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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 118784 volte)
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« Risposta #165 inserito:: Agosto 02, 2014, 11:10:52 pm »

Politica
29/07/2014
Italicum, tensione Renzi-Berlusconi
Lettera del premier ai senatori: da voi dipende il futuro

Amedeo La Mattina
ROMA

Sherpa (Verdini e Guerini) al lavoro sulla legge elettorale mentre i senatori della maggioranza, che oggi riprendono a votare la riforma, hanno trovato nella loro casella postale una lettera di Renzi. Li ringrazia per l’impegno che li attende con votazioni notturne per superare l’ostruzionismo degli emendamenti (migliaia): tra questi anche «emendamenti burla che costringono a perdere tempo». Secondo il premier è «triste e umiliante trascorrere il vostro tempo prezioso a discutere argomenti assurdi, come il cambio del nome della Camera in Gilda dei deputati». Ma bisogna andare avanti per rendere la politica e l’Italia credibile. Ma poi c’è un passaggio chiave che non è piaciuto a Berlusconi, quello in cui Renzi assicura che verrà ridiscusso l’Italicum sulle preferenze, le soglie e il voto di genere. 

Renzi blandisce i senatori della maggioranza e parla anche ai senatori delle opposizioni. È un modo per svelenire il clima e ammorbidire la minoranza interna del Pd. Tende una mano agli alleati di Ncd e Udc ma soprattutto a Sel che è firmataria della montagna di emendamenti: è questo il problema principale. Da qualche giorno si aperto un canale di dialogo tra Renzi, il ministro Boschi e il capofila degli oppositori del Pd Chiti che potrebbe accettare di diminuire il numero degli emendamenti. Ma resta lo scoglio di Sel e M5S. Il governo accetta di arrivare alle dichiarazioni di voto entro l’8 agosto e rinviare il voto finale al 2 settembre. «Vogliamo portare a casa le riforme - sottolinea Renzi - e non segnare il punto, ma loro devono ritirare gli emendamenti. Se vogliono una settimana in più gliela diamo. Se vogliono bloccare tutto, diciamo no. Gli ostruzionisti si sono messi in un cul de sac: hanno tutta Italia contro». Parallelamente prosegue l’ammorbidimento sull’Italicum con quel passaggio della lettera di Renzi che tuttavia non sembra abbia fatto recedere gli oppositori più duri, i quali prima vogliono vedere cammello. «Non c’è nessuna trattativa in corso, i nostri emendamenti restano», dice Loredana De Petris, capogruppo Sel. Le minoranze Pd sostengono invece che le parole di Renzi sono chiare e positive. Applausi da parte di Ncd. Quagliariello vede nella mossa del premier un’iniziativa politica che va incontro alle richieste di Ncd. Eppure non sembra aver sortito granché la missiva del premier (almeno finora). Un risultato lo ha avuto sicuramente: irritare molto il Cavaliere, che sarebbe dovuto venire oggi a Roma per incontrare il contraente del Patto del Nazareno. E in quel patto le preferenze non ci sono. 

C’erano le soglie di sbarramento ma non era state quantificate e allora forse si potranno abbassare. È successo però che in questi giorni Alfano non ha raccolto l’appello di Berlusconi a riprendere il dialogo per la ricostruzione del centrosinistra: la mano tesa dell’ex premier è stata morsa e il proprietario della mano si è offeso. Con la conseguenza di un forte irrigidimento. Sulle preferenze il leader di Fi non intendere cedere (con le liste bloccate può decidere chi candidare). 

 Berlusconi, indisposto per un’influenza virale, è rimasto bloccato ad Arcore. Intanto si è rimesso in moto Verdini. Avrebbe sentito al telefono il vicesegretario del Pd Guerini. Alcuni rumor dicono che una telefonata ci sia stata tra lo stesso Renzi e Berlusconi, il quale di preferenze non vuol sentir parlare. «D’estate si parla di sogliole e non di soglie», ironizza Giovanni Toti. Il capogruppo Paolo Romani ricorda che le preferenze non fanno parte del Patto del Nazareno: «Piacciono ai professionisti della politica». Sul resto si può discutere, ma ogni cambiamento dell’Italicum per Romani deve passare dalla scrivania del Cavaliere. 

Da  - http://lastampa.it/2014/07/29/italia/politica/lettera-di-renzi-ai-senatori-da-voi-dipende-il-futuro-Wb0GM3gSjqQLATdvTMuBpJ/pagina.html
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« Risposta #166 inserito:: Novembre 26, 2014, 05:24:07 pm »

Forza Italia nel caos, il Patto del Nazareno in bilico
Berlusconi non vuole rinunciare all’accordo con Renzi, ma ora i gruppi parlamentari sono incontrollabili
25/11/2014

Amedeo La Mattina
Roma

Il terremoto delle regionali sta facendo molti cadaveri politici a destra, in Forza Italia innanzitutto. Presto una croce sopra potrebbe essere messa anche sul Patto del Nazareno, su quell’accordo che sembrava l’architrave del rapporto privilegiato tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma adesso rischia di crollare a causa del sisma. Il Cavaliere, dilaniato dai morsi di Matteo Salvini e dal buon risultato in Calabria del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano (ha superato lo sbarramento dell’8%), sostiene che il Patto per le riforme reggerà. Certo, ci sarà un indurimento, una trattativa a schiena dritta, il no al premio di maggioranza alla lista, ma il leader di Fi non vuole arroccarsi su un Aventino. In cima ai suoi pensieri non è tanto il merito delle riforme, quanto ciò che vi ruota attorno, a cominciare dal Quirinale, dalla scelta del prossimo presidente della Repubblica. Non può permettersi di rimare fuori dal big game politico-istituzionale che si giocherà a gennaio. È questo il concetto che l’ex premier ripete come un mantra ai suoi collaboratori. 

Quindi barra ferma sul Nazareno, ma solo sulla carta perché il voto di domenica scorsa ha avuto l’effetto di una bomba esplosa dentro il partito. 

Non è un caso che il premier, sentendo una forte puzza di bruciato, abbia subito messo le mani avanti. «Se fossi in Fi considererei che il percorso delle riforme paga anche in termini elettorali e dà segnali di fiducia al Paese. Ma io non sono preoccupato che qualcuno si tiri indietro perché, anche se lo fanno, noi andiamo avanti comunque per cambiare l’Italia. Chi si impegna in modo coerente vince, mentre per chi tentenna come Fi e M5S non è un grande risultato».

Per la verità non si è visto questo grande risultato elettorale di Berlusconi nonostante sia andato in diverse occasioni in soccorso di Renzi. Anzi, la confusione di messaggi al suo elettorato lo sta penalizzando molto. Lo stesso capogruppo di Fi Renato Brunetta è chiaro in tal senso: «Il primo punto di revisione che dobbiamo fare riguarda il Patto del Nazareno e la differenza tra la leale disposizione del presidente Berlusconi e quella che si sta sempre più dimostrando l’intenzione egemonica del presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi».

Che il Patto del Nazareno sia morto è la sensazione che hanno in molti, anche perché sarà difficile per Berlusconi controllare i suoi gruppi parlamentari. Sarà difficile tenere uniti in particolare i suoi senatori, una parte dei quali da tempo manifesta totale contrarietà alle effusioni politiche tra toscani, tra Denis Verdini e Luca Lotti, braccio destro di Renzi.

Augusto Minzolini, che è sempre stato una delle spie di questo malumore e non può essere accusato di tradimento, chiede a Berlusconi di cambiare linea politica e gruppo dirigente perché «in politica si ha una ragione d’essere non per i patti stipulati, ma per quelli che intercorrono con i propri elettori».

Renzi ora non può che attendere di capire cosa accadrà dentro Fi. Berlusconi è seriamente sotto scacco che potrebbe rivelarsi matto. Salvini ha già messo in cassaforte una buona quota di azioni per la sua Opa sul centrodestra e tenta di imporsi come la vera e unica alternativa a Renzi. «Non si può soccorrere il governo – avverte il capo leghista - appoggiando pseudo riforme che sono un danno per il Paese». Alfano accende l’allarme rosso e ricorda al Cavaliere che Salvini fa bene solo a se stesso, divora voti ma condanna il centrodestra alla sconfitta. Qualcosa del genere lo dice pure Brunetta quando parla di «Matteo contro Matteo, un pericolo per la democrazia perché Salvini leader consegnerebbe la vittoria a Renzi».

Insomma il Patto del Nazareno sta per essere archiviato. Ne è convinto anche Gaetano Quagliariello: «È pressoché impossibile che rimanga in piedi. Berlusconi non controlla più niente, figuriamoci i suoi gruppi parlamentari».

Da - http://www.lastampa.it/2014/11/25/italia/politica/forza-italia-nel-caos-il-patto-del-nazareno-in-bilico-6znhdedpcRjxyZA8UwDiWO/pagina.html
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« Risposta #167 inserito:: Gennaio 24, 2015, 10:49:33 am »

Col voto al Senato, nasce il Partito della Nazione
Comprende il Pd renziano, i centristi di Area popolare (Ncd-Udc) e il grosso di Forza Italia. Un partitone che potrebbe definitivamente trasformarsi in una nuova maggioranza se dovesse tenere alla prova massima del Quirinale, eleggendo un candidato comune

21/01/2015
Amedeo La Mattina

Il voto di stamane al Senato sulla legge elettorale mette il timbro politica sul patto del Nazareno che tiene sull’asticella dei 170 voti. Respinti i due insidiosi emendamenti di Gotor e della sinistra PD, mentre passa l’emendamento di Esposito che conferma la linea Renzi sul voto alla lista e i capolista bloccati. In questo modo sono saltati 35 mila emendati dell’opposizione, quasi tutti presentati dal senatore Calderoli che, ironia della sorte, ha annunciato questa strage di emendamenti proprio mentre presiedeva l’aula del Senato.

Con il voto di oggi di fatto nasce il Partito della Nazione che comprende il Pd renziano, i centristi di Area popolare (Ncd-Udc) e il grosso di Forza Italia. Un partitone che potrebbe definitivamente trasformarsi in una nuova maggioranza se dovesse tenere alla prova massima del Quirinale, eleggendo un candidato comune (i papabili sono Amato, Finocchiaro e Mattarella). “Non è escluso un cambio di scenario Politico anche nel centrodestra - dice Lorenzo Cesa dell’Udc uscendo dal Senato - che in prospettiva potrebbe unirsi dentro la stessa lista come avviene in Francia con l’Ump”. Tutto è in rapida trasformazione con possibili scomposizione a sinistra e ricomposizione al centro. C’è una fortissima pressione a livello europeo affinché i vari partiti di centrodestra si rimettono insieme e governino questo passaggio anche economico”.

Intanto avanza il Partito della Nazione di Renzi e Berlusconi che adesso, prima di pensare a nuovi governi per arrivare fino alla fine della legislatura, troverà il battesimo di fuoco del Quirinale.

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/21/italia/politica/col-voto-al-senato-nasce-il-partito-della-nazione-nVZbMSnIzgIp79t9mtwQ8M/pagina.html
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« Risposta #168 inserito:: Gennaio 30, 2015, 05:05:10 pm »

Mattarella, l’ex Dc tutto d’un pezzo
Più volte ministro, fu vicepremier di D’Alema. Non ha mai aderito ufficialmente al Pd, ma tutti i suoi amici lo hanno fatto. Definì l’ingresso di FI nel Ppe «un incubo irrazionale»
Sergio Mattarella è nato a Palermo nel 1941

29/01/2015
Amedeo La Mattina
Roma

Se venisse eletto, Sergio Mattarella sarebbe il primo presidente della Repubblica siciliano. Nato a Palermo nel 1941, il candidato al Quirinale da Matteo Renzi è una persona tutta d’un pezzo. Cattolico, riservato, prudente, capace però di battute taglienti ma pronunciate sempre con garbo e sottovoce. Quando prende una decisione è difficile fargli cambiare idea. Nel 1990 si dimise da ministro della Pubblica Istruzione perchè Andreotti aveva imposto la fiducia sulla legge Mammì, il cadeau di Craxi alle reti tv di Berlusconi: Mattarella fu il più convinto sostenitore della rottura, a differenza degli altri quattro ministri della sinistra Dc. Se lo ricorda bene Calogero Mannino, anche lui allora dimissionario ma con meno convinzione, che qualche giorno fa alla Camera aveva detto: «Renzi, se è intelligente e lo è, dovrebbe puntare su Sergio: ne apprezzerà molto i suoi silenzi».

Mattarella è stato parlamentare dal 1983 al 2008, attraversando le epoche politiche della Dc, poi quella del Ppi e della Margherita. Oggi è giudice costituzionale di nomina parlamentare. Non mette piede nel Transatlantico di Montecitorio e in una sede di partito da sette anni. Non ha mai aderito ufficialmente al Pd, ma tutti i suoi amici di partito ed ex Dc lo hanno fatto. E’ stato ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo De Mita, della Difesa nel governo D’Alema (fu lui ad abolire la naja, il servizio militare obbligatorio). Nel 1993 ha dato il nome al primo sistema elettorale maggioritario (ribattezzato dal prof. Sartori “Mattarellum”). Ha partecipato alla fondazione del Partito Popolari italiano di cui è stato capogruppo e fiero avversario della candidatura di Rocco Buttiglione alla segretaria del partito, in sostituzione del dimissionario Martinazzoli. Ha sempre avversato la deriva a destra degli ex Dc e quando Forza Italia chiese l’ingresso nel Ppe disse «è un incubo irrazionale».

Mattarella è stato segnato profondamente dalla tragedia del fratello Piersanti, presidente della Regione siciliana, ucciso dalla mafia nel 1980. Il fratello maggiore morì tra le sue braccia: in quel momento decise di continuare la storia politica di Piesanti che non si era piegato a Cosa Nostra. Aderisce alla Dc seguendo Zaccagnini e ammirando Moro. Si lega a De Mita che lo manda in Sicilia per togliere la Dc dalle mani degli andreottiani Lima e Ciancimino. Per tagliare le unghie degli appalti mafiosi e la commistione mafia-politica, scelse un giovane docente universitario, Leoluca Orlando, uno dei principali collaboratori di Piersanti. Ha attraversato Tangentopoli e il crollo della Dc intonso: gli imputarono alcuni buoni di benzina che gli avrebbe regalato un costruttore siciliano per la campagna elettorale, ma ne uscì pulito con l’assoluzione «il fatto non sussiste». 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/29/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2015/mattarella-lex-dc-tutto-dun-pezzo-3KRMcprTqmmw1xd2420rzJ/pagina.html
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« Risposta #169 inserito:: Febbraio 18, 2015, 08:02:07 am »

Ultimatum di Berlusconi a Fitto: una settimana di tempo per riallinearsi o è fuori dal partito
Il leader di Forza Italia si assume tutta responsabilità del nuovo corso di opposizione a 360 gradi. E assicura: “Non consegnerò il centrodestra alla Lega”

11/02/2015
Amedeo La Mattina
Roma

Verdini seduto come un gattone in ultima fila. Pochi i suoi parlamentari amici presenti all’assemblea di Forza Italia. Gli amici di Fitto invece assenti («abbiamo altro da fare..., dicono mentre si aggirano per il Transatlantico di Montecitorio»). Del resto Berlusconi con lui è molto chiaro: ha ancora una settimana di tempo per allinearsi o è fuori dal partito. Il Cav spiega poi che la piroetta sul Patto del Nazareno dopo oltre un anno di trasfusioni di sangue a Renzi sulle riforme e non solo. Il Cav arriva nella saletta dei gruppi alla Camera e cerca di convincere i presenti che la rottura l’ha voluta il premier, «il dittatorello fiorentino», che ha tradito con la candidatura di Mattarella al Quirinale. C’è scetticismo in sala, soprattutto sul pendolo tra Matteo Renzi a Matteo Salvini. Il leader di Fi lo sa che il problema è la Lega, l’alleanza che potrebbe schiacciare il partito su un Carroccio con il vento in poppa. E infatti Berlusconi dedica all’argomento gran parte del suo intervento.

«Non consegneremo le chiavi del centrodestra a Salvini - dice l’ex premier - anche se la Lega è un importante alleato e spero possa esserlo anche per il futuro». Non accetterà i diktat di Salvini sulle alleanze: se bisogna camminare insieme a Ncd in Campania per le regionali, si farà. Anche perchè in quella Regione senza i voti di Alfano l’unico governatore rimasto al Cav, Stefano Caldoro, è destinato a perdere, consentendo al Pd di fare quasi cappotto. Resterebbero solo due Regioni fuori dal bottino Dem, la Lombardia e il Veneto, dove governa la Lega. Fi fuori da tutto se perde anche sotto il Vesuvio. Allora Berlusconi avverte Salvini che non può lanciare diktat: «Non li accettiamo né sui nomi né sugli alleati, né in Campania».

Berlusconi si assume tutta responsabilità del nuovo corso di opposizione a 360 gradi. Dice di avere creduto al dialogo con Renzi per perseguire un «risultato nobile», quello delle riforme. «Ma oggi si apre una fase nuova». E i sondaggi della Ghisleri (Euromedia) cominciano a dare una piccola speranza al Cav. Decimali, eppur si muove l’asticella degli azzurri: l’elettorato azzurro apprezza la rottura del Patto del Nazareno. Le percentuali sono lontanissimi dai fasti sopra il 30%. Fi, nel migliore dei casi, è poco sopra o appaiata alla Lega. Ora però Berlusconi promette una grande rimonta, come tante altre volte nel passato. E altre in effetti c’è riuscito. Ce la farà anche adesso alla soglia degli 80 anni e con un partito in ginocchio, diviso e sbranato dalle guerre intestine? 

Lui dice che si può fare anche questa volta e la nuova grande marcia inizierà il 9 marzo quando finirà il servizio sociale. «Dal 9 marzo sarò di nuovo pienamente in campo: si apre una fase nuova in cui tutti devono e possono partecipare». Un’ultima stoccata per Raffaele Fitto: «Se deciderà di correre da solo rischia l’1 per cento di consensi». E un ultimatum: ha ancora una settimana di tempo per allinearsi o è fuori dal partito. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/02/11/italia/politica/berlusconi-non-consegner-il-centrodestra-a-salvini-b5HjxOo9YFUMGkNDAyXXeP/pagina.html
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« Risposta #170 inserito:: Novembre 11, 2015, 06:16:54 pm »

I sondaggi bocciano l’ipotesi del “papa straniero” come leader del centrodestra
La partita vera si giocherà tra Salvini, Meloni e Berlusconi

11/11/2015
Amedeo La Mattina
ROMA

L’unica cosa certa è che nel centrodestra non ci sia spazio per un «Papa straniero», come invece auspica Berlusconi. Ovvero per un personaggio estraneo ai partiti, che salti fuori dalla società civile e si metta a capo di questo schieramento. Per essere più chiari, i sondaggisti escludono che uno come Diego Della Valle o Corrado Passera possa guadagnare un ruolo di leadership. Stesso discorso per i governatori Maroni e Zaia. Dice Roberto Weber di Ixè: «Maroni è datato e Zaia, pur bravo e moderno, rimane un leader regionale». Nicola Piepoli ha testato alcune volte l’ex ad di Intesa-San Paolo ed «è irrilevante in termini di consenso». «Vale pure per Della Valle: fuori concorso. Sono personalità virtuali». Meno apocalittico è invece Antonio Noto (Ipr Marketing). «Sono leader potenziali, attorno a loro tutto è da costruire. Della Valle, tirato dalla giacchetta da pezzi di ex Forza Italia, è ancora percepito come un imprenditore puro, mentre Passera tra qualche anno potrebbe venir fuori, ma non certo alla testa di questo centrodestra oggi più spostato su posizioni radicali espresse da Salvini e Meloni». 

Secondo Piepoli c’è poco da girarci intorno: in questo versante politico tutto il gioco è nelle mani di Berlusconi e Salvini, con quest’ultimo in prima fila. «È vero che il capo leghista non è in grado di sfondare tra i moderati e al Sud, ma oggi il nostro indicatore di fiducia lo dà al 26%, in crescita di un punto, contro il 15% del Cavaliere». 

E Giorgia Meloni? Non è messa per niente male. Ha avuto una crescita costante nell’ultimo anno sia come partito (Fratelli d’Italia) sia personale. Addirittura scavalca Berlusconi secondo i dati di novembre dell’Istituto Demopolis guidato da Pietro Vento: la fiducia degli italiani nei leader di centrodestra vede al primo posto Salvini con il 31%, poi Meloni al 23%, infine Berlusconi al 20%. Nei sondaggi di Antonio Noto il segretario del Carroccio rimane in testa tra gli elettori di centrodestra (54%), staccando di molte punti l’ex premier (21%) e la leader di Fdi (18%). 

Si tratta di fotografie scattate in questo momento, magari influenzate dalla manifestazione leghista di Bologna. Mancano ancora due anni alle elezioni politiche, prima che si definiscano i rapporti di forza e le candidature alla premiership. E non sempre i sondaggi hanno centrato i veri umori degli elettori che si trasformano in voti veri nelle urne. Berlusconi sostiene di essere rimasto indietro perché è stato costretto per tre anni al silenzio e ai servizi sociali. È convinto che adesso il suo ritorno in pista porterà Forza Italia al 20% (oggi Weber la inchioda al 9%) e anche la fiducia sulla sua persona schizzerà in alto. Non pensa però che possa essere lui il frontman. Si vuole ritagliare il ruolo del padre nobile ancora capace di tenere insieme il centrodestra. «Comunque senza di me e Forza Italia - ripete sempre - Salvini e Meloni rappresenterebbero solo la Destra». In più, aggiunge Noto, il punto debole di Salvini è il Sud: «Per quanto possa fare, rimane percepito come il leghista anti-meridionale». 

Da - http://www.lastampa.it/2015/11/11/italia/politica/i-sondaggi-del-centrodestra-bocciano-la-suggestione-del-papa-straniero-S0QV1iJIPabZ9OrRP5YzKN/pagina.html
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« Risposta #171 inserito:: Aprile 16, 2016, 05:36:44 pm »

Confalonieri su Renzi: “È bravo, non intralcia i protagonisti dell’economia”
Il presidente di Mediaset sulla fusione tra Repubblica, Stampa, Secolo XIX: «Dovrebbe essere nulla».
Elkann: operazione in accordo con tutte le autorità


ANSA
15/04/2016
Amedeo La Mattina

All’ambasciata britannica il presidente di Mediaset Felice Confalonieri parla di tutto. Anche di Silvio Berlusconi. Punge la Rai, critica la fusione tra il Gruppo editoriale l’Espresso e la Itedi (editrice della Stampa e del Secolo XIX), approva il tentativo di scalata della Rcs da parte di Urbano Cairo e giudica Matteo Renzi un buon premier. «È bravo, sta facendo bene: di fronte a tutte queste operazioni, compresa la nostra con Vivendi lascia fare, non intralcia i protagonisti dell’economia».

Confalonieri ha appena finito di presentare, insieme all’ambasciatore britannico, Christopher Prentice, la settimana di programmazione dedicata a William Shakespeare sul canale tematico Iris (dal 17 al 23 aprile) a 400 anni dalla scomparsa del più noto drammaturgo al mondo. Spiega che è un tipo di operazione che il servizio pubblico della Rai non fa più («l’ultima volta è stato fatto da Enzo Siciliano negli anni Novanta» e che con Iris può arrivare a 300-400 mila persone. «E’ un modo di fare cultura e di gettare semi in una certa opinione pubblica. È un bene coltivare cittadini più colti e migliori». Marco Paolini (direttore del palinsesto Mediaset) e Marco Costa (direttore Iris) spiegano che la programmazione shakespeariana è un «evento straordinario, unico in Europa». Poi l’attore Francesco Pannofino recita alcuni passi di Shakespeare. Ma il mattatore della mattinata è Confalonieri. 

Si ferma a parlare con vari giornalisti, attorno a lui si formano diversi capannelli, disquisisce di opera, teatro e di Arthur Rubinstein, scherza con chi gli fa notare che sarebbe un ottimo critico musicale («non credo, ma vi prometto che a 90 anni farò un concerto al pianoforte di Chopin e Beethoven»). Non parla dell’alleanza Mediaset-Vivendi, ma poi atterra sulle strategie industriali nel settore editoriale. Secondo Confalonieri con la fusione tra Repubblica, Stampa, Secolo XIX e quotidiani locali Finegil il nuovo gruppo «va al 23% del mercato, quindi il contratto dovrebbe essere nullo». «Non si tratta di una questione di antitrust, come per Mondadori e Rizzoli, qui è la legge dell’editoria che fissa un tetto del 20% del mercato come tirature, ma non ha detto niente nessuno, c’è la libertà di stampa...» ha aggiunto Confalonieri. Ne ha mai parlato con Carlo De Benedetti? «Non ci parlo», è stata la risposta del presidente dei Mediaset. 

 

Il presidente di Exor e Fca, John Elkann, a distanza replica: «Non commento. Abbiamo annunciato l’intenzione di avviare la fusione in accordo con tutte le autorità. Il processo ha la durata di un anno». Viene comunque fatto sapere che saranno firmati entro la fine di giugno gli accordi definitivi tra Repubblica e Stampa: dopo la sigla, l’operazione sarà notificata alle Autorità e in quel momento le testate del nuovo gruppo non supereranno la soglia del 20% della tiratura nazionale. 

Confalonieri si sofferma pure sull’Opa di Urbano Cairo su Rcs. Dice che «è una buona cosa. Ho un’ottima considerazione di lui: è un imprenditore e ha una bella esperienza. Nel suo track record c’è anche che ha messo a posto una tv che andava maluccio. Sa fare l’editore ed è indipendente, anche se ultimamente è andato un po’ a sinistra con i suoi programmi». In ogni caso, secondo Confalonieri, Cairo in Rcs «può fare un eccellente lavoro». «Glielo auguro. Inoltre è giovane abbastanza per vedere la tecnologia applicata all’editoria. Credo sia una buona cosa». 

Durante e dopo il buffet gli facciamo alcune domande su Renzi, Berlusconi e la scomparsa di Casaleggio. Confalonieri, prima di salutare l’ambasciatore Prentice al quale chiede lumi su come andrà a finire il referendum su Brexit, riconosce che il premier è «bravo, lascia fare». È quello che una volta diceva pure il suo amico Berlusconi, che oggi è all’opposizione ma si è allontanato dalla politica. «Lo hanno costretto (i magistrati ndr) ad allontanarsi, ma lui c’è, è uno che non molla facilmente, bisogna vedere cosa fanno gli altri attori della politica». Quanto alla scomparsa di Casaleggio, il presidente Mediaset dice di non averlo mai conosciuto. «Mi sembrava una persona particolare, ma di spessore. Per i 5 Stelle è una grande perdita. Vedremo l’effetto che avrà questa perdita».
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Da - http://www.lastampa.it/2016/04/15/economia/confalonieri-su-renzi-bravo-non-intralcia-i-protagonisti-delleconomia-7kj5MljoEd3xM4OLlyLRHK/pagina.html

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« Risposta #172 inserito:: Aprile 26, 2016, 09:41:45 am »

Penati: “Troppi innocenti in carcere. Se il magistrato sbaglia, deve pagare”
Parla l’ex presidente della Provincia di Milano, assolto dopo 4 anni e mezzo d’indagine: “Il pm che mi rovinò la vita sta per essere promosso. Nel Pd ambiguità giustizialiste”

ANSA
Penati era il braccio destro di Pierluigi Bersani ai vertici del Pd

25/04/2016
Amedeo La Mattina
Roma

«Aspetti che sto guidando: in macchina non posso godere troppo per i dati che mi sta dando. Tra mezz’ora scendo dalla macchina e parliamo: ho tante cose da dire». Mezz’ora dopo eccolo che si sfoga Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, nonché braccio destro di Pierluigi Bersani ai vertici del Pd, assolto nel dicembre 2015 da tutte le imputazioni, «perché il fatto non sussiste». Dopo quattro anni e mezzo di indagine e tre di processo (difeso dall’avvocato Matteo Calori) sono crollate le accuse dell’inchiesta della procura di Monza sul «Sistema Sesto». Ora Penati insegna italiano ai migranti minorenni della comunità S. Francesco di Milano. «Tra un anno vado in pensione, resto come volontario». 

Che ne pensa di questi dati che La Stampa ha pubblicato? 
«Non li conoscevo, ma non mi stupiscono. Immaginavo che la situazione fosse questa. Ho passato quasi cinque anni dentro un incubo. Tutto è cominciato il 20 luglio del 2011 quando i carabinieri bussano alla mia porta. Vengo a conoscenza delle indagini a mio carico solo in quel momento. Venni definito dalla procura di Monza “delinquente abituale”. Quando lo vidi scritto in prima pagina sul Corriere della Sera non potevo crederci. Ma lei lo sa come si può sentire una persona onesta? E sa perché io lo sarei stato?».

Ce lo racconti. 
«Con un grande atto di scorrettezza, la procura mi tese una trappola: aveva mandato l’imprenditore Pasini con un registratore nascosto per incastrami. Io allora ero vicepresidente di minoranza al Consiglio regionale della Lombardia. Avevo fretta di rientrare in aula e ci mettemmo a passeggiare sul marciapiede avanti e indietro velocemente. La registrazione fallì e la procura stabilì che ero “delinquente abituale” perchè sarei riuscito a impedire la registrazione. La conclusione è stata che non sono stati trovati i soldi che cercavano nel mio conto corrente e la mia documentazione, come hanno stabilito i giudici, ha smontato la tesi dell’accusa. Io, grazie a questi giudici, oggi posso dire di avere fiducia nella giustizia: il problema sono certi procuratori. Per questo sono favorevole alla separazione della carriere.».
Lei però in carcere non c’è stato. 

«Sì, grazie al gip che ha negato l’arresto alla procura. C’è un eccesso di carcerazione preventiva e una totale deresponsabilizzazione dei magistrati che sbagliano. Perché un chirurgo che sbaglia paga e un magistrato no? In magistratura chi sbaglia non solo non viene punito ma fa carriera. È il caso del mio accusatore, il procuratore aggiunto di Monza Walter Mapelli, che è in procinto di diventare capo della procura di Bergamo».

Renzi ha ragione nel dire che abbiamo vissuto una barbarie giustizialista? 
«Sarei più cauto e lascio a lui la parola barbarie, ma giustizialismo sì. Renzi ha ragione: un’accusa equivale a una condanna. Ma è che la giustizia viene sempre intestata ai pm: sono loro che fanno notizia grazie all’uso dei media e dei giornalisti».

E Davigo? 
«È una persona di spessore e valore, ma quello che mi stupisce non è quello che ha detto, lo ha sempre detto: mi stupisce che sia stato eletto al vertice dell’Anm. Non è più l’illustre magistrato ma il rappresentante di una categoria».

È ripartito l’attacco alla politica, come qualcuno sostiene? 
«C’è una parte della politica che utilizza una certa magistratura contro la maggioranza, come ai tempi di Mani pulite. Oggi sono soprattutto i 5 Stelle a cavalcare le inchieste. La politica è debole. Renzi sta reagendo bene, dicendo che bisogna rispettare l’autonomia della politica. Ma dentro il Pd c’è ancora ambiguità. Per esempio quando sento il capolista a Milano Maiorino dire che Davigo è stato sopra le righe ma non bisogna prendersela con lui, basta che non si rubi. Che vuol dire? ... Che non si vuole dispiacere il populismo giustizialista».

 Come ci sente ad essere definito «delinquente» e poi assolto da tutto? 
«Quando sei assolto una gioia infinita, ma quando sei dentro al tunnel pensi a cose strane. Guardi io non ho pensato mai al suicidio, ma sono arrivato a capire perfettamente le ragioni di chi si è tolto la vita».

Anche il suo Pd lo condannò e allora segretario era Bersani. 
«Il Pd mi condannò, mi espulse sulla base di un avviso di garanzia e si costituì parte civile. Poi si ritirò dal processo quando cominciò a capire che ero pulito. Bersani era il bersaglio. Il partito non ha retto l’urto mediatico-giudiziario e Pierluigi, che ha sempre creduto nella mia innocenza, non ha potuto arginare l’ipocrisia del Pd. È stata un’amarezza indicibile». 

 
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« Risposta #173 inserito:: Giugno 03, 2016, 12:20:07 pm »

Ghisleri: in questo momento altissima la quota di voti incerti
Le città verso il voto. Il 60% non vede un futuro politico decifrabile
Ghisleri. «Per convincere gli indecisi, i candidati devono fare un colpo di teatro in questi ultimi giorni di campagna elettorale»

31/05/2016
Amedeo La Mattina
Roma

Alessandra Ghisleri riscontra nei suoi sondaggi una grande quantità di elettori indecisi e incerti per le amministrative del 5 giugno. Incertezza che rende l’esito delle urne molto aleatorio. «Al ballottaggio sarà tutto più chiaro perché le proposte saranno maggiormente definite. Al primo turno invece molti candidati sono simili. Per districarsi nella scelta, su Internet ci sono addirittura delle applicazioni che ti aiutano a capire chi è il candidato al quale ti senti più vicino». La direttrice di Euromedia Research non può dare dati e percentuali dei sondaggi. La legge lo proibisce. Ma per far capire il clima in cui si svolgono le elezioni, spiega che «il 60% degli italiani vede il futuro non programmabile».

A Milano sembra che ci sia un testa a testa tra Sala e Parisi. Del resto sono i due candidati che si assomigliano di più. Nelle altre città c’è invece una varietà più marcata. Questo serve a prosciugare l’area degli indecisi e portarli ai seggi elettorali? 

«Per convincere gli indecisi, i candidati devono tirare fuori dal cilindro il classico coniglio, spiazzare, fare un colpo di teatro in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Questo è determinante. I confronti televisivi in cui metti sullo stesso palco i competitori delle singole città può aiutare molto: le differenze potrebbero emergere plasticamente».

Quali sono i temi più caratterizzanti? Se ce ne sono 
«L’immigrazione e l’integrazione. Per il resto le proposte sono tutte uguali: più sicurezza, meno tasse, più case popolari, meno inquinamento. Tutti parlano di periferie e di risanamento urbanistico. Se prendi un programma o un manifesto elettorale, levi la faccia e il nome del candidato, puoi farlo girare da Nord a Sud e andrebbe bene lo stesso. Quello che cambia può essere la credibilità di chi propone certe soluzioni. Ad esempio a Napoli De Magistris viene dato per favorito perché è già sindaco e gli elettori possono misurare la sua credibilità per le cose che ha già fatto o non ha fatto. Lo stesso a Torino. Nelle altre città, quelle più importanti come Roma e Milano, i candidati sono delle novità da mettere alla prova».

 Eppure proprio a Roma e a Milano ci sono due realtà politiche molto diverse. Lo stesso centrodestra è diviso e presenta baricentri opposti: più di destra nella capitale, più moderato nel capoluogo lombardo. A Roma poi tra i candidati più favoriti ci sono due donne molto caratterizzate politicamente, Virginia Raggi e Giorgia Meloni. 

«Sì è vero, ogni città ha alcune specificità e la sua storia, che dipende anche da come si è conclusa l’amministrazione precedente. Eppure nemmeno Raggi e Meloni hanno una proposta così forte e distintiva da consentire di svettare sull’altra. Idem per Roberto Giachetti. Ciò che ha distinto maggiormente la campagna elettorale è stato il tema dell’immigrazione. Un tema che potrebbe fare la differenza, anche in altre occasioni elettorali, compreso quella delle politiche. Ed è un tema che ha utilizzato e contraddistinto di più Meloni a Roma e Salvini come capolista della Lega a Milano. Vediamo in queste ultime battute di campagna elettorali chi saprà fare il coup de theatre. C’è un dato generale che bisogna avere in mente per capire la caratteristica di queste amministrative».

Un dato generale da Nord a Sud? 
«Sì, è un dato negativo che riscontriamo sempre nei sondaggi e che alimenta quella indecisione di cui parlavano all’inizio. Si tratta dello scetticismo, un sentimento che attraversa trasversalmente gli schieramenti. Gli elettori tendono a non credere più alle promesse. Se poi vengono dai partiti è ancora peggio. Non è un caso che in 18 città il 63% dei candidati si presenta con liste civiche. I cittadini si sentono lontano dai partiti e questo spiega la grande proliferare di liste civiche dietro le quali, in molti casi, si nascondono le classiche forze politiche».

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« Risposta #174 inserito:: Agosto 02, 2016, 04:59:42 pm »

Alfano: “Un partito dei moderati contro le sirene Salvini, Pd e M5S”
Il presidente del Nuovo Centrodestra: «A settembre ci sarà un’assembla nazionale.
Il tentativo di aggregazione di Parisi può avere successo, ma servono le primarie»


01/08/2016
AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Angelino Alfano sta lavorando a un’assemblea nazionale per dare vita al nuovo soggetto politico dei moderati. «Si farà a settembre. Vogliamo costruire un nuovo soggetto che dia rappresentanza a milioni di italiani. Stiamo lavorando con tanti movimenti territoriali. Non sarà un’aggregazione di sigle e gruppi dirigenti. Ci rivolgeremo ai quegli elettori di centrodestra che non vogliono andare dietro Salvini e Casapound. E che non si rassegnano a una sfida elettorale che veda protagonisti solo Pd e 5 Stelle». 
 
Sarete più chiari sulle alleanze? Il suo partito è diviso tra chi guarda a Berlusconi e chi a Renzi. Schifani si è dimesso da capogruppo chiedendo di passare all’appoggio esterno. Lupi guarda a Parisi e sostiene che Fi è tornata ad essere il perno dei moderati. Lo pensa anche lei? 
«Il tentativo di Parisi può avere un buon esito se sarà consacrato dalle primarie e se metterà i lepenisti in condizione di non nuocere. Lupi ha sempre avuto uno sguardo rivolto in quella direzione e altri amici fondatori del nostro partito, come Lorenzin e Cicchitto, hanno sempre manifestato maggiore perplessità. Il mio compito è stato e sarà di tenere tutti uniti su una linea chiara e condivisa: vinciamo il referendum in autunno e nel frattempo lanciamo il nuovo movimento che aggreghi i moderati che non accettano la leadership di Salvini e non intendono aderire al Pd. Dopo il referendum faremo il tagliando per darci la nuova rotta. Non è questo il momento di parlare di alleanze».
 
Il governo non gode di un ampio consenso. Il nodo rimane l’economia. Renzi garantisce che non ci sarà una manovra correttiva ma sostiene che i governi Letta e Monti hanno «disseminato di clausole di salvaguardia le vecchie finanziarie». Condivide? 
«Noi, non solo non faremo manovra correttiva, ma troveremo lo spazio per dare fiato all’economia. Siamo il governo che ha fatto passare il Pil da segno meno a segno più e che ha costruito le basi perchè il sud crescesse. Tutto questo non è accaduto per caso ma perchè abbiamo fatto le riforme liberali a cominciare dall’articolo 18 e dal sostegno per le nuove assunzioni. È vero, sono state inserite numerose clausole di salvaguardia che però non abbia utilizzato, anzi le abbiamo scongiurate. Quando furono introdotte servivano come paracadute che non fu e non è necessario aprire».
 
Se vince il Sì al referendum si voterà con l’Italicum e sarete costretti ad entrare o in una lista di destra o in una lista di sinistra. Se vince il No bisognerà fare una nuova legge elettorale con un governo di unità nazionale. Forse a voi converrebbe che vincesse il No. 
«Non scherziamo con le cose serie. Siamo impegnatissimi per il Sì che rappresenta per noi il compimento di una missione. Ora che questa missione si sta realizzando, secondo lei dovremmo tifare per la nostra sconfitta? Se vince il Sì saremo dalla parte dei vincitori e questo ci darà uno status politico straordinariamente importante. Se vince il No ne prederemo atto, ma il nostro lavoro per il Sì sarà effettivo in tutte le province d’Italia. Martedì parte l’iniziativa dei comitati per il Sì di tutti coloro che sostengono il governo pur non essendo del Pd».
 
Quali sono le sue proposte per modificare l’Italicum? 
«Lo abbiamo votato e non lo rinneghiamo. Siccome non è mai stato applicato, suggeriamo che si attribuisca il premio alla coalizione e non al singolo partito. Ma l’Italicum non ci spaventa: abbiamo dimostrato alle europee, alle regionali e alle amministrative di valere più di 1 milione di voti. Ricordo che elezioni in Italia si possono perdere per 24 mila voti. Consigliamo a Renzi di eliminare pure il doppio turno: con il tripolarismo il ballottaggio non garantisce omogeneità di programma ma solo l’unione di tutti coloro che sono contro il governo».
 
Sarebbe una legge fatta per impedire ai 5 Stelle di andare al governo. 
«Chi ha detto che al ballottaggio andrebbero Pd e 5 Stelle? A Milano i grillini non ci sono riusciti. Perché esclude in partenza una sfida tra Pd e una coalizione di moderati? La riaggregazione dei moderati, che può essere fatta anche con Parisi e Fi, potrebbe cambiare l’ordine delle cose. Si potrebbe realizzare come in Francia una sfida fra area socialista e area che aderisce al Ppe. In Francia si può verificare proprio questo scenario nonostante Le Pen al 25%, altro che Lega. L’unità dei moderati svuoterebbe il partito di Salvini, farebbe ritornare al voto molti elettori moderati delusi e riporterebbe a casa un po’ di elettori che hanno votato 5 Stelle nonostante fossero di centrodestra».
 
Lei parla di moderati, ma chi sono e quanti sono in Italia? 
«Secondo vari sondaggi vi è almeno il 40% di italiani che si autodefinisce moderato. Sono ancora molti milioni. Moderati significa essere pragmatici, non ideologici. I moderati sono quelli che si contrappongono, con soluzioni concrete, a coloro che sanno solo urlare»

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Da - http://www.lastampa.it/2016/08/01/italia/cronache/alfano-un-partito-dei-moderati-contro-le-sirene-salvini-pd-e-ms-r0I10BV4PK0zg2QiiVWzpK/pagina.html
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« Risposta #175 inserito:: Settembre 07, 2016, 11:28:04 am »

Renzi accelera su banche e Mps: “Soluzione prima del referendum”
Il premier: in Italia troppi bancari, entro dieci anni saranno più che dimezzati


03/09/2016
Amedeo La Mattina, Gianluca Paolucci
Inviati a Cernobbio (Como)

Vuole mettere in sicurezza la “grande malata” del sistema bancario italiano, Monte dei Paschi entro l’anno. Un concetto espresso dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e ribadito sempre da Cernobbio dal premier Matteo Renzi. Che poi, a margine, chiarisce meglio il concetto: «Quando dico entro l’anno mi riferisco ad una scadenza precisa: prima del referendum» sulla riforma costituzionale, previsto a fine novembre. Se vince il no, spiega il premier, si apre una stagione di instabilità, il quadro politico cambia gli investitori privati non investirebbero. Con forti rischi per l’intero sistema. «Ma non credo cambi il quadro perché vincerò il referendum», precisa poi.

I prestiti difficili 
Il tema bancario ha tenuto banco nella prima giornata del Workshop Ambrosetti. Padoan, nella parte riservata del suo intervento, ha voluto «dissipare i dubbi e le percezioni sbagliate», riferiscono alcuni partecipanti. Se c’è un problema, ha chiarito il ministro, è limitato ad alcuni istituti, in pratica uno solo. Ovvero proprio Mps. Il tema dei prestiti “difficili” in pancia alle banche italiane, sempre secondo Padoan, va ridimensionato. Sento fare la cifra di 360 miliardi, ha ribadito il ministro, ma dobbiamo scendere di parecchio, la cifra reale è molto più piccola.

Troppi dipendenti e filiali 
Anche Renzi ha voluto ribadire la solidità del sistema bancario, aggiungendo però l’argomento della necessità di una sua profonda ristrutturazione. Troppe banche («devono aggregarsi»), troppe poltrone e filiali e anche troppi dipendenti. Il problema, ha detto premier secondo quanto riferito, è che il numero di 328 mila bancari (tanti sono i dipendenti delle banche italiane) è sproporzionato. Secondo il premier, il mondo è cambiato anche nei servizi finanziari ed usa un’immagine familiare per descriverlo, portando ad esempio sua moglie che se prima si recava in filiale oggi fa tutto dallo smartphone. E da qui a 10 anni ci saranno 150 mila, 200 mila bancari.

«C’è stata una grande sottovalutazione a mio avviso negli anni scorsi della questione bancaria - ha detto Renzi nel suo intervento - non tanto e non solo da parte della politica ma anche da una parte del gruppo dirigente del paese nel quale inserisco i politici, ma anche altri settori, l’università, l’accademia, i professori, i banchieri, gli imprenditori, i giornalisti». Per quanto concerne i politici, secondo il premier, «hanno pensato di avere un impatto sulle banche mentre l’Europa si orientava verso un altro modello: ogni riferimento a Montepaschi e alle banche popolari è puramente voluto». Ma, ha aggiunto Renzi, «siamo intervenuti per garantire delle regole corrette, ora ci sono le condizioni per affrontare l’argomento in maniera definitiva».

L’operazione Siena 
Il tema più caldo è però quello di Mps, che ha annunciato di liberarsi di tutti i suoi crediti dubbi (sofferenze) per un controvalore di oltre 27 miliardi, con un rafforzamento patrimoniale da circa 5 miliardi di euro. Un’operazione «complessa» quella sul Monte di cui però si è detto sicuro del successo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan che ha escluso l’eventualità di un piano B, circolata nelle settimane scorse sulla stampa. 

Da sempre indicato come vicino al premier e attento per dovere professionale ai temi bancari, non ha mancato di far arrivare il proprio commento Positivo alle parole del premier.

Il fondo Algebris 
L’Italia, ha detto il fondatore del fondo Algebris, era «tra gli ultimi della classe, abbiamo iniziato a fare le riforme e siamo tornati ad essere nel gruppo». Il giudizio, ha aggiunto Serra, lo ha dato la platea «con un applauso scrosciante di oltre 2 minuti».

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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/03/economia/renzi-accelera-su-banche-e-mps-soluzione-prima-del-referendum-gwqEl9P6KR4MeYaAu3r0dI/pagina.html
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« Risposta #176 inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:47:23 pm »

“La manovra è in ritardo”, tempesta alla Camera
Montecitorio: sorpresa e delusione. Mattarella firma il decreto. Le opposizioni: una forzatura inserire alcune norme sul Fisco

23/10/2016
Amedeo La Mattina
Roma

Si annunciano giorni molto burrascosi alla Camera. Non solo l’opposizione, ma anche una parte del Pd considera una forzatura quella del governo di avere inserito nel decreto fiscale alcune norme, come la chiusura di Equitalia e rottamazione delle cartelle esattoriali, che dovrebbero essere contenute nella legge di bilancio. Non è un tecnicismo per addetti ai lavori. I risvolti sono finanziari e anche politici, con una ricaduta sul referendum costituzionale. 

Il decreto prevede sia misure relative al 2016 che interventi i cui effetti ricadranno sulla manovra triennale 2017-19. È chiaro, spiegano pure fonti della maggioranza, che rottamare oggi le cartelle esattoriali per decreto, e quindi con valore esecutivo di legge, accarezza chi ha problemi con il Fisco e il 4 dicembre si troverà dentro una cabina a segnare una croce sul Sì o sul No. E questo, osservano i 5 Stelle e nel centrodestra, va ad aggiungersi alle altre misure e bonus elettorali. Ma in questo caso c’è un problema in più. La riforma di bilancio è stata votata dall’80% di deputati e senatori. Un accordo a larghissima maggioranza (cosa più unica che rara in Parlamento). Tra l’altro, vista la novità rispetto agli anni passati, erano stati dati più giorni al governo per presentare la legge di bilancio. Il termine scadeva il 20 ottobre e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi non l’ha presentata. 

Le reazioni 
Sentendo la bufera che gli sta arrivando addosso, la presidente della Camera Laura Boldrini ha messo le mani avanti e ha fatto filtrare la sua «sorpresa e delusione» per la tempistica dell’approdo della legge di bilancio a Montecitorio. Viene precisato che la legge, nella sua nuova definizione, dovrebbe sempre rispettare i tempi previsti. Si sperava in un esordio più puntuale. L’auspicio della presidenza della Camera è che il ritardo non si protragga ulteriormente. Dai collaboratori del ministro Boschi nessun commento alla reazione della Boldrini. Da Palazzo Chigi altrettanto fanno finta di niente. Intanto ieri il presidente della Repubblica ha firmato il decreto fiscale, passando la parola a Montecitorio. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta aveva chiesto a Mattarella di non firmarlo e di rispedirlo al mittente. «Va salvaguardato il Parlamento. Basta con queste insopportabili violenze da parte del governo Renzi». Brunetta assicura che «il Parlamento rispedirà al mittente «la violenza incostituzionale di Renzi-Padoan». Ha pure spiegato che la grande accelerazione delle ultime ore pare sia stata imposta dal fatto che, «dopo gli irresponsabili annunci di Renzi sulla chiusura di Equitalia e sulla rottamazione delle cartelle esattoriali, nell’ultima settimana ci sia stato un calo spaventoso e senza precedenti nella riscossione delle tasse e dei tributi: un collasso del gettito fiscale». Ed ecco l’avvertimento di Brunetta che preoccupa la Boldrini. «Nella discussione parlamentare non sarà possibile analizzare il bilancio prossimo triennale prima che si capisca a quanto ammontano gli effetti finali del decreto fiscale». 

Il dibattito in Parlamento 
Il pericolo è che si allunghino all’infinito i tempi del dibattito parlamentare, moltiplicando i rischi di imboscata. E a Brunetta che parla di «roba da dittature sudamericane e di attentato alla Costituzione», fa eco la Sinistra italiana. Secondo Arturo Scotto la legge di bilancio arriverà alla Camera non prima di mercoledì, oltre quanto stabilito dalle norme votate tre mesi fa. «Non si permetta il governo di imporre una tabella di marcia incompatibile con i diritti delle opposizioni». E poi, aggiunge Scotto, «Equitalia non chiude, cambia solo nome. Un po’ come nel film di Checco Zalone con le province che si trasformano in città metropolitana». Anche la sinistra Pd storce il naso ma finora non ha parlato. Il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia dice che «le regole vanno rispettate, a maggior ragioni se sono state votate da maggioranza e opposizione». E si riferisce al fatto che nel decreto fiscale non possono essere inserite misure che hanno impatto per il triennio 2016-19. Ora tutto questo esploderà nella mani della Boldrini.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/23/economia/la-manovra-in-ritardo-tempesta-alla-camera-pqsChBoWyPEgHAEYyCLubN/pagina.html
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« Risposta #177 inserito:: Dicembre 17, 2016, 03:06:00 pm »

Renzi detta la linea: “Il governo non ha agenda, il Jobs Act è intoccabile”
Nel Pd la tentazione di cambiare la riforma del lavoro, ma l’ex premier: non si può dire “abbiamo scherzato”

Pubblicato il 15/12/2016
AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Il Jobs Act non si tocca. Reintrodurre l’articolo 18 sarebbe come dire “ragazzi abbiamo scherzato”. Il giorno dopo arriverebbe un downgrading per l’Italia dalle agenzie di rating». Matteo Renzi mette uno stop ad ogni ipotesi di rivedere la legge che è stata una delle bandiere dei suoi oltre mille giorni di governo. Una revisione che potrebbe disinnescare la bomba ad orologeria del referendum chiesto dalla Cgil con 3,3 milioni di firme raccolte e sul quale l’11 gennaio si pronuncerà la Corte Costituzionale. Nessuno però dubita che ci sarà il via libera della Consulta, dopo quello della Cassazione. 
 
Per Renzi si tratterebbe di andare incontro ad una seconda prova referendaria alla testa di un nuovo fronte che questa volta sarebbe del No all’abrogazione del Jobs Act. Il rischio sarebbe di una seconda sconfitta nell’arco di pochi mesi dopo quella del referendum costituzionale. Una catastrofe che renderebbe velleitaria ogni ipotesi di rivincita alle elezioni politiche. Certo, confida Luca Lotti, si potrebbe adottare il «modello trivelle» quando a quel referendum Renzi puntò tutto sull’astensione, facendo mancare il quorum. Con l’aria che tira, un’operazione ad altissimo rischio. Ci sarebbe l’altra strada che viene accarezzata una parte del Pd (sicuramente dalla sinistra Dem) ovvero provare a modificare il Jobs Act, svuotandolo. Facile farlo per i voucher, molto più difficile per l’articolo 18. In ogni caso sarebbe una sconfessione di un architrave del renzismo. E infatti da Pontassieve l’ex premier dice no ad una marcia indietro.
 
Dario Franceschini, che vorrebbe allungare al massimo la vita governo Gentiloni, non crede che l’obiettivo di Renzi sia di andare a elezioni entro giugno anche per evitare il referendum. Obiettivo che invece viene confermato dallo stesso ex premier, sfidando centinaia di deputati e senatori di prima nomina che vorrebbero arrivare quantomeno a settembre per traguardare quei fatidici 4 anni, 6 mesi e 1 giorno che farebbero maturare loro il diritto all’indennità pensionistica. Ma al di là di questi aspetti «prosaici», c’è un punto politico: Renzi ha fretta. «Sapevo che il referendum ci sarebbe caduto addosso - ha ricordato ai suoi colonnelli rimasti a Roma - e ora andare al voto è ancora più necessario». Del resto, è il suo ragionamento, qual è l’agenda del governo Gentiloni? «Un po’ di roba, ma non c’è un’agenda impegnativa», ha detto ai suoi più stretti collaboratori che lo hanno sentito al telefono in queste ore. 
 
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha confessato che se si vota prima del referendum il problema viene risolto. Poi ha fatto una goffa retromarcia. E nel primo Consiglio dei ministri dopo la fiducia del Parlamento ha ammesso di avere fatto «una scivolata personale». Ma intanto la frittata è stata fatta. In ogni caso Poletti ha detto quello che pensa Renzi. «Ha ragione Poletti, ma gli è sfuggita», ha commentato al telefono con i vertici del Pd. L’ex premier non vuole farsi inchiodare da coloro che puntano al vitalizio ed essere crocifisso da Grillo e Salvini: avrebbero un’altra lancia velenosa da scagliargli addosso. 
 
Il leader Pd pensa invece a rimettersi in moto al più presto. In questi giorni va a fare la spesa, porta i figli a scuola, ha il tempo di farsi una corsa, ma sta pure scrivendo quella che lui definisce una «relazione corposa» per l’assemblea nazionale del Pd che si svolgerà domenica prossima. Una relazione per rilanciare la sua azione politica in vista del congresso e la sua ricandidatura alla segreteria. Un discorso duro per mettere con le spalle al muro la sinistra dem. Altro, dicono i suoi colonnelli, che fare marcia indietro o impelagarsi nelle beghe romane dalle quali vuole tenersi lontano. Eppure non smette di alimentare la suspence sulle sue vere intenzione. Mollare la politica e prendersi un periodo di riposo? Racconta di ricevere offerte di lavoro milionarie anche da parte di aziende private. E a 41 anni la tentazione di ricominciare un’altra vita, da un’altra parte è forte. C’è una cosa che non riesce a mandare giù: non gli viene riconosciuto da diversi osservatori il merito di avere fatto del bene al nostro Paese.
 
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« Risposta #178 inserito:: Dicembre 19, 2016, 04:04:36 pm »


Perché il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia
Una parte del partito vuole convincere Berlusconi a sostenere la proposta di Renzi

Pubblicato il 19/12/2016 Ultima modifica il 19/12/2016 alle ore 11:57
Amedeo La Mattina
Roma

La proposta lanciata da Renzi di recuperare il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia. A rispondere sì finora sono stati Salvini e Meloni: a loro conviene tenere in vita l’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali (il Mattarellum ne prevede fino al 75%, il resto è proporzionale). È l’idea di una coalizione di destra-centro con a capo il leader della Lega, che in questo modo potrebbe eleggere parlamentari anche al Sud dove i voti per il Carroccio scarseggiano. Voti ai suoi candidati nei collegi uninominali che dovrebbero venire da Forza Italia. Ecco perché Berlusconi e una parte del suo partito, quella del Sud, sono contro il Mattarellum.

Il Cavaliere, che è nato politicamente maggioritario, ora si è convertito alle virtù del proporzionale. È solo un modo per tenersi le mani libere e non dare a Salvini la chance di scalare il centrodestra (e non dare i voti azzurri, pochi o molti che siano, ai candidati leghisti o fratelli d’Italia. Mani libere per poter magari dopo il voto sostenere un governo delle larghe intese con il Pd ed evitare che a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle. Quei 5 Stelle che sono stati gli unici a non difendere Mediaset da Vivendi, anzi a sostenere che non sarebbe un problema se l’azienda del Biscione venisse sbranata dai francesi. Dunque tutto per bloccarli.

Il punto è che c’è una parte di Forza Italia che vuole convincere Berlusconi a sostenere il Mattarellum. È vorrebbero convincerlo con l’allargamento della quota proporzionale fino al 50%. In questo modo si salverebbe la colazione nei collegi uninominali ma allo stesso tempo ogni partito avrebbe la possibilità di eleggersi i suoi esponenti nell’ampia parte proporzionale. 

A lavorare a questa ipotesi sono il capogruppo Romani è il governatore ligure Toti, con il sostegno di tutti i parlamentari azzurri del Nord. Ed è facile capire il perchè: sono loro che ne avrebbero un vantaggio in quei colleghi dove la Lega è forte e nel Nord lo è in Lombardia e Veneto. Discorso opposto invece per i parlamentari del Sud che sarebbero costretti a ricambiare offrendo il loro sangue elettorale e di consensi. È infatti sono sul piede di guerra e spingono sul pedale del proporzionale, sperando che Berlusconi tenga ferma la sua posizione.

 

Ma le posizioni di Berlusconi cambiano con grande rapidità e in relazione alle convenienze del momento. A parte il fatto che il Cavaliere adesso ha ben altro e di più importante cui pensare come la vicenda della scalata di Vivandi a Mediaset. Il punto è che c’è una guerra in atto tra i parlamentari del Sud contro quelli del Nord che vogliono come Salvini e Meloni il Mattarellum. In attesa che il capo ci metta un po’ la testa e capisca che allargando la quota proporzionale e tenendo i collegi per l’alleanza si salverebbe capra e cavoli. 

Renzi sa bene quale sia il problema nel centrodestra e sta giocando la carta Mattarellum per compattare il Pd e mettere alla prova il centrodestra, a cominciare da Berlusconi che fa finta di volere le elezioni anticipate. Già avere dalla sua parte Lega e Fdi è un buon risultato. Ora aspetta Berlusconi. Resterebbero fuori i 5 Stelle alle prese con il caos di Roma.

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« Risposta #179 inserito:: Gennaio 18, 2017, 06:02:00 pm »

Perché il centrodestra è a rischio estinzione
Non c’è ancora accordo sulle primarie. E continua lo scontro tra Berlusconi e Salvini

Pubblicato il 13/01/2017
Ultima modifica il 13/01/2017 alle ore 12:05
AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Il centrodestra in via di estinzione come un mammut. Forse potrà sopravvivere a livello locale: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia dovrebbero presentarsi in coalizione alle elezioni amministrative di primavera dove si voterà in quattro Comuni capoluogo e ventidue capoluogo di Provincia. Alle politiche si preannuncia un disastro. Se non ci saranno le primarie per decidere chi guiderà la locomotiva o se non sarà Matteo Salvini a fare il capo macchinista, i «sovranisti» che guardano alla Le Pen andranno per conto loro. E a loro si accoderanno gli ex Msi-An-Destra sociale Alemanno e Storace. 

Lo scontro Salvini-Berlusconi 
La situazione interna al centrodestra è andata ben oltre le sole questioni politiche. E finché le divergenze riguardavano la legge elettorale e perfino la leadership del centrodestra, Silvio Berlusconi ha fatto quasi finta di niente. «Fatelo parlare, non polemizzate con Salvini, da solo non va da nessuna parte», è l’indicazione che dà ai suoi colonnelli. Il Cavaliere invece serra nervosamente la mascella e socchiude gli occhi come un alligatore quando il rumoroso capo della Lega tocca i fili dell’altra tensione, quelli della scalata a Mediaset da parte di Vivandi. Ed è proprio quello che ha fatto Salvini. «Non sarebbe uno scandalo se i francesi dovessero comprare Mediaset che non è un’azienda strategica per il Paese». Tra l’altro, sostiene Matteo, i quattrini di Bollorè potrebbero far comodo a Berlusconi che così risolverebbe i suoi problemi con i figli. Apriti cielo! Problemi tra il patriarca e i cinque figli?
 
La strana alleanza tra i due Matteo 
«Come si permette, come osa mettere il becco nelle nostre cose di famiglia», hanno gridato all’unisono Marina e Piersilvio, mettendo il padre ancora di più di cattivo umore. Sembra che il Cavaliere abbia perso le staffe e usato nei confronti di Matteo alcuni epiteti irriferibili. Ma intanto Salvini continua a lavorare alla sua Opa del centrodestra e spinge in tutti i modi per elezioni anticipate, facendo da sponda a Matteo Renzi. I due Matteo si sono sentiti al telefono un paio di volte tra durante le festività natalizie e sembra che il loro cellulari siano squillati pure ieri. Entrambi puntano a un Mattarellum reso più proporzionale e ad accelerare verso le urne. «Io e Renzi abbiamo un interesse comune, anche generazionale: se non si vota entro giugno saremo rosolati», è il ragionamento di Salvini che attribuisce a Berlusconi, Mattarella e la sinistra Dc guidata da Franceschini l’obiettivo di mantenere lo status quo. 
 Le bordate della Lega a Forza Italia 
Al Cavaliere che attende la sentenza di Strasburgo (tra luglio e settembre) per essere riabilitato e ricandidarsi, Salvini non risparmia più nulla. Non perde occasione per bombardare Arcore da tutti i lati. Dice che il Cavaliere «inciucia», che parla bene di Gentiloni e Mattarella, vota il salva-banche («20 miliardi regalati»). «Oggi siamo lontanissimo, non è il Berlusconi che ricordavo». Tajani, in pole position per la presidenza dell’Europarlamento. è «un servo di Bruxelles». «Se Berlusconi non condivide il nostro programma per uscire dall’euro e controllare i confini, un’alleanza è impossibile».
 
Silvio alla ricerca di un leader 
Il centrodestra è in coma e solo un miracolo potrà farlo tornare a vivere come una volta. Solo che Berlusconi vorrebbe il sistema proporzionale per tenersi le mani libere e fare la grande coalizione dopo il voto politico. Cambio generazionale? Candidatura alla premiership del centrodestra? Il Cavaliere non ha mai cambiato idea su Salvini e Meloni e ripete quello che aveva detto in occasione della rottura nelle comunali di Roma: «Quei due non sarebbero in grado di amministrare un condominio». Tagliente il giudizio di Salvini su Berlusconi: «Ormai inciucia per avere protezioni molto in alto, non solo al Quirinale, ma anche da Mario Draghi. È lui ormai il nuovo punto di riferimento in Europa per tenere in piedi il governo oggi e per evitare che in futuro a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle o un centrodestra rinnovato dalle fondamenta, con un programma che non fa sconti all’Europa».

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