di automobili, la chimica più inquinante, le spese per armamenti ( che negli ultimi dieci anni toccano il  picco). La chiave di volta è una idea di sviluppo fondata sulla riconversione ecologica di settori importanti della nostra economia. Una diversa concezione dei consumi,dei cicli produttivi e delle merci. Lanciare allarmi sui cambiamenti climatici e sui limiti delle risorse naturali non vale nulla se si rinuncia ad indirizzare lo sviluppo verso altri fini, anche attraverso indirizzi chiari e forti dello Stato in economia.
Il cambiamento del modello di sviluppo liberista è il nostro obiettivo e la riconversione ecologica dell’economia è l’insieme di riforme da mettere in campo per conseguirlo. Spesso la Sinistra non ha saputo vedere quanta giustizia sociale passi attraverso la riconversione ecologica, e ha sbagliato. Proviamo a pensare all’acqua. Di quale giustizia sociale si può mai parlare in un mondo nel quale una parte enorme di persone non ha accesso all’acqua e da qualche settimana neppure al cibo minimo? Che l’acqua resti un bene comune, un diritto, e che la gestione delle reti resti pubblica è una scelta precisa, di sinistra, redistributiva, antiliberista. Il Pil misura in modo indifferenziato la produzione di un Paese, non ci parla degli squilibri. Il Pil non misura i diritti e non li garantisce, non riequilibra le risorse, non ci parla di democrazia, non si cura della sicurezza sul lavoro, non ci dice che stiamo consumando troppo territorio agricolo, che cementifichiamo le coste ( vera risorsa  per un turismo di qualità), che abbiamo il 40 per cento di acqua che si disperde . Il Pil è un indicatore nudo e crudo.

Lo consideriamo, ma non è la bussola della Sinistra. A noi interessa il benessere economico netto . Il disco rotto della crescita indifferenziata gira sul piatto da molti anni. E da molti anni nulla di buono cresce. Noi lavoriamo invece per l’aumento della qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Se queste ( e molte altre ancora) sono alcune delle nostre idee, dalle quali derivano progetti di cambiamento che migliorano la vita delle persone, un altro nodo va sciolto al nostro interno.

Si tratta del fatto se la Sinistra alla quale pensiamo debba avere oppure no una cultura di governo. Che non vuole dire stare al governo. Io provengo da una forza politica, il Pci, che aveva una solida cultura di governo. Che sapeva misurarsi con tutti i problemi che i lavoratori, i cittadini, gli insegnanti, i tecnici, le città come organismi complessi presentavano. Si può stare all’opposizione con una solida cultura di governo e ottenere risultati importanti, si sta spesso al governo per anni senza ottenere alcun risultato e senza governare ( la Campania insegna). Ebbene io penso che una sinistra unitaria e plurale per diventare una forza popolare, radicata socialmente, presente sui problemi del territorio debba avere una cultura di governo su tutti i temi che si aprono davanti a noi in questo secolo così difficile. Nessuno escluso, anche quelli che ci imbarazzano di più o che vedono una nostra elaborazione assai scarsa. Parlerei di egemonia, una parola fondante per la sinistra, ma non vorrei aprire un confronto filosofico.

Da ultimo le forme, i modi, le relazioni, le nostre parole.  L’unica forma per organizzare una forza politica di qualsiasi genere  è la democrazia. Nessuno accetta più, a sinistra di vivere senza democrazia. Se la Pdl e il Pd hanno scelto il modello leaderistico e personale di tanti uomini soli al comando io ritengo che la Sinistra non possa farlo perché negherebbe in radice la sua natura. I modi sono quelli della trasparenza delle scelte, della partecipazione e dell’ascolto, del ritorno ad organizzazioni territoriali e a rete.

Le relazioni sono quelle tra le persone nelle quali si riconosce ad ogni livello e si rispettano le differenze e la presenza e la libertà di tutti e due i sessi. Le parole nuove ce le dobbiamo inventare tutti e tutte insieme, e non sarà facile perché spesso, parlando quasi sempre tra noi abbiamo assunto un linguaggio autoreferenziale e incomprensibile a chi ci ascolta, ai giovani in particolare. Vedo in questi giorni tentativi sommari di trovare capri espiatori, di consumare  rese dei conti. Inutili pratiche, vecchie come il mondo.

Chiarito il percorso che vorranno fare tutti coloro che non sono disponibili a tornare dentro i recinti di prima allora democraticamente e con un forte collegamento con i territori dovremo trovare tutta la democrazia che serve per eleggere in modo trasparente chi dovrà portare più responsabilità di altri. Vendola  nella sua intervista di ieri ha detto un nuovo gruppo dirigente che comprenda al suo interno anche una nuova generazione, e io concordo. Dice anche che si potrebbe pensare ad una direzione duale ( un uomo e una donna), può essere e sarebbe un fatto nuovo. Ma la condizione è che percorsi, programmi, persone vengano scelte con la democrazia e con il voto. Abbiamo fretta da una parte ma abbiamo anche un po’ di tempo. Rifondazione è alle prese con un dibattito congressuale difficile che io rispetto e che credo vada svolto. Ma pur seguendo con attenzione quella riflessione non è detto che nel frattempo si debba restare fermi.

Ripartiamo dal territorio, dai gruppi unitari che si sono formati in tante realtà, dalle case della sinistra, dalle associazioni che sono disponibili, dagli eletti nei comuni, nelle province e nelle regioni. Costruendo attorno a loro partecipazione , legame con i territori e discussione politica. Riuniamoci, compagne e compagni, diciamoci tutto quello che pensiamo…e poi, finite le critiche e le invettive, rimettiamoci in cammino.

*della Presidenza di Sinistra Democratica

da sinistra-democratica.it


Titolo: Giordano commosso, al suo "ultimo" intervento da segretario Ecco i nostri errori
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2008, 03:35:48 pm
POLITICA

Aria di guerra al Comitato politico nazionale di Rifondazione

Giordano, commosso, al suo "ultimo" intervento da segretario: "Ecco i nostri errori"

L'Arcobaleno muore, Rc va avanti

Sinistra tra diaspora e resa dei conti

In mattinata assemblea a Firenze per chiedere "un nuovo soggetto"

Bertinotti assente. Ferrero e Russo Spena con una loro mozione. A luglio il congresso

di CLAUDIA FUSANI

 
L'intervento di Franco Giordano, segretario dimissionario di Rc, al Comitato politico nazionale del partito
ROMA - Rifondazione comunista vive, diranno poi, i mesi a venire, come, in che forma e con quali alleati. La Sinistra Arcobaleno è morta, defunta, un mese e mezzo di vita, passerà alla storia come il simbolo che ha estromesso la sinistra dal Parlamento. Fatte queste premesse vale la pena segnalare che Bertinotti, il grande assente, strappa un applauso quando Franco Giordano, segretario dimissionario con tutta la segreteria di Rifondazione comunista, lo ringrazia per "essersi messo in gioco in prima persona".
Lo stesso Giordano ne strappa appena due, di applausi: glieli concede la platea del Comitato politico nazionale del suo partito per fargli coraggio quando la voce si rompe e non riesce ad andare avanti. Mentre dice: "Non possiamo permettere di smarrirci, dobbiamo - proprio adesso - tenerci stretto sia questo partito sia il progetto di un nuovo soggetto unico a sinistra. Rifondazione comunista può sopravvivere a una sconfitta elettorale ma non a una spirale di dissolvimento". E quando precisa: "Non ho mai detto di voler sciogliere Rifondazione comunista...sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione in questo senso".

Ma a parte questi due momenti di solidarietà, il clima al Comitato politico nazionale di Rifondazione comunista è da resa dei conti. Finale e definitiva. Da ripulisti generale, via tutti i vecchi avanti i "nuovi". O meglio, via tutti quelli che in questi anni hanno sposato come un sol uomo la linea di Bertinotti e avanti con i riformisti - forse - ma duri e puri.

Auditorium di via dei Frentani, sabato pomeriggio romano quasi estivo. E' qui che Rifondazione va sempre a contarsi nei momenti che contano. Ed è qui anche oggi per questo Cpn (Comitato politico nazionale) che comunque vada, tra oggi e domani, segna la fine di una storia. E l'inizio - lo sperano in molti - di un'altra. Franco Giordano arriva solo, Gennaro Migliore anche, l'erede e il delfino di Bertinotti simulano sorrisi ma hanno facce tesissime. Gli altri, quelli che li aspettano al varco, dal ministro uscente Paolo Ferrero al capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena sono già dentro. Sono loro che hanno chiesto il Cpn e che vogliono le dimissioni immediate della segreteria in vista del congresso di luglio. Giordano prende la parola alla 17 e 30. Potrebbe essere il suo ultimo discorso da segretario. A suo modo è un Comitato storico. Alle sue spalle è ricomparso il simbolo di Rifondazione comunista, la falce, il martello, il rosso, la scritta sinistra europea. Quello della Sinistra-Arcobaleno travolto dal voto, è scomparso. Per molti è già un passo avanti. Si ricomincia spesso da piccole cose che possono dare sicurezza. Un simbolo, per esempio.

Il funerale della Sinistra Arcobaleno. Il funeral party del simbolo che doveva riunire la sinistra massimalista è stata celebrato ufficiosamente stamani a Firenze. L'assemblea ("Sinistra unita e plurale") era stata convocata prima delle elezioni da intellettuali come Paul Ginsborg. Lo tsunami politico l'ha trasformata in una civilissima seduta di autocoscienza collettiva che ha stabilito un paio di cose. La prima: un nuovo soggetto unito e plurale a sinistra è "necessario". La seconda: gli applausi della platea indicano in Nichi Vendola, governatore della Puglia, il prossimo leader. Forse proprio perchè da lui arrivano le parole più dure: "Di fronte a fatti di questa importanza i nostri strumenti analitici e strategici sono asfittici, desueti, poveri, ce la caviamo solo con un pò di sociologia della catastrofe". Vendola, in linea con quello che dirà nel pomeriggio Giordano, avverte: "Evitiamo show down prima del congresso. Attenti alla parole perchè Rifondazione è un soggetto delicato".

Diliberto se ne va. I Verdi guardano al Pd? Della Sinistra-l'Arcobaleno resta in pratica solo Rifondazione. Diliberto e il Pdci risponde all'appello dei comunisti per una nuova unità comunista che potrebbe tenere un suo congresso a luglio. I Verdi - anche loro presto a congresso - sono con un segretario dimissionario e, soprattutto, senza una vera alternativa. Molti di loro stanno guardando al Pd. Il soggetto unico e plurale su cui continua a insistere Giordano, ma anche l'assemblea di Firenze, deve ripartire quindi da Rifondazione. Giordano è chiarissimo: "No alla costituente comunista, tragica regressione culturale e politica".
 
Nichi Vendola e Franco Giordano, futuro e passato di Rifondazione?

"Perchè abbiamo perso". Franco Giordano parla mezz'ora, inizia allentando il nodo la cravatta, finisce citando Andrè Gide. Inizia parlando di "assunzione collettiva di responsabilità", presentando la segreteria come "dimissionaria" e chiarendo che "tra di noi non ci sono nè vincitori nè vinti". Termina con un appello perchè Rc resti "unita" e "nessuno prefiguri adesso l'esito del congresso (10-11 luglio ndr) cedendo a forzature in nome di logiche politiche di parte".

In mezzo Giordano elenca senza pietà le tre cause della sconfitta. 1)"Non siamo riusciti a tradurre in azione di governo quello per cui abbiamo lottato e che avevamo promesso; abbiamo preteso sacrifici senza poi concedere alcun risarcimento sociale". 2) "L'utilizzo cinico e truffaldino dell'appello al voto da parte del Pd". Il terzo punto è quello "più grave" perchè "è il problema soggettivo, è la nostra difficoltà, quella per cui siamo stati percepiti come un residuo e un fuscello nella tempesta: abbiamo uno scarsissimo radicamento nel territorio". Il partito del popolo che non parla più col popolo perchè nel frattempo ha trovato le parole la Lega.

Rifondazione in mille pezzi. Giordano intiepidisce ma non scalda. Dopo di lui si iscrivono a parlare a decine. Finiranno domattina. Ma si capisce subito che quando domani saranno votate le mozioni quella di Giordano (comitato di gestione fino al congresso senza nessuno dell'attuale segreteria) non basta al parlamentino di Rifondazione. Paolo Ferrero, che in questi giorni ha messo alle strette Giordano, presenterà un documento politico insieme con la minoranza di Essere comunisti, guidata da Claudio Grassi per chiedere "un comitato di garanzia che guiderà il partito in vista del congresso". Non c'è molta differenza con la mozione Giordano. Ma è la fine dell'unità. Il segno della deflagrazione. "La cosa importante - spiega Ferrero - è che gli iscritti possano decidere su posizioni politiche chiare, senza ambiguità. Per noi l'importante è ripartire da Rifondazione e avanzare una proposta a tutta la sinistra". Una specie di federazione dove partiti e associazioni sono insieme "ma ognuno con la propria autonomia".

Correnti e scenari. L'annuncio di Ferrero mette a nudo giorni e mesi di divisioni all'interno di Rifondazione. Una volta la maggioranza del partito, circa il 70 per cento, era saldamente in mano a Bertinotti-Giordano-Migliore. Poi c'erano correnti minori come quella di Grassi (Essere comunisti) e l'altra di Pegolo, Giannini e Masella (l'Ernesto). Senza contare che in questi due anni Rifondazione ha perso per strada Sinistra critica e i trotzkisti. Nei venti mesi di governo le cose si sono complicate perchè Ferrero e Russo Spena si sono messi sempre più in contrapposizione con Bertinotti. Oggi infatti Ferrero se ne va con l'Essere comunisti, Russo Spena anche, Ramon Mantovani, molto arrabbiato, pure. In più prende forma una corrente di outsider, per lo più donne, capeggiate da Elettra Deiana, un po' la coscienza critica del partito che prima ancora che la Sinistra-L'Arcobaleno prendesse forma avvertiva: "Così non funziona, è una fusione a freddo che i nostri elettori non capiranno...".

Sono tutte le anime di una possibile diaspora che sarà ratificata domani alla fine del Cpn di Rifondazione. La domanda ora è: quale spazio per Rifondazione e il nuovo soggetto a sinistra tra il Pd e i comunisti?

(19 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: L’8% dei voti lumbard è «rubato» alla sinistra
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2008, 01:43:59 am
L’Osservatorio

L’8% dei voti lumbard è «rubato» alla sinistra


La Lega è il partito che in queste elezioni ha visto il maggiore incremento di voti in assoluto: 1.300.000. La seconda forza nella graduatoria dell’accrescimento di consensi è, non a caso, l’Idv, con circa 700.000 voti in più: rappresenta la componente «radicale» del centrosinistra, così come la Lega lo è nel centrodestra. Ma il partito di Bossi non ha vinto solo perché ha saputo attrarre nuovi voti. Esso registra il valore massimo nel tasso di fedeltà, vale a dire nel mantenimento degli elettori già acquisiti nel 2006: quasi tutti (95%) hanno riconfermato la loro opzione. Infine, gli elettori della Lega sono stati i più «decisi»: è qui che si trova la più alta percentuale di chi dichiara di avere formato la propria scelta da molto tempo, indipendentemente o quasi dalla campagna elettorale. Proprio lo straordinario afflusso di voti «nuovi» e, al tempo stesso, l’elevata capacità di mantenere quelli vecchi, consigliano di evitare un’unica interpretazione delle motivazioni di voto.

La Lega è un fenomeno composito, dalle tante sfaccettature, e nelle origini del suo voto coesistono molteplici fattori. Che vanno dalla difesa degli interessi economici territoriali, al timore per le novità originate dalla globalizzazione e dal conseguente arrivo di «diversi», sino a ragioni più direttamente legate alla collocazione politica del partito. Ciò suggerisce di distinguere diversi «tipi» di voti leghisti a seconda del prevalere dell’una o dell’altra motivazione. Un primo segmento è costituito da votanti «storici», consolidati nel tempo, spinti soprattutto dall’identificazione col territorio e dalla percezione di questo come prevalente su altre identità. Si tratta dell’elettorato che potremmo definire «padano», assai radicato nelle zone tradizionali della Lega e mosso per lo più dalla difesa degli interessi territoriali economici, specie quelli connessi alla fiscalità. Esso costituisce la maggioranza relativa — grossomodo il 40%— degli attuali votanti per la Lega.

Per un’altra parte di elettori tradizionali della Lega (cui si è aggiunta in queste consultazioni una quota di votanti che nel 2006 si era astenuta), la scelta è più determinata dall’insicurezza sociale, assieme alla paura suscitata del processo di globalizzazione e, soprattutto, dalla conseguente ostilità verso il «diverso», in particolare, verso gli immigrati. È la componente che potremmo definire «xenofoba»: corrisponde al 20% circa dell’attuale elettorato leghista. Entrambi questi settori sono sostanzialmente slegati dal continuum sinistra-destra, in quanto non si identificano con nessun segmento di quest’ultimo o, semmai, si definiscono «di centro». Viceversa una terza, importante, componente, si autocolloca esplicitamente nel centrodestra. Sono gli elettori transfughi da Forza Italia e, in misura minore, dall’Udc, che, in questa occasione, le hanno abbandonate per dare una maggiore radicalità alla propria scelta, pur mantenendo il proprio posizionamento politico.

La motivazione è stata prevalentemente economica, legata alla percezione di lentezza e di inefficienza dello Stato centrale e anche sollecitata, da ultimo, dal «caso Malpensa». Sono stimabili più o meno nel 30% dell’attuale elettorato leghista. C’è, infine, un ulteriore segmento di «nuovi» elettori leghisti, assai meno numeroso, ma molto significativo. Si tratta dei votanti provenienti dalla sinistra, in particolare da quella estrema. Che l’hanno lasciata per dare il voto ad una forza ritenuta più efficace nel difendere i loro interessi. Si tratta dell’8% circa dell’elettorato leghista. Solo un’analisi che tenga conto di questi diversi gruppi coesistenti può dar conto appieno del successo del Carroccio in queste elezioni. Non esiste, insomma, una lettura univoca del fenomeno leghista.

Renato Mannheimer
20 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Vendola: «non rinserrarsi nel fortino delle antiche certezze»
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2008, 01:52:59 am
Vendola: «non rinserrarsi nel fortino delle antiche certezze»

Ferrero: ripartire da opposizione sociale

Al comitato di Rifondazione vince la linea dell'ex ministro che critica la linea di Giordano.

La segreteria si dimette

 
ROMA - «Bisogna ripartire da un'opposizione sociale al governo Berlusconi e provvedere al rilancio del Prc dentro una sinistra plurale». Paolo Ferrero analizza la secca sconfitta elettorale delle sinistre e butta lo sguardo sulle prospettive future. Nessuna ricerca di un capro espiatorio, ma la linea politica della segreteria di Rifondazione comunista «è fallita», spiega l'ex ministro della Solidarietà sociale, e ora bisogna «ricostruire la sinistra sul piano sociale, rilanciando il Prc nell’aggregazione di sinistra più ampia».

COMITATO DI GARANZIA - Intanto la segreteria nazionale di Rifondazione comunista guidata da Franco Giordano si è ufficialmente dimessa dalla guida del partito. Il comitato politico nazionale ha approvato a larga maggioranza le dimissioni del gruppo dirigente e ha eletto proporzionalmente ai consensi ricevuti un comitato di garanzia per l'attività ordinaria del partito. Il comitato sarà composto da sei rappresentanti della nuova maggioranza guidata da Ferrero (insieme a Claudio Grassi), cinque componenti del gruppo rappresentato dall'ex segretario Franco Giordano e da Nichi Vendola e un esponente della minoranza dell'Ernesto. Il dispositivo prevede la convocazione del prossimo comitato politico per il 3 e 4 maggio mentre il congresso straordinario del partito si terrà dal 17 al 20 luglio. «È stata una discussione sofferta e difficile. L’elemento positivo è che ora Rifondazione ha un indirizzo politico, non si scioglie, si prosegue verso la costruzione di una sinistra più ampia senza scorciatoie. Ora dobbiamo costruire l’opposizione sociale a Berlusconi e all’aggressione di Montezemolo» ha detto Ferrero in conclusione di seduta.

GIORDANO - «Sono convinto che al congresso possa prevalere la cultura del Prc - è il commento di Franco Giordano -. Nel nostro documento c’è tutta intera la storia e l’apertura alla società del Prc e aggreghiamo personalità importanti come Nichi Vendola e Gennaro Migliore. Nell’altro documento, quello di Ferrero e Grassi, non ci sono i capisaldi del Prc: non c’è la nonviolenza, non c’è il rapporto con i movimenti, mi pare più un cartello elettorale». A chi gli chiede se sia ipotizzabile una scissione dopo il congresso, Giordano risponde: «Assolutamente no perché dovremo scinderci da quello che abbiamo costruito».

BARBARIZZAZIONE - Ferrero ribadisce dunque le critiche alla linea «bertinottiana» di Giordano, pur sgombrando il campo da quelli che chiama «elementi di barbarizzazione». «Io sono tra i massimi responsabili della sconfitta: non cerco capri espiatori, ho condiviso il percorso politico, non barbarizziamo il dibattito». Ma c’è stata «una sconfitta pesante, nel punto fondante del rapporto tra la sinistra e la società: la gente non ha capito a cosa serviva votare la Sinistra arcobaleno. Nelle ultime settimane di campagna elettorale è diventata soggetto unico, in alcuni casi partito unico, si è parlato di comunismo come tendenza culturale e della necessità di superare i partiti come se fossero degli ostacoli». Per Ferrero «la colpa di Franco Giordano non è stata quella di portare avanti questa linea, ma di non contrastarla: se avessimo preso l’8% alle elezioni ora non staremo facendo questa discussione. Per questo ho chiesto con durezza la riunione di questo comitato politico: c’è Diliberto che propone la costituente comunista, c’è stata l’assemblea di Firenze, la politica non aspetta. La partita si gioca nelle prossime settimane».

VENDOLA - Diverso il punto di vista di Nichi Vendola, governatore della Puglia e anche lui candidato alla segreteria del Prc. Secondo lui bisogna ritrovare un'idea di Paese senza rinserrarsi «nel fortino delle antiche certezze», a cominciare dalla forma partito «come se fosse un dato in sé». Vendola interviene al comitato politico di Rifondazione assicurando che «ognuno farà la sua parte, anche io, per rimettere in piedi questa comunità». Il probabile sfidante di Ferrero inizia il suo intervento mettendo in guardia dal compiere «un’analisi della sconfitta che guarda solo alla superfice e alla fenomenologia dei comportamenti del gruppo dirigente. La realtà è che questo voto è un’autobiografia della nazione: improvvisamente ci rivela in modo imprevisto la società italiana», che ha subìto un mutamento radicale e che ha lasciato il Prc spiazzato». Interessante, per Vendola, quello che succede al nord dove la mancanza di un’identità trova risposta solo nella Lega. Rifondazione deve dunque ritrovare «un’idea del Paese, fermarsi a discutere sulla geografia dei lavori e sulla costruzione delle forme della politica».


20 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Sconfitta la proposta del segretario dimissionario Giordano
Inserito da: Admin - Aprile 21, 2008, 01:56:12 am
POLITICA

Il Parlamentino di Rifondazione muove le prime mosse verso il difficile futuro

Vendola: "Spaccare non serve, guardare avanti e non chiudersi in un fortino"

Rifondazione, vince la linea Ferrero nel partito cambia la maggioranza

Passa con quasi 30 voti di scarto il documento del ministro

Sconfitta la proposta del segretario dimissionario Giordano

di CLAUDIA FUSANI


ROMA - Finisce male. Comunque. Dopo la sconfitta elettorale Rifondazione va in pezzi in nome della difesa di non si sa bene cosa e di un progetto vago come può essere quello contenuto tra il no alla costituente comunista e sì a quella di una sinistra allargata. Finisce con un parricidio, quello di Fausto Bertinotti e della sua segreteria - da Franco Giodano a Gennaro Migliore passando per Patrizia Sentinelli - cacciati senza se e senza ma. E con una nuova maggioranza affidata al ministro dimissionario Paolo Ferrero e a Giovanni Russo Spena e alle minoranze più radicali come "Essere comunista" di Claudio Grassi e "l'Ernesto" di Fosco Giannini. E' l'anima più conservatrice del partito, quello che non ha mandato giù due dei leit motiv della campagna elettorale di Bertinotti: l'ipotizzato scioglimento di Rc nella Sinistra-l'Arcobaleno; quel dire che il comunismo è ormai "un orientamento filosofico e culturale". Saranno loro a condurre quel che resta di Rifondazione al congresso di luglio. Finisce tra l'emozione di Franco Giordano, segretario per neppure due anni (fu eletto nel maggio 2006) e l'assenza drammatica di Fausto Bertinotti. Sul palco dell'auditorium di via dei Frentani resta un simbolo, la falce e il martello di Rifondazione. Basterà per ricominciare?

Alle 18, dopo una giornata tesissima in cui fino in fondo Giordano e Nichi Vendola hanno cercato un punto di mediazione e si sono appellati al buon senso per evitare oggi, adesso, una guerra per bande, la segreteria di Giordano non ha più la maggioranza del partito. Il Comitato politico nazionale di Rc, costretto a votare due mozioni - per la verità non così diverse l'una dall'altra - sceglie Ferrero e l'area di "Essere comunisti" con 98 voti. Quello di Giordano resta fermo a 70 consensi. Il documento presentato dall'aerea dell'"Ernesto" prende 16 voti, quello di Bellotti 5, e quello di Franco Russo 1. Quattordici gli astenuti, un'altra frangia del partito che ha seguito l'appello di Elettra Deiana. Nel comitato di garanzia - obiettivo a cui tendevano entrambi i documenti - che guiderà il partito al congresso di luglio (17-20) saranno tutti rappresentati in proporzione rispetto ai risultati del parlamentino di ieri e oggi. Dodici persone quindi di cui 6 che fanno capo a Ferrero, 5 all'area dell'ex segretario Giordano e uno dell'area dell'Ernesto.

E' finita come tutti temevano che andasse a finire. Il segretario dimissionario Franco Giordano aveva letto ieri la sua relazione, aveva parlato della sconfitta di tutti e aveva proposto un comitato di saggi neutrale e superpartes, precluso agli attuali membri della segreteria, per condurre per mano il partito al congresso. Un partito che comunque deve dire no alla costituente comunista proposta da Diliberto e sì a quella di una nuova Sinistra. Per il partito della Rifondazione comunista il ruolo di essere il centro e il motore di questo processo.

Poteva essere una buona soluzione per tutti, anche per i più arrabbiati. Anche per chi, come Ramon Mantovani, da giorni dice: "Il frequentatore dei salotti deve andarsene a casa". Ma Ferrero stamani ha fatto quello che aveva promesso. Quando ha preso la parola sul podio sovrastato dal simbolo storico di Rifondazione comunista, è stato durissimo col segretario. Nonostante la chiacchierata tra i due, a quattr'occhi, durante la pausa caffè, lo ha messo con le spalle al muro. "La sua colpa non è stata quella di portare avanti una linea ma di non averla contrastata. Ho apprezzato che abbia cambiato idea circa il destino di questo partito ma al tempo stesso mi domando se avessimo fatto lo stesso questa discussione nel caso avessimo preso l'8 per cento. Questo gruppo dirigente va azzerato perché il partito nei prossimi mesi deve sapere se esiste o no e deve capire cosa fare". Le colpe di questa segreteria sono varie, ma più di tutte "l'aver detto che il comunismo era destinato a diventare un orientamento filosofico" e aver messo in dubbio la sopravvivenza stessa di Rifondazione. Per non parlare poi del simbolo: "Fare la campagna elettorale con quell'arcobaleno è stato un suicidio" aveva detto un altro delegato. Sul futuro Ferrero sembra avere le idee chiare: "Rinsaldare il ruolo di Prc in una sinistra più ampia contro costituenti comuniste o di sinistra che rischiano di spaccare e sono la negazione del progetto politico di Rifondazione". Insomma, Ferrero come garante etico della nuova mission di Rc. Un ruolo che non è piaciuto e che proabilmente gli ha tolto qualche voto. Elettra Deiana, infatti, ha a sua volta attaccato sia Ferrero che la gestione Giordano e ha chiesto "l'astensione dal voto sulle due mozioni e la costituzione di un Comitato di garanzia neutrale che organizzi il congresso".

Sempre stamani, era toccato a Nichi Vendola. Il governatore della Puglia ha provato in tutti i modi a mettere in guardia da spaccature e lacerazioni, soprattutto in questo momento di grande debolezza. E ha avvisato: "Guai a chiudersi. Dobbiamo rimettere in piedi una comunità a cui dare come orizzonte l'innovazione e non un fortino delle antiche certezze in cui rinserrarsi".

Ci sono le premesse per una nuova scissione a sinistra? Era il timore più forte della vigilia del Cpn. Tutto sommato il parlamentino, pur mettendo in minoranza Giordano e quindi Bertinotti, non ha loro totalmente voltato loro la faccia. Resta da capire chi sarà il competitor di Ferrero per la segreteria visto che Nichi Vendola continua a ripetere di voler finire il mandato in Puglia. Ferrero nega ogni interesse in questo momento ("non è questo il problema e io non mi sto candidando alla segreteria") ma molti sono sicuri che a luglio proverà a farsi eleggere segretario. Lo dice chiaro, alla fine, Giordano:"Il nostro documento ricorda la storia di Rifondazione comunista, le sue passioni e le sue aperture: nell'altro documento non vedo nessuno di questi capisaldi, mi sembra più un cartello elettorale".

(20 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: Ingrao: «Basta recriminare, dobbiamo salvare Roma»
Inserito da: Admin - Aprile 22, 2008, 03:15:59 pm
Ingrao: «Basta recriminare, dobbiamo salvare Roma»

Simone Collini


Pietro Ingrao confessa di vivere «con rabbia e con dolore» la situazione politica che si è venuta a creare dopo il 14 aprile. «C’è stata una vittoria delle forze reazionarie raccolte intorno a Silvio Berlusconi e di questo successo di una brutta destra, e delle sue fonti, bisognerà fare un’analisi cruda e approfondita», dice lo storico leader comunista. «Ma guai a rassegnarsi o a considerare la partita conclusa».

«Ci sono questioni brucianti tutt’ora aperte - sottolinea Ingrao - prima fra tutte la lotta per la guida di Roma».

È questa secondo lei la priorità, ora?
«Sono necessarie, contemporaneamente, un’analisi approfondita e di massa delle cause della sconfitta e un tornare in campo, un rilancio della lotta, innanzitutto per le elezioni del sindaco della Capitale. Roma è città simbolo, e oggi la scelta di chi dovrà dirigere il Campidoglio assume una doppia valenza: per il domani di questa metropoli così radicata nella storia d’Italia e del mondo, e per gli sviluppi dell’aspro scontro aperto con la destra berlusconiana».

Una destra diversa da quella che vinse nel 2001, con una Lega più forte. Una destra peggiore sostiene la sinistra.
«Sì, è peggiore. E del resto a questa deriva reazionaria non ha resistito nemmeno la relazione con un moderato come Casini».

È preoccupato per quello che potrà fare il prossimo governo?
«Purtroppo sì. E mi sembra che sia non abbastanza forte l’allarme per questa deriva autoritaria di schietta marca berlusconiana. Forse non tutti, nella sponda democratica, hanno capito bene tutto il rischio di questo blocco reazionario a cui hanno dato vita Berlusconi e Bossi».

Per alcuni commentatori la Lega abbandona i tratti a cui ci ha abituato nel passato e ne assume di più istituzionali. Lei che dice?
«A me sembra di cogliere anche nelle file democratiche una tendenza a leggere la Lega come un buffo folklore. Sarà che ho una chiusura paesana, perché invece io sono colpito dall’intensità con cui si è allargata la connotazione reazionaria dei bossiani».

Che risposta va data a questa destra?
«Noi, forze dell’opposizione, siamo chiamati in questi giorni, direi in queste ore, a sviluppare una doppia azione: capire e rendere chiare le cause della nostra sconfitta e contemporaneamente impegnare compattamente tutte le nostre forze per la prova di Roma e per quelle delle altre città in cui si torna subito a votare. Non ci sono consentiti ritardi o esitazioni».

Parla col “noi”: per la prima volta nella storia repubblicana, in Parlamento non ci saranno esponenti di partiti comunisti e socialisti.
«È un dato su cui non c’è stata finora un’adeguata riflessione. Eppure io mi ricordo che svolta e che emozione per noi quando, cacciati i tedeschi da Roma, nelle nuove assemblee elettive entrarono finalmente anche i “rossi”, quelli che venivano da Gramsci...».

Nelle forze della Sinistra arcobaleno si è aperto un vero e proprio scontro sulle cause della sconfitta. Secondo lei è ciò di cui c’è bisogno, adesso?
«Non propongo né a me né ai miei compagni e amici il silenzio sulle cause e le responsabilità della sconfitta. Vengo da una storia di aspre battaglie anche interne alla mia parte, forse c’era anche una pesante inclinazione a “punizioni” pesanti e affrettate. Ma io credo, spero, che noi della sinistra abbiamo anche imparato qualche cosa dai nostri errori del passato».

Cosa vuole dire?
«Ho una formazione leninista-stalinista. Ho vissuto in Italia le vicende straordinarie e talvolta eroiche con cui la componente comunista ha animato nel mio Paese, ma più largamente nel vasto mondo, una lotta epica per i diritti dei lavoratori. E tuttavia quella lettura e pratica del mondo, che chiamammo leninismo, è stata sconfitta. E oggi io e tanti altri miei compagni sappiamo bene per quali errori pesanti si determinò il crollo».

Tornando alla sinistra e applicando il suo ragionamento all’oggi?
«Lo scontro con la destra reazionaria è tutt’ora in corso, e anche il confronto elettorale è ancora in atto in molte città italiane. Per me questo passa avanti a tutto. Può anche darsi che dentro di me ciò sia radicato nell’antica, ostinata tensione che avevamo per realizzare l’unità, quella parola scelta addirittura a nome e simbolo del nostro giornale...»

Però è innegabile che errori a sinistra sono stati commessi, non c’è da stupirsi se ora si avverte la necessità e l’urgenza di capire...
«Ripeto, non sto chiedendo il silenzio. Anzi. La stessa battaglia aperta per Roma e altre città italiane chiede una iniziativa fresca e rapida per realizzare ciò che ci è mancato per la vittoria. Seppure da lontano, riesco a vedere le carenze, le divisioni, i silenzi che ci hanno fatto male. Ma dico un duro no alla rissa interna nelle nostre file».

Insiste molto sul ballottaggio di domenica: che ne è delle questioni di più ampio respiro a cui si è dedicato?
«Questo è il primo passo, necessario, ma è chiaro che l’amara vicenda italiana non cancella per nulla - non deve cancellare - lo scontro che continua nel vasto mondo: scontro a mano armata. In luoghi cruciali del globo tuttora si spara: nei modi della moderna “uccisione di massa”. Sembra incerto persino il luogo in cui si terranno le Olimpiadi. Le dimensioni della lotta hanno questi connotati. È viva in me l’amarezza per la scomparsa di quella nozione solenne e dimenticata che usammo chiamare: pace. Chi spera ancora nella pace?».

È la cosa che più la turba?
«Questa, sì. Ma resto turbato anche da questioni - come dire? - più semplici. Ostinatamente (forse ottusamente...) non riesco a capire perché siano ancora in campo istituzioni umane (chiamiamole così...) come la pena di morte, o anche l’ergastolo. Non le capisco nemmeno quando vengono usate contro gli assassini o i massacratori come quel tale Saddam Hussein...».

I difensori della pena di morte sostengono che sia per scoraggiare gli assassini.
«Scoraggiare uccidendo... Che straordinaria invenzione. Quante ne sappiamo inventare noi esseri umani».


Pubblicato il: 22.04.08
Modificato il: 22.04.08 alle ore 9.37   
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Titolo: NON E’ CON IL RITORNO ALLE PROPRIE IDENTITA’ CHE RISOLVEREMO LA CRISI ...
Inserito da: Admin - Aprile 22, 2008, 03:17:07 pm
NON E’ CON IL RITORNO ALLE PROPRIE IDENTITA’ CHE RISOLVEREMO LA CRISI CHE CI HA INVESTITO

di Tino Magni*


Quando si perde nel modo in cui abbiamo perso, occorre prima di tutto guardare in casa propria e chiedersi perché questo disastro, che nessuno di noi aveva percepito, intellettuali compresi, è potuto accadere. Tutto il resto sono delle concause che hanno accentuato la sconfitta. Il voto utile, l’astensionismo, la dispersione a sinistra, la mancanza di visibilità sulla stampa, ecc., sono dettagli e non le cause vere della nostra disfatta.
So bene che, in questi anni dove abbiamo dovuto continuamente difenderci dall’attacco del pensiero unico capitalistico, la cultura liberista ha inciso profondamente sia sui comportamenti politici dei singoli individui, sia su quelli collettivi, ma quanto è avvenuto è certamente il frutto dei nostri ritardi e dei nostri limiti di elaborazione. La conseguenza di un modo di agire da ceto politico, non migliore, né peggiore di altri, ma incapace di interpretare una richiesta di rinnovamento profondo che viene dal paese reale. Per questo siamo apparsi vecchi nel linguaggio, prevedibili e confusi nelle proposte, a tratti autoreferenziali.

Vorrei sottolineare che al Nord la Lega ha avuto un consenso senza precedenti tra i lavoratori, le lavoratrici e i ceti popolari meno abbienti, ciò è avvenuto perché noi in questi anni ci siamo allontanati dai problemi concreti e reali della gente, che chiedeva: sicurezza sia del e sul posto di lavoro, ma non in modo indistinto; di avere un salario o una pensione adeguata per arrivare alla fine del mese; di valorizzare la propria professionalità e il proprio sapere; di avere un mutuo equo per la casa; di avere una pubblica amministrazione, una scuola e dei servizi efficienti; il rispetto delle regole da parte degli emigranti; una corretta applicazione della pena e non un indulto senza criteri; un fisco meno oppressivo; un intervento per ridurre i costi della politica… e potrei continuare.

Dico tutto questo, perché durante la campagna elettorale che ho svolto, distribuendo volantini fuori dalle fabbriche e ai mercati, la gente mi rinfacciava che non ci avrebbe votato, perché anche noi siamo uguali agli altri, anzi peggio, perché avevano investito su di noi e sulla nostra capacità di risolvere i loro problemi, ma li avevamo delusi, con motivazioni diverse tra loro. Una parte della gente ci rimprovera che col nostro agire, nei due anni di Governo Prodi, abbiamo di fatto impedito al governo di governare, maturando un giudizio di inaffidabilità, un’altra parte, che aveva sperato nella nostra presenza al governo per cambiare qualcosa in positivo e per il miglioramento delle condizioni di vita, dal momento che ciò non è avvenuto si è sentita tradita.
Oltre al fallimento dell’esperienza di governo, dobbiamo aggiungere che come sinistra abbiamo perso l’egemonia politica e culturale sia nei posti di lavoro, che nella società e nella scuola, su temi importanti quali quelli dell’uguaglianza, della solidarietà e dei diritti collettivi. A supporto di questa tesi posso portare l’esempio della Lombardia, dove il monopolio di cosa sia la “solidarietà” è in mano a “Comunione Liberazione”, sia nel sociale che nella scuola, mentre nei luoghi di lavoro le persone tendono a darsi le risposte in modo individuale, accettando il concetto non tanto della meritocrazia, ma della disponibilità aziendale con lo straordinario e non solo.

Liquidare questi comportamenti, con affermazioni come quelle che ho sentito dire in campagna elettorale (chi vota Lega è razzista, o peggio accecato dall’egoismo), è una semplificazione che ci porta a non capire cos’è avvenuto tra questi lavoratori.
Io credo che dietro questi comportamenti che ritengo sbagliati, si nasconda la paura che sia la globalizzazione sia le persone straniere possano mettere in discussione il posto di lavoro le condizioni acquisite. Non è rimuovendo il problema che lo risolvi, ma cercando di capire, correggendo e proponendo un’altra soluzione, cioè in poche parole sporcandoci le mani! Questo è quello che ci hanno insegnato i nostri padri del novecento, come Di Vittorio, mentre troppe volte come sinistra abbiamo dato l’impressione di comportarci in modo burocratico ed elitario.

Condivido quanto hanno scritto altri: siamo arrivati all’appuntamento delle elezioni anticipate, con una lista elettorale senza un progetto chiaro e credibile, puntando tutto sul fatto che la sinistra rischiava di scomparire. Per ricominciare bisogna, perciò, avere chiare le ragioni della sconfitta, dire con chiarezza qual è la proposta politica e il progetto di paese che vogliamo a partire da una pratica democratica che è venuta meno in tutta questa fase, compreso la costituzione delle liste, per questo penso che dobbiamo aprire una fase di discussione che coinvolga tutti i territori in modo unitario. Pertanto ritengo che la prima cosa da evitare, sia quella di chiudersi dentro i singoli partiti, a discutere e a fare la resa dei conti tra gruppi dirigenti.

Occorre un processo di democrazia dal basso, nel quale tutti partecipano con pari dignità. Un percorso costituente per una sinistra plurale, in grado di rinnovarsi, favorendo la partecipazione attraverso il coinvolgimento di una sinistra diffusa, che esiste e che ha scelto di non votarci, come dice Claudio Fava, non per aver abbandonato i nostri simboli, ma perché siamo stati troppo autoreferenziali e rinchiusi nelle nostre stanze. Questa sinistra sociale va rimotivata, offrendole responsabilità e sovranità sul processo. Costruendo insieme ad essa un percorso inedito nelle pratiche, fortemente democratico, solido nei contenuti, capace di parlare al paese reale e di farsi ascoltare.

Concludendo sottolineo nuovamente quanto sia profondamente sbagliato chiudersi nelle proprie identità, perché sarebbe una risposta miope e di corto respiro politico, che condannerebbe la sinistra ad un ruolo minoritario e subalterno, per un lungo periodo al pensiero dominante. Inoltre sarebbe un messaggio di ulteriore frustrazione, per quei militanti che si sono spesi con convinzione, in questa campagna elettorale, per la costruzione di una sinistra “radicale” nei contenuti, ma nello stesso tempo capace di governare in campo economico e sociale il cambiamento di cui il paese ha bisogno.

*Coordinatore Regionale di Sinistra Democratica in Lombardia.

da sinistra-democratica.it


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA. Mussi se ne va. Verso la troika
Inserito da: Admin - Aprile 22, 2008, 03:26:39 pm
Sinistra Democratica: Mussi se ne va Verso la troika


Fabio Mussi dà l'addio alla guida della Sinistra Democratica. Con una lettera al direttivo del movimento che si è riunito a Roma, il ministro della Ricerca ha lasciato la guida della formazione che riunisce l'ex correntone Ds. «Vicende personali e politiche si intrecciano», ha scritto Mussi. «In questo momento la sinistra ha bisogno del massimo impegno e di un vero rinnovamento. Non potendo garantire, per motivi indipendenti dalla mia volontà, il contributo necessario e volendo favorire un rinnovamento anche generazionale, lascio l'incarico di coordinatore», avrebbe spiegato Mussi nella lettera.

Il movimento che raccoglie l´ex Correntone deve ora nominare un nuovo gruppo dirigente. Due le ipotesi che saranno discusse in giornata dal direttivo.
Da una parte, quella più gettonata, di un "Trimvirato" a tempo, composto dai Marco Fumagalli, più i due capigruppo uscenti, Cesare Salvi e Titti Di Salvo.

Allo studio anche la possibilità di affidare ad una quarta persona il ruolo di "speaker" ufficiale del partito. A loro spetterà portare Sd a "congresso". Dall'altra la convocazione del comitato promotore, il parlamentino di Sd, per l'elezione di un nuovo coordinatore.

I lavori sono stati aperti da Marco Fumagalli con una relazione incentrata sull'analisi della sconfitta elettorale e sui prossimi passi da compiere. L'addio alla leadership da parte di Mussi non rappresenta però un passo indietro dalla vita politica. Mussi ha ribadito il suo impegno per il partito e per un rinnovamento della sinistra, un impegno che in questo momento non può essere in prima linea visto il tempo che l'ex leader di SA dovrà dedicare alla riabilitazione dopo il trapianto di reni subito qualche mese fa. Mussi aggiungeva nella lettera: «Continuo ostinatamente a ritenere impensabile che in futuro, in un paese europeo come l'Italia, scompaia qualunque formazione politica di sinistra. Non bisogna disperare: spes contra spem. Una sinistra in Italia c'è.

È necessario lavorare fin da ora a unificare davvero tutte le forze disponibili alla formazione di un partito nuovo, in grado di competere e riguadagnare il suo posto in Parlamento. Progetto possibile solo con una nuova generazione, uomini e donne, militanti e dirigenti. In Sinistra democratica ce ne sono tanti».

Per quanto riguarda gli scenari politici, l'idea prevalente all'interno di Sd è quella di accelerare verso una Costituente della sinistra, aperta a tutti i soggetti interessati, anche ai socialisti. L'ipotesi di un riavvicinamento al Pd è quindi per il momento è da escludere. «Noi ci siamo, siamo qui», sintetizza il vicepresidente della camera Carlo Leoni: «Iniziamo un percorso che porta alla costituente della sinistra al fianco di rifondazione e di quanti ci stanno».

Pubblicato il: 22.04.08
Modificato il: 22.04.08 alle ore 14.24   
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Titolo: La sinistra succube della destra
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2008, 05:10:15 pm
29/4/2008
 
La sinistra succube della destra
 
FABRIZIO RONDOLINO

 
C’è la sinistra in Italia? Dal punto di vista lessicale, per la prima volta dal 1946 non è presente in Parlamento. Non soltanto non ci sono più i comunisti e i socialisti: non c’è più neppure la parola «sinistra», che i Ds ancora portavano sulle loro insegne. I risultati delle ultime elezioni non sono meno drastici: grosso modo, il Pd è fatto per un terzo di ex Margherita e per due terzi di ex Ds; sommando alla quota diessina i voti raccolti da tutte le sinistre antagoniste (compresi Ferrando e Turigliatto) e dal Ps, si arriva al 27,3% dei voti validi. Tre punti in meno di quanto raccolse il Fronte popolare di Nenni e Togliatti nel '48. Sette punti in meno della «gioiosa macchina da guerra» assemblata da Occhetto nel ‘94. Più di cinque punti in meno rispetto ad appena due anni fa.

Si è più volte polemizzato, in campagna elettorale, sulle somiglianze fra i programmi del Pd e del Pdl, con reciproche accuse di «aver copiato» e con l’inevitabile evocazione del nuovo mostro, il «Veltrusconi». In realtà, che i programmi dei due partiti che competono per il governo di un qualsiasi Paese occidentale siano relativamente simili è un’assoluta ovvietà. Non è infatti sui programmi che si decide il successo di una forza politica, ma sulla sua identità. In generale, l’idea che far politica e vincere le elezioni significhi presentare una lista della spesa più o meno credibile, più o meno compatibile, e più o meno gradita agli esperti del Sole 24Ore, è un'idea risibile. Sebbene la parola sia carica di equivoci, la politica è fatta di valori, non di programmi. Ciò naturalmente non significa che le «cose», cioè i programmi elettorali e le leggi che (a volte) ne conseguono, non abbiano un peso e un significato: ma quel significato è inscritto e dipende da un sistema di valori che lo precede e lo contestualizza.

L’esempio più clamoroso è lo scontro sulla sicurezza. È evidente a tutti che chi commette un reato va punito, e che i crimini vanno prevenuti: non è dunque di questo che si sta discutendo. Negli ultimi sette anni, Berlusconi ha governato per cinque, e se c’è oggi un’emergenza, una qualche responsabilità deve avercela anche il centrodestra: ma all’elettore di Berlusconi quest’ipotesi non viene neppure in mente. Viceversa, né i provvedimenti già presi dal centrosinistra (la criminalità nelle aree metropolitane è oggettivamente diminuita), né quelli annunciati in campagna elettorale, riescono a soddisfare un’opinione pubblica che, si legge sui giornali, «non ne può più». La ragione è semplice. Nell’identità valoriale della destra c’è un’idea di ordine sociale tendenzialmente esclusivo anziché inclusivo, c’è il valore della comunità e della nazione, c’è l'idea un poco paternalistica per cui uno scappellotto ogni tanto fa bene, e così via. I fallimenti pratici dei governi di centrodestra sono oscurati dalla saldezza dell’orizzonte simbolico di riferimento.

Per la sinistra, accade esattamente il contrario. I valori storici della sinistra hanno a che fare con la solidarietà e con la difesa dei più deboli. Una politica di sinistra moderna dovrebbe chiedersi come declinare questi valori nel mondo d’oggi; se però, come accade regolarmente, finge che siano andati fuori corso e suggerisce l’impressione di scimmiottare la destra, il risultato è un cortocircuito vistoso che lascia perplessi i simpatizzanti e certo non convince gli incerti.

In altre parole, la sinistra su molte questioni suona inautentica a chi non è di sinistra, e ambigua o irriconoscibile a chi lo è, perché nel dibattito pubblico insegue sempre più spesso (magari per moderarne la portata) le proposte della destra, cioè quelle proposte, giuste o sbagliate, che sorgono e fruttificano all’interno di un universo valoriale tradizionalmente di destra. In questo modo la sinistra subisce la scelta del campo di gioco e accetta di giocare una partita non sua. Oggi è la destra a detenere saldamente l’egemonia culturale del dibattito pubblico, di cui regolarmente scrive l’agenda. Si tratta di una novità che pochi, persino a destra, sanno riconoscere. Ma è questa la novità politica del nuovo secolo, e da qui discende tutto il resto.

Fare politica significa convincere i cittadini delle proprie buone ragioni, per poi agire di conseguenza una volta eletti; non significa rincorrere l’opinione pubblica in cambio di una poltrona. L’idea stessa di «opinione pubblica» è fuorviante, e andrebbe maneggiata con cura. La sinistra invece ne è diventata succuba, e scambia regolarmente il sismografo per il terremoto; come una mosca impazzita, sbatte contro il vetro dell'avversario senza accorgersi che tutt'intorno lo spazio è aperto. Il moderatismo e il radicalismo, le due malattie mortali della sinistra italiana, sono precisamente questo sbattere senza fine della mosca contro il vetro.

Il moderatismo del Pd ha paura di spaventare i «moderati», rincorre la Lega al Nord, nasconde i Radicali e archivia i Dico; il radicalismo dell'Arcobaleno si trincera dietro una serie estenuante di no. Entrambi sono figli del Pci di Berlinguer, che dapprima annacquò il profilo programmatico fino a renderlo indistinguibile da quello di Andreotti, nel tentativo di cancellare l’appartenenza, seppur su posizioni critiche, all’universo sovietico; e che poi, fallita la «solidarietà nazionale», si rifugiò nel fondamentalismo ecopacifista e finì col condividere fin nei dettagli la politica estera di Breznev. Da allora, la sinistra ha sempre oscillato e si è sempre divisa fra il tentativo di cancellare il colore di una pelle di cui si vergogna, e l’esibizione rancorosa della propria impotenza.

Eppure non è così difficile, nel mondo, essere di sinistra, «essere sinistra». Lasciamo da parte Blair, che è stato a lungo indicato come modello e che nel frattempo se ne è andato in pensione senza che una sola delle sue idee trovasse ospitalità nella prassi della sinistra italiana. Guardiamo a Zapatero. Il suo straordinario successo elettorale non si deve a una complessa alchimia di alleanze moderate o a un cambio di nome, ma, più semplicemente, all’aver rifondato una sinistra per la Spagna, e all’aver convinto gli spagnoli che quella sinistra avrebbe governato (cioè interpretato) la contemporaneità meglio della destra.

Il centrosinistra italiano in sette anni di governo non è stato capace di legiferare sulle unioni civili, sulla libertà di ricerca scientifica, sul conflitto d'interessi, sulle droghe leggere, sulla procreazione assistita, sulla liberalizzazione dell'accesso alle professioni… In compenso i conti pubblici sono un po’ meno in disordine, mentre quelli delle famiglie non quadrano più. Nulla di ciò che segna oggi l’idea e il concetto di sinistra è stato fatto dalla «sinistra» italiana. In particolare, il campo cruciale delle libertà individuali e dei diritti civili è stato congelato in nome di un malinteso rapporto con il mondo cattolico, dimenticando che la sinistra ha sfondato al centro, negli Anni Settanta, grazie alle battaglie sul divorzio e sull'aborto.

Se non si comincia da qui, cioè dalla definizione di un un’identità radicata nella tradizione e capace di fruttificare nel presente, la sinistra, nonostante abbia persino smesso di chiamarsi così, continuerà a perdere. Fra l’originale e una confusa contraffazione, non è difficile scegliere l’originale.

Paralizzata fra il rifiuto della modernità e l’esaltazione dei suoi aspetti più stupidi, la sinistra dovrebbe invece fermarsi a riflettere, riordinare un po’ le idee, convincersi che il Pci non c’è più (e neppure la Dc), che il mondo non ha bisogno di essere cambiato ma, finalmente, interpretato, e che soltanto fidandosi di se stessa potrà sperare di convincere gli italiani a fidarsi di lei.

Francamente, non so se Veltroni abbia il tempo, la voglia, la capacità o l’interesse a compiere un’impresa del genere. Ma fra i tanti effetti collaterali della disintegrazione della sinistra in Italia c'è stata anche, com’è noto, la disintegrazione sistematica dei suoi leader. Veltroni è l'ultimo: non ci sono alternative, né ruote di scorta. Dunque tocca a lui, e speriamo che ce la faccia.

da lastampa.it


Titolo: Lalla Trupia e Raffaele Porta*
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2008, 07:29:58 pm
Lalla Trupia

A Vicenza vince il Sindaco che ha detto no al Dal Molin


Dopo tanti giorni amari oggi sono felice. Nella mia città,Vicenza,anche se per una manciata di voti, vince il candidato Sindaco del centrosinistra,Achille Variati.  Solo due settimane fa alle elezioni politiche il voto dei vicentini premiava con cifre da capogiro la Lega  Nord e la vittoria del centrodestra appariva schiacciante.
Oggi invece comincia un altro giorno ed è lecito tornare a sperare dopo le tante amarezze e le cocenti delusioni di queste settimane.
Questa vittoria “sudata e difficile” non viene dal niente.  Da quasi due anni questa città è in mobilitazione permanente contro la realizzazione della seconda base militare americana Dal Molin.  Una mobilitazione straordinaria e tenace che ha  costruito forme inedite di partecipazione e suscitato passione civile fuori dalle sedi tradizionali dei partiti,coinvolgendo tanti cittadini,tante donne e soprattutto tanti giovani lontani dalla politica attiva.
Achille Variati ha avuto il coraggio di dire NO fin dall’inizio a questo progetto insensato ,anche contro il parere del suo partito –il PD – e questa scelta autonoma gli ha portato in dote quella autorevolezza e  quella fiducia che l’hanno sicuramente aiutato a vincere.
Nei giorni antecedenti al ballottaggio  si è pubblicamente impegnato davanti alla città a favore di un Referendum cittadino sulla  realizzazione della base sempre negato dalla precedente Amministrazione di centrodestra, impegnandosi così a sanare la ferita inferta alla nostra comunità da una decisione presa dall’alto e con arroganza da Berlusconi prima e da Prodi poi.
I cittadini hanno negato la fiducia al centrosinistra a livello nazionale,perché lo considera lontano dagli interessi e dai bisogni di questa comunità,ma gliel’hanno ridata dopo pochi giorni perché è apparso vicino alla sua comunità locale con Achille Variati.
Questa vittoria elettorale dimostra dunque che è possibile cambiare il corso delle cose se la politica torna tra la gente e ne rappresenta le speranze.
Anche in una piccola città del NordEst,considerata  perduta per sempre da troppi nel centrosinistra,a cominciare dal Governo Prodi,è possibile cominciare una storia nuova.
Se  Variati ha vinto è anche perché la candidata del centrodestra era poco amata e imposta da Galan; ma soprattutto perchè tutte le Sinistre gli hanno dato il loro voto: la lista civica dei NO Dal Molin e la Sinistra L’Arcobaleno.  E hanno fatto la differenza. Un voto utile dunque alla vittoria del Centrosinistra a Vicenza.  Da una piccola realtà  può trarre  un grande insegnamento chi, facendo un’altra scelta, quella  di scaricare la Sinistra, ha consegnato inevitabilmente l’ Italia al centrodestra.
Il voto di Vicenza, sull’onda di una grande battaglia popolare per la pace, dice semplicemente che si vince solo con la Sinistra e con la forza della partecipazione .


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Raffaele Porta*


Adesso tocca a Sinistra Democratica
La più significativa e preoccupante conseguenza del voto del 13 e 14 aprile - prima ancora dell’assenza nel prossimo Parlamento di una forza dichiaratamente di sinistra -  è stata la schiacciante vittoria della destra. Una destra nè moderata nè conservatrice di stampo europeo, ma  semplicemente populista. La lunga transizione politica, iniziata nel nostro paese con tangentopoli ed il dissolvimento dei tradizionali partiti di massa alla fine degli anni ’80, se non può dirsi terminata, sembra essere comunque giunta in prossimità di una sua probabile chiusura. Appare pertanto semplicistico qualsiasi schema interpretativo del risultato delle recenti elezioni se non si scava in profondità per comprendere quali processi economici, culturali e socio-politici hanno determinato la chiusura “a destra” di un lungo periodo di transizione caratterizzato dai crescenti fenomeni di globalizzazione, precarizzazione e frammentazione sociale.
Dalla seconda metà degli anni settanta il modello keynesiano, che aveva coniugato la crescita e lo sviluppo con il benessere delle comunità, è stato via via sostituito, e non solo nel nostro paese, da un modello in cui l’economia non è stata più governata  dalla politica. Le leggi del mercato hanno da allora preso il sopravvento e l’aumento del PIL ha sempre più rappresentato il principale parametro di una crescita e di uno sviluppo indistinti. Perchè il PIL da solo non misura il benessere di uomini e donne né la loro qualità di vita. Infatti, parallelamente al PIL è spesso cresciuta anche la miseria e si è ampliata la forbice tra ricchi e poveri e tra i vari nord e sud.
In questi anni sono profondamente mutate nel nostro paese identità personali e collettive. E’ cambiato sia il senso di cittadinanza che di appartenenza. Il dato politico è che venti anni fa, dalle elezioni del giugno del 1987 emersero ancora due grandi blocchi. Il primo, rappresentato dalla forza elettorale della DC che raggiunse ancora in quell’anno il 34.3% dei consensi. Il secondo, concentrato nei due partiti di sinistra, il PCI ed il PSI, che superarono insieme il tetto del 40.8% dei voti. Oggi il PD, - che analogamente alla DC si configura come un partito interclassista di centro (che guarda a sinistra?) - raccoglie un consenso simile a quello della DC (33.7%), mentre la sinistra è scomparsa ed ha preso il suo posto, con oltre il 50% dei voti, un blocco di partiti di centrodestra di cui un soggetto politico, la PDL,  rappresenta una destra populista capace di concentrare su di sé oltre il 38% dei consensi. C’è chi parla di una vera e propria mutazione antropologica avvenuta nel nostro paese negli ultimi vent’anni. Veltroni oggi dichiara che l’imprenditore è un lavoratore come gli altri, anzi un lavoratore che rischia. Montezemolo gli fa eco rispondendo che i lavoratori preferiscono l’impresa ai sindacati. L’uno definisce “ambientalisti del no” gran parte degli ecologisti. L’altro apostrofa i sindacalisti quali “professionisti del veto”. Entrambi reclamano un paese nuovo, più veloce, un paese capace di crescere, cioè di far crescere il PIL. La Lega Nord, che presenta il più vecchio simbolo sulla scheda elettorale (sic!), sfonda nelle roccaforti storiche delle lotte sindacali e del movimento operaio organizzato, dove sono in atto profonde ristrutturazioni, e finanche in Emilia (7.1%). Al voto dei qualunquisti e dei protestatari la Lega aggiunge e consolida anche quello di tanti lavoratori abituati a far valere i propri diritti.
La sinistra, cancellata dal Parlamento, non ha avuto alcuna preventiva percezione della disfatta alla quale stava andando incontro probabilmente perché non ha compreso cosa è avvenuto nel nostro paese e, quindi, non ha capito i bisogni, le richieste e le paure di coloro che avrebbe voluto rappresentare. La Sinistra Arcobaleno è apparsa una sinistra “artificiale”. Un cartello elettorale, e non un soggetto politico in grado di dare risposte, che ha eccessivamente confidato in certezze identitarie che avrebbero dovuto garantire una “resistenza” che non c’è stata. La separazione consensuale delle forze del vecchio centrosinistra, la delusione del governo Prodi, il desiderio catartico di opposizione e l’eccessiva fiducia in un ormai inesistente zoccolo duro, hanno avuto l’unico effetto, alla fine, di far considerare “inutile” il voto alla Sinistra Arcobaleno il 13 e 14 aprile. 
Ed allora che fare. Il PdCI è andato. I Verdi rischiano di evaporare. Concordo con quanti dicono che non possiamo attendere passivamente che Rifondazione Comunista svolga il proprio congresso… per poi decidere. C’è chi lo pensa. Io penso che limitarci a tifare per Vendola non serva a molto perché Vendola non andrà al congresso con una mozione che prevede lo scioglimento di Rifondazione. Ed allora, mi chiedo, se Vendola vincerà il congresso cosa accadrà? Scioglierà il partito dopo? Dopo aver vinto il congresso ed essere diventato segretario? Certo che no. Ed allora? Ed allora è possibile che chiederà a chi è fuori di costruire all’interno di Rifondazione la nuova sinistra. E’ questo che vogliamo? E se invece Vendola perde… cosa accadrà? O se invece lo scontro in atto, cosa molto probabile a mio avviso, si trasformerà in mediazione? Insomma tutto questo mi convince che non possiamo e non dobbiamo attendere. E mi convince che il movimento della Sinistra Democratica può avere  un ruolo da svolgere se non apparirà più come un soggetto politico“virtuale”, come qualcuno ci ha definito in campagna elettorale, e se da subito si farà promotore di una costituente della sinistra partecipata dal basso e guidata da un nuovo gruppo dirigente.

*Coordinatore Regionale della Campania



da sinistra-democratica.it


Titolo: Sinistra democratica che fare? - Cesare Salvi-Massimo Villone
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2008, 11:26:23 pm
Sinistra democratica che fare?

Cesare Salvi-Massimo Villone


Dopo la pesante sconfitta del 13 e 14 aprile, è ineludibile la domanda: serve ancora Sinistra democratica? Noi pensiamo che possa servire, perché c’è in Italia uno spazio politico, sociale e culturale a sinistra del Pd, e perché in campagna elettorale i quadri e i militanti di Sd hanno mostrato di esserci, numerosi e combattivi. Per rilanciare l’iniziativa di Sd, bisogna però recuperare due elementi centrali nella nostra originaria proposta, - la cultura di governo e l’identità socialista - abbandonati nei successivi drammatici mesi, e bisogna dare una struttura, leggera e democratica, al nostro movimento.

Il 5 maggio dell’anno scorso parlammo (tra l’altro) di una «sinistra di governo». Questa non c’è stata nell’ultimo biennio, e non per nostra responsabilità. Sia ben chiaro, non parliamo di una sinistra che voglia governare ad ogni costo, e che subordini tutto alla conquista e al mantenimento del potere.
Questa è stata la strada seguita dalla maggioranza dei Ds prima e dal Pd poi. Ha portato anche loro a una pesante sconfitta. Parliamo di una sinistra che parta dai suoi ideali e dai suoi valori, e da una cultura critica del mondo in cui viviamo. Ma che sappia tradurre gli uni e l’altra anzitutto nel radicamento nella società, in secondo luogo in concrete indicazioni per il cambiamento, infine in una credibile proposta politica, a partire dalle alleanze (politiche e sociali). E si ponga quindi l’obiettivo di costruire un nuovo centro-sinistra.

Seconda questione. Ci siamo chiamati «Sinistra democratica per il socialismo europeo». Ma la seconda parte del nostro nome è scomparsa. Va ripresa e rilanciata. Anche perché esiste in Italia un mondo socialista (una cultura politica, e un elettorato potenziale) certamente non limitato allo zero virgola qualcosa per cento. È possibile che affermare la nostra identità socialista ponga un problema a una parte delle forze con cui va costruito il nuovo partito della sinistra. Ma questa difficoltà non è una ragione sufficiente per rimuovere il tema. Anche perché sarebbe riduttivo chiamarsi socialisti solo per definire un’identità o un’appartenenza organizzativa. Socialismo oggi vuol dire porre il tema del governo, nei termini che abbiamo cercato prima di indicare sommariamente. Del resto, se stessimo in un altro paese europeo saremmo nel partito socialista di quel paese, e ne costituiremmo l’ala sinistra.

Infine, il percorso delle prossime settimane. Dobbiamo assumere scelte politiche di fondo, e le conseguenti iniziative nel Paese e verso gli altri partiti della sinistra; decidere il necessario rinnovamento del gruppo dirigente; assicurare la presenza nel territorio.

L’idea che sarebbe stato inutile, anzi dannoso, darsi un minimo di regole e di struttura (per evitare di fondare un nuovo «partitino») si è rivelata alla prova dei fatti un’illusione. L’illusione di avere più tempo, e l’illusione che comunque il nuovo soggetto politico della sinistra (unitario e plurale) era a portata di mano. Così non è stato e non è.

Per questo riteniamo che Sinistra democratica deve darsi da subito una struttura, leggera e democratica. Come farlo?

Fra le molte promesse mancate di Sinistra Democratica troviamo di certo quella di un nuovo modo di far politica. La critica alla riduzione oligarchica dei processi democratici, alla mancanza di partecipazione da parte di iscritti e militanti, alla assunzione di decisioni in sedi ristrette e poco trasparenti era stata per molti decisiva nella scelta di uscire dai Ds con l’ultimo congresso. Pensavamo che nel Pd non sarebbe andata meglio. Anche per questo abbiamo scelto un’altra strada. Ma quella che abbiamo preso non ha realizzato le speranze.

Pensiamo che, dopo la catastrofe del voto, la musica debba cambiare. Abbiamo affrontato una campagna elettorale difficilissima. Compagne e compagni in tutto il paese si sono battuti fino all’ultimo, per un risultato che diventava ogni giorno più difficile. Ora, dopo il terremoto, a loro dobbiamo rivolgerci perché indichino la strada da seguire e scelgano il nuovo gruppo dirigente.

Per questo non ci persuade l’idea di tornare al Comitato promotore, perché elegga un altro coordinatore, che formi una nuova presidenza, che apra un dibattito dai contorni e delle modalità imprecisate. Il Comitato promotore era ed è in buona parte diretta filiazione del congresso Ds. Doveva avere una funzione transitoria, e per questo il nostro Statuto provvisorio - consultabile sul sito - gli assegna esclusivamente il compito di «lanciare la fase di adesione al Movimento». Quella fase è alle nostre spalle. È giusto e corretto che a partecipare e a decidere le scelte di oggi siano le compagne e i compagni che oggi, qui ed ora, hanno fatto o confermato le loro scelte e sono scesi in campo.

Proponiamo un altro percorso per Sd. Un percorso innovativo, un pezzo di riforma della politica. Convocare al più presto assemblee territoriali, per esempio a livello provinciale, di tutte le compagne e i compagni che hanno aderito a Sd, hanno partecipato alla campagna elettorale, e intendono proseguire il loro impegno nel nostro Movimento. Assemblee aperte a tutti quelli che a sinistra volessero partecipare e contribuire. Assemblee che sarebbero per noi l’equivalente di una grande primaria democratica sul progetto, perché convocate per discutere di politica, e non per l’elezione plebiscitaria di un leader. E che, sulla base della discussione politica, eleggano i propri rappresentanti per una grande Assemblea nazionale chiamata a decidere, entro giugno, sulla linea politica e sul nuovo gruppo dirigente nazionale.

Noi e la sinistra abbiamo bisogno di cambiamento vero. E non possiamo consentirci altri errori. Il primo errore sarebbe non dare la parola, per decidere davvero, a tutti coloro che si sono guadagnati sul campo tale diritto.


Pubblicato il: 30.04.08
Modificato il: 30.04.08 alle ore 8.14   
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Titolo: Dobbiamo fare presto, abbiamo bisogno di un gruppo dirigente rinnovato
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2008, 06:15:16 pm
Massimo Mezzetti

Dobbiamo fare presto, abbiamo bisogno di un gruppo dirigente rinnovato


Ho letto con interesse l’intervento a doppia firma Salvi-Villone apparso su l’Unita’ e su questo sito. Condivido molti passaggi presenti nella prima parte del loro articolo, laddove viene indicata una possibile direzione di marcia da assumere dopo le sconfitte elettorali di queste settimane. Da parte mia ho gia’ proposto un mio modesto contributo nei giorni scorsi. Abbiamo ancora molto da approfondire in termini di conoscenza e analisi rispetto alle trasformazioni profonde che questo Paese ha subito in anni e anni, in termini culturali prima ancora che politici. Se manchiamo questa analisi, rischiamo di esercitarci ancora una volta in una discussione autoreferenziale tutta incentrata su formule politiche astratte, su alchimie organizzative e diatribe su gruppi dirigenti che non affondano la loro ragion d’essere sulla realta’ che dobbiamo “aggredire”. Mi ha fatto inoltre piacere cogliere, in particolare in Salvi, che ha condiviso in un ruolo di assoluto primo piano le responsabilita’ delle scelte e degli orientamenti assunti nel corso di questi mesi da Sinistra Democratica, un’autocritica – seppure non esplicitata in questo modo – riguardo all’appannamento della nostra mission originaria intervenuto nel corso di questo anno di vita del movimento. Cosi’ come riguardo alle “molte promesse mancate di Sinistra Democratica tra cui quella di un nuovo modo di far politica. La critica alla riduzione oligarchica dei processi democratici, alla mancanza di partecipazione da parte di iscritti e militanti, alla assunzione di decisioni in sedi ristrette e poco trasparenti…”.
Ora si tratta di capire come, con la consapevolezza degli errori compiuti e con un’assunzione di responsabilita’ collettiva, usciamo fuori dalla palude in cui si e’ cacciato tutto l’ex centro sinistra e come noi, Sinistra Democratica, possiamo dare un contributo in questa direzione.
Non c’e’ dubbio che, una volta compreso che “razza” di Paese abbiamo davanti a noi, la prima cosa a cui dobbiamo dare risposta e che dobbiamo definire e’ il progetto politico in cui dobbiamo incardinare la nostra strategia. Strategia che non puo’ non essere volta a recuperare, da una parte, un rapporto ed un radicamento con il territorio e i suoi concreti bisogni – senza produrci pero’ in una nuova “retorica del territorio” – e, dall’altra, la capacita’ di costruire alleanze politiche.
Il 13 e 14 aprile gli elettori hanno sancito la definitiva sconfitta di due diverse idee di autonomia, quella del Partito democratico e quella di una sinistra antagonista e d'opposizione.
La pesante e netta sconfitta elettorale subita dalla Sinistra Arcobaleno non deve pero’ far dimenticare quanto di buono, pur nelle difficolta’, e’ stato costruito in molte parti d’Italia nel corso di una campagna elettorale in cui le compagne e i compagni di Sinistra Democratica si sono spesi con il massimo impegno mettendosi a disposizione non di un cartello elettorale, ma di un’idea e di un progetto, per la Sinistra e per l’Italia.
Lo spirito che ha animato tanti comitati elettorali e tante compagne e compagni che, pur provenendo da percorsi politici diversi, si sono riconosciuti nel processo costitutivo di una sinistra nuova ci porta a chiedere con forza che parta subito una fase costituente per un soggetto forte e autonomo della sinistra italiana, in grado di concorrere a ricostruire le condizioni per una nuova alleanza di centrosinistra che è, ancora oggi, l’unica reale alternativa alla straripante avanzata delle destre e della loro egemonia culturale.
Chi dovra’ traghettare SD in questa direzione? Abbiamo sicuramente bisogno di un gruppo dirigente rinnovato non tanto e non solo in termini anagrafici – trovo abbastanza trita anche la “retorica generazionale” – ma perche’ espressione proprio di quanto si e’ stati in grado di costruire, pur fra mille difficolta’, sul territorio in questi mesi. Ma penso anche a personalita’ del mondo della cultura e del lavoro che si sono avvicinate a noi con tante speranze andate spesso anche deluse. E penso che, nelle forme, nei modi e nei tempi che insieme decideremo, Fabio Mussi dovra’ continuare a dare il suo contributo prezioso di idee e di cultura politica.
Chi dovra’ indicare le soluzioni organizzative – mi auguro agili ed efficienti – piu’ adeguate, ruoli di coordinamento e direzione politica del movimento? Concordo in linea teorica che il Comitato promotore nazionale non sia forse oggi l’organismo che meglio possa rappresentare la pluralita’ e la ricchezza di uomini e donne che miliatano in SD. Quell’organismo e’ rappresentativo di una delle sindromi di cui SD tarda ancora a liberarsi: quella di essere “corrente” di partito. Un partito “chioccia”, amato e odiato, che alla fine comunque garantiva, oltre che collocazioni politiche in rappresentanza delle minoranze, anche mezzi e risorse utili allo svolgimento dell’attivita’ politica. Una cosa che forse non abbiamo ancora compreso fino in fondo e’ che dobbiamo camminare con le nostre gambe, usare il nostro cervello e costruire il nostro futuro con le nostre mani.
Detto questo pero’, dico con franchezza che non mi convince l’ipotesi avanzata da Salvi e Villone. Anzi, sono contrario. Chiedo scusa a chi legge se trascendo, prosaicamente, nella “cucina” delle pratiche decisionali. In apparenza la proposta di assemblee provinciali che eleggono propri rappresentanti ad una assemblea nazionale – in definitiva e’ uno schema congressuale – e’ la piu’ logica e lineare. Ma non mi e’ chiaro quale e’ il criterio che assumiamo per la determinazione delle quote dei delegati e delle delegate, realta’ per realta’. Non abbiamo un’anagrafe certa e certificabile degli iscritti. Avevamo definito una quota minima di iscrizioni ma ogni realta’ ha messo in pratica criteri differenti con evidente disparita’ di “consegna” delle tessere.
Ho sentito dire che il criterio da assumere potrebbe allora essere quello di decidere le quote dei delegati in base ai partecipanti alle assemblee. Non scherziamo! Non commento neppure questa ipotesi. La democrazia congressuale ha bisogno di regole certe e rigorose. Nessuna furbizia.
Se proprio vogliamo fare perno sul territorio e sulle compagne e i compagni che hanno aderito a SD e hanno partecipato alla campagna elettorale, potremmo chiamare a decidere, piu’ correttamente e realisticamente e al termine di un percorso partecipato, tutti i coordinatori di SD regionali, provinciali e comunali, gli eletti e le elette a tutti i livelli istituzionali nel Paese, i parlamentari uscenti e quelli europei, i compagni e le compagne con incarichi nazionali. Non credo di sbagliarmi pero’, se dico che non ci discosteremo molto da quella che e’ l’attuale composizione del Comitato promotore nazionale.
Quello che credo, invece, e’ che dobbiamo fare presto perche’ abbiamo bisogno di rimboccarci subito le maniche e produrre una iniziativa politica forte ed incalzante. Dobbiamo in tempi rapidi costruire il percorso costituente “con chi ci sta” e tenerlo aperto nel Paese nei prossimi mesi con assemblee, incontri capillari nelle citta’, nei luoghi di lavoro, di studio. Dobbiamo fare nascere “Case della Sinistra” ovunque possibile. Dobbiamo puntare ad avere in autunno, in conclusione di questa prima “consultazione di massa”, un grande momento fondativo nazionale.  Guai se passasse l’idea che siamo in dismissione o, peggio, in vendita.

*Consigliere Regionale e Coordinatore SD dell’Emilia-Romagna



Titolo: Achille Occhetto. Alla sinistra del Pd
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2008, 06:39:27 pm
Alla sinistra del Pd

Achille Occhetto


C’è qualcosa di inquietante nel panorama politico che è apparso ai nostri occhi dopo che i fumi dei fuochi d’artificio della campagna elettorale si sono depositati sul terreno. Lo spettacolo a sinistra è desolante. La duplice sconfitta della cosiddetta “area radicale” e del progetto riformista moderato del Pd, ci consegna una lacerante divaricazione tra una sinistra che perde se stessa lungo la strada del moderatismo e una che si abbarbica alle antiche radici intese non già come linfa vitale di una rigenerazione ma come feticcio o, ancor peggio, come mera difesa di piccole rendite di posizione.

Tra questi due poli divaricanti dovrebbe collocarsi una nuova sinistra. Ma chiediamoci: esiste lo spazio politico ideale per questa nuova sinistra?
Una cosa è certa: la sinistra arcobaleno non è riuscita a rappresentare tale esigenza. In verità, non ci ha nemmeno provato. Sono venuti meno alcuni presupposti - una cultura di governo e l’accettazione dell’orizzonte ideale del socialismo europeo - che potevano rendere credibile quel tentativo. L’anelito verso la ricerca di una nuova frontiera, che ha contraddistinto l’impegno di Sinistra democratica e di un parte di Rifondazione, è stato contraddetto dai ritardi e dalle resistenze che di fatto hanno ridotto l’insieme dell'iniziativa a un mero cartello elettorale. Lo stesso vagheggiamento dell’opposizione per l’opposizione ha favorito la macchina micidiale del “voto utile” che ha spinto gran parte degli stessi elettori di Rifondazione comunista a votare per il Partito democratico.

In questa commedia degli equivoci è rimasto sconfitto tutto il centrosinistra, vittima delle reiterate azioni autolesioniste con le quali i vecchi gruppi dirigenti partitici hanno, in vari momenti e in vari modi, affossato il “Grande Ulivo”. Ora, cosa possiamo fare?
Per debellare il male oscuro che ha paralizzato le diverse coalizioni di centrosinistra occorrerebbe superare alla radice l’idea nefasta delle due sinistre, una di governo e l’altra di opposizione. I due capisaldi - cultura di governo e identità socialista - chiamano in causa una sinistra che sappia superare la divisione tra riformisti e sinistra radicale, che sia ferma nei principi, ma di governo. Una simile sinistra non sta al governo ad ogni costo, ma non sta nemmeno ad ogni costo all’opposizione. Svolge il proprio ruolo - quello che le è stato affidato dai cittadini - con la medesima cultura di governo.

Tuttavia qualcuno potrebbe ancora obbiettare: al di là delle ragioni della politica, quali sono le ansie, i problemi, le rivendicazioni che potrebbero definire, sia pure a grandi linee, lo spazio di una nuova formazione politica?
Credo che per rispondere in modo compiuto - e non solo politicistico - a questi interrogativi, occorrerebbe ridefinire il terreno sociale ed economico sul quale si manifestano le contraddizioni del nuovo millennio. Ciò richiederebbe, come ciascuno può ben comprendere, una ricerca di ampio respiro. Tuttavia non intendo esimermi dal sottolineare alcuni temi di scottante attualità che contraddicono la cultura dominante neoliberista. Quella cultura che è la matrice di tutte le teorie tendenti a dichiarare morto e sepolto il mondo del lavoro salariato, inesistenti le contraddizioni - vecchie e nuove - interne al modello di sviluppo capitalistico, assurdamente palingenetiche le richieste di un rinnovamento radicale delle società attuali, al punto tale da rendere obsoleta, se non risibile, l’esistenza stessa di una sinistra alternativa.

In realtà tutto ci dice che siamo di fronte a una nuova fase critica del capitalismo su scala mondiale. Mutano i soggetti e la forma delle contraddizioni, ma rimane la sostanza della critica.
Prima considerazione. Il mondo del lavoro.
I dati parlano chiaro e in modo agghiacciante. Quando Marx era celebrato, copiato, vezzeggiato e usato da quasi tutta la cultura mondiale, i lavoratori salariati erano solo cento milioni. Adesso che l’intellettualità, cosiddetta moderna, si fa beffe dell’idea stessa dell’estensione del lavoro salariato, i lavoratori salariati sono passati da cento milioni a due miliardi.

Seconda considerazione. Di questi due miliardi una parte rilevante è costituita da un miliardo e mezzo di nuovi lavoratori globali aventi diritti e salari minimi e mezzo miliardo di lavoratori dei paesi sviluppati aventi diritti e salari elevati. Terza considerazione. Si ripropone in una forma nuova la tesi di Marx sulla funzione dell’“esercito industriale di riserva” (i disoccupati) nel determinare contraddizioni interne al mondo del lavoro e indebolire l’azione degli occupati per più alti salari e per la difesa dei diritti sindacali.
In tale contesto, la stessa flessibilità, oltre a trasformare la precarietà nel lavoro in precarietà di vita, contribuisce alla frammentazione delle classi lavoratrici e delle loro forme associative.

Questa immane lotta tra i poveri su scala planetaria reca con sé nuovi conflitti sociali all’interno del popolo, determina una concorrenza cieca e senza esclusione di colpi di cui si alimentano tutte le nuove contraddizioni: da quelle legate agli attuali biblici movimenti migratori, ai temi stessi della sicurezza, su cui si fonda la scissione, anche nel voto, dello stesso operaio, tra la sua figura di produttore (che risponde ai sindacati) e quella di cittadino (che sente il richiamo della destra sui temi dell’immigrazione e della sicurezza).

Un altro terreno su cui mutano i soggetti e la forma delle contraddizioni, ma non la sostanza della critica all’attuale stato di cose, è quello ecologico. Anche questo è un tema che è diventato banale, fino a sfumare in un conformismo riformistico che si infrange impotente contro le alte scogliere delle cittadelle fortificate dell'attuale modello di sviluppo. Ciò avviene perché non si è ancora compreso che occorre ripensare la nozione stessa di progresso, dal momento che viviamo le laceranti contraddizioni tra la necessità di uno sviluppo allargato all’intera umanità e l’esigenza della difesa della natura e dell’equilibrio ecologico del pianeta; tra tecnologia e occupazione; tra internazionalizzazione dei processi produttivi e accentramento delle sedi di decisione e di controllo; tra sovranazionalità e particolarismi e conflittualità etniche e religiose.

E che dire del tema capitale su cui è nata la sinistra mondiale, quello della giustizia? Ormai tutti possono vedere che la più grande ingiustizia che sconvolge la comunità umana è il divario pauroso tra la ricchezza di pochi e l'abissale povertà della maggioranza degli uomini. Come non cogliere che tutto ciò non lo si risolve con la carità redistributiva - che pure è insufficiente - ma chiama in causa l’organizzazione economica e sociale, i modelli produttivi, di vita e di consumo, dei paesi più ricchi?

Chi rappresenta tutto questo? Chi darà voce al mondo dei salariati, dei precari, ai nuovi soggetti figli dei drammi del nostro tempo?
Ho visto che alla notizia della scomparsa della sinistra “radicale” dal Parlamento, alcuni commentatori si sono chiesti attoniti: ma ora chi rappresenterà le tensioni sociali? Correremo il rischio di manifestazioni violente? Il problema è ben più ampio. C’è da rappresentare un universo in movimento. Questo universo plurale e articolato non può essere compiutamente espresso né dalla sinistra radicale né da un riformismo pallido e appannato. Ci vuole una forza animata da una effettiva cultura di governo. Ma che abbia nello stesso tempo il senso e la dignità di un progetto autonomo.

Ho più volte affermato di non avere alcuna nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra e di non avere nemmeno alcuna prevenzione verso la formazione di un nuovo partito democratico, che si inscrivesse nell’area della sinistra, capace di fondere, attraverso una effettiva contaminazione ideale e politica i diversi riformismi della tradizione politica italiana. Ma a mio avviso si è scelta una scorciatoia sbagliata. Sarebbe stato meglio meno ma meglio.
Quella ipotesi infatti, a mio parere, doveva essere favorita dal formarsi di una grande coalizione - soggetto politico - nella quale ogni componente, pur mantenendo, almeno all’inizio, la propria identità di partenza, fosse tuttavia ispirata dalla medesima tensione ideale e morale verso una politica profondamente rinnovata.

Era l’idea della Carovana. Il “Grande Ulivo” incominciò a incarnare quella idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad una effettiva esperienza unitaria di base.
La rottura di quella esperienza perpetrata nel nome del primato dei vecchi partiti è stata un vero e proprio delitto politico. La formazione di un partito democratico che è rimasto isolato nel campo, ormai deserto, del vecchio centrosinistra ha fatto il resto. Rimane tutto intero il problema della rappresentanza politica di grandissima parte delle tensioni e delle aspirazioni che attraversano la nostra società.

In questa situazione abbiamo davanti a noi due strade da percorrere. La prima è quella di dar vita, tra il Pd e le componenti residuali di una vecchia sinistra radicale, ad una nuova formazione politica che, muovendosi all’interno dell’orizzonte ideale del socialismo europeo, vada oltre le antiche appartenenze. Si tratterebbe di un’opera immane, che oltretutto sarebbe costretta a muoversi contro il senso comune semplificatorio che sta infuriando alla cieca sul sistema politico italiano. La semplificazione - da me più volte invocata - rispetto al proliferare di partitini che non hanno alcuna ragione storica al di fuori dell’autovalorizzazione dei loro apparati, è un conto; altro conto è l’autentica rappresentanza di un imperativo di riscatto morale e ideale che sale da una parte rilevante delle moderne società sviluppate. Se non ci poniamo il problema di questa ineludibile “rappresentanza”, tutto il sistema politico italiano rischia di precipitare in una crisi irreversibile e la stessa gigantesca opera compiuta dopo la Liberazione da Togliatti e da De Gasperi per far uscire le masse popolari italiane dal sovversivismo endemico di cui erano ancora prigioniere, verrebbe vanificata.

Queste osservazioni mi suggeriscono l’ipotesi di un modello flessibile, insieme unitario e articolato. Un modello che si proponga l’obiettivo di costruire un nuovo centrosinistra.
Qualcuno ha anche suggerito di riorganizzare la sinistra di cui sto parlando all’interno del Pd.
Non mi faccio il segno della croce: anche questa seconda ipotesi potrebbe essere presa in considerazione. Tuttavia è da escludere un innesto di sinistra all’interno dell’attuale impostazione organizzativa, oltre che ideale e politica, del Pd. Anche in questo caso occorrerebbe un modello flessibile, insieme unitario e articolato. Qualcosa che sia una sintesi più alta tra l’attuale Partito democratico e l’esperienza del “Grande Ulivo”. Ma anche tale ipotesi richiederebbe un ripensamento collettivo delle prospettive strategiche dell’insieme dell’area di centrosinistra.

Lo stesso Pd, o ha un’ipotesi che riguarda l’insieme delle forze di centrosinistra, oppure da solo, come si è visto, non va da alcuna parte. Il gruppo dirigente del Pd, invece di pensare di reclutare, dopo la comune sconfitta di tutto il centrosinistra, piccole pattuglie di sbandati, dovrebbe avere la forza politica e morale dei momenti storici cruciali. Una forza che non si affida alle rese dei conti dentro la nomenclatura, che lasciano il tempo che trovano, ma che si pone il problema effettivo di un ripensamento generale.
Ciò comporterebbe la decisione di dar vita a una seconda costituente del Partito democratico e del nuovo centrosinistra.

Tuttavia in entrambi i casi, sia in quello dell’immediata formazione di un nuovo partito di sinistra, sia in quello di una flessibile e articolata ricostruzione del “Grande Ulivo”, non si potrà prescindere dalla presenza di una grande sinistra democratica e popolare.

Pubblicato il: 08.05.08
Modificato il: 08.05.08 alle ore 11.45   
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Titolo: Mussi. Tutti i nostri errori Il primo 5 anni fa
Inserito da: Admin - Maggio 12, 2008, 09:49:50 pm
Mussi

Tutti i nostri errori Il primo 5 anni fa

«Nel 2003 non abbiamo dato risposte ai movimenti. In campagna elettorale abbiamo fatto un gioco delle parti con Veltroni. Ma un tentativo ancora va fatto. Alle europee». Il 26 luglio di due anni fa Fabio Mussi, ministro della ricerca da un paio di mesi, minacciò le dimissioni di fronte al taglio delle risorse per l'università deciso dal collega Padoa Schioppa. Adesso, che sta portando via le ultime cose dallo studio all'Eur che da stasera sarà di Mariastella Gelmini, ripensa a quel passaggio, «forse avrei fatto bene a dimettermi, questi due anni sono stati terribili, la sinistra era sottorappresentata al governo e noi ministri dell'arcobaleno abbiamo dovuto combattere su troppi fronti». Il risultato del 14 aprile, che ha colto Mussi in piena convalescenza da un'operazione che lo ha tenuto via dalla campagna elettorale, dimostra che i ripensamenti sono tutti utili: «E' stato un catastrofico fallimento».
E' passato un mese dalle elezioni, nella sinistra arcobaleno sono partite le ostilità fratricide ma non la riflessione sul tracollo. Incapacità o incoscienza?
Il fatto è che quello di aprile è stato un risultato epocale, richiede un'analisi complessa. Si è chiusa una fase iniziata nel 1992-93 quando il quadro politico della Repubblica si era ricomposto con i nuovi partiti eredi della Dc e del Pci. E' iniziata allora una lunga partita a scacchi rimasta per 15 anni sostanzialmente in equilibrio. Quando aveva vinto Berlusconi era andato in crisi subito, Prodi era durato due anni, poi i governi D'Alema e Amato, poi il 2001 con Berlusconi che resta in sella cinque anni ma cambiando ministri in continuazione e con una forte opposizione sociale, offrendo comunque una senso di instabilità. E poi la nostra vittoria illusoria di due anni fa, come solo adesso riconosce Veltroni.
Dice «abbiamo fatto finta di avere vinto», perché allora non c'era il Pd.
Falso, l'ipotesi del Pd era già fortemente in campo. E se con il discredito internazionale di Berlusconi, le leggi vergogna, la crescita zero si vinse per 24mila voti era il caso di preoccuparsi. Ed ecco il risultato del 2008 che è un vero finale di partita. Il lungo tira e molla durato 15 anni si è concluso con un deciso spostamento a destra. Non c'è mai stato un parlamento così clericale in Italia. Il paradosso è che il Pd era partito alla conquista dell'America ma si ritrova come il Pci: sostanzialmente senza prospettive, chiuso. E senza il radicamento sociale, la forza intellettuale e i legami internazionali del Pci. Ha assorbito i radicali, portato via la metà degli elettori di sinistra ma ha solo 100mila voti in più della somma di Ds e Margherita. Arriva al 33% perché c'è stato un calo dei votanti.
Parliamo invece del 3% della sinistra arcobaleno.
Non sfuggo, dico anzi che il nostro tentativo è stato tardivo e pasticciato e per questo fallimentare. Vorrei però cercare le cause alla loro origine, il ritardo è di molti anni. Tra il 2001 e il 2003, da Genova al social forum di Firenze, l'Italia partecipò non poco a quella che il New York Times definì la seconda superpotenza mondiale. Il movimento pacifista e alteromondista si sommò alla crescita del movimento sindacale sui diritti dei lavoratori, i 3 milioni per l'articolo 18. Poi l'opposizione a Berlusconi, i girotondi. C'era una battaglia politica forte nei Ds. E la sinistra ha lasciato passare quella fase senza riuscire a dare a quei movimenti una rappresentanza politica minimamente adeguata. Stiamo parlando di cinque anni fa, non del secolo scorso.

Ad un'assemblea del manifesto nel gennaio 2005 tu invitasti a guardare anche oltre il 13% che era allora la somma delle forze di sinistra.
Da allora si è persa una quantità incalcolabile di battute. Ci sono state complicazioni, come Cofferati che appare come possibile leader e poi si ritira. Ma la sostanza è che c'erano le condizioni e non siamo riusciti a costruire qualcosa di diverso a sinistra. Perché? Perché ha prevalso la logica settaria delle appartenenze. La frammentazione, la competizione che in un certo momento può anche essere un elemento di forza, ma alla fine è diventato un peso mortale.
Ma il 2008 non dimostra il contrario, che l'unità improvvisata non paga?
Così certo: durante la campagna elettorale che ho seguito da un letto di ospedale capivo che ripetere sempre "non siamo un cartello elettorale" voleva dire il contrario, "siamo proprio un cartello elettorale". Da quando siamo usciti dai Ds nel 2007 sono cominciati mesi estenuanti, guardinghi. Ad ottobre il Pd ha fatto le primarie, con tutti i limiti ma ha chiamato 3 milioni di persone. La sinistra ha fatto una manifestazione, quando era il momento di fare un partito.
Due cose non in contraddizione.
E invece ci si è fermati subito. Ricordo la fatica per fare l'assemblea del 7 e 8 dicembre. Ricordo il sospetto reciproco sulla riforma della legge elettorale. Alla fine lo scioglimento delle camere ci ha colto in mezzo al guado.
Basta questo per spiegare il tracollo?
Non basta. Ricordo che a febbraio fui io a chiedere insistentemente un incontro della sinistra arcobaleno con Veltroni per non dare per morta la coalizione. E invece la decisione di rompere a sinistra era stata già presa. E' rimasta la sensazione di un gioco delle parti con il Pd, è sembrata una separazione consensuale. E invece bisognava inchiodare Veltroni su questo punto, spiegare che così consegnava il paese a Berlusconi.
E adesso ci potrà essere un rapporto con il Pd?
Sono per tenere aperta una porta per il centrosinistra. Ma adesso è il momento della lotta politica a denti sfoderati. Veltroni dice che le alleanze per le amministrative si decideranno caso per caso? Rispondiamogli che vada da solo. Sinistra arcobaleno può ancora essere determinante in molti luoghi. Ero per questa linea anche prima delle elezioni, non mi piaceva che Veltroni ci cacciasse dall'alleanza nazionale ma ci chiedesse di sostenere i sindaci del Pd. Dovevamo uscire subito dalle giunte, e poi ragionare.
E adesso come si fa politica fuori dal parlamento, come si fa l'opposizione a Berlusconi?
La prima cosa è riprendere la parola sulle questioni essenziali. La sinistra in questo momento è al mutismo. Due mesi di congressi rischiano di bloccare tutto. L'opposizione fuori dal parlamento sarà indispensabile, anche perché ho l'impressione che dentro ce ne sarà poca. E' tutto un cinguettio: dialogo, collaborazione. Sembra di stare nel mondo di Heidi. Legislatura costituente? Ma cosa. Rimettiamo in piedi il movimento che aveva promosso il referendum del 2006 per difendere la Costituzione.
E la sinistra arcobaleno intanto? Progetto bocciato, progetto archiviato?
Secondo me dobbiamo fare un altro tentativo. Uno. Non è immaginabile un parlamento con nessuno che si dice di sinistra. Il progetto va rivisto, è chiaro. Per fortuna nessuno ha particolare voglia di aderire alla costituente comunista di Diliberto. Una delle cose da rivedere è l'idea di non avere nemici a sinistra. Non tutta la sinistra può essere unita. Ma nessuno può pensare che di fronte al nuovo quadro con due, tre grandi partiti noi si possa restare sbriciolati in quattro, cinque piccole forze. Dobbiamo dare un segno di vita, e velocemente. L'anno prossimo, alle europee, va fatto il tentativo di una lista che si proponga come ponte tra le forze del socialismo europeo e le forze di sinistra alternativa.

da sinistra-democratica.it


Titolo: C'E' MOLTA PIU' SINISTRA DI QUANTO SI IMMAGINI
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2008, 04:21:19 pm
NON SERVE RINTANARSI CIASCUNO A CASA SUA.

C'E' MOLTA PIU' SINISTRA DI QUANTO SI IMMAGINI


Da due giorni è il nuovo coordinatore della Sinistra democratica. Quella che una volta si chiamava sinistra diesse. Ha preso il posto di Fabio Mussi che ha lasciato. Anche per ragioni di salute. Fra i tanti telegrammi che ha ricevuto, subito dopo la nomina, c'era anche quello di Veltroni. Segretario del piddì che lui conosce da tempo e che, anzi, dieci anni fa - quand'era segretario del pds - si spese molto perché lui dirigesse l'organizzazione di quel partito in Sicilia. Il telegramma di Veltroni ha dato il via ad una serie di supposizioni, che hanno trovato molto spazio sui giornali. Insomma, diversi commentatori pensano che quelle poche parole fossero il segnale di un possibile riavvicinamento.
E' così? Cosa nasconde quel telegramma?
Penso che sia un atto quasi dovuto, che fa parte delle norme di buona educazione politica, se così si può dire. Ma se proprio c'è un messaggio in quel telegramma, non credo che sia quello di cui hanno parlato i media...

Perché? Che cosa ci hai letto?
Forse erano la spia che anche fra le fila del piddì comincia a farsi strada la consapevolezza che con l'autosufficienza non si va da nessuna parte. Forse, la richiesta di un incontro da parte di Veltroni, comincia a rivelare che anche lì si stanno sgretolando le certezze sulla propria solitudine. C'è tutto questo e altro ancora.
Altro? Sempre in quelle poche righe?
Forse c'è anche l'ammissione che di qua, a sinistra, non c'è più solo un cartello elettorale. Certo dopo la sconfitta si sono prese strade diverse, alcuni mettono l'accento su strategie che puntano solo a ricostruire la propria identità ma ci sono anche tanti che puntano a ricostruire un'idea di sinistra. Che sappia superare la tragedia del voto. E con la quale tutti dovranno misurarsi.
Tragedia del voto. Tu come la spieghi?
Col fatto che gli elettori hanno punito il nostro deficit di verità. Parlavamo di nuovo soggetto ma in realtà abbiamo proposto un cartello elettorale, che ha mostrato il lato peggiore della sinistra. Siamo stati percepiti come una somma di apparati che divideva per quattro ogni istanza, ogni spinta dal basso. Ogni passione.
Vuoi dire che ti spieghi quel 3 per cento solo con gli errori della campagna elettorale?
Ovvio che non è così. Il problema viene da più lontano. Quando ti dicevo che c'è stato un deficit di verità mi riferivo anche ad un'analisi mancata. Alla nostra incapacità - di tutti noi - a fare i conti con un linguaggio, con categorie politiche che sono state percepite come vecchie. Antiche. Non sapevamo cosa fosse diventato questo paese e abbiamo fato finta di nulla. E invece dobbiamo proprio partire da discorsi di verità se vogliamo ricostruire la sinistra. Una sinistra che sia percepita come utile.

Utile, dici. Alla vostra ultima assemblea quest'aggettivo è stato sempre accompagnato dalla frase: «e di governo»...
Prima che formuli la domanda ti prevengo. E ti dico che trovo ridicola la contrapposizione fra chi è un teorico dell'opposizione e chi un sostenitore del governo. Contrapposizione falsa. La sinistra c'è e ci sarà se, in nome e assieme a chi vuole rappresentare, sarà in grado di trasformare questo paese. Se sarà in grado di progettare una trasformazione, di modificare lo stato delle cose presenti. E se questo è l'obiettivo, non ha senso che qualcuno dica: no, lì in quel posto dove si possono imporre le trasformazioni, non ci andrò in nessun caso. Non è mai stato così e non avrebbe molto senso riproporlo oggi.

Ma la discussione non è solo teorica. Alle spalle ci sono due anni di governo Prodi. Dammi un giudizio, in pillole, sull'esecutivo dell'Unione.
Un governo di mediazione, prudente, troppo prudente. Che ha balbettato e taciuto quando invece c'era bisogno di segnali forti. Ora la dice anche D'Alema, ora anche lui riconosce che forse si è dato più peso al pareggio di bilancio che non ai bisogni di chi lavora. Magari ci si sarebbe potuto pensare un attimo prima...
E adesso? Come si reinventa la sinistra?
Dovrà esserci un lavoro duro, di riflessione.
Anche se non tutte queste riflessioni vanno nella stessa direzione, non trovi?
E' evidente. Penso alla scelta del Pdci, che non condivido ma rispetto, penso al sofferto congresso di Rifondazione. Come ripartire? Innanzitutto una premessa: credo che anche le vicende di questi ultimi mesi ci hanno fatto capire che l'unità della sinistra non è un valore in sè. Stare tutti insieme, e per forza - come è accaduto prima del 14 aprile - può essere dannoso, per tutti.
Stai dicendo facciamo la sinistra con chi ci sta?
Se vuoi è la traduzione brutale del mio, del nostro pensiero. Facciamo la sinistra insieme a chi la vuole, senza le riserve mentali che abbiamo visto in campagna elettorale.
Da dove cominciare?
Io vedo che c'è molta più sinistra di quanto si possa immaginare. C'è tanta sinistra al di fuori delle organizzazioni politiche, c'è tanta sinistra in piazza a Bari contro la mafia, e in tante altre piazze d'Italia. Ce n'è tanta al di fuori dei partiti. Si deve ripartire da qui, non esistono scorciatoie. Occorre ricominciare dal sociale, dalle migliaia di organizzazioni che in questi anni hanno messo le radici nei territori. Non vedo alternative: alla costituente di una nuova sinistra a cui vogliamo dedicarci o protagonista sarà questa sinistra diffusa, o non se ne esce. E da qui, occorre riprogettare le future alleanze...
Alleanze elettorali?
Parlo di alleanze di progetto. Vedi, l'autosufficienza è una brutta idea del piddì ma lo è anche se la volesse praticare la sinistra. Io penso ad una sinistra autonoma, autorevole, forte, incisiva ma che ha piena coscienza che da sola non può farcela. A meno che non pensiamo di regalare per sempre questo paese alle destre. Ci vuole una nuova sinistra, allora, in un nuovo centrosinistra. Che non assomigli in nulla, però, a quello che abbiamo conosciuto. Quello era una zattera dove sono saltati tutti sopra, salvo poi abbandonarla, facendola affondare. No, io penso ad un'alleanza vera, fra attori che si parlano in condizione di parità.
Ma sii sincero: pensi che questa alleanza possa nascere con un piddì targato Veltroni?
Davvero non ha molto senso fotografare l'attuale situazione e fissarla per sempre. Viviamo un momento molto fluido e vedo, anche nel piddì tanti segnali di chi vuole mettere in discussione la linea seguita fin qui. Quella dell'isolazionismo. Apriamo confronti, incalziamo. Da posizioni separate ma senza la pretesa di autosufficienza da parte nostra.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Claudio Fava nuovo coordinatore nazionale.
Inserito da: Admin - Maggio 13, 2008, 04:22:52 pm
Una costituente per costruire il nuovo soggetto della Sinistra


È stata una lunga giornata di confronto quella del Comitato promotore di Sinistra Democratica che ha eletto Claudio Fava  nuovo coordinatore nazionale.

Apertura e conclusioni dei  lavori sono toccate al coordinatore uscente Fabio Mussi, che ha compiuto anche un’analisi della sconfitta elettorale. Il dibattito, così come il risultato della votazione di Fava, ha evidenziato come il movimento sia giunto a questo fondamentale appuntamento compatto nell’analisi e concorde negli obiettivi.
Un’analisi della sconfitta elettorale che riporta in quasi tutti gli interventi al voto utile, ma anche al fatto che la Sinistra l’Arcobaleno è stata percepita come un cartello elettorale e alla mancata interpretazione, da parte della Sinistra, dei problemi della società, effetto del distacco con il territorio.
L’obiettivo resta, per tutti, quello di costruire un nuovo soggetto unitario di Sinistra che abbia le carte in regola per riaprire il dialogo con il Pd, per costruire un nuovo centro-sinistra.
Quello che segue è un resoconto parziale di alcuni degli interventi che si sono susseguiti.
Achille Occhetto  individua la causa di quello che è successo il 13 e 14 aprile per poi proseguire di quello che la sinistra deve fare: “la sinistra è stata sconfitta soprattutto per colpa di quella macchina infernale che è il voto utile e proprio per questo noi avremmo dovuto dire dal principio che la campagna elettorale era iniziata subito con un colpo di mano anticostituzionale. In più bisogna aggiungere che la condotta della sinistra non è stata geniale, anzi, sono stati compiuti errori catastrofici. Non c’era la voglia di sinistra ne della Sinistra Arcobaleno, un dato politico e culturale estremamente grave. Il volto di alcuni era ancora piegato all’indietro, di quegli stessi che difendevano l’idea di una cultura di sinistra di opposizione e per l’opposizione”.
Occhetto usa una bella immagine, forte, che piace alla platea e che dà il senso di quello che questo movimento è stato e vuole continuare ad essere: “Sd è una scialuppa di salvataggio che tra i due estremi, una sinistra feticista e un partito di centro come il Pd, ha scelto la costruzione di una nuova sinistra. Lo spazio storico socio-culturale c’è, così come le motivazioni storiche, anche se cambiano soggetti e forme e dovremmo cambiare anche i linguaggi.
Nel 1892, all’inizio del movimento operaio, c’era un forte legame tra società politica e società civile. In questo senso dobbiamo parlare di partito di governo con autonomia di progetto, e passare da una guerra di posizione ad una di movimento. Non dobbiamo dire di no al Pd solo per partito preso: loro sono i veri sconfitti di questa battaglia e quindi abbiamo tutto il diritto di porre le nostre condizioni. Per me ce ne sono due fondamentali: un nuovo centro sinistra e una costituente di tematiche del centro sinistra. Non mi interessa il dibattito Veltroni-D’Alema, nel quale il primo, come un pugile suonato, ripete all’infinito di voler andare da solo, e il secondo, come sempre, parte da sinistra per volgere a destra. Noi dobbiamo gettare il seme del dubbio nel Pd e dobbiamo essere nel centro dell’operazione, coloro i quali reggono le relazioni con associazioni e movimenti. Mettiamo un gruppo che costruisca delle reti di informazione nuove e lavoriamo per costruire forme di mutualità nella società civile. Anch’io appoggio Claudio Fava- conclude Occhetto- persona che gode di grande prestigio nel Parlamento europeo e tra i colleghi del Pse. Grazie a Fabio Mussi per aver gettato questa scialuppa in mare”.
Poi è la volta di Cesare Salvi che accoglie la proposta di Claudio Fava come coordinatore. “Stiamo provando ad uscire dalle forme tradizionali dei partiti  quindi ad essere aperti a tutti quando si vota. Per Sd è un piccolo ma non irrilevante contributo, un modo diverso di fare politica. Restituire la parola agli iscritti perché decidano tutti quanti”. Secondo l’ex capogruppo di Sd al Senato bisogna  continuare a lavorare per un soggetto unitario della sinistra, secondo la linea decisa il 5 maggio. Sulla sconfitta è chiaro che “c’è un deficit politico istituzionale della sinistra: in questi due anni è mancata una sinistra di governo, con una cultura di governo, fin dal primo momento. E il Pd ha anteposto la conquista del governo a tutto il resto, ma così il governo non dura. Sono mancate alleanze politico-sociali, anche se lo spazio c’era. Questo la sinistra deve fare. Questa è la questione del Pse. È stato un pennacchio per marcare la differenza quando i Ds ne uscivano o ci dobbiamo credere?- si chiede Salvi-. Io credo che ci dobbiamo credere. In Francia e in Spagna sarebbe successo. È che in Italia c’ è un sistema da est Europa. Dobbiamo confrontarci ad ampio raggio: essere socialisti oggi significa anche porsi il tema di avere una cultura di governo. La capacità della sinistra in Italia, del resto, è stata sempre quella di coniugare gli ideali con i programmi”.
E’ la volta poi di Chiara Cremonesi, che, come coordinatrice provinciale di Sd a Milano, conosce a fondo la realtà della sinistra nel Nord del paese e avverte: “non dobbiamo dare risposte che servano solo a superare la crisi, ma trovare risposte che servano per ripartire. Ripartire dall’ascolto ma farlo davvero e iniziare a riempire uno spazio politico nuovo. Rivedere il ruolo della sinistra e le alleanze, anche sul piano nazionale. Siamo soli ma non dobbiamo correre il rischio di essere velleitari. Dobbiamo capire se i processi possiamo metterli in moto con altri soggetti. C’è bisogno di un’opposizione di verità per uscire dalle ambiguità”.
Dopo la Cremonesi, sale sul palco Fulvia Bandoli che, analizzando la sconfitta, parla di inadeguatezza seria della sinistra e si iscrive tra coloro che hanno sbagliato. “Oggi, dopo il voto, abbiamo quattro piccoli partiti comunisti. Prima ce n’erano due. Ormai sono un’enclave. Vogliamo dirlo questo? Vogliamo dirlo alla sinistra italiana? In Italia è possibile costruire una sinistra nuova con le forze che vogliono rinnovarsi. Dobbiamo partire da chi ci sta per creare comitati costituenti e partecipare a quelli che nascono nelle città dove non ci siamo. L’invito a votarci perché “una sinistra deve rimanere in vita in Italia” non poteva convincere nessuno. Bisogna darci degli obiettivi, ritornare a fare politica”. Sulla questione del coordinatore esprime il suo disaccordo nei confronti della linea del movimento: “io avrei proposto un coordinatore e una coordinatrice, in una fase come questa. Mi è stato detto che una regola di questo genere verrà inserita in un nuovo statuto. Ma non credo sia giusta una risposta di questo genere: se non c’è accordo si vota, e, eventualmente, si stabilisce la proposta duale. Inoltre, mi lascia poco convinta lasciare in vita per un mese e mezzo la presidenza dimissionaria. Io voterò Fava che avrebbe potuto scegliersi una squadra di collaboratori. Ritengo inoltre importante valorizzare il rapporto con i territori e le regioni”. Ma qual è la proposta politica?, si chiede la Bandoli: “unire la sinistra che vuole rinnovarsi, non tutta la sinistra. Io a discutere con Rizzo e Diliberto non ci sto più, perché una parte dei dirigenti della sinistra vuole soltanto restare nel proprio perimetro. Dobbiamo trarre la forza dai cittadini e dal territorio. Dare sostegno alle costituenti e non credere di essere autosufficienti”.
Quindi è il turno di Antonio Attili. Che si concentra soprattutto sul nodo dei territori e del rapporto che ci deve essere con il progetto di unificazione della sinistra. “Per il nuovo progetto di sinistra unita prevedo una struttura federale che lasci i giusti spazi ai partiti nei vari territori. Credo che  quello deve essere un punto dello statuto. Nei rapporti col Pd sono d’accordo con la pari dignità, ma sono totalmente in disaccordo a rispondere no alle alleanze locali se il Pd non cambia idea su un alleanza a livello nazionale”.
Nuccio Iovene parla della necessità di fare una riflessione all’altezza della sconfitta., che è di tutto il centro sinistra. “Il ‘96  ed il 2006 sono stati due fallimenti. Quali sono i problemi di fondo? Bisogna aprire da subito una sfida, un’interlocuzione col Pd, con un occhio attento ai movimenti e a quello che c’è fuori. Dobbiamo proporre un progetto credibile rispetto ai problemi che ci sono”.
Gianni Speranza, sindaco a Lamezia Terme, ha fra l’altro detto: “bisogna trovare un luogo dove la politica non sia né casta né cooptazione. È possibile lasciare la bandiera dell’innovazione istituzionale a movimenti qualunquistici come l’Italia dei valori?”.
Quindi è la volta di Titti Di Salvo. Per l’ex capogruppo di Sd alla Camera l’elemento principale della sconfitta elettorale è stato la grande rottura con la realtà. “La politica è utile se è rappresentanza non soltanto simbolo – avverte la Di salvo –. Non aspettiamo i congressi degli altri partiti ma apriamola noi la costituente, dandole un senso, decidendo che cos’è, privandola delle ambiguità tattiche. Dobbiamo costruire una sinistra popolare, nazionale, di governo e moderna, che sappia rinnovare la sua cultura politica e sappia leggere la realtà. Dobbiamo porci il problema del rapporto col sindacato, dobbiamo fare iniziativa politica per affermare un’altra idea di società”.
Carlo Leoni esprime soddisfazione per l’indicazione di Fava “perché dà il segnale che non smobilitiamo. Fava è un uomo di grande personalità, una persona con tante battaglie civili ed esperienza di movimento. Un dirigente che ha i pregi di quella sinistra orgogliosa. Lui ha avuto coraggio ad accettare, ma non lo lasceremo solo”. E indica come prioritaria la scelta “aprire un ampio processo costituente di una nuova sinistra che coinvolga nuove forze.
Noi dobbiamo influire nel dibattito interno al Pd, ma nello stesso tempo fare un piano di iniziative, assemblee pubbliche  aperte, case della sinistra sul territorio, partecipare alle iniziative di costituenti della sinistra come Firenze, aprire alle associazioni e alla Cgil, avere una nostra agenda di opposizione al governo Berlusconi”. E superare il fallimento elettorale, “non cercando più un’esperienza come la Sinistra Arcobaleno, federazione di forze distinte e non in comunicazione. È venuto il tempo di costruire un soggetto della sinistra, che lavori su un  nuovo centro sinistra. Solo se nascerà una sinistra della quale il Pd non possa fare a meno, nascerà un nuovo centro sinistra. Fava avrà pieni poteri ad operare. Insieme non solo saremo più forti tutti, ma più forte ognuno di noi”.
Per Alfiero Grandi il problema del governo è stato fin da subito quello di mettere in discussione i punti fondamentali del programma dell’unione.
Mentre Betty Leone individua nella mancanza di una nuova interpretazione dei problemi della società il vero problema della sinistra e indica tre priorità fondamentali per ripartire: “la questione del modello di crescita, il rapporto tra politica e sindacato e i luoghi della cultura e del lavoro, con un’attenzione particolare alle donne”.
Stelvio Antonimi, coordinatore di Sd nelle Marche, chiede di aprire l’assemblea nazionale non soltanto ai rappresentanti di Sd, ma anche a personalità nuove.
Finito il giro degli interventi, la parola torna a Fabio Mussi per le conclusioni.
Pochi punti, ma chiari, secondo l’analisi del coordinatore uscente. “Il Pd ha perso la scommessa. Ha perso perché l’alleanza con Di Pietro non era competitiva come quella tra il Pdl, la Lega e Lombardo. Dobbiamo agire per cambiare la posizione del Pd”. “Dobbiamo valutare nella formazione dell’opinione pubblica il peso dell’informazione”. “Dobbiamo regolare il sistema di alleanze. Ora che gli accordi per i voti locali vanno fatti prima del voto, dobbiamo far pesare il nostro sostegno. Non possiamo permettere che Cofferati a Bologna, ad esempio, dica sprezzante che non si alleerà più con noi, quando la sua giunta si regge sui voti determinanti dei nostri consiglieri. Veltroni non può pensare di scegliere gli alleati a la carte: qui non mi servi, vado da solo, qui mi servi e allora ti concedo di darmi i tuoi voti. L’apertura a sinistra deve essere il frutto di un’intesa politica. E questa posizione è condivisa anche da molti esponenti autorevoli del Pd. Lo stesso Bersani, con cui ho parlato pochi giorni fa, si è detto d’accordo con me. Nei governi delle regioni e dei comuni, del resto, c’è uno degli errori fatali di questa sinistra. Prima in Italia le amministrazioni locali della sinistra erano il mito del buon governo e senza miti, come diceva Gramsci, non esiste politica. Oggi invece tra le nostre esperienze ci sono macchie come quella della Campania e quella della Calabria, dove saremmo dovuti uscire dalla maggioranza. E tutto questo in un periodo in cui molte amministrazioni della destra al nord governano bene quanto noi, se non meglio”. “Il programma della Sinistra l’Arcobaleno era un bel programma. Peccato che durante la campagna elettorale non ce ne sia stata traccia. Ma non va buttato, anzi. Dobbiamo reagire ad atti gravi come quello di Sacconi che, da ministro del Welfare, come prima cosa ha attaccato la legge Nicchi”. “Sul sindacato c’è stato un pudore comprensibile nel dibattito di oggi. Del resto se questi 15 anni sono stati duri per la rappresentanza politica, lo sono stati anche per quella sociale. Non a caso l’Italia oggi è ultima in Europa per i salari insieme alla Grecia”. “Sull’assemblea dei primi di luglio, bisogna farla dandole un carattere strutturato”. La conclusione invita alla speranza: “le idee si possono cambiare – dice con quell’ironia tipica dei toscani – ma solo dopo un’adeguata resistenza a cambiarle rapidamente. Mio nonno, del resto, diceva che il mondo è dei fissati, intendendo per fissati quelli che hanno un’idea fissa e non la cambiano. Noi abbiamo sempre previsto che fosse sbagliato e improduttivo continuare a spostare verso il centro l’asse dei Ds in questi anni. E il risultato elettorale ci ha dato ragione. E abbiamo sempre pensato che questo spostamento avrebbe aperto un vasto spazio a sinistra e rinnovato le forze. Qui il risultato elettorale ci ha dato torto, ma bisogna insistere”.
Quindi si passa all’elezione di Claudio Fava, che procede senza intoppi proclamandolo rapidamente coordinatore nazionale di Sd all’unanimità con solo due astenuti.
L’ultimo discorso è il suo. E’ un discorso breve, intenso, chiaro, “per titoli” come dice Fava stesso. Cinque titoli, per la precisione, con cui dare il via al nuovo cammino di Sd: “Ricostruire il centro sinistra. Non l’Unone, ma un nuovo centro sinistra”. “Vogliamo autonomia per il nostro lavoro e pari dignità nei confronti del Pd”. “L’obiettivo è una costituente di sinistra: altro da noi e oltre noi. Una costituente in cui Sd sia uno strumento, non il padrone di casa”. “Le assemblee devono essere iniziative politiche, non formalità o semplice liturgia”. “Le assemblee che si terranno sui territori in questi giorni non potranno essere la nostra unica iniziativa politica”. L’ultima parte del suo discorso conclusivo è un appello al movimento: “La scelta di oggi è politica. Io vi chiedo un mandato politico pieno per questi 40 giorni. Non lo considero un passaggio formale”.
Come dicevamo questa è una sintesi parziale della discussione. Chi fosse interessato a proseguire il confronto può inviarci il suo contributo.



da sinistra-democratica.it


Titolo: Di Salvo: Basta crociate contro la 194 e false promesse. serve coerenza
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2008, 12:09:16 am

Di Salvo: Basta crociate contro la 194 e false promesse. serve coerenza


Laicità dello Stato, libertà e autodeterminazione delle donne sono l’obiettivo del tiro di fuoco incrociato a palle incatenate, aperto ieri tra  richieste di moratoria dell’aborto, giudizi politici “imbarazzati” sulla legge 194 dalla maggioranza e chiamata in causa del Papa.

Non è dato di capire quale è il metro di misura con il quale si parla della legge 194. In uno Stato laico sarebbe il confronto con la situazione della salute delle donne e del numero degli aborti prima della legge 194 e oggi. Le cifre parlano chiaro e indicano l’enorme riduzione del numero degli aborti. Caso mai il problema l’ostruzionismo alla  legge 194 praticato da medici obiettori.

La condizione materiale in Italia delle donne, è nota: le donne sono le più precarie, sono quelle pagate meno, le più povere. E in prospettiva per le stesse ragioni quelle che percepiranno le pensioni più  basse. Sono spesso costrette a lasciare il lavoro dopo una gravidanza per l’assenza di servizi di sostegno.
Ascoltiamo oggi tanta retorica da parte del governo e della maggioranza in questo senso. Dicono bisogna aiutare le donne madri. chiediamo meno promesse e più coerenza.

Allora perché Sacconi annuncia di voler cancellare la nostra legge contro le dimissioni in bianco: lo sanno che è quella che viene usata per cacciare le donne dal lavoro appena iniziano la gravidanza?

E perché ancora invece di usare le risorse per aumentare salari e pensioni Sacconi annuncia di voler incentivare gli straordinari? Lo sanno che gli straordinari li fanno gli uomini perché le donne non se li possono permettere?

La verità è che siamo di fronte ad una  nuova crociata contro la legge 194 e la laicità dello Stato: le donne italiane non lo consentiranno.



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Fava: il Pd si accontenta delle prime iniziative del governo, noi siamo preoccupati

Se il Partito Democratico si accontenta delle generiche aperture al dialogo di Berlusconi, a noi preoccupano le sue prime concretissime iniziative di governo: ripristinare il nucleare, costruire il Ponte sullo Stretto, trasformare i Cpt in galere, alzare fino a 18 mesi la detenzione per gli immigrati irregolari, nessun intervento a favore dei ceti deboli'.

Lo afferma il neo coordinatore nazionale di sinistra Democratica, Claudio Fava.

'Cosi' come ci preoccupano, ma non ci stupiscono - conclude l'esponente di sd -, i silenzi del governo sul conflitto d'interessi: che maggioranza e opposizione sembrano aver ormai archiviato tra i reperti di un'altra epoca'.



da sinistra-democratica.it


Titolo: OLIVIERO DILIBERTO La tv non è la terza Camera
Inserito da: Admin - Maggio 17, 2008, 09:16:16 am
16/5/2008
 
La tv non è la terza Camera
 
 
 
 
 
OLIVIERO DILIBERTO
 

Non siamo più in Parlamento. Colpa nostra, certo. Ma anche per via dello sbarramento previsto dalla legge elettorale. Ma quale legge ha stabilito la soglia di sbarramento anche per l’accesso alla televisione?

A La Stampa va il merito di aver aperto il dibattito sulla rappresentazione delle forze politiche dopo la tornata elettorale del 13 e 14 aprile. Marcello Sorgi - «Ridateci Bertinotti (alla tv)» - ieri ha rotto una sorta di tabù: quello di un autentico arbitrio che si sta consumando, in un lugubre silenzio, non già ai danni di alcune forze politiche, ma a danno di tre milioni di elettori. Stiamo infatti assistendo all’espulsione dalla televisione di chi non è più in Parlamento. Ma che continua ad esistere nella società. Pongo una domanda semplice: è giusto tutto ciò? E poi, chi lo ha deciso? In campagna elettorale abbiamo, giustamente, ascoltato la voce di tutti, dai più grandi ai più piccoli. Scopo era - ripeto: giustamente - quello di dare la più larga rappresentazione delle forze in campo, garantire il pluralismo e la dialettica in un sistema che non è bipartitico. Perché l’Italia è diversa dai Paesi a due soli partiti (perfino la Gran Bretagna, ormai, non lo è più), è plurale, vivace, ha una tradizione di grande ricchezza nel confronto politico e sociale.

Ciò che sta avvenendo non è la semplificazione del sistema, ma il suo azzeramento, una sorta di avvelenamento dei pozzi, l’idea che se non sei in Parlamento - ancorché non piccolo, tutt’altro che insignificante, ben radicato nella società italiana - non hai diritto di svolgere le tue argomentazioni dalle tribune televisive. Alcuni esponenti politici sono in televisione tutti i giorni. Chi scrive queste righe - è noto - non è mai stato amante del «minutaggio». La quantità non sempre coincide con la qualità. Né alcuno può ragionevolmente sostenere che io e la forza politica che rappresento siamo mai stati sovraesposti mediaticamente: anzi. Ma un conto è il senso della misura, un altro la cancellazione dagli spazi che - piaccia o no - consentono di parlare al Paese. Noi non siamo più in Parlamento, ma continuiamo a fare attività politica. Non siamo più in Parlamento, ma siamo nella società. Qualche giorno fa, mentre Berlusconi incontrava Napolitano per riceverne l'incarico (e giù fiumi di dichiarazioni in tv), io ero fuori dei cancelli della Bosch, fabbrica metalmeccanica di Bari. Non era la rappresentazione di come una forza politica cerca di riallacciare, con fatica, ma anche con caparbietà, il filo disperso con i propri elettori?

Tutto ciò è stato espulso dalla televisione pubblica, come in quella commerciale. Unanimità di censura.

Il problema è, dunque, molto serio. È il problema generale di come funziona in Italia l’informazione televisiva: si tratta di temi delicatissimi, quali il pluralismo e la libertà d’informazione. Di cui spesso si parla, ma per i quali pochissimo si fa. Temi che riguardano i diritti dei cittadini ad essere informati non a senso unico e non sulla base di una sorta di duopolio del pensiero unico, rappresentato da Pdl e Pd.

Le forze della sinistra italiana, passate attraverso quella sorta di linea d’ombra del 13 e 14 aprile, si stanno cimentando in un nuovo inizio. Per quanto ci riguarda, lo stiamo facendo con uno straordinario, necessario, anzi indispensabile, bagno d’umiltà. Vorremmo che tutto ciò venisse valutato almeno con un po’ di rispetto e di obiettività. Perché gli spazi di libertà che oggi vengono negati ad uno, domani potrebbero essere negati anche ad altri: e il danno, alla fine, sarà di tutti.
segretario del partito dei comunisti italiani

da lastampa.it


Titolo: Stralci dell'intervento di Nichi Vendola, raccolti da Giovanna Nigi
Inserito da: Admin - Maggio 20, 2008, 05:46:34 pm
Noi, sconfitti, facciamo come Gramsci


Stralci dell'intervento di Nichi Vendola, raccolti da Giovanna Nigi

Serve un nuovo spirito con cui affacciarsi alla nostra storia, per costruire una nuova storia di solidarietà: non è vero che una volta caduti ci si possa solo rialzare, si può andare anche più in profondità, facendosi ancora più male, come ha fatto Rifondazione Comunista.

Io mi ribello contro le scorciatoie e nel dolore, sia pubblico che privato, vedo l’occasione per fare due scelte completamente diverse. E il mio pensiero va alla morte del fratello di Bertinotti e a Fausto che in questo momento sta piangendo sia la sua morte che l’abbandono della sua parte politica. La prima scelta possibile è quella di un ripiegamento rancoroso, di un cinismo che mira a chiudersi, la seconda è quella di prendere una lente di ingrandimento per vedere di più e meglio.

Penso che le ragioni della sconfitta non possano essere cercate nel tempo corto dell’ultimo biennio. Certo, la tenaglia del voto ci ha schiacciato, ma se non avessimo accettato la sfida unitaria del governo saremmo stati travolti. Noi speravamo nel secondo tempo, Rifondazione era la garanzia che dopo il risanamento dei conti pubblici ci sarebbe stato il momento dell’aiuto verso le fasce più deboli: la raccomandazione che ci veniva dal nostro popolo era proprio questa, quella di resistere in attesa di questo secondo tempo, che purtroppo non è mai arrivato.

Io mi sento una persona molto sconfitta e per questo mi sono fermato a pensare alla persona più sconfitta del Novecento, Antonio Gramsci. Gramsci fu sconfitto tre volte: la prima fu teorica, qundo diversamente dalla sua tesi, l’avvento del comunismo arrivò in una società non avanzata industrialmente come quella russa. La seconda fu l’isolamento da parte del suo partito (…), la terza nel dolore privato, lontano dagli affetti. E mi sono chiesto: cosa fece Gramsci davanti a queste sconfitte? Scrisse i Quaderni dal carcere, che erano il tentativo di rispondere alla domanda sul perché abbiamo perso. E Gramsci trova le ragioni della sconfitta nel reducismo, nell’egemonia culturale, in tutti fattori contingenti: il suo pensiero si allarga, arriva gli Stati Uniti, arriva a chiedersi cosa è cambiato con la catena di montaggio, nella vita anche privata degli operai?

Io non cito Gramsci come santino, ma lo cito per lo stile intellettuale che ha saputo usare nella sconfitta. La nostra sconfitta è a Ponticelli. La cronaca nera sa dire molte più cose della cronaca politica per capire il clima e gli umori di una paese. La cronaca nera mi fa rabbrividire. Lo scorso anno dei ragazzi hanno torturato un down: nel video si possono distinguere il pianto disperato del ragazzo, le risate dei suoi torturatori e il silenzio dei più bravi, che continuano a studiare nel loro banco. E sono loro i peggiori, quelli che non parlano e continuano a fare i bravi ragazzi. Da lì ai doppi roghi della Campania, doppia opera di igiene della camorra, il passo è breve.

È sul lungo periodo che dobbiamo ritrovare le ragioni della sconfitta. Una, è il ritardo nel capire la periferia: Gramsci per capire le ragioni della sconfitta ha dovuto studiare Benedetto Croce. Oggi la destra ha vinto perché ha dato delle risposte ideologiche al problema della sicurezza, illuminata dai fantasmi del pianerottolo e dal ritorno di tutte le antiche figure che hanno sempre criminalizzato la povertà. E la sinistra che ha offerto in cambio? La Lega dava aiuto al vecchietto, al giovane, li faceva sentire al riparo di una comunità, parlava la loro stessa lingua.

Questo ha avuto presa perché oggi sono saltate tutte le forme di comunità. Non c’è più Di Vittorio, non c’è più Cipputi, non ci sono più i vecchi operai che aiutano i giovani. Oggi c’è solo la precarietà che ha operato una mutazione profonda. Che senso ha dire torniamo nei posti di lavoro come se fossero rimasti sempre come li abbiamo lasciati? Che conoscenza abbiamo dei precari? Il nostro deve essere un lavoro di grande umiltà, di riconoscimento che oggi gli operai sono diversi da quelli di un tempo, anche i ricercatori universitari oggi sono operai. Dobbiamo liberarci dalla nostra spocchia e sarà un lavoro duro. Bisogna fare propria la lezione delle donne che ci hanno insegnato a partire da sé. Un tempo il partito era un pezzo del territorio ma dagli anni Settanta tutto è cambiato: enormi periferie programmate scientificamente senza piazze, ghetti mostruosi che impedivano dei rapporti di comunità. Le periferie sono state create apposta così, e la maggior parte delle giovani generazioni ha sviluppato una cultura nomade nel mangiare, nel ballare, e in tutto quello che fa. Questo è un tema decisivo per capire la sconfitta, la nuova conformazione della città. E un’altra è la crisi della famiglia, non solo nelle sue implosioni nevrotiche, ma nella sparizione di una delle tre generazioni che fino a trent’anni fa costituivano la famiglia. Oggi sono stati espulsi i nonni e le nonne, i bambini non sanno dire che lavoro facevano i nonni e non ascoltano più le loro storie, forse per questo otto bambini su dieci dicono che il loro maggiore problema è la solitudine.

Tre piste di ricerca, tre oggetti di analisi per trovare la ragione del nostro senso di smarrimento: in basso e in alto, da nord a sud, la destra parla una lingua unificata, noi parliamo un dialetto che sta diventando incomprensibile.

Noi abbiamo il problema di sopravvivenza di un mondo a rischio, si vince quando si è credibili agli occhi di chi vuole cambiare. Che vogliamo fare dopo la sconfitta, cercare un cielo di stelle fisse? No, per me il comunismo non è una risposta, è una domanda, e i miei alleati sono tutti quelli che vivono processi di liberazione. Per questo mi batto per il diritto alla vita di tutti, a cominciare da quello del mio avversario. Con Gramsci ritengo che l’avversario lo devi conoscere nella sua verità interna. Basta con l’icona del nemico che ci ubriaca e offusca i nostri sogni. I mezzi cattivi hanno inquinato le alte finalità, è importante scegliere il mezzo con cui lottare, perché il fine non lo giustifica. E come faccio a capire il mondo se non faccio mie anche storie diverse? Per prime quelle delle donne che un linguaggio criminale ha voluto accomunare al termine “uomini” per dire “uomini e donne”: abbiamo bisogno di questo, di una cultura di ambientalismo perché il buco della testa è anche il buco dell’ozono, e viceversa. E c’è chi pensa ancora che vita e bellezza siano solo dei vincoli.

Bisogna partire dalla differenza e dalla diversità: i rom ci dicono che abbiamo sempre bisogno di capri espiatori per sentirci al riparo. Donne, rom, gay, poi tutti gli altri. Come costruire un nuovo mondo se non ci arricchiamo delle differenza? Dobbiamo ripartire dall’idea che il mondo si può cambiare solo se troviamo un punto di contatto tra politica e società. È ancora una volta Gramsci a dire che per cambiare la società si deve stare dentro la politica e la società. Quindi non un esodo, non un rimanere chiusi nel palazzo, né scioglierci nel sociale. Né l’uno né l’altro, tutte e due le cose insieme: restituire alla politica la sua forma, che è quella di una bussola.

Pubblicato il: 19.05.08
Modificato il: 19.05.08 alle ore 22.07   
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Titolo: Incontro Veltroni-Fava: «Ora ricomincia il dialogo»
Inserito da: Admin - Maggio 20, 2008, 05:47:23 pm
Incontro Veltroni-Fava: «Ora ricomincia il dialogo»


Patto di consultazione, confronto permanente sulle riforme, dialogo per trovare punti di convergenza all'opposizione e nuovo incontro la prossima settimana tra gli organi dirigenti. È quanto emerge dall’incontro tra il segretario del Pd, Walter Veltroni e Claudio Fava, coordinatore di Sinistra democratica. «L’epoca dell’autosufficienza declamata e conclamata come un valore è finita», sostiene Fava che continua, «con Veltroni ora comincia un lavoro per la costruzione di un nuovo centrosinistra». In quarantacinque minuti di faccia a faccia Fava assicura che tra lui e Veltroni non c'è alcuna voglia di riproporre l’Unione perché quella «è un esperienza accantonata», ma bisogna costruire «un terreno concreto di linee comuni di opposizione oggi e di governo domani». Il numero uno di Sinistra Democratica rassicura sull'ipotesi di una futura confluenza nel Pd: «È fuori discussione. Abbiamo già fatto una scelta alcuni anni fa e non dobbiamo ribadirla ogni volta».

Nel corso dell'incontro, informa anche una nota congiunta, «si è convenuto sulla necessità di dar vita ad un dialogo - nel rispetto delle reciproche autonomie - con l'obiettivo di individuare punti programmatici e politici di convergenze nell'opposizione al governo Berlusconi». In quest'ottica «il Partito democratico si è impegnato a stabilire con Sinistra democratica e con le altre forze di sinistra disponibili, un patto di consultazione per far emergere in Parlamento temi e proposte che tengano conto delle sensibilità e del punto di vista di forze che alle Camere non sono rappresentate. Si è altresì convenuto sulla necessità di avviare un confronto politico per costruire, in Italia e a livello locale, le condizioni di un nuovo centrosinistra basato su reali intese programmatiche e su una sfida di governo capace di innovare il Paese».

«Infine - conclude la nota - si è altresì convenuto che sia sulle riforme istituzionali che sulla eventuale modifica della legge elettorale europea si stabilirà una consultazione permanente con l'obiettivo di raggiungere soluzioni comuni. Claudio Fava e Walter Veltroni hanno infine concordato un incontro tra i gruppi dirigenti del Pd e di Sd che si svolgerà nelle prossime settimane».

Pubblicato il: 19.05.08
Modificato il: 19.05.08 alle ore 19.10   
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Titolo: Il confronto è partito, ora bisogna trovare forme e contenuti nuovi
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2008, 12:26:54 pm
Il confronto è partito, ora bisogna trovare forme e contenuti nuovi


Si è svolta a Roma la prima assemblea del Movimento romano per la Sinistra, a un mese di distanza dalla Assemblea convocata a Firenze dalla Associazione per una Sinistra unita e plurale. Si è svolta alla presenza dei rappresentanti più importanti della sinistra politica e dell’associazionismo, presso l’associazione culturale Baobab, un coloratissimo locale tra Piazzale delle Province e Via Tiburtina. La folla di militanti e il nutrito gruppo di giornalisti riempiono tutti gli spazi dell’ampio locale in attesa di sentire i promotori dell’incontro e i big presenti, da Nichi Vendola a Claudio Fava, da Paul Ginsborg a Maurizio Acerbo e Paolo Cento.
La platea è attenta alle parole pronunciate dal palco, è carica, non risparmia qualche critica e qualche “battutaccia” nei confronti dei leader, sommerge di applausi l’intervento di Paul Ginsborg, ma si scalda moltissimo anche per Don Roberto Sardelli.
Quello che è emerso dagli interventi più rilevanti, a un mese dalla riunione di Firenze e dalla sconfitta elettorale, è la mancanza di novità nelle forme, nei contenuti, nei linguaggi; nonché nei metodi che presiedono all’organizzazione di questi eventi. L’urgenza di cambiare questa realtà ieri è stata ancora più evidente per l’assenza pressoché totale di under 30, un difetto che sta diventando strutturale e congenito a questo tipo di iniziative. Un dato ancor più grave se pensiamo all’importanza dell’incontro.
E questo non lo dice solo chi scrive, ma anche alcuni dei più insigni relatori.
Claudio Fava apre il suo intervento parlando degli ultimi fatti di cronaca – Ponticelli – e di cronaca politica – decreto sicurezza –. “L’Italia ha ricevuto fondi dall’Unione Europea per creare le condizioni per dare accoglienza e integrazione ai rom. Fondi che, tuttavia, non sono mai stati utilizzati. Il centrosinistra – Fava non si riferisce solo al governo nazionale, ma anche alle amministrazioni locali – non ha voluto usare quelle risorse perché considerava quelle problematiche marginali”. Critica Fassino che si è schierato contro le proteste del governo spagnolo di Zapatero sul decreto sicurezza, non rendendosi conto che la posizione spagnola era la posizione che avrebbe dovuto assumere il Pd. Definisce il suo incontro con Veltroni “un atto di cortesia personale e politica”, ma avverte: “abbiamo il dovere di indagare sulla possibilità di un centrosinistra diverso, e basato sulle affinità di progetti e di proposte".
Allo stesso tempo, però, "deve essere chiaro che se questa indagine non sarà possibile la responsabilità non sarà certo nostra”. Il coordinatore nazionale di Sd afferma che “bisogna ripartire da noi stessi per capire che c’è un problema della Sinistra. I conflitti sociali e le contraddizioni non possono essere affrontati per titoli, restando nei nostri recinti, mentre fuori il Paese cambia. L’infelicità è un tema complesso, che non abbiamo voluto affrontare”. Lamenta linguaggi vecchi: “Anche oggi non ho sentito la parola dubbio. E’ necessario modificare lo sguardo con cui decifriamo questo paese. Bisogna guardare prima alla comunità che alle sue forme, costruire una comunità di sinistra, mettersi in marcia e navigare in mare aperto. Non possiamo rimanere fermi e autosufficienti”.
Ad aprire il dibattito è stato Adriano Labbucci, esponente di Sinistra Democratica ed ex presidente del Consiglio provinciale di Roma: “Di fronte al tracollo della Sinistra Arcobaleno sarebbe sbagliata e velleitaria una risposta che veda il ritorno di ognuno nei propri accampamenti, alle proprie insegne e alle vecchie appartenenze, anche perchè quello che c'era prima, in larga parte, non c’è più. Evitiamo- sollecita Labbucci- di aggiungere al tracollo elettorale anche il nostro tracollo politico”. Serve insomma, per Labbucci, "un processo costituente della sinistra, che allarghi e che includa, che chiami a partecipare non soltanto quel milione e più che ha votato Sinistra Arcobaleno, ma anche tanti di quelli che non l’hanno votata. Ci sono ragioni, motivi e spazi per la Sinistra: la giustizia, la libertà, i diritti delle donne, i diritti dei lavoratori, le questioni etiche: sono questi gli spazi che la sinistra, con un progetto ambizioso, deve tornare ad occupare. Ma soprattutto – conclude Labbucci – bisogna reagire, dare segni di vitalità, riprendere a fare politica. Bisogna partire costruendo un profilo di opposizione qui a Roma”.
Ma è Don Roberto Sardelli a riscuotere i primi applausi, con un’analisi appassionata e lucida della situazione, lui che più di ogni altro si è battuto per i poveri, i diseredati e gli esclusi nella Capitale e che assiste ora allo scempio del decreto sicurezza del nuovo governo, non risparmiando critiche a Veltroni che, dice, da sindaco di Roma lo volle incontrare, ma che poi non fece niente di concreto e non diede alcun seguito a quell’incontro. “Per risolvere la crisi attuale della politica occorrono terapie d’urto che riescano a denotare una discontinuità chiara e tonda. Per questo le leadership politiche, oggi più che mai, devono essere scelte dal basso e non devono essere elargizioni delle segreterie di partito. L’essere di sinistra – conclude Don Sardelli – è a costruire perché parla all’intelligenza, laddove l’essere di destra è istintivo perché parla al ventre”.
Paul Ginsorg, con la pacatezza e l’ironia che lo contraddistinguono, è ancora più analitico. Richiama i militanti alla calma e alla lucidità, perché questo è ancora il momento degli interrogativi, non delle risposte. Con una provocazione efficace esorta i leader presenti ad essere all’altezza della sconfitta scioccante che abbiamo subito, perché rappresenta un’occasione irripetibile dalla quale ripartire in forme nuove, superando i vecchi modelli del Novecento. Se questo non verrà fatto, avverte, la Sinistra non riuscirà più a tornare in Parlamento. Plaude alle iniziative e agli incontri autoconvocati che si stanno moltiplicando in tutta Italia e pone a se stesso quattro interrogativi come tracce di riflessione da seguire per provare a ricostruire. “Finora, la prima reazione alla sconfitta è stata ampliare le divisioni: non credo che abbiamo perso perché miravamo a un processo unitario, anzi. Dobbiamo andare avanti sul cammino di un processo costituente e per farlo dobbiamo ripensare a come stare insieme, partendo da questioni di genere e di generazione, superando anche forme di riunione un po’ antiquate come quella di questa sera: bisogna essere più attivi e meno riflessivi, perché i giovani vogliono fare qualcosa, non ascoltare soltanto. Bisogna abbracciare nuove forme di democrazia: la democrazia deliberativa – che aumenta il grado di partecipazione attiva dei militanti alle decisioni –, la democrazia in movimento, sulla strada di riforme che partano dal basso”. E conclude con un’altra provocazione delle sue, citando proprio uno dei padri del liberalismo, John Stuart Mill: “Vogliamo cittadini attivi, critici, istruiti, pronti a intervenire”.
Nichi Vendola è in sintonia con Fava. Esorta a modificare i luoghi in cui la sinistra è cresciuta e vuole fare un discorso di metodo. Vorrebbe scrivere un saggio intitolato “Per la critica del verbo tornare”, che è impedimento alla rinascita della sinistra. “Si sente parlare di tornare alla base, tornare al territorio, tornare al lavoro: in queste espressioni vedo una pericolosa torsione demagogica, una distorsione dei problemi”.
L'invocazione del ritorno alla base, ad esempio, “ha un retrogusto oligarchico, soprattutto per chi per base intende un recinto ristretto: noi dobbiamo rompere il recinto che non ci consente di allargarci, altrimenti la base è come una curva sud che ognuno si porta dove vuole”. Ancora più “distorta”, per Vendola, l'espressione “Tornare al territorio: non può esistere un territorio mummia, il territorio vive e si trasforma.
E noi dobbiamo attraversarlo, non tornare a un territorio mitico.
Il verbo tornare, indica il rifugio in una nicchia identitaria, vista come un conto in banca da preservare, un bene da esibire dentro un ipotetico museo delle glorie del passato. Per me invece è altro, è ansia di conoscere e andare avanti”. E riguardo al nuovo ruolo della sinistra afferma: “siamo una minoranza, ma non vogliamo parlare come una minorità. Siamo una minoranza che vuole essere maggioranza e vogliamo far sentire a tutti la nostra voglia di cambiare il mondo”.
 
 
da sinistra-democratica.it


Titolo: Sandro Bondi. Cara Sinistra ecco perché perdi
Inserito da: Admin - Maggio 27, 2008, 06:48:29 pm
Cara Sinistra ecco perché perdi

* Sandro Bondi


Gentile Direttore,

Alfredo Reichlin, in un recente articolo su l’Unità, ha testimoniato un’onestà intellettuale non comune. Del resto, dobbiamo a Reichlin un importante saggio di alcuni anni fa dedicato alla memoria ed al futuro della sinistra. Un saggio che, senza nascondere le difficoltà, apriva ad un riformismo progettuale di ampio respiro. Il capitolo generale della crisi attuale del mondo globalizzato attende ancora una lettura analitica e operativa. La politica non può che attrezzarsi a questo compito. Il sostanziale riconoscimento dell’arretratezza culturale della sinistra, che la rende inadeguata a questa sfida, è sotto gli occhi di tutti. Reichlin non fa sconti e fa bene. Se è vero, come è vero, che l’oligarchia finanziaria ha finora guidato la mondializzazione, è altrettanto vero che la sinistra si è trastullata in improbabili annessioni di modelli neoliberistici, oggi messi in discussione da esponenti dello stesso liberismo americano. Un errore culturale e quindi strategico.

L’orizzonte teorico deve aprire, infatti, al recupero di una visione politica all’altezza della crisi.

In una seria analisi dello stato delle cose non si può censurare questo dato. La categoria rubricata alla voce “destra” non favorisce la comprensione della realtà: di che si tratta? Lo stesso Reichlin accoglie nella sua disamina politica elementi critici e analitici svolti da Tremonti nel suo ultimo saggio. Tradotto in termini più direttamente politici: la politica deve ritornare a guidare l’economia come cifra del governo della globalizzazione. E ciò a fronte di tre crisi che si stanno sovrapponendo: finanziaria, energetica ed alimentare. Il Rapporto Unicef 2008 conferma che ci troviamo di fronte a un’emergenza devastante che tocca in primo luogo le radici dello sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo ed, in parte, anche di quelli in via di sviluppo. I Paesi democratici più avanzati non possono non farsi carico di una tragedia che rischia di produrre un effetto di crisi sull’intero sistema mondiale, a cominciare da quello europeo-occidentale, attraversato già da una rilevante crisi finanziaria. Quando aumenta vertiginosamente il prezzo delle derrate alimentari e la fattura cerealicola dei Paesi poveri aumenta proporzionalmente, e quando abbiamo ben trentasette Paesi che attualmente attraversano crisi alimentari, dalla Somalia al Nicaragua, c’è anche il rischio che i gruppi religiosi più integralisti possano sfruttare questa situazione. Si tratta perciò di ristabilire il nesso tra lo sviluppo basato sul capitalismo democratico e la necessità di “spezzare le catene della povertà. È questa la sfida principale da vincere per ridare senso e slancio alla politica occidentale, europea ed americana. Questo tema è posto all’ordine del giorno da 21 saggi che hanno scritto un appello contro la “mondializzazione selvaggia”, pubblicato su Le Monde. Fra questi, vi sono fior di liberisti, a cominciare da Robert Rubin e Robert Solow, premi Nobel.

In gioco non sono solamente le dimensioni partitiche del confronto politico italiano. La posta in gioco è ben più corposa. Le dinamiche strutturali del capitalismo stanno mutando tutti gli scenari. Tutti. Anche quelli politico-istituzionali. Anche la democrazia. La sinistra perde e non convince più neanche gli operai perché traduce la crisi in reattività polemica in chiave moralistica oppure si fa scudo di corpi estranei come il neoliberismo, sul piano economico, e il laicismo, sul piano culturale. Senza aver costruito quel che Reichlin auspica: un modello culturale per la politica.

Ora, anche la questione della sicurezza, su cui ha ragionato Reichlin, con toni stavolta assai meno efficaci, si comprende all’interno di queste complesse dinamiche strutturali e non motivando una critica di natura etico-soggettivistica, che rischia di fermarsi alla denuncia del male, senza produrre lo scatto in avanti dell’analisi che conduce all’azione politica, al governo della realtà. Il territorio è diventato strategico non solo come spazio economico, ma, ancor più radicalmente, come spazio economico-politico, dunque la sicurezza come affermazione della legalità diventa la cartina di tornasole più netta di una chiara scelta culturale: si tratta della riaffermazione della legalità repubblicana e democratica. L’emergenza che vediamo oggi è l’esito di una mondializzazione mal concepita e non governata. Occorre andare al di là dell’emergenzialismo e situare le risposte con una visione strategica. Il che equivale a riaprire i capitoli della legalità e dell’immigrazione in tutta Europa. Basterebbe comparare i provvedimenti del nostro governo con quelli di Francia, Germania e Spagna, per comprendere quanto il governo del territorio e l’affermazione della legalità democratica siano uno dei fattori chiave della democrazia, anzi del modello di democrazia europeo. Questo significa “piantare i pedi sul terreno dei nuovi grandi conflitti”. Con un pensiero ed una risposta politica. La modernità è complessità allo stato puro, la politica deve stare al passo di questa congerie di mutamenti che spiazzano le modalità culturali ed analitiche classiche. Il confronto politico deve dunque spostarsi sul terreno dei conflitti reali, con un assetto culturale all’altezza dei tempi. Altrimenti la filosofia politica e, con essa, la politica faranno la fine della celebre nottola di Minerva che si leva sul far della sera. Troppo tardi.

*Ministro dei Beni e delle Attività Culturali



Pubblicato il: 27.05.08
Modificato il: 27.05.08 alle ore 13.36   
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Titolo: Ferrero è in testa e Bertinotti torna per aiutare Vendola
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2008, 04:50:06 pm
Ferrero è in testa e Bertinotti torna per aiutare Vendola


Simone Collini


C’è chi guarda al pomodoro olandese (il “partito sociale” a cui punta Paolo Ferrero) e chi si interroga ancora sulle ragioni della sconfitta (Fausto Bertinotti), chi prova a far decollare il ticket per la costituente della sinistra che verrà (Nichi Vendola-Claudio Fava, primo faccia a faccia pubblico lunedì alla Festa della sinistra, a Genova) e chi si abbandona a una «dormita conviviale nel verde per combattere il mito della crescita infinita» (sabato a Torino, in chiusura della tre giorni titolata “Sinistra pride”). Libera da impegni parlamentari, la sinistra radicale prepara i congressi estivi ma intensifica anche le iniziative che dovrebbero portarla a risalire la china. Gli appuntamenti in piazza sono all’insegna dell’ottimismo, ma all’interno dei partiti il clima è tutt’altro che buono, complici gli ultimi sondaggi (il Prc non si muove dal 2,9% e il Pdci ruota attorno allo 0,9%) e divisioni precongressuali che nessuno sa dire a cosa potrebbero portare una volta che i congressi saranno terminati.

I rapporti più tesi si registrano dentro Rifondazione comunista, nella quale la discesa in campo di Vendola finora non ha portato alla linea bertinottiana della costituente della sinistra quel valore aggiunto che ci si era aspettati: alla fine delle votazioni nei comitati politici la mozione con cui il governatore della Puglia si candida a segretario del Prc ha incassato la maggioranza dei consensi nelle regioni del sud e nelle isole, ma nel nord a prevalere è stata la mozione Ferrero-Grassi, che ha anche ottenuto un successo superiore alle aspettative in una regione importante come la Toscana. È vero, come dice l’ex responsabile Organizzazione del partito Francesco Ferrara, che il vero congresso inizia ora e che finora sono stati consultati soltanto i gruppi dirigenti. Ma visti i botta e risposta delle ultime settimane, è facile intuire cosa succederà se la mozione Vendola vincerà senza però ottenere il 50%, oppure se (visto che dalla mozione Ferrero-Grassi già è partita qualche frecciata su un presunto tesseramento gonfiato nel sud) il governatore vincerà grazie ai tanti iscritti di Puglia, Campania e Calabria, pur non riuscendo a prevalere nelle regioni dal Lazio in su.

A rilanciare nei prossimi giorni la proposta della costituente di sinistra sarà Bertinotti. L’ex presidente della Camera ha pianificato una graduale rentrée politica che prevede lunedì la presentazione a Roma del libro di Piero Bevilacqua “Miseria dello sviluppo”, martedì un dibattito a Genova con Edoardo Sanguineti, giovedì un convegno dal titolo “Le ragioni della sconfitta”: Bertinotti aprirà e chiuderà i lavori, e con lui ci saranno Vendola, Rossana Rossanda, Ritanna Armeni, Franco Giordano, Alfonso Gianni.

Nello stesso giorno, nelle stesse ore, Ferrero sarà a un convegno sul cosiddetto «partito sociale», insieme all’ex ministro della Pianificazione sociale del governo del Venezuela Jorge Giordani e al parlamentare del Partito socialista olandese Tiny Cox. Il progetto di rilancio di Rifondazione, nelle intenzioni dell’ex titolare della Solidarietà sociale, si ispira proprio al cosiddetto partito del pomodoro (è nel simbolo, come richiamo alla protesta), che grazie al forte radicamento locale e alla centralità data alla questione morale (tetto massimo degli stipendi dei suoi eletti fissato a 2000 euro) è passato negli ultimi cinque anni dal 6 al 16%. Al convegno ci saranno associazioni di base che sperimentano pratiche contro il carovita, palestre popolari, centri sociali. «Non è un caso che organizziamo l’iniziativa al Pigneto», dice il responsabile politiche sociali del Prc Francesco Piobbichi.

Anche nel Pdci le acque si fanno piuttosto agitate. Per la prima volta dalla nascita del partito, ci saranno mozioni contrapposte a quella del segretario. A sfidare Oliviero Diliberto e la linea dell’«unire i comunisti» sarà Katia Bellillo, prima firmataria della mozione «Unire la sinistra». Nel documento si dice che «bisogna superare tutte le posizioni settarie e anacronistiche» e che «fra la sinistra e il Pd dobbiamo costruire un leale rapporto di collaborazione-competizione». Potrebbe non essere la sola a sfidare il segretario, visto l’attivismo dimostrato in commissione politica da Marco Rizzo, il suo parlare di una più specifica «costituente dei comunisti» e l’insistenza con cui ricorda che lui l’aveva detto che l’Arcobaleno era un fallimento. Se verrà bocciata la proposta di andare al congresso con documenti emendabili, Rizzo potrebbe uscire allo scoperto al comitato centrale di questo fine settimana, data ultima per la presentazione delle mozioni.

Pubblicato il: 06.06.08
Modificato il: 06.06.08 alle ore 12.12   
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Titolo: Programma minimo per una sinistra egemone
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 04:54:10 pm
Programma minimo per una sinistra egemone

(Proposta di integrazione al documento nazionale: Unire la sinistra che vuole rinnovarsi)


Per avviare una rigenerazione, su basi nuove, della sinistra nel nostro paese risulta indispensabile, unitamente al processo costituente di un nuovo soggetto politico della sinistra, individuare alcune basi programmatiche ed organizzative in grado di ristabilire una nuova “connessione sentimentale” fra La Sinistra ed il proprio, ricostruito, popolo. Connessione sentimentale che sarà possibile realizzare solamente prefigurando un nuovo modello sociale e di relazioni basato su forti principi di democratizzazione del governo della società, dell’economia, delle relazioni umane, della cultura e della sostenibilità sociale ed ambientale.

Fare comunità
Un nuovo soggetto della sinistra deve riscoprire, proiettandole verso il futuro, le proprie radici comunitarie e solidari. Non possiamo lasciare alla destra, ed al suo uso regressivo ed egoistico, l’idea di comunità. La Sinistra, a cavallo fra il 19° ed il 20° sec., è nata, con una vocazione di massa, dal “brodo di coltura” delle mutualità, delle società di mutuo soccorso, delle cooperative e delle leghe contadine.
Tali forme di associazionismo rappresentavano gli allora moderni strumenti di risposta e di organizzazione sociale di un popolo che, lottando per il proprio riscatto e per maggiori opportunità di benessere sociale, individuava nell’agire pensando i primi embrioni di una società diversa. Su quelle basi l’idea di liberazione dell’umanità, quindi l’idea di socialismo, ha saputo costruire, al di là delle differenziazioni storiche, una propria forza, un sogno collettivo su basi di massa, intendendo per massa l’aggregato tendenzialmente maggioritario di soggetti che nella società viveva e condivideva le medesime condizioni esistenziali e materiali.
Dobbiamo ripartire dai territori, costruire nuove forme di mutualità e socialità che rimettano in connessione, appunto sentimentale, la capacità di risposta ai nuovi bisogni di un nuovo, molteplice, popolo con i primi embrioni di un’idea diversa di società.
A tale scopo i Gruppi di acquisto solidale (GAS), le banche non profit, l’azionariato sociale, le banche del tempo, la costruzione di nuovi luoghi di socializzazione e di confronto possono rappresentare le nuove opportunità di costruzione di modelli di vita basati non più sul predominio della mercificazione ma su l’orientamento socialmente ed ambientalmente compatibile della produzione e dell’uso dei prodotti materiali ed immateriali.
Le nuove sedi della sinistra devono rappresentare un punto di riferimento essenziale per il sorgere e crescere di tali iniziative.

I nuovi beni comuni
I disastri sociali ed ambientali degli ultimi decenni, sono dovuti essenzialmente al crescere e consolidarsi dell’egemonia culturale del neo liberismo con il portato ideologico di una furia privatizzatrice che ha ridotto tutto a merce. L’acqua, la terra, il cibo, le fonti energetiche sono state (e sono) sempre più oggetto degli interessi delle multinazionali e quindi sottoposti sempre più alla logica del profitto. La finanziarizzazione dell’economia e le logiche speculative hanno preso come virtuali anche le fonti energetiche, quelle idriche, le stesse fonti alimentari. Oramai anche il grano, il mais, il riso che rappresentano gli alimenti base per la gran parte dell’umanità, sono diventate occasione di speculazioni, indicatori dei futuri rendimenti. La fame, le rivolte per il cibo e per il caro energia probabilmente non rientrano neppure nei fattori di costo dei moderni speculatori.
Gli organismi internazionali, primi fra tutti il FMI e la Banca Mondiale, hanno sottoposto gli stati ed i loro popoli alla logica imperante delle privatizzazioni e delle dismissioni, del ritrarsi degli stati dalla gestione, prima finalizzata all’universalità, dei beni comuni.
I disastri provocati in America latina hanno determinato la nascita di movimenti che, in risposta a tale situazione, hanno messo in crisi il neo liberismo facendo rinascere, su basi nuove, una sinistra che, diventata maggioranza, si ripropone di riportare in mani pubbliche la gestione dei beni comuni.
Anche nel nostro paese la nascita di una nuova sinistra deve essere in grado di proporre una visione aggiornata dei beni comuni e della gestione democratica ed universalistica degli stessi.
L’acqua, l’aria, la terra, le fonti di energia, le reti di trasmissione dell’energia, le reti di comunicazione e di conoscenza, i saperi, rappresentano la nuova frontiera dei beni comuni sui quali la Sinistra deve proporre e praticare, a partire dai territori, forme di gestione tese a garantire l’universalità della fruizione ed un nuovo controllo pubblico - dei molti - in grado anche di superare la dicotomia novecentesca fra privatizzazione e statalizzazione.
A tale proposito i territori rappresentano un elemento fondamentale sia di sperimentazione di nuove forme di gestione, sia di una nuova visione dei beni pubblici.
È fondamentale la battaglia per la pubblicità dell’acqua, così come le iniziative che gli enti locali, dove è e sarà presente il soggetto unitario della sinistra, riusciranno a realizzare in merito all’autosufficienza energetica, all’accessibilità per le reti di trasmissione della conoscenza e della comunicazione, per le reti di trasporto pubblico, per i sistemi dei servizi sociali, d’istruzione ed educativi.
Le forme proprietarie di tali beni comuni dovranno basarsi sul controllo democratico delle popolazioni interessate (es. gestione comunale, azionariato sociale).
L’ampliamento o, in antitesi, l’ulteriore riduzione di spazi di democrazia passano innanzitutto dalla capacità di gestione e dal controllo democratico che andrà a determinarsi sui beni comuni.

Diritto alla casa e legge dei suoli
La bolla speculativa che ha accompagnato, sostanzialmente nell’ultimo decennio, la politica dell’abitare non solo nel nostro paese, si sta finalmente sgonfiando. Dove è già esplosa ha reso palese che tale bolla speculativa era oramai diventata un elemento fondante della finanziarizzazione dell’economia. La crisi dei c.d. crediti subprime ha coinvolto le borse internazionali, le maggiori banche ed ha avvitato l’economia in un ciclo che tende a sostanziarsi come una vera fase di recessione.
Nel nostro paese, lo sgonfiarsi della bolla speculativa non ha avuto significative ripercussioni finanziarie ma ha comunque determinato serie problematiche sociali, incoraggiate anche da una visione particolarmente ristretta della BCE con la sua politica di innalzamento del tasso di interesse.
Il nostro paese si caratterizza su questo aspetto anche per un’assenza di programmazione e pianificazione, per un ritrarsi del pubblico dalla gestione del territorio, per una subordinazione culturale, anche ed in particolare degli amministratori locali, alle logiche delle imprese e dei costruttori.
Un aspetto determinate della bolla speculativa (e delle conseguenti cementificazioni e distruzioni del territorio che caratterizzano da decenni le politiche urbanistiche nel nostro paese) è ravvisabile in una legge dei suoli che incoraggia proprio la logica speculativa. Riteniamo importante rivedere tale normativa anche sulla base di quanto espresso più volte da un urbanista del livello di Campos Venuti, il quale afferma, nella sua proposta di riforma urbanistica, che non occorrerebbe più trattare i privati “come se avessero diritto ad avere gratis l’edificabilità.”
Le possibili soluzioni devono basarsi su una rinnovata politica abitativa, strettamente connessa ad una politica urbana socialmente ed ecologicamente compatibile. I Piani Regolatori Urbanistici devono essere strettamente connessi ai Piani Regolatori Sociali. Risulta necessario un rinnovato intervento dello Stato, come iniziato con il precedente governo, con nuovi e cospicui finanziamenti che consentano agli enti locali una nuova gestione pubblica della situazione urbana.
Occorrerà ragionare inoltre su strumenti, anche innovativi, che consentano processi di integrazione fra l’Ente locale ed il privato sociale e sulla necessità di programmare non solo quanto si costruisce ma anche le modalità, i costi e le forme di partecipazione del pubblico (cioè il chi ed il perché).
In particolare gli enti locali, devono decidere e programmare, sull’esempio di quanto avviene in altri paesi europei, gli interventi urbanistici determinando quote consistenti di edilizia pubblica e di edilizia destinata alla locazione in una visione progettuale uniforme stabilita dal livello dell’interesse pubblico.

Il mondo dei lavori
“La complessità si governa o con la democratizzazione o con la coercizione”
La nuova sinistra che vogliamo costruire dovrà essere in grado di dare espressione ad una nuova centralità multipolare del variegato e frammentato mondo dei lavori, frutto della odierna società complessa, superando vecchie logiche di centralità di una categoria rispetto alle altre.
A partire dalla rivoluzione informatica abbiamo assistito all’emergere di una costruzione ideologica basata sulla fine della classe operaia, e quindi del lavoro complessivamente inteso, come rappresentazione autonoma e potenzialmente antagonista rispetto alla logica del profitto e dello sfruttamento.
Più concretamente il capitale, unitamente a forme di fordizzazione dei nuovi lavori e del lavoro intellettuale, con i propri modelli produttivi e culturali di indiscriminato saccheggio dell’umano e del naturale, ha sussulto l’intera società.
Paradossalmente proprio quando, in particolare nei nuovi lavori ed in settori sempre più vasti del lavoro intellettuale proletarizzato, emerge l’inutilità e l’inefficienza del comando, la costruzione ideologica dominante controlla e rende in funzione patologica, asservita alla propria irrazionalità, il general intellect, facendone modalità organizzativa di atomizzazione e consenso e deprivandolo delle immanenti potenzialità di liberazione.
La Sinistra, per avere una vocazione maggioritaria, dovrà mettere in connessione politica, essere contenitore molteplice di queste differenti soggettività sociali e solo così potrà percepirne le esigenze materiali, quelle retributive, le condizioni di vita - ma con grande attenzione a quelle psicologiche - del mondo dei lavori subordinati e parasubordinati, dei lavori apparentemente autonomi, manuali o intellettuali, fino alle figure di alta professionalità che agiscono nell’ambito della ricerca, innestando e promuovendo processi di democratizzazione dei luoghi di lavoro.
La democrazia (e quindi la partecipazione) nei luoghi di lavoro assume un carattere fondante nella sperimentazione di più efficaci sistemi organizzativi, in grado di produrre sulla base del maggiore risparmio di energia naturale umana ed energia naturale extra umana.
Infatti l’irruzione continua, violenta e totalizzante dell’irrazionale modo di produzione agisce direttamente non solo nelle alterazioni naturali e climatiche ma anche nelle sfere psicologiche più profonde degli individui e delle individue, soggiogandole ad inumana impotenza – pensiamo alle generazioni private della prospettiva di  futuro, annichilite dal precariato, o subordinate a ricatti o violenze psicologiche sui luoghi dei lavori, e/o ingabbiate a tal punto nella costrizione da non poter più nemmeno rivendicare il diritto inalienabile alla salute e alla sicurezza del lavoro.
Nella fabbrica, per almeno due decenni tra gli anni ’60 e ‘70, la riflessione, l’indagine e le lotte su questo terreno furono molto avanzate, riuscendo a creare senso comune ed egemonia su battaglie di civiltà, contribuendo a far nascere associazioni di grande impegno e valore morale, professionale e politico quale ad esempio “Medicina Democratica”.
Ora si tratterebbe di riappropriarsi di quell’esempio per approfondire nuove forme di conoscenza e di critica degli odierni modi di lavorare, nei diversi settori, privati e pubblici, e delle odierne ripercussioni sull’integrità fisica morale e psicologica delle lavoratrici e dei lavoratori, manuali ed intellettuali. Senza questo sforzo non saremo in grado di contrastare nemmeno le forme più marcatamente schiaviste che ha assunto lo sfruttamento per una parte dei lavoratori (pensiamo ai migranti, ma non solo). Il caporalato, da forma residuale di sfruttamento, è divenuto, con l’appalto e il subappalto di umani, forma plusmoderna della nostra economia.
L’impossibilità di garantirsi un futuro, di incidere minimamente sulla funzione sociale, ambientale e dell’organizzazione del proprio lavoro crea oggi una nuova forma di alienazione, più penetrante, che non è più solo disagio rispetto ad un contesto, ma destabilizzazione interiore.
Individui e individue con forti connotazioni di insicurezza, di fragilità, ma culturalmente subordinate al mito della potenza. Questo rappresenta un terreno fertile al generarsi e all’estendersi della violenza nella società e alle violente risposte repressive di un potere forte.
La democrazia (e quindi la partecipazione) nei luoghi di lavoro, assume carattere fondamentale nella decisione sociale di cosa e come produrre (merci materiali ed immateriali) sia per recuperare un nuovo senso della propria esistenza che vada oltre l’isolamento individuale, ma anche, più concretamente, nell’invertire il massiccio spostamento di ricchezza dal lavoro alla rendita ed al profitto che si è realizzato in questi anni.
La realizzazione di forme più avanzate di democrazia presuppone quindi la realizzazione di forme di partecipazione non tanto agli utili di impresa ma in particolare alle decisioni della stessa.

Il lavoro pubblico e la pubblica amministrazione
La pubblica amministrazione ed i circa 3,5 milioni di lavoratori che ne rendono possibile il funzionamento sono da ormai troppi anni soggetti ad un attacco ideologico teso a mettere in discussione la stessa necessità del pubblico. L’attuale Parlamento rappresenta emblematicamente, proprio nella visione del pubblico impiego, la costruzione culturale di un pensiero unico volto non tanto ad un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza della pubblica amministrazione in rapporto ai servizi che deve fornire ma, tolti i veli della propaganda ideologica, alla riduzione massiccia di questi servizi per liberare, in nome di una fallimentare ideologia del mercato, nuovi spazi di profitto ad un sistema economico-finanziario che con le precedenti privatizzazioni ha saputo realizzare enormi profitti scaricando sui cittadini i costi sociali e l’inefficienza dei risultati.
La riforma della Pubblica amministrazione a partire dai primi anni novanta (e dal 1983 per quanto concerne i sistemi contrattuali dei dipendenti), a fronte di un significativo aumento delle produttività, dovuta in particolare all’informatizzazione ed a una semplificazione dei procedimenti, è rimasta comunque incompiuta. Le ragioni di tale situazione sono ravvisabili essenzialmente nei pregiudizi ideologici non fondati su dati reali che sottostavano a tale riforma, nel non aver saputo fare i conti con il problema oramai plurisecolare dell’inefficienza delle classi dirigenti nel nostro paese, con la loro capacità di farsi casta (nelle professioni, nei dirigenti pubblici, nella politica, nell’economia), di resistere a tentativi di innovazione e modernizzazione.
La selezione inefficace delle classi dirigenti, l’aumento spropositato delle loro retribuzioni, l’endemica incapacità di rendere conto dei risultati, la connessione sempre più stretta fra classi dirigenti e ceto politico sono state le ricadute forse evitabili della c.d. riforma Bassanini. Tale riforma si è dimostrata decisamente carente negli aspetti del controllo da parte dell’utente, nella capacità di mettere in rete, rendere partecipi le tante professionalità presenti nel pubblico impiego.
La cancellazione dei controlli sulla legittimità e correttezza contabile, la commistione / subordinazione fra dirigenti e vertici politici, fondata su una visione falsamente americanizzante della PA, hanno reso palese il divario fra gli obiettivi proclamati ed i risultati raggiunti, fino ai casi più eclatanti, di distorsione di risorse pubbliche a fini privati o, peggio, con mezzi o fini assimilabili alla criminalità.
Nella costruzione sociale dei pubblici dipendenti assistiamo, come dato anomalo del nostro paese rispetto all’Unione Europea, ad una massiccia divisione di classe con caratteri propri di una visione castale decisamente preoccupante. Infatti, in particolare nel pubblico impiego, si denota una capacità-concretizzazione di crescita professionale e di carriera direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza. A partire dagli anni novanta le nuove immissioni di personale nella PA, mediamente con una conseguita preparazione culturale superiore al proprio inquadramento, rappresentato essenzialmente dai figli dei ceti operai e popolari che avevano avuto, a seguito della scolarizzazione di massa, accesso a forme di istruzione superiore o universitaria, si sono trovati a dover competere con una classe dirigente mediamente poco professionalizzata ed ancor meno propensa a lasciar spazio al nuovo che avanza. Le carriere automatiche o pilotate, le clientele precostituite, hanno visto consolidato il proprio potere, reiterato la selezione di funzionari dello status quo, e sono state in generale poco propense, se non del tutto avverse, a mettersi in discussione e a favorire un reale rinnovamento e l’innovazione del funzionamento della macchina amministrativa, forzatamente relegando a volte anche persone motivate al ruolo di assemblatori della catena di montaggio del procedimento amministrativo.
Venuto meno il vecchio compromesso democristiano, che vedeva nel pubblico impiego una propria base elettorale e clientelare, fra bassi stipendi e basso rendimento, i lavoratori e le lavoratrici del pubblico si sono trovati a dover fare i conti con basse retribuzioni, poche possibilità di crescita professionale ed un substrato ideologico, divenuto senso comune, che li etichetta con il poco esaltante appellativo di fannulloni ed assenteisti. Il danno e la beffa.
Nonostante tutto i tentativi generosi di innovazione non sono mancati, pensiamo ad es. alla c.d. scuola del benessere organizzativo, alla capacità di mutuare da altre esperienze sistemi organizzativi ”a staff” che motivino il personale al raggiungimento di obiettivi “utili” per l’utenza, in un’alleanza democratica, che ove sperimentata ha dato dei risultati decisamente incoraggianti e soddisfacenti, sia per il personale che per l’utente esterno.
Riteniamo che tali modalità organizzative, unitamente alla soluzione dell’oramai ineludibile problematica delle basse retribuzioni, possano fornire le indicazioni giuste su cui muoversi per una pubblica amministrazione realmente in grado di dare servizi efficienti ai cittadini, considerando che tutti i pubblici dipendenti sono anche cittadini, sia quando lavorano (e molti, dall’interno, vorrebbero che la Costituzione fosse rispettata alla lettera, dove impone, attraverso l’esercizio pubblico, imparzialità, correttezza ed efficacia per il buon andamento della pubblica amministrazione) che quando a loro volta si trovano ad essere utenti (3,5 milioni di utenti) di altri pubblici servizi.

La democratizzazione dell’economia
La Sinistra del nuovo millennio dovrà porsi, se vuole realmente essere in grado di incidere, di prospettare un’idea diversa di società, il problema della democratizzazione dell’economia. Non è possibile infatti affrontare i gravi problemi climatici, la catastrofe annunciata del mondo in cui viviamo, le profonde diseguaglianze sociali, senza porsi il problema di chi decide su cosa, come e per chi produrre.
La finanziarizzazione dell’economia, la dislocazione dei processi produttivi alla ricerca spasmodica di una manodopera a costo sempre più basso, la logica del profitto totalmente insensibile alle necessità reali dei popoli richiedono risposte adeguate ai tempi. Se non è possibile continuare nella direzione imposta dall’ideologia neoliberista non è tuttavia neanche possibile riproporre modelli storicamente determinati. Occorre superare definitivamente la falsa dicotomia fra privato e statalizzazione. Le forme del pubblico e dell’attivazione di processi di democratizzazione non potranno più inseguire superati e sconfitti modelli gerarchici ma dovranno più opportunamente seguire le forme del “rizoma”, dell’”edera” della “rete” in grado di adattarsi alle esigenze dei territori, di rendere flessibili e mobili le forme di partecipazione. La partecipazione dei produttori nei sistemi decisionali non è più scindibile dalla partecipazione dei consumatori, quindi dalla partecipazione sociale nel decidere dove, cosa e come produrre.
Di conseguenza anche le forme proprietarie dovranno adattarsi a tali necessità.

Un’economia fondata sulla pace.
Un nuovo modello sociale deve considerare le politiche di pace come fattore determinante di progresso sociale basato sulla consapevolezza che le guerre, con il connesso aumento del PIL ed il parallelo deteriorarsi di tutti gli indicatori di benessere sociale, sono un sistema inefficiente di allocazione delle risorse. Un nuovo modello sociale non può che basarsi su una diversa redistribuzione fra spese sociali e spese militari attivando politiche di riconversione dell’industria bellica ed invertendo sostanzialmente la tendenza all’aumento delle spese per scopi militari e di difesa che hanno caratterizzato, in modo preoccupante, anche il nostro paese.
Per costruire e praticare scelte di economia di pace è necessario infatti riconvertire le imprese belliche in attività civili ricordando, a tal proposito, quanto già scritto da leader politici del calibro di Willy Brandt ed Olof Palme o da un premio Nobel per l'economia come il prof. Wassily Leontief e Faye Duchin i quali hanno prodotto un modello econometrico sulle spese militari teso a dimostrare i benefici per l’economia mondiale che deriverebbero dall’investire quanto speso dal settore dell'industria belliche in attività civili.

La nuova questione morale e la rinascita sociale. Per una Carta Etica della Sinistra.
La proposizione di una nuova questione morale, di una serie di principi e pratiche a cui attenersi dell’agire politico rappresentano la cartina di tornasole per la costituzione di un nuovo soggetto politico della sinistra. La sinistra per essere credibile deve saper riconquistare, unitamente alla concretezza nell’agire per la risoluzione delle questioni sociali ed ambientali che affliggono la nostra società, ad una rinnovata visione del mondo, una propria “diversità” che identifichi e caratterizzi i propri militanti, i propri quadri dirigenti. Tale diversità rispetto all’immoralità diffusa, ad una pratica politica intesa come opportunità di carriera, alla sempre più stretta identificazione fra amministratori e dirigenti politici, deve concretizzarsi in una “carta etica” nella quale si riconoscano i militanti della sinistra e che faccia nel contempo riconoscere gli stessi come reali portatori di interessi dei ceti popolari. Una diversità che sia in grado di ridare all’immaginario sociale la funzione alta e disinteressata della politica quale la forma prima di volontariato, di servizio alla società.

I principi di tale carta dovranno basarsi essenzialmente su:
•    la separazione fra incarichi di dirigenza politica ed incarichi amministrativi;
•    lo stabilire un tetto massimo per le cariche retribuite (ad es. non oltre il 50% rispetto al proprio reddito precedente all’incarico ricoperto);
•    la previsione, per i militanti della sinistra che abbiano incarichi retribuiti elettivi o di nomina politica, che una quota del 50% di tale retribuzione sia devoluta al soggetto politico della Sinistra per le iniziative politiche e sociali;
•    la previsione del c.d. vincolo del II mandato, per cui i militanti della Sinistra che ricoprano incarichi elettivi e/o di nomina politica non possano essere riconfermati oltre il II mandato.
•    La previsione generale di una forbice retributiva per cui il reddito medio, derivate da incarichi di nomina politica e/o elettiva non possa comunque essere superiore di oltre il 50% al reddito medio di impiegati ed operai.

Passato e Futuro
La Sinistra per proiettarsi nel futuro, per dare un senso alle domande di equità e giustizia sociale che hanno costituito la propria missione storica, non può, non deve, rimuovere il proprio passato. Le rimozioni creano sempre disfunzioni psicologiche, perdite del senso di sé, di cui il Partito Democratico rappresenta un esempio da non seguire.
Nel contempo la Sinistra non deve trasformare il proprio passato in un’icona intangibile, irraggiungibile. Le icone, le cerimonie e santificazioni del passato sono il miglior modo per renderlo inattivo, per cancellarne la memoria.
La differenziazione storica, le divisioni che hanno attraversato al sinistra nel secolo scorso non hanno più senso, rappresentano differenze storicamente determinate che hanno esaurito la propria ragione d’essere. La sconfitta dell’esperienza storica del movimento comunista internazionale non è il contraltare della vittoria di quella che è stata la socialdemocrazia, anch’essa in crisi e riferibile ad una fase storica determinata. Lo stesso ambientalismo attraversa una crisi derivante dal non essere riuscito a coniugare, nel senso comune, la questione ambientale con la questione sociale.
Tutto questo non implica però che le motivazioni, le ragioni d’essere, che hanno dato un senso di massa a quei movimenti siano venuti meno; non implica neppure che termini come comunismo, socialismo, ambientalismo debbano essere seppelliti quali residui del passato, debbano essere rimossi. Al contrario, per dare nuova vitalità a quello che tali termini hanno rappresentato, occorre ricostruire, senza rimuovere né perdonare, una nuova visione del mondo, una nuova idea di socialismo che faccia tesoro del passato ma sia in grado di proiettarsi nel futuro.

Non ha alcun senso dividersi oggi fra comunisti e socialisti, le antiche scissioni avevano un senso, una propria funzione ed uno scopo, quando si sono determinate. Non rappresentavano la rinuncia all’idea di socialismo ma una ridefinizione delle pratiche, dei tentativi, dei percorsi da costruire. Anche la vecchia terminologia che divideva fra riforme e rivoluzione rappresentavano le differenti modalità per costruire un’altra società.
A noi spetta il compito di ridefinire la stessa idea di un’altra società, la stessa idea di socialismo che abbia senso e consenso nel sentimento comune, nei sogni collettivi delle classi popolari. A noi spetta il compito di ricostruire un movimento che muti lo stato di cose presenti, verso la liberazione umana.

*Sd di Chiaravalle

da sinistra-democratica.it


Titolo: Mussi: costituente di sinistra e riaprire un rapporto col Pd
Inserito da: Admin - Giugno 29, 2008, 06:40:29 pm
Mussi: costituente di sinistra e riaprire un rapporto col Pd



Claudio FavaLa Sinistra Democratica continua a puntare con decisione verso la costruzione di una Costituente di sinistra che sia il primo passo verso la realizzazione di un nuovo soggetto politico. Alla seconda giornata di lavori dell'Assemblea nazionale di Chianciano Terme che si conclude domenica, gli interventi hanno ribadito che l'esperienza della Sinistra arcobaleno alle ultime elezioni politiche è stata un errore, come è stata un errore l'idea di «autosufficienza» che ha caratterizzato la linea politica del Partito democratico. «Certe somme di identità - dice il coordinatore Claudio Fava - sono diventate solo un cartello elettorale e sono state percepite come tale dal nostro elettorato».

Per il coordinatore del movimento , la sinistra non può più essere una somma di piccole patrie, o un arcipelago o una addizione di nomenclature «altrimenti il paese sarà a lungo consegnato alle destre». C'è interesse nella Sinistra democratica per un rapporto con un Pd che sappia rivedere criticamente se stesso, che comprenda che la sua nascita è stata una sorta di «fusione a freddo» con una parte del centro della politica.  Sintetizza Fabio Mussi: «Senza alleanze non si va da nessuna parte». L'unico scoglio per il ritrovato rapporto con i democratici può essere quello del feeling tra Pd e centristi dell'Udc: «Cosa sarebbe - si chiede Fava - un abbraccio tra democratici e Udc? Un circo equestre, un minestrone indigeribile...». Tra l'altro, ammonisce, «non credo che Casini e il suo partito abbiano in mente di unirsi con chi è a sinistra del Pd e con chi chiamano, genericamente Rifondazione».

La sinistra disegnata da Fava e da Mussi non dovrebbe adeguarsi, come in parte ha fatto il Pd a un qualunque mutamento di sentire del Paese. «Un esempio fra tutti, la sicurezza, tema che non va lasciato alla destra ma che il Pd - sottolinea Fava - imposta in modo spesso improprio».

«Da soli non si va da nessuna parte - ha ricordato Fabio Mussi nel suo intervento -. Voglio ricordare che i due partiti che da soli in Italia hanno ottenuto nel passato il 75% dei voti, c'era il Partito comunista e la Democrazia cristiana, non hanno mai teorizzato, persino quando la Dc aveva la maggioranza, di governare da soli, ma hanno sempre cercato alleanze». «L'agenda politica - prosegue Mussi - è in mano alla destra, bisogna riaprire una prospettiva di centrosinistra. Prendo atto che Veltroni ha precisato di non aver mai parlato di autosufficienza ma il Pd ha poi seguito questo principio che ripeto non porta da nessuna parte». Per l'ex coordinatore di Sinistra Democratica, «la linea è chiara: cercare di aggregare quanto più possibile a sinistra, per poter condizionare la politica del Pd, riaprire il rapporto col Pd ed una prospettiva di centrosinistra in Italia che oggi, allo stato dei fatti, è chiusa. Quello che fu il centrosinistra è in un vicolo cieco, e con la configurazione attuale non si va da nessuna parte. È impensabile che nel Parlamento di un grande paese europeo non ci sia una forza che si definisce di sinistra».

Il progetto di Sd incassa l'interesse di Franco Giordano, già segretario di Rifondazione, il quale boccia senza appello il progetto di Oliviero Diliberto di unità dei comunisti, che cancellerebbe in un istante 15 anni di esperienza politica di Rifondazione. «Io penso - dice Giordano nel suo intervento - che bisogna avviare un progetto costituente a sinistra anche perché Rifondazione non si salva e rischia di estinguersi se vive in una maniera statica e identitaria».

Per Giordano, la relazione di Fava è «un intervento costruttivo, assolutamente utile nell'ottica della ricostruzione di questo campo largo», mentre l'unità dei comunisti avanzata dal Pdci «è improponibile, cancellerebbe di colpo 15 anni di innovazione politica e culturale di Rifondazione. Negherei me stesso, la mia cultura, la mia storia su tanti terreni come la nonviolenza e il rapporto coi movimenti».

Riguardo al possibile confronto col Pd per un nuovo centrosinistra, l'ex segretario di Rifondazione ha puntualizzato che «una cosa è confrontarsi con chi vuole importare il modello americano in Italia, insistendo sulla logica bipartitica e autosufficienze; altra cosa è farlo con chi vuole stare dentro il modello europeo. Il modello americano presuppone la cancellazione della sinistra, o il suo confinamento ad iniziative sociali, o ad un aspetto marginale e folcloristico».



Pubblicato il: 28.06.08
Modificato il: 29.06.08 alle ore 0.42   
© l'Unità.


Titolo: Tre riflessioni sul Salvi di Chianciano
Inserito da: Admin - Luglio 01, 2008, 06:29:29 pm
Tre riflessioni sul Salvi di Chianciano

Gianni Zagato*


La decisione di Salvi di riesumare dal passato – un passato che si era chiuso con la fine  della vicenda politica dei Democratici di Sinistra – l’associazione chiamata Socialismo Duemila  mi suggerisce tre riflessioni. Proverò ad esporle con una certa schiettezza.
Prima riflessione. Il dibattito politico e culturale intorno al socialismo, se sia vivo o morto, se abbia un futuro e come debba fare i conti col suo passato, è un dibattito che ci accompagna da diversi anni, in tutta Europa e non solo in Italia.  Si è certo caricato di una valenza nuova dopo la caduta del muro di Berlino, vent’anni fa, quando è sembrato di assistere al tramonto di ogni ideologia tranne una, l’ideologia del mercato come unica verità della nuova Storia. Ma  le domande sul destino del socialismo, sull’esaurimento o meno della socialdemocrazia dentro la vicenda europea se le ponevano già prima  - erano gli anni Settanta – uomini come Olof Palme, Willy Brandt. E da noi, Enrico Berlinguer. E le loro domande erano serie e profonde. Partivano da un’analisi che faceva i conti con la fine annunciata di un modello storico di sviluppo  che proprio nei paesi europei aveva conosciuto i maggiori successi nell’emancipazione sociale e civile e che finiva per chiamare in causa, attraverso  una crisi che appariva irreversibile, la forma  del partito politico, la sua capacità di rappresentanza, la forza della sua organizzazione dentro la società.  Ora, diversi anni dopo, siamo nel pieno di quella crisi. I risultati elettorali, in Italia come in tanta parte d’Europa,  ne sono soltanto  l’epifenomeno. Se guardiamo la questione partendo dal titolo di un’intervista, finiamo per essere strumentali anche senza volerlo.

Seconda riflessione. Il limite di questo dibattito sul socialismo che da anni ci attraversa è che restiamo fermi su una appartenenza quasi fine a se stessa, senza che dentro quell’appartenenza si sviluppi un campo reale e profondo di ricerca, prima di tutto culturale,  del pensiero della crisi e di come uscirne. E’ Gramsci (Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce) a dirci che il socialismo è “una filosofia che è anche una politica e una politica che è anche una filosofia”.  Ma purtroppo il socialismo che oggi abbiamo davanti agli occhi in Europa non tiene più insieme queste due dimensioni, coessenziali invece  per un suo nuovo protagonismo , tanto di  fronte alla critica di questo modello di sviluppo ipercapitalistico, quanto alla necessità di indicare un’alternativa, una nuova e diversa agenda di fronte ai mali del mondo contemporaneo, primo dei quali il riproporsi dell’ingiustizia sociale in una dimensione che appare immensa e sconvolgente. La domanda principale che dobbiamo porci – per  chi sta beninteso nel campo della sinistra da rimettere in cammino – non è se siamo tanto o poco socialisti, fedeli o meno a questa parola come ad un a priori che ci consegni la soluzione dei nostri problemi.  La domanda invece fondamentale su cui lavorare è piuttosto quale teoria critica di questo capitalismo dominante il pensiero socialista – e con esso i partiti  che a quel pensiero fanno riferimento – sa sviluppare. Si tratta di guardare il mondo non da un balcone dell’Ottocento come nostalgicamente finisce per fare Salvi a Chianciano, ma di guardarlo dalla tromba delle scale, perché è lì purtroppo che ci troviamo.  Non il richiamo allora  al socialismo come a una ricetta tranquillizzante, bensì una ricerca  dura e difficile che chiama quel pensiero ad andare non solo dentro se stesso, ad andare anche fuori incontrando culture – il femminismo e l’ambientalismo, ad esempio – che non sono fondative originariamente del socialismo ma senza le quali quella ricerca non produrrebbe risposte nuove. Negli anni Trenta Martin Heidegger giungeva a dire che “la politica è morta, solo un dio ci può salvare”. E quel dio poteva essere il credo di una religione o il dio del mercato e del consumo. Molti anni dopo un economista e filosofo italiano, Claudio Napoleoni, prendendo spunto da quella frase arrivava a dire: “dobbiamo cercare ancora”. Il socialismo ha un senso se sa cercare ancora.

Terza riflessione. Riguarda noi, noi di Sinistra Democratica. Quello che stiamo cercando di fare è, insieme, capire attraverso lo specchio del voto cosa è successo in Italia e come mettere in atto una risposta, una risposta chiamata sinistra. Non abbiamo rappresentanza parlamentare, non abbiamo risorse materiali comparabili con altri nostri competitori. Vogliamo costruire una risposta alla crisi del centrosinistra e proporla, per un comune lavoro e impegno, tanto a chi sta con noi a sinistra ed è attraversato da una riflessione interna che pone rischi seri di altre frammentazioni e rotture, quanto al Partito Democratico che ha dispiegato fin qui una strategia solitaria e perdente. Mi chiedo: c’è proprio bisogno che dentro Sinistra Democratica, per opera di uno dei suoi più esposti dirigenti, si dia luogo ad una associazione a sé stante? Con aderenti, iscrizioni, statuti, risorse suppongo. Non assomiglia tutto questo a quella frammentazione leaderistica e correntizia che già sta pregiudicando l’esistenza, ancora prima di nascere veramente, del partito democratico? Cosa finiremo per fare, caro Salvi, lavorare la mattina per Sinistra Democratica e il pomeriggio per Socialismo Duemila?  Oltre tutto il nome ci riporta indietro, inutile nasconderlo. Al tempo dei ds, del correntone che era una cosa e socialismo duemila un’altra. E’ un bene che un movimento come il nostro abbia tanti e autorevoli leaders. Ma prima ancora, se vogliamo fare strada, ci serve una comunità. E leaders capaci di costruire comunità, rimboccandosi le maniche con tutto il loro impegno. Siamo dentro una disfatta, non dimentichiamolo, siamo a ridosso della tromba delle scale. Non stiamo più guardando il mondo da un balcone dell’Ottocento.

*Responsabile Organizzazione Sd

da sinistra-democratica.it


Titolo: Chianciano: Intervento di Giovanni Berlinguer
Inserito da: Admin - Luglio 01, 2008, 06:30:31 pm
Intervento di Giovanni Berlinguer


Claudio Fava ha detto giustamente che questo incontro non sarà la celebrazione di una identità ma l’inizio di una ricerca, che vogliamo condividere con altri soggetti della sinistra (e del centrosinistra), ragionando anche sulle nostre colpe, sui mutamenti profondi della società, sul rapporto con i cittadini, e sulle difficili prospettive dell’Italia.

Non dobbiamo nascondere che questo governo è frutto di un forte sostegno elettorale e gode tuttora di un grande consenso popolare. L’arroganza di Berlusconi, nell’imporre ancora una volta le sue leggi ad personam, ha però suscitato vivaci reazioni (e perfino qualche critica interna), che hanno rotto l’acquiescenza e il consenso obbligato. Da molte parti, inoltre, viene contestata la politica economica del governo: i sindacati respingono il trucco dell’1,7% come indice triennale dell’inflazione programmatica, imponendo così una riduzione consistente dei salari, già ora largamente insufficienti; e la rivista “Famiglia cristiana” definisce questa linea come “deludente”, usa l’espressione “luna di fiele”, afferma che alle famiglie è dedicata soltanto la “carità di Stato”, e chiede che non si scambi la vita dei poveri con una “carta degli anziani”.
Mi sembra perciò di percepire lo sviluppo, in tempi più rapidi del previsto, da una parte di una azione aggressiva del governo contro le libertà (l’ultima è quella feroce di Maroni: prendiamo le impronte digitali ai bambini rom che chiedono l’elemosina) e dall’altra parte una gran voglia di agire, di partecipare e di creare nuove aggregazioni; di scoprire forme di lotta aggiornate; di costruire movimenti; di lavorare nell’informazione e della diffusione dei saperi; di lottare per riequilibrare le entrate, le spese e i diritti delle persone.

Abbiamo bisogno, per questo, di un forte rinnovamento culturale e generazionale dei gruppi dirigenti, per analizzare meglio le cause della disfatta subita dalla sinistra e per aprire spazi a nuove esperienze e a fresche energie. Su queste basi si potrà costruire una ripresa della sinistra, a queste condizioni si potranno sviluppare alleanza appropriate, e si potrà procedere verso una maggiore unità.
Queste settimane sono dense di appuntamenti politici diversi, nella sinistra e nel centrosinistra. Vediamoli con molto rispetto. Non si può sfuggire, tuttavia, alla preoccupazione che nelle consultazioni congressuali di Rifondazione, del Pdci e dei Verdi vi siano dei rischi di ulteriori frammentazioni, come risultato di molte diverse mozioni. Sull’altro lato, quello del Partito Democratico), si paga ora la decisione di affrontare da soli l’appuntamento elettorale, e si stanno creando strutture interne, camuffate da “Fondazioni” o da altre aggregazioni interne, che sono foriere del potere personale e di instabilità permanente.

Può darsi che la mia preoccupazione sia eccessiva, o che sia considerata una inframmettenza esterna e indebita. Lo scenario, tuttavia, non lascia dubbi sul presente e sul futuro immediato: l’Italia attraverserà anni difficili, e per modificare il percorso c’è bisogno di due punti di svolta. Uno è la Costituente unita della sinistra; che sia però attuata, come ha scritto Luciana Castellina il 23 maggio, “senza precipitare subito in forme definite, che servirebbero solo a riproporre vecchi e nuovi gruppi dirigenti, pensati con il bilancino o a perpetuare l’esistenza di cose disparate come è stato l’Arcobaleno”. L’altro è pensare che il soggetto unitario della sinistra possa essere autonomo per i prossimi decenni di fronte ad un Pd centrista. In altre parole, dobbiamo lavorare per un sistema di alleanze.

Una pista più vicina, rispetto agli eventuali decenni, sta negli orientamenti che sono emersi nel Partito democratico in rapporto alla sua collocazione futura nel Parlamento europeo, che sono stati resi espliciti da Lapo Pistelli dopo i falliti tentativi di creare un “gruppo italiano” (impraticabile per i regolamenti) o una alleanza con altri paesi (impraticabile per il loro rifiuto). E’ stata perciò aperta una trattativa per collegare il Pd al gruppo socialista europeo, con un duplice eventuale accordo: Il Pse riconosce l’esigenza di una formazione politica più ampia, che raggruppi, oltre alle forze socialiste quelle liberal-democratiche e riformiste (un’idea caldeggiata da Giorgio Ruffolo), e al Pd viene aperta un’area specifica nell’ambito del gruppo del Pse.

Vedremo cosa accadrà


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La politica italiana è necessariamente partecipe, in gran parte delle decisioni, degli orientamenti dell’Unione europea, che già condizionano la nostra vita quotidiana. La costruzione dell’Europa è stata definita da alcuni come “il più innovativo disegno politico del Novecento”, con qualche solida ragione: l’aver assicurato sessanta anni di pace, l’aver diffuso la democrazia, l’aver costruito lo stato sociale.
A metà degli anni Novanta, fra le 15 Nazioni che la componevano ben 13 avevano governi di sinistra o di centrosinistra, ma essi non hanno saputo sottrarsi all’ondata neoliberista e aprire nuove starde. Ora, fra le 27 nazioni, soltanto cinque o sei hanno una guida  socialista o progressista: basta una mano per contarli! Negli ultimi anni sono anche mutati i rapporti di forza anche nel Parlamento europeo, dove il gruppo liberal-democratico si associa molto frequentemente a quello popolare nel sostenere direttive apertamente reazionarie.
Si possono citare due casi recentissimi (e gravissimi). Uno riguarda l’immigrazione, un tema che in altri tempi era stato oggetto di decisioni positive, fra cui il ricongiungimento familiare e il diritto d’asilo. Ora è stato approvato un testo opposto, blindato, molto simile alle decisioni dell’attuale governo italiano, e molto crudele, rifiutando tutti gli emendamenti tesi ad abbassare la durata massima della detenzione, a migliorare la sorte dei bambini non accompagnati, a consentire qualche giorno in più per il rimpatrio volontario. La Direttiva prevede il trattenimento presso centri di detenzione fino al 18 mesi, i minori possono essere avviati a Stati diversi dalla loro origine, il rimpatrio volontario è fissato nel periodo fra 7 e 30 giorni, insufficiente per chi ha famiglia. Donata Gottardi, un’altra parlamentare del gruppo Pse, ha ricordato che “il flusso migratorio si è invertito nel nostro paese solo nel 1973” e ha aggiunto “Non è passato nemmeno un secolo da quando siamo partiti alla ricerca del lavoro sui piroscafi diretti in America, del Nord come del Sud, spesso emarginati con gli stessi pregiudizi che ora applichiamo a chi consideriamo usurpatore”.
L’altro caso riguarda il tempo di lavoro, che per oltre 150 anni è stato un punto cardinale per la vita degli operai, per la contrattazione, per avere diritto a una famiglia, per compiere le proprie scelte. La prima conquista fu nel 1848, tempo di rivoluzioni in Europa, che affermò il diritto degli operai di lavorare non più di 12 ore al giorno. All’inizio del Novecento si stabilì il riposo settimanale obbligatorio, il massimo di 48 ore lavorative, e poi i congedi pagati. Dopo la Seconda guerra mondiale furono ulteriormente ridotti i limiti di orario e allargati i congedi; e ci fu un lungo periodo di collaborazione e di contrattazione, che produsse un certo equilibrio di reddito, di potere e di sapere tra lavoro e capitale, e favorì lo sviluppo dell’economia europea.

Il 9 e 10 giugno 2008 il Consiglio (in rappresentanza di tutti i governi) decise di “emendare alcuni aspetti dell’organizzazione del tempo di lavoro” e di applicare la opt-out clause (clausola di dissociazione) che consente di non applicare il tempo massimo di lavoro (48 ore) se il lavoratore è d’accordo per lavorare un tempo più lungo sino a 60 o 65 ore, il che significa orari da 12 o 13 ore per cinque giorni consecutivi.


Fermo restando che un certo grado di flessibilità nell’orario di lavoro e nei tempi di vita può migliorare molte situazioni, le conseguenze possono essere assai gravi: una è che il sovraccarico di impegno può facilmente causare malattie e compromettere la sicurezza di chi lavora, come accadde ai sette lavoratori della Tyssen. Un’altra è che le donne già ora impegnate nel doppio lavoro, vedano ulteriormente accentuate le proprie discriminazioni. Inoltre, l’opt-out implica un contratto individuale nel quale il rapporto di potere tra lavoratore e azienda è fortemente sbilanciato. Sono queste alcune delle ragioni che hanno mosso all’azione le organizzazioni sindacali e politiche, con l’obiettivo di  modificare  sostanzialmente questi orientamenti.
Non mi soffermo su altri temi europei, alcuni impellenti e spinosi, come la difficoltà di proseguire e completare il Trattato di Lisbona, non solo per il referendum irlandese ma anche per altri rinvii e ostacoli; e si deve parlare anche di orientamenti positivi, raggiunti dall’Unione europea nei programmi per il clima e per le energie rinnovabili. Non mi soffermo anche perché sono certo che Pasqualina Napoletano, per le sue qualità e per la sua funzione di vice presidente del gruppo del Pse, interverrà con competenze maggiori e migliori delle mie sull’attualità e soprattutto sulle prospettive.
Concluderò con alcune osservazioni personali, partendo da un’esperienza vissuta negli ultimi tre anni (inizio nel 2005 e conclusione al maggio 2008) come componente di una Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, incaricata di affrontare le disuguaglianze nella salute e le cause sociali che ostacolano una migliore condizione e una prospettiva di vita più salubre. Abbiamo svolto indagini comparate in molti paesi e interessato governi, università, movimenti di lotta per la salute e per l’accesso  alle cure, analizzato le tendenze degli ultimi decenni, valutato i molti progressi compiuti, ma constatando che le disuguaglianze prevedibili, prevenibili ed evitabili stanno crescendo in continuazione.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Fabio Vander - Socialismo e democrazia fra passato e presente
Inserito da: Admin - Luglio 02, 2008, 06:39:59 pm
di Fabio Vander

Socialismo e democrazia fra passato e presente


Nella polemica fra Salvi e Zagato quel che più conta è il ‘non-detto’. E si tratta di questione che va ben al di là degli spunti contingenti della polemica. Qualcosa che riguarda il presente e il futuro di Sinistra democratica e soprattutto il futuro della sinistra e della democrazia italiana.
Zagato fondamentalmente paventa il rischio che la creazione di associazioni cultural-politiche significhi di fatto l’infeudamento correntizio di Sinistra democratica. E questo è l’aspetto contingente della polemica con Salvi. Cioè quello meno importante.
Meritevoli di approfondimento sono invece gli argomenti che Zagato usa per liquidare sostanzialmente il ragionamento di Salvi sulla necessità di un rinnovato socialismo. La replica inizia con l’invito a non polemizzare con Fava “partendo dal titolo di un’intervista”, con evidente riferimento all’intervista su “L’Unità” in cui Fava considerava conclusa l’esperienza socialdemocratica. La verità è però che c’è un settore di SD, quello proveniente più direttamente dal “Correntone”, che costituisce di fatto una sorta di “veltronismo di sinistra” e che con il leader del PD condivide tesi tralatizie quali: il comunismo è finito, il socialismo è finito, il ‘900 è finito, ecc., bisogna “andare oltre”, ecc. Che poi i compagni che pensandola così abbiano deciso di non aderire al PD è più un’inconseguenza loro che una risorsa per SD e la sinistra italiana.
Personalmente non ho motivo di pensare che Fava la pensi così; al contrario: sono stato molto rassicurato dalla forte frase pronunciata a Chianciano: “non aderiamo né aderiremo mai al PD”. Perfetto. Ma allora si capisce che non si tratta di un “titolo di intervista”. Perché non accettare il vacuo e pericoloso democratismo veltroniano si può, seriamente e senza ambiguità, solo contrapponendogli un’idea forte di sinistra, di socialismo e di democrazia.
Parlare di socialismo non significa dunque affacciarsi da un “balcone dell’Ottocento” (un’invettiva gratuita, perché forse la democrazia non è un “balcone dell’Ottocento”? Non lo è il liberalismo? Non lo è il repubblicanesimo? E il radicalismo? Chi decide ciò che è attuale e ciò che è sorpassato?). Significa avere armi puntute contro l’ideologia corrente, quella appunto loffiamente democratista, riformista, gradualista. Il moderatismo non è il destino della modernità. E il socialismo è l’antidoto. Certo un socialismo aggiornato. Ma anche questa è una banalità (che troppo spesso copre smanie liquidazioniste). Perché forse la democrazia non si deve aggiornare? “Destra” e “sinistra” non sono categorie da aggiornare? Perché si polemizza solo con chi parla di socialismo?
Così ad esempio Zagato usa l’argomento che il socialismo oggi “non tiene più insieme” le dimensioni della teoria e della prassi. Un argomento per tutte le stagioni. Perché forse oggi la democrazia tiene insieme teoria e prassi? Il liberalismo li tiene insieme? Berlusconi dice di essere liberale e moderato, dobbiamo credere che lo sia? Perché nessun pensatore liberale prende le distanze? Ce ne sono ancora, dopo Bobbio? E ancora: la globalizzazione è compatibile con la democrazia? Può essere una buona ‘prassi’ per la ‘teoria’ democratica del XXI secolo? Ragionare di questo per me significa ragionare di socialismo, oggi. Altro che “balcone dell’Ottocento”.
Ma Zagato usa anche un altro argomento improprio. Una frase nientemeno di Heidegger, definita “degli anni Trenta”, in cui si dice che “ormai solo un dio ci può salvare”. Certe volte si ha l’impressione che, con riferimento alla sinistra italiana, neanche un dio possa ormai tanto. In effetti la frase è del 1967, tratta da un’intervista che Heidegger impose fosse pubblicata solo dopo la sua morte, quindi si tratta di un testo sostanzialmente della seconda metà degli anni ‘70.  Ma il riferimento oltre che errato è anche del tutto estrinseco, Heidegger infatti non pensava né al “mercato”, né al “consumo”, ma al ‘tramonto dell’Occidente’, al compiersi della modernità come epoca della metafisica, ecc., cose che non meritano di essere strumentalizzate a fini di polemica da “sottoscala”.
Come le parole di Napoleoni: “dobbiamo cercare ancora”. Anche qui: tanto vero quanto ovvio. Zagato invece ne trae unilaterali conseguenze: “il socialismo ha un senso se sa cercare ancora”. Perché solo il socialismo? Forse che la democrazia può oggi avere un senso senza “cercare ancora”? Quale partito, movimento, cultura, religione può mai avere senso se smette di “cercare ancora”?
Concludendo e per ulteriore chiarezza: 1) non sono interessato a nessuna corrente entro SD; 2) socialismo non può significare adesione acritica a vecchi modelli tipo il “socialismo europeo” o il PSE, ma con la scusa di questo rischio non si può neanche liquidare qualsiasi istanza critica; 3) Sd deve accentuare i suoi caratteri di forza trainante di una Costituente della sinistra finalizzata ad un nuovo partito capace di conciliare, nel XXI secolo, critica del capitalismo e promozione della democrazia.   

da sinistra-democratica.it


Titolo: Rifondazione sull'orlo della scissione, lite sul tesseramento
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2008, 07:33:06 am
Rifondazione sull'orlo della scissione, lite sul tesseramento


Al posto di un congresso, il processo.

Ormai la corsa alla segreteria di Rifondazione comunista è segnata dallo scontro sempre più duro tra i due candidati, il governatore della Puglia Nichi Vendola e l'ex ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, con relative mozioni e linee contrapposte. L'uno contro l'altro a colpi di tessere, cioè voti, nei congressi locali appena iniziati, e di annullamenti dei risultati ottenuti. E la sentenza politica che si profila è quella di una scissione, sempre più vicina, forse persino prima del congresso nazionale in programma dal 24 al 27 luglio a Chianciano.

Almeno questa è la situazione a giovedì 3 luglio, giorno in cui Nichi Vendola, primo firmatario della mozione due che raccoglie la linea bertinottiana di apertura a una sinistra più diffusa, ha convocato una conferenza stampa in solitaria per contestare l'annullamento di un congresso. Uno dei primi, quello del circolo di Reggio Calabria-centro, i cui risultati sono stati annullati dalla commissione perché «i votanti non risultavano iscritti al partito» nel 2007.

Il problema è tutto nel tesseramento, cioè in chi ha diritto o no a decidere i delegati al congresso nazionale di Chianciano, decisi appunto nelle assise dei circoli territoriali.

A Reggio Calabria-centro il governatore della Puglia Vendola avrebbe vinto con 345 voti, contro i 2 voti ottenuti dalla mozione uno di Ferrero, Grassi e Mantovani. Ma la commissione incaricata di valutare la correttezza delle votazioni e gli aventi diritto ha invalidato il voto accogliendo un ricorso dei "perdenti" della mozione due. Per Vendona «un atto illegale, proclamato con l'interdizione a poter ripetere il congresso». E lui, con i suoi, si dice pronto a ricorrere persino ad un «atto di disobbedienza per difendere il partito. Per noi quei voti sono validi».

Il problema non è solo per quei trecento voti contesi. I vendoliani temono che possano arrivare «altre decisioni di questo genere», altri annullamenti e congressi da ripetere.

Circola così, nella conferenza stampa, la parola «scissione». «La parola scissione va bandita», risponde Vendola. «Noi - riprende poi - rappresentiamo l'ala maggioritaria del partito, a meno che qualcuno non voglia impedire questo con interventi mirati o con una censura chirurgica».

Ma un simile contrasto sulle regole fanno tremare l'intero percorso verso il congresso nazionale. Anche se anche questa ipotesi viene scacciata come un altro incubo da Vendola: «Non consentiremo - ammonisce il leader della mozione due - l'annullamento del congresso nazionale e una militarizzazione per cui l'espulsione di una parte va a vantaggio dell'altra parte». La maggioranza nel congresso nazionale, infatti, viene deciso dal risultato dei congressi dei circoli locali, che determina il numero dei delegati che spettano a ciascuna mozione.

Intanto i rappresentanti della mozione uno (Paolo Ferrero-Claudio Grassi-Ramon-Mantovani) e quelli di tutte le altre mozioni accolgono con plauso la decisione della commissione, la cui maggioranza è di area Ferrero. «La decisione è avvenuta nel pieno rispetto delle regole -afferma Ferrero- e non può diventare argomento di dibattito politico». Inoltre, secondo l'ex ministro, il congresso nazionale dovrà «decidere la linea politica del partito». Al termine del quale Ferrero propone «una gestione unitaria a tutte le altre mozioni».

Le regole stabiliscono che per il congresso hanno diritto a partecipare tutti gli iscritti che abbiano rinnovato la tessera per il 2008. Ma la mozione uno ha più volte denunciato un «tesseramento gonfiato» soprattutto in alcune specifiche realtà del Sud Italia. Anche in una lettera aperta sul giornale Liberazione si parla della questione e di circoli «nei quali il numero delle tessere è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno» e territori nei quali «il partito registra un numero di iscritti pari al 75 per cento dei voti raccolti dalla sinistra alle ultime politiche».

Si profilano, a questo proposito, altri ricorsi sulle votazioni svolte in altri circoli di Rifondazione, Bologna migranti, Pontici, Castellamare, Arezzo, che ancora devono essere discusse dalla commissione del congresso. Insomma, la situazione sul tesseramento, sulle regole, e i numeri è molto controversa.

A guardare ad esempio i siti online delle rispettive mozioni, ci sono dati contrastanti: secondo il sito della mozione uno, dopo circa un migliaio di congressi di circolo, poco meno di metà, l'area Ferrero sarebbe ancora in vantaggio con il 43,1 per cento dei voti rispetto al 42,9 della mozione due. Sul sito dell'area Vendola, invece, la situazione appare ribaltata: 44,9 per cento alla mozione due, 41,3 alla mozione uno.

Le decisioni che la commissione congressuale prenderà sui ricorsi presentati per il "tesseramento dopato" in alcuni circoli saranno quindi determinanti. Perché il congresso si faccia.

E come non bastasse, la divisione si inaprisce anche su altri fronti: Paolo Ferrero annuncia che l'8 luglio sarà in piazza Navona, assieme a Di Pietro, mentre Nichi Vendola, che invece critica l'opposizione dell'invettiva interpretata dall'Italia dei valori chiede al suo partito di riprendere la strada del confronto ad ampio raggio, per arrivare a costruire un «fronte molto largo delle opposizioni al governo delle destre». 


Pubblicato il: 03.07.08
Modificato il: 03.07.08 alle ore 21.26   
© l'Unità.


Titolo: Congresso socialista, è l'ora del dialogo e del confronto per un grande ...
Inserito da: Admin - Luglio 10, 2008, 05:23:22 pm
di Ernesto Fedi


Congresso socialista, è l'ora del dialogo e del confronto per un grande soggetto della sinistra


L’apertura del congresso socialista di Montecatini non prometteva niente di buono per chi voleva recuperare quel partito ad un progetto che vedesse, accanto al Partito Democratico, una formazione di sinistra di governo,  larga e in grado di condizionare l’intera politica del centro-sinistra.

La corrente di maggioranza, che faceva capo a Riccardo Nencini ed era appoggiata dal grosso del gruppo dirigente, da Angius a De Michelis, da Craxi a Battilocchio, forte di circa il 75% dei voti congressuali, puntava ad un asse preferenziale con il partito di Veltroni (tanto che qualcuno parlava addirittura di confluenza) e guardava con grandissima attenzione all’UDC, per realizzare un nuovo centro-sinistra che escludesse la sinistra cosiddetta radicale.

La corrente di minoranza di Pia Locatelli, Turci, Grillini, De Bue e Mosca, intendeva lavorare per una nuova sinistra che comprendesse, come diceva Mosca,  “le parti più ragionevoli della Sinistra Arcobaleno”.

Giunti all’elezione del Segretario nella persona di Nencini, per votarlo all’unanimità, la minoranza aveva posto precise condizioni.
Innanzitutto doveva essere esplicitamente fugato ogni sospetto sull’ipotesi di confluenza nel Partito Democratico.

Niente assi preferenziali, ma il partito avrebbe dovuto guardarsi attorno a trecentosessanta gradi senza esclusioni, tantomeno a sinistra, dove si sarebbero dovuti stabilire rapporti di particolare attenzione con quanti si collocano “nella grande famiglia del socialismo europeo ed internazionale”.
Alla presidenza sarebbe dovuta  andare la Locatelli,  anziché Angius.

Queste condizioni sono state accettate in toto, al punto da far dire a molti che politicamente il congresso è stato vinto, o comunque fortemente condizionato dalla minoranza.

Il documento conclusivo recita, infatti, che il partito  non può chiudersi in sé stesso, deve parlare con tutti, confrontandosi in primo luogo con le forze della sinistra non massimalista.

E conclude che occorre “costruire una sinistra di governo che oggi non c’è e che non è riconducibile alla politica del Partito Democratico, per le sue ambiguità e la sua incerta collocazione internazionale. Così come abbiamo affermato la nostra autonomia nelle ultime elezioni, la riaffermiamo oggi come condizione dell’essere del nostro nuovo partito”.

Sul piano dei contenuti , è sempre scritto nel documento conclusivo, si guarda “al mondo del lavoro, dell’istruzione, della ricerca, della cultura, della nuova società multiculturale” e si intende “dare rappresentanza agli interessi sociali più deboli in una politica di sviluppo e modernizzazione della società”.

Senza dubbio, il partito nel sul complesso, è uscito dal congresso su una posizione diversa da quella iniziale. Passi avanti, rispetto soprattutto alla gestione di Boselli e di Villetti, sono stati fatti ed è doveroso prenderne atto,  anche se con cautela e senza farsi troppe illusioni.

Molte sono le differenze che  rimangono marcate. La convergenza resta difficile  su importanti e qualificanti punti strategici e programmatici.
Ma sembra che il nuovo corso socialista si sia reso conto che, con meno dell’1%,  si fa poca strada. De resto, autorevoli esponenti della Costituente socialista, che non hanno di proposito partecipato al Congresso, come Formica e Macaluso,  lo sostengono da sempre.

Il primo auspica un socialismo largo. Il secondo sostiene che “non è pensabile e non è serio che forze politiche con  uno, due, o tre punti percentuali o poco più, si definiscano socialiste. Un partito socialista in tutto il mondo è tale se ha consensi larghi di popolo”.

Rimane, pertanto, all’ordine del giorno,  anche per il nuovo partito socialista,  l’esigenza di ricomporre il quadro politico su basi nuove. Rimane centrale la necessità di realizzare una grande sinistra di governo , indispensabile per il rilancio di un rinnovato centro-sinistra.

Per di più, sia l’attuale legge elettorale, sia quella di risulta dal referendum, sia altre eventuali avranno alte soglie di sbarramento, che costringeranno a nuove fusioni o a nuove aggregazioni.

Ed è lecito domandarsi  con chi ricercherà rapporti preferenziali ed eventualmente con chi si aggregherà il nuovo partito socialista.  Sceglierà il centro di Casini o di Veltroni, o guarderà a sinistra?
Molto dipenderà da noi . Dal progetto e dall’iniziativa che sapremo mettere in campo e dai rapporti che sapremo stabilire.

Il dialogo ed il confronto, dunque, vanno tenuti aperti e vanno incoraggiati, in  particolare con quanti si muovono nella nostra stesso direzione,  che non sono poi così pochi. E soprattutto con il mondo della cultura socialista, indispensabile al rinnovamento della sinistra italiana. Con quegli intellettuali che non si chiudono in recinti identitari,  ma guardano ad orizzonti più ampi ed intendono dare il loro contributo alla formazione di una forte sinistra di governo. Tutto  ciò nella consapevolezza che non sarà possibile rilanciare un centro- sinistra rinnovato, forte e capace di  battere questo centro-destra, senza la formazione di un grande soggetto politico,  che rappresenti la sinistra di governo ed in larghissima misura sia fortemente ancorato ai valori del socialismo.

Questo vale per tutto il popolo socialista, oggi un po’ disperso ovunque. Ma vale soprattutto per quanti  pur appartenendo al campo valoriale della sinistra e del socialismo, hanno finito per cadere nell’imbroglio del voto utile ed hanno dato la loro adesione ad un Partito Democratico,  dal quale non si sentono certo rappresentati.

Un’ultima considerazione sulla comune appartenenza,  nostra e del partito socialista,  al PSE e sul modo di intenderla.
Oggi per tutti è ineludibile la domanda: che cosa significa essere socialisti nel XXI secolo? Certo non è sufficiente rifugiarsi passivamente e acriticamente nel PSE. Non bastano le etichette per essere autenticamente socialisti.

Per di più il socialismo europeo, per tornare a vincere, ha oggi bisogno di una profonda opera di ristrutturazione ed aggiornamento.  Ed il PSE, così com’è, mostra non pochi limiti. Non è un partito  sovranazionale con una sua visione unitaria dell’Europa e del mondo globalizzato. Spesso sembra contenere il tutto e il contrario di tutto.  E’ la somma di tanti partiti nazionali non poche volte in contrasto tra di loro, anche su temi cruciali e su argomenti fondanti per una nuova società.

Certo il socialismo in Europa ha saputo creare le migliori condizioni di vita dell’intero pianeta. Ralph Darhendorf  ha definito quella socialista, con la creazione dello Stato sociale, la più grande rivoluzione dai tempi di Cristo ad oggi.
Ma la società è cambiata. I problemi che siamo chiamati a fronteggiare e a risolvere impongono un rinnovamento profondo e tale da portarci oltre tutte le esperienze storicizzate nel Novecento.

E’ necessario trovare una risposta univoca al modello di sviluppo ipercapitalistico che governa attualmente la globalizzazione, caratterizzata da profonde ingiustizie sociali e da uno sviluppo non sostenibile.
A questo proposito  è indispensabile il confronto, il dialogo la contaminazione con altre culture, come quella ambientalista, femminista, pacifista, che hanno un’ origine ed una storia diversa dal Socialismo.

E’ indispensabile una approfondita opera di riflessione e di ricerca partendo dal presupposto che nessuno è depositario di una verità totale ed assoluta.
Il PSE è l’unico cantiere in Europa dove ciò avviene. Altro di rilevante non c’è. Bisogna parteciparvi dinamicamente e non staticamente per dare un contributo proficuo al suo rinnovamento, per renderlo di nuovo vincente e capace di creare una società più avanzata, più libera e più giusta.

Noi ci stiamo in questo spirito. Con questi presupposti intendiamo andare al confronto con i compagni del nuovo partito socialista, nell’auspicio che sappiano fare altrettanto.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Cesare Salvi. Siamo, ormai, in una democrazia autoritaria di massa
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2008, 11:42:01 pm
L'approvazione del Lodo Alfano è solo un passo dei tanti gravi compiuti in solo 2 mesi

Siamo, ormai, in una democrazia autoritaria di massa


di Cesare Salvi*


L’approvazione da parte della Camera del cosiddetto Lodo Alfano è un atto politicamente e istituzionalmente grave. Molte argomentazioni critiche sono state svolte da autorevoli giuristi,  e non é quindi necessario tornarci. Se la legge sarà approvata dal Senato, come tutto lascia prevedere, il Presidente della Repubblica non potrà che promulgarla, come fece del resto il suo predecessore Ciampi per il lodo Schifani.

Il Capo dello Stato può infatti rinviare una legge solo se “manifestamente” incostituzionale, e in questo caso l’avverbio non può applicarsi, perché la precedente sentenza della Corte non si era pronunciata sull’esigenza o meno di una normativa costituzionale.

Ma al di là delle critiche giuridiche e di merito, il punto che va sottolineato è che questo cosiddetto lodo si inserisce in una visione complessiva delle istituzioni democratiche che il governo Berlusconi sta seguendo dall’inizio della legislatura e che va contestata in radice.
La tesi è che la democrazia si esaurisce  nell’investitura popolare del capo del Governo, e che una volta che questa si è avuta nessun ostacolo deve essere frapposto all’attuazione di quanto deciso dall’eletto dal popolo. L’argomento per il quale la giustizia va bloccata quando intende agire nei confronti del capo del governo, perché altrimenti gli si impedirebbe  di dedicare  tutto il suo tempo e le sue energie  ai compiti affidatigli dal popolo, fa il paio con il metodo e il merito adottati in tutti gli altri campi di intervento  fin qui avviati dal governo Berlusconi.

Il metodo: il ricorso al decreto legge e la fiducia su maxiemendamenti non sono purtroppo una novità, ma non era mai accaduto che in pochi giorni si costringesse il parlamento  a votare praticamente senza dibattito la manovra economica  e provvedimenti come quelli  sulla sicurezza e l’immigrazione, sui rifiuti, su Alitalia, che contengono una miriade di disposizioni di grande peso e incidenza, spesso del tutto estranee al titolo del provvedimento. Ma anche qui si dice: Berlusconi è stato eletto dal popolo, deve poter attuare al più presto le sue decisioni; al punto che si esalta come prova di efficienza il fatto che in pochi minuti il Consiglio dei Ministri abbia approvato la complessa manovra economica predisposta da Tremonti.

Quanto al merito, e al di là del pesante giudizio negativo sulle singole decisioni, si deve constatare l’assoluta noncuranza che viene frapposta a obiezioni legate ai vincoli giuridici  che pure in uno stato di diritto circoscrivono anche (e soprattutto) l’azione del governo: dalle norme costituzionali a quelle dell’Unione europea, a trattati internazionali come la convenzione sui diritti dell’uomo. Pochi hanno notato che una misura certamente grave e comunque al centro dell’attenzione pubblica, come il prelievo delle impronte dei Rom, non è avvenuta né per legge né per decreto, ma con il ricorso a un’ordinanza di emergenza per la protezione civile emanata dal ministro dell’interno: si è usato cioè uno strumento giuridico previsto per tutt’altri fini e che non è passato al vaglio né del Parlamento e nemmeno dello stesso Consiglio dei Ministri.

Se è vero che è ambiguo parlare di dittatura o di regime, è certo però che si profila quella che si potrebbe chiamare una democrazia autoritaria di massa: l’idea cioè che una persona, purché eletta dal popolo e confortata dai sondaggi, possa e debba decidere tutto ciò che vuole.
Come si vede, il problema non è l’antiberlusconismo viscerale, ma un inquietante degrado della qualità della democrazia e dello stesso stato di diritto, che va fermamente contrastato e sul quale occorre pretendere chiarezza prima di qualunque dialogo sulle riforme.

Purtroppo lo stravolgimento della democrazia parlamentare in democrazia dei leaders ha radici in un degrado della cultura politica che ha toccato, e non marginalmente, anche il centro sinistra. A maggior ragione, una sinistra moderna e rinnovata deve sapere porre al centro, accanto alle questioni sociali, quelle delle libertà e del rispetto dello stato di diritto.

*del Consiglio Nazionale di Sd

da sinistra-democratica.it


Titolo: Cuba, addio uguaglianza: guadagni quanto produci (sorpassa la sinistra italina?)
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2008, 04:48:34 pm
Cuba, addio uguaglianza: guadagni quanto produci


«Socialismo significa giustizia sociale ed eguaglianza, ma eguaglianza dei diritti e delle opportunità e non dei salari». Raul Castro, dopo aver dato la possibilità ai cubani di possedere telefonini e computer, rompendo così la lunga lista dei divieti per i cittadini dell’isola, ora rivede uno dei pilastri su cui si è retta l’economia di Cuba: l’uguaglianza dei salari. Ora anche a l’Avana si guadagnerà in base alla produttività.

Castro, che ha preso il posto del fratello malato, Fidel, quando parla di lavoro pensa soprattutto alla terra: l'isola – ha spiegato – deve «invertire definitivamente la tendenza al decrescere dell'area della terra coltivata», che tra il 1998 e il 2007 è diminuita del 33 per cento.

Anche qui, nessun limite alla proprietà: Raul si rivolge a «chiunque produca con efficienza, indipendentemente da fatto che sia una grande impresa, una cooperativa o un campesino individuale: tutte queste – ha sottolineato – sono forme di proprietà e produzione che possono coesistere armonicamente, perché nessuna è antagonista al socialismo».

Pubblicato il: 12.07.08
Modificato il: 12.07.08 alle ore 18.10   
© l'Unità.


Titolo: Diliberto chiama Rifondazione
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 08:23:23 am
POLITICA

Dopo la sconfitta elettorale, la "Cosa rossa" cerca una strada

Ferrero frena. Tra gli ambientalisti duello tra Boato e Francescato

Comunisti e Verdi a congresso

Diliberto chiama Rifondazione

 

ROMA - Ripartono, dopo il tracollo elettorale che li ha portati fuori dal Parlamento. Cercando di trovare una strada per ripartire dopo la fallimentare esperienza della Sinistra Arcobaleno. Verdi e Comunisti italiani a congresso. I primi a Chianciano, i secondi a Salsomaggiore. In attesa del prossimo fine settimana quando ci sarà il congresso di Rifondazione Comunista. Ed è proprio a Rifondazione che guarda Oliviero Diliberto quando, dal palco, lancia la proposta di una unificazione di tutti i comunisti. Mentre in casa verde va in scena lo scontro tra Grazia Francescato e Marco Boato.

Comunisti: "Tutti uniti". Oliviero Diliberto apre il congresso del Pdci confermando l'impegno per l'unificazione di tutti i comunisti italiani sotto lo stesso simbolo. Una strada non facile. E lo si capisce dalla replica di Paolo Ferrero, candidato alla segreteria del Prc: "No alle fusioni a freddo". Diliberto attacca il Pd accusando i democratici di aver provocato "la catastrofe del centrosinistra e la vittoria duratura di una destra pericolosa", rimproverando a Veltroni di essere "troppo simile proprio al Pdl e di aver distrutto i valori di riferimento storici della sinistra e di aver imitato il partito di Berlusconi nella politica estera nel modello economico". Molti gli applausi degli oltre 600 delegati. D'altronde Diliberto ha raccolto un consenso dell'82% contro il 12% dell'ex ministro Katia Bellillo, rimasta da sola a difendere le ragioni dell'esperienza dell'Arcobaleno. Diliberto ha letto i messaggi di auguri di alcuni Paesi amici come il Vietnam, Cuba, la Cina, la Siria e il Venezuela. Il congresso del Pdci si concluderà domenica. Scontata la vittoria dell'attuale segretario che, però, potrebbe lasciare in futuro l'incarico.

Verdi: scontro Boato-Francescato. Si profila uno scontro tra Grazia Francescato e Marco Boato per la guida dei Verdi al congresso che si è aperto oggi a Chianciano. Il leader uscente, Alfonso Pecoraro Scanio, per oggi non si fa vedere. Arriverà domani con la Francescato che si conferma in pole position per portare il partito fino a dopo le europee del prossimo anno.

Questa sera, però, in una riunione dei delegati delle mozioni che non fanno capo a quella della Francescato, con molta probabilità verrà sancita la candidatura di Boato in alternativa a quella della maggioranza. Tramontata la candidatura, della quale si era parlato nei giorni scorsi, della europarlamentare Monica Frassoni.

(18 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Grazia Francescato eletta portavoce. Boato voleva il rinnovamento
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 09:30:09 am
POLITICA

Grazia Francescato eletta portavoce. Boato voleva il rinnovamento

Al congresso arriva l'ex n.1 Pecoraro Scanio, qualche fischio

Verdi, è l'ora di Francescato

Pdci, Bellillo contro Diliberto

Scontata l'elezione del leader uscente: "Comunisti uniamoci"

Ma l'ex ministro lancia l'associazione "Per la sinistra unita"

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Prendere tempo. Con tre scadenze decisive: vedere che fine fa Rifondazione, riformismo o falce e martello (indicazioni importanti arriveranno già dal congresso del prossimo fine settimana); capire con quali regole - quale sbarramento e quante circoscrizioni - si andrà a votare per le Europee nella prossima primavera; l'esito stesso delle Europee che mettono in palio simboli, esistenze e, anche, rimborsi e finanziamenti.

Prendere tempo, dunque. E' questo il senso dei due congressi in corso, i Verdi a Chianciano Terme e i Comunisti italiani a Salsomaggiore. L'esito delle due assemblee dice molto anche se definisce ancora poco.

Grazia Francescato, presidente ponte. Con trecento voti su 507 delegati, Grazia Francescato è stata eletta nuovo presidente dei Verdi. Prende il posto, dopo un regno durato sette anni, di Alfonso Pecoraro Scanio che si era dimesso dopo il disastro del voto di aprile. La votazione a scrutinio segreto ha chiuso nei fatti un congresso pieno di tensioni, attese e che doveva regolare conti in sospeso. La storica leader verde era la candidata del presidente uscente, che si è presentato a Chianciano solo dopo un giorno e mezzo di lavoro tra fischi e applausi. Nella sua mozione raccoglie l'anima più radicale del partito, da Paolo Cento a Loredana de Petris, da Gianfranco Bettin a Angelo Bonelli (molto fischiato). Quello di Francescato è un mandato di continuità con la vecchia presidenza e anche un mandato ponte, fino alle Europee. Per vedere cosa succede a sinistra dopo le macerie del voto di aprile.

"Vi garantisco la massima autonomia e quando si dovrà parlare del tema delle alleanze non coinvolgerò solo il coordinamento ma chiederò a ogni delegato di esprimersi" ha detto la nuova portavoce. Un intervento che vuole unire, non certo dividere. "Decideremo insieme - ha aggiunto - maggioranza e minoranza, perchè non abbiamo bisogno di unanimismo, ma di unità e dobbiamo ritrovare insieme la passione per quella bandiera che ci ha visti uniti".

Boato chiedeva il rinnovamento. Parole destinate soprattutto alle minoranze del congresso, prima quattro poi rimaste in due. L'ex deputato trentino Marco Boato, che alle fine ha avuto un buon successo personale con 111 voti, resta convinto della necessità di un rinnovamento totale e immediato per ricominciare a trovare una nuova identità. E magari cercare nuovamente il dialogo con l'ala riformista degli ambientalisti già approdati nel Pd con Ermete Realacci. Boato ha criticato la gestione del partito di questi ultimi anni e ha elencato gli errori: "Il passaggio dalla trasversalità a uno schiacciamento da sinistra antagonista che ci ha fatti percepire come un partito del 'no'; avere abbandonato la nostra posizione verso un progressivo assorbimento nella Cosa rossa; avere accettato la suicida separazione consensuale con il Pd; aver trasformato i Verdi in un mini-partito federalista, cosa che ha alimentato comportamenti cortigiani". Ma i temi dell'ambiente sono al centro dell'agenda politica mondiale" e da qui è la ripartenza. 63 voti sono andati alla mozione di Fabio Roggiolani, il delegato verde della Toscana.

I fischi a Pecoraro e Bonelli, la difesa della Francescato. "Sarà guerra dei Roses" era stato detto alla viglia del congresso. E' andata così. Ed è difficile immaginare che i Verdi possano ritrovare l'unità dopo questo congresso. L'ex capogruppo alla Camera Angelo Bonelli è stato fischiato quando la Francescato lo ha proposto come coordinatore dell'ufficio politico. "Era solo una proposta" ha precisato poi Francescato. Così come l'ex presidente, giunto al Palamontepaschi mentre veniva eletta la sua candidata:"Le minoranze fischiano, sono 40 su 500, non me ne importa nulla" ha detto Pecoraro. Con l'elezione di Francescato, l'ex ministro - indagato alla vigilia per reati contro la pubblica amministrazione - ha ancora il partito in mano. Il nuovo presidente, nell'intervento prima di essere eletta, aveva difeso col cuore l'ex ministro dell'ambiente. "Alfonso Pecoraro Scanio - ha detto a una sala rumoreggiante - sta pagando per gli errori fatti ma chiunque sia amico e non cortigiano, e io sono sempre stata amica mai cortigiana, lo avrebbe criticato quando era al potere e non avrebbe aspettato che fosse a terra per sputargli addosso".
 
Katia Bellillo (Pdci) ha fondato l'associazione "Per la sinistra unita"

Diliberto sbanca, ma Bellillo si dissocia. Il professore-segretario dei Comunisti italiani, dopo un proficuo viaggio in Sudmerica, tra Cuba e Venezuela, ha un sogno che è una scommessa e una sfida: riunire tutti i i comunisti sotto la falce e il martello. Lo sta dicendo in modo chiaro all'assemblea dei circa 600 delegati riuniti al congresso di Salsomaggiore terme. Guarda a Rifondazione ("i compagni di Rc siano coraggiosi" ha rincarato Manuela Palermi) a cui chiede di chiudere con la stagione della scissione. Ma anche a Sinistra critica e Marco Ferrando, la diaspora di Rifondazione partito di lotta e di governo ma ora non più.

Diliberto ha con sè l'88 per cento dei delegati. La sua sembra una rielezione scontata. Ma non pensava di "perdere" per strada la pasionaria ex ministro della Pari Opportunità nel primo governo Prodi Katia Bellillo (12% dei consensi). La quale dice semplicemente che è l'ora di farla finita con la sindrome dei comunisti uniti. "Uscire dalla sindrome dell'identità comunista e accettare invece la sfida di dare al nostro paese una forza di sinistra in grado di incidere" ha detto nel suo intervento. Bellillo ha fondato una associazione. L'ha chiamata "per la sinistra unita". Guarda a Nichi Vendola e a quella parte di Rifondazione aperta alla Costituente per l'unità delle sinistre. Una sinistra di governo che capisce quando è il caso di lasciar perdere la lotta.

(19 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Verdi e Pdci, la sinistra non smette di litigare
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2008, 05:57:50 pm
Verdi e Pdci, la sinistra non smette di litigare


Nonostante l'uscita dal Parlamento, nonostante la richiesta continua di unità, la sinistra continua a litigare e a dividersi. Due tristi esempi vengono dai congressi (termali) in corso: quello dei Verdi e quello del Pdci.

A Chianciano il dopo Pecoraro Scanio si tramuta in baruffa. Momenti di fibrillazione quando, presentando la mozione di maggioranza, Angelo Bonelli ufficializza la candidatura di Grazia Francescato e la platea di oltre 400 delegati esplode in un lungo applauso, qualche fischio e molti "buu". Lei, seduta in prima fila, si commuove, poi Bonelli scende dal palco e va ad abbracciarla, come molti altri delegati. Quindi, Francescato assicura: «Le lacrime? Non sono per i fischi, quando stai in politica sai che può succedere. Comunque finirà - aggiunge - l'importante è restare uniti».

Ma il viso della candidata tradisce un po' di nervosismo e forse delusione, dietro gli occhi azzurri e brillanti di lacrime.

Troppo duri quei fischi arrivati dalla platea a sottolineare il dissenso per le affermazioni di Bonelli, che ha presentato la Francescato come una donna «che in vent'anni avrebbe potuto occupare qualsiasi poltrona, e non l'ha fatto». La XV, infatti, è stata la prima e unica legislatura per Grazia Francescato, ma parte della platea urla: "Cambiamento!, a casa!".

Non sono mancati altri momenti di tensione durante l'intervento dal palco, peraltro molto applaudito, dell'ex capogruppo alla Camera. Tra i passaggi più contestati, quello in cui Bonelli ha denunciato come le pale eoliche danneggino il paesaggio della Sila calabrese. Molte le proteste, urla e anche insulti. Tra le altre, quella di Gianfranco Sciarra, tra i fondatori del partito, che lascia la sala spiegando furioso: «Qui si riparla del ritorno al nucleare e mi si dice che il vero verde è chi si batte contro l'eolico in Calabria? Ma siamo fuori dal mondo?».

Non va molto meglio a Salsomaggiore (Parma). Dopo che Diliberto venerdì ha chiesto a Rifondazione di tornare assieme e di scordarsi la scissione, critiche al segretario sono arrivate da Marco Rizzo. Il Pdci è fuori dal Parlamento ma è presente ancora in molte giunte locali. Il segretario Oliviero Diliberto ha detto che le alleanze locali si valuteranno «caso per caso», gli risponde l'europarlamentare, che interviene al congresso per lanciare la proposta di rompere con il Pd in alcuni «luoghi simbolo» come Napoli e Bologna. «Non so - dice Rizzo - se a Pistoia o a Castellammare bisogna uscire o entrare nelle giunte, ma a Napoli e a Bologna, dopo quello che hanno fatto Bassolino e Cofferati, bisogna dire parole chiare».


Pubblicato il: 19.07.08
Modificato il: 19.07.08 alle ore 18.17   
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Titolo: Pdci: conferma per Diliberto e centralismo
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2008, 02:51:47 pm
Pdci: conferma per Diliberto e centralismo


Il Comitato centrale, riunitosi a seguito della conclusione del congresso nazionale del Pdci, ha rieletto segretario del partito Oliviero Diliberto.
Confermate anche le cariche del presidente, Antonino Cuffaro, e del tesoriere Roberto Soffritti. I componenti della minoranza guidata da Katia Bellillo hanno deciso di non entrare nel Comitato centrale, per protestare, spiega Luca Robotti, uno dei promotori della seconda mozione congressuale, contro il «mancato rispetto del pluralismo».

Nel Pdci sarà severamente vietato formare correnti e fare propaganda o assumere atteggiamenti contrari alle decisioni degli organismi ufficiali del partito. È questa la novità del quinto congresso del Pdci. Ieri sera i delegati, in seduta segreta, hanno confermato la validità della norma statutaria sul centralismo democratico.

Nel suo intervento conclusivo, Oliviero Diliberto ha sottolineato che questa regola dovrà essere «assolutamente rispettata da tutti», pena sanzioni severe. Lo stesso segretario del Pdci ha ammesso che negli ultimi anni questo principio del comunismo non era di fatto più rispettato. «Fino a quando sarò segretario del partito intendo - ha sottolineato - far rispettare questa regola, anche perchè non potremo andare all'incontro con il Prc in ordine sparso. In questo dobbiamo essere tetragoni e ricordare che la nostra cultura è quella marxista e leninista».

Un altro giro di vite è stato annunciato da Diliberto sul tesseramento: «I militanti che non verseranno la quota annuale verranno "damble" espulsi dal partito. Nel Pci questo era un dato acquisito, ma evidentemente anche nel nostro partito - ha concluso Diliberto - è entrata la degenerazione».

Belillo: no al centralismo democratico «Il centralismo democratico riesumato da Diliberto tradisce solo la sua vocazione autoritaria e non ha nulla a che vedere con le grandi discussioni che si tenevano all'interno del Pci». Così Katia Bellillo, leader della minoranza interna del Pdci, commenta con i giornalisti il discorso conclusivo del segretario del partito. «Il centralismo democratico - ha sottolineato Bellillo che è stata per lungo tempo militante nel Pci - deve essere attuato correttamente. Questo non è stato fatto da Diliberto che non garantisce il diritto di tutti a esprimersi liberamente nel partito». L'ex ministro ha criticato la decisione del congresso di eleggere un comitato centrale di 520 componenti: «Questo conferma la linea autoritaria di Diliberto perchè in un organismo così pletorico per la minoranza esprimersi diventa una farsa, anzi una tragedia».

Diliberto rinnova inviti a Prc «Caro Vendola, a che cosa ci serve farci la guerra tra noi quando il nemico di classe sta governando il Paese?». Nel discorso conclusivo del quinto congresso del Pdci, Oliviero Diliberto, si è rivolto al possibile futuro leader del Prc per chiedergli di perorare la causa dell'unità dei comunisti. A corredo delle sue ragioni Diliberto ha ricordato che nel 2009 si terranno le elezioni Europee. Ha ribadito l'invito a presentare liste comuni con il Prc ed ha aggiunto: «Si tratta di un test fondamentale dopo le elezioni politiche. Sarebbe sciagurato se ci presentassimo alle Europee con due liste contrapposte, anche perchè sarebbe inevitabile scivolare nelle polemiche e nella competizione politica».

Diliberto ha ribadito l'intenzione di dar vita in autunno «ad una grande manifestazione per difendere i salari contro un Berlusconi che farà pagare la crisi mostruosa in arrivo alle classi più deboli». Secondo il leader del Pdci queste ultime sono state completamente abbandonate dagli altri partiti politici: «Finora abbiamo visto dal Pd e dall'Idv un'opposizione sacrosanta solo sui temi della giustizia».

Verdi a Francescato, polemiche su Pecoraro Non tira aria migliore a Chianciano al congresso dei Verdi. Dopo l'elezione di sabato di Grazia Francescato a segretario, polemiche sulla ricomparsa di Pecoraro Scanio. La sua comparsa sul palco del congresso dopo l'elezione della Francescato è stata «una indegna sceneggiata che mi ha impedito di salire sul palco a farle i miei auguri», dice Marco Boato, concorrente della Francescato. «Faccio i miei auguri a Grazia Francescato - dice Boato - di cui sono amico da trent'anni e con la quale collaborerò lealmente come ho sempre fatto anche in passato. Resta profondo e ancor più accentuato il mio dissenso politico sull'operazione che ha portato alla sua vittoria congressuale purtroppo all'insegna del continuismo con il gruppo dirigente che ha portato i Verdi alla catastrofe elettorale dell'aprile scorso».

«Se qualcuno avesse avuto qualche dubbio - attacca - su questa matrice continuista credo che lo abbia brutalmente fugato la sceneggiata disgustosa che si è verificata all'atto della proclamazione del voto con la comparsa improvvisa in sala e sul palco di Alfonso Pecoraro che in un colpo solo è riuscito a delegittimare l'autonomia politica di Grazia Francescato e imporre mediaticamente la sua paternità sulla operazione elettorale che ha portato all'elezione di Grazia». «Anche quest'ultimo atto - conclude - è il segno di un modo "padronale" di concepire i Verdi e di un protagonismo narcisista che purtroppo aveva già portato i Verdi alla disfatta».

Nel suo discorso da neo segretario Grazia Francescato ha attaccato: «Sono a vostra disposizione e in questo anno darò tutta me stessa, ci metterò tutta la mia passione, la mia forza ma anche la mia durezza». «Perchè - aggiunge - con alcune persone bisogna essere duri e se qualcuno ha approfittato dell'aria allegra per farsi i fatti suoi, sappia che ora l'aria è seria». «Servono - aggiunge - rigore e schiena dritta. Qua i furbetti del partitino hanno chiuso».

La Francescato ha detto di voler tenere un filo diretto con tutti e a questo dedicherà un giorno alla settimana. Ha invitato tutti a esprimere le diverse opinioni e a confrontarsi «perchè il confronto non può esserci solo qui e ritornare fuori tra un anno». E si è detta pronta anche a contrasti. «Perchè - ha avvertito - il conflitto quando è espresso va bene, sennò ci si divide in clan».


Pubblicato il: 20.07.08
Modificato il: 20.07.08 alle ore 17.02   
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Titolo: Paolo Ferrero: «La Costituente è chiusa ora ricostruiamo il partito»
Inserito da: Admin - Luglio 23, 2008, 10:50:19 pm
Paolo Ferrero: «La Costituente è chiusa ora ricostruiamo il partito»

Luca Sebastiani


«Non è un problema di analisi logica. È un problema politico». Paolo Ferrero, firmatario della mozione 1 al Congresso di Rifondazione che si apre domani, ha le idee chiare sul futuro della Sinistra. E del Prc. Per questo preferisce non addentrarsi nelle distinzioni grammaticali che Nichi Vendola, firmatario della mozione 2, ha utilizzato per tentare di aprire ad una parte dei sostenitori della mozione dell´ex ministro della Solidarietà sociale. «Per me - dice Ferrero - costituente e processo costituente sono esattamente la stessa cosa». Invece la priorità è «il rilancio del partito», ergo «la costituente è chiusa». Più chiaro di così. Indubbiamente le posizioni tra le due mozioni arrivate in testa al voto degli iscritti restano ancora lontane e domani, molto probabilmente, a Chianciano la platea dei delegati sarà divisa in due. I sostenitori del governatore della Puglia (che ha raccolto il 47,3% dei voti) da una parte e quelli dell´ex ministro (40,3%) dall´altra.

Ferrero, Nichi Vendola ha detto che vuole incontrare i rappresentanti delle altre quattro mozioni per ricostruire l´unità di Rifondazione. Lo ha già visto?
«Non ancora, molto probabilmente lo vedrò domani (ndr oggi)».

Però sembra che Vendola abbia dialogato con Claudio Grassi, firmatario della sua mozione...
«Non voglio trasformare il congresso in una specie di telenovela. Preferisco attenermi alle notizie ufficiali. E vedo che Claudio ha respinto al mittente le aperture. La nostra mozione resta compatta».

Cosa pensa di questa sorta di «bilaterali» lanciati dalla mozione della maggioranza relativa?
«Noi pensiamo che la sede più opportuna per il confronto sia la Commissione politica del congresso. Crediamo che sia un luogo più trasparente, per il semplice fatto che vi siedono tutte le mozioni».

In molti hanno evocato un congresso della doppia platea, con voi da una parte e vendoliani dall´altra... «Indubbiamente è stato un congresso molto combattuto, ma spero si riescano a trovare degli elementi di ascolto reciproco. Del resto anche durante le discussioni nei circoli, qui e là, questi elementi si sono trovati».

Quindi esclude lo spettro della scissione?
«Nessuno ne ha mai parlato, quindi credo che non si possa prendere in considerazione».

Quali sono i margini di ricomposizione?
«Questi si verificheranno nella commissione politica dove noi proporremo una gestione unitaria, di tutte le mozioni, e cercheremo una convergenza sui nostri punti prioritari».

E il segretario?
«Quello viene dopo, prima dobbiamo definire una linea politica».

Quali sono i punti qualificanti della vostra mozione?
«Per prima cosa ripartire da Rifondazione, la costituente è chiusa».

Andrete alle europee insieme ai Comunisti italiani come ha chiesto Diliberto?
«Credo che dovremmo andare alle elezioni col nostro simbolo, non credo sia il caso in questo contesto andare col Pdci. Dobbiamo rifondare il partito attraverso la ricostruzione della sua utilità sociale. E per mettere il sociale al centro abbiamo bisogno della nostra autonomia. Anche dal Pd che ha scelto la strada sbagliata. Per uscire dalla crisi bisogna scavare in basso a sinistra, il contrario d quello che fanno i democratici».

Che vuol dire scavare in basso?
«Ricostruire il conflitto tra il basso e l´alto perché l´alternativa è tra il conflitto di classe e la lotta tra poveri».

Cioè?
«Nella crisi della globalizzazione la destra rischia di essere egemone proponendo la guerra tra i poveri, cioè gestendo le paure dei cittadini e mettendoli gli uni contro gli altri. Una volta è colpa dei cinesi, un´altra dell´immigrato, un´altra ancora dello zingaro».

E come si fa opposizione?
«Appunto, ricostruendo il conflitto tra chi sta in basso e chi sta in alto. Non solo sui luoghi di lavoro, ma in un senso molto più ampio. Per chiedere gli asili, le scuole, etc. Solo così usciremo dalla crisi che ci ha travolto dopo l´esperienza del Governo Prodi».

Un'esperienza fallimentare?
«Sui punti fondamentali per i quali la gente ci aveva votato, non siamo riusciti a dare risposte concrete. Chi non arrivava a fine mese nel 2006 continua a non arrivarci ora. Chi era precario lo è restato. Tra le altre cose non abbiamo risolto il conflitto d´interessi. È anche questa mancanza che ci ha travolto».

Pubblicato il: 23.07.08
Modificato il: 23.07.08 alle ore 15.02   
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Titolo: Vendola: no a un «partitino» giustizialista di duri e puri
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2008, 06:55:27 pm
Vendola: no a un «partitino» giustizialista di duri e puri

Andrea Carugati


Presidente Vendola, che giudizio dà della discussione in Rifondazione di questi mesi? Non crede sia stato un dibattito lontano dalla vita reale, anche dei vostri elettori?
«C’è stata una nevrotica separazione dalla realtà, un avvitamento in una contesa intestina che talvolta ha superato i limiti della ragionevolezza. Però c’è anche un altro elemento: 40mila persone che, sfidando la calura, hanno discusso appassionatamente nei circoli anche dopo il trauma di aprile. È un segno di vitalità, una forte domanda di buona politica a cui purtroppo noi gruppi dirigenti rispondiamo in modo fragile perché siamo parte del problema, parte di una crisi ideale e culturale della sinistra».

È possibile che al congresso di Chianciano il Prc esca da tutto questo?
«Sarà possibile se il congresso sarà un pezzo del processo per rifondare Rifondazione, per rimettere in piedi una comunità: un cantiere per lenire le ferite del partito e fare tutti un passo avanti. Ma per farlo bisogna che ci liberiamo da sindromi come l’idea che ci sia qualcuno che vuole sfasciare il partito. Io sono l’ultimo rimasto del gruppo che ha fondato il Prc e per me è stato molto doloroso essere indicato come il suo dissolutore. Si è manipolata la mia mozione per attribuirle disegni che non c’erano: un’esplosione dei risentimenti e veleni, anche da parte di compagni che ho sempre considerato fratelli. Ma ormai questo è alle nostre spalle».

La sua mozione ha vinto ma non ha la maggioranza assoluta. L’ipotesi che il Prc vada alle europee con il suo simbolo può essere un modo per allargare la sua maggioranza, magari al gruppo di Grassi?
«In Europa Rifondazione ha dato vita alla Sinistra europea e ci sta con il suo simbolo: è un processo contrario a una trincea identitaria. Ci sono ancora in gioco variabili importanti, come la legge elettorale e lo sbarramento: ma io credo che il Prc debba proseguire in questo percorso con il suo simbolo. Non è un arretramento».

C’è però il tema del processo costituente a sinistra da lei proposto. I suoi avversari dicono che, con il 47%, il suo progetto è stato bocciato.
«La politica dice che abbiamo la maggioranza relativa: questo ci chiede di sentire la responsabilità di offrire a tutti un percorso che consenta la salvezza della nostra comunità, che ha vissuto un rischio di dissoluzione, e consenta a una parte più larga del partito di riconoscersi in un governo unitario».

Anche con Ferrero?
«Non si tratta di smussare dissensi strategici che ci sono. Sento una grande distanza culturale con Paolo Ferrero, perché avverto in lui il retaggio del minoritarismo di vecchie culture che invocavano l’apologia del sociale, di ciò che sta in basso, persino flirtando con il giustizialismo e l’antipolitica. Non sono solo sensibilità personali, ma differenze strategiche. Con altri compagni le differenze sono più attenuate. Il punto è: lavoriamo a un piccolo partito di duri e puri o per un Prc come pilastro di una sinistra di popolo?».


Gli incontri con le altre mozioni che lei ha proposto in questi giorni hanno dato risultati?
«Ci hanno aiutato a portare la discussione fuori dal livello delle contumelie. Abbiamo riportato la discussione alla politica e questo ha esorcizzato i fantasmi di scissione o di autodissoluzione. Oggi possiamo andare a Chianciano disarmati dai risentimenti, e rimetterci tutti in cammino per far fronte alla tempesta sociale che sta arrivando. Rifondazione non vuol dire restaurazione: il partito esiste se è la fabbrica di una sinistra più larga, non se è culto identitario o nostalgia».

Sarebbe disponibile a un passo indietro dalla segreteria se questo servisse per trovare una maggioranza più larga alla guida del Prc?
«Sono sempre disponibile a fare un passo avanti per il bene della mia comunità, non indietro. La mia era l’unica mozione che conteneva l’indicazione di un segretario ed è stata votata da 21mila persone: non c’era mai stata un’indicazione così larga, dunque non è una questione di persone ma di democrazia».

È disposto a farsi eleggere segretario solo dai suoi delegati?
«Il segretario è figlio dell’opzione politica su cui si costruisce il governo del partito. Non vogliamo soluzioni pasticciate, ma coraggiose e unitarie».

Come valuta l’esito dei congressi di Pdci e Verdi alla luce del processo costituente a sinistra?
«Lo dico con molto rispetto, ma mi sono parsi ancora più nevrotici del nostro, un rendiconto tutto interno ai gruppi dirigenti e molto aspro, nei Verdi, o scisso dalla realtà nel caso del Pdci. Questo ci fa capire quanto sia profonda la crisi di una sinistra alternativa, per questo il processo costituente deve ricostruire dalle radici, in un panorama di desertificazione a sinistra».

E il rapporto con il Pd?
«Dobbiamo giocare fino in fondo la nostra autonomia e la nostra divaricazione strategica dal Pd e contemporaneamente lavorare con pazienza per rendere largo e forte il fronte delle opposizioni. Il diluvio di aprile ha cancellato l’idea della separazione consensuale. Dove sarà possibile bisogna pensare ad alleanze col Pd: in Emilia Romagna e in Puglia, ad esempio, sarebbe folle immaginare una rottura. Governo e opposizione non sono totem, ma prospettive da affrontare in modo laico».

Pubblicato il: 24.07.08
Modificato il: 24.07.08 alle ore 10.24   
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Titolo: I giovani delegati: basta, torniamo per le strade
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 12:23:06 am
I giovani delegati: basta, torniamo per le strade

Marco Filippetti


All’ingresso delle terme di Chianciano nonostante il caldo si vedono gruppi nutriti di anziani che con l’asciugamano al collo si dirigono verso le vasche termali, vera specialità della zona. Ma oltre il grande atrio di marmo bianco stile anni sessanta si intravedono delle bandiere rosse. All’ingresso dello stabile tante persone con il cartellino al collo da delegati si muovono freneticamente per ultimare il lavori organizzativi dopo che dalla platea del Palamontepaschi ha parlato venerdì mattina il segretario uscente di Rifondazione Franco Giordano. Non sembra di essere ad un congresso di un partito. Nei giardini del centro termale una elegante signora insieme alla sua orchestra con tanto di fisarmonica fa ballare a ritmo di mazurche e valzer decine di coppie over settanta venute solo a rigenerarsi con le portentose acque di queste parti, ignare della kermesse. Ecco che arrivati al bar si capisce subito che stiamo ad un congresso di un partito di sinistra. I tavolini sono pieni di giovani delegati in pausa, e dagli altoparlanti si sentono le voci degli interventi politici dei dirigenti. I ragazzi discutono animatamente su chi diventerà segretario e chi prenderà le redini del partito da lunedì. Carmelo Usa è segretario della federazione di Udine, ha 29 ed è delegato della prima mozione quella dell’ex ministro Paolo Ferrero. Per lui nel congresso c’è stata "poca analisi politica e troppi personalismi Bisogna ritrovare le motivazioni giuste adatte ad esaudire un grande sogno". Per Carmelo la prospettiva della sinistra sta tutta nella scommessa di ritrovare la capacità di rompere gli schemi tradizionale come successe a Genova nel 2001. "Dobbiamo tornare ad un’orizzontalità politica con i movimenti e non tentare di egemonizzarli. In piu – continua Carmelo - penso che la gente sia stufa di sentire chiacchiere.

Basta con dirle le cose. Bisogna farle". Conclude Carmelo: "Se un disoccupato non ha casa non gli devi dire; lotta per tuoi diritti. Gliela devi trovare la casa." Spostandosi vicino all’ingresso del capannone incontriamo Daria Lucchesi messinese di 26 anni. Lei invece ha votato la mozione di Nichi Vendola. "Nichi – dice Daria - deve essere il segretario. Ma non perchè rappresenta tutti noi ma perche la sua linea politica è quella vincente". Alla domanda perché ci sono pochi interventi dei giovani nel congresso ci dice che invece "nei circoli c’è stata tanta partecipazione giovanile, ma qui è vero, stenta ad emergere. Però ci sono tanti giovani che negli organismi dirigenti si sono dati tanto da fare ed hanno determinato molto delle scelte del partito".

Daria dice che anche nelle istituzioni i giovani sono stati determinanti, ma che "bisogna sempre considerare le istituzione come un mezzo mai come un fine". "Insieme a Nichi ripartiamo dai territori e dalle specificità di ogni singola realtà" conclude Daria. Paolo Brini è di Modena e fa l’operaio. Ha 27 anni ed ha votato una mozione che vuole rilanciare "la lotta operaia", è la numero quattro, quella che ha sottoscritto la corrente “falce e martello”. "Sono giovane ma voglio capire che cosa deve fare questo partito da grande", dice Paolo. "Dopo la scelta di andare al governo e di abbandonare i movimenti bisogna capire che cosa vuol oggi la classe dirigente. Noi di base lo sappiamo bene. Dobbiamo tornare a radicarci tra i lavoratori, soprattutto tra i giovani lavoratori". "Il rischio – dice Paolo - è che se si continua così si può fare massimo il satellite del partito democratico". Secondo Paolo il Prc deve essere autonomo indipendente ed alternativo al Pd. Matteo Molinaro è di Udine e studia a Milano ed anche lui ha sostenuto la quarta mozione.

Per Matteo in questo congresso non si è discusso di politica ma si è cristallizzato il discorso sullo scontro personalistico trascurando le dinamiche interne e i ragionamenti collettivi. "Dalla platea piu che la politica emerge la poesia e le citazione colte, ma non è tutto così il partito. Nei circoli si è discusso e pure tanto". Continua Matteo, "bisogna ritrovare il modo di fare politica tra la gente senza ingannarla più, come fu con la scelta di andare al governo. Bisogna sperimentare un nuovo concetto di militanza politica".

Per Matteo i giovani devono avere un ruolo centrale. "Tendenzialmente le giovani generazioni nella storia sono sempre state protagoniste dello slancio in avanti delle idee di cambiamento. In questo congresso i giovani non hanno determinato niente, anzi sono stati risucchiati dalle dinamiche e dai malumori interni". Conclude Matteo, "la spinta d ribellione e di cambiamento dei giovani si è esaurita per delle scelte sbagliate della classe dirigente anche giovane". Al bar dello stabilimento con la Peroni davanti ad un “capannello” di ragazzi intorno c’è Valerio Bruni, giovane segretario del Prc di Nettuno delegato della prima mozione. Valerio ha 26 anni e sono gia dodici che milita nel partito.

Alla domanda come vede il futuro di Rifondazone, Valerio è ottimista e risponde con un brindisi al presente e al futuro dei comunisti. "Certo l’unità non è il nostro punto forte. Ma è chiaro che comunque vada una sintesi va trovata"– dice Valerio. Una forza che conta quasi 100 mila iscritti e decine di migliaia di militanti "deve essere il centro della costruzione della sinistra. Questo comunità politica aspetta solo il via da Chianciano per uscire dai circoli e riempire le strade di politica". Su come coinvolgere i giovani il delegato “ferreiano” ha una sola soluzione. Netta opposizione alle politiche neoliberiste costruendo mobilitazioni sul territorio che coinvolgano la popolazione come i No-Tav in Val di Susa o i No-Dal Molin di Vicenza.

Daniele Licheni invece è “vendoliano” e fa parte dell’esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti (l’organizzazione giovanile del Prc). Anche per Daniele la soluzione è ripartire dai territori, ma senza porre l’ideologia al centro come un feticcio. "Costruire assemblee aperte a tutti nei contesti locali sulle tematiche specifiche, senza la prerogativa di avere una tessera in tasca. Chi ci sta partecipa – dice Daniele – chiaramente con un ottica ed un indirizzo di cambiamento generale dei rapporti di produzione e della società". Le difficoltà intestine verranno superte "intorno alla figura di Nichi Vendola e a quello che rappresenta il suo percorso politico ampio e plurale". I giovani comunisti hanno contribuito notevolmente all’elaborazione del percorso politico che ha portato il partito "in simbiosi con i movimenti da Genova in poi- dice Daniele – Bisogna riprendere quel cammino sperimentando continuamente una pratica di conflitto che non sia distaccata dai bisogni reali della gente".

Pubblicato il: 26.07.08
Modificato il: 26.07.08 alle ore 9.52   
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Titolo: L’amarezza di Bertinotti: «Sinistra sprofondata»
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 12:27:02 am
L’ex leader oggi parlerà alle assise

L’amarezza di Bertinotti: «Sinistra sprofondata»

Nel mirino la linea giustizialista: la discussione ha raggiunto livelli bassissimi

 
 
CHIANCIANO—Il "suo" partito si divide e si spacca, dietro le quinte si lavora per una candidatura dell'ex ministro Ferrero contro Vendola, da ufficializzare oggi e lui gioca a fare il «delegato semplice». Difficile crederci. Tanto più dopo che Franco Giordano gli rende un appassionato e applauditissimo omaggio dal palco. Allora Fausto Bertinotti si commuove. Con gli occhi lucidi lo abbraccia e poi dice: «Ha fatto un bellissimo discorso, molto profondo ». Ma non tutti gli interventi gli hanno fatto questo effetto. Bertinotti non nasconde, parlando con i fedelissimi, di essere rimasto «impressionato » dalla «regressione non solo politica ma anche culturale » di una parte di Rifondazione.

Il «giustizialismo» abbracciato da Ferrero e i suoi lo ha lasciato di stucco perché non è nel patrimonio genetico del suo partito. Già, quel giustizialismo che Giordano dal palco ha criticato, ricordando a chi nel Prc lo agita, che Di Pietro ha «votato insieme alla destra contro la commissione sui fatti del G8 di Genova». Bertinotti ai compagni di partito spiega la sua delusione. Certe volte la discussione «ha raggiunto livelli bassissimi», sospira amareggiato l'ex presidente della Camera. Lui parlerà oggi («dieci minuti come un semplice delegato»)e volerà alto, come dicono i suoi. Il che non gli impedirà di ripetere, seppure con parole meno nette, quel che va spiegando in questi giorni agli amici. E cioè che «la sinistra ha raggiunto il punto più basso della sua storia».

E che «per non farla sprofondare ancora più in basso bisogna andare avanti con il processo costituente». Insomma, bisogna ricostruire la sinistra e non chiudersi nel guscio di Rifondazione. Ma il Bertinotti che fa il «delegato semplice » in realtà continua a essere ascoltato. E a interessarsi alle vicissitudini interne del suo partito. Non è un caso quindi che Ferrero incontrandolo gli parli all' orecchio per capire che cosa pensa della situazione e che lo abbracci affettuosamente anche se stanno su barricate opposte. E' vero che l'altro ieri sera, alla riunione della maggioranza che ha candidato Vendola, l'ex presidente della Camera, come un delegato di primo pelo, non ha parlato. Ma i suoi consigli, riservatamente, li ha dati (sono stati anche già seguiti).

E ha spiegato che a suo avviso l'ex cossuttiano Claudio Grassi non abbandonerà Ferrero. Anzi, secondo lui il gioco di Grassi nasconde un'insidia: «Cercare di trovare un' intesa politica tra la loro mozione e la nostra per poi proporre che però Nichi faccia un passo indietro». E mettere un altro, sempre della maggioranza, al posto suo. E a quel punto sarebbe molto difficile dire di no, perché non ci sarebbe più la scusa delle differenze politiche per rompere e si sarebbe costretti ad accettare quella proposta. Ma secondo Bertinotti non si deve svendere la linea politica e «non si può e non si deve rinunciare a Nichi ». Perché, Vendola, può essere in grado di portare avanti il processo di ricostruzione della sinistra. E quel che avviene in serata sembra dare ragione all’ex presidente della Camera.

Infatti Grassi fa sapere che le differenze politiche tra la sua componente e quella di Vendola non sono insormontabili e che perciò si può lavorare «a una ricucitura ». E precisa che nel caso di un’intesa non si può negare alla maggioranza il segretario. Senza però aggiungere che quel segretario è Nichi Vendola. Per evitare trappole e per seguire i consigli di Fausto Bertinotti la maggioranza decide perciò di disertare la commissione politica, ovvero il luogo del possibile compromesso che potrebbe far saltare Vendola. Ma se oggi l’ex ministro Ferrero si candida i giochi possono cambiare per l’ennesima volta. Chissà in questo caso quali saranno i consigli che dispenserà il «delegato semplice».

Maria Teresa Meli
26 luglio 2008

da corriere.it


Titolo: Il Prc sceglie la "linea dura" Ferrero è il nuovo segretario
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2008, 11:08:20 pm
Il Prc sceglie la "linea dura" Ferrero è il nuovo segretario

Vendola: la nostra battaglia va avanti

Marco Filippetti


Paolo Ferrero è il nuovo segretario di Rifondazione Comunista: 142 dei 280 delegati del Comitato Politico Nazionale lo hanno eletto, per un soffio sopra il 50 per cento dei voti. Quando sul aplco di Chianciano è avvenuta la proclamazione, Nichi Vendola, lo sconfitto del congresso, era già ripartito per la Puglia. Non ha sentito, perciò, le prime parole del nuovo leader che apriva la segreteria ad una «gestione unitaria» per ricucire la frattura interna, che è stata troppo forte. Vendola non c'era, ma già nel pomeriggio di questa infuocata giornata a Chianciano aveva messo in guardia: «Escludo qualsiasi livello di compromissione nella gestione politica del partito». Insomma non se ne va dal Prc, ma non ci sta nemmeno a subire l'esito di questo congresso che ha spaccato Rifondazione.

Il partito ha scelto  - con 342 voti contro 304 - la mozione 1. Il momento più atteso della giornata è stata proprio la presentazione del documento politico elaborato nella notte dalla commissione politica congressuale. In quel testo, infatti, c’è la linea politica che il partito dovrà tentare di perseguire nei prossimi anni. Giovanni Russo Spena dal palco comincia a leggere il documento che sancisce la vittoria delle mozioni di minoranza: «Il congresso considera chiusa e superata la fase caratterizzata dalla collaborazione organica con il Pd nella fallimentare esperienza di governo dell’Unione, della Sinistra Arcobaleno, e della sbagliata gestione maggioritaria del partito». Queste prime righe sembrano il “manifesto” della Rifondazione che verrà. O, come dirà Vendola più tardi, la «fine» del partito stesso. Basta alleanze con il Pd, dice Russo Spena «dobbiamo essere veramente alternativi al “veltronismo” e alle destre». Il secondo punto è un abiura dell’esperienza dell’Arcobaleno che vuol dire in altre parole un brusco stop al progetto di Nichi Vendola della “costituente della sinistra”. Il terzo punto è la messa al muro della gestione uscita dallo scorso congresso, quello di Venezia, che sanciva la svolta “governista” del partito allora diretto da Fausto Bertinotti. Insomma, nel giro di tre giorni si rinnega tutto quello che è stato fino all’altroieri. E a guidare la “rivoluzione” è Paolo Ferrero, ministro fino a quattro mesi fa nel governo Prodi e difensore della linea vincente a Venezia.

Il documento segna la «svolta a sinistra del Prc» e ribadisce con più forza «la critica alle politiche neo liberiste». Rispetto alla linea Bertinotti, egemone da quattro annia questa parte, si dà spazio all’alleanza con «la sinistra anticapitalista e comunista fuori dal partito» e si tenta il recupero «dell’importanza storica delle esperienze storiche comuniste». I “vendoliani”, dal canto loro, in linea con la svolta segnata da Bertinotti qualche anno fa, hanno sempre sostenuto di non ritornare alle «formule novecentesche» e di «aprirsi alla società civile» perché «il comunismo deve essere una tendenza culturale di una sinistra più ampia».

Unico trait d’union tra le due principali mozioni che si sono sfidate a congresso, la volontà di «ricominciare dall’esperienza di Genova e della commistione con i movimenti sociali, tentando di apprestarli sostanzialmente e non solo formalmente».

Subito dopo Russo Spena, che presentava il documento votato da tutte le mozioni di minoranza che però insieme arrivano solo al 52%, è la volta di Gennaro Migliore. L’ex capogruppo del Prc alla Camera presenta un documento alternativo elaborato interamente dalla seconda mozione, che da sola ha raccolto il 47% dei voti. Migliore esordisce dicendo con voce tuonante che «è la prima volta nella storia della democrazia che una maggioranza relativa in un’organizzazione viene messa in minoranza dalle altre minoranze coalizzate». Per Migliore il congresso «è stato un accordo contro Nichi Vendola, e non una proposta di un progetto alternativo. Le quattro mozioni di minoranza non hanno percorsi comuni – ricorda – anzi sono spesso contrastanti».

Nel momento delle dichiarazioni di voto sale sul palco il grande “sconfitto” , Nichi Vendola che inizia il suo intervento riconoscendo la sconfitta e denunciando «il clima pesante tra le mozioni, spesso con malignità personali». È sconfitto, ammette, ma non se ne va: «I compagni della mozione 2 – rilancia Vendola dal palco – non intendono abbandonare per un attimo, per un millimetro Rifondazione comunista. Staremo qua a costruire – prosegue - la nostra battaglia». Vendola dice chiaramente che ora inizia la sfida «per capovolgere una linea che non ha il fiato necessario per rifondare il partito nel campo largo delle sinistre». «Per anni – analizza Vendola – Rifondazione è stata guidata da una diarchia, non è mai stato un partito acquietato e ha vissuto in modo sempre febbricitante la propria ricerca di rifondazione, ma non è mai stato un guazzabuglio di mozioni di minoranza, un fardello di reazioni di pancia». Questa volta, invece, è andata così: «Una mozione di minoranza - afferma il governatore pugliese - ha cercato in altre mozioni un'aggregazione informe, che porta alla guida del partito una maggioranza precaria, che ha come collante un'ambiguità e un equilibrismo semantico». Per Vendola, quindi, non c’è tempo da perdere: «Lancio un appello – annuncia - per una campagna di iscrizioni per arrivare a capovolgere la linea di maggioranza, e quanto prima faremo una manifestazione. Dalla sconfitta – conclude – noi ripartiamo convinti che c'è in essa un seme per il futuro».


Pubblicato il: 27.07.08
Modificato il: 27.07.08 alle ore 20.40   
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Titolo: Generazione perduta
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2008, 11:31:27 pm
28/7/2008
 
Generazione perduta
 
 
 
 
 
ANTONIO SCURATI
 
Non bisogna fidarsi di nessuno che abbia più di trent’anni». Di fronte allo spettacolo senile e crepuscolare offerto dal congresso del Prc, verrebbe voglia di appropriarsi del motto dei rivoluzionari cubani che abbatterono Batista. Ma ce ne manca il fegato, e l’ardore. Primo perché i rivoluzionari in teoria dovrebbero essere loro, questi anziani signori sconfitti, litigiosi e spenti, secondo perché anche noi giovani scontenti, a furia di sperare nel rinnovamento della sinistra, abbiamo valicato da tempo la dorsale dei trent’anni. Il balletto di mozioni congressuali plurime, di odi di fazione, di scambi di voti a scrutinio segreto, di imboscate fratricide andato in scena a Chianciano ha la cadenza mesta di una danza macabra.

L’ostinata renitenza dei cosiddetti leader della sinistra che fu comunista a ogni ipotesi di ricambio generazionale è l’acuto finale del cupio dissolvi. In un clima di drammatico rischio d’estinzione di una gloriosa tradizione, emerge la figura di un leader di «nuova generazione», Nichi Vendola, che per caratteristiche personali e per storia politica potrebbe guidare la riscossa: un uomo del Sud che, pur del tutto anticonvenzionale, ha coraggiosamente strappato alla destra un suo feudo elettorale grazie all’entusiasmo popolare. Uno che odora di vittoria. I suoi compagni di partito che fanno? Fanno di tutto per affossarlo, a costo di gettare terra sulla propria sepoltura. Qui non si tratta di biasimare gli «stanchi riti della vecchia politica». Ad avvilirci è la loro monotonia ossessiva. Quegli anziani signori a congresso sembrano appassionarsi solo ai riti funebri; paiono aver dimenticato ogni gusto per quelli battesimali o propiziatori.

È lo sconforto di una generazione questo che ci prende. Una generazione perduta alla politica. Se per politica s’intende la possibilità individuale di agire nell’orizzonte grande della storia collettiva. Prima, negli Anni 70, un’infanzia funestata dalle foto segnaletiche dei terroristi di sinistra trasmesse dai tg. Poi, negli Anni 80, un’adolescenza «rieducata» dall’ideologia iperconsumistica delle tv commerciali. Questa l’educazione politica toccata alla generazione dei nati alla fine degli Anni 60, la mia generazione. Arrivati alla soglia dei vent’anni, incontrammo la fine di un’epoca iperpoliticizzata e iperideologica. Anche quelli che, per inclinazione caratteriale o provenienza familiare, si sarebbero sentiti vicini alla storia della sinistra, e dunque alla passione politica vissuta come impegno in prima persona, si affacciarono alla vita adulta con l’atteggiamento disincantato e sfiduciato dell’orfano. Il crollo del Muro di Berlino ci colse a gozzovigliare davanti alla tv, con un bianchino in mano e il sarcasmo obbligatorio in bocca. Nemmeno fosse una serata del Festival di Sanremo. Io, cresciuto a Venezia, di quella notte ricordo solo la battuta di un mio amico che sembrava nato già mezzo ubriaco. Abbandonò per un attimo la ciacola con le ragazze, gettò uno sguardo divertito al televisore e commentò: «Varda quel mona col picón».

Se rievoco quest’episodio apparentemente incongruo, è perché quella notte finì un’epoca della politica ma per la mia generazione non n’è mai iniziata un’altra. Non a sinistra, quantomeno. Siamo entrati nella vita adulta con la sensazione che nell’arena politica non ci fosse niente per noi e niente di noi: nessuno spazio, nessun riconoscimento, nessun nostro leader, nessun nostro progetto, nessun godimento. Quella sensazione ci accompagna ancora mentre ci avviamo ai quarant’anni. Si è corroborata fino a diventare abitudine e vi hanno contribuito tanto la tracotante volontà di potere della nuova destra quanto il decadente cupio dissolvi della vecchia sinistra.

Ci abbiamo fatto quasi il callo oramai. Siamo a un passo dal cinismo, l’ultima spiaggia della rassegnazione. Anche di fronte allo spettacolo di questi distruttori mascherati da rifondatori, sarei tentato di dire, come quel mio amico di tanti anni fa: «Varda quel mona col picón».
 
da lastampa.it


Titolo: RICCARDO BARENGHI Piccolo mondo antico
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2008, 11:32:18 pm
28/7/2008
 
Piccolo mondo antico
 
 
RICCARDO BARENGHI
 
La storia non finisce mai, ma a volte mette la retromarcia. Una retromarcia così vistosa, così rapida, così spericolata che l’automobile potrebbe anche sbattere irrimediabilmente contro un muro. Questo rischia di accadere a Rifondazione comunista, vista la conclusione del congresso di Chianciano. Oppure, già che siamo in clima comunista (molto comunista), possiamo anche parafrasare Lenin e dire che il partito che fino a ieri è stato di Bertinotti, e che da oggi è di Paolo Ferrero, fa un passo indietro per farne altri due indietro.

La sconfitta di Nichi Vendola, che pure aveva ottenuto la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria per diventare segretario, è una sconfitta che significa la cancellazione di tutto quello che è stato - nel bene e nel male - il partito guidato da Bertinotti. Con le sue svolte culturali e politiche, la rottura con la tradizione comunista più ortodossa, la scelta della non violenza, i rinculi movimentisti e a volte estremisti, ma anche la decisione di allearsi con il centrosinistra per tentare addirittura l’avventura del governo (avventura però fallita). Una sconfitta che cancella anche qualsiasi ipotesi di alleanze future, dal Pd a quel che resta della sinistra radicale (tranne forse con i comunisti duri e puri di Diliberto). Niente di tutto questo, la Rifondazione di Ferrero sarà un partito autarchico, molto identitario (dove l’identità sta nell’essere comunisti, che poi nessuno è ancora riuscito a spiegare che diavolo significhi nel terzo millennio), che non guarda la sfera della politica ma passa oltre per immergersi nel «bagno purificatore» del sociale e magari del giustizialismo di Di Pietro, che con la tradizione rifondarola non c’entra nulla «ma che almeno fa opposizione». Un partito che riscopre antiche parole d’ordine, slogan e inni che solo a sentirli non fanno venire nostalgia di un passato remoto ma glorioso, semmai provocano la sensazione sgradevole di non sapere più dove si sta, in che mondo si vive, in quale periodo storico. E soprattutto per fare che (ancora Lenin), con chi, quando, come...

Un tuffo all’indietro, insomma, a occhi chiusi e senza neanche sapere se sotto c’è un po’ d’acqua. Non indirizzato verso la tradizione comunista italiana, insomma il Pci, ma molto più modestamente ai quei gruppi extraparlamentari degli anni Settanta (e pure a quelli meno innovativi) che se non funzionarono allora, figuriamoci oggi. Mettendo oltretutto insieme pezzi sparsi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro, vecchi militanti di Democrazia proletaria (appunto Ferrero e Russo Spena) con uomini nati e cresciuti nel Pci e poi nella Rifondazione cossuttiana (Grassi e Burgio), improbabili trotzkisti e comunisti anti-imperialisti, qualche scampolo stalinista. Una maggioranza fatta ad hoc, costruita artificialmente per battere Vendola, Giordano, Bertinotti.

I quali escono da questo congresso non solo sconfitti ma anche increduli, come se avessero scoperto solo oggi che genere di partito è il loro (o forse era, chissà quanto resisteranno lì dentro). E qui una qualche responsabilità dell’ex leader e di tutti quelli che per quattordici anni hanno gestito Rifondazione non manca, anzi. Cosa facevano, dove guardavano, chi pensavano di rappresentare mentre il loro partito gli si trasformava sotto gli occhi, cambiando così radicalmente natura? Un accenno di autocritica (altro concetto caro al comunismo storico) sarebbe stato gradito. Purtroppo non c’è stato.
 
da lastampa.it


Titolo: Fava: «Bandiera Rossa? È come fare la guardia al proprio museo»
Inserito da: Admin - Luglio 29, 2008, 06:47:26 pm
Fava: «Bandiera Rossa? È come fare la guardia al proprio museo»

Eduardo Di Blasi



Il Congresso di Rifondazione, spiega il portavoce di Sd Claudio Fava, ha fatto chiarezza.

Non tanto per la vittoria di Paolo Ferrero quanto perché, dall’altro lato «prende ancora più forza e più urgenza la necessità di organizzare a sinistra un incontro tra storie, culture, sensibilità, linguaggi, che hanno scelto la sinistra non come museo ma come luogo di trasformazione del presente, laboratorio politico». Parla alla minoranza di Nichi Vendola, ma non solo. «Bandiera Rossa non è una scelta politica, è una fuga dalla politica. Da questa parte può e deve esserci l’idea di un sinistra che riorganizza profondamente sè stessa».

I congressi di luglio hanno visto tutti i partiti stringersi attorno alla propria idea forza...
«L’idea forza di un partito è tale quando produce anche effetti sul piano elettorale. Con il voto di aprile gli elettori ci dicono che non si sentono rappresentati da partiti ridotti a segmenti brevi, minuti, autoreferenziali, e che vogliono una sinistra che sia capace di rappresentarli spostando in avanti il ragionamento sulle identità. Credo che il congresso di Rifondazione, in questo senso, aiuti ad una maggiore verità nel dibattito politico. Tra chi sceglie Bandiera Rossa e chi sceglie di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo».

Il tempo che avete a disposizione non sembra molto.
«O questo progetto parte subito, o questo laboratorio comincia a riempirsi di contenuti, oppure ricadiamo nel politicismo, nel tatticismo, nell’analisi delle convenienze. Noi siamo stati seppelliti dalle nostre contabilità elettorali e dai nostri tatticismi. E dovremo sentire un po’ più il cuore della nostra comunità che ci dice “mai più ciascuno a guardia del proprio museo”. Tutto questo va fatto subito».

Un’occasione?
«Io penso all’Abruzzo come un primo appuntamento non solo elettorale ma anche politico. La giunta in Abruzzo è scivolata rumorosamente sulla sovrapposizione tra ceto politico e potere locale. Su un tema tragico e fondamentale come la Sanità, che da diritto pubblico diventa profitto privato, è scivolata manifestando l’assoluta assenza di un’etica civile nella politica. E quindi non si tratta solo di scegliere il primo appuntamento elettorale».

Il problema abruzzese tiene dentro anche il timore di riconsegnare la Regione al centrodestra. Di Pietro è intenzionato ad andare da solo...
«Nessuno può stare in campo da solo. A meno che non scelga di stare in campo soltanto per vanità personale. Il centrosinistra può riorganizzarsi in Abruzzo, ma deve riorganizzarsi a partire da un azzeramento di tutte le gerarchie pregresse. Il centrosinistra in Abruzzo, più che altrove, non può avere padroni di casa e ospiti. Questo vale per il Pd come per Di Pietro».

Uno dei temi della sinistra che ha vinto il congresso del Prc è quello di spostare il “conflitto”...
«Il limite di questo gruppo dirigente del Prc è che assume il conflitto come parola onnivora, singolare, capace di rinchiudere dentro di sè una realtà sempre più complessa. Noi parliamo di “conflitti”. Questo è un tempo in cui la politica si deve fare carico di questa complessità e deve assumersi la rappresentanza di tutti i conflitti, non solo del conflitto più ortodosso, più tradizionale, che è il conflitto di classe. Questa è una lettura semplicistica, consolatoria, ma inadeguata a leggere il Paese reale».

L’obiettivo di Sd era quello di tenere insieme la Sinistra, a distanza di un anno e più dall’ultimo congresso dei Ds a che punto è la notte?
«Il punto più cupo è stato il 14 aprile. Da quel voto abbiamo ricevuto una lezione che ci chiede di riorganizzare la sinistra su di un piano di verità, di innovazione, di critica del presente e del passato, di capacità di rischio, di fantasia politica, di inclusività. Alla fine di quest’anno possiamo dire che sappiamo cosa non dobbiamo fare».

Pubblicato il: 29.07.08
Modificato il: 29.07.08 alle ore 8.17   
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Titolo: La sinistra dopo il congresso Prc
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2008, 09:14:30 am
POLITICA

Cosa sta prendendo forma nella galassia del radicalismo italiano

Una formazione sotto la falce e al martello. Un'altra progressista, riformista e verde

La sinistra dopo il congresso Prc

Tra il Pd e la "dacia" di Diliberto

Il sondaggio di Repubblica.it: per la maggioranza dei lettori a sinistra del Pd c'è spazione per un solo partito

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Che ne sarà adesso dei quattro partiti che avevano dato vita al progetto, fallito, dell'Arcobaleno? Il mese dei congressi di Sinistra democratica, Comunisti italiani, Verdi e - più di tutti - Rifondazione, doveva dare risposte e indicazioni. Delle prime non si vede traccia. Le seconde abbondano. E la fotografia che abbiamo sotto gli occhi resta ancora molto sfuocata anche se definita da confini abbastanza certi.

Il sondaggio. L'umore dei lettori è misurato da un sondaggio di Repubblica. it (a cui è ancora possibile rispondere) lanciato dieci giorni fa. Un quesito e cinque opzioni di risposte: "E' il mese dei congressi delle forze politiche che facevano capo alla Sinistra Arcobaleno. Secondo voi, a sinistra del Pd: 1) C'è spazio per una sola forza politica; 2) c'è spazio per un partito di sinistra e per uno ambientalista; 3)non c'è spazio per altri partiti; 4) possono esistere solo i movimenti; 5) non so". La maggior parte dei lettori (50% su 33 mila risposte) dice che c'è spazio per una sola forza politica. A ruota (23%) si affaccia l'idea di un partito di sinistra e di uno ambientalista. Il 14% è convinto che, a sinistra del Pd, ci possano essere solo i movimenti; l'11 per cento che non c'è spazio per altri partiti.

La nebulosa. Il sondaggio, che non ha alcuna pretesa di scientificità, va verso la semplificazione del quadro politico. L'opposto di quella che è la situazione nella sinistra radicale dopo un mese di congressi e scelte di linee politiche. Più simile a una nebulosa che a una costellazione. Un quadro che gli stessi segretari appena eletti, confermati o sconfitti, preferiscono maneggiare con cura. Ma che devono affrontare il prima possibile

La nebulosa, quindi. E' dominata da due poli "attrattivi" , uno più spostato verso il centro - il Pd - e uno più verso l'estrema sinistra, la sinistra radicale dove - semplificando - domina la falce e il martello. E' più semplice partire da qui, dai pugni chiusi, da Bandiera Rossa e da quello che è stato definito "armamentario da vecchio museo".

La dacia di Diliberto. Qui, in qualche modo, il padrone di casa sembra essere Oliviero Diliberto, appena riconfermato segretario dei Comunisti italiani, la scelta del ritorno al "centralismo democratico", cioè divieto di ogni corrente. Il sogno di Diliberto è: "Comunisti uniamoci", romanticamente, sotto la stessa dacia. Il professore non ha commentato più di tanto la vittoria di Ferrero e della prospettiva comunista. "Sono certo - ha detto al neoeletto segretario di Rifondazione - che da oggi possa iniziare un percorso comune, un periodo di fattiva collaborazione fra i due partiti". C'è, ad esempio, la manifestazione contro il governo sui temi sociali prevista per l'autunno sia dal congresso del Pdci che da quello di Rifondazione. I punti di unione tra Diliberto e la Rifondazione di Ferrero-Grassi-Pegolo e Giannini sono anche molti altri: il comunismo, la lotta di classe, i simboli, il no ad ogni ipotesi di riedizione dell'Arcobaleno, e più di tutto il no ad ogni accordo col Pd. Insomma, forte identità, quasi settarismo, molto a sinistra e molto dal basso, molto di lotta e mai più di governo. Opposizione a vita e mani libere.
 
Uno scenario che, aggiustato e meglio definito, potrebbe allettare altri transfughi di Rifondazione come il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) di Marco Ferrando e la Sinistra critica di Cannavò, Malabarba e Flavia D'Angeli. Quattro sigle che messe insieme sotto lo stesso simbolo possono pensare di raggiungere il 4-5 per cento.

La costituente di Sd - Più deluso di tutti per come sono andate le cose a Chianciano, oltre lo sconfitto Nichi Vendola, è il coordinatore di Sinistra democratica Claudio Fava. Il partito era nato nell'aprile 2007 dopo l'ultimo congresso del Pd e in polemica con l'idea stessa di Pd. Il disastro elettorale ha disperso le già poche truppe. Fava ha rilanciato, all'inizio di luglio, con l'idea della Costituente di sinistra che sarà in dialogo dialettico e continuo, sulla base di punti di programma certi e definiti, con il Pd di Veltroni. Il primo appuntamento è il 20 settembre. Ferrero è stato chiaro: mai col Pd. Diliberto ha in testa la dacia dei comunisti. I Verdi sono un po' in mezzo al guado. Con chi fare allora la Costituente? "Il progetto va avanti" spiega oggi Fava in un'intervista all'Unità "e deve partire subito o è già finito. Gli elettori ci dicono mai più ciascuno a guardia del proprio museo e ci chiedono di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo. Invece, cantare Bandiera Rossa è come fare la guardia al proprio museo".

Il dilemma verde. La spaccatura di Rifondazione riflette, con le dovute differenze, la divisione nei Verdi. Grazia Francescato è stata eletta portavoce dieci giorni fa, in continuità con la gestione Pecoraio Scanio e con forti differenze rispetto alle corrente di Marco Boato, l'ex deputato che al congresso ha strappato un buon successo personale. Francescato ha commentato a caldo chiudendo a Ferrero e aprendo allo sconfitto, per otto voti, Nichi Vendola. "Auguri a Ferrero - ha detto- ma ora Vendola ha le mani libere per costruire il futuro di una sinistra fuori dagli schemi e all'altezza delle sfide del prossimo millennio, cosa che se fosse diventato segretario con una maggioranza risicata, non gli sarebbe stata permessa". Messaggio chiaro: insieme per una costituente di sinistra. Ma come la mette con l'anima più radicale che l'ha votata, Paolo Cento, De Petris, Bonelli? In quanto a mani libere, nei Verdi le ha forse di più Marco Boato che il 26 ottobre lancia nelle elezioni in Trentino il simbolo del Sole che ride con la dicitura "Verdi e democratici nel Trentino" e dove in lista, tutta di indipendenti, ci sarà Lucia Coppola, ex capogruppo di Rifondazione. L'ex deputato dice "no ad ogni riedizione mascherata di Arcobaleno". "Diliberto e la Rifondazione di Ferrero sono scelte identitarie che difendono spazi da riserva indiana" aggiunge. Fatta questa premessa, quale futuro per i Verdi? "E' presto per parlare di modalità di confronto ed eventuali alleanze. I Verdi che ho in mente li immagino comunque con un proprio simbolo e disponibili ad alleanze col centrosinistra, con una vocazione alla cultura di governo anche se sono all'opposizione e fuori dal Parlamento".

Il boccino in mano a Vendola. Che farà il governatore della Puglia? Esce e porta fuori Rifondazione 2? Oppure resta e fa opposizione dall'interno? La domanda deve fare i conti con due scadenze elettorali molto importanti: il voto anticipato in Abruzzo travolto dallo scandalo sanità e dove Rifondazione è in giunta e le Europee. La linea ufficiale è restare. Ma l'area "Rifondazione per la sinistra", i vendoliani, si riunisce oggi a Roma per la prima volta e a settembre avranno anche un loro organo di informazione. Ma se Vendola esce e allea con sé Sd, parte dei socialisti, parte dei Verdi, creando quel partito di sinistra indicato dal sondaggio, porta via voti al Pd e non certo alla sinistra della falce e del martello. Se Vendola resta può invece prendere tempo, che non guasta, e attendere qualche fibrillazione interna. C'è più di un mese di tempo per riflettere. Anche per il Pd che se non trova spazi e alleanze a sinistra deve per forza guardare al centro.

(29 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Luxuria: il congresso? Un brutto «compagnicidio».
Inserito da: Admin - Luglio 31, 2008, 03:07:26 pm
Politica
 
Luxuria: il congresso? Un brutto «compagnicidio».


Simone Collini


«Una brutta lotta compagnicida». A Vladimir Luxuria non ha fatto una bella impressione il congresso di Rifondazione comunista. «Ero presente quando, dopo il discorso di Ferrero, una parte della platea ha intonato Bandiera rossa, come per far passare l’idea che c’è chi difende il comunismo e chi invece vuole annacquarlo». A Chianciano è andata come osservatrice esterna, visto che la tessera del Prc non l’ha mai presa: «La mia non è una storia di militanza nel partito. La candidatura è stata frutto della decisione di aprire a personalità esterne. Io mi considero un’espressione del movimento lesbo gay trans, e ho continuato a mantenere questa mia autonomia». Però dice: «Le storie dei partiti vanno calate nel contemporaneo, le ideologie non vanno viste come rifugio ma bisogna essere pronti alle contaminazioni, a mettersi in discussione. Le identità forti sono quelle capaci di avere dei dubbi, di assorbire i cambiamenti che avvengono nella società e anche di dialogare con i movimenti che lottano per la libertà».

Sperava in un esito diverso?

«Ho sperato fino alla fine che si evitasse la spaccatura. Alla fine a decidere è stata una manciata di voti. Per me non ha né vinto Ferrero né perso Vendola. Ha perso tutto un partito, che ha fatto quanto di peggio potesse fare dopo una batosta elettorale: una lotta compagnicida. E agli altri non va meglio. Mi sembra siamo in pieno divide et impera, stiamo attraversando davvero un deserto: il Prc con questo congresso di spaccatura, i Verdi con i fischi, il Pdci con una parte dei delegati che non è rimasta fino alla votazione finale. Per non parlare di come si stanno muovendo Pd e Di Pietro. Ci sarebbe da resettare tutto, per sperare di poter davvero riconsegnare l’Italia a un centrosinistra».

Come si può rilanciare la sinistra, secondo lei?

«Sicuramente non con un dialogo privilegiato tra comunisti, tenendo fuori le altre forze politiche e i movimenti. Io continuo a credere in un forte partito della sinistra unita, che abbia anche interessi ambientalisti e animalisti».

Ferrero pensa a un’immersione nel sociale, evitando operazioni politiciste. Che ne pensa?

«È giusto immergerci nel sociale. Ma non bisognava aspettare una batosta elettorale per farlo. Ognuno dovrebbe mantenere i rapporti col proprio elettorato e la propria storia. Io sono stata applaudita in tutti i Gay pride, non ho ricevuto fischi. Forse perché, io che provengo dal movimento lesbo gay trans, in questi due anni ho continuato a mantenere questo rapporto».

Cosa è mancato in questi congressi, secondo lei?

«La solidarietà, la coesione, il rimboccarci le maniche e invece di cercare i capri espiatori di lottare e coalizzarci. Credo fosse anche quello che si aspettava il nostro elettorato».

Ferrero ha detto: meno televisione e più popolo. È la ricetta giusta?

«La televisione è un grande strumento, come lo sono i comizi, le feste di partito. Io ho fatto e continuerò a fare tv, ma in questi giorni sono stata alla Festa di Liberazione a Osnago, in provincia di Lecco, al campeggio dei Giovani comunisti a Pineto, sabato sarò alla Festa di Liberazione di Chioggia, poi a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia. Non mi sembrano incompatibili le due cose. Bisogna parlare alla gente che già ci vota e anche alla gente che o non vota o preferisce altri a noi».

È per questo che ha deciso di partecipare all’Isola dei famosi, scelta che ha creato anche dei malumori nell’elettorato Prc, per veicolare messaggi?

«Io spero di poter fare un’Isola dei famosi civile, nella quale cioè a prevalere non siano le risse e l’idea che per vincere bisogna essere lupo tra lupi, ma l’idea che si possa essere coesi e che si possa anche parlare di argomenti interessanti».

Non sarà facile, visti format e precedenti, non crede?

«Si devono rispettare coloro che vedono questa trasmissione. Io mi auguro di vincere questa sfida. Si può essere vittime di momenti trash anche in luoghi importanti. L’episodio con la Gardini (la deputata forzista l’attaccò perché aveva usato il bagno delle donne, ndr) è avvenuto dentro un Parlamento. Magari invece all’Isola dei famosi potremo dimostrare una convivenza con le donne più da sorellanza. È una sfida. Magari la perdo, magari avrò fame e andrò subito fuori di testa. Però più le sfide sono difficili e più mi stuzzicano».

Pubblicato il: 31.07.08
Modificato il: 31.07.08 alle ore 10.14   
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Titolo: Europee, Ferrero scrive a Berlusconi
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2008, 07:42:07 pm
Europee, Ferrero scrive a Berlusconi


Signor Presidente,
nelle settimane immediatamente successive alle elezioni del 13/14 aprile - che hanno sancito l'esclusione dalla rappresentanza parlamentare delle forze di sinistra - molti esponenti politici di entrambi gli schieramenti hanno notato come questo fatto determinasse un elemento distorsivo nel rapporto tra istituzioni e Paese.

È infatti evidente che le forze comuniste e di sinistra, pur non essendo rappresentate in Parlamento, sono parte integrante della dialettica politica e sociale del Paese. Per affrontare questa situazione alcuni esponenti politici del suo schieramento hanno segnalato la necessità di audire, su questioni di particolare rilevanza, le forze di sinistra, al fine di avere un quadro completo delle posizioni in campo.

Vista la volontà espressa dal suo governo di intervenire al fine di modificare la legislazione relativa alle elezioni europee e vista la possibilità che tali modifiche determinino contemporaneamente la riduzione dei diritti dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti e l'espulsione delle forze di sinistra dallo stesso Parlamento europeo, con la presente Le chiedo di avere un incontro ufficiale con i ministri competenti al fine di poter esprimere le posizioni del Partito della Rifondazione Comunista.

È infatti del tutto evidente che la modifica della legge per le elezioni europee, non avendo per altro alcuna giustificazione dal punto di vista della governabilità delle istituzioni europee, avrebbe l'unico ma gravissimo effetto di determinare un ulteriore ed inaccettabile distacco tra il Paese reale e la rappresentanza istituzionale. Tale indirizzo è con ogni evidenza del tutto estraneo allo spirito della Costituzione che, affidando al popolo la sovranità, non contempla che questa possa essere conculcata da una oligarchia composta dalle maggiori formazioni politiche.

È quindi nella consapevolezza dell'importanza della discussione in corso e della gravità di una modifica non condivisa della legge in questione che Le rinnovo la richiesta di un incontro da tenersi in tempi rapidi. Certo dell'attenzione che vorrà prestare a questa mia, le invio Cordiali saluti,
Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc

Pubblicato il: 02.08.08
Modificato il: 02.08.08 alle ore 18.52   
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Titolo: Claudio Fava. Comiso, la destra cancella Pio La Torre
Inserito da: Admin - Agosto 28, 2008, 09:13:04 pm
Comiso, la destra cancella Pio La Torre

Claudio Fava


Quando la mafia ammazzò Pio La Torre, l'attuale sindaco di Comiso Giuseppe Alfano aveva solo otto anni. Pochi. Un'età in cui le cose della vita hanno ancora contorni sfumati, e anche il dolore di un popolo, la violenza, la rabbia sono parole sfocate, concetti astratti. Non so se sia questo vizio di memoria a non permettere al sindaco Alfano di capire la gravità del suo gesto. Che non è solo un gesto inconsulto o uno sberleffo agli avversari sconfitti: è un gesto mafioso. Nel senso che riproduce l'intima cultura della mafia, la sua vocazione a cancellare uomini e memorie, a pretendere che si parli d'altro, che ci si preoccupi d'altro, che si guardi altrove.

Pio La Torre, a Comiso, non è il nome di un aeroporto: è la storia di un popolo, raccolta in uno dei suoi rari e felici momenti di indignazione. Pio La Torre sono i centomila siciliani che ventisei anni fa si presero le piazze e le strade di quel paese e andarono a manifestare davanti ai cancelli della base americana contro i missili cruise. Io c'ero, e ne porto memoria non come una consolazione o come un privilegio: c'ero e basta, confuso tra gli altri, convinto che quel giorno finiva qualcosa, forse il tempo di un'adolescenza che si era protratta troppo a lungo, e che dopo quella manifestazione nessuno di noi avrebbe potuto fingere di non capire. Pio La Torre lo ammazzarono ventisei giorni dopo. Anche per quella mobilitazione, per i centomila in piazza, per il milione di firme che seppe raccogliere in poche settimane, per aver mostrato ai mafiosi l'esistenza di un'altra Sicilia, d'un altro modo di stare al mondo e di battersi contro le cose oscene di quel mondo. Per questo gli hanno avevano intitolato l'aeroporto di Comiso un quarto di secolo dopo la sua morte. Tardi. Ma comunque in tempo a recuperare il filo di quella storia e di quella morte. Adesso arriva questo sindaco di trent'anni scarsi, s'appunta sul petto la sua stella da sceriffo e - come gli hanno mostrato tanti suoi colleghi sceriffi, da destra e da sinistra - si convince anche lui che la politica é far rumore, maneggiare delibere come pistole, dettare la propria legge. Solo che altrove se la prendono con i filippini o i lavavetri; in Sicilia, con i morti di mafia.

Ci aveva già provato Gianfranco Micciché, quando faceva il gran cerimoniere all'Assemblea regionale siciliana: "Liberiamoci da questa vocazione al lutto, da questi repertori di lapidi, basta parlar sempre di mafia: togliamo i nomi di Falcone e Borsellino dall'aeroporto di Palermo...". E' per il turismo, si giustificò Miccichè il giorno dopo. Geniale, davvero. Stavolta é peggio. Stavolta il sindaco di Comiso pretende di darsi ragione da solo, e lo fa con poveri argomenti, con parole di miseria: ''Come rileva un sondaggio effettuato a suo tempo, l'intitolazione a La Torre aveva riscontrato scarso gradimento fra i cittadini''. Ecco: è tutto là, in quell'espressione da mercatino televisivo, da auditel della politica: scarso gradimento. E pazienza per Pio La Torre, per le sue battaglie, per il modo in cui è crepato. Pazienza per questi morti di mafia, che ha ragione signor sindaco, troppi morti, tutti lì a prendersi in faccia il vento invece di ripiegarsi come giunchi ad aspettare che la mala giornata fosse passata. Pazienza anche per quei siciliani che per un giorno ebbero l'illusione di essere un popolo fiero e libero. Adesso é tempo che di mafia si torni a parlare a bassa voce. E che si riscriva per benino la storia restituendo all'aeroporto di Comiso il nome che la storia gli aveva dato: quello del generale Vincenzo Magliocco, morto in Africa nel 1936. Altro che mafia.

Pubblicato il: 28.08.08
Modificato il: 28.08.08 alle ore 10.34   
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Titolo: Giordano: «Un commissario vale quanto un comunista»
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2008, 06:12:13 pm
«Ha ragione su LICIA Pinelli: Stato incapace di riconoscere il dolore di quella famiglia»

Giordano: «Un commissario vale quanto un comunista»

L'ex leader del Prc: Sofri sbaglia, il poliziotto fu una vittima come Guido Rossa e Bachelet

 

ROMA — «Il mio è un giudizio politico, nulla a che fare con le sentenze della magistratura. So bene che gli imputati del caso Calabresi non sono mai stati condannati per terrorismo... però dico che quell'omicidio fu un atto di terrorismo. E che valenza terroristica ebbero tutti gli omicidi di cui si macchiarono le Brigate rosse in quegli anni, per citarne solo due Vittorio Bachelet e Guido Rossa». Parola di Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione Comunista dal 2006 al 2008. La sua critica a Adriano Sofri è chiara così come il totale appoggio a Piero Sansonetti, direttore di «Liberazione», che ha attaccato lo scritto dell'ex leader di Lotta continua apparso su «Il Foglio» l'11 settembre scorso.

Piero Sansonetti attacca Sofri: non si può «distinguere in base alla biografia delle vittime», scrive il direttore di «Liberazione».
«Mi ritrovo fedelmente nelle contestazioni di Piero. Quella distinzione di Adriano, anche se maturata in un lungo ragionamento culturale e politico, è sbagliata. Premetto, a scanso di equivoci, di non aver mai creduto alla colpevolezza di Sofri nella vicenda Calabresi. Mi sono sempre battuto per una soluzione politica e continuerò a farlo: Adriano deve poter lasciare, dopo anni, una condizione dolorosa di detenzione che ormai è stata lunghissima. Detto questo, non posso condividere la separazione che lui sembra voler compiere tra un terrorismo di natura stragista, che fa della violenza il fine per gettare nel panico un nemico indistinto, dagli atti di sangue contro i singoli che in qualche modo potrebbero — secondo lui — portare a un recupero, in via drastica, di torti subiti...».

Anche quello è terrorismo, dunque?
«Lo ripeto. Senza dubbio. Come potrei maturare un giudizio diverso? Sansonetti parla correttamente di giustizialismo. E io non sono un giustizialista. Non lo sono nella versione vendicativa con cui spesso le istituzioni statali decidono di rivalersi verso una persona che ha sbagliato: sono culturalmente contro l'ergastolo e a favore di pene alternative al carcere. Figuriamoci se posso essere giustizialista nel caso di forme violente, e magari nel nome di una "altra giustizia"».

Tornando alla distinzione di Sofri...
«Ecco, ripeto, qui Adriano veramente sbaglia. Prendendo per buono quel distinguo, come ha correttamente argomentato Piero Sansonetti, si potrebbe arrivare a sostenere che l'omicidio di un poliziotto non è un atto di terrorismo. Non sono d'accordo. Io non posso distinguere tra un militante comunista e un commissario di polizia».

Sansonetti arriva anche a un'altra conclusione. Cioè che così si azzererebbero anni di discussione politica.
«Giustissimo. Ammettere una diversa classificazione vorrebbe dire veramente annullare un dibattito maturato a sinistra e che ha permeato ormai persino chi ha praticato la lotta armata negli anni Settanta. Sansonetti paventa possibili disastri culturali e politici, e anche qui concordo con l'analisi. Su un punto, però, sono completamente d'accordo con Adriano. Trovo il passaggio su Licia Pinelli giustissimo. C'è stata incapacità, da parte dello Stato e delle istituzioni pubbliche così come della società civile, di riconoscere alla famiglia Pinelli la stessa intensità del dolore della famiglia Calabresi».

In quanto, appunto, al comportamento negli anni della famiglia Calabresi?
«Ho sempre avuto la massima considerazione per loro. Ho conosciuto Mario, il figlio giornalista, negli anni di lavoro alla Camera e ne ho sempre apprezzato la bravura e la correttezza. In quanto alla vedova e a tutti loro, trovo straordinaria la modalità in cui sono riusciti a vivere il loro dolore: indiscutibile compostezza, sempre la ricerca della giustizia e mai della vendetta. Il tutto con profonda sofferenza e non comune dignità».

Paolo Conti
14 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Francesca Santoro L’opposizione è nelle nostre mani
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2008, 12:34:44 pm
L’opposizione è nelle nostre mani

di Francesca Santoro

 
Si è svolta oggi presso l’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio la conferenza stampa degli organizzatori della manifestazione dell’11 ottobre. Un incontro che ha riunito esponenti della società civile, del mondo politico e di quello sindacale. Insieme ai promotori Anna Picciorini, Ciro Pesacane e Piero Di Siena erano presenti, tra gli altri, anche Fulvia Bandoli, Silvana Pisa, Giorgio Mele, Manuela Palermi (Comunisti italiani), Loredana De Petris e Paolo Cento (Verdi), Mario Sai della Cgil. I promotori sono rappresentanti di associazioni ambientaliste che operano da tempo sul territorio occupandosi di tematiche molto importanti per la comunità e che per questo hanno resistito alla sconfitta elettorale, come sostiene Anna Picciorini, “la nostra ragion d’essere non è mai venuta meno dopo quella sconfitta”.

Dopo la debacle elettorale si riparte dunque fuori dal Parlamento e dai temi sociali con una manifestazione che vuole portare in piazza insieme ai bisogni di tante persone che non si sentono rappresentate e anche la propria idea di Italia.  Piero Di Siena sottolinea che indicendo questa manifestazione “ci siamo assunti la responsabilità di chiedere a tutta la sinistra di assolvere un compito che è doveroso per il Paese”. L’11 ottobre, quindi, non può che essere un punto di partenza perché ci sia un’opposizione viva nel nostro Paese: per affermare un autonomo punto di vista rispetto ai temi sociali”; e riguardo alla manifestazione organizzata da Di Pietro, ricorda come sia fondamentale “creare una duratura trama di rapporti sociali e politici per dare una boccata d’aria all’opposizione”.

A Roma, dunque, l’11 ottobre partirà alle 14.00 da Piazza della Repubblica il corteo per protestare contro l’azione di Governo e Confindustria, come spiega il documento organizzato in sette punti che presenta gli obiettivi che promotori, organizzatori e circa duecento firmatari fra rappresentanti della cultura e della politica si propongono.  “Spetta alla sinistra contrapporre un ‘altra idea di società e un coerente programma in difesa della democrazia e delle condizioni di vita delle persone. Sette punti che riguardano la politica estera, con particolare attenzione per lo scacchiere del Caucaso, retribuzioni e pensioni falcidiate dal caro vita, precariato, la condizione della scuola pubblica, la violenza contro le donne, le vertenze territoriali (no Tav e no Dal Molin), la tutela delle fondamentali libertà democratiche e civili.

Prima di questo grande appuntamento tanti sono quelli che lo precederanno per dimostrare come questa iniziativa per creare una nuova e forte opposizione debba essere vigile e continua: il 5 ottobre in molte piazze italiane verranno allestiti dei banchetti per spiegare e promuovere il documento in sette punti, il 4 ottobre verrà organizzata una manifestazione contro il razzismo, il 17  ci sarà lo sciopero dei sindacati di base.

Claudio Fava nei giorni scorsi aveva chiesto alle forze di centrosinistra di unirsi in una sola piazza, ed ha dichiarato: “prendo atto prendo atto che il Pd non è disponibile a una manifestazione che rimetta insieme le opposizioni, né alla costruzione di un nuovo centrosinistra, né a unificare la cifra della manifestazione del 25 ottobre che sembra sempre più il Pd pride. Ne prendiamo atto, così l’11 ottobre diventa il momento in cui l’opposizione torna a parlare al Paese: ci sono tutte le premesse per cui questa manifestazione non sia quella dell’orgoglio della sinistra, che dimostra di essere ancora in saluto, ma rilanci l’opposizione, e credo che sarà l’unica piazza che parlerà in questi termini”.

Giorgio Mele, presente alla conferenza, ha ribadito che la manifestazione : “è importantissima per tutta la sinistra, ed è compito di tutti i soggetti che la compongono portare più gente possibile in piazza”, anche per dimostrare come “il Pd in realtà stia facendo un’opposizione flebile a questo Governo”.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Mussi: Cara Rifondazione è ora di fare un altro partito
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2008, 12:35:27 pm
Intervista a l'ex ministro pubblicata su Liberazione del 24 settembre 2008

Mussi: Cara Rifondazione è ora di fare un altro partito

di Stefano Bocconetti


Bisogno di un partito.

Di un nuovo partito della sinistra. «Perché la situazione non è mai stata così difficile come adesso, ma c’è anche una straordinaria opportunità per mettere in campo un pensiero nuovo».

Fabio Mussi, ex ministro della ricerca, dirigente del Pci e dei diesse prima di ”rompere“ con Fassino al congresso di Firenze, per un po’ di tempo - a cavallo delle elezioni - è stato costretto a stare lontano dalla battaglia politica. Un’operazione difficile e poi una dura convalescenza. Ora torna a dire la sua. E a fare. Per esempio, quando lo si sente al telefono, è appena tornato da una riunione sull’occupazione di una scuola. Torna a dire la sua, sul futuro della sinistra. Un tema che, lo sa bene, divide le forze politiche, un tema sul quale - anche questo sa bene - in Rifondazione ha prodotto un dibattito lacerante. Ma la sua la dice lo stesso.

E a quell’obbiettivo - un nuovo partito della sinistra, «un nuovo partito alla sinistra «un nuovo partito alla sinistra del piddì» - ci arriva con un lungo ragionamento. Che comincia con una domanda sull’attualità, sulle cose di questi giorni.


Proprio stamane Maurizio Zipponi, sul nostro giornale, scriveva che sarà in piazza l’11 ottobre nella manifestazione promossa da un appello di intellettuali. Ma che quella manifestazione rischia di rivelare l’inefficacia di questa oppposizione. Che ne pensi?
Ho letto... Penso soprattutto una cosa: credo che le manifestazioni, i cortei siano importantissimi. Anche quelli che magari servono solo a scaldare i cuori. Sono importanti anche quelli. Ma mai risolutivi. Sono un evento, se si è in tanti è meglio. Ma poi i cortei finiscono e c’è il giorno dopo. E non si sfugge al problema: un corteo non risolve nulla se non c’è un progetto. Un progetto politico.

Progetto che, naturalmente, non c’è.
Vedo i tentativi che si fanno per definirlo, vedo i passi in avanti che non sottovaluto ma ancora non siamo approdati. Siamo lontani, insomma. E stando così le cose, la strada è chiusa per tutti.

Per tutti chi?
Sto parlando di quel campo che è azzardato definire oggi di centrosinistra. Piuttosto lo chiamerei antiberlusconiano e a-berlusconiano. E in questo campo tutti mi sembrano in un vicolo cieco. Perché c’è un piddì che galleggia sul trenta per cento e che - come dice oggi anche D’Alema, ripetendo una cosa che avevo già sostenuto tempo fa... ma non ha molto senso rivendicare primogeniture davanti a questi drammi...

Perché, cosa sostiene oggi D’Alema?
Che il piddì è passato da quella che chiamavano ”vocazione maggioritaria“ ad una situazione di strutturale minoranza. Un’aspirazione a rimanere minoranza. Con una continua emorragia verso l’altro partito personale della politica italiana, l’Italia dei Valori. E naturalmente, con una sinistra che - lo sanno tutti - è restata fuori dal Parlamento. E che oggi appare come una micronesia di forze, divise, frammentate. Che potranno offrire una testimonianza, ma così non c’è partita.

Però, non si può far finta di nulla: la partita l’hanno chiusa soprattutto gli elettori. Non è così?
Non credo di dire nulla di originale se ti rispondo che gli elettori non si sono fidati di un miniprogetto partorito in qualche mese, vissuto soprattutto fra stati maggiori. E che già all’epoca faceva capire che si sarebbe dissolto. La Sinistra arcobaleno, insomma, ha chiesto un voto per la sopravvivenza. Anche lì, senza un progetto. E la gente non dà mai una cambiale in bianco. Ma tutto questo l’abbiamo analizzato, capito, su questo abbiamo riflettuto. Ma oggi intanto...

Già, intanto cosa accade?
Che è finita quell’orribile manfrina: dialogo sì, dialogo no. Ed è venuta fuori la destra, il pugno di ferro della destra. Che sta modellando un paese esattamente come vuole lei. Senza incontrare una efficace, vera resistenza. Questo è il problema. Se fossi un esperto militare direi che le truppe nemiche stanno dilagando nella pianura, hanno rotto tutti gli argini.

Ma forse gli argini non li hanno superati col voto di aprile. Forse la destra ha vinto tanto tempo fa, quando le sue politiche, le sue scelte sono entrate dappertutto.
In qualche modo hai ragione. Anch’io sono convinto che le ragioni della drammatica sconfitta di aprile siano da ricercare in una lunga storia. In cui la parte maggioritaria della sinistra ha perseguito un’idea di modernizzazione che l’ha portata a spostarsi progressivamente a destra. Ma dall’altra parte, fammelo dire anche se so che susciterà polemiche fra i tuoi lettori...

Nessun problema, di che si tratta?
Credo che qualche responsabilità l’abbia anche una sinistra che è rimasta ancorata a puri principi identitari tradizionali.  Questi due movimenti contrapposti hanno prodotto il deserto.

E adesso?
C’è un’ultima chance per ricominciare. Ma dobbiamo farlo ora, adesso. Tenendo presente però che abbiamo un doppio problema, che non può essere separato. Nè affrontato uno alla volta.

Qual è questo doppio problema?
Sto parlando della sinistra e del centrosinistra. Due questioni che si tengono. Sto parlando in sostanza del tema del governo.

Non è per sminuire il senso delle tue affermazioni ma ti sembra un tema di attualità?
Non c’entra nulla. Non credo che il tema vada posto quando ci sia la possibilità di andare al governo. E’ un argomento che però la sinistra deve porsi. Poi, può essere delegata dagli elettori a governare, scegliere se collocarsi in un’alleanza, se rinunciarci, può decidere dove stare, ma deve porselo. Ti faccio un esempio, così ci capiamo. Nel ’56, il Pci non aveva la minima possibilità di governare. Le elezioni le vinceva la Dc, c’era una situazione internazionale che non rendeva possibile l’alternanza. Eppure, anche in quella situazione, il Pci proponeva un progetto politico, faceva una proposta di governo: si chiamava esecutivo per la pace. Insomma, io non credo che la politica sia solo potere. E’ passione, valori, ideali. Ma esiste una questione che riguarda il potere, ignorarla non serve.

Resta la domanda: e ora che si fa?
La sinistra ha un compito immediato. Quello di ricostruire un popolo, una coscienza, una visione, una cultura politica. Costruire un nuovo blocco sociale, che sappia immaginare alleanze.

Continui a parlare di sinistra. Ma te come la immagini?
A me piace parlare in modo diretto: io immagino un partito. L’alternativa quale sarebbe? La micronesia di cui ti parlavo. Servirebbe a qualcuno? A qualcosa? Ma ci rendiamo conto con che cosa abbiamo a che fare?

Con cosa?
vedo che nel nostro paese parliamo di tutto meno di quel che accade nel mondo. Ma ci rendiamo conto che c’è il gigante Usa che ha nazionalizzato il debito delle più grandi banche d’affari? Ci sono osservatori che hanno scomodato Keynes per l’occasione. Ma ad una cosa così Keynes non aveva mai pensato. Aveva pensato ad interventi sulla domanda aggregata, aveva immaginato lavori per far crescere la domanda. Ma mai ad un intervento come quello deciso dal governo Usa. Il tutto dopo anni in cui ci hanno spiegato e insegnato che doveva essere il mercato a dettare le regole. Noi, la sinistra, sapevamo che il puro mercato era un’idea immaginaria. Evocarla significava solo adattarsi ai rapporti di forza economici, sociali, adattarsi alla legge del più forte. Sono anni, da Seattle, che la sinistra elabora progetti nuovi per contrastare la ”bestia feroce” - per citare Spiegel - del capitalismo finanziario. E quando si arriva al dunque che accade? Che la sinistra non c’è. Sono anni che la sinistra si affanna a riflettere su come governare la complessità. E poi che accade? Che arriva la destra e offre la risposta più semplice. E noi, a guardare.

Ma insomma cosa proponi?
Te l’ho detto e lo ripeto. Un nuovo partito, una nuova sinistra. Naturalmente anch’io penso ai movimenti, ai movimenti sociali. Che sono in una fase di riflusso ma non mi preoccupo. So che torneranno. Ma ha poco senso credo indicare l’obiettivo del semplice ritorno al sociale...

Come fa Ferrero. Ce l’hai con lui?
Sto discutendo, non faccio polemiche. Ma anche qui, nel sociale occorre tornare non a fare propaganda, non testimonianza. Ma a dire: badate, stiamo lavorando a trasformare la vostra  condizione con un progetto politico che ha l’ambizione di diventare maggioranza. Non lo sarà oggi, ma io voglio diventare maggioranza. E a scanso di equivoci ti dico che quando parlavo di alleanza non mi riferivo all’attuale fase, all’attuale piddì. Oggi vedo  una fase di conflitto coi democratici. Ma non dobbiamo smarrire l’obiettivo di cambiare la loro linea, di costringerli a fare i conti con i bisogni di chi vogliamo rappresentare.

E tutto questo lo può fare un partito?
Lo deve fare un partito. Che avrà un compito immane. Non deve rinunciare alle culture di provenienza, libertaria, socialista, comunista. Ma deve essere in grado di costruire una sinistra che sfida i meccanismi che regolano il mondo. L’alternativa, ti ripeto, è coltivarsi il proprio orticello. Ma di sinistra in Italia non se ne parlerà più per un pezzo. E’ una prospettiva che a me fa paura, vale la pena provarci.


da sinistra-democratica.it


Titolo: Simone Collini. Prc, Vendola annuncia un «tesseramento allargato»
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2008, 04:41:56 pm
Prc, Vendola annuncia un «tesseramento allargato»


Simone Collini


Figurarsi se pronuncia la parola «scissione», o se anche dà soltanto ad intenderla in modo esplicito. Il tempo gioca a suo favore, e poi bisogna aspettare le europee prima di compiere qualsiasi passo avventato. Però tassello dopo tassello, Nichi Vendola sta preparando il terreno per un’operazione che va ben al di là dei confini di Rifondazione comunista. La settimana scorsa il governatore della Puglia, battuto da Paolo Ferrero al congresso di luglio, si è incontrato a Roma con esponenti di Sinistra democratica, della Cgil, dei Verdi, della minoranza del Pdci. Oggetto della discussione: come rilanciare il processo della costituente di sinistra.

Ieri c’è stato il passo successivo: al parco Brin del quartiere romano della Garbatella, Vendola non solo ha tenuto a battesimo “Rifondazione per la sinistra”, l’area interna al Prc che riunisce quel 47% del partito uscito sconfitto a Chianciano, ma ha anche annunciato l’avvio di un tesseramento rivolto «all’interno ma anche all’esterno di Rifondazione comunista». Parole dette davanti a un migliaio di persone, una platea che ha applaudito con forza tutti gli interventi che più hanno spinto in direzione di un nuovo soggetto di sinistra, come quello del coordinatore di Sd Claudio Fava: «Non ha senso perdersi in discussioni se debba venire prima il contenuto o il contenitore del nuovo soggetto. Il contenuto siamo noi, sono anni e anni di lotte a sinistra. Ora dobbiamo fare presto e bene».

Vendola non ha spinto allo stesso modo sull’acceleratore, anche perché veniva da una giornata di riunioni con i coordinatori dell’area, divisi tra quanti vorrebbero rompere subito con la maggioranza e altri che invece consigliano maggiore prudenza. Però in un’ora e mezza di intervento ha sparato contro la maggioranza del suo «piccolo partito» e ha dato il via all’operazione di unità a sinistra: «Basta con gli annunci, dobbiamo aprire qui e ora i cantieri della nuova sinistra, dobbiamo far partire il processo costituente». Passaggio molto applaudito, così come quello sull’avvio del tesseramento e quelli in cui il governatore pugliese ha criticato la linea politica della maggioranza del Prc, «inefficace», «di nicchia», «di pura testimonianza», fino all’affondo finale: «Non ci si può rinchiudere in un fortino identitario unendo i frammenti e le scorie di tutti i tipi di comunismo».

Il riferimento è, tra le altre cose, all’ipotesi che la maggioranza del partito, di cui fanno parte anche la componente trotzkista e quella che è andata al congresso chiedendo l’unità dei comunisti, proponga di presentarsi alle europee con una lista in cui convivano i simboli del Prc e del Pdci. Molto dipenderà dalla soglia di sbarramento. Secondo i calcoli che vengono fatti in via del Policlinico (con sfumature diverse tra il secondo piano, dove stanno i vendoliani, e il terzo, dove si sono sistemati quelli della maggioranza) se venisse accolta la proposta del Pd di fissarla al 3%, il Prc andrebbe da solo; col 5% richiesto dal Pdl sarebbe necessario unire quante più forze possibili, come vorrebbe Vendola; ma col 4% potrebbero spuntarla i sostenitori della lista Prc-Pdci. Vendola e i suoi aspettano di conoscere la nuova legge elettorale e la proposta di Ferrero su come andare al voto. E intanto si preparano, chiedendo una «consultazione orizzontale democratica con i territori» per la composizione delle liste nel caso in cui venissero abolite le preferenze e dando subito ulteriore sostanza alla costituente di sinistra: prima della manifestazione dell’11 ottobre, insieme a Sd, Verdi, minoranza Pdci e agli altri, verrà stilato un documento fondativo e verranno nominati i coordinatori di questa operazione.


Pubblicato il: 28.09.08
Modificato il: 28.09.08 alle ore 14.50   
© l'Unità.


Titolo: Una mattina particolare. Un modo diverso di fare politica, di essere sinistra
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2008, 11:34:56 am
Lun, 29/09/2008 - 06:58

Sinistra Democratica a Castelvolturno

Una mattina particolare. Un modo diverso di fare politica, di essere sinistra

di Arturo Scotto*,Tonino Scala**


Arrivo alle 9.30 stazione di Napoli. Dall’altra parte della piazza c’è il concentramento della manifestazione della CGIL. Una marea di bandiere, il solito camioncino colorato e rumoroso dell’UDS, l’incontro con i nostri compagni del sindacato. Una marea di lavoratori, la sveglia ad un’opposizione politica che non funziona, una domanda di unita’ che un popolo smarrito, ferito, scaraventato nell’angolo del minoritarismo fa salire in questa piazza.

Il corteo è grande, lungo, colorato, incrocia diverse vertenze: da Pomigliano all’Atitech, dagli insegnanti precari della scuola ai migranti che portano la voce di Pianura, Ponticelli, Castelvolturno. Le viscere dell’inferno che si materializzano in racconto collettivo di una lotta per la dignità, i dannati della terra che chiedono non solo diritti, ma cittadinanza, protagonismo, verità. Incontriamo tanti compagni e lavoratori: molti fermano Claudio, chiedendogli di andare avanti nel processo di unificazione della sinistra.

Non è solo un richiamo, ma anche un ringraziamento: quello di esserci ancora, anche dopo lo sconquasso di Aprile; non una semplice cellula di resistenti, ma la scintilla di un nuovo inizio. Lasciamo la manifestazione e ci avviamo a Castelvolturno. Attraversiamo la tangenziale, sfioriamo la bellezza nervosa della costa flegrea ed intravediamo gli allevamenti di bufale del casertano. Castelvolturno è davvero molto estesa, un territorio sterminato, dove la pineta mediterranea che si spinge fino al Circeo, separa plasticamente il mare dalla campagna. Due risorse straordinarie, deturpate da anni di malgoverno, di crescita a dismisura dell’abusivismo e di stupro dei terreni agricoli, trasformati in discariche infinite di rifiuti tossici illegali, di dominio anche fisico della camorra dei casalesi. Qui si è consumato uno dei grandi scempi della speculazione edilizia degli anni settanta: Villaggio coppola, una serie di grattacieli costruiti sul demanio che hanno distrutto la pineta e mangiato la spiaggia fino ad ingoiare il mare. Arriviamo nella Piazza del municipio.

Li’ ci aspettano alcuni compagni, il sindaco Nuzzo e Rosalba Scafuro, assessore di Sd all’immigrazione e le politiche sociali. Con noi c’è anche Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe dei primi anni novanta, animatore del centro don Peppino Diana, un prete che nel 94 fu barbaramente ammazzato su mandato di Sandokan perché  non temeva dal suo pulpito domenicale di fare i nomi e i cognomi dei veri padrini del territorio. Renato non fa più politica attiva, non è iscritto a nessun partito, fa politica in altro modo, raduna giovani, li sottrae alla fascinazione camorristica, li collega alle altre mille reti di Libera. Ma anche Renato ci chiede: che facciamo? Quando nasce una sinistra degna di questo nome, che riaccenda lo spirito pubblico, che rimotivi quelli che in questi anni hanno scelto il disimpegno?

Col sindaco Nuzzo ci intratteniamo una buona mezz’ora: il tempo sufficiente per raccogliere un grido di dolore che proviene da un uomo delle istituzioni, un magistrato che ha dedicato la vita alla difesa dello stato di diritto e che a sessant’anni si ritrova in trincea e con i riflettori puntati addosso.

Dice che anche il governo Prodi ha sottovalutato ampiamente l’emergenza camorristica che sul territorio andava assumendo contorni terroristici. E racconta di essere stato costretto ad affrontare  da solo la folla inferocita di ghanesi e nigeriani che all’indomani della strage di Lago patria aveva deciso di esternare la propria rabbia e la propria disperazione marciando lungo la domiziana e mettendo in poche ore a soqquadro la città. Ha costruito mediazioni, ha ritessuto i fili di un dialogo difficile che non puo’ essere relegato nella mera dimensione dell’ordine pubblico. Nuzzo non vuole – e dichiara di utilizzare in questi giorni i mezzi di informazione anche per questo – che improvvisamente cali il sipario sulla potenza di fuoco dei casalesi per spostare l’attenzione sugli immigrati. Problemi ce ne sono, soprattutto con alcune mafie extracomunitarie che si alimentano con lo spaccio e la prostituzione, ma i migranti oggi possono essere anche un argine significativo contro la camorra e la manifestazione dell’altro giorno dimostra esattamente questo.

Di fronte ad una società civile addormentata, timorosa o collusa, per la prima volta emerge direttamente da coloro che sono percepiti e considerati gli ultimi una capacità di resistenza, una domanda di giustizia e di sicurezza. Lasciamo il Municipio, con l’impegno di tornare entro un mese, per una grande iniziativa contro la mafia. Arriviamo al centro Fernandes della caritas, un centro d’accoglienza e di mediazione culturale di Castel Volturno, nell’immediata periferia del centro storico. Qui operano diversi volontari e uomini di chiesa, che assistono, nutrono e aiutano ad inserire decine e decine di persone.

Ci sono camere da letto, sale di lettura, una mensa molto grande. Ci introduce Jean Renee’ Bilongo, compagno di Sd ed esponente di punta della comunità camerunese, che ci presenta il dirigenti del centro e alcuni ragazzi che vivono li’. Facciamo una bella assemblea in sala mensa. Una discussione vera, sui problemi, sulla paura che vive addosso a decine di giovani migranti che qui sono concepiti come semplice manovalanza, vittime di un nuovo caporalato che comincia a massacrarti la schiena alle sei di mattina ed in cambio alla fine del turno di lavoro ti abbandona su una terra dove rischi di beccarti qualche pallottola anche se non c’entri nulla. La paura ed il disorientamento, il razzismo e la voglia di riscattarsi. Di dare un senso ad un’esistenza piegata da un paese da cui ci si aspettava qualcosa in più che un semplice permesso di soggiorno.

Con loro parliamo della difficoltà di far decollare progetti di inserimento concreto dentro un mercato del lavoro regolare, dello sforzo degli operatori Caritas a trovare aperte le porte delle istituzioni, da cui al momento arrivano solo sostegni verbali. Con Tonino Scala, capogruppo Sd alla regione, ci impegniamo a presentare un emendamento in finanziaria regionale che sostenga questo centro d’accoglienza ed altri laici e cattolici che operano sulla zona. Alla fine della riunione, tante sono le parole di riconoscimento di una presenza e di una solidarietà, ma è anche forte l’appello degli operatori a non rendere episodico un appuntamento come questo.

L’impegno è portare Sd qui, a Castel Volturno, entro un mese per una grande mobilitazione nazionale che metta insieme esperienze concrete di lotta e volontariato, che incroci i migranti e i cattolici impegnati nel sociale, le associazioni e quel che resta della sinistra politica: fare di questo angolo di mezzogiorno il paradigma di un nuovo impegno, la cifra di un tentativo di riscatto che si nutre di presidi politici e non di presidi militari, di contenuti educativi ed inclusivi e non di una risposta asimmetrica alla strategia del terrore dei casalesi.

*del Coordinamento nazionale di Sd
**Capogruppo Sd alla Regione Campania

da sinistra-democratica.it


Titolo: Riflessioni dopo la riunione del 20 settembre
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2008, 11:50:25 pm
di Grazia Paoletti, Simona Zoccola*



Riflessioni dopo la riunione del 20 settembre
 

Finalmente il 20 settembre si è prodotta un'accelerazione del processo di ricostruzione della Sinistra evocato dall'assemblea al Palaeur del 5 maggio 2007. Questa accelerazione risponde alle aspettative di quel “popolo della sinistra” che si mostrò numeroso, entusiasta e disponibile all'obbiettivo di dar vita ad una Sinistra unita in Italia che mettesse insieme persone provenienti da esperienze politiche diverse. Molti degli intervenuti alla riunione hanno espresso con chiarezza l'indispensabilità di portare a buon fine l'obbiettivo della “Sinitra Unita”.
Tuttavia a leggere i commenti in alcuni blog relativi alla riunione del 20 sett. dispiace e sconcerta che appaiano ancora delle chiusure e preclusioni, segno non soltanto di immaturità (o infantilsmo politico), ma anche di colpevole sottovalutazione della gravità del momento.
Eppure le indicazioni sono state chiare: iniziamo a costruire un soggetto politico di Sinistra, che faccia sintesi tra uguaglianza e libertà, che abbia capacità di analisi, che sia in grado di elaborare un progetto di società e che si doti di strumenti per essere forza di governo e perciò in grado di recuperare il consenso elettorale perduto negli ultimi anni, e sia capace di costruire coerenti alleanze con le altre forze del centrosinistra, non semplicemente per governare il sistema, ma per cambiarlo.
Non bisogna dare l’impressione di voler fare emergere un pensiero al posto di un altro, ma sentiamo l’urgenza di ridare voce al popolo della sinistra, per riaffermarne i valori,  per costruire nell’interesse del paese e di tutte le donne e gli uomini, a cominciare dai lavoratori e dai soggetti più deboli o in difficoltà, considerati niente più che una merce o un ingombro nel capitalismo globalizzato, una nuova Sinistra democratica e riformista, alternativa e di governo, con la volontà  di cambiare il sistema secondo i nostri valori.  Fare politica per noi implica mirare al potere, correttamente, senza scendere ad inaccettabili compromessi, per operare nell’ interesse del paese, dei soggetti e delle classi sociali che a noi fanno riferimento. Per mutare il sistema bisogna necessariamente essere al potere, riportando a livelli alti la politica, non impantanandosi nella partitocrazia.
Dunque è necessario ripensare insieme a un modello di società, promuovendo un processo politico ed anche culturale, costruendo un percorso per ricominciare a parlare con la gente motivandola a partecipare, a trovare insieme le soluzioni per migliorare la nostra società.
 Bisogna anche ripensare  a un confronto e a una coalizione forte con il centrosinistra. Le elezione europee sono una tappa importante e la nostra presenza per tale scadenza è auspicabile, perché se perdiamo questo appuntamento stiamo per lungo tempo fuori giuoco.
E' chiaro che a questo scopo sono necessarie una organizzazione ed una struttura,  altrimenti la costruzione manca delle fondamenta per stare in piedi e funzionare.
Si è parlato di una struttura a rete, valida per la partecipazione diffusa e per collegarci fra di noi e sul territorio, ma non sufficiente di per sé a raggiungere e implicare tutto il popolo della sinistra: questo richiede di  coinvolgerlo nelle proposte di soluzione, richiede democrazia interna, capacità di relazione, di ascolto, di dialogo, e radicamento sul territorio. Queste, oltre la capacità politica, dovrebbero essere le doti dei dirigenti, non  la fedeltà di parte né l'obbedienza acritica come talvolta è avvenuto. La partecipazione non ha niente a che fare con il populismo, tanto meno con il plebiscitarismo; si tratta di convincere e non di vincere, ed in questo processo tutti gli interlocutori danno e ricevono qualcosa, ed alla fine sono diversi, hanno qualcosa in più.
Tutto questo evoca uno degli strumenti di analisi e conoscenza della realtà tradizionali della Sinistra, l’inchiesta, molto diffusa e praticata sul campo in un passato non molto remoto e che si è sempre rivelato una strumento efficace di coinvolgimento, di partecipazione e  di discussione, che oggi è praticamente scomparso, sostituito dai sondaggi, estremamente distorcenti della realtà.
Oggi il nostro obbiettivo comune è la Costituente della Sinistra, da perseguire con urgenza, peraltro evitando gli obbiettivi intermedi politicisti che hanno distrutto la Sinistra arcobaleno, come ad esempio la formazione di liste prima di essere davvero UN soggetto politico. La sommatoria non funziona mai politicamente, e costruire un soggetto unico non è una passeggiata, ma è l’unica possibilità di avere nel paese una Sinistra non autoreferenziale e con lo sguardo rivolto all'indietro. In un’ottica lunga sosteniamo che c'è bisogno di un Partito che si faccia carico dei problemi della realtà di oggi, di questo capitalismo globalizzato, diverso e peggiore rispetto a quello che abbiamo conosciuto nel dopoguerra, e che miri a cambiare il sistema.

*Associazione Luigi Longo


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Titolo: Achille Occhetto. Manifesto per un nuovo patto sociale
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2008, 10:37:25 pm
Manifesto per un nuovo patto sociale

Achille Occhetto


Uno degli organi vitali del capitalismo - la finanza - è stato aggredito da un male terribile che rischia di estendersi a tutto il sistema, di passare dalla crisi creditizia e bancaria a quella dell’economia reale.

In questa situazione indubbiamente rischiosa per tutte le classi sociali si è posto il problema della più vasta solidarietà possibile per andare in soccorso del sistema bancario. Non c’è dubbio che la minaccia del crollo dei fondi pensione, dell’insolvenza delle banche e della bancarotta delle assicurazioni colpisce la sicurezza e l’avvenire di tutti i cittadini. In questo frangente drammatico si rendeva e si rende pertanto necessario uno sforzo comune per fronteggiare la crisi. Ma tale sforzo non poteva e non può prescindere da una precisa constatazione. Di fronte a questa crisi non siamo tutti uguali: ci sono i colpevoli e ci sono le vittime. Per questo anche nell’opera di soccorso occorre distinguere tra intervento immediato per rianimare il sistema bancario e sostegno al vecchio modello di sviluppo. Nelle grandi crisi epocali la diversità degli interessi e il conflitto sociale non scompaiono, anzi si acuiscono e si manifestano in forme diverse dal passato. Per questo la sinistra non può dividersi tra solidarietà unanimista e protesta corporativa. Occorre lanciare un Manifesto di comportamento che tracci a grandi linee il rapporto che ci deve essere tra la sinistra - e più in generale il centro sinistra - e la crisi.

Ecco quelli che potrebbero essere alcuni capisaldi di tale manifesto:

1 Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità nazionali e internazionali per fronteggiare nel modo più rapido ed efficace possibile l’emergenza ma attraverso una netta distinzione tra il salvataggio immediato del sistema bancario, la rimozione delle cause della bolla finanziaria e immobiliare, la rianimazione del mercato dei prestiti interbancari, da un lato, e il salvataggio dei banchieri e dei leaders politici che hanno creato la crisi, dall’altro.

2 Operiamo una netta distinzione tra salvataggio del sistema finanziario e rilancio del vecchio modello di sviluppo. Lo stesso salvataggio del sistema finanziario non deve essere funzionale alla ripresa del modello di sviluppo neoliberista. Nel momento più acuto della crisi i santoni del neoliberismo hanno riscoperto il valore della mano pubblica, dalle forme più indirette come quelle che vanno da vaste iniezioni di denaro statale alla compartecipazione negli istituti di credito privati, fino a giungere alle decisioni, assunte dal santuario del neoliberismo, di vere e proprie nazionalizzazioni. Dopo essere stati costretti per un decennio a mangiare la polvere, trascinati dietro al carro del vincitore neoliberista, siamo arrivati a un mutamento di clima solo alcune settimane fa inimmaginabile! Non possiamo tuttavia accettare che i soldi dei cittadini servano soltanto a ridare fiato ai vari responsabili della crisi.

3 Occorre avere ben presente che si rischia che gli stessi interventi pubblici siano una forma rovesciata di privatizzazione, qualora, come sta avvenendo, si risolvano esclusivamente in una sorta di salvataggio, con i soldi dei cittadini, che finirebbe per rafforzare il circolo vizioso del reciproco rapporto di dipendenza tra classe politica e i sedicenti capitani coraggiosi della speculazione finanziaria. Così, dopo avere dissanguato le casse dello Stato - che dovranno essere rimpinguate dalle tasse e dai tagli della spesa pubblica - gli stessi cittadini si troveranno di fronte allo spettro della disoccupazione e della recessione.

4 Lo stesso intervento dello Stato non è neutro: occorre mettere in campo un sistema pubblico diverso per il modo di operare e per le finalità produttive e sociali che lo devono contraddistinguere. Non vogliamo il ritorno dei boiardi di Stato! Chiediamo pertanto che la compartecipazione dello stato nelle banche private sia accompagnata da una compartecipazione democratica dei cittadini da realizzarsi attraverso forme efficaci di nuova democrazia economica. Deve riemergere, al di sopra del mercato, il tema ineludibile delle regole. Ciò comporta il rafforzamento dei controlli pubblici e la discussione democratica degli orientamenti di spesa e di investimento. Questa è la prima condizione per realizzare un effettivo passaggio dalla finanziarizzazione selvaggia di questi anni alla centralità del lavoro produttivo.

5 Riteniamo che la ripresa dei flussi finanziari e il mercato dei prestiti bancari - il cosiddetto money market - debbano essere messi al servizio di nuovi modi di consumare e di produrre che abbiano al proprio centro l’economia del sole e dell’aria al posto di quella del petrolio, del carbone e del nucleare. Ciò comporta un deciso spostamento delle risorse finanziarie dalle politiche riarmiste a quelle dell’intervento per la salvezza del pianeta.

6 Affermiamo la necessità che la compartecipazione del pubblico da mero salvataggio transitorio dei vecchi poteri forti si trasformi in un nuovo patto sociale che comporti una diversa distribuzione del reddito e del potere tra capitale e lavoro e sposti il baricentro a favore delle classi e dei paesi meno abbienti.

Si tratta come si vede solo di alcune direttici molto generali che tuttavia, a mio avviso, potrebbero essere messe alla base di un lavoro ben più ponderoso di discussione e elaborazione di concreti progetti alternativi rispetto al fallimentare pensiero unico globale del monetarismo neoliberista, messo in ginocchio dalla più grave crisi del capitalismo dal 1929.

Pubblicato il: 18.10.08
Modificato il: 18.10.08 alle ore 13.47   
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Titolo: Luigi Manconi Valori e identità, la sinistra guardi lontano
Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2008, 10:59:34 pm
Valori e identità, la sinistra guardi lontano


Luigi Manconi


Con la sgradevolezza e la trasandatezza un po' snob di chi "poche palle, vi dico io come stanno davvero le cose", Luca Ricolfi (sul Corriere della Sera) contesta quanto da me scritto sull'Unità di lunedì scorso. L'argomento è quella affermazione di Walter Veltroni ("l'Italia è migliore della destra che la governa") che ha già suscitato qualche scandalo.

La polemica affronta malamente due questioni che sono, invece, cruciali. Ovvero: la politica richiede una "concezione del mondo"? E poi: che cosa qualifica la "concezione del mondo" della sinistra? Per quanto riguarda la prima domanda la risposta è ovvia: una delle ragioni della sconfitta della sinistra è stata proprio quella di aver attribuito agli avversari un'idea tutta pragmatica e angusta dell'azione politica.

I partiti del PdL sono stati presentati, in definitiva, come "comitati d'affari" destinati a gestire gli interessi materiali (proposti nella versione più gretta) di ceti e lobbies, interamente concentrati sul "particulare". Insomma, partite IVA e manager, piccoli imprenditori e grande borghesia degli affari, tutti rigorosamente "senz'anima", interessati ad una politica votata solo alla tutela della "roba" (il proprio benessere economico). Questa rappresentazione caricaturale dell'elettorato di centrodestra, oltre che falsa sotto il profilo socio-culturale, è risultata disastrosa sotto quello politico-elettorale.

La destra è dotata di una sua concezione del mondo, che è poi nient'altro che la sintesi tra interpretazione della realtà e valori che orientano le scelte individuali e collettive. Insomma, un'efficace difesa degli interessi materiali richiede un quadro di riferimento, costituito da un sentimento condiviso e da una comune interpretazione della società. Dei suoi problemi e delle strategie per risolverli. Quel sentimento e quell'interpretazione possono apparirci abietti, o semplicemente non condivisibili, ma formano una concezione del mondo.

Ad essa nemmeno la politica più pragmatica può rinunciare, pena l'inefficacia. A sua volta, la sinistra ha bisogno come il pane di ricomporre una propria concezione del mondo: che pure, smozzicata e frantumata, sopravvive. E che può essere ricostruita, nella speranza che sia "migliore" (più lungimirante) di quella dell'avversario. D'altra parte, l'identità della sinistra può aggregarsi solo a partire dalla capacità di guardare lontano (almeno un po') nello spazio e nel tempo. Nello spazio: ed ecco la questione dell'immigrazione.

Nel tempo: ed ecco la tematica ambientale che ci impone di pensare, oltre la congiuntura presente, ai nostri figli e alle generazioni future.

Pubblicato il: 29.10.08
Modificato il: 28.10.08 alle ore 21.22   
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Titolo: La Sinistra riparte da nuove alleanze. E da Marx
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2008, 12:23:51 am
La Sinistra riparte da nuove alleanze. E da Marx


Silvia Garambois


La sinistra è ricomparsa sulla scena politica. Fermento di discussioni dentro vecchi partiti, nuove alleanze e soprattutto il ritorno alla ricerca e all'analisi politica. Così, mentre venerdì Nichi Vendola (Prc), Claudio Fava (Sinistra democratica), Umberto Guidoni (Pdci) e Paolo Cento (Verdi), hanno proposto un "soggetto politico nuovo" in vista delle elezioni europee (è nata l'associazione "La Sinistra"), sabato alla Fondazione Basso una "vecchia" associazione ("Socialismo 2000") ha invece riunito esponenti del centro-sinistra (Giorgio Tonini per il Pd, Ugo Intini per il Partito socialista, Marco Cappato per i radicali, Giovanni Russo Spena e Alfonso Gianni per Rifondazione comunista, Marco Fumagalli per Sinistra democratica), con un progetto ambizioso: quello di "ricostruire il nuovo socialismo".

"La Sinistra" si è presentata con un documento fondativo sotto il quale ci sono un centinaio di firme di esponenti politici ma anche del mondo dell'associazionismo (tra le altre quelle di Alberto Asor Rosa, Giovanni Berlinguer, Carlo Flamigni e Margherita Hack), e un progetto di collocazione politica («Il Pd è il nostro interlocutore principale e il nostro alleato naturale - ha spiegato tra l'altro Fava -, a partire dalla situazione in Abruzzo»).

"Socialismo 2000" ha risposto invece oggi con un documento tutto di analisi socio-politica, dedicato a "Crisi del capitalismo e attualità del socialismo", proposto da Cesare Salvi e da Giuseppe Tamburano, sotto al quale compaiono altre decine di firme di esponenti del centro-sinistra e del mondo della cultura (tra le quali Alfiero Grandi, Gianfranco Pasquino, Luciano Pellicani, Giovanni Pieraccini, Giorgio Benvenuto, Vincenzo Vita, Massimo Salvadori, Nicola Tranfaglia).

E la sala delle conferenze della Fondazione Basso non bastava a contenere un pubblico che voleva tornare a ragionare di politica-politica: a partire dal declino del "mercatismo liberista e della globalizzazione americana", analizzato nel documento d'apertura; alla "portata epocale della crisi del capitalismo, che non è da meno della caduta del Muro di Berlino", richiamata da Benvenuto; alla straordinarietà del fenomeno-Obama ("e guai se la sinistra italiana non riesce a stare almeno al passo" di questi grandi mutamenti) ricodato da Vita; ai problemi dei migranti e dei "negrieri di massa" e alla "crisi del movimento operaio" speculare a quella del capitalismo, di cui ha parlato Russo Spena.

È la sinistra che non piace a Berlusconi: che non si ferma agli slogan e non ha paura di fare i conti, oggi, con la "post-modernità", di proporre una nuova analisi sociale "da sinistra" da cui ripartire con l'azione politica. Di più: una sinistra che non ha paura neppure di citare Marx, il cui nome oggi è tornato ad echeggiare in sala.


Pubblicato il: 08.11.08
Modificato il: 08.11.08 alle ore 21.52   
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Titolo: Liberazione scarica Santoro: «È antisatira, come Bondi»
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2008, 05:52:24 pm
A sinistra

Liberazione scarica Santoro: «È antisatira, come Bondi»

Sansonetti attacca il conduttore «amico»: clamoroso scivolone.

Ferrero: «Equivalenza impossibile»
 
 
ROMA — Ormai sono una cosa sola, una specie di censore bifronte, mezzo Sandro Bondi, mezzo Michele Santoro. Il ministro che inveisce contro il «ributtante» Glob e il giornalista rosicone che mal sopporta la sua imitazione su Rds, il primo che scrive a Petruccioli, il secondo che fa scrivere dagli avvocati, due estremi che si sono incontrati, praticamente la stessa persona. Così almeno li vedeLiberazione che alla rara mutazione politica ieri ha dedicato un commento da prima pagina.

«La gestione del dissenso sembra la stessa, destra e sinistra si specchiano nella loro permalosa identità di vedute, nelle ipocrisie, nelle tentazioni liberticide. Ai Cesaroni direbbero... che amarezza». Piero Sansonetti, direttore del quotidiano di Rifondazione, propende per «uno scivolone» santoriano: «Dai, in questo caso non c'è molto dubbio, è abbastanza clamoroso. Bondi lo sappiamo che manca di spirito. Ma uno come Michele, che si batte per la massima libertà e ora vuole impedire ad altri di scherzare, è incomprensibile.

Oltretutto Joe Violanti mi pare spiritosissimo. Interferisce col suo lavoro? Perché il corsivaccio di Travaglio non crea problemi ad altra gente? Eppure, giustamente, va». Dissente il segretario del Prc Paolo Ferrero, ormai quasi sempre in rotta con Liberazione: «Che vuole, mi criticano ogni giorno. L'equivalenza tra Bondi e Santoro è tirata per i capelli, benché entrambi in torto.

Mi preoccupa di più vedere che maggioranza e opposizione la pensano uguale su crisi economica e Alitalia». Smonta il teorema Giovanni Russo Spena: «È un paradosso. Bondi rappresenta la gestione autoritaria del governo, che non ammette critiche. Santoro è colpevole di uno scivolamento, di una bizza, ha sbagliato ad offendersi, ma non esercita il potere, dunque i due sono incommensurabili». Scettica Rina Gagliardi: «Bah, sono esagerati, anche se non ho apprezzato lo scatto di Santoro. Però c'è una differenza di ruolo. Lui è un conduttore che fa le sue cose, l'altro è un ministro.

Può essere che un tratto liberticida, l'insofferenza tipica della destra, si ritrovi pure a sinistra, ma è sbagliato dire che tutto è uguale, non è mai così. Santoro ha fatto la figura del permaloso, di uno privo di spirito. Il migliore, almeno in questo, resta Andreotti: mai una querela, insuperato».

Giovanni Cavalli
12 novembre 2008

da corriere.it


Titolo: La sinistra c’è, manca solo il partito
Inserito da: Admin - Novembre 25, 2008, 11:51:44 pm
Ven, 14/11/2008 - 12:34

Documento del tavolo della Costituente della Sinistra



La sinistra c’è, manca solo il partito

La sala gremita l’ha detto senza parlare: il popolo della Sinistra c’è e ha voglia di un soggetto politico che lo rappresenti, ma oggi non domani. E’ questo il segnale più chiaro che traspare all’assemblea pubblica del 22 novembre promossa dal gruppo della costituente della Sinistra genovese, nei locali del Cral autorità portuale: basta con i tentennamenti, facciamo presto e costruiamo un partito di Sinistra completamente nuovo, senza i verticismi del passato, partecipato e plurale, che sa dare le risposte adeguate alla società d’oggi, senza riesumare paradigmi obsoleti o chiudersi in vecchi recinti.
 In sala tanti volti noti della politica genovese, fra i quali l’assessore comunale Bruno Pastorino, i consiglieri Arcadio Nacini e Bruno Delpino, il segretario provinciale del PD Victor Rasetto.
   L’incontro si è articolato con una serie d’interventi qualificati, per tentare di rappresentare una parte delle richieste della società, che dovrebbero trovare risposte in un nuovo partito di sinistra.,
   Simone Leoncini, che rappresenta i vendoliani a Genova, ha raccontato il percorso che ha portato alla nascita del comitato per la costituente della Sinistra, un cammino iniziato con la sinistra al governo e concretizzato adesso, a pochi mesi dalla “caporetto” elettorale.
    Anna Cometti, insegnante di scuola primaria, ha illustrato alcuni aspetti della “riforma Gelmini” dal punto di vista di chi tal malsano intervento legislativo lo subirà.
 Andrea Viari, militante del “Network Giovani della Sinistra”, ha illustrato all’attenta platea il lavoro di questo gruppo di ragazzi che quotidianamente portano avanti gli ideali di sinistra con iniziative sul territorio.
   Particolarmente atteso e apprezzato dalla platea è stato l’intervento di Silvio Ferrari, nome storico della sinistra genovese e non solo, da ben 10 anni fuori dal dibattito partitico, che con assoluta onestà intellettuale ha confessato di aver ceduto alle lusinghe del voto utile in Aprile, ma che ora è profondamente deluso della scelta fatta ed ha aderito con entusiasmo alla Costituente. La sua ricetta per costruire la Sinistra prevede una rottura decisa col passato, per proiettarsi in questo secolo con un partito nuovo, con profonda alternanza al suo interno, per creare una vera sinergia fra chi fa volontariato e chi ricopre delle cariche. Ferrari ritiene sia necessario radicalizzare il nostro linguaggio, per far capire che siamo diversi: non dobbiamo cercare il consenso della destra, ma indicare un’altra via.
   Mario Calbi, ex amministratore dei servizi sociali a Genova, ha posto l’accento sulla centralità della tutela dei livelli essenziali d’assistenza alla persona nelle politiche di un partito di Sinistra, rimarcando l’importanza di tornare a investire sul lavoro sociale e la sua formazione.
   Nicola Valdinoto, del movimento federalista europeo, ha evidenziato il necessario carattere internazionalista della sinistra, utile per arginare il vento xenofobo che sta sferzando nel vecchio continente.
   Marco Fumagalli, del nazionale di Sinistra Democratica, ha aperto l’intervento analizzando che “...in questi mesi d’agonia del capitalismo selvaggio la sinistra politica è zitta, non fornisce idee: da una parte il PD discute della commissione di vigilanza, mentre un’altra parte costruisce recinti identitari. Noi siamo in questo deserto, dobbiamo essere ambiziosi e creare una sinistra per parlare a tutti e lavorare per un centro sinistra ne di testimonianza ne di governo a qualsiasi costo”.
   Walter Fabiocchi, segretario della camera del lavoro di Genova e firmatario del documento della costituente, ha fatto una cruda analisi del momento economico, con “...una crisi che in Italia avrà la sua manifestazione più ampia fra qualche mese, in una reazione a catena che investirà tutti gli strati sociali. Bisogna stare attenti ai precedenti storici, dopo il ’29 ci furono due vie: il new deal di Roosvelt negli USA e il nazismo e il fascismo in Europa. E’ necessario rompere l’immobilismo politico di questo governo, che nulla fa per far riprendere i consumi e per questo la CGIL ha redatto un piano anti-crisi e una mobilitazione nazionale per il 12 dicembre”.
   Ha chiuso la serie degli interventi Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione comunista, che ha ribadito l’importanza di ascoltare le istanze dei territori, fonte di ricchezza per il progetto nazionale. “Dopo tanti anni di stupidario ideologico sul liberismo – ha affermato Giordano - ora che ha fallito stiamo zitti? Il PD ha dimostrato chiaramente il suo progetto neocentrista e la sinistra è immobile, chiusa nel suo recinto identitario. Noi dobbiamo creare un nuovo soggetto politico, non per un governo, ma per una nuova idea di società, una sinistra laica con agire comunitario per creare nuove forme di socialità”.

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Titolo: Firenze: Mussi, Pd annulli la burla delle primarie e apra a coalizione
Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2008, 11:07:00 am
Firenze: Mussi, Pd annulli la burla delle primarie e apra a coalizione


E' SOLO LOTTA FEROCE TRA NOTABILI E CAPIBASTONE


Firenze, 6 dic.  'Le condizioni per un'alleanza, per provare a rinconquistare Firenze, per evitare che vada agli uomini di Berlusconi, sono le seguenti: la giunta resti in carica per l'ordinaria amministrazione e si azzeri questa burla delle primarie' del Pd.

Lo ha detto il presidente di Sinistra Democratica, Fabio Mussi, conversando con i giornalisti a Firenze. 'Queste primarie del Pd - ha affermato - sono una lotta feroce, di cui non si capiscono i contenuti politici, tra capicorrente, notabili, capibastone, seguiti da sostenitori vocianti.

Occorre aprire un processo autenticamente democratico per individuare una candidatura che restituisca, ad una citta' governata dal centrosinistra, l'onore al popolo del centrosinistra, che merita di essere trattato meglio dei suoi rappresentanti politici'.

Per individuare la candidatura a sindaco di Firenze, Mussi suggerisce 'il metodo che fu usato quando venne candidato Primicerio.

Si puo' usare un metodo autenticamente democratico, che sono le assemblee, l'esposizione di programmi, la condivisione con i cittadini delle cose da fare per il futuro a Firenze, una convention democratica dalla quale possa uscire l'uomo o la donna che abbiano l'autorita' per dire ora si cambia'. E al sindaco di Firenze, Leonardo Domenici che oggi, in un'intervista, annuncia di lasciare la politica, Mussi risponde: 'Anche a me le cose che vedo mi fanno piuttosto schifo'.

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Titolo: Lettera aperta sul partito mai nato
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2009, 03:56:38 pm
Di Salvatore Biondi

Lettera aperta sul partito mai nato


Care compagne e compagni,
vorrei rivolgere questa mia riflessione principalmente a Voi.
A voi che in questi giorni siete tirati dalla giacchetta da pseudo-compagni che vi stanno venendo a trovare e a chiedere di partecipare  e aderire  ad un partito mai nato, qualche protagonista nazionale  lo definisce un’amalgama mal riuscita.
Oggi il partito mai nato, si è solo distinto per aver fatto cadere il governo Prodi ( avevamo con forza denunciato noi della sinistra ds che l’avvio durante il governo avrebbe portato frizioni e minava di farlo cadere),  perso le elezioni politiche, frantumato la sinistra, creato confusione ed incertezze nell’opinione pubblica e trasportato tutto il malessere politico e le sue incomponibili divisioni nelle istituzioni governate ( anche in quei comuni che, consapevoli del rischio,  hanno elaborato progetti politici pensando di emarginare questo fenomeno), disattendendo il mandato avuto dai  cittadini e dei grossi problemi che in questo momento di particolare crisi mondiale li attanagliano.
A Veltroni e compagni la perdita elettorale alle politiche con la presunzione di autosufficienza non gli è bastata, pensano  ancora una volta di isolare la sinistra ma non si rendono conto che è  iniziata con le politiche un percorso di isolamento del PD, oggi ritornano le ragioni di una presunzione assurda anche in vista dei rapporti deteriorati con Italia dei Valori di Di Pietro colpevole di coprire spazi di opposizione che il PD non riesce, e sicuramente  non ci sono più le condizioni per definirsi alleati anche in futuro, riducendo il centro sinistra sempre più debole e frastagliato.
Questo comportamento finisce con consegnare il governo anche territoriale al centro destra ed è questa la più grande preoccupazione nostra.
La confusione regna come non mai nella storia politica italiana, la verità è che è prevalso l’egoismo  personale  dei vari capi corrente a cominciare da Veltroni, affrancando il  leaderismo berlusconiano anche nella sinistra e quindi  facendo venire meno la politica
Quando manca la politica, quando il profilo di un partito non è chiaro e quando le differenze interne sono incomponibili, bisogna ripartire mettendo al centro i problemi del paese, della qualità dello sviluppo, della giustizia sociale, dei diritti, del lavoro e delle questioni ambientali ( i disastri ci stanno sovrastando).
E’ vero che anche le piccole sinistre disperse fuori dal Pd sono messi in difficoltà, ma consapevoli che il percorso è lungo e il risultato non è immediato.
Quindi  è maturo il momento di mettere in campo un disegno credibile di Sinistra popolare, democratica,  infatti è partito in questi giorni, pur con fatica e dopo due anni di elaborazioni e sofferenze, un percorso costituente, tra coloro che sono disponibili mettersi in gioco ( Sinistra Democratica in primis ) e  altri di una Sinistra più ampia,   la costituzione di un nuovo soggetto unitario della Sinistra.
Insomma il Pd che nasca una Sinistra Unita non gli va giù, ma la cosa più strana e che  continuano a cercare anche i vecchi compagni del PCI,  con tanto di reverenza, appellandosi ai rapporti che ci distinguevano in quel glorioso partito,  chiedendo loro voti e  sostegno per un partito che rifiuta di essere definito di sinistra ( e se qualcuno si azzarda a definirlo si rizelano e precisano di Centro-Sinistra).   
Apprendiamo  il tentativo da parte del PD di dover stroncare sul nascere questo, già difficile di per sé, percorso di costituzione di un nuovo soggetto politico per una  Sinistra nuova, mettendo ancora una volta in difficoltà, con lo sbarramento al 4% per le elezioni europee, i piccoli partiti della sinistra che hanno deciso ( e hanno fatto bene ) di non far parte di questo fantomatico partito, pensando di fare ancora fortuna con il voto utile avuto alle politiche 2008 anche per le europee di giugno 2009.
L’ipotesi sulla quale è nato è praticamente fallita e Veltroni pensa alla sopravvivenza politica,
e il  timore che nasca un soggetto politico forte alla sua sinistra non è tollerato, e la cosa più assurda è che  il  PD non vuole essere un partito di sinistra ma non vuole che nasca nessun soggetto politico alla sua sinistra.
Questo ci porta  inevitabilmente a noi altri della sinistra ad una seria riflessione e a fare una attenta analisi sulle prospettive future e nelle varare alleanze per le prossime competizioni  elettorali locali.

Consiglio Nazionale Sinistra Democratica


da sinistra-democratica.it


Titolo: Bruno Gravagnuolo Sinistra misteriosa e buffa
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2009, 11:03:21 pm
Sinistra misteriosa e buffa

di Bruno Gravagnuolo



Picchia duro Dario Fo sul Pd, alla vigilia del remake di Mistero Buffo a Venezia. Girandole e sarcasmi per uno spettacolo con dentro gli «Zanni» di oggi: flessibili, disoccupati e disperati.
Ci sarà anche Ratzinger, dietro la sagoma di Bonifacio VIII. E sarà da gustare lo spettacolo. Sicché Fo sul Corsera anticipava battute ficcanti. Morettiane tipo: «Non c’è anima viva che oggi voglia dire qualcosa di sinistra». Oppure: «non hanno il coraggio di tirar fuori idee proprie e proposte chiare». E ancora: «per trovare la rotta occorre andare nella culla del capitalismo (da Obama)... Non resta che chiedere l’annessione agli Usa».

Cose da guitto? Che son senso comune però. E alle quali, sempre sul Corsera, replicava Cacciari da politico navigato: «Fo esagera». E, «il Pd ha fatto tanti errori, scegliendo una funzione di opposizione anziché di costruzione... si può recuperare, con programma forte e credibile e rinnovamento della classe politica». Già, miracolismo e pannicelli caldi in Cacciari. E confusione di concetti. Perché l’opposizione non si vede mica tanto. E poi il «programma forte» non è in contrasto con l’opposizione, anzi. La verità, piaccia o meno a Cacciari, comincia da una parola per nulla pacifica: sinistra.

È sinistra, benché moderata e riformista, il Pd? Metà dei fondatori non è d’accordo col definirlo di sinistra. Neanche in versione attenuata. E quale rinnovamento di «classe politica» può esservi, laddove su nodi chiave non v’è chiarezza né unità? Esempi: riforma istituzionale, bipolarismo, sistema elettorale, giustizia, laicità, politica estera, contratto nazionale del lavoro, famiglia europea. Una lista infinita. Fusione fredda? No, poltiglia di notabilati. Senza opzioni in conflitto esplicitate. Senza vita interna trasparente, di volta in volta sui temi cruciali. Vita interna, e radici larghe. Non caminetti, direttivi o gruppi parlamentari. Perché questo è un partito, e non altro. Per inciso, anche il Congresso venturo rischia di restare stregato da primarie scontate. Senza veri delegati, mozioni, confronti. Il vero mistero buffo? Eccolo, è tutto questo
bgravagnuolo@unita.it


04 febbraio 2009
da unita.it


Titolo: Ci si sono messe in tre per riproporci cose antiche?
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2009, 04:57:25 pm
di Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Isabella Peretti


A proposito di un manifesto del PD

“Berlusconi ancora una volta ha ingannato gli italiani.

Raddoppiati gli sbarchi degli immigrati clandestini”


Queste le poche orribili indecenti parole che abbiamo letto nei manifesti sui muri di Roma a firma Partito Democratico.

In tante siamo rimaste attonite e indignate.

Cosa si vuol far intendere?

Quasi fossero la peste del nostro tempo, con il governo Prodi gli sbarchi degli immigrati erano la metà di quelli attuali, mentre con Berlusconi sono raddoppiati: è una gara tra chi contiene il contagio?

Se volessimo esagerare, questo manifesto ci ricorda  “la banalità del male” di Hannah Arendt, per la sua assurda allusività.

Poche parole, le nostre, per dire quelle verità che a sinistra tutti sanno, che nel Pd alcuni non ricordano più, che nella destra volutamente non vedono e non sentono.

Gli arrivi via mare e via terra nel nostro paese di persone che fuggono alle guerre, alle persecuzioni, o più semplicemente alla fame, crescono perché sempre più drammatiche sono le conseguenze della crisi mondiale e della cattiva politica, e tutto ciò indipendentemente dai tipi di governo.

Fuggendo stipati nei camion o nei gommoni, subendo le peggiori traversie, “forse” non hanno avuto la possibilità di seguire le impraticabili procedure della Bossi-Fini per non arrivare con il marchio dell’appellativo “clandestini”!. Marchio che nel linguaggio del governo e dei media mantengono, anche se molti di loro fanno appello al diritto d’asilo. Ma anche chi arriva con un visto d’ingresso, al suo scadere non riuscirà quasi mai a ottenere il permesso di soggiorno, e quindi ad evitare quel marchio.

Un marchio, sì, perché essere clandestini  significa essere rinchiusi nei Centri di identificazione ed espulsione, essere rimpatriati – in base a quegli accordi con paesi come la Libia che in cambio di tanti soldi italiani ricacceranno “i clandestini” nelle carceri del deserto – oppure essere destinati all’economia sommersa e talora all’economia criminale.

Sono le politiche governative che rendono clandestini gli immigrati, che li criminalizzano relegandoli ai margini dell’economia e della società: un razzismo di tipo istituzionale, che permea tutte le misure del cosiddetto “pacchetto sicurezza” ma anche alcuni comportamenti delle forze dell’ordine, del personale degli uffici e dei servizi; un razzismo istituzionale che si intreccia e fomenta nuove forme di razzismo popolare, fondate su stereotipi, pregiudizi, disinformazione. Il risultato è una miscela esplosiva, che sta producendo episodi brutali ogni giorno. Il risultato è una democrazia dimezzata, perché ogni forma di violenza e discriminazione è il contrario della democrazia; vogliono imporci  una cittadinanza e quindi anche una società chiusa e esclusiva, in cui tutte, native e migranti, stentiamo a riconoscerci.

Siamo donne impegnate ogni giorno a contrastare gli intrecci perversi e pericolosi tra razzismo e sessismo, che tendono a dimostrare che "il mostro è fuori di noi": noi siamo civili mentre "loro" sono barbari e violenti, mentre sappiamo bene che la violenza contro le donne è un fenomeno di recrudescenza e possessività maschile trasversale che attraversa paesi culture religioni e strati sociali. 

Proprio in questi momenti in cui riesplodono forme di “linciaggio popolare” contro quei violentatori che abbiano anche l’aggravante di essere stranieri, una politica antirazzista deve essere chiara e ferma, non dar luogo ad alcun fraintendimento come quei manifesti lasciano intendere, e che non corrispondono  neppure al pensiero e alla storia di molti militanti e dirigenti dello stesso Pd.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Il mio sogno resta una sinistra davvero unita
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 12:31:37 am
Il mio sogno resta una sinistra davvero unita

di Umberto Guidoni


Quando mi sono avvicinato al PdCI, cinque anni fa, l’ho fatto perché credevo nel progetto di rinsaldare la sinistra, in una strategia di costruzione di un centro-sinistra contrapposta alla destra berlusconiana, eversiva e pericolosa per il Paese.

Dopo che il Partito Democratico ha scelto la deriva moderata, rompendo con i partiti alla sua sinistra, ho pensato che questo progetto potesse svilupparsi almeno per costruire una forza unitaria in grado di controbilanciare, nella società, la sterzata centrista del PD e l’assenza di un riferimento politico per le forze del sindacato e del lavoro. Per questo ho aderito alla Sinistra Arcobaleno, pur non condividendone le forme e i connotati elettoralistici, sperando che le difficoltà e le resistenze delle diverse sigle si sarebbero superate col tempo.

Quello che non potevo immaginare è che, mentre ancora fumavano le macerie della lista Arcobaleno, Oliviero Diliberto, segretario di un partito nato per costruire una sinistra unitaria, liquidasse con un’alzata di spalle quell’esperienza, facendo appello ad un’unità dei comunisti tanto velleitaria quanto avventuristica.

La valanga dei consensi verso le destre ci ha consegnato un’Italia xenofoba, reazionaria e fondamentalista, su cui il governo Berlusconi sta facendo leva per scardinare le fondamenta dello Stato democratico, laico e solidale. Di fronte a questa offensiva, la cui virulenza è sotto gli occhi di tutti, in particolare nella cronaca di queste ore, l’unica risposta è mettere in campo un progetto di aggregazione delle forze sane del Paese, che si riconoscono nei valori della costituzione antifascista, nata dalla Resistenza, che si sono battute e vogliono continuare a farlo per rendere più giusta e includente la società italiana.

Non importa da quale esperienza provengano: comunista, socialista o ambientalista. Quello che conta è costruire insieme un progetto di trasformazione della società che sia capace di sfidare l’immobilismo del PD e di riconquistare, da subito, la mente e il cuore del nostro popolo e, in futuro, la maggioranza del paese.

Ho preso la decisione di non rinnovare la tessera e di uscire dal PdCI con il cuore pesante, sapendo che avrei lasciato tanti compagni di lotte, ma anche con la consapevolezza che avrei trovato altri compagni che, pur venendo da altre esperienze, sono intenzionati a percorrere insieme questa nuova strada, con gli stessi valori di sempre. L’aver preso una strada diversa dai compagni del PdCI non mi fa dimenticare che lo scopo principale di tutti noi è creare un mondo più giusto. Spero vivamente che queste due strade tornino ad intersecarsi perché sono convinto che solo se la sinistra sarà unita e sarà forte, pur con le sue diverse anime, sarà utile per il nostro popolo e potrà, davvero, cambiare questo Paese.


11 febbraio 2009
da unita.it