LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. => Discussione aperta da: Admin - Gennaio 11, 2008, 10:07:28 am



Titolo: AMEDEO LA MATTINA.
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2008, 10:07:28 am
11/1/2008 (6:44) - IL RETROSCENA

I "nanetti" accerchiano Veltroni
 
Fabio Mussi, leader di Sd e Franco Giordano, segretario del Prc

Legge elettorale, i piccoli ottengono minivertice. Scintille Prodi-Walter

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Quando si sono messi tutti seduti, il vertice di maggioranza sembrava un convegno: undici delegazioni, ognuna con il suo segretario e due capigruppo, più mezzo governo. L’immagine plastica della frammentazione del centrosinistra che ha fatto dire a Veltroni con tono sarcastico: «Erano sei anni che non partecipavo a una riunione come questa e vedo che il tavolo si è allungato e il numero dei partiti è aumentato...». «Per la verità - gli ha replicato ironico Franco Giordano - quattro dei nuovi partiti che sono qua li hai generati tu facendo il Pd».

Sorrisetto malizioso degli scissionisti Mussi e Dini. Boselli che sta facendo la costituente socialista con l’ex Ds Angius non ha mosso un muscolo. Ha fatto finta di niente l’altro scissionista Manzione, che si è presentato a Palazzo Chigi con la casacca dell’Unione dei democratici, insieme a Bruno De Vita, segretario dei Consumatori uniti. Il quale De Vita si è messo discettare a lungo di economia al punto che il capogruppo alla Camera del Pdci Sgobio ha sussurrato all’orecchio del presidente dei deputati Democratici Soro: «Comincio a pensare che avete ragione voi che volete eliminare i “nanetti”», ha concluso con autoironia Sgobio.

Sono stati proprio i «nanetti» a dare battaglia sulla legge elettorale, nonostante non fosse all’ordine del giorno, chiedendo che la maggioranza assumesse una posizione unitaria prima di approvare la bozza Bianco come testo base. Veltroni si è opposto a una soluzione del genere. «Non è questo - ha detto Veltroni - il metodo giusto. Se vogliamo trovare una maggioranza ampia in Parlamento per le riforme, bisogna discutere con l’opposizione. Se ci blindiamo salta tutto». Alla fine, dopo un lungo braccio di ferro, Prodi ha suggerito di riunire i capigruppo. Infatti la riunione si farà martedì prossimo e parteciperà per il governo il ministro per il riforme Chiti. Per i piccoli è già qualcosa ma il segretario del Pd ha avvertito che sarà difficile trovare «una condivisione al 100% di tutto il centrosinistra».

Ma c’è stata anche un’altra questione che ha molto irritato Veltroni. Nella sua introduzione Prodi ha indicato gli impegni per il futuro, e oltre all’aumento del potere d’acquisto, ha citato le riforme istituzionali, la legge elettorale, il conflitto di interessi e la riforma della Rai. Ecco, questi ultimi due argomenti per Veltroni, messi sul tavolo adesso sono una «zeppa» al dialogo con Berlusconi. A quanto riferiscono i bertinottiani, ne ha parlato con Giordano e anche il segretario del Prc condivide l’irritazione del sindaco di Roma: ora che la trattativa con il Cavaliere è in zona Cesarini, Prodi cerca di mettere i bastoni tra le ruote. Ma questo malumore è stato volutamente tenuto fuori dal salone di Palazzo Chigi. Uno scontro c’è stato invece sulla necessità posta dai piccoli di «blindare» la maggioranza sulla legge elettorale.

È stato Boselli a chiedere di affrontare il tema. Prodi ha cercato di stopparlo dicendo che si sarebbe parlato solo di economia. Si è subito unito il fronte di quelli che temono di essere falcidiati: Mastella, Di Pietro, Pecoraro Scanio hanno insistito. Mentre Mussi ha detto: «Vorrei evitare che abbiamo iniziato a parlare di salari e finiamo per litigare sulla legge elettorale». Per la Finocchiaro i tempi sono stretti e se si vuole evitare il referendum bisogna subito approvare la bozza Bianco. «No - ha replicato Fabris dell’Udeur - non possiamo andare avanti se prima non risolviamo questo problema. I due argomenti si tengono insieme». «Allora facciamo due tavoli, pensiamoci in un altro momento», ha proposto Mussi. Alla pausa panino Di Pietro si è avvicinato a Mastella e gli ha detto: «Questi ci vogliono fregare». «Finalmente te ne sei accorto - gli ha risposto il ministro della Giustizia - tu che hai sempre detto di essere disposto a sacrificarti per semplificare il quadro politico».

Di Pietro e Mastella si riuniscono in una saletta e vengono raggiunti da Boselli e Pecoraro Scanio. Decidono di non demordere: non si esce dal vertice se non si strappa un incontro di maggioranza prima del voto sulla bozza Bianco. Così, alla ripresa del vertice, i «nanetti» tornano alla carica e interviene Veltroni che ribadisce la logica secondo cui le riforme si fanno con l’opposizione. Prodi suggerisce di far incontrare solo i capigruppo, senza il coinvolgimento del governo («potrebbe sembrare un’indebita pressione sulla Consulta).

da lastampa


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi insospettito dalle mosse di Fini
Inserito da: Admin - Novembre 10, 2008, 10:16:49 am
10/11/2008 (8:26) - IL CASO

La bicamerale resta al palo
 
Forza Italia tira il freno e An si divide.

Berlusconi insospettito dalle mosse di Fini

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Nel centrodestra ora tutti si chiedono cosa c’è dietro la mossa di Fini, che ha proposto, insieme a D’Alema, una commissione bicamerale per il federalismo fiscale. La risposta che va per la maggiore non si ferma al dato tecnico (è utile o non è utile?), ma allunga lo sguardo ai progetti politici del presidente della Camera e dell’ex premier: entrambi si tengono la mano e si candidano alla leadership dei rispettivi schieramenti.

Il più diffidente è il premier, che mette in fila tutti gli smarcamenti di Fini. Ha criticato il governo per l’eccessivo uso dei decreti. Ha sostenuto che prima vengono le riforme costituzionali e poi il nuovo regolamento parlamentare, al quale invece Berlusconi tiene tantissimo per rendere più veloci l’iter delle leggi. Era pronto a concedere il voto segreto sulla nuova legge elettorale europea, costringendo il Cavaliere a ritirarla. E’ di questi ultimi giorni poi la polemica sulla Finanziaria arrivata in aula senza che sia stato discusso un solo emendamento: Berlusconi ha minacciato di mettere la fiducia e Fini ha replicato che sarebbe «politicamente deprecabile». Ora c’è questo asse con D’Alema riemerso con forza l’altro giorno al convegno promosso ad Asolo dalle Fondazione finiana FareFuturo e da quella dalemiana Italianieuropei.

Questa lettura «maliziosa» delle sue mosse fa sorridere il presidente della Camera. «Ma per carità... Intanto non è stata proposta nessuna Bicamerale come quella di D’Alema del 2001, ma un percorso per agevolare l’approvazione del federalismo tanto caro alla Lega. Il rischio - secondo Fini - è che i decreti attuativi del federalismo fiscale si arenino nel passaggio attraverso dodici commissioni, sei alla Camera e sei al Senato». «È un modo per dare una mano al governo», conferma l’ex presidente della Camera Violante. Si tratta semplicemente di una proposta «tecnica», spiegano i collaboratori di Fini: è piuttosto strano che tutti si siano messi paura nel sentire parlare di «bicamerale» e non hanno invece tenuto conto dell’altro tema «veramente politico» rilanciato ad Asolo, cioè la bozza Violante. Per la verità Bossi questo altro tema non se l’è fatto sfuggire e ha subito detto che questa bozza sulle riforme costituzionali è già «superata». E in questa direzione ieri il vicecapogruppo del Pdl al Senato Quagliariello ha annunciato che verrà varata nei prossimi giorni «una nuova proposta» su federalismo e riforme.

Comunque, aggiungono ai piani alti di Palazzo Montecitorio, ci sarà un emendamento ispirato da D’Alema per istituire una commissione bicamerale: se verrà bocciato «amen e auguri a chi dovrà affrontare le forche caudine delle dodici commissioni parlamentari». A sparare contro la proposta Fini-D’Alema sono in tanti nella maggioranza, a partire dal ministro Brunetta: «C’è già una bicamerale che riguarda le Regioni. Non vedo la necessità di altri organismi». Per il deputato Pdl Osvaldo Napoli «il federalismo può essere discusso nelle sedi parlamentari proprie: una Bicamerale avrebbe senso per elaborare i principi della riforma, ma questo lavoro, grazie a Calderoli, è stato fatto con i Comuni e le Regioni».

Un mezzo stop arriva anche dal capogruppo Pdl del Senato Gasparri, esponente di An: «Ben venga tutto ciò che accelera e semplifica le decisioni. Gli organismi esistenti possono essere rafforzati, più che duplicati». Un altro esponente di An, Italo Bocchino, è invece d’accordo con la proposta di Fini e D’Alema: «Non deve destare scandalo l’idea di affidare il delicato compito ad una commissione ad hoc, che eviti la palude dell’esame da parte di numerosi organismi». «Avremo tempo per pensarci», ha dribblato La Russa occupato con le celebrazioni del 4 Novembre. Ma la priorità non è il federalismo fiscale: «Con tutto il rispetto per la Lega - ha osservato Casini - bisognerebbe pensare a dare ossigeno alle famiglie che non arrivano alla fine del mese».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA «Ma ci sono nodi veri, semplicistico accusare complotti»
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2008, 09:49:27 am
5/12/2008 (7:39) - GUERRA TRA I DEMOCRATICI

D'Alema: lo direi se non volessi Walter
 
 
«Ma ci sono nodi veri, semplicistico accusare complotti»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


L’ultima puntata dell’antica lotta tra Veltroni e D’Alema è di ieri. Ma a complicare tutto nel Pd ci sono i casi giudiziari di Napoli e Firenze, con Veltroni che si aspetta le dimissioni di Bassolino. Ma cominciamo dall’ultima puntata che nasce dal lamento di un dalemiano alla «Stampa» dell’altro giorno. Un «anonimo» parlava di Veltroni come di un segretario-dittatore che sottobanco tratta con Berlusconi sulle nomine Rai e la legge elettorale europea. Veltroni non sopporta più questo logoramento continuo proprio mentre l’attacco a Berlusconi, a suo parere, sta cominciando a dare i primi frutti. Così, in un’intervista a «Repubblica», dice «basta ai veleni e agli attacchi anonimi». Chi vuole un nuovo leader esca allo scoperto e alla direzione del 19 dicembre sollevi il problema.

«Sono pronto a mettermi in gioco. Ma se nessuno pensa che il nostro problema sia la leadership, allora chiedo a tutti il massimo della coerenza». Metodi dittatoriali? «Se ho un difetto è quello di essere troppo tollerante». Non fa nessun nome, Veltroni, ma tra i veltroniani l’indice è puntato contro il senatore Nicola Latorre. La risposta di D’Alema è a doppio taglio. L’ex premier dice che la sfida di Veltroni non è rivolta a lui: «Il giorno in cui ritenessi che deve lasciare la guida del Pd, lo direi a lui direttamente e poi in pubblico». Prima getta acqua sul fuoco. Precisa di non volere «insidiare» il segretario o una conta interna. Dopodiché chiede di affrontare i «problemi seri», non esorcizzandoli o «dando la colpa a oscuri complotti». Sarebbe una risposta «semplicistica»: ci sono anche «nodi reali», a cominciare dalla costruzione del partito, dalle regole e dal governo dei conflitti in periferia, compresi quelli di «costume».

Ecco, più che una conta temuta, gli avversari di Veltroni vogliono un confronto politico. Rutelli confida in una relazione del segretario «alta e concreta, e il partito gli conferirà sostegno e fiducia». Ma Veltroni alla Direzione vuole anche una sorta di voto di fiducia nei suoi confronti. Non vuole continuare a fare, per usare la metafora di Arturo Parisi, il «giovane supplente che ognuno di noi ha incontrato nella sua vita di studente: più grida “basta” e più alimenta il caos». Per Parisi è il momento di «resettare», come se il Pd fosse un computer: spegnere e riaccendere. In altre parole, Veltroni si dimetta e convochi l’assemblea costituente, che «è l’unico organo veramente eletto: solo in questa sede è possibile l’unica conta democratica». Ma Parisi non dimentica che nel «disfacimento» del Pd un ruolo importante ce l’hanno le vicende giudiziarie di Firenze e Napoli.

«Senza dimenticare Roma che ci possiamo trovare nella calza della Befana», aggiunge l’ex ministro della Difesa. Veltroni dice che c’è una questione morale nella vita politica italiana e ammette che «il Pd non è al riparo». La prossima settimana Veltroni incontrerà la Iervolino e Bassolino. Al quartier generale del Pd spiegano che non verranno chieste le dimissioni del sindaco e del governatore. Certo, aggiungono alti esponenti della segreteria, sarebbe un grande servizio al partito, se le dimissioni arrivassero spontanee. Bassolino non aveva detto che finita l’emergenza rifiuti si sarebbe dimesso? Spetta a lui portare a termine questo impegno. Detto questo per Veltroni non c’è nessuno scambio sottobanco tra le dimissioni di Bassolino e un seggio per l’Europarlamento. E in ogni caso non c’è una questione morale nel Pd, ma singoli casi. Quanto a Napoli, dicono i suoi collaboratori, serve «un cambiamento profondo, una rottura con il passato, un segno di forte discontinuità». La Iervolino risentita vorrebbe capire di cosa è accusata. «Ho le mani pulite. Se ci sono reati commessi da qualcuno, lo dicano, perché lo allontaniamo. Se ci sono però problemi politici, lo dicano e dicano pure quali sono e quali alternative hanno perché il vinavil a Rosetta non si addice».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora la Lega si prepara alla battaglia del Nord
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2009, 11:13:46 am
29/3/2009 (7:33) - NASCE IL PDL - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Ma il Carroccio stoppa Gianfranco
 
D'Alema apre: raccogliamo la sfida sulla Costituente

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Nel Pd osservano che le posizioni apprezzabili di Fini sono destinate a cadere nel vuoto perché nel Pdl comanda solo Berlusconi. E se il premier si azzarda a sostenere il referendum elettorale, un minuto dopo Bossi stacca la spina del governo: quindi, non lo farà mai. E che Bossi staccherebbe la spina lo assicurano anche i leghisti. Tra i Democratici c’è chi come il deputato Andrea Sarrubbi è convinto che Fini e Berlusconi stiano giocando al poliziotto buono-poliziotto cattivo. E chi come Bersani pensa che abbia smontato «gli architravi delle politiche di Berlusconi». D’Alema invita il centrosinistra a raccogliere «la sfida lanciata da Fini di una stagione costituente»: «Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto». Ma gli applausi che vengono dal Pd non sono unanimi, cioè non tutti abboccano all’amo della dialettica interna al nascente Popolo della libertà.

Sono in molti, anche vicino al segretario Franceschini silente in Cile, che, pur apprezzando le affermazioni di Fini, osservano la «solitudine» in cui si muove la terza carica dello Stato. E lo dicono con rammarico. I Democratici non sparano, come fa Di Pietro secondo cui il presidente della Camera è «un furbetto che sta con due piedi in una scarpa». Affermano invece che le sue parole sono «velleitarie, testimoniali, soverchiate dall’asse Berlusconi-Fini» (Franco Monaco). Spiega Francesco Garofani, uno dei più stretti collaboratori del segretario Pd: «Nel Pdl comanda solo Berlusconi, mentre Fini si trova in una situazione di splendida solitudine. Le sue posizioni purtroppo non lasciano tracce, non vengono seguite nemmeno dai “colonnelli” di An». Quanto alla Lega, di referendum e bipartitismo non vuole sentirne parlare. Calderoli osserva che la grande sfida è fare le grandi riforme incompiute del Paese. La prossima settimana lui e Bossi incontreranno i capigruppo della maggioranza e subito dopo quelli dell’opposizione per illustrare il testo di riforma costituzionale che il governo intende presentare.

Insomma, «delle due l’una: o si crede nelle riforme e il referendum allora è solo un costoso esercizio accademico. Oppure si rinuncia per sempre alla possibilità di ridurre il numero dei parlamentari, cancellare il bicameralismo perfetto, rafforzare i poteri del governo e quelli del Parlamento». Del resto, aggiunge Roberto Cota, con gli effetti del referendum non si danno più poteri ai cittadini: «Anzi, l’effetto sarebbe contrario, perché non vengono introdotte le preferenze e si avrebbe un listone unico bloccato». Insomma, per il capogruppo leghista il referendum viene presentato «in maniera truffaldina»: «E poi nel programma di governo ci sono le riforme e non il referendum». La Lega, comunque, non è preoccupata delle posizioni di Fini, che a via Bellerio sono definite «minoritarie sul versante immigrazione e suicide su quello referendario».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora la Lega si prepara alla battaglia del Nord
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2009, 10:50:20 am
30/3/2009 (7:10) - IL CASO

Ora la Lega si prepara alla battaglia del Nord
 
Scontro per le candidature in Lombardia, Veneto e Piemonte

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Dopo tre giorni di congresso Pdl, la battaglia del Nord per le amministrative si annuncia rovente. Una battaglia di trincea, comune per comune, provincia per provincia, per la supremazia in Piemonte, Lombardia e Veneto. Al padiglione 8 della Fiera di Roma si è sentito forte il rumore delle armi, negli affondi di Fini, negli altolà del governatore Formigoni e del ministro della Difesa La Russa, che ieri ha detto: «Non ci sarà competizione con la Lega se cerchiamo consensi al di fuori del nostro recinto. Ma se la competizione sarà interna, beh, allora sarà ad armi pari. Non è possibile che tocchi sempre a noi farci da parte». Stasera Berlusconi dovrebbero incontrare Bossi ad Arcore per comporre il puzzle delle candidature. L’incontro non è scontato e pacifico: il Cavaliere deve prima fare il punto con i suoi che non hanno intenzione di lasciare agli alleati la ricca prateria di consensi del Nord. «Abbiamo concesso troppo alla Lega. Non possono pretendere di avere tutto quello che chiedono», dice il milanese Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni, mentre si spengono le luci del congresso.

Un ministro, che non vuole essere citato, spiega che «i rapporti con Bossi si complicano molto se al Nord non si va insieme ovunque. Un modo per convincere il Carroccio è di fissare la data del referendum in coincidenza con il secondo turno. Per evitare che la consultazione referendaria raggiunga il quorum, la partita delle amministrative deve essere chiusa al primo turno». Già, perché andare al ballottaggio significa portare gli elettori alle urne, che si troverebbero anche la scheda del referendum che introdurrebbe il bipartitismo. Cosa che la Lega vede come il fumo negli occhi. Berlusconi in genere un accordo con Bossi lo trova sempre. E sa che al Nord insieme alla Lega può fare strike e ridurre al lumicino il Pd. Ma la cosa non sembra scontata. In Veneto, spiega il segretario del Carroccio Giampaolo Gobbo, «non abbiamo ancora chiuso accordi da nessuna parte»: «E siamo pronti a correre da soli, confortati dal risultato che abbiamo ottenuto alle Politiche». Nel Veneto, quindi, sono ancora da riempire le caselle nelle province di Belluno, Verona, Venezia, Rovigo e Padova. In Lombardia c’è il «caso Brescia». Il Pdl ha già lanciato in pista Giuseppe Romele, ma la Lega vuole la provincia per un suo uomo (si parla di Daniele Molgora, sottosegretario di Tremonti, bresciano doc). Ma il Pdl non ha intenzione di mollare. «Hanno già avuto Bergamo e si sono presi la provincia di Cuneo con la compagna di Calderoli, la Giovanna Gancia - spiega il deputato bergamasco del Pdl Gregorio Fontana -, non possiamo dargli pure Brescia.

Tra l’altro i nostri sondaggi, che sono sempre quelli buoni, dicono che il Pdl in Lombardia è al 40% rispetto al 36 delle Politiche. E questi voti li andiamo a prendere al Pd. La Lega è invece stabile. Tra l’altro - aggiunge Fontana - il Carroccio si è aggiudicato Bergamo, Sondrio e Cremona». Per la provincia di Milano, invece, c’è l’accordo sul berlusconiano Guido Podestà. L’altra trincea calda è il Piemonte, a cominciare dalla provincia di Torino. La Lega è sicura di aver riempito questa casella con la segretaria cittadina Elena Maccanti. Il coordinatore regionale del Pdl, Enzo Ghigo, è invece fermo su Claudia Porchietto, presidente delle piccole imprese. Gli uomini di Bossi considerano chiuso il capitolo Torino perché il Pdl ha il proprio candidato in tutte le altre realtà (tranne Cuneo) in cui si vota: a Novara, Alessandria, Biella, Verbania, Alessandria, Vercelli. E che non ci può essere uno scambio tra Brescia e Torino. Sullo sfondo poi ci sono le Regionali del 2010.

Di questo ancora Bossi e Berlusconi non hanno parlato, ma la Lega vorrebbe due delle tre Regioni: Piemonte e Veneto. Senza escludere la Lombardia se una delle prime due dovesse andare al Pdl. Insomma, la battaglia del Nord promette scintille. Già le dichiarazioni di ieri sono un assaggio. Bossi ha risposto a Formigoni, che al congresso aveva detto che il Carroccio non può pensare di muoversi come partito di lotta e di governo, prendendosi «i meriti delle cose buone fatte dal governo e scaricargli addosso gli errori». «I nostri affari li facciamo noi, non Formigoni», è stata la sciabolata di Bossi. Delle parole di Berlusconi al congresso, Roberto Calderoli è soddisfatto: «Mettiamo invece da parte le parole dei singoli, qualcuna davvero sopra le righe. Faremo finta di non aver sentito alcuni interventi». Il messaggio leghista è: «Non tirate troppo la corda».

da lastampa.it


Titolo: Marco Conti - Pdl, la Lega chiede conto al Cavaliere.
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2009, 11:31:55 am
Congresso Pdl, la Lega chiede conto al Cavaliere.

Faccia a faccia col Senatur 
 
 
 di Marco Conti


ROMA  (30 marzo) - Alla fine della tre giorni la "logica del predellino" ha avuto la meglio. Silvio Berlusconi ha glissato su molte delle questioni sollevate dai leader del partito-socio e ha indossato i panni del messia che tutto contiene e indica la rotta senza proccuparsi molto dei contenuti del nuovo partito. Non una parola sul testamento biologico, non una sul referendum elettorale, non una sul rapporto con la Lega, alleato egoista che «spesso ne approfitta», come ha sostenuto dal palco Ignazio La Russa.

Archiviata la rivoluzione liberale della scorsa legislatura per un neo statalismo, anche all'attuale crisi economica il premier ha riservato poche battute, mentre più esplicito è stato sulle riforme costituzionali e dei regolamenti. In questo caso i destinatari del messaggio sono stati due: Gianfranco Fini e Giorgio Napolitano. Al presidente della Camera e al Capo dello Stato, Berlusconi ha spiegato che intende mettere mano alle riforme. Che proverà a coinvolgere l'opposizione senza però credere troppo alla reale volontà di Pd e Udc, e che comunque andrà avanti perchè la crisi economica impone un premier con più poteri. La strada sembra già tracciata e anche questa volta l'appello al popolo segnala l'imminente svolta.

Ogni qual volta il Cavaliere ha voluto ribadire la legittimità del suo ruolo minacciato da toghe, palazzo o alleati, è salito su di un predellino appellandosi direttamente al popolo. Così è stato anche ieri e così promette di fare qualora non si arrivi in questa legislatura a riforme che a suo giudizio devono mettere l'esecutivo in condizione di funzionare.

Sembra un paradosso per un leader che può contare su una maggioranza parlamentare di oltre cento parlamentari e su una dialettica di coalizione praticamente azzerata grazie anche alla nascita del Pdl. Eppure il ritornello del premier che non può far nulla e che è dotato del solo strumento della moral suasion, sembra far breccia nelle convinzioni dell'elettorato. Nel quadro strategico del Cavaliere, emerso dall'ultimo congresso, c'è un unico tassello ancora non andato ancora completamento a posto: il rapporto con la Lega. All'alleato, trattato di recente dal premier con inusuale asprezza, non sono sfuggite le bordate congressuali.

Bossi ha tenuto i suoi appellandosi alla necessità che ha ogni partito, in occasione del congresso, di tracciare e marcare la propria identità. Questa sera nel salotto di Arcore, i due avranno però modo di chiarire alcuni passaggi importanti. A cominciare dalla data del referendum elettorale. Un appuntamento che Bossi vede come il fumo negli occhi, perchè lo sbocco bipartitico che imporrebbe il modello referendario obbligherebbe anche il Carroccio nel contenitore-Pdl. La proposizione di un modello statalista e il conseguente abbandono del modello liberale della legislatura 2001-2006, rischia infatti di avere qualche ripercussione sui tempi di attuazione della riforma federalista. 

da ilmessaggero.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Berlusconi farà campagna elettorale in tutto il Nord
Inserito da: Admin - Gennaio 04, 2010, 10:17:49 am
4/1/2010 (7:18)  - RETROSCENA

E il Cavaliere pensa all'appello in Senato

Agli amici: cambiamo adesso o mai più

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

A taccuini chiusi gli esponenti della maggioranza riflettono sulle riforme con un po’ di scoramento. «Alla fine non se ne farà niente, sono troppe le divisioni nel Pd..., bene che vada se ne comincerà a parlare dopo Pasqua». Insomma, il dibattito è ancora aria fritta. Il percorso riformatore è disseminato da mine potenti (legittimo impedimento e processo breve) che avranno come amplificatore la campagna per le regionali. Che il Pd sia diviso non ci sono dubbi, ma nel centrodestra non c’è unità di intenti sul mezzo da usare per fare le riforme, anzi siamo di fronte a un nuovo contrasto.

Bossi spinge per una «Convenzione costituzionale» composta da deputati e senatori e integrata da rappresentanti del territorio senza diritto di voto. Ma si trova di fronte il no degli alleati. Non è solo il Pd ad essere contrario. E’ tutto lo stato maggiore del Pdl che preferisce la via ordinaria. Dice ad esempio il capo gruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto che la via della Costituente è da evitare perché richiederebbe «molto tempo per definire il suo ruolo, la sua composizione e poi per approvarla in Parlamento. D’altra parte, non sarebbe accettabile che il Parlamento venga espropriato della quintessenza del suo lavoro che è anche quello di procedere per le riforme istituzionali».

Ciò innervosisce l’ideatore della proposta, Roberto Calderoli, che si rivolge ruvido agli amici del Pdl che capiscono «fischi per fiaschi». Allora il ministro chiama in causa il premier. «Mi tranquillizza il fatto che l’unico nostro interlocutore titolato è il leader del Pdl Berlusconi». Un modo quantomeno chiaro per dire che alla fine il partito di maggioranza relativa, con i suoi organi decisionali tanto esaltati negli ultimi tempi dal Cavaliere, non conta un fico secco. «Nei prossimi giorni - annuncia Calderoli - vedremo Berlusconi e così avremo modo di precisare nei dettagli la nostra proposta. Quello sarà il momento della verità. Il resto rischiano di essere quelle chiacchiere inutili che servono solo a perder tempo e a fare quella confusione che noi della Lega non sopportiamo». Dunque Bossi tornerà presto ad Arcore per siglare un altro accordo ed è sicuro che Berlusconi rispetterà i patti perché è «un amico».

Nel Pdl, e non solo il presidente Fini, c’è già chi fa scommesse sul fatto che il premier alla fine dirà ancora una volta di sì a Bossi. Esattamente come è successo con le Regionali: chiedeva il parere del Pdl, diceva che dovevano decidere i coordinatori e intanto aveva già stretto l’intesa con il Senatùr su Veneto e Piemonte. Ma i berlusconiani ricordano che c’è di mezzo anche l’opposizione, Pd e Udc contrari alla Convenzione, non quella «eversiva» dell’Idv che attacca il capo dello Stato perché invita alla concordia. Giusto, osserva Roberto Cota, «ma la nostra proposta serve proprio a sottrarre le riforme dal dibattito contingente tra i partiti e agevolarne il cammino. E poi non è detto che ci voglia una legge costituzionale per istituire questo organismo: dipende dalle competenze che vengono attribuite alla Convenzione. Bisogna discuterne serenamente». La necessità di dover approvare una legge costituzionale, con i tempi che essa richiede, è la preoccupazione di Maurizio Gasparri. Tuttavia il capogruppo al Senato saggiamente riflette sul fatto che la proposta viene da un alleato importante come la Lega. «Tra l’altro Bossi è il ministro delle Riforme per cui le sue valutazioni non possono essere sottovalutate. Sarà necessaria una riunione di maggioranza».

A questo in effetti sta pensando Berlusconi. Un vertice che dovrebbe tenersi la settimana dopo la Befana e che dovrà valutare un’altra idea che alcuni consiglieri hanno suggerito al «premier dell’amore»: intervenire al Senato a fine gennaio con un discorso di «alto profilo istituzionale e riformatore» e di concordia dopo l’aggressione di Milano. Il filo conduttore dovrebbe essere quello anticipato nei giorni scorsi alla cena di compleanno della deputata del Pdl Micaela Biancofiore: «Questo è il momento giusto, le riforme o si fanno adesso o mai più». Il Cavaliere vuole evitare un intervento estemporaneo, magari per strada con i giornalisti o durante un’uscita in un centro commerciale. Accantonata definitivamente la manifestazione di piazza, Berlusconi nell’aula di Palazzo Madama vuole tendere la mano all’opposizione, verificare la disponibilità al dialogo del Pd.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Berlusconi farà campagna elettorale in tutto il Nord
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2010, 09:41:12 am
22/1/2010 (7:32)  - REGIONALI

Il premier in campo per frenare la Lega
   
Berlusconi farà campagna elettorale in tutto il Nord

AMEDEO LA MATTINA


«Tanto rumore per nulla». Il sarcasmo di Casini è una stilettata a Berlusconi che ha tanto «sbraitato contro l’opportunismo» dell’Udc, ma alla fine ha dato il via libera alle intese regionali dove l’accordo è stato già chiuso (Lazio) o va avanti da tempo un confronto (Campania e Calabria). «Se volevamo arruolarci e seguire gli opportunismi, quelli veri - spiega al Tg3 il leader dei centristi - avremmo accettato di andare nel Pdl e di stare nel governo di Berlusconi». Chiusi i microfoni Casini aggiunge che il premier ha dato mandato di chiudere le intese laddove teme di perdere. «I nostri voti gli fanno gola e poi gli opportunisti saremmo noi...».

Oggi Casini riunisce la direzione per ribadire l’indipendenza dai due blocchi e per proseguire indisturbata la politica dei due forni. E attende di capire come finiranno le primarie in Puglia per allearsi con il Pd se il vincitore sarà Boccia. Intanto in casa Udc fioccano le battute sui possibili candidati Pdl in Basilicata e a Venezia. Magdi Cristiano Allam, l’europarlamentare eletto come indipendente nelle liste dell’Udc, è stato ribattezzato «Magdi Lucano Allam al quale non hanno detto che la sua pur numerosa scorta non vota». «Brunetta? Quando ci sarà l’acqua alta a Venezia dovranno mettergli i braccioli».

Questo per dire quale clima ci sia tra Casini e Berlusconi. Il quale invece ha recuperato il rapporto con Fini. Ieri all’Hotel de Russie dove si sono riuniti con i coordinatori e i capigruppo, si sono trovati d’accordo su tutto dopo mesi di contrasto. Il presidente della Camera ha dato atto al premier di avere messo in moto le «procedure democratiche» del Pdl e di valorizzare gli organi del partito, come è successo con il dibattito che si è svolto l’altro ieri sera all’ufficio di presidenza. «E’ il riconoscimento del ruolo di Fini come co-fondatore», spiega il finiano Adolfo Urso. Berlusconi e Fini si sono trovati d’accordo sull’errore di valutazione che fa Casini sul fallimento del bipolarismo. «E’ lui che si trova in una terra di nessuno - ha detto il Cavaliere - e ha bisogno di andare un po’ di quà e un po’ di là. Non siamo certo noi a fare accordi elettorali con il Pd».

E in quelle regioni dove verranno chiuse le intese con l’Udc, Berlusconi indica il metodo che dovranno seguire i candidati governatori del Pdl: nessuna contrattazione preventiva sugli assessorati; i centristi dovranno accettare i nostri programmi. A margine della riunione al de Russie è stata considerata una pia illusione non contrattare con gli ex Dc chi dovrà entrare in giunta in caso di vittoria. E’ altrettanto chiaro, dicono nel Pdl, che ad esempio l’assessorato alla Sanità che chiede De Mita in Campania non gli verrà dato. Lo stesso discorso sull’assessorato all’Urbanistica nel Lazio: l’Udc se lo può scordare.

Un altro motivo di soddisfazione per Fini è il discorso che Berlusconi ha fatto sulle regionali al Nord. Il premier non è disposto a perdere il primato in Lombardia, Veneto e Piemonte a favore della Lega. A Bossi sono state date le due candidature a governatore, ma il Pdl deve rimanere il partito con più numeri. Fini in quanto presidente della Camera non potrà impegnarsi in campagna elettorale, ma Berlusconi ha promesso il suo massimo sforzo. E’ un bene che l’Udc non sia alleato in queste Regioni, è stato il ragionamento del premier e di tutti i presenti all’incontro, perchè una parte del loro elettorato voterà le liste del Popolo delle libertà rafforzandolo rispetto alla Lega.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Silvio epurator
Inserito da: Admin - Febbraio 20, 2010, 11:54:04 am
20/2/2010 (7:30)  - RETROSCENA

Silvio epurator

Per Verdini giorni contati

Nel Pdl Bondi coordinatore unico

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Silvio Berlusconi c’è rimasto male, molto male nel leggere le intercettazioni che riguardano Denis Verdini. Nulla di penalmente rilevante, almeno a leggere le carte pubblicate dei giornali, ma al premier non è piaciuto il modo di gestire i rapporti con certi imprenditori, quell’uso che Denis ha fatto del ruolo di coordinatore nazionale del Pdl. Il Cavaliere ha avuto la sensazione netta che Verdini abbia utilizzato anche il suo nome per accreditare questo o quell’amico. Ciò per lui è intollerabile. E poi chi amministra le città deve essere adamantino. Insomma, sui problemi giudiziari altrui Berlusconi non ammette deroghe e se scopre che anche i più stretti collaboratori aiutano a combinare affari, allora si innervosisce. E infatti chi lo ha sentito parlare ieri dopo il Consiglio dei ministri lo ha descritto turbato, teso, arrabbiato. Ha difeso Gianni Letta e Guido Bertolaso, ma su Verdini era una furia. Sembra che la sua sorte sia segnata.

L’unico coordinatore che salva è Sandro Bondi. «Sandro è l’unico che mi vuole veramente bene e di cui mi fido ciecamente». Il presidente del Consiglio ha in mente di cambiare la tolda di comando a via dell’Umiltà. Coordinatore unico Bondi, con un vice che sarà il finiano doc Italo Bocchino. Ma tutto questo avverrà dopo le elezioni regionali.

Bondi lascerà il ministero della Cultura per occuparsi a tempo pieno del partito. Al suo posto dovrebbe andare Paolo Bonaiuti, che a quel dicastero puntava già al momento della formazione del governo. Berlusconi avrebbe chiesto a Mara Carfagna di prendere il posto di Bonaiuti come portavoce del premier e responsabile dell’editoria. Ma sembra che Mara resista, non abbia voglia di assumere questo incarico.
Vuole rimanere alle Pari Opportunità per portare a termine il lavoro che ha iniziato. C’è chi dice invece che non vuole misurarsi con una competenza molto rischiosa. «Chi dice questo sono delle malelingue, degli invidiosi», sostengono gli amici della Carfagna, che ancora non ha detto un no definitivo a Berlusconi. Si profila comunque un rimpasto di governo dopo le regionali. E intanto ieri al Consiglio dei ministri è stato deciso che la prossima settimana verranno nominati quattro nuovi sottosegretari. Laura Ravetto andrà all’Istruzione accanto a Maria Stella Gelmini. Il finiano Andrea Augello è destinato al Welfare. Guido Viceconte andrà a lavorare con Elio Vito ai Rapporti con il Parlamento. Daniela Santanchè sarà invece la sottosegretaria di Gianfranco Rotondi al ministero per l’Attuazione del programma. Ieri il presidente del Consiglio Berlusconi ha nominato Francesco Belsito sottosegretario per la Semplificazione normativa, in sostituzione di Maurizio Balocchi, recentemente scomparso.

Insomma, c’è grande movimento dentro il governo e il Pdl. Il Cavaliere è teso anche per il risultato delle Regionali, ma ieri al Consiglio dei ministri è apparso anche molto determinato. E’ intenzionato a scendere nell’agone della campagna elettorale, ha promesso ai parlamentari campani alcune puntate nella loro regione. Ora che le dimissioni di Nicola Cosentino sono rientrate, e grazie all’accordo con l’Udc, Berlusconi è convinto che in Campania ci sono tutte le condizioni e i numeri per vincere. Ma ha chiarito a tutti che è necessaria una forte operazione liste pulite e andare avanti presto con il ddl anticorruzione.

C’è poi un altro capitolo che deve essere presto aperto, quello delle riforme. Ieri al Cdm ha detto che il 2010 sarà «l’anno delle riforme». Quantomeno dovranno essere messe in cantiere quella della giustizia e le riforme costituzionali per l’elezione diretta del capo dello Stato, del federalismo e la riduzione del numero dei parlamentari.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La Russa: "Adesso il branco stia zitto"
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2010, 03:31:27 pm
22/2/2010 (7:11)  - INTERVISTA

La Russa: "Adesso il branco stia zitto"

Parla il coordinatore Pdl: «Per colpire Verdini cominciano a criticare me»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ministro La Russa, lei è anche coordinatore del Pdl e ne conosce da vicino i problemi. Può spiegarci a cosa si riferisce Berlusconi quando parla di giochi di potere su Verdini?
«Nel momento in cui Verdini è stato raggiunto da un procedimento penale, Berlusconi non ha visto attorno al coordinatore quella solidarietà che si aspettava. Solidarietà che invece io gli ho mostrato. Ha visto anzi qualcuno che cominciava a mordere, a digrignare i denti, come avviene in certi branchi. Del resto Verdini ha un ruolo di vertice ed è chiaro che può scontentare tutti coloro che sperano in un risultato e non lo ottengono. Ma se ci sono questioni aperte è bene rinviarle a dopo le elezioni. Adesso dobbiamo sentire tutti la responsabilità di concentrarci sul voto delle regionali».

Anche il capogruppo Cicchitto ieri ha detto che la priorità è vincerle, «poi rifletteremo su tutto». Ma intanto può dirci quale risultato il centrodestra dovrebbe centrare per cantare vittoria?
«Partiamo dal dato che nelle 13 Regioni in cui si vota, il centrodestra governa solo in 2. Ecco, per me sarebbe già un buon risultato se raddoppiassimo. Poi il bilancio va fatto contando tutte le altre Regioni dove già governiamo da tempo o abbiamo vinto di recente, come la Sardegna».

Ma il giorno dello scrutinio il risultato che verrà segnato con le bandierine sarebbe di 9 a 4 per il centrodestra. Pochino, non le sembra?
«Io dico di vincere minimo in 4 Regioni popolose: oltre il Veneto e la Lombardia, altre due grandi come Lazio e Campania. Noi ovviamente puntiamo a vincerle tutte».

Torniamo ai giochi di potere nel Pdl. In un’intervista alla Stampa il ministro Alfano ha detto che dal ‘94 «tanti possibili eredi di Berlusconi sono stati costretti a fare testamento»
«E’ vero, la successione è iniziata nel ‘94 e c’era chi pensava finisse subito. Secondo me finirà nel 2025. Ovviamente è un’iperbole, ma non credo che adesso la questione prioritaria sia questa. I problemi del Pdl sono altri. Intanto nel mio partito sta succedendo la metà della metà di quello che accade nel Pd. Lì hanno fatto fuori gli ultimi candidati alla presidenza del Consiglio, hanno cambiato tre segretari, è andato via Rutelli, hanno perso le primarie in Puglia, dove era impegnato D’Alema, e tutte le ultime elezioni. Ma di questo i giornali non si occupano».

Per la verità se ne sono occupati fino alla nausea. Parliamo del Pdl.
«Le cose stanno così. Quando ci sono le elezioni le fibrillazioni sono inevitabili, specie quando si tratta di decidere chi deve entrare nei listini. Ciascun ministro, deputato ed esponente di partito spera di poter indicare le persone che considera meritevoli. Ma i posti a disposizione sono quelli che sono, il grande non può stare nel piccolo... Se a questo si aggiunge la persecuzione giudiziaria che finora ha riguardato solo Berlusconi e che come un faro ora si allarga fino a coinvolgere sia Verdini che Bertolaso, è chiaro che possono emergere tensioni nel branco. Nella componente ex An bene o male abbiamo meccanismi di equilibrio molto più semplici e consolidati, anche se non meno dolorosi. Tra gli ex di Fi la scelta è più complessa e i malumori si scaricano su Verdini che è il filtro tra Berlusconi e il resto del partito, mentre prima in Fi molti erano abituati al rapporto diretto con il leader. Verdini fa un lavoro elevatissimo dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Poi ci sono quelli che arrivano e mettono lingua, quelli che Tatarella definiva i pittori della domenica. Poi vedo uno stillicidio che non mi piace da parte di alcuni amici ex Fi: per attaccare Denis attacano me».

Cosa succederà nel Pdl dopo le Regionali?
«Può avvenire qualunque cosa, ma c’è un congresso che ha eletto i tre coordinatori. Escludo che dopo ci sarà un ribaltamento. Sicuramente non manca la fiducia nei miei confronti né di Verdini e di Bondi. Ironicamente ho detto che sono pronto a fare un passo indietro e tre avanti. Ma nessuno me l’ha chiesto. Il mio ruolo non è destinato a durare tutta vita. I tre coordinatori sono un’anomalia momentanea perché al prossimo congresso ci sia un coordinatore unico».

Nel suo ruolo di coordinatore, cosa più di tutto l’ha soddisfatta?
«Aver contribuito in maniera leale a ricostruire un clima di serenità tra Berlusconi e Fini. Sono strafelice per avere sminato i momenti di tensione che ci sono stati, inutile negarlo, tra i due co-fondatori. Ora pensiamo a vincere le regionali. I dirigenti di un partito hanno il dovere di raccogliere il maggior consenso possibile, senza cadere nel tranello che ci tende la sinistra».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA
Inserito da: Admin - Marzo 09, 2010, 10:56:46 pm
9/3/2010 (7:14)  - RETROSCENA

Berlusconi e Fini d'accordo: alzare il livello dello scontro

Partito compatto: «E' una battaglia sui diritti elettorali degli italiani»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi oggi riunirà i coordinatori e i capigruppo del Pdl per mettere a punto una strategia di contrattacco. Dopo lo shock della sentenza del Tar, si attende la decisione dell’ufficio elettorale della Corte d’Appello. E Sandro Bondi è convinto che le liste del Popolo della libertà verranno riammesse sulla base del decreto interpretativo varato dal governo. «Non bisogna drammatizzare la sentenza del Tar - spiega il ministro - semmai è necessario reagire alle polemiche forsennate della sinistra». Ma nel centrodestra non c’è ottimismo. Lo stesso premier non crede nel «miracolo» e già pensa alla nuova strategia, con un salto di qualità nella campagna elettorale. «Bisogna uscire dal minuetto dei ricorsi e dei controricorsi - sostengono sia i berlusconiani sia i finiani - e alzare il livello dello scontro con gli avversari. Dobbiamo interpretare la competizione elettorale in chiave politica generale». In sostanza, per poter sperare di vincere nel Lazio, l’unica carta è la guerra fuori dalle questioni regionali e delle carte bollate: una battaglia sui diritti elettorali degli italiani. «La sinistra vuole elezioni falsate», dice Daniele Capezzone, portavoce del Pdl.

Per Berlusconi il Tar del Lazio non può mettere in discussione il decreto, ma non si vince con le carte bollate. Ecco perché occorre a suo giudizio reinventare la campagna elettorale. Per il momento ha detto ai suoi di attendere la decisione finale che arriverà oggi. Roberto Maroni, però, è stato chiaro: «Se il Tar decide che la lista è fuori, quella lista resta fuori nonostante il nostro decreto». E allora pensare già al passo successivo. «Non si può consentire - ha detto il premier - di essere processati in piazza da chi grida al golpe e mettere alla sbarra un’intera classe politica».

Oltre ai coordinatori e ai capigruppo, oggi il Cavaliere dovrebbe sentire anche Gianfranco Fini (non si esclude un incontro).
Il presidente della Camera vuole contrattaccare partendo dalla difesa di Napolitano che secondo Antonio Di Pietro si è reso responsabile del «colpo di mano» firmando il decreto. E invece il colpo di mano lo stanno facendo la Bonino e i suoi alleati, a cominciare dal Pd che vorrebbe la Polverini gareggiare con una mano legata dietro la schiena. E il fatto che i giudici del Tar abbiano deciso di non ammettere le liste Pdl dimostra che sono liberi.

Ora nel Pdl si augurano che Berlusconi e Fini si incontrino e insieme scendano in campo per chiamare i cittadini in difesa della democrazia e della libertà di votare i propri candidati. Infatti, osservato i capigruppo Cicchitto e Gasparri, «rimane aperta una questione di fondo sottolineata anche dal Presidente della Repubblica: non è concepibile che una lista come quella del PdL, rappresentativa del maggior partito di Roma, possa essere esclusa a colpi di cavilli dalle elezioni».

Dunque, Berlusconi è pronto ad alzare il livello dello scontro e appropriarsi delle tesi del capo dello Stato. «La verità - dice Osvaldo Napoli - è che la gente è stufa di ricorsi. Noi abbiamo la possibilità di vincere nel Lazio con nostra forza politica. La Bonino è impresentabile, è una candidata per tutte le stagioni. La decisione del Tar dimostra che il regime non c’è: il Pd e l’Idv chiedano scusa a Napolitano e al Pdl».

Non mancano tra i berlusconiani i sospetti su Fini, che a loro avviso vorrebbe trascinare Berlusconi in una campagna elettorale che vede la finiana Polverini in grave difficoltà. «Sono affari di Gianfranco». Così il premier potrebbe lasciare Renata al suo destino. Cosa che viene esclusa dai più stretti collaboratori del presidente del Consiglio.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fini: no alla piazza.
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2010, 09:16:42 am
11/3/2010 (7:20)  - RETROSCENA

Anche Bossi arruolato per l'ultima battaglia

Fini: no alla piazza.

Ma il leader leghista ci sarà

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Le truppe sono spiazzate, scoraggiate, frastornate. Non sono nemmeno galvanizzati dalla discesa in campo di Berlusconi, che ha indossato l’elmetto di capopopolo e capopartito (oggi addirittura partecipa a una riunione di quadri e dirigenti del Pdl di Roma e provincia). Per far capire l’aria che tira tra i parlamentari della maggioranza, ieri pomeriggio alla Camera girava la seguente gag sarcastica sul caos liste e sulla squadra del Cavaliere. «Ma lo sai che il Milan ha perso a tavolino la partita con il Manchester?», dice un deputato al collega. «No, e come mai?». «Leonardo non ha presentato all’arbitro la lista dei giocatori».

Con il morale sotto i tacchi e soli dieci giorni a disposizione, le truppe dovranno riempire l’enorme piazza San Giovanni. Per non parlare poi della confusione delle date: il 20 o il 21 marzo? In entrambi i casi c’è il rischio ingorgo perché il 20 nella capitale è già prevista la manifestazione del Forum del Movimento per l’Acqua che si mobilita contro le privatizzazioni; il 21 si corre la Maratona di Roma. «Ma come è possibile - dicevano sempre i buontemponi della battuta sul Milan - che il sindaco Alemanno, che è stato il responsabile oggettivo del casino delle liste, non sapesse di queste due altre manifestazioni?».

In questo incartamento del centrodestra c’è un aspetto più pesante e politico. Umberto Bossi non sembra felice di dover mandare i suoi candidati-governatori sul palco di piazza San Giovanni per manifestare vicinanza e solidarietà agli elettori laziali e ai dirigenti locali del Pdl che hanno commesso il pasticciaccio romano. Quando gli hanno chiesto se la Lega ci sarà, ha risposto scocciato di aspettare l’invito di Berlusconi. «La Lega è una carta pesante. Potrebbe essere perfino troppo pesante, anche se Berlusconi ha ragione a preoccuparsi perché fanno le elezioni senza un partito come il suo. Però la Lega deve ancora valutare, soppesare bene». Tra l’altro, fanno notare i leghisti, non è cosa da poco togliere ai candidati l’ultimo fine settimana di campagna elettorale. Portare poi il popolo leghista con i pullman a Roma è un’impresa titanica. In serata però, dopo una telefonata del premier, Bossi ha confermato che ci sarà. «Non abbandoniamo Berlusconi».

Gianfranco Fini, ovviamente, non ci sarà: non si è mai visto in piazza un presidente della Camera. Ma almeno condivide l’iniziativa? «Non le dico cosa penso di questa domanda solo perché lei è una signora...», è stata la sua risposta a una giornalista. La terza carica dello Stato è d’accordo a fare la manifestazione, ma la sua preoccupazione è che i toni siamo dirompenti, che il premier vada giù duro contro i magistrati. E un assaggio lo ha dato ieri alla conferenza stampa quando il Cavaliere, oltre a prendersela con «la sinistra antidemocratica e meschina», ha accusato i magistrati dell’ufficio elettorale di «non aver ristabilito l’ordine», di avere tenuto fuori i rappresentanti del Pdl, disegnando «una linea in terra, larga un centimetro, mai definita prima». Insomma, a Fini una manifestazione di protesta non piace e allora sono stati i coordinatori a spiegare che sarà «squisitamente di proposta: saranno presenti insieme a Berlusconi i 13 candidati governatori che si impegneranno a realizzare alcuni punti programmatici in sinergia con il «governo del fare». In effetti lo aveva precisato lo stesso premier “bucolico” in conferenza stampa. «Chiameremo a un patto i nostri candidati perché si impegnino sul piano casa e per piantare milioni di alberi». Rimarrà però il leit-motiv principale, cioè scendere in piazza per difendere la democrazia e il diritto al voto. Berlusconi deve radicalizzare lo scontro per recuperare il danno e i consensi persi. Recuperare quegli 800 mila voti della lista Pdl che non c’è a Roma e dirottarli sulla lista Polverini quasi sconosciuta.

Un lavoro da far tremare le vene ai polsi, ma il premier ha accettato la sfida. E questo, dicono i berlusconiani, mentre gli altri (leggi Fini) fanno le «belle fighe». «O ci salva San Silvio - spiega Osvaldo Napoli - o qui siamo spacciati. Una parte di An lo critica e si differenza ma poi chiedono soccorso al premier».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA L’asse con Bossi e il silenzio su Fini
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2010, 11:04:44 am
21/3/2010 (7:37)  - RETROSCENA

L’asse con Bossi e il silenzio su Fini

Al premier garantito il sì su riforma della Giustizia e presidenzialismo.

In cambio la Lega conserverà il ministero dell'Agricoltura, un serbatoio di voti


AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Fini non c’era. Assenza giustificata dal suo ruolo istituzionale di presidente della Camera, ma ieri a Piazza San Giovanni il co-fondatore del Popolo della libertà mancava politicamente. C’erano, è vero, tutti i finiani preoccupati soprattutto per le sorti elettorali di Renata Polverini rimasta senza il sostegno della lista Pdl. Ma con il suo discorso Berlusconi ha messo molta benzina nel motore dell’ex sindacalista e questo è stato riconosciuto e molto apprezzato dall’inquilino di Montecitorio. I problemi tuttavia restano, nel partito e nel governo. «Archiviate le regionali, bisognerà capire come riempire i prossimi tre anni di legislatura. Continueremo a strillare?», si chiede la deputata e direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina, mentre sul palco Apicella intona «Tempo di Rumba» scritta con il «presidentissimo».

Poco più in là un altro finiano, Benedetto della Vedova, sottoscrive la proposta di Giuliano Ferrara che chiede al Cavaliere di firmare un patto strategico di fine legislatura con Fini, comprensivo anche della staffetta Quirinale-Palazzo Chigi: Gianfranco sarebbe «il miglior alleato possibile» per Silvio.

Ma per Berlusconi l’«alleato leale e convinto» è Bossi, «un grande amico a cui mi sento legato da amicizia e da grande fraterno affetto. «Credo che la nostra alleanza terrà sempre. Umberto è un uomo di grande equilibrio, misura e lealtà. Non c’è stato un solo caso in due anni di governo in cui non ci siamo trovati d’accordo. E’ uno come noi - dice alla piazza - lontano dai salotti chic. Ha gli stessi principi e valori che abbiamo noi». Per Fini nessuna parola, nessuna citazione, mentre sul palco la scena viene riempita dal capo leghista chiamato a parlare accanto al premier. E la prima cosa che dice è di essere uno dei pochi a non aver mai chiesto «né una lira né un aiuto a Berlusconi».

Il pubblico ride e applaude. Bossi spiega di aver capito che Berlusconi è «uno del popolo quando a Bruxelles gli volevano far firmare un provvedimento sulla famiglia trasversale. Lui disse “spiegatemi cos’è questa famiglia trasversale”. Non ebbe paura dell’apparato europeo. Da allora siamo diventati grandi amici. Giornalisti non scrivete stupidaggini...». Bossi riconosce al leader del Pdl il merito di aver capito che era necessario dare alla Lega la candidatura in Piemonte oltre che in Veneto. «Se fossimo stati divisi nelle Regioni sarebbe stato un disastro anche a Roma e nel governo centrale». I due si abbracciano, si baciano, sanciscono l’unità della coalizione davanti al Popolo della libertà, che nacque in questa stessa piazza nel 2006 (allora c’era pure Fini ma non Casini). Un’unità che corre solo lungo l’asse Berlusconi-Bossi.

Venerdì sera il Senatur ha spiegato alla delegazione leghista presente ieri alla manifestazione che i prossimi tre anni di legislatura verranno costruiti su questo asse. E che sicuramente non farà mancare i voti del Carroccio per la riforma della giustizia e l’elezione diretta del premier o del capo dello Stato. In cambio ovviamente della riforma federale e del ministero dell’Agricoltura. Questo dicastero dalle uova d’oro, in termini di consenso, dovrà rimanere sotto il controllo della Lega, anche se il patto era che sarebbe andato a Galan se Roberto Cota avesse vinto in Piemonte.

E Fini? Secondo Bossi dovrà decidere da che parte stare, se vuole essere della partita o chiamarsi fuori. Il Senatur non si fida del presidente della Camera. E’ convinto che continuerà a creare problemi a Berlusconi e a picconare l’asse Pdl-Lega, ma deve stare attento perché agli elettori i «traditori» non piacciono. I berlusconiani però non credono che l’ex leader di An seguirà la strada di Casini. «Sono convinto - dice sotto il palco Giorgio Stracquadanio - che Fini ci metterà una fiches nel gioco che si aprirà l’indomani delle regionali. Ha le sue idee, ma è un politico molto accorto».

Forse non è un caso che il finiano Italo Bocchino ha sottoscritto tutte le ragioni della manifestazione, a cominciare da quella che sta più a cuore al premier, cioè l’aggressione giudiziaria nei suoi confronti. «Questa manifestazione - ha poi precisato - sarà anche l’occasione per mostrare l’unità del Pdl e la sua sintonia con la Lega». Ma ieri Fini era escluso da quell’abbraccio fraterno tra Bossi e Berlusconi. Il quale sul palco ha benedetto la candidatura di Cota in modo particolare: «Ti amo in maniera straordinaria».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: "Una lezione alla sinistra"
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2010, 11:15:29 am
30/3/2010 (7:5)  - IL CAVALIERE PENSA GIA' ALLA FASE DUE DELLA LEGISLATURA

Berlusconi: "Una lezione alla sinistra"

Il premier: «Casini irrilevante. Ora voglio il presidenzialismo»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Abbiamo dato una lezione alla sinistra. Adesso possiamo governare con tranquillità per i prossimi tre anni. E nessuno può dire che litighiamo perchè abbiamo vinto al Nord e al Sud». Con Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Calabria, Silvio Berlusconi ha brindato. Un bottino superiore alle previsioni per il premier che non è per nulla preoccupato della forte avanzata della Lega al Nord e del terreno perso dal Pdl. Si considera il leader di tutta la coalizione e ragiona in questa ottica: sa che dovrà farsi carico delle crescenti pretese di Umberto Bossi, l’«alleato leale e fraterno» che ieri ha subito chiarito di essere «l’arbitro della situazione».

Ma poi si è affrettato a dire che gli equilibri del governo non cambieranno, assicurando che il federalismo può coniugarsi con il presidenzialismo. Ed è quest’ultimo, insieme alla riforma costituzionale della giustizia, che interessa il Cavaliere. Con il risultato elettorale di ieri, pensa di lanciarsi verso la fase due del governo. Soprattutto verso l’elezione diretta alla presidenza della Repubblica o del Consiglio.

Il premier può dire di aver vinto il referendum su se stesso e il governo, dopo mesi di «finti scandali», inchieste e intercettazioni. «Gli italiani ancora una volta hanno fatto una scelta di campo e ci hanno dato la spinta per realizzare le riforme». Berlusconi si attribuisce il grande merito di averci messo «la faccia e il cuore», come dice Mario Valducci. Riuscendo nell’impresa di assorbire in parte l’astensionismo a destra. «Siamo l’unico governo in Europa che non solo non arretra, ma riesce ad avanzare». Il successo di Cota lo considera anche il frutto della sua presenza a Torino. Ha funzionato l’appello al voto utile, a non sprecarlo con l’Udc di Casini, che «adesso è irrilevante». Gli italiani continuano a preferire il bipolarismo.

Fino a quando i dati non saranno definitivi, il premier non farà commenti. Ieri è rientrato a Roma: aveva promesso di fare da Cicerone per le sale di Palazzo Chigi a una scolaresca di Washington. Poi con i collaboratori non ha nascosto la sua soddisfazione. A interessarlo molto è stato il testa a testa in Piemonte e ha chiamato Cota per informarsi. Una doppia soddisfazione per il premier perché può dimostrare che l’Udc, quando si allea con la sinistra, perde voti. Adesso quello che conta, più che il numero delle Regioni, è quello dei cittadini governati dal centrodestra, senza porsi il problema se a vincere è uno del Pdl o della Lega. Grande soddisfazione anche per la performance di Renata Polverini che non ha potuto contare sulla lista Pdl «sottratta in modo fraudolente» dai magistrati. «E’ come se avessimo vinto il campionato con mezza squadra di risersa e mezza della primavera», ha esultato Ignazio La Russa quando è andato a trovare il premier a Palazzo Chigi.

Chi ne esce indebolito è Gianfranco Fini, soprattutto dopo il successone al Nord della Lega. «Ma se è furbo - spiega uno stretto collaboratore del Cavaliere - dovrebbe giocarsi la partita di fino, ritagliandosi uno spazio politico-culturale, senza mettere i bastoni tra le ruote al governo nei prossimi tre anni». Berlusconi, comunque, non medita vendette nei confronti del presidente della Camera: vuole recuperarlo a una collaborazione attiva. Il punto essenziale è l’equilibrio del governo e «con Umberto i problemi li ho sempre risolti». Dunque, è vero che ci sarà qualcosa da registrare nel Pdl, ma alle condizione di Berlusconi. Il quale si aspetta anche da Fini il via libera al presidenzialismo, anche senza la collaborazione dell’opposizione.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora il presidente della Camera teme l'isolamento
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2010, 11:22:18 pm
8/4/2010 (7:10)  - RETROSCENA

Fini diventa paziente e aspetta le crepe nell'asse Pdl-Bossi

Ora il presidente della Camera teme l'isolamento

AMEDEO LA MATTINA

Una settima prima delle regionali, Marcello Dell’Utri fece visita a Gianfranco Fini a Montecitorio e gli regalò un libro pieno di significati sull’uso del potere, Il Principe di Niccolò Machiavelli (una preziosa copia dell’originale del 1513). In quei giorni, pubblicamente, il senatore siciliano consigliava al presidente della Camera di imparare ad aspettare la successione a Berlusconi.
Con «paziente filosofia», tanto da indicare un lasso di tempo di dieci anni. Fini, che per sua natura è flemmatico, aveva tuttavia altri progetti. Probabilmente non credeva che il “Principe Silvio” uscisse così forte dalle urne e che all’indomani del voto Bossi spadroneggiasse, lasciandolo nell’angolo, sfilandogli la titolarità del semipresidenzialismo. Una bozza già scritta delle riforme, con in testa il federalismo, è stata discussa martedì sera ad Arcore e ieri portata al capo dello Stato dal ministro Calderoli. Senza che Fini toccasse palla.

«E’ un’iniziativa autonoma», si è subito preoccupato di precisare il premier che non ha ancora incontrato il presidente della Camera.
L’incontro ci sarà tra una settimana: oggi pomeriggio Fini è impegnato in un convegno della fondazione FareFuturo e all’istituto Cervantes, mentre domani Berlusconi sarà a colloquio con Sarkozy all’Eliseo, sabato a Parma dalla Confindustria e poi volerà negli Stati Uniti da Obama. La partenza sprint di Calderoli sarà pure un’iniziativa autonoma, ma il tempismo leghista per intestarsi le riforme è perfetto. Solo oggi la terza carica dello Stato lancerà proprio il semipresidenzialismo al convegno di FareFuturo. Dirà che le riforme devono essere condivise e avere una coerenza interna, non possono essere un patchwork, un ibrido che non funziona. E che anche la legge elettorale va cambiata. Ma niente polemiche con la Lega. L’ordine di scuderia è di mettere il bavaglio a chi, come Filippo Rossi che dirige il webmagazine di FareFuturo, non vuole morire leghista.

I finiani però hanno un nodo nella pancia e qualcuno si sfoga. Il politologo Alessandro Campi dalle colonne del Riformista chiede al Pdl di darsi una «sveglia» perché «non bisogna arrendersi all’evidenza di un’alleanza di governo nella quale i rapporti di forza sembrano essere capovolti: l’alleato minore detta la linea all’alleato maggiore». Con il rischio che nel Nord, sulla base dei risultati regionali, il Pdl ha già perso oltre venti collegi: «Come spiegarlo fra tre anni a quei deputati e senatori che vedranno i loro posti occupati dalla Lega?».
Per Fabio Granata è vitale evitare «l’abbraccio mortale con il Carroccio». Il prudente Adolfo Urso si morde la lingua e spiega che anche a Berlusconi conviene riequilibrare l’euforia di Bossi: «Non è vero che Fini è solo e isolato. Come presidente della Camera e co-fondatore del Pdl ha un ruolo centrale nel confronto che si apre sulle riforme».

La verità è che Fini è in grande difficoltà per la trazione leghista della maggioranza, che invece non preoccupa affatto il premier. Il quale si può permettere di dire di non aver sentito l’alleato di Montecitorio, tanto ci ha parlato al telefono La Russa. Tra i finiani c’è chi teme che qualche pezzo della truppa si stacchi, tradisca e veleggi verso i lidi del Cavaliere. Ma il presidente della Camera è convinto che l’euforia di Bossi si attenuerà e che Berlusconi capirà che ci vuole un argine alle continue rivendicazioni dei leghisti. Se ciò non avverrà, aumenteranno i malumori anche tra le fila dei berlusconiani e potrebbe essere Fini il punto di riferimento di questo malessere.

Intanto, calma e gesso, è il consiglio di Fini ai suoi. Tre anni di legislatura sono lunghi e le ipotesi di ticket che circolano (Berlusconi al Quirinale e Tremonti o un leghista come Maroni a Palazzo Chigi) sono al momento scritte sulla sabbia. Ora sarà Fini, che dovrà però attendere una settimana per parlare con il premier, ad entrerà in gioco, senza urlare perchè questo è il momento di giocare di fino, con proposte credibili e organiche. Anche un falco berlusconiano come Giorgio Stracquadanio è convinto che «Fini entrerà presto in partita perchè Berlusconi e Bossi, ora che è fallito il tentativo di indebolire il premier, sono interessati a portare a casa il risultato e imbullonare la maggioranza».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Napolitano chiama: "Siate prudenti"
Inserito da: Admin - Aprile 17, 2010, 04:41:03 pm
17/4/2010 (7:6)

Napolitano chiama: "Siate prudenti"

Giorgio Napolitano è preoccupato dall'ipotesi di voto anticipato
   
Il premier lo rassicura sulle elezioni: «È solamente una polemica interna»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Fini ora frena. Si sono mossi in tanti ieri per evitare il disastro, la rotta di collisione tra Fini e Berlusconi. Si sono mossi anche dei pesi massimi come Bossi. Sembra che ad alzare il telefono sia stato perfino il capo dello Stato che ha voluto capire direttamente dall’inquilino di Montecitorio come stanno le cose. Consigliandogli prudenza per evitare una crisi di governo. A margine del giuramento del nuovo ministro Galan, Napolitano ne aveva parlato con lo stesso Berlusconi. Il quale lo ha rassicurato: «E’ una questione interna al mio partito che risolveremo e che non tocca il governo».

Anche Bossi ha voluto fare la sua parte di pompiere, dopo avere attizzato il fuoco che ha fatto saltare i nervi a Fini. Il leader della Lega è stato molto disponibile a un confronto sulle riforme e sulle scelte fondamentali dell’esecutivo. «Dobbiamo continuare insieme la nostra avventura cominciata nel ‘94. Quando torno a Roma ti vengo a trovare e sistemiamo tutto, ma evitiamo di buttare a mare questa opportunità di cambiare questo Paese».

Fini però rimane diffidente. Ha messo in stand by la nascita dei gruppi parlamentari autonomi (i berlusconiani sostengono che il motivo è che non ha i numeri sufficienti) e aspetta di parlare alla Direzione nazionale del Pdl di giovedì prossimo. Considera positivo che si sia aperta una riflessione nel partito e che ci sia un percorso che porta al congresso entro un anno. Ma ai suoi dice «non si è risolto nulla, le questioni sono ancora tutte sul tappeto, aspettiamo e vediamo cosa succede fino a giovedì». Rimane diffidente, anche perché le affermazioni fatte ieri da Berlusconi non sono considerate del tutto distensive. Il premier non pensa né di sostituire il coordinatore La Russa con Bocchino né di cambiare quei ministri in quota An che non rispondono più a Fini. «Questo governo e questa squadra di partito ha lavorato bene - ha spiegato all’ufficio politico del Pdl - e non c’è alcun motivo di cambiare rotta. Abbiamo vinto le Regionali e anche importanti ballottaggi alle Comunali. Il governo ha fatto tantissimo e il mio gradimento è altissimo. Se si tratta di convocare gli organi del Pdl per discutere va bene, non ci sono problemi, ma non possiamo seguire personalismi. Fini a volte non è coinvolto in certe scelte operative perché ha scelto un ruolo istituzionale e non partecipata alle riunione. E’ lui che si è tirato indietro. Ora dice che vuole partecipare alla Direzione: è benvenuto».

All’ufficio di presidenza, il finiano Italo Bocchino ha sottolineato che alla base delle tensioni tra Fini e Berlusconi c’è un problema di contenuti, di rapporti con la Lega che spadroneggia, di incontri che si fanno ad Arcore con Bossi, di collegialità nelle scelte.
Berlusconi irritato ha replicato ricordando di avere incontrato la Lega a cena sette volte e sette volte ho incontrato pure Fini. «E sono sempre andato io a Montecitorio. E poi non è vero che comanda la Lega». Il premier ha fatto l’esempio della sostituzione di Zaia con Galan che il Carroccio non voleva e invece il Pdl si è preso il ministero dell’Agricoltura che vale tre milioni di voti. «E poi basta con questi attacchi a Tremonti: dobbiamo anzi ringraziarlo per avere tenuto i conti in ordine. Poi vorrei sapere cosa significa per Fini la democrazia? Volete - ha detto ai finiani - che io decida tutto con lui e dire a Bossi “adeguati”? Voi volete più democrazia o una diarchia che non rispetti gli organi e lo statuto del partito? La minoranza deve rispettare la maggioranza. Anche io sono andato in minoranza sull’alleanza con l’Udc e sulla nomina di candidato governatore in Puglia... Fini mi ha chiesto di togliere Gasparri da capogruppo al Senato. Ma Gasparri è stato eletto dai senatori, non lo posso certamente togliere. Questa è democrazia». Berlusconi ha ricordato che ogni decisione del partito viene anticipata a Fini attraverso La Russa, «ma adesso La Russa non gli va più bene. Ma non è certamente un problema mio».

Berlusconi con i suoi ha parlato di «capricci» di Fini, e all’ufficio politico lo ha detto in altre parole. Per il premier a volte Fini sembra accampare non proposte politiche, ma istanze personali e pretestuose. «Sono due anni che non perde occasione per contraddirmi.
Io dico A e lui dice B. Queste continue punture di spillo devono finire. Ora Fini vuole fare i suoi gruppi? Li faccia ..., ma questo per me vorrà dire scissione».

da lastampa.it


Titolo: Re: AMEDEO LA MATTINA.
Inserito da: Admin - Aprile 23, 2010, 11:58:18 am
22/4/2010 (7:3)  - RETROSCENA

Fini non si impressiona: "Berlusconi non può ammazzarmi"

Anche l'"ambasciatore" fallisce la missione: si va alla conta

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

E se la minoranza non si adegua alla maggioranza che fa Berlusconi, ci fa fucilare?» Fini non si fa impressionare dal fuoco di sbarramento che il premier ha preparato ieri alla vigilia della Direzione del Pdl.

E’ convinto che tutte le pistole messe sul tavolo dal Cavaliere siano scariche. Compresa la minaccia di espulsione dal partito (questa l’ipotesi alla quale i tre coordinatori stanno lavorando) nel caso in cui la minoranza non si pieghi alle decisioni della maggioranza. Compresa inoltre l’arma letale: le elezioni anticipate che ha fatto balenare anche Umberto Bossi, per il quale se non si trovano adeguate soluzioni di convivenza e la situazione rimane confusa, «la cosa migliore da fare è quella di rivolgersi al popolo sovrano». Per il presidente della Camera e i suoi fedelissimi si tratta di «giochi d’artificio fatti esplodere apposta per intimorirci, ben sapendo che i veri problemi cominceranno il giorno dopo la Direzione».

E in effetti il vero timore di Berlusconi e Bossi è il logoramento per i prossimi tre anni di legislatura, galleggiare in maniera dorotea e non governare, trovarsi a trattare sulle riforme e i provvedimenti cardine. Al premier stanno a cuore quelle sulla giustizia. Al capo della Lega i decreti attuativi del federalismo fiscale. Tremonti (oggi interverrà in Direzione insieme ad altri ministri come Frattini e Scajola sulle cose fatte dal governo) immagina già che Fini proporrà maggiori finanziamenti per il Mezzogiorno e la coesione sociale sulla falsariga di quanto aveva proposto al Senato il finiano Mario Baldassarri.

Ecco perché Berlusconi non vuole dare cittadinanza alla minoranza interna e ha deluso l’ambasciatore finiano, il senatore Andrea Augello, che ieri è andato a Palazzo Grazioli per capire le intenzioni del premier. Tutte le mediazioni sarebbero fallite e a coloro che gli hanno detto che Fini non vuole rompere ma trovare un modus vivendi ha risposto: «Se io riconosco la minoranza mi ritrovo il Vietnam nelle aule, una guerriglia e imboscate continue. E invece loro devono adeguarsi alle decisioni della maggioranza, come ho fatto io quando si è trattato di scegliere il candidato nel Lazio. Io volevo la Todini e poi ho accettato la Polverini. Anche in Puglia ho cercato di convincere il partito ad allearsi con la Poli Bortone e invece è passata un’altra soluzione».

Rimane il gelo tra Berlusconi e Fini e ieri è stato notato nella stretta di mano tra i due al ricevimento dell’ambasciatore Gideon Meir in occasione dell’anniversario della nascita dello Stato di Israele. Il premier non vuole trasformare la Direzione nella tribuna mediatica di Fini. Ai coordinatori ha chiesto di tenere l’incontro sui temi previsti al momento della convocazione: esame del voto, riforme e attività del governo. Un modo per sminuire e marginalizzare l’avversario, costringendolo a venire allo scoperto e metterlo in un angolo con un documento che sarà votato a larghissima maggioranza. Aspetta di sentire il presidente della Camera per poi replicare. Se la notte non porta consiglio, ci sarà la rottura.

A quel punto, dicono i finiani, si andrà avanti e il giorno dopo il vero punto all’ordine del giorno saranno le regole dello stare insieme. E Berlusconi sarà costretto a trattare e a trovare una soluzione. Se ci sarà una tregua, spiegano le stesse fonti vicini all’inquilino di Montecitorio, i veri problemi ce l’avranno gli ex An che hanno mollato Fini. I La Russa, Gasparri, Matteoli e Alemanno che ora si trovano in quota Berlusconi: sarà il premier a dover garantire la rielezione a quei 75 che hanno firmato il “documento lealista”.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fini ai fedelissimi: l'importante è evitare ritorsioni
Inserito da: Admin - Aprile 24, 2010, 11:23:43 pm
24/4/2010 (7:54)

Fini ai fedelissimi: l'importante è evitare ritorsioni

La strategia del presidente della Camera: più presenze in Tv e un giro dell'Italia per spiegare ai militanti le sue posizioni

AMEDEO LA MATTINA

«Non dobbiamo prestare il fianco alle provocazioni. Toni più bassi e ricondurre quello che è successo in Direzione alla vita interna di un partito che discute ma che non mette in discussione il governo». La tattica vietcong di Fini è chiara e l’ha spiegato lui stesso ai fedelissimi che sono andati a trovarlo ieri mattina a Montecitorio prima di partire per Firenze. Dopo la tempesta e lo scontro frontale con Berlusconi («l’ha voluto lui, io ho solo reagito al suo plateale editto di espulsione»), adesso bisogna coordinarsi bene nelle uscite pubbliche, darsi un progetto politico e non dare al premier nessun appiglio per far scattare ritorsioni ed epurazioni.

Soprattutto mantenere fede al patto elettorale perché la legislatura deve arrivare alla sua scadenza naturale. La furia di Bossi che chiede la espulsione di Fini dal Pdl? «Lui decide a casa sua. Il Pdl - reagisce Fabio Granata - non è un partito a sovranità limitata. Evidentemente le critiche di Fini hanno colpito nel segno». E Fini pensa che ora la mediazione deve passare da lui e che sarà Bossi a fare la prima mossa. Il presidente della Camera non si scompone. Ieri mattina è andato nel suo ufficio a Montecitorio a sbrigare un po’ di lavoro. Poi alla spicciolata sono arrivati alcuni parlamentari a lui vicino. E con loro ha stabilito di riunire, lunedì prossimo, quei 39 deputati e 14 senatori che hanno votato il documento di solidarietà a Fini. Adesso è il momento di inabissarsi un po’, ma Fini vuole continuare a dire come la pensa. Intensificherà le sue uscite pubbliche in televisione (sono tanti gli inviti che ha ricevuto in queste ore) e con una sorta di viaggio per l’Italia con lo scopo di spiegare agli italiani e alla base del partito le sue posizioni. E’ come l’inizio della campagna congressuale, visto che alla Direzione Berlusconi ha promesso che entro un anno si svolgerà l’assise del Pdl. Sempre che il Cavaliere gli consentirà di arrivarci a questo appuntamento. Ma per i finiani la minaccia di espulsione, così come quella delle elezioni anticipate, è una pistola scarica. Anche perché le truppe dell’ex leader di An non intendono votare contro quei provvedimenti che sono considerati vitali per la maggioranza e la coalizione con la Lega. Mantenere a lungo un atteggiamento di guerriglia nelle aule parlamentari, fanno notare gli amici più moderati del presidente della Camera, potrebbe stancare e compromettere la tenuta dei finiani. Ma ci sono gli altri, quelli più barricadieri, che invece vorrebbero preparare agguati ad ogni angolo. Calma e gesso. Fini attende le mosse di Berlusconi e Bossi, e si gode il “successo mediatico” ottenuto alla Direzione di giovedì. Ieri a Firenze ha fatto pochi riferimenti allo scontro con il premier. Anzi gli riconosciuto la buona intenzione di fare le riforme con il più ampio consenso possibile. Ha partecipato ad un convegno sul «cittadino e il senso dello Stato» organizzato dalla Fondazione Stensen dei gesuiti. Un ciclo di conferenze che ha avuto come ospiti Romano Prodi, ieri Fini e a maggio Rosy Bindi. In sala non ci sono parlamentari ex An.

Solo il giovane consigliere comunale Jacopo Cellai. Il moderatore, il prof. Luciano Bozzo, ha subito premesso che non sarebbero state autorizzate domande dei giornalisti e del pubblico con riferimento all’attualità politica. E Fini vola alto, parla di immigrazione e ripete le sue tesi che infastidiscono la Lega. Fa una battuta. «C’è un bel dibattito in corso. Io dico come la penso anche se qualcuno mi dice “non hai capito nulla”». Strappa una risata alla platea quando speiga che i poteri presidenziali vanno bilanciati. «Ne abbiamo discusso tante volte, anche ieri..», riferendosi all’atteggiamento di Berlusconi (mai citato). Riforme condivise, evitando che centrodestra e centrosinistra piantino le loro «bandiere». Un richiamo alle celebrazioni per l’Unità d’Italia. «Pensare a approcci di tipo localistico sull’identità significa avere timore del futuro». Un’ora e mezzo di domande e risposte con i ricercatori universitari come se a Roma fosse tutto tranquillo. Saluta i giornalisti e se ne va. Ma è chiaro che per Fini la strada è in salita.

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La strategia per far innervosire il rivale, ...
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2010, 10:41:56 am
Altolà del Cavaliere: o dentro o fuori

La strategia per far innervosire il rivale, anche puntando sui famigliari

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La prima cosa che Silvio Berlusconi ha fatto quando è arrivato a Palazzo Grazioli è stata di tagliare la testa al finiano Italo Bocchino. «Toglietemi di torno questo rompiscatole», è stato l’ordine perentorio che il premier ha dato ai dirigenti del Pdl e del gruppo parlamentare che gli chiedevano lumi. E infatti oggi, all’assemblea dei deputati, si procederà alla decapitazione del vicecapogruppo vicario voluto da Gianfranco Fini. Il quale già parla di «caccia alle streghe». «Berlusconi non dia corso a epurazioni, non gli converrebbe», è l’avvertimento del presidente della Camera al Cavaliere, che ieri a Montecitorio sul provvedimento lavoro ha toccato con mano la voragine nella sua maggioranza: 110 assenti, di cui 95 del Pdl. E non sono certo tutti finiani, anzi. Come mai tutte queste assenze? Paolo Bonaiuti allarga le braccia. Maurizio Lupi spiega che non è la prima volta, capita spesso. Aldo Brancher esclude che si è trattato di una «rappresaglia di Fini».

Enzo Raisi, vicino all’inquilino di Montecitorio, che «è ridicolo addossare la colpa ai 4-5 finiani che per motivi diversi erano assenti al momento del voto su un provvedimento che porta la firma di Viespoli, uno dei firmatari del documento pro-Fini». Insomma, il premier un po’ di conti in casa sua dovrà farseli e non potrà sottovalutare le incursioni del navicella corsara timonata dal «traditore». Ma chi ci ha parlato al suo rientro a Roma racconta di un premier-schiacciasassi, incurante dell’escalation della tensione provocata dal «Giornale» che ieri in prima pagina titolava «Un milione alla “suocera” di Fini». Al presidente della Camera non è bastata la solidarietà di Berlusconi, è convinto che non sia stato un «incidente» ma una ulteriore provocazione per fargli saltare i nervi e indurlo a commettere un passo falso.

E in effetti Fini ieri a «Porta a Porta» non ha più usato toni morbidi: è ritornato a puntare il dito contro il presidente del Consiglio. La strategia di Berlusconi sembra andare proprio verso questa direzione: far saltare i nervi al suo avversario interno. Lo confermano molte fonti del Pdl molto vicine al Cavaliere, le quali assicurano che Vittorio Feltri non mollerà la presa sulla terza carica dello Stato, con attacchi soprattutto a livello personale. Un modo per far emergere un dato: la guerra di Fini è dettata da fattori personali e familiari che passano anche attraverso la compagna Elisabetta Tulliani. Una torsione che fa infuriare l’ex leader di An più di ogni altra cosa. L’obiettivo è di spingere il presidente della Camera fuori dal Pdl. «O sta dentro o sta fuori», ripete Berlusconi. Lo ha detto ieri anche al ministro Giulio Tremonti. O si adegua e ritorna all’ovile o si dimette dalla sua carica istituzionale e toglie il disturbo dal partito.

In sostanza siamo ancora alla situazione che si è determinata alla direzione della scorsa settimana. Il premier è determinato ed è disposto a rischiare anche una fine traumatica della legislatura. Non sopporta che Fini faccia la “saponetta” che cerca di sfuggire alle sue responsabilità, che assicura lealtà al governo, che cerca di non prestare il fianco per non dare appigli alla sua estromissione dal Popolo della libertà. Berlusconi vuole cospargere il cammino di Fini di bucce di banana per farlo scivolare dentro le maglie del documento votato dalla Direzione. «Abbiamo fatto un solo partito per superare Fi e An. Non posso accettare questo continuo stillicidio. Devo governare. Lui dice di non essere presidente della Camera per un concorso vinto o per un cadeau del Presidente del Consiglio? Ma si ricordi - si inalbera il premier - che è lì grazie ai voti del centrodestra».

Ai vertici del Pdl spiegano che è stato lo stesso Fini a volere la conta su Bocchino. E se legherà il suo destino a Bocchino dovrà andare via anche lui. Il messaggio esplicito lo invia Sandro Bondi. «Si assiste ad una vera e propria confusione tra il ruolo politico e quello istituzionale, all’abbandono di uno stile improntato all’equidistanza. Fini ha finito per marcare sempre di più un ruolo politico anomalo. Se questo paradosso dovesse proseguire secondo le modalità laceranti e polemiche in cui si è dispiegato finora, e ne derivassero conseguenze negative sul piano politico e dell’azione di governo, allora si porrebbe il problema da parte di Fini di scegliere di esercitare o un ruolo istituzionale o un ruolo politico».

da lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Frattini: anche Prodi governava così
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2010, 05:21:11 pm
23/5/2010 (7:4)  - INTERVISTA

Frattini: anche Prodi governava così

«La manovra? Avrà la faccia di Berlusconi, non di Tremonti»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Una cosa deve essere chiara a tutti: la manovra economica avrà la faccia di Silvio Berlusconi e non di Giulio Tremonti». E nemmeno quella di Umberto Bossi? «Chi pensa di fare una manovra di stampo leghista se lo tolga dalla testa. Anche perché il federalismo fiscale non ha bisogno di un tesoretto da ricavare dai provvedimenti economici in discussione: il federalismo non costa, anzi fa risparmiare». Il ministro degli Esteri Franco Frattini è in partenza per gli Stati Uniti. Accompagnerà il capo dello Stato Giorgio Napolitano all’incontro con Barak Obama, che «ha una grande stima per il nostro presidente da quando, per la prima volta, si sono incontrati durante il G8 dell’Aquila. La visita di martedì cade in un momento internazionale particolare ed è evidente che Obama voglia capire da un europeista convinto cosa sta accadendo in Europa e conoscere quali sono le dinamiche europee. Il capo dello Stato e il presidente del Consiglio hanno discusso delle varie tematiche dell’incontro e il governo sostiene con grande convinzione l’azione del presidente della Repubblica». Ma non ci sono solo le grandi questioni internazionali a preoccupare il Quirinale, che ieri ha rimproverato il governo per l’uso improprio dei maxi-emendamenti, come quello sugli incentivi che contiene norme tra loro eterogenee.

Ministro, cosa risponde ai rilievi di Napolitano su questo tema?
«Il governo rispetta tutti i richiami del capo dello Stato e prenderemo in considerazione anche quest’ultimo. Quella della eterogeneità delle norme è una questione seria cui guardare con attenzione. Voglio però ricordare che si tratta di una vecchia questione. Anche il governo Prodi faceva spesso ricorso ai maxi-emendamenti non sempre omogenei. Anche oggi il nostro governo si trova di fronte alla necessità di trovare una soluzione di fronte alle centinaia di emendamenti che presenta l’opposizione. Alla Camera poi, a differenza del Senato, succede che non è possibile contingentare i tempi della discussione. E allora ciò costringe purtroppo, e sottolineo purtroppo, a mettere la fiducia, altrimenti il provvedimento è destinato a decadere, paralizzando l’azione del governo. Se ci fosse un’opposizione costruttiva non ci sarebbe bisogno né di maxi-emendamenti né di fiducie».

Sempre dal Quirinale sono filtrati in questi giorni dubbi sul ddl intercettazioni che ha suscitato una forte reazione da parte dei giornali, anche di quelli vicini al centrodestra. Sono possibili modifiche? E’ previsto che anche su questo provvedimento venga messa la fiducia?
«Quanto alla fiducia, non ne ho mai sentito parlare dal presidente del Consiglio e nemmeno in ambito governativo. Per il resto è chiaro che il provvedimento è già stato emendato e si è tenuto conto delle preoccupazioni del capo dello Stato e della stampa. Le pene per i giornalisti ad esempio sono più miti. Siamo sensibili al tema del diritto all’informazione, ma non possiamo allo stesso tempo far finta di non vedere che c’è in ballo anche il diritto alla vita privata. La privacy è altrettanto importante alla libertà di stampa, soprattutto quando vengono pubblicate intercettazioni che nulla hanno a che fare con le inchieste e sono sottoposte a segreto istruttorio. Guardi, è toccato proprio a me difendere, in qualità di vicepresidente della commissione e commissario per la giustizia, libertà e sicurezza, di fronte al Parlamento europeo, le ragioni della lotta al terrorismo e al crimine organizzato di fronte alla richiesta di tutelare la privacy ad ogni costo. Il Parlamento europeo bocciò l’accordo tra Europa e Stati Uniti dicendo che la privacy prevale sulla lotta al terrorismo e io ero d’accordo. Sono l’ultimo a volere il bavaglio ai giornalisti e so che voi pubblicate quello esce dalle cancellerie delle procure, ma i giornalisti devono sapere che questo va punito. E poi, se si legge bene il provvedimento, non c’è alcuna limitazione per le indagini dei magistrati, soprattutto per quanto riguarda mafia, criminalità organizzata e terrorismo».

Saranno molte le notizie non pubblicate a causa di questo ddl.
«No, guardi, non accetto la logica secondo cui il fine giustifica i mezzi. Siamo fuori dallo Stato di diritto se vengono fatte filtrare e si divulgano illegalmente notizie sottoposte a segreto istruttorio e intercettazioni».

I finiani sono sul piede di guerra.
«La riforma della giustizia, compreso il capitolo delle intercettazioni, fa parte del programma di governo. Accolgo le perplessità di Fini come un appello istituzionale e non come un’indicazione della minoranza contro la maggioranza: sarebbe una sconfessione di un impegno preso davanti agli elettori».

Una critica è venuta anche dagli Stati Uniti, nella persona del vicesegretario del Dipartimento penale Lanny Breuer.
«L’amministrazione americana ha precisato che non si è trattato di un giudizio su una legge italiana in itinere. Abbiamo apprezzato questa precisazione. Se l’obiettivo era poi quello di confermare l’impegno italiano nella lotta al terrorismo e alle mafie, il governo italiano lo ha fatto tantissime volte e ottenuto risultati senza precedenti».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55275girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fini in soccorso di Silvio e il governo ritrova l'unità
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2010, 03:50:58 pm
24/5/2010 (7:0)  - RETROSCENA

Fini in soccorso di Silvio e il governo ritrova l'unità

Prevale la linea di Berlusconi, Letta mediatore con Tremonti

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Sembra che ci sia una schiarita nel governo e che alla fine la sfuriata di Berlusconi e il lavoro di mediazione di Gianni Letta abbia portato a mitigare Giulio Tremonti. Ieri ci sono stati diverse telefonate tra il premier e il ministro dell’Economia, che ha sentito le parti sociali ed il suo collega Maurizio Sacconi.

A Palazzo Chigi parlano di «un giusto equilibrio» che si sarebbe trovato tra il rigore e la necessità di non gravare la manovra sui cittadini. Sembra che sia prevalsa la linea più morbida del Cavaliere che ha trovato dalla sua parte il presidente della Camera,Gianfranco Fini e il leader della Lega, Umberto Bossi. Per cui quella che si apre è la settimana della verità. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dovrà finalmente spiegare agli italiani quale manovra economica vuole portare al Consiglio dei ministri (potrebbe tenersi tra martedì e mercoledì) e presentare a Bruxelles.

Tremonti ha allentato la sua rigidità di fronte al premier, che non vuole una «macelleria sociale». Non vuole inoltre far calare le proposte della manovra sulla testa dei ministri. Ora c’è una frenetica corsa contro il tempo visto il lungo lavoro di sintesi e mediazione che in queste ultime 48 ore sta facendo Gianni Letta per mitigare le proposte di Tremonti. Un inaspettato "assist" al premier è arrivato da Gianfranco Fini, che non vuole una manovra troppo impopolare, che colpisca i dipendenti pubblici, introduca i ticket sanitari. E’ chiaro che il presidente della Camera, al di là del merito delle misure economiche, sta cercando di infilarsi nella crepa profonda che si è aperta tra il premier e il responsabile dell’Economia. E indebolire l’asse con la Lega. Fini ha sempre sostenuto che «Tremonti non può fare tutto di testa sua come se fosse il dominus del governo».

E ora vede che anche Berlusconi si sta spostando su questa posizione, tanto da far dire ai finiani con sarcasmo che «a poco a poco molti nel Pdl stanno diventando finiani». Così il ministro Andrea Ronchi può dire che «il governo ha il dovere di condividere il senso della manovra con il Pdl, con i sindacati riformisti, le imprese e poi le associazioni di categoria». In questo gioco in tempi di crisi, Bossi però sembra orientato ad ascoltare più Berlusconi che Tremonti. Anche per il capo del Carroccio l’operazione economica e finanziaria non può prescindere dai duri obblighi europei e dalla tenuta dell’euro. Tuttavia il Senatur, come Berlusconi, ha un occhio sempre attento agli umori della gente, del popolo, del blocco sociale che ha mandato così in alto la Lega nei consensi. C’è una cosa che comunque non sopporta Bossi: che il premier abbia accusato Tremonti di voler fare una manovra più dura del necessario per mettere in cascina risorse per il federalismo fiscale.

Insomma, Fini ha abbastanza spazio per infilare il dito in queste frizioni. E fa dire a Fabio Granata che «le manovre si fanno attaccando sprechi e classi agiate e non mettendo in difficoltà lavoratori dipendenti. Con questo non voglio dire che tutti i ricchi evadono il fisco. Ma devono pagare proporzionalmente al loro tenore di vita. In Italia c’è un meccanismo di sperequazione fra i ceti più deboli e quelli agiati inaccettabile». Italo Bocchino si augura che Silvio Berlusconi coinvolga tutto il Pdl e la sua coalizione nelle scelte per evitare che valutazioni «soltanto contabili creino problemi nel rapporto tra governo e pubblica opinione». Anche per Bocchino una manovra significativa deve puntare sul taglio degli sprechi e delle «spese lievitate negli ultimi anni cercando di evitare interventi orizzontali che rischiano di essere impopolari».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55295girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Restano dubbi sul salasso a certe categorie
Inserito da: Admin - Maggio 25, 2010, 09:33:38 am
25/5/2010 (7:26)  - IL DIBATTITO POLITICO

Manovra, il premier si consola con la promessa di abbassare le tasse

Tremonti garantisce: riduzione prevedibile tra due anni.

Restano dubbi sul salasso a certe categorie

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Con questa manovra tra due anni si potranno abbassare le tasse. Ma adesso è il momento dei sacrifici. Tremonti assicura questa rosea prospettiva a Silvio Berlusconi e il premier, chiuso il telefono, dice ai suoi strettissimi collaboratori che «Giulio mi vuole sempre bene». Ma non sono state solo queste parole di ottimismo futuro ad addolcire l’atteggiamento del Cavaliere nei confronti del suo ministro dell’Economia sul quale qualche sospetto lo ha avuto (e forse continua ad averlo): e cioè di volergli succedere a Palazzo Chigi. E il trappolone, come ha sussurrato qualche berlusconiano al capo, sarebbe cominciato proprio con i provvedimenti economici che saranno varati questa sera dal Consiglio dei ministri. Un sospetto per Tremonti insopportabile. «Il trappolone semmai ci sarebbe stato - dicono gli amici del ministro dell’Economia - se avessimo proposto una manovra morbida che avrebbe mandato i conti pubblici a gambe in aria. E poi cosa poteva l’Italia quando in Europa tutti i Paesi stanno assumendo decisioni drastiche?».

Ed è quello che ha spiegato lo stesso Tremonti ieri alla Consulta economica del Pd. Si pensava ad un intervento correttivo molto più contenuto, ma poi è scoppiato il caso della Grecia, con la Spagna e il Portogallo nel mirino della speculazione a causa del debito pubblico. E allora si è reso necessario anche per noi un intervento forte con una manovra da 24 miliardi. Ma ieri sera il ministro non ha quantificato e specificato le cifre dei singoli interventi. Esponenti del Pdl, come Baldassarri e Brunetta, hanno chiesto approfondimenti sui numeri e Tremonti ha spiegato che naturalmente porterà «le tabelle e le quantificazioni in Consiglio dei ministri».

Quindi ancora carte coperte e questo ha lasciato più di un dubbio. Anche perché, a parte un formale via libera del partito, ci sono ancora alcuni punti da definire e sui quali si è aperta una discussione politica all’interno del governo e della maggioranza: come i tagli alle remunerazioni dei manager pubblici, la riduzione del finanziamento ai partiti, la tracciabilità dei pagamenti in contanti ed infine le risorse da destinare a Roma capitale (alla riunione era presente anche il sindaco della capitale Alemanno). Tutti punti che aveva sollevato lo stesso Berlusconi. «Se questi interventi non verranno chiariti, modificati e magari eliminati - dicevano alcuni berlusconiani - significa che è prevalsa la linea di Tremonti».

La verità sta in mezzo, come spesso accade. Il premier vuole ancora capire se certe misure producono un gettito che le giustifica. Altrimenti si scontenterebbero, per esempio, i manager pubblici da tassare o qualche altra categorie senza un motivo valido dal punto di vista del rientro del deficit. Palazzo Chigi ha però voluto dare l’impressione che tutto è a posto e non è un caso che Gianni Letta e Tremonti sono arrivati alla Consulta insieme e a braccetto. E un’immagine di unità verrà data anche domani quando il premier e il ministro dell’Economia spiegheranno la manovra all’assemblea dei parlamentari del Pdl.

Il premier sta pensando ad un’uscita pubblica, forse una conferenza stampa o a un intervento televisivo, in cui potrebbe usare pure lui la parola «sacrifici». Come ha fatto ieri all’Aquila Gianni Letta («sacrifici molto pesanti, molto duri che spero siano provvisori»). Ma la parola «sacrifici», assicurano a palazzo Grazioli, verrà declinata in chiave ottimista. Dicendo agli italiani che questo è un momento difficile, che l’Italia ha i conti in ordine, migliori degli altri Paesi Ue, ma l’Europa ci impone di fare questo passo: una di «responsabilità» per evitare di fare la fine della Grecia.

Giovedì il Cavaliere parlerà all’assemblea di Confindustria e nel pomeriggio volerà a Parigi per la riunione dell’Ocse. Con Tremonti è d’accordo sulla necessità di coinvolgere le parti sociali per creare attorno alla manovra un ampio consenso. Anche in Parlamento spera di avere dalla sua parte l’Udc di Pier Fedinando Casini. Alla fine dovrà metterci la faccia in prima persona sui sacrifici, e sperare che servano per uscire dal tunnel, per poi tagliare le tasse alla fine della legislatura. Almeno è quello che gli ha prospettato Tremonti per far passare ciò che politicamente il Pdl non vuole: teme la perdita di consenso elettorale.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55331girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La rabbia del Cavaliere: "Gianfranco lo distruggo"
Inserito da: Admin - Luglio 15, 2010, 10:50:20 pm
15/7/2010 (7:13)  - RETROSCENA

La rabbia del Cavaliere: "Gianfranco lo distruggo"

Il premier Silvio Berlusconi con il presidente della Camera Gianfranco Fini
   
«Non mi faccio ricattare, se continua così lo porto davanti agli elettori e la pagherà cara»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi lo vuole morto, dice di Fini cose inenarrabili, che è un killer, un traditore, un ricattatore, un amico delle toghe rosse, «che la pagherà cara», confida uno dei partecipanti al vertice che ha portato alle dimissioni di Cosentino, che però rimane alla guida del Pdl in Campania. Una risposta del premier al presidente della Camera. Il quale voleva liquidare Cosentino da coordinatore regionale ma ha ottenuto l’allontanamento dal governo dopo aver calendarizzato per la prossima settimana la mozione di sfiducia delle opposizioni. «Berlusconi capisce solo questo linguaggio ruvido», ha detto Fini ai suoi, soddisfatto di avere segnato un punto a suo vantaggio.

Il linguaggio della pistola sul tavolo, dimostrando quanto male può fare dal più alto scranno di Montecitorio. Una rendita di posizione che va molto oltre il numero di parlamentari che lo seguono in battaglia. Un potere istituzionale capace di neutralizzare gli attacchi di Berlusconi che aveva minacciato di espellere dal partito i finiani che avrebbe votato la sfiducia a Cosentino. Tranne poi fare marcia indietro fino a chiedere al sottosegretario di dimettersi per evitare di andare sotto alla Camera. Anche se poi la versione pilotata dai berlusconiani è stata un’altra: il Cavaliere avrebbe chiesto a Cosentino di rimanere al suo posto per non darla vinta al nemico.

«Lui si riempie la bocca di legalità - si è sfogato il premier - ma pensa solo al potere personale, a logorarmi, a prendersi la leadership del partito, a piazzare quel mascalzone di Bocchino a vice coordinatore del partito. Ma se lo scorda. I coordinatori rimangono tre, Denis (Verdini ndr) rimane al suo posto e La Russa per me rappresenta la componente ex An. Adesso basta questo gioco al massacro di chi vuole far cadere il governo e spaccare il Pdl». Se ci saranno cambiamenti se ne parlerà a settembre e si deciderà cosa fare ad agosto. Berlusconi ha precettato i dirigenti del partito per questo mese e infatti nessuno ha organizzato viaggi e ferie con le famiglie. Tutti in conclave a Roma a limare l’ascia di guerra.

La verità è che il premier si è trovato con le spalle al muro e l’unica mossa che ha potuto fare è stata di rispondere alla coltellata di Fini con la contro-coltellata della conferma di Verdini e di Cosentino nelle loro cariche di partito. Sa pure che l’avversario non si fermerà e continuerà a mettergli altre «pistole alla tempia», osservano a Palazzo Chigi. «Ma io lo distruggo - ha alzato la voce il presidente del Consiglio alla riunione di ieri pomeriggio - non mi faccio ricattare e se continua così lo porto davanti agli elettori perché non riesco a governare. Sulle intercettazioni non va bene mai niente, nemmeno al Quirinale».

Ma l’inquilino di Montecitorio è una saponetta che gli scivola di mano. Fini avrebbe chiesto attraverso Gianni Letta un incontro con il capo del governo per la prossima settimana, ma il premier non sembra disposto a vederlo. Chissà se cambierà posizione pure questa volta o se accetterà il summit magari per rompere definitivamente. Certo è, spiega Osvaldo Napoli, che «dopo i casi di Scajola, Brancher e Cosentino, non si deve aspettare un’ora di più per arrivare a fare chiarezza con Fini. Rottura o accordo, ma chiarezza va fatta in modo radicale e non episodico».

Berlusconi è furioso anche con i suoi fedelissimi che si sono messi a litigare. Con una parte che si organizza nella componente Liberamente e chiede il coordinatore unico. E gli altri che cercano di sbarrare la strada a Frattini, Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo. Gli ex An La Russa e Gasparri che temono, o meglio temevano se è vero quello che ha assicurato loro lo stesso leader del Pdl, di essere sacrificati sull’altare della pace tra i due cofondatori. «Dobbiamo rimanere uniti», ha spiegato il premier. Il quale deve sopportare l’ennesimo stop sulle intercettazioni, con voci che gli giungono dal Colle secondo cui è meglio rinviare tutto a settembre.

Ma c’è chi di fronte alla furia del premier cerca di farlo ragionare, suggerendo la strada del compromesso con Fini. «Ma io da quello lì non accetto lezioni di legalità, e poi lui la pace non la vuole, è una persona falsa».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56731girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E il premier si sfogò: "Mi sento solo ognuno pensa a sé"
Inserito da: Admin - Luglio 18, 2010, 11:01:00 am
18/7/2010 (7:32)  - RETROSCENA

E il premier si sfogò: "Mi sento solo ognuno pensa a sé"

"Liberamente" spinge per avere la testa di Verdini. Ma gli altri coordinatori si arroccano

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Nessuno sa con precisione cosa abbia fatto ieri tutto il giorno nel castello di Tor Crescenza (i soliti maliziosi cominciano a fantasticare). Gossip a parte, questo angolo di campagna romana sarà anche la location dei pensieri politici di Berlusconi. Ad agosto dovrebbe tirare fuori dal cilindro la via d’uscita dall’impasse in cui si trova il governo e tagliare il nodo gordiano che sta arroventando lo scontro dentro il Pdl.

Il premier dovrebbe scrollarsi di dosso l’immagine del «Cavalier tentenna» che non sa decidere quale strada imboccare. Come e se rappacificarsi con Fini; in che modo prendere le distanze dagli affaristi di casa sua; a chi dare ragione nel partito (triumvirato o coordinatore unico?); come frenare Bossi che vuole il federalismo fiscale a tamburo battente e cosa fare con Tremonti che, come ha scritto il Corriere della Sera, lo chiama «nonnetto» e va in televisione a dire che la manovra economica non è sua ma di Berlusconi. Quando tutti sanno, dice un autorevole berlusconiano della prima ora, che Tremonti quella manovra gliel’ha imposta e che la sospensione del pagamento delle sanzioni europee sulle quote latte è l’ennesima prova dello «strapotere» del ministro dell’Economia e della Lega.

«La verità - ha confidato Berlusconi a un suo autorevole consigliere - è che sono solo, ognuno pensa a se stesso e non al bene della coalizione». E ciò, a suo parere, nonostante l’«assedio mediatico e giudiziario» che il centrodestra sta subendo. E’ da un po’ di tempo che il premier ha questa netta sensazione di solitudine e in solitudine in quel castello dovrà trovare il bandolo della matassa, ma ogni sua decisione potrebbe rivelarsi traumatica. Ci vorrebbe un colpo d’ala, suggeriscono gli uomini e le donne di Liberamente (Frattini, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo e Valducci), uno dei suoi colpi di genio per corrispondere agli umori di un elettorato che vuole una presa di distanza dalla cricca, dai Verdini, dai Cosentino. Verdini non si tocca, reagisce l’armata che fa capo a Bondi, Cicchitto, La Russa, Gasparri, Quagliariello, Brambilla: se si cede su questo punto Fini l’avrebbe vinta su tutta la linea e metterebbe tutti i suoi uomini nella linea di comando del Pdl. Questo, replicano gli altri dall’altra trincea, è il modo di ragionare di chi vuole mantenere lo status quo per salvare le proprie posizioni di potere: loro investono nel conflitto con Fini perché gli conviene.

In tutto questo Gianni Letta continua a spingere Berlusconi verso un accordo con Fini. Un’intesa che dovrebbe però passare per un ridimensionamento di Bossi e di Tremonti. E qui le cose si fanno molto complicate perché si tratta di toccare l’architrave del governo. «Una cosa dovrebbe essere chiara: il capo del governo si chiama Silvio Berlusconi», ripete spesso Letta a Tremonti. Ma il ridimensionamento dell’inquilino di via XX Settembre significa fare i conti con il Senatùr. Già, e non è un caso che ieri in prima pagina il Secolo d’Italia diretto dalla finiana Flavia Perina avesse un fondo con questo titolo: «E’ la Lega il problema dentro il Pdl». E per Berlusconi «Re Solo» è in particolare la gestione del federalismo fiscale. Non è che il premier sia contrario ai decreti attuativi, ma chi dovrà gestire questo passaggio così importante? «Ancora una volta Tremonti insieme a Bossi - si chiede un ministro - oppure il vero presidente del Consiglio? Per questo Berlusconi sta frenando. Tremonti non può gestirsi il tesoretto del Nord e poi al minimo contrasto dire “allora mi dimetto”».

Per Berlusconi è arrivata l’ora di decidere cosa fare, e non solo rispetto a Fini. E se la prossima volta, dopo che sarà approvata la manovra economica, Tremonti ripeterà al premier “mi dimetto”? «Gli risponda: “accomodati”»: così qualcuno a Palazzo Chigi ha suggerito al Cavaliere solitario.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56808girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Nel Pdl ora si teme il grande agguato
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2010, 04:23:33 pm
19/7/2010 (7:20)  - RETROSCENA

Nel Pdl ora si teme il grande agguato
   
Tanti pronti a votare coi finiani l'uso delle intercettazioni per colpire Verdini e Cosentino

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Se non sarà Silvio Berlusconi a risolvere il problema di Nicola Cosentino e di Denis Verdini, ci penserà il Parlamento nel momento in cui arriverà la richiesta dei magistrati di potere utilizzare le intercettazioni sulla presunta P3. La Procura di Roma finora non ha fatto questa richiesta. Ma dopo l’interrogatorio di Cosentino, avvenuto ieri a Roma, e degli altri protagonisti della vicenda giudiziaria nei prossimi giorni, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Rodolfo Sabelli faranno il passo successivo: si rivolgeranno a Montecitorio, appunto, perché le intercettazioni dei parlamentari non possono essere utilizzate se non c’è il via libera da parte della Camera di appartenenza. Non c’è ancora una data. Tutto lascia immaginare che ne parlerà dopo la pausa estiva. Una cosa è certa: sarà l’occasione per tutti quelli che nel Pdl vogliono la decapitazione del coordinatore nazionale e di quello campano.

Scatterà l’agguato e non solo dei vietcong di Gianfranco Fini, che sono da tempo con il fucile puntato contro i due «amici». «Il voto segreto - spiega Italo Bocchino - consentirà a molti dei berlusconiani di esprimersi liberamente, di chiudere questo capitolo che Berlusconi tiene aperto». Tranne se prima non sarà lo stesso Berlusconi a chiuderlo quando metterà mano alla riorganizzazione del partito nel nuovo buen retiro di Tor Crescenza. Bocchino si riferisce a quell’area che si riconosce nel gruppo di Liberamente e gravita attorno a Frattini, Gelmini, Carfagna, Prestigiacomo e Valducci.

Un’area che punta a prendersi il partito. Non solo. Ci sono quei deputati che per vari motivi hanno il dente avvelenato con Verdini (fare il coordinatore crea molte antipatie) e non vedono l’ora di liquidarlo. Poi ci sono i campani in guerra con Cosentino. Alcuni hanno l’acquolina in bocca perché vendono l’opportunità di accaparrarsi la poltrona di leader regionale. Altri sono convinti che Cosentino abbia veramente tramato per screditare Stefano Caldoro con la preparazione di dossier a base di trans e «culattoni». E che quindi non può rimanere a guidare il partito in quella Regione. Sono gli amici del governatore della Campania, che ieri in un’intervista al «Mattino» di Napoli è stato esplicito rispetto a Cosentino: «E’ finito un ciclo politico. Il Pdl deve cambiare marcia, rinnovarsi e tutti devono mettersi in gioco». E cosa faranno i deputati fedeli a Giulio Tremonti? Il ministro dell’Economia riconosce l’esistenza di una questione morale nella società italiana in generale e nel Pdl in particolare: «Non si tratta solo di una mela marcia. E’ venuta fuori una cassetta di mele marce», ha detto in un’intervista a Repubblica. Tutto da vedere infine l’atteggiamento dei parlamentari della Lega che si troverebbero in imbarazzo a negare ai magistrati romani l’uso delle intercettazioni.

Nel segreto del voto, insomma, potrebbe muoversi un’area che in tutto arriverebbe a superare alla grande i 50 deputati, pronti a di dire sì ai magistrati romani contro le indicazioni del partito. Non è detto che si arrivi a questo punto. Berlusconi farà di tutto per evitare questa spaccatura verticale e che in un’aula parlamentare emergano plasticamente le faide scoppiate nel suo partito. Tenuto conto inoltre del fatto che a difesa di Verdini c’è un altro importante e robusto pezzo del Popolo della libertà concentrato attorno ad Alfano, Schifani, Bondi, Cicchitto, Quagliariello, Lupi, La Russa, Gasparri, Napoli. E’ la maggioranza dei gruppi parlamentari che non vuole dare in pasto ai pm Cosentino e Verdini e tenta di fermare l’«assalto giudiziario e giacobino». Oltre a mantenere le loro cariche.

E’ uno scenario che si aprirà subito dopo l’estate. Intanto già oggi ci sarà un altro giro di boa. Berlusconi dovrà decidere cosa fare del ddl intercettazioni. Domani in commissione Giustizia della Camera si votano gli emendamenti. Sul tavolo ci sono quelli del Guardasigilli Angelino Alfano e della finiana Giulia Bongiorno. Il Quirinale spinge a favore di questi ultimi. Ecco, il premier dovrà dire cosa fare: se andare allo scontro oppure accettare una ricomposizione che potrebbe aprire la strada al riavvicinamento con il presidente della Camera.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56834girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi e la tattica della delusione
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2010, 10:20:39 am
21/7/2010 (7:22)  - RETROSCENA

Berlusconi e la tattica della delusione

Fini attacca la "leadership carismatica" e Tremonti

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Dopo l’ufficio di presidenza dell’8 giugno, era stato lo stesso Berlusconi a rivelare di essere stato l’unico ad astenersi sul ddl intercettazioni in discussione a Palazzo Madama. Per lui era già troppo annacquato. Aveva avvertito che non ci sarebbero stati ulteriori cedimenti: «La legge come uscirà dal Senato verrà approvata dalla Camera». Così non è stato: il premier ha dovuto ingranare la retromarcia di fronte alle forti perplessità del capo dello Stato, che non avrebbe firmato il provvedimento, all’opposizione di Fini e al fuoco di sbarramento di magistrati, giornalisti, editori. A maggior ragione ora è deluso e dice che gli italiani continueranno a non poter parlare al telefono.

Da qui la frustrazione di coloro (innanzitutto del ministro Alfano) che hanno lavorato sodo per un compromesso e dei pasdaran che hanno attaccato a testa bassa. Sono le truppe berlusconiane che non capiscono più le mosse del generale, questo continuo ondeggiamento, i suoi attacchi e le repentine ritirate come è avvenuto per Scajola, Brancher e Cosentino. Per non parlare poi degli sfracelli annunciati contro il presidente della Camera e mai seguiti dai fatti. Su cosa fare sul ddl intercettazioni, racconta chi vi ha partecipato, le riunioni della Consulta giuridica del Pdl cominciavano con intenzioni bellicose contro Fini e finivano con parole di fuoco sulla Bongiorno, presidente della commissione Giustizia.

Alla fine sempre un pugno di mosche in mano. Non è vero, spiegano chi conosce bene il modo di ragionare del capo: «Berlusconi porta a casa qualcosa di buono e non è un caso che l’Anm, il Csm, la Fnsi, il Pd e l’Idv continuano a strillare ». Rimane infatti una limitazione per i magistrati nell’uso delle intercettazioni, soprattutto vengono neutralizzate quelle non inerenti al processo, a cominciare dai gossip a luci rosse. Dunque quella del premier sarebbe una «delusione tattica»: «Se avesse detto “questa legge mi piace”, sarebbe scattata la demonizzazione. Così quello che incassa è meglio che niente. Per questo bisogna approvare la legge».

E’ la solita storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, una piccola trappola del Cavaliere o un modo per coprire la sconfitta? Rimane il fatto che il via libera al compromesso è stato dato dal premier, sapendo che il provvedimento non sarebbe passato alla Camera e al Quirinale senza gli emendamenti di Alfano. E allora via all’approvazione entro i primi giorni di agosto, niente rinvii a settembre (tutti i parlamentari sono stati precettati con un sms di Cicchitto). «Abbiamo fatto tanto, ora che facciamo buttiamo tutto a mare?», dice il capogruppo Pdl, che sottolinea il lavoro certosino fatto da Alfano. Un lavoro che, secondo la cordata schierata contro i finiani e il gruppo di Frattini, Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo, rafforza il ruolo politico di Alfano dentro il Pdl. Lo rafforza nella lotta interna per il nuovo assetto del partito al quale Berlusconi dice di volere mettere mano ad agosto.

Nonostante la sua delusione (tattica?), il premier ha sminato il campo dalle intercettazioni. E i berlusconiani con l’elmetto in testa, altrettanto delusi, dicono che in questo modo il Cavaliere ha evitato di andare in minoranza nelle aule parlamentari, come rischiava se si fosse votata la mozione di sfiducia contro Cosentino. Una ritirata dietro l’altra per non misurare la tenuta della maggioranza e non accreditare la tesi che è giunto il momento di passare la mano, magari a un governo di larghe intese guidato da Tremonti.

Il problema che ha con Fini però sembra intatto. Il presidente della Camera canta vittoria sulle intercettazioni, rivendica di aver condotto «una battaglia giusta »: «E’ prevalso il buon senso ». Volendo così dimostrare che è finita l’epoca del «centralismo carismatico». E’ l’ora di convocare il congresso del Pdl, ricorda Fini, che sulla manovra economica lamenta la mancanza di una discussione nella maggioranza, e invita a nno lasciare che se ne occupi solo il «buon» ministro Tremonti. Poi parla dei «rischi che alcune Regioni, quelle del Sud, correranno con il federalismo». E a proposito delle inchieste, rilancia la questione morale, chiedendo «intransigenza contro chi fa gli affari propri». E l’incontro per la pace tra i due che fine ha fatto? Nessuno ne parla più.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56894girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il premier: quello lì ormai anticipa le procure
Inserito da: Admin - Luglio 27, 2010, 09:42:40 am
27/7/2010 (7:31)  - RETROSCENA

Il premier: quello lì ormai anticipa le procure

«Lui sa ciò che faranno i pm e fa le sue mosse anticipando le iniziative giudiziarie. E io dovrei tenermi queste serpi in seno?»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ieri la preoccupazione maggiore di Berlusconi era l’interrogatorio di Verdini alla procura di Roma. Certo, ad Arcore il premier ha atteso con una certa curiosità di sapere cosa avrebbe detto Fini ai circoli di Generazione Italia riuniti a Napoli. Ma nelle stesse ore le sue antenne erano innanzitutto sintonizzate su Piazzale Clodio dove il suo coordinatore veniva messo sotto torchio dai magistrati. E Denis è rimasto dentro il Palazzo di Giustizia per molte ore. Cosa stava accadendo lì dentro? Perché il coordinatore del Pdl ancora non usciva? L’apprensione nello stato maggiore del partito cresceva. Tra l’altro, per tutta la giornata era circolata la voce di una richiesta d’arresto alla Camera da parte di una delle varie Procure italiane dove Verdini è sotto inchiesta. Quando poi in serata sono state diffuse dalle agenzie le affermazioni di Fini, a cominciare da quella in cui ha chiesto le dimissioni di chi è indagato, l’impressione del Cavaliere è stata netta: «Lui sa quello che si muove nelle procure e fa le sue mosse anticipando le iniziative giudiziarie. E io dovrei tenermi queste serpi in seno?».

Questa più che sgradevole impressione è diffusa ai vertici del Pdl e le «serpi in seno», sonde dentro le procure di Fini, sarebbero i «soli noti» su cui si è abbattuta la furia dei berlusconiani: Granata e Bocchino. I due finiani stanno sparando sul quartier generale di Palazzo Grazioli, ma i loro colpi di maglio proprio ieri sono stati coperti e per nulla sconfessati dal presidente della Camera. Anche quelli più dirompenti sulla legalità e i nomi di chi nel governo copre la verità sulla mafia.

«La convivenza nello stesso partito - spiega il vicecapogruppo Pdl al Senato Quagliariello - diventa impossibile quando c’è un modo opposto di interpretare i principi di fondo sulla legalità e su cosa è accaduto in Italia negli ultimi anni». «Fini - osserva il presidente dei deputati Cicchitto - è andato oltre il limite che il suo ruolo istituzionale di presidente della Camera gli impone». Chiederete le sue dimissioni? «Vedremo. Intanto domani (oggi per chi legge, ndr) c’è la riunione dei capigruppo e si capirà cosa vuole fare Fini: se deciderà di rinviare a settembre il ddl sulle intercettazioni o, come chiediamo noi, il voto verrà calendarizzato prima della pausa estiva».

Rimane il fatto che per Berlusconi l’ex leader di An cavalca la questione morale, anticipando le mosse dei magistrati, getta «fango» sui massimi esponenti del partito e sul governo, come se fosse lui «il vero capo dell’opposizione». Usando argomenti del «peggior Di Pietro, della sinistra estrema». «Se la prende con Mantovano perché giustamente ha levato la protezione a un ciarlatano come Spatuzza». Con Fini è finita: per il premier la terza carica dello Stato ha imboccato una strada senza ritorno, sta bruciando tutti i ponti. E a chi è andato a trovarlo ad Arcore ieri mattina ha detto che l’avversario si sta organizzando in proprio: l’assemblea nazionale dei circoli di Generazione Italia che si svolgerà il 6-7 novembre a Perugia altro non è che la nascita del partito di Fini. A questo punto, secondo il premier, l’inquilino di Montecitorio dovrà dimettersi. Ma rimane il problema degli effetti che la rottura avrà sul governo. Reggerà ancora la maggioranza di centrodestra?

Di questo hanno parlato ieri sera a Villa San Martino Berlusconi e Bossi, che era accompagnato da Maroni, Calderoli e Cota. Il Senatùr è convinto che senza i parlamentari finiani reggerà. Anche il premier ne è convinto. «I finiani sono divisi e di fronte al pericolo di elezioni anticipate con Fini rimarranno al massimo una trentina di deputati e senatori». L’errore di calcolo potrebbe essere fatale per Berlusconi, come in passato lo è stato per Prodi.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57069girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi nella tenaglia Fini-Tremonti
Inserito da: Admin - Luglio 28, 2010, 11:06:02 am
28/7/2010 (7:44)  - RETROSCENA

Berlusconi nella tenaglia Fini-Tremonti

Il premier in difesa dagli attacchi di alleati e magistratura

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Palazzo Grazioli sembra un bunker nel quale Berlusconi deve difendersi dagli attacchi della magistratura e da quella che i berlusconiani definiscono «una tenaglia: da una parte Fini dall’altra Tremonti». Il premier viene descritto depresso, diffidente. Si rende conto che gli stanno arrivando addosso una slavina dietro l’altra. L’ultima è l’iscrizione nel registro degli indagati del sottosegretario Caliendo al quale ha dovuto esprimere la sua fiducia perchè non può farsi dettare l’agenda dai pm, rimanendone ostaggio. Il premier ha chiaro che l’obiettivo è il cuore del governo, cioè lui stesso. E il timing sarebbe fissato per ottobre-novembre quando la Consulta dovrebbe riunirsi per decidere sull’eccezione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Milano sul legittimo impedimento.

Ma intanto continua l’assalto al bunker anche di natura politica che vede in prima fila il presidente della Camera e dietro le quinte il ministro dell’Economia (questo il sospetto del premier). Tremonti nega intenzioni del genere. Tuttavia il Cavaliere, in un colloquio alla Camera, gli avrebbe chiesto spiegazioni delle sue mosse, del perché nei giorni scorsi ha avallato l’idea dell’esistenza di una questione morale. E questo proprio nel momento meno indicato, con Verdini, Cosentino, Caliendo, Dell’Utri sotto torchio.

Berlusconi e Tremonti ieri dovevano insieme presentarsi all’assemblea dei deputati per parlare della manovra economica di cui si vota la fiducia. L’assemblea è saltata. C’è chi dice che il motivo è stato di evitare che la sala fosse mezza vuota visto che i deputati la manovra l’hanno letta sui giornali. L’altra spiegazione è che a Berlusconi non è piaciuta l’idea di Tremonti che gli chiedeva di metterci la faccia sulla manovra. Tra l’altro l’assemblea sarebbe potuto essere l’occasione di richieste di chiarimenti sui rapporti con Fini. E il premier per il momento non vuole dire in pubblico quello che pensa in privato della terza carica dello Stato. Vuole invece superare lo scoglio del voto di fiducia sulla manovra e poi quello sulle intercettazioni.

A questo proposito sembra che si vada ad un voto di fiducia sulle pregiudiziali di costituzionalità mentre sul merito del provvedimento tutto verrebbe rinviato a settembre: votare i primi giorni di agosto, con sicure assenze tra le fila della maggioranza, è stato altamente sconsigliato a Berlusconi. Il quale sta verificando quale sarebbe il costo di una rottura con Fini. In sostanza prima di fare la sua mossa vuole le spalle coperte, sapere quanti sono i finiani che seguirebbero l’ex leader di An.

Il premier è convinto che, con il rischio di elezioni anticipate, sarebbero una dozzina alla Camera, ma i conti potrebbero rivelarsi sbagliati. «Silvio vuole le spalle coperte prima di fare il passo finale contro Fini», spiega un ministro che in questi giorni lo sente spesso. E che esprime qualche dubbio sulla certezza della tenuta di Verdini: «Essersi dimesso da presidente del Credito cooperativo e non da coordinatore è un comportamento contraddittorio. Il fatto che Bankitalia abbia commissariato la banca rende Berlusconi sospettoso sugli affari di Denis».

Rimane il fatto che il premier non ha chiesto né a Verdini né a Caliendo di dimettersi, ma sul sottosegretario alla Giustizia ora pende la mozione di sfiducia a settembre: un’altra pistola carica sulla tavolo del Cavaliere. Che nel bunker medita su cosa fare per neutralizzare Fini: circola l’ipotesi di un documento da approvare in un ufficio di presidenza (l’appuntamento potrebbe essere per giovedì) che di fatto metterebbe fuori dal partito l’avversario. Intanto Fini ieri ha chiuso la vicenda di Mantovano, chiamato in causa da Granata sulla vicenda della scorta tolta a Spatuzza. Lo ha chiamato al telefono per «immutata stima e considerazione».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57105girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: ormai per Fini è tardi
Inserito da: Admin - Luglio 29, 2010, 11:43:41 am
 29/7/2010 (6:42)

Berlusconi: ormai per Fini è tardi

Rottura a un soffio: è fuori

AMEDEO LA MATTINA

A un passo dal baratro Fini mette le ali della colomba e chiede a Berlusconi di far tacere gli ultras per evitare una «mattanza» che non avrebbe nè vincitori né vinti. Le dichiarazioni del presidente della Camera sono piombate come una bomba su Palazzo Grazioli dove il premier ieri sera era riunito con lo stato maggiore del Pdl. Quando il portavoce Paolo Bonaiuti gli ha portato le agenzie il Cavaliere ha subito commentato: «Ormai è troppo tardi». Due le interpretazioni della mossa dell’avversario. La prima è che l’ex leader di An, avendo capito che Berlusconi fa sul serio, si è messo paura e vuole salvare il salvabile perché saranno in pochi a seguirlo. E’ considerata la solita tattica usata quando Berlusconi, dal predellino della sua auto a Milano, lanciò il Popolo delle libertà e Fini disse «siamo alle comiche finali». «Salvo poi scaricare Casini e imbarcarsi nel Pdl all’ultimo minuto utile», dicono i berlusconiani. L’altra interpretazione è più maliziosa: quella di Fini è una «trappola»; sta fingendo di voler fare pace per poter poi dire «avete visto? è lui che vuole rompere non io».

Nell’uno e nell’altro caso il premier non crede che quello di dell’inquilino di Montecitorio sia un ramoscello d’ulivo e vuole andare avanti nel suo piano di espulsione. «Poteva pensarci prima, doveva essere lui a mettere la museruola ai suoi ultras che ha sempre mandato avanti senza mai sconfessarli. Basta, la gente è stanca di questo teatrino», ha detto il presidente del Consiglio. Se la notte non porta consiglio, se Gianni Letta e le altre colombe non riescono a convincere il Cavaliere a fare l’ultimo estremo tentativo di un incontro della pace, scatta l’atto finale della storia. E sarebbe una questione di ore: tra oggi e domani il premier lancerà il suo J’accuse pubblico al cofondatore del Pdl che a suo avviso «non è più compatibile con il partito, è venuto meno alla lealtà istituzionale» nella sua veste di presidente della Camera: i suoi comportamenti politici attentano alla stabilità di governo e si fa «strumento di un attacco giudiziario che ha come unica finalità la sovversione della sovranità popolare». Per dimostrare che c’è un tradimento del mandato, Berlusconi metterà in fila tutte le dichiarazioni di Fini e dei suoi seguaci, a cominciare da Bocchino, Granata e Briguglio. Tutto questo sarà oggetto di un documento che verrà approvato dall’ufficio di presidenza del Pdl ancora da convocare: forse domani, ma non è escluso che venga anticipato a questa sera dopo le votazioni sulla finanziaria. A quanto sembra non si aspetterà più il voto sul ddl intercettazioni per la semplice ragione che lo stesso Berlusconi avrebbe deciso di buttare nel cestino il controverso provvedimento, dopo circa diciotto mesi di gestazione. Dunque un documento d’accusa che Fini non potrà accettare. Sembra invece perdere quota l’ipotesi di una procedura disciplinare fino all’espulsione.

Una procedura che metterebbe in moto il lavoro dei probiviri (ma ancora non esiste un regolamento) al termine del quale i finiani potrebbero appellarsi al giudice civile. Nelle more di questa procedura, spiegano gli uomini del presidente della Camera, i giornali italiani e stranieri scriverebbero che Fini viene espulso perché ha chiesto maggiore legalità. Meglio allora il J’accuse che mette gli avversari con le spalle al muro. «Ho pazientato troppo e l’ho fatto per responsabilità istituzionale: ho aspettato l’approvazione della manovra per evitare che la speculazione internazionale trascinasse l’Italia nelle condizioni della Grecia». Fini vada pure a costituire il suo «partitino» e i suoi gruppi parlamentari: «Sempre che abbia i numeri per farlo». Sì, perchè il premier è convinto che il presidente della Camera non abbia sufficienti parlamentari per costituire gruppi autonomi. Intanto è partita la campagna acquisti di Berlusconi in vista della separazione con Fini. Ha fatto sapere ai finiani che ricoprono cariche di governo che o stanno con lui o rischiano la poltrona. Poi ha ricevuto Riccado Villari, che vorrebbe essere candidato a sindaco di Napoli, e i liberldemocratici Italo Tanoni e Daniela Melchiorre (per quest’ultima sarebbe pronta un posto di sottosegretaria).

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/57132girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La Russa: "I miei conti non erano sbagliati"
Inserito da: Admin - Agosto 01, 2010, 11:11:50 am
1/8/2010 (7:48)  - INTERVISTA

La Russa: "I miei conti non erano sbagliati"

Il ministro: «Scelta consapevole»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Sono due i colpi di maglio che assesta Ignazio La Russa. «Siamo tutti d’accordo che i 33 deputati iscritti al gruppo Futuro e Libertà sono sostanzialmente fuori dal Pdl. La stessa cosa riguarda chi ha un incarico di partito. Questa decisione verrà presa formalmente dai probiviri quando si riuniranno nei prossimi giorni. Non è escluso che verrà anticipata dai coordinatori nazionali». Il secondo colpo è diretto a Fini. Cosa ne pensa della vicenda sollevata dal «Giornale» sulla casa di Montecarlo, appartenuta ad An, affittata al fratello della signora Tulliani? «Su questo devono rispondere gli amministratori di An che dipendevano direttamente da Fini, non io che non ne voglio sapere nulla e non ne so nulla, stranamente benché fossi il coordinatore del partito. Nessuno mi ha mai avvisato neanche che quella casa fosse stata venduta».

Ministro, questa escalation accrescerà le frizioni e non sembra che alla Camera abbiate i numeri per governare.
«I numeri per governare sono quelli che si conoscevano prima dell’approvazione del documento da parte dell’ufficio di presidenza. Bastano per governare. Non c’è motivo di credere che tutti i 33 deputati iscritti al gruppo Futuro e Libertà siano dei bugiardi quando assicurano di voler sostenere il governo. Se dovesse accadere il contrario, allora bisognerà ricontare quelli tra i 33 che non sono stati sinceri. Bisognerà contare anche altri deputati che potrebbero avvicinarsi alla maggioranza: non i singoli ma soprattutto nuclei di un’area politica (e non penso all’Udc). Una cosa è certa: non ci sono i numeri per un altro governo. E al Senato anche senza nuovi arrivi e anche se tutti gli otto finiani fossero bugiardi, avremmo la maggioranza».

E alla Camera?
«Ho ancora gli sms di alcuni di loro: mi hanno detto “noi passiamo al nuovo gruppo ma mai e poi mai faremo cadere il governo”».

Avete sbagliato il calcolo dei «ribelli»?
«Un mese fa ho dato a Berlusconi, tramite Verdini, una lista. C’era scritto, con nomi e cognomi, che l’area su cui poteva contare Fini arrivava a 31 ex An. Poi c’era Della Vedova e fa 32, più la Polidori che non avevo messo nel conto perché indipendente. Insomma dicevo che era un minimo di 26 e un massimo di 31. Questo un mese fa. Il giorno in cui abbiamo votato il documento mi sono portato la stessa lista e ho ricordato questi numeri davanti a dieci persone e nessuno ha detto che erano numeri sbagliati. La scelta è stata fatta da tutti consapevolmente».

Sicuri di andare avanti, dunque.
«Sicuri anche perché non ci sono i numeri per costruire una nuova maggioranza che sarebbe contraria al volere degli elettori».

E se la maggioranza ci fosse solo al Senato?
«C’è in tutte e due le Camere ma se ipoteticamente ci dovesse essere solo al Senato si andrebbe alle elezioni: non ci sono altre soluzioni. Ma il voto non è un nostro obiettivo: se avessimo voluto andare alle urne questo sarebbe il momento migliore. Non daremmo tempo agli altri di riorganizzarsi. L’obiettivo è governare fino alla fine della legislatura con una maggioranza che ha meno numeri ma almeno non si cerca il nemico in casa».

Starete sempre in aula come ai tempi del governo Prodi: a ogni voto c’era il rischio del capitombolo.
«Il problema di Prodi non erano i numeri ma i contrasti insanabili all’interno della sua maggioranza. Da noi i numeri alla Camera potranno essere simili a quelli del governo Prodi, ma con una compattezza interna forte». Se si tornasse al voto, il Pdl vincerebbe? «Sì, largamente. Il consenso nei confronti del centrodestra rimane altissimo».

L’alleanza con Bossi tiene?
«Di questo sono matematicamente sicuro. Bossi con questa alleanza, oltre ad aumentare i consensi, ha conquistato la presidenza del Piemonte e del Veneto, il ministro dell’Interno. E non troverà mai una coalizione in cui ci sia tanta considerazione per un alleato di minoranza. Ha trovato la sponda convinta per il federalismo. Ha un’intesa personale ottima con Berlusconi che è quello che ha fatto la differenza».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57238girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fini: "I miei al governo voteranno per Caliendo"
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2010, 04:48:10 pm
4/8/2010 (7:22)  - RETROSCENA

Fini: "I miei al governo voteranno per Caliendo"

Il presidente detta linea: «Assurdo andare contro un collega»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Quello che decide Gianfranco si fa e chi non è d’accordo si adegua». Sono chiare e nette le parole di Aldo Di Biagio, uno dei fedelissimi di Fini, che ieri sera ha partecipato alla riunione dei deputati di Futuro e Libertà. Una riunione preceduta da un’infinità di telefonate e numerosi incontri nell’ufficio del presidente della Camera perché sulla linea dell’astensione concordata con l’Udc, Api e Mpa non c’era un accordo. «Mi devono convincere. Caliendo - spiegava nel pomeriggio Donato Lamorte - non mi sembra nella stessa condizioni di Cosentino e degli altri. Quanto al capogruppo io non sono mai stato d’accordo sul nome di Bocchino, e non è un mistero per nessuno. Si dovrà votare a scrutinio segreto e se prevale il nome di Italo la minoranza si adeguerà alla maggioranza».

La posizione di Lamorte è quella di altri «futuristi moderati», come Lo Presti, Moffa e Divella. Ma è anche quella del ministro Ronchi, del viceministro Urso e dei sottosegretari Viespoli, Menia e Buonfiglio. Loro si troverebbero in imbarazzo a votare contro il collega Caliendo. Così voteranno contro la sfiducia. E’ stato lo stesso Fini a indicare questa soluzione. «Non riuscirei a capire come un membro del governo possa dare un voto difforme da quello del governo di cui fa parte. Per questo - ha aggiunto all’incontro nella sede di Farefuturo - ritengo che i ministri debbano votare no alla mozione, gli altri si astengano». Ha poi spiegato che bisogna ribadire «assoluta fedeltà al programma di governo. Ribadire con i fatti la lealtà al governo. Saremo coerenti, ma c’è libertà di dissenso sulle cose non in programma. Non siamo traditori».

Per Fini in questa fase bisogna «prima di tutto nervi saldi e idee chiare: dobbiamo essere consapevoli che quanto fatto finora forse è nulla rispetto a quanto ci aspetta, a cominciare dalla campagna di fango mediatica e dalle varie minacce, come quella di elezioni anticipate». Minacce, ha spiegato Fini, «non tanto da parte di Berlusconi, ma soprattutto provenienti da pseudo berlusconiani». Fini, quindi, invita i suoi ad essere «estremamente parchi nelle dichiarazioni, vale per tutti e per nessuno». Quanto alla mozione di sfiducia contro Caliendo, si tratta di una mozione «chiaramente strumentale» e i finiani non cadranno nell’imboscata. Fini ha convinto i dubbiosi ad astenersi, spiegando che fa parte di una strategia complessiva: una mossa che serve ad avviare concretamente il coordinamento parlamentare con Udc, Api e Mpa. Un coordinamento definito «area di responsabilità istituzionale» e che prelude ad un’intesa politica ed elettorale nel caso Berlusconi volesse far precipitare la situazione verso le urne. Ma non è il terzo polo: «Nessuno è autorizzato, perchè non è la mia idea nè il mio progetto. La riunione di oggi con Api, Udc e Mpa è un fatto politico perchè è la prima volta che forze di maggioranza, e noi siamo maggioranza, e forze di opposizione si confrontano su valori come garantismo». E da oggi in poi basta divisioni tra falchi e colombe: «Vi chiedo di trovare sempre una sintesi unitaria. È una necessità assoluta».

Il compromesso tra falchi e colombe c’è stato, ma con un punto a favore dei primi. Il capogruppo alla Camera sarà infatti Bocchino affiancato da Benedetto Della Vedova, che oggi farà la dichiarazione di voto, e Conte come vicecapogruppo vicario. Baldassarri sarà il presidente dei senatori fino a settembre poi gli subentrerà Viespoli. Moffa farà il coordinatore dei gruppi e Menia organizzatore del territorio. Il nome di Bocchino è un pugno nello stomaco per Berlusconi: è uno dei tre deferiti ai probiviri. «Il capogruppo non ce lo facciamo imporre da Berlusconi», ha spiegato Fini. Il quale non ha gradito le telefonate che il premier ha fatto ai moderati per convincerli a stare dalla sua parte. Lo stesso Menia in un’intervista ha raccontato che il Cavaliere gli ha chiesto di fare da pontiere. Per Fini questi tentativi sono come il «bacio della morte»: per questo ha deciso per Bocchino. Il quale, tra l’altro, ha esperienza nei lavori in aula, mentre Moffa è impegnato come presidente della commissione Lavoro della Camera. La nomina di Bocchino è il segnale della linea dura, è la risposta al deferimento ai probiviri e alla defenestrazione da vicecapogruppo del Pdl voluta da Berlusconi

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57318girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Conflitto di interessi, l'arma finale di Futuro e Libertà
Inserito da: Admin - Agosto 10, 2010, 02:39:59 pm
10/8/2010 (6:43)  - RETROSCENA

Conflitto di interessi, l'arma finale di Futuro e Libertà

Il presidente della Camera ai suoi: non è tempo di colombe, ma non rispondere colpo su colpo

AMEDEO LA MATTINA

Per raffreddare i bollori politici d’agosto, Gianfranco Fini ieri ha fatto un’immersione al largo dell’Argentario. E una volta tornato a galla aveva le idee chiare su come affrontare il nemico di Arcore. Futuro e Libertà è pronto a sganciare la bomba atomica; un ordigno nucleare con su scritto «conflitto di interessi», quello che da anni da sinistra viene rinfacciato a Silvio Berlusconi. E’ la mossa dirompente che verrà fatta se dovesse continuare la «massacrante e ossessiva campagna mediatica» del Giornale e delle televisioni che sono di proprietà del premier. Una campagna di «delegittimazione personale» che ha portato il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, a chiedere le dimissioni del presidente della Camera. Capezzone non è stato smentito dal Cavaliere e nemmeno dal vertice del partito: quindi per Fini siamo di fronte a un’ulteriore frattura che rischia di essere insanabile, di chiudere ogni confronto programmatico. Apre anzi un vero e proprio conflitto istituzionale che vede il presidente del Consiglio attaccare la terza carica dello Stato con tutti i mezzi a sua disposizione, quelli che controlla sia direttamente per vincolo familiare e proprietario sia indirettamente attraverso la politica.

Ecco perché in Parlamento a settembre potrebbe essere sollevato il conflitto di interessi. Fini ha fatto sapere alle truppe parlamentari che non intende arretrare di un millimetro, che non ha alcuna intenzione di dimettersi. E’ il momento di andare all’attacco, di non farsi intimidire. «E a Berlusconi che chiede la mobilitazione contro i personalismi e i disfattisti - osserva Italo Bocchino - vorrei ricordare che il vero disfattista è lui: ha sfasciato un partito per antipatia personale». Quando il gioco si fa duro, le risposte devono essere durissime. A Fini non sono piaciute alcune dichiarazioni dei cosiddetti moderati come Silvano Moffa che ha parlato di «eterogeneità di posizioni» attorno a Fini, aggiungendo che sono controproducenti le posizioni dei falchi di entrambi gli schieramenti: «La spaccatura - sostiene Moffa, coordinatore dei gruppi parlamentari di Futuro e Libertà - è un fatto personale, i personalismi da tutte e due le parti hanno preso il sopravvento sulle analisi politiche. La vicenda Tulliani? Non mi interessano i fatti personali. Ci sono ben altre priorità nel Paese». Per l’altra colomba Roberto Menia ha ragione Moffa, «bisogna recuperare il galateo istituzionale»: «Tacciano una volta per tutte i cosiddetti falchetti di seconda scelta con i loro urli striduli, tacciano i guitti e mettiamoci a lavorare seriamente per completare il programma di governo». Per l’ex leader di An questo non è il momento delle colombe, ma di rispondere colpo su colpo. Così Carmelo Briguglio sul sito Generazione Italia pone «dubbi legittimi».

Si sono mossi «pezzi di servizi deviati» sulla vicenda della casa a Montecarlo? Briguglio, che fa parte della commissione di controllo sui servizi, scrive che «è legittimo avanzare non diciamo dei sospetti ma almeno dei dubbi» su uno dei due giornalisti del Giornale che ha seguito l’inchiesta giornalistica sulla casa di Montecarlo. Ha a che fare con «un notissimo direttore dei servizi segreti al tempo coinvolto nell’affaire-Sisde e poi condannato da un Tribunale della Repubblica? E’ una coincidenza? E un’omonimia? O una parentela? C’è qualche dossier confezionato da pezzi deviati dei Servizi? Qualcuno ha pensato, a prescindere dalla consapevolezza dell’utilizzatore finale, di fare un favore al Capo?». I finiani si chiedono come sia possibile che in un Paese occidentale possa accadere che l’«aggressione giornalistica» sia condotta da quei media così direttamente legati al premier proprio quando uno dei protagonisti della vicenda politica decide di dar vita un soggetto politico autonomo in dissenso dal leader del Pdl. E se le parole di Capezzone sono quelle di uno «stipendiato dal Pdl come portavoce», afferma Fabio Granata, quelle degli «ex colonnelli An, che a Fini devono tutto, sono semplicemente indegne».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57492girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L’incognita delle urne fa arretrare i falchi
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2010, 04:50:43 pm
12/8/2010 (7:2)  - RETROSCENA

L’incognita delle urne fa arretrare i falchi

Frenata tattica quando la rottura sembrava definitiva

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La giornata sembrava chiudersi come le altre: nel peggiore dei modi, con il solito muro contro muro tra Berlusconi e Fini. Nel tardo pomeriggio è arrivata una nota dei senatori finiani che chiedevano di sotterrare l’ascia di guerra, di ragionare, di aprire un confronto per evitare la guerra civile nel centrodestra. Il premier ha colto la palla al balzo e si è detto disponibile a ritrovare l’unità che «ove mancasse, porterebbe a scelte dolorose e definitive». Colpo di scena finale: i capigruppo di Futuro e Libertà Bocchino e Viespoli hanno fatto un comunicato in cui si dice che la disponibilità del presidente del Consiglio è «un segnale positivo». Cosa è successo veramente?

Sono due le versioni che vengono date dal campo finiano e non sono necessariamente in contraddizione. La prima versione racconta di un Fini che ha subito capito che il Cavaliere stava tentando di dividere i suoi parlamentari e ha fatto la contromossa. Ha chiamato irritato il moderato Viespoli e gli ha chiesto spiegazioni di quella nota-ramoscello d’ulivo che lo metteva in difficoltà proprio nel momento in cui è sottoposto a un durissimo attacco politico e mediatico. Ma intanto la frittata era fatta e quindi Fini ha dovuto correre ai ripari per dimostrare che sulla sua linea non ci sono divergenze, per evitare che Berlusconi si infilasse tra chi è andato all’assalto di Palazzo Grazioli (con il placet dello stesso Fini) e coloro che invece temono che un bagno di sangue senza vincitori e vinti. Così il presidente della Camera ha chiesto a Bocchino, Vispoli e al coordinatore dei gruppi Moffa di fare una nota congiunta per accogliere il «segnale positivo» del premier.

L’altra versione sostiene che Berlusconi sia venuto a più miti consigli di fronte alla contraerea dei falchi finiani Bocchino, Briguglio e Granata. Il Cavaliere spieghi come acquistò la villa di Arcore; se si deve dimettere Fini per la storia della casa a Montecarlo lo devono fare pure Berlusconi, Matteoli, Verdini e Fitto che hanno gravi pendenze giudiziarie; se volete trascinarci alle elezioni allora noi saremo disponibili a fare un governo tecnico con la sinistra e pure con Di Pietro, che proprio ieri ha aperto a questa ipotesi. Insomma, spiegano i finiani, il premier ha capito che se volano gli stracci, volano per tutti. E allora avrebbe ritenuto più opportuno abbassare i toni e fare un’apertura. La verità sta a metà strada e le vicende di ieri dimostrano che i duellanti navigano a vista. Nessuno dei due sa come andrebbe a finire se dovessero dare seguito alle loro mosse. Berlusconi, spiegano i finiani, non è sicuro di poter ottenere le elezioni dal capo dello Stato e vede muoversi nello scacchiere politico tutti coloro che non vogliono andare alle urne. Considerando che in caso di un incarico per formare un nuovo governo, molti parlamentari del Pdl potrebbe trovare conveniente sostenerlo per non andare a casa o per non rischiare di non essere rieletti. Fini però ha chiaro che una forzatura, un'alleanza con la sinistra e Di Pietro potrebbe avere forti ripercussioni nel gruppo di Futuro e Libertà, pendendo dei pezzi.

Oggi si vedrà se i segnali di pace sono reali o è tutta tattica, un bluff. Rimane il fatto che Fini per tutta la giornata di ieri aveva caricato le truppe dei falchi. Berlusconi, aveva detto, commetterebbe un «errore fatale» se in autunno decidesse di salire al Quirinale per chiedere le elezioni. Se il premier dovesse fare questo «passo falso», Fini sarebbe pronto ad allearsi pure con il “diavolo”. Prima del voto il presidente della Camera sarebbe disponibile a verificare le condizioni per un governo di emergenza istituzionale, convinto che anche al Senato ci sono i numeri. Calcoli, supposizioni, scenari. Poi in serata la tregua (finta?)

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57549girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Granata: "Sono pronto ad allearmi anche con Vendola"
Inserito da: Admin - Agosto 13, 2010, 04:17:31 pm
13/8/2010 (7:36)  - INTERVISTA

Granata: "Sono pronto ad allearmi anche con Vendola"

Il finiano doc: «Non voglio stare 5 anni all'opposizione»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

A Fabio Granata non piace il «minuetto delle colombe» finiane di fronte all’attacco sferrato da Berlusconi a Fini.
E fa un ragionamento che lo porta a dire quello che può suonare una bestemmia o una profezia: un’alleanza elettorale Fini-Vendola, addirittura un ticket per la premiership.

Come fa ad immaginare un’intesa del genere?
«Questa potrebbe essere l’extrema ratio di fronte ad una rottura traumatica del centrodestra. Se Berlusconi dovesse portarci alle elezioni con questa legge elettorale, allora sarebbe giocoforza sperimentare alleanze inedite. Per prima cosa è auspicabile che si ricomponga la frattura tra Fini e Berlusconi, mettendo fine alla vergognosa manovra contro la terza carica dello Stato e trovando un patto programmatico per il resto della legislatura. E’ un’ipotesi che ritengo difficile da realizzare. La seconda ipotesi è che non si vada ad elezioni e si riesca a dare vita ad un governo diverso che riscriva il sistema elettorale. Berlusconi farà di tutto per impedirlo perchè con le attuali regole del gioco il Cavaliere potrebbe conquistare il premio di maggioranza e con il 40-45% dei voti controllare il Parlamento. E noi che facciamo, andiamo da Berlusconi con il cappello in mano per chiedergli 30 seggi? Sarebbe il massacro di Fini. Allora meglio giocare in campo aperto, tentando la strada del governo tecnico con la garanzia di Napolitano di poter fare la riforma elettorale. Oppure si va subito a elezioni con una lista Fini alleata con l’Udc, l’Api e l’Mpa di Lombardo. Ma io non voglio stare 5 anni all’opposizione. Per questo non escludo un’intesa anche con la sinistra e con Vendola».

Sarebbe un’armata Brancaleone. Che tipo di programma comune potreste fare con la sinistra di Vendola?
«Guardi che Fini è molto gradito a sinistra. E’ un politico trasversale, capace fuori dal Palazzo, di mettersi alla testa di una rinascita nazionale. Fini-Vendola secondo me vincono perchè la gente è molto più avanti di quello che si pensa. Non ci sono altre attrattive serie. C’è una vasta area di opinione che ha votato a destra e che non vuole che Berlusconi ritorni a Palazzo Chigi o magari vada al Quirinale. Sono saltati gli schemi destra-sinistra. E poi cosa ci divide dalla sinistra e da Vendola sulla legalità, il contrasto alle mafie, la cittadinanza, l’immigrazione, la coesione sociale, i problemi del Mezzogiorno, l’evasione fiscale, il federalismo solidale?».

Sono idee che fanno deflagrare Futuro e Libertà.
«Ai miei amici definiti colombe dico: se si va a votare con questa legge elettorale, cosa facciamo, andiamo da Berlusconi con il cappello in mano e molliamo Fini? Futuro e Libertà non un fine ma un mezzo».

Ma lei immagina proprio un ticket Fini-Vendola?
«Non sarebbe necessariamente Fini il candidato premier. Nel prossimo Parlamento si eleggerà anche il capo dello Stato».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57576girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fini inizia a preparare il partito a settembre lo strappo
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2010, 03:53:58 pm
14/8/2010 (7:52)  - RETROSCENA

Fini inizia a preparare il partito a settembre lo strappo finale

Il progetto del presidente: lanciare il programma di Futuro e Libertà durante la festa Tricolore

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Adesso Fini pensa di fare il partito Futuro e Libertà. Ne ha cominciato a parlare con i collaboratori più vicini: la sua intenzione è di lanciare il manifesto politico della nuova forza politica a Mirabello, il 5 settembre, in occasione della Festa Tricolore. Ma per il momento deve rintuzzare quella che definisce «la vergognosa manovra di Berlusconi» che ieri ha visto una nuova puntata sul Giornale e su Libero con la storia degli arredi comprati per l’appartamento monegasco del cognato. Quando ha letto i due giornali Fini ha chiesto spiegazioni alla compagna Elisabetta Tulliani. E lei ha giurato e stragiurato che quanto scrive Il Giornale e Libero è tutto falso. A quel punto Fini ha dettato al suo portavoce il comunicato in cui si parla di «delirio diffamatore». «Questa operazione si ritorcerà contro Feltri, ma anche a Berlusconi. Io non ho nulla da temere. Questa vicenda - ha detto Fini ai suoi amici di Futuro e Libertà - finirà come il “caso Boffo”: un’altra bufala, un’altra cantonata e anche questa volta dovrà chiedere scusa. Ma non finirà solo con le scuse».

Il presidente della Camera intanto vuole presentare come giornalista un ricorso all’Ordine dei giornalisti perché a suo avviso siamo di fronte a «un problema enorme di deontologia professionale». Testimoni anonimi, verifiche non fatte sulle fatture e la spedizioni dei mobili a Montecarlo e tanto altro. Ma non è la questione professionale-giornalistica in cima ai pensieri di Fini. Anche se la «bufala» dei mobili, a suo giudizio, sarà un colpo alla credibilità di tutta l’inchiesta giornalistica che lo ha messo sotto scacco. E’ soprattutto l’operazione politica che ci sta dietro ad interessare il presidente della Camera, convinto che ci sia la supervisione del Cavaliere, il suo nemico numero uno, ormai. A rincuorarlo sono state le parole del capo dello Stato (i due si sarebbero sentiti al telefono ieri), l’intervista all’Unità in cui Napolitano dice basta all’aggressione nei confronti del presidente della Camera e alla campagna di veleni, e mette uno stop alle richieste di elezioni anticipate.

«Adesso il voto sia allontana», dice Carmelo Briguglio. Il quale ha attaccato il presidente del Senato per aver detto in un’intervista no a un governo tecnico che ribalti l’esecutivo Berlusconi scelto dagli elettori. Schifani sostiene che se viene meno questa maggioranza si va al voto. Per Briguglio Schifani è «politicamente schierato, un leader attivissimo di una corrente del Pdl insieme ad Angelino Alfano». La seconda carica dello Stato «partecipa a vertici di partito a supporto del presidente del Consiglio, si occupa anche delle minuzie compreso arruolamento e collocazione di parlamentari, amministratori locali, manager di aziende sanitarie, uomini del sottogoverno. Ne sa qualcosa Miccichè in Sicilia». Anche Italo Bocchino dice che Schifani non ha i titoli per censurare l’azione politica di Fini. «Il presidente del Senato - attacca duramente il capogruppo di Futuro e Libertà - chiede il rispetto del voto solo quando ciò non tocca i suoi interessi politici. Ricordo che in Sicilia i suoi uomini sono passati dalla maggioranza all’opposizione cercando di far cadere la giunta Lombardo che è stata legittimamente eletta».

Secondo Fini comunque il capitolo principale rimane Berlusconi e la campagna mediatica del Giornale per farlo dimettere da presidente della Camera. E le dichiarazioni di Napolitano sono un assist eccezionale. Non è un caso che l’ex leader di An ha fatto scrivere da Bocchino, Viespoli e Moffa un comunicato per dire che bisognerebbe ascoltare le sue parole anziché giocare allo sfascio. «Le carte che Feltri minaccia di pubblicare non proveranno nulla, tutta l’operazione si trasformerà in un boomerang, e per Berlusconi questo scontro istituzionale sarà devastante», sostiene Bocchino che due giorni fa è andato ad Ansedonia ed è rimasto con Fini fino a ieri mattina. La tregua, se mai c’è stata, è sepolta. Così dicono i finiani più duri, che non esiteranno a riprendere il contrattacco sugli affari all’estero di Berlusconi, a cominciare dalle società off shore passando per l’acquisto della villa di Arcore. Ma sono le valutazioni politiche e come organizzare la campagna d’autunno ciò che interessa principalmente Fini. «Se si apre una crisi - è la convinzione di Fini - non è detto che non nasca una nuova maggioranza».

Ma i numeri ci sono? Secondo Bocchino sì, sia alla Camera che al Senato: «E noi finora non abbiamo sbagliato sui numeri», assicura riferendosi alla nascita dei gruppi parlamentari di Futuro e Libertà. Gruppi ai quali presto seguirà il partito. Alla fine di agosto, dopo che attorno al 20 Berlusconi riunirà il suo stato maggiore, anche Fini chiamerà a raccolta le sue truppe, con l’obiettivo di serrare i ranghi. Chiederà chi è disposto a seguirlo fino in fondo. Poi, il 5 settembre a Mirabello, lancerà il manifesto politico del partito.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57609girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E Fini beffardo: "Tutto qui? Non ha armi per farci tacere"
Inserito da: Admin - Agosto 21, 2010, 04:04:45 pm
21/8/2010 (7:10)  - VERTICE DEL PDL

E Fini beffardo: "Tutto qui? Non ha armi per farci tacere"

Bocchino: al 95% ha elencato il programma

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Tutto qui». Paradossalmente Fini è rimasto deluso dalle parole di Berlusconi. Gradevolmente deluso perché si aspettava fulmini e saette da Palazzo Grazioli e invece il premier non ha fatto che ribadire ciò che è scritto nel programma di governo. Anzi avrebbe finalmente risposto ad alcune sollecitazioni fatte da tempo dal presidente della Camera, fin da quell’infuocato ufficio di presidenza del Pdl che fece scoppiare la guerra. «Meglio tardi che mai. E’ evidente che non ha l’arma atomica per farci la guerra», è stato il commento del leader di Futuro e Libertà.

Il quale però sta in guardia: tanta moderazione da parte del Cavaliere è sospetta. Bisognerà infatti vedere come le intenzioni verranno concretizzate. «Intenzioni lodevoli - le definisce Fini - che meritano attenzione. Ora tutto dipende da come verranno tradotte nei singoli disegni di legge». Wait and see, mai dare per scontate le mosse dell’ex amico-avversario. E’ vero, come dice in maniera sarcastica Briguglio, che «anche a volersi sforzare è impossibile non votare questo programma. La montagna ha partorito il topolino». Detto questo Fini non crede a una parola di Berlusconi quando sostiene di non avere alimentato la campagna del Giornale contro di lui, e di non aver fatto una telefonata per riportare all’ovile i finiani moderati.

Sospetti e certezze. Il sospetto maggiore riguarda la parte sulla giustizia, a cominciare dal processo breve che Berlusconi nella conferenza stampa ha ridefinito «tempi ragionevoli» del processo. Per questo Bocchino ha detto che le proposte del premier sono condivisibili al 95%. Il 5% che manca è proprio su questo terreno. Fini è disposto votare una riforma sulla separazione delle carriere e lo sdoppiamento del Csm, ma quando si tratta di rendere i tempi «ragionevoli» vuole capire di che tratta: significa far saltare migliaia di processi in corso solo per risolvere quello sul caso Mills? Tra i finiani su questo tema c’è una discussione aperta.

I moderati vogliono risolvere, nelle forme accettabili per l’opinione pubblica, il problema giudiziario di Berlusconi: meglio sarebbe con lo scudo del Lodo Alfano, ma solo per il capo dello Stato e il premier. E perché no, anche con il processo breve. I falchi non sono d’accordo e vogliono ingaggiare una dura discussione. Ma per Berlusconi non ci saranno trattative. «Allora - osserva Bocchino - in aula dirò che voteremo la fiducia ma che non siamo d’accordo su questo e quest’altro. Per Berlusconi sarebbe un doppio danno».

Fini ha seguito la conferenza stampa del Cavaliere e ha trovato conferma all’idea che il problema di Silvio è Umberto. Probabilmente il premier ha in mano dei sondaggi che, in caso di elezioni, vedono Bossi schizzare al Nord nei consensi e il Pdl arrancare al Sud. Qui, una campagna elettorale di Fini tutta giocata contro la Lega affamatrice dei meridionali, potrebbe avere successo. Ma basterebbe uno spostamento del 2-3% dei voti nel Mezzogiorno per far perdere al Pdl il controllo del Senato. A quel punto, ragiona Fini, Bossi chiederebbe a Silvio di passare la mano a Tremonti. Ecco la paura di Berlusconi, che non ha l’atomica contro Fini.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57817girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi-Fini, duello sulla fiducia alla Camera
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2010, 09:05:47 am
12/9/2010 (7:21)  - POLEMICA INFINITA

Berlusconi-Fini, duello sulla fiducia alla Camera

Il leader di Fli: si deve votare, altrimenti perchè cerca consensi?

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi ha un incubo: passare come il premier di un governicchio che tira a campare. Vuole invece passare alla storia come il leader del «miglior governo che l’Italia abbia mai avuto». Ambizione e ottimismo che ha cercato di trasmettere agli uomini e alle donne riunite a Gubbio per l’annuale Scuola di formazione politica del Pdl. Un collegamento telefonico dall’albergo di Mosca dove ieri è rimasto a dormire (dopo aver fatto le ore piccole nel locale notturno il GQ). Ma nello stato maggiore del Pdl non circola molto ottimismo. Sono pochissimi che scommettono in una navigazione che superi le colonne d’Ercole della prossima primavera. Tranne se Berlusconi non si acconci a trattare ora con Casini ora con Fini in un gioco di maggioranze variabili.

Cosa che non dovrebbe essere nelle sue corde. «Non faremo mai rimanere l’Italia sospesa tra le elezioni anticipate e l’ipotesi di un governicchio tecnico. Siamo sempre stati lontani dai giochi della politica politicante e da questo teatrino insulso e assurdo». Non nomina mai Fini, ma è chiaro che si riferisce al presidente della Camera che non terrebbe fede al mandato elettorale e agli interessi della gente. E questo mentre ci sono da collocare a settembre 56 miliardi di titoli di Stato e l’Italia rischia la sfiducia sui mercati. Ecco perché il governo ha «il dovere di andare avanti: lo chiedono gli italiani». Mentre «la sinistra e gli antiberlusconiani producono chiacchiere e feste di partito. Il Pdl e il governo sono realtà nate tra la gente e non giocheranno «al tanto peggio tanto meglio come purtroppo qualcuno sta facendo». Sono fendenti micidiali sul volto di Fini, accusato di non fare gli interessi dell’Italia, ma di giocare solo una partita privata, per la sua carriera politica.

Quello del premier è un crescendo di attacchi pubblici all’avversario, il leader di Futuro e Libertà, che ieri da Ottawa ha fatto una mossa azzardata da contropiede. Ha osservato che sulle dichiarazioni che il presidente del Consiglio terrà in Parlamento alla fine di settembre «ci deve essere un voto. Non ha senso fare il discorso senza un voto. Se no il premier che cosa cerca a fare il sostegno di 316 deputati?». I berlusconiani gli sono subito saltati addosso. Ecco, attacca Osvaldo Napoli, la dimostrazione che Fini non è un presidente della Camera superpartes, e per questo deve dimettersi. «Non è lui che decide se ci vuole un voto ma i capigruppo». Il governo, nonostante le rassicurazioni di Berlusconi, cammina sul filo del rasoio e Bossi lo dice senza mezzi termini. Ma per il momento di elezioni non si parla. «E cosa posso fare - ha detto ieri sera a Ferrara - il presidente della Repubblica non le vuole, Berlusconi pure....».

E’ chiaro però che «stare là 2-3 anni nella mani degli altri diventa molto stretto anche per Berlusconi. Però abbiamo fatto un patto e lo manterremo. Noi non siamo come Fini che cambia bandiera». Bossi spera che Fini «ritorni in ginocchio da Berlusconi perché alla fin fine lui è migliore del democristiano Casini». Intanto il suo amico Silvio ostenta, è sicuro di avere una maggioranza stabile, ma non vuole subire i ricatti degli «antiberlusconiani vecchi e nuovi». Ci vuole «senso di responsabilità». Evitando di compromettere tutto quello che di positivo e concreto è stato fatto. Precipitando l’Italia in una crisi politica dai «risvolti incerti». Aprendo la strada all’«instabilità politica». Di fatto il premier ammette che dalle urne potrebbe saltare fuori una maggioranza incerta o perfino due maggioranze diverse alla Camera e al Senato. Comunque un Paese ancora più spaccato tra Nord e Sud. Esplicitamente non lo ammetterà mai e ai sui amici di Gubbio infonde coraggio. E li saluta con un voluto lapsus freudiano. «Non so perché ma mi viene da dire "Forza Italia e forza Milan"». Per caso dà ragione a Fini che definisce polemicamente il Pdl come una Forza Italia allargata a pezzi di ex An?

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58467girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il pericolo astensionismo ultimo timore del Cavaliere
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2010, 12:03:20 pm
28/9/2010 (7:15)  - RETROSCENA

Il pericolo astensionismo ultimo timore del Cavaliere

Sondaggi riservati danno voti in fuga dal Pdl a causa delle liti

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La tentazione della zampata contro un Fini considerato in ginocchio Berlusconi ce l’ha sempre e questo è un lavoro che lascia fare volentieri al Giornale di famiglia che anche oggi picchia duro sul presidente della Camera. Il premier vorrebbe seguire la sua natura di superfalco quando si tratta di mettere ko l’avversario. E ieri, telefonando a don Gelmini, qualcosa si è lasciato sfuggire con quel riferimento alle ambizioni personali che ostacolano il governo e a Carlo Giovanardi (presente e premiato dalla Comunità Incontro) che invece non tradisce mai e non cambia bandiera. Punzecchiature, stilettate che non mancheranno nel suo discorso di domani alla Camera. Ma a prevalere saranno la moderazione e i toni «istituzionali e da statista», assicurano a Palazzo Grazioli, perché l’obiettivo è far proseguire la legislatura.

Non è che il premier sia diventato improvvisamente «buonista»: non si sogna nemmeno di porgere un ramoscello d’ulivo a Fini. Ha fatto i suoi calcoli, anche quelli più spicci dei nuovi voti in arrivo dal fronte meridionale. La sua maggiore goduria è incassare quelli dei «ribelli siciliani» dell’Udc che stanno mollando Casini, l’altro «traditore». Sembra che ieri sera li abbia ricevuti ad Arcore in gran segreto, accompagnati dal ministro Angelino Alfano che ha curato personalmente la vicenda siciliana. In cambio di posti di governo, sottosegretariati? Gli interessati negano decisamente, ma si vedrà presto se mentono. Intanto quella fatidica quota di 316 voti senza i finiani il Cavaliere non ce l’ha in tasca. A impensierirlo tuttavia sono soprattutto altri numeri, quelli dell’astensionismo che secondo i suoi amati/odiati sondaggi del lunedì sta diventando una marea montante. A quanto pare manca all’appello qualche milione di elettori che nel 2008 ha votato centrodestra e in particolare Pdl.

Ecco, chi ha parlato con lui ieri lo ha sentito preoccupato di questa forte e crescente tendenza degli umori elettorali di fronte alla guerra con Fini. E sono tutti voti moderati in libera uscita che potrebbero finire nel sacco dell’Udc e di un Fini alla testa di una lista civica nazionale. Per non parlare poi della vampirizzazione della Lega al Nord. Allora l’obiettivo principale è quello di evitare le elezioni anticipate per recuperare questi «moderati sbandati e frustrati». Come? Assicurando che la legislatura va avanti, che il governo è in sella e ha molti progetti di riforma: gli ostacoli devono essere superati nell’interesse di tutti, come ha ricordato ieri nel collegamento telefonico con Don Gelmini. L’intenzione di presentarsi in aula alla Camera (sempre che venga confermata nei fatti) nelle vesti dello statista, con un discorso programmato alto e istituzionale, senza entrare nei dettagli delle cose da fare per riformare la giustizia. Una riforma che però dovrà essere fatta come vuole lui e su cui misurerà la lealtà di Fini.

Il suo calcolo politico è non spaccare e lasciare che a dividersi siano i finiani. Ed è quello che è successo ieri con le «colombe» Baldassarri, Menia, Moffa e Viepoli contro Bocchino che attribuisce a Berlusconi la strategia di distruggere Fini. Per acuire questa divisione nel capo di Futuro e Libertà il Cavaliere deve mordersi la lingua, evitare di mostrare il suo volto più cattivo. Al presidente del Consiglio interessa far esplodere queste tensioni e far capire agli elettori moderati quale sia la differenza tra i pasdaran finiani e il resto della maggioranza.

Intanto non viene presa in considerazione l’ipotesi di concordate con Fini l’ordine del giorno che domani alla Camera verrà messo ai voti. Non ci sarà un voto di fiducia ma una conta politica Berlusconi la considera necessaria per far vedere che la maggioranza c’è, ed è più ampia di quella uscita dalle urne del 2008. E questo senza riconoscere la terza gamba finiana e senza quel «teatrino da prima Repubblica - spiega il ministro Frattini - che renderebbe gli elettori moderati ancora più frustrati e delusi». La tentazione della zampata su Fini sanguinante per la vicenda della casa monegasca rimane, ma Berlusconi vuole dare l’immagine di chi sta sopra le parti. Si gode le difficoltà del suo avversario con la famiglia Tulliani: qualcuno gli ha pure fatto sapere che il presidente della Camera vuole cambiare stato di famiglia. Adesso ne vuole uno solo per lui, la compagna e le figlie. Senza l’imbarazzante presenza dei genitori di lei e, soprattutto, del cognato fonte dei suoi guai.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58916girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Rovesciare il tavolo il premier ci pensa
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2010, 05:13:47 pm
30/9/2010 (7:17)  - RETROSCENA

Rovesciare il tavolo il premier ci pensa

Non gli è servito fare la "colomba"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Oggi siamo vivi, domani non si sa». Guido Crosetto è un uomo concreto, guarda in faccia la realtà. Dice di non avere parlato con Berlusconi, ma interpreta perfettamente lo stato d’animo del premier che si rende conto che di essere un’anatra zoppa, di non avere l’autosufficienza, di avere fallito clamorosamente l’obiettivo di marginalizzare Fini. Senza i voti di Futuro e Libertà difficilmente potrà continuare a governare. Lo dice Maroni che si va a votare a marzo e anche il Cavaliere non vede grandi prospettive per il suo governo oltre la primavera: «Abbiamo la maggioranza numerica ma non quella politica».

Avrebbe detto ben altro in aula su come sono andate le cose con Fini, «ma ho scelto di fare un discorso costruttivo per il bene del Paese. E lui, proprio il giorno della fiducia, annuncia il partito e dice che gli veniva da ridere quando ho detto di avere un’indole dialogante. Un provocazione. E poi - si è sfogato con alcuni parlamentari mentre tornava a Palazzo Grazioli - avete visto come ha gestito l’aula? Di Pietro mi insultava, mi vomitava addosso le cose più terribili e lui non gli ha tolto la parola».

Il presidente del Consiglio è furioso. Il suo settantaquattresimo compleanno lo ha festeggiato nel peggiore dei modi. «Un compleanno di merda...». Lo ha confessato al capogruppo dell’Idv Donadi al quale ha rimproverato di essere sempre «cattivo» nelle sue dichiarazioni («mentre io sono buono, anche troppo buono. Me lo diceva pure mia madre che dovevo incattivirmi un po’»). Furioso e triste perchè vede rovinato il progetto del Pdl, perché aveva una maggioranza solida e ampia e ora è appeso a Fini che dovrebbe dimettersi nel momento in cui indossa la maglietta del capopartito. Non gli è servito fare la colomba, seguire i consigli di Gianni Letta che i falchi del Pdl ora considerano il vero sconfitto di questa partita. Le colombe Alfano, Frattini, Carfagna, Gelmini tentano di fermare la macchina elettorale, dicono che una maggioranza c’è, anzi è più ampia, e bisogna andare avanti: l’unica via è trovare un accordo con Fini, riconoscere la terza gamba della coalizione.

Berlusconi non crede a questa strada. Per lui tuttavia ad una cosa è servita la giornata di ieri: a fare chiarezza. «Quantomeno - ha detto il premier - da oggi gli italiani sapranno di chi è la colpa se precipita tutto. Gli italiani devono sapere chi sta cercando la rissa e chi, invece, tenta di governare». A suo parere ad un’altra cosa è servita: si arriverà alle elezioni con questo governo e non con un esecutivo tecnico o “ribaltonista” diretto da Fini e Casini, con il sostegno del Pd.

Berlusconi ora deve procedere alla giornata, senza potersi fidare di chi gli fa i conti nel partito, degli addetti al pallottoliere che promettevano maggioranze autosufficienti senza i finiani. Dovrà fidarsi dei ministri che lo spingono a trovare un’intesa con Fini e a non lasciare a Bossi la forza di spingere il governo verso la deriva elettorale. «Saremmo spacciati - spiegava ieri un di questi ministri - con la Lega che ci massacra al Nord e il rischio di perdere il premio di maggioranza per il Senato in due, tre Regioni del Sud». Resistere, resistere, resistere, ma non sembra far parte delle corde del Cavaliere, il quale però ha il problema dello scudo giudiziario. E solo un accordo con i finiani glielo può garantire. Alle loro condizioni. E’ proprio questo il punto: il premier non vuole farsi strangolare da Fini. «Niente ricatti, se non posso governare non ci sono altre soluzioni se non quella del voto». Lo avrebbe detto anche a Bossi in una telefonata (smentita da Bonaiuti). Non vuole galleggiare, non vuole farsi logorare, mettersi a trattare come faceva Prodi con le sue tribù del centrosinistra.

Letta e Alfano in serata si sono incontrati e hanno messo a punto la strategia della controffensiva: convincere il premier a non fare il passo falso, di andare oggi al Senato e fare lo stesso discorso costruttivo pronunciato alla Camera. Ma la notte potrebbe portare “cattivi consigli” a Berlusconi: prendere atto che non c’è più la maggioranza uscita dalle urne del 2008 e salire al Colle. E’ una voce non confermata, anzi smentita dalle fonti ufficiali del governo. Ma sono le stesse fonti che gli consigliano prudenza, che gli hanno scritto un discorso democristiano doroteo. Un discorso che lo ha legato come un salame. Adesso ascolterà Bossi e la sua natura di combattente? I sondaggi consigliano altro: almeno un anno di tempo per recuperare quella massa di astensionisti in fuga dal Pdl. Il suo tarlo è che, se continuerà con il teatrino con Fini, perderebbe ancora altri consensi. Rovescerà il tavolo?

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58978girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora l'obiettivo del Cavaliere è accelerare il processo breve
Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2010, 03:44:26 pm
1/10/2010 (7:27)  - RETROSCENA

Ora l'obiettivo del Cavaliere è accelerare il processo breve
   
Ma il timore è un asse fra Fli, centristi e Pd per un governo tecnico

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Alla buvette del Senato, durante una pausa del dibattito sulla fiducia, un ministro sincero confida che si andrebbe a elezioni anticipate se non ci fosse di mezzo la necessità di dare uno scudo giudiziario a Berlusconi. E aggiunge che, al di là delle chiacchiere, delle tregue («finte») con Fini, la verità è che «l’uno vuole ammazzare l’altro». Adesso il problema principale è lanciare agli elettori sfiduciati e nauseati del centrodestra il messaggio rassicurante che il governo è in sella. A Palazzo Madama c’è una maggioranza veramente autosufficiente visto che i dieci finiani non sono determinanti. «Ma non sono decisivi nemmeno alla Camera - spiega il premier - perché con Fini rimarranno solo gli estremisti. Tutti gli altri, e sono una dozzina, non voteranno mai contro un provvedimento che mette a rischio la sopravvivenza del governo». Quale può essere questo provvedimento deflagrante? Il processo breve o, per dirla con i berlusconiani, la ragionevole durata dei processi.

Ecco, il Cavaliere non ha mai messo nel cassetto questa idea che, se trasformata in legge, lo metterebbe al riparo dai procedimenti giudiziari pendenti a Milano. Ma è proprio di questo che Futuro e Libertà non vuole parlare e insiste nel dire che il processo breve non fa parte del programma. Dunque, quando la spinosa questione verrà messa sul tavolo e il Pdl chiederà ai «futuristi» di dimostrare la loro buona fede e lealtà, salterà in aria la fragile e finta convivenza di questi giorni. Secondo Berlusconi arriverà in soccorso quella che lui chiama la «legione straniera», quei finiani moderati che non possono accettare di considerare chiusa la loro esperienza nel centrodestra. A quel punto il presidente del Consiglio avrà il suo scudo giudiziario e con quello può affrontare le urne in primavera. Per fare questo ha bisogno di arrivare a gennaio-febbraio e bloccare ogni ipotesi di governo tecnico. Ipotesi neutralizzata con il voto del Senato di ieri e la «legione straniera» alla Camera.

Nei piani di Berlusconi l’obiettivo di tirare fino a gennaio-febbraio ed evitare lo sgambetto dell’esecutivo tecnico deve servire anche a bloccare le manovre per cambiare la legge elettorale. Questa è l’altra bestia nera del Cavaliere. Ieri Casini ha chiesto al presidente della Camera di sollecitare la commissione Affari costituzionali ad avviare l’esame dei progetti di riforma elettorale. Nell’aula del Senato il capogruppo di Futuro e Libertà Viespoli si è rivolto al premier chiedendo che si cambi l’attuale legge elettorale perché favorisce «non la sovranità del popolo ma la sovranità padronale». Berlusconi è rimasto di sale. I Democratici di Bersani invece hanno subito cavalcato la proposta. Si è subito materializzato l’asse Fli-Udc-Pd-Mpa. I finiani e i centristi di Casini spiegano che si tratta di un avviso ai naviganti. Sanno che non sarà facile cambiare la legge elettorale con Berlusconi a Palazzo Chigi. Tuttavia avviare una discussione serve per cominciare a discutere in commissione su una soluzione comune che potrebbe poi tornare utile nel caso in cui si dovesse costruire un governo tecnico che abbia un solo punto in programma: la legge elettorale, appunto.

Sono conti senza l’oste. Sono comunque prove di alleanze sul modello della giunta regionale di Raffaele Lombardo da esportare da Palermo a Roma. E ciò dimostra che dietro l’apparente calma e il voto di fiducia incassato da Berlusconi l’incendio nel centrodestra non è stato affatto spento. Tra l’altro dentro Futuro e Libertà c’è una discussione in corso sulle ipotesi di future intese elettorali: si va dalla lista Fini, al terzo polo con Casini e Rutelli all’alleanza costituzionale con il Pd e tutti quelli che ci stanno a battere il Cavaliere. Il quale intanto dice che i giornali a lui vicini gli fanno solo danni, riconosce di fatto la nuova articolazione della coalizione con Futuro e Libertà. E ad alcune senatrici, che ieri gli hanno regalato una cravatta per il suo compleanno, ha spiegato che la vicenda della casa monegasca non vuole usarla come una clava sulla testa di Fini, che questo non è il momento di alzare i toni. Certo, ha annuito quando una senatrice ha detto che Fini va a braccetto con i magistrati. Ma per il premier questo non è il momento della rottura. Avanti con il programma, si vedrà come si comporteranno i finiani durante i lavori in commissione. A cominciare dal processo breve.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59018girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Pdl tentano la tregua ma è rissa Bocchino-Cicchitto
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2010, 10:47:04 am
10/10/2010 (7:35)  - IL CASO

Le colombe Pdl tentano la tregua ma è rissa Bocchino-Cicchitto

Il finiano evoca la P2, l’altro gli risponde: gli sono saltati i nervi

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La tregua politica che si regge su un filo oggi avrebbe un motivo in più per essere rispettata dopo la morte dei soldati italiani in Afghanistan. Berlusconi, dalla dacia di Putin nei pressi di San Pietroburgo, non vuole alimentare polemiche. «Va da sè che questo sia il giorno meno adatto e inopportuno», spiega Paolo Bonaiuti dopo aver concordato al telefono con il premier il comunicato stampa sul grave attentato dei terroristi talebani. Il portavoce di Berlusconi è tra gli affaticati costruttori di queste tenue filo tenuto in mano da Gianni Letta: non vuole sentire parlare degli spari tra finiani e berlusconiani che alla Camera e al Senato hanno l’incarico di mettere in pratica il tentativo di attuare i famosi 5 punti programmatici del voto di fiducia. Bonaiuti dice che a Palazzo Chigi per il momento si pensa solo al ritorno delle salme da Kabul per i funerali di Stato. Non è nemmeno il giorno per diffondere il messaggio del premier ai partecipanti al convegno «La Dc nel Pdl» organizzato a Saint-Vincent da Rotondi, Giovanardi e Cutrufo.

Oggi non ci doveva essere nessuna nota stonata. In questo temporaneo aplomb da statista Berlusconi che si morde la lingue di fronte alle «provocazioni» di Fini. E’ il momento di portare a segno il federalismo e una leggina che modifichi il legittimo impedimento, blocchi la Consulta e blindi i processi di Berlusconi. Una leggina che, sembra, i finiani siano disponibili a votarla. Questa è la novità, il segnale positivo che viene da Fini per vie ufficiose a Letta e ad Alfano. Per questo la sparatoria tra Bocchino e Cicchitto potrebbe compromettere quel tenue filo di tregua. Tutto nasce dalla contestazione al finiano Briguglio di sedere al Copasir: l’accusa più bruciante è che Briguglio diffonderebbe informazioni sensibili come il pedinamento di Bocchino. Il quale parla di «aggressione» a Briguglio dovuta alla nascita dei gruppi Fli. Ma la cosa più pesante è quando ricorda a Cicchitto la sua iscrizione alla P2 (indirettamente fa riferimento all’iscrizione di Berlusconi alla stessa loggia). Bocchino racconta che quando ha saputo di essere pedinato si è rivolto ai magistrati e al Copasir. Mentre molti anni fa, «quando un politico oggi molto noto scoprì di essere pedinato, preferì rivolgersi a Gelli per far desistere coloro che lo spiavano, così come risulta agli atti della Commissione d’inchiesta sulla P2». Cicchitto controreplica che a loro sono saltati i nervi e usano «battute oblique». Altro che battute oblique, dice Briguglio, nelle carte della Commissione P2 il «noto politico», è Cicchitto.

Ecco le fiamme che spuntano da sotto la brace e nessuno riescono a spegnere nonostante le delicatissime trattative da cui dipende la legislatura. Al di là della stessa vicenda Copasir, i nervi sono a fior di pelle. Lo dimostra ad esempio la rispostaccia di Guido Crosetto a Fini. «Mi auguro di cuore che gli stessi immigrati irregolari, di cui secondo Fini la politica deve farsi carico e che tre anni fa mi ritrovai nella mia camera da letto alle quattro di notte, facciano anche una visita a casa del presidente della Camera. Il giorno dopo gli chiederemo qual è la sua posizione sul tema». Ma Fini punzecchia a tutto campo. Insiste anche sulla nuova legge elettorale. Alla faccia, osservano causticamente i berlusconiani, dei problemi che interessano i cittadini. Gli stessi uomini del Cavaliere si chiedono il perchè di questa alzata di toni dei finiani. Osvaldo Napoli per esempio si chiede viene rilanciato lo scontro e con quali obiettivi, «quando il premier e tutti noi invece invece cerchiamo di raffreddare il clima: per caso c’è la ricerca di una nuova legge elettorale e di un governo tecnico con la sinistra?». In effetti circola con maggiore insistenza la voce di un accordo quasi raggiunto sul nuovo sistema di voto tra Fini, Casini e Bersani. In Commissione Affari costituzionali della Camera queste tre forze politiche hanno deciso di fare fronte comune per chiedere che la discussione sulla legge elettorale venga incardinata a Montecitorio, e non al Senato, dove i rapporti di forza sono più favorevoli a Fli, Udc e Pd.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59272girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Si muovono all’unisono per colpire il governo
Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2010, 10:19:13 pm
16/10/2010 (7:23)  - RETROSCENA

"Si muovono all’unisono per colpire il governo"

L'ira del premier: «Ecco conferma delle mie critiche ai magistrati»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Avevo proprio ragione quando ho detto che certi magistrati di sinistra sono un’organizzazione che si muove all’unisono con lo stesso obiettivo: sovvertire il risultato elettorale ed eliminare colui che è stato eletto». Per la verità Berlusconi il 29 ottobre, parlando con alcuni ragazzi fuori da Palazzo Grazioli, aveva detto di più. Aveva parlato di «un’associazione a delinquere». Con i suoi interlocutori di ieri ha in sostanza ripetuto gli stessi concetti quando ha saputo dell’inchiesta della procura di Roma. Un’inchiesta che sarebbe una chiara «derivazione» di quella milanese. Una sponda romana a quel «famigerato» pm De Pasquale (così lo definì in maniera sprezzante Berlusconi alla festa del Pdl il 4 ottobre) per evitare che andasse in prescrizione il processo Mediaset. Infatti «non c’è nulla di nuovo», spiega Ghedini che ieri ha informato il premier chiuso a villa La Certosa per curarsi i postumi dell’operazione alla mano. Una derivazione studiata bene, ipotesi «praticamente identiche», osserva l’avvocato del Cavaliere, che porteranno all’archiviazione: «Pacificamente il presidente Berlusconi e Pier Silvio Berlusconi sono totalmente estranei ai fatti in oggetto».

Le valutazioni in casa Berlusconi sono quelle di sempre: accerchiamento politico, voglia di determinare la politica in Italia alla vigilia di una riforma della giustizia che verrà portata ad uno dei prossimi consigli dei ministri. La novità è questa «complicità» sull’asse Roma-Milano. Ma il ministro Alfano assicura che nulla cambierà rispetto al percorso parlamentare delle riforme. Quindi avanti con le modifiche costituzionali, la separazione delle carriere e tutte quelle modifiche che saranno trattate con Fini e che rappresentano fumo negli occhi per i magistrati. «Non ci fermeranno - ha dato la carica Berlusconi - e più mi attaccano più sono determinato ad andare avanti con il nostro programma». Per il premier la magistratura continua a fare un’azione di supplenza rispetto all’opposizione. Con il Pd allo «sbando» senza alleati certi e affidabili, alla ricerca sempre di un leader esterno che lo salvi, i pm si danno la mano da Milano a Roma e dettano la linea. Il vicepresidente della Camera Lupi fa notare che era un po’ che qualche magistrato non indagava sul presidente del Consiglio. «Confesso che cominciavo a preoccuparmi... Per fortuna che esiste la procura di Roma. La notizia di oggi sfiora il ridicolo, ma purtroppo conferma che una parte della magistratura è ossessionata da Berlusconi. Ormai sono loro la vera opposizione».

«Puntuali come un Eurostar, altro che giustizia lenta e inefficiente!», ironizza Osvaldo Napoli che si riferisce all’illustrazione della riforma della giustizia fatta al Capo dello Stato dal ministro Alfano l’altro ieri. Il muro che si alza dal campo berlusconiano insiste sullo stesso repertorio. Giustizia ad orologeria (Paolo Bonaiuti); dell’aggressione giudiziaria nei confronti del premier che «ha raggiunto e superato ciò che può essere istituzionalmente giustificato, politicamente accettabile e umanamente sopportabile» (Sandro Bondi). Il timore, anzi la certezza nella maggioranza è che ci sarà un crescendo di inchieste giudiziarie ora che Berlusconi è politicamente più debole. Con un partito balcanizzato, un governo dove le tensioni sono alle stelle nei confronti di Tremonti. Insomma, il Cavaliere è convinto che l’«associazione a delinquere» è pronta a sferrare l’accatto finale. E la manovra concentrica Milano-Roma preluda ad altro. Forse per questo il premier ha bisogno di chiudere un accordo con Fini sulla giustizia, e non solo sulle riforme costituzionali. Un segnale a doppio taglio gli è venuto ieri dai capigruppo finiani Viespoli e Bocchino. Prima dicono che l’iscrizione nel registro degli indagati a Roma «non cambia nulla nel quadro politico». Poi aggiungono che quella dei pm romani è «un intervento legittimo per una vicenda che risale al 2000-2003 e l’imprenditore Berlusconi».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59489girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E ora Alfano si candida al ruolo di delfino
Inserito da: Admin - Ottobre 21, 2010, 11:13:18 pm
21/10/2010 (7:15)  - RETROSCENA

E ora Alfano si candida al ruolo di delfino

Il ministro telefona all'avvocato Bongiorno, media sulla riforma, e strappa il sì ai Finiani

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Felpato, prudente, determinato, poche chiacchiere, molto lavoro specializzato nelle missioni difficili che gli affida Berlusconi. Come quella di trovare l’accordo con Fini sulla riforma della giustizia. Angelino Alfano, giovane di vecchia scuola democristiana, potrebbe miracolosamente riuscire laddove ha fallito perfino il principe dell’appeasement Gianni Letta: ricomporre la falla del terremotato centrodestra ben oltre il campo minato della giustizia; allungare la vita politica di Berlusconi, portando a termine (o quasi) la legislatura; evitare governi tecnici e futuri terzi poli. Certamente è riuscito a far venire a galla l’anima più moderata di Futuro e Libertà, provocando contorsioni addominali ai durissimi intransigenti tipo Granata e alla base scatenata sui web finiani contro il voto del Senato sulla retroattività del Lodo Alfano. «Futuro e Libertà ha tenuto una posizione coerente con ciò che aveva sempre detto», ha reso omaggio ieri il ministro di via Arenula. Il quale adesso si è messo di buzzo buono per ottenere il via libera dalla pignola in diritto Giulia Bongiorno. L’ha chiamata ieri al telefono per annunciarle che «prestissimo» avrà il testo della riforma della giustizia sulla quale ieri il premier ha detto di voler trovare «un accordo preventivo» prima di portarla al Consiglio dei ministri della prossima settimana.

Nel pomeriggio ha incontrato il capo per riferirgli che «il clima è positivo, si comincia a discutere concretamente nel merito delle questioni». «Angelino sei bravissimo», è stato l’encomio del Cavaliere per il quale già parlare pubblicamente di «accordo preventivo» rappresenta un cambio di fase, anche di linguaggio. Ma potrebbe essere un bluff: tutto è ancora da verificare nei fatti. Fini rimane diffidente. Tuttavia dà credito ad Angelino che, in questo ipotetico cambio di fase, potrebbe rappresentare la soluzione futura di un nuovo centrodestra che frena le ambizioni di Tremonti alla premiership solidale con Bossi. Anche per una buona parte del Pdl Alfano rappresenta il ferro di lancia per salvare e trasmettere l’eredità politica di Berlusconi. L’hanno capito al volo Frattini, Gelmini, Fitto, Carfagna e Prestiacomo e coloro che si riconoscono nel gruppo Liberamente. Si riuniscono con lui regolarmente per creare quella massa d’urto che serve a non farsi fagocitare dagli ex An e fermare l’avanzata leghista.

Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato che ha presentato l’emendamento sulla retroattività del Lodo Alfano, conosce bene il ministro della Giustizia e le dinamiche del mondo berlusconiano. Spiega che il giovane Angelino si muove sempre sulla scia indicata da Berlusconi («gli vuole bene come a un parente stretto»). Compiendo le missioni difficili, sta acquisendo «un ruolo politico sempre più centrale: ha staccato il gruppo, è un gradino più in alto rispetto agli altri. Alfano rappresenta il primo dei prodotti politici creati da Berlusconi che appartiene alla nuova generazione». Insomma, il vero delfino. «Attenzione - avverte però Vizzini - chi pensa alla successione di Berlusconi sbaglia. E Angelino questo errore non lo commette perché sa che Berlusconi ha ancora le energie per guidare il Paese: solo lui decide se, come e quando passare la mano. Chi lavora contro di lui alla successione sarà sempre portato al camposanto politico dallo stesso Berlusconi».

E’ anche vero che ieri, intervenendo a Catania all’Assemblea nazionale dell’Upi presieduta da Giuseppe Castiglione (un suo fedelissimo alla guida pure del Pdl Sicilia), Alfano si è sbilanciato: «In Italia e negli enti locali ci sono tutte le condizioni per rimuovere il tappo gerontocratico: a 60 anni non ci si può considerare “stelle della politica”...». Ogni riferimento è solo casuale? Si riferiva solo a Tremonti che è del ’47? C’è da scommettere, vista la sua fedeltà, che non si riferiva al settantenne Cavaliere. Il quale tuttavia alla fine della legislatura (se sarà quella naturale) avrà 77 anni suonati. Magari sarà «pronto» per il Quirinale e a passare il testimone al suo «bravissimo ministro» che fra dieci giorni compie 40 anni. E mentre compie le missioni impossibili per Sua Maestà Silvio, può aspettare molto ma molto di più di Tremonti, Fini e Casini.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59640girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Avanti a due velocità Gioco delle parti nel Pdl
Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2010, 09:07:47 am
24/10/2010 (7:24)  - RETROSCENA

Avanti a due velocità Gioco delle parti nel Pdl

Il premier frena, i suoi accelerano. E c'è chi sbotta: «Non si capisce più nulla»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Vuole sapere la verità?», risponde con una domanda uno degli esperti che ha lavorato e lavora su quel Lodo Alfano che Berlusconi ora vorrebbe ritirare mentre al Senato la maggioranza intende andare avanti. «Non se ne capisce più nulla. Questa storia - spiega con disappunto l’esponente del Pdl dietro la promessa di rimanere anonimo - mi sembra molto simile a quella tirata fuori dal Cavaliere qualche settimana fa del partito che causerebbe la perdita di consenso del governo. Adesso sarebbero sempre il partito e non lui a volere lo scudo giudiziario, come ha detto nell’intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung. E’ mancanza di lucidità o è una mossa mediatica?». Il nostro interlocutore sospende il giudizio ma sembra propendere per la prima ipotesi.

Ma sembra poco credibile che Berlusconi parli a vanvera. E che non ci sia invece una strategia mediatica quando butta la croce sugli altri: che sia il partito che litiga o i gruppi parlamentari premurosi che lo difendono dal «macigno che grava sulla democrazia», cioè i magistrati che agiscono «in modo eversivo». E’ un modo per allontanare da sè ogni sospetto, confutare le strumentalizzazioni dell’opposizione e convincere l’opinione pubblica che lui «leggi-vergogna» non ne fa. Chiaro signor Presidente della Repubblica? Quello che non si capisce è se chiederà veramente alla sua maggioranza di ritirare il Lodo Alfano o è, come sembra molto probabile, un gioco delle parti. «Lui vuole che venga ritirata la legge costituzionale, l’ha detto al Corriere della Sera - spiega Bonaiuti, il portavoce del premier - e non ho motivo di pensare che cambierà posizione. Al Senato andranno avanti? Bisogna chiedere ai senatori perché».

«Certo che andiamo avanti», risponde Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali destinatario della lettera del capo dello Stato. «E’ una legge di iniziativa parlamentare di rango costituzionale e quindi non è nella disponibilità del governo e del presidente del consiglio accantonarla o mandarla avanti». Quanto alle dichiarazioni di alcuni esponenti del Fli che vogliono fermare il Lodo, Vizzini ricorda che «ogni forza politica ha le sue curve degli ultrà». «Ma io sto ai comportamenti politici dei rappresentanti di Futuro e Libertà al Senato: Saia si è sempre comportato in maniera inappuntabile. Così come io rimango fermo alle dichiarazioni ufficiali e pubbliche del premier e finora non mi risulta che abbia confermato quello che leggo sui giornali».

La situazione è a dir poco kafkiana. E’ mai possibile che il capo della maggioranza voglia bloccare il Lodo perché dice di non sapere cosa farsene mentre la stessa maggioranza tira dritto a dispetto? E’ chiaramente un gioco delle parti. Un modo per Berlusconi per rispondere in maniera nervosa al capo dello Stato che chiede modifiche e lo fa nella maniera irrituale, dicono i berlusconiani, con una lettera al presidente della commissione Affari costituzionali. Un modo per il centrodestra di confermare la necessità di uno scudo per chi riveste la carica di primo ministro e capo dello Stato. Ma il Cavaliere fa il superiore. «Tanto io verrò assolto e confido che la Corte Costituzionale non boccerà il legittimo impedimento», va dicendo in questo periodo. Un ottimismo di facciata dietro la quale ritornano i sospetti sulle intenzioni di Fini. Il quale ieri è tornato a parlate di altri governi, del dovere del capo dello Stato di verificare se ci sono altre maggioranze in caso di crisi dell’esecutivo Berlusconi. E sul Lodo ha messo altri paletti sulla scia di Napolitano. «Che cosa è successo nelle ultime 72 ore - si chiede Osvaldo Napoli, vicecapogruppo Pdl - da far cambiare radicalmente la posizione dei finiani? In assenza di spiegazioni si tratta di manovre di palazzo che mirano a disarcionare questo governo e a spaccare la maggioranza. Gli autori scoperti e i sostenitori occulti di questa manovra sono da considerare alla stregua di attentatori alla Costituzione».

Per Berlusconi tratta del «solito gioco per logorarlo»: «Ma devono essere loro a fare la mossa sbagliata. Io vado avanti con il programma di governo». Bisognerà vedere se sarà coerente con quello che dice, cioè che non ha bisogno dello scudo giudiziario e se chiamerà il capogruppo del Senato Gasparri per dirgli di fermare la macchina del Lodo

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59749girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Sette deputati nel mirino il calciomercato sul Fli
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2010, 11:54:19 pm
17/11/2010 (7:25)  - IL CASO

Sette deputati nel mirino il calciomercato sul Fli

Un finiano: mi hanno offerto 500 mila euro, ma non mi vendo

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Nella sala conferenze di Montecitorio Denis Verdini e Daniela Santanchè (Ignazio La Russa era seduto tra i giornalisti) stavano presentando con molta goduria il ritorno nel Pdl del deputato Giuseppe Angeli strappato a Gianfranco Fini. «Il primo di altri ritorni», garantiva su di giri la Santanchè, che aveva ricevuto la telefonata da Silvio Berlusconi. «Brava Daniela, sei riuscita a rompere il fronte di Futuro e libertà. Vedrai che ne arriveranno altri alla Camera e poi ci facciamo delle belle risate... Pensa alla faccia che farà quello lì...». Che sarebbe il presidente della Camera, per il Cavaliere sempre e comunque «un traditore». Voleva andarlo a dire agli italiani, a Matrix, questa sera. Aggiungendo che con lui «si è rotto un rapporto personale» e che «i finiani si accorgeranno quanti pochi voti avrà il loro leader».

Avrebbe voluto aggiungere che è pronto a respingere le «manovre di palazzo», poi ci ha ripensato: l’intervento è rinviato al 14 dicembre, dopo il dibattito alle Camere, per rispetto al Capo dello Stato che si è speso a lungo nel tentativo di trovare un accordo tra le parti. A «quello lì» Berlusconi sta cercando di sfilare deputati per rimandare al mittente la mozione di sfiducia anche con uno, due voti di scarto (sono sette i deputati su cui si sta lavorando alacremente). «Magari pochi voti all’inizio - spiega Ignazio La Russa - che diventeranno dieci in pochi giorni». Il perché è presto spiegato: il premier ha una decina di posti da assegnare tra viceministri e sottosegretari lasciati vuoti da Fli e da precedenti dimissioni di esponenti del Pdl.

E poi, sempre che il governo ce la faccia a mantenere la maggioranza alla Camera, ci sono tante nomine pubbliche da fare entro la fine dell’anno. A questo si aggiunge pure un presunto lato ancora più prosaico della campagna acquisti: un deputato finiano confidava ieri che gli sarebbero stati offerti 500 mila euro per «tradire» Fini. «Non sono in vendita», è stata la risposta orgogliosa. Comunque, mentre Verdini e Santanchè mostravano lo scalpo di Angeli, fuori dalla sala conferenze si aggirava Saverio Romano, l’ex segretario dell’Udc siciliana che ha abbandonato Casini per mettersi in proprio con i suoi amici e schierarsi con il Cavaliere. «Vedrete - diceva con l’aria di vecchio marpione democristiano, che avrebbe convinto Giampiero Catone a lasciare Fini - che Berlusconi alla Camera avrà la maggioranza.

Bastano 5-6 assenze in aula al momento del voto... Non credo che tra i deputati ci sia molta voglia di andare a casa». Una pausa, poi una «profezia». «Abbiamo davanti quasi un mese di tempo e può succedere di tutto. Può succedere pure che Napolitano, di fronte a una tempesta finanziaria che si potrebbe abbattere in Europa nelle prossime settimane, possa decidere di non sciogliere le Camere e affidare l’incarico di formare un nuovo governo al governatore di Bankitalia Draghi». E’ il governo tecnico la bestia nera di Berlusconi, ma per il momento non è alle viste. Ma dopo la soluzione salomonica presa ieri al Quirinale sul voto di fiducia/sfiducia in Parlamento, il Cavaliere è convinto che lo spettro del governo tecnico sia stato archiviato. Ora, spiegano a Palazzo Grazioli, l’alternativa è tra Berlusconi e le elezioni.

Insomma lo scenario sarebbe cambiato: i deputati dubbiosi e coloro che non vogliono lasciare lo scranno di Montecitorio sanno qual è il rischio che corrono se affossano il Cavaliere. Ad esempio, Fini è in grado di rieleggere i suoi 35 seguaci, dovendo concorrere nella spartizione delle candidature con Casini, Rutelli e Lombardo? «Nella vita, e quindi anche in politica - spiega il ministro Altero Matteoli - è lecito cambiare idea, ma ho l’impressione che coloro che hanno aderito al Fli abbiano preso un treno la cui destinazione è cambiata senza avviso e senza il loro pieno consenso». Berlusconi, ad ogni modo, è soddisfatto della soluzione trovata dal Quirinale. Se avesse votato prima la Camera, in caso di sfiducia, sarebbe stato costretto a dimettersi e non avrebbe potuto incassare il voto favorevole del Senato.

Così invece a Palazzo Madama i senatori, che sono la metà dei deputati, potranno finire di votare prima dei loro colleghi di Montecitorio. I quali sapranno in tempo reale che l’unico modo per non andare a casa è quello di sostenere il governo. Potranno sembrare alchimie, sottili giochi di Palazzo, tuttavia il Cavaliere gioca colpo su colpo. Con la sicurezza di chi ha blindato l’asse con Bossi e si prepara la campagna elettorale se non riuscirà a riconfermare la maggioranza nei due rami del Parlamento.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60553girata.asp


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Casini e Fini sembravano alleati, invece ...
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2010, 04:20:09 pm
Politica

22/11/2010 - RETROSCENA

Nel momento della verità Berlusconi si scopre più forte

Casini e Fini sembravano alleati, invece hanno strategie diverse

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

Prima Fini con l'invocazione al senso di responsabilità; ora Casini pronto a trattare un'armistizio. Entrambi di fatto ammettono la loro debolezza dopo avere dichiarato guerra al Cavaliere. Avevano chiesto la sua testa come condizione per sostenere un nuovo governo. «Siamo oltre Berlusconi», aveva dichiarato il presidente della Camera a Bastia Umbra. «Si deve dimettere e passare la mano», gli aveva fatto eco il leader dell'Udc. Sembrava che i due marciassero allineati e compatti verso la fine del berlusconismo, nella convinzione che una loro mozione di sfiducia avrebbe rovesciato la poltrona di Palazzo Chigi. Adesso si sono messi al pallottoliere e hanno capito di avere un bel di problemi dentro i loro gruppi parlamentari, che un pezzo dei loro deputati non li seguiranno nella battaglia finale della Camera. Sarà l'effetto della campagna acquisti oppure la paura di correre verso il precipizio delle urne (quanti parlamentari ribelli verrebbero rieletti?).

Forse è stato preso atto che il capo dello Stato non è disponibile ad avallare un ribaltone, cioè un governo senza i vincitori del 2008. Sta di fatto che Fini e Casini adesso hanno la certezza che il 14 dicembre il premier otterrà la fiducia anche a Montecitorio. Addirittura nell'Udc si pensa che il governo ce la farà con 318 voti. Ecco perché, spiegano nel Pdl, pure Casini è venuto a più miti consigli e non dice più no ad un Berlusconi-bis. Non solo. A Palazzo Grazioli sono convinti che l'Udc stia giocando una partita diversa da Fli. C'è chi sostiene che Casini voglia sostituire Fini nella maggioranza e vendicarsi per essere stato mollato nel 2008. Più realisticamente invece si è fatto due conti e ha capito di non avere né margini di manovra credibili a sinistra né una sponda solida in Futuro e Libertà. Se il Cavaliere avrà pochi voti di maggioranza alla Camera, Bossi ha già detto che si dovrà andare a votare (lo ha ripetuto ieri il ministro Maroni).

«Ma noi - spiega Roberto Rao, interprete autentico del pensiero del capo Udc - sfideremo Berlusconi a governare comunque: se non ci sarà un nuovo governo, allora presenti dei buoni provvedimenti e li voteremo». Bisogna afferrare al volto questa disponibilità, dicono nel Pdl. Per Osvaldo Napoli «il pragmatismo di Casini è la prima cosa saggia: ha lanciato una sfida che la maggioranza non può non raccogliere». Allargare dunque la maggioranza? «Se il premier vuole farlo - osserva però il finano Adolfo Urso - dovrebbe salire al Quirinale, dimettersi e ottenere un reincarico. Ma ha sempre detto che non intende farlo. Ci dica cosa vuole fare allora». In effetti Berlusconi non ci pensa proprio ad una crisi al buio, sapendo che dovrebbe trattare anche sulla legge elettorale. Ora che si trova in una posizione più forte farà cuocere nel loro brodo Fini e Casini. Deve però affrontare la grana di Mara Carfagna. Dovrebbero vedersi in settimana, ma non è stato ancora fissato un appuntamento.

Nel Pdl c'è chi dice che non la riceverà mai. Lei vuole risposte concrete, ma si è spinta molto in là con l'intervista al Mattino e le accuse durissime contro i triumviri e un pezzo importante del Pdl campano. Il premier non può tagliare la testa a Nicola Cosentino, il coordinatore regionale al quale sono legati molti parlamentari: sarebbe un terremoto che Berlusconi non può permettersi alla vigilia del 14 dicembre. Se poi si convince, come sembra esserlo, che Mara sia manovrata da Italo Bocchino, allora non ci sono più margini di recupero. Sono in molti però a volere questo recupero. I ministri Frattini e Gelmini sono in prima linea. Ieri La Russa, su mandato di Berlusconi, ha chiamato la ministra per le Pari Opportunità. «Le ho detto di stare tranquilla, che risolveremo i problemi. Ci vedremo nei prossimi giorni. Cercherò di dare un po' di valium a tutti. Sono convinto che riusciremo a riportare la calma nel partito».

Il punto è che per la Carfagna lo stesso La Russa è parte del problema, come Verdini e coloro che a suo avviso hanno in mano il Pdl a livello nazionale e locale. «E' chiaro - sostiene Urso - che l'amarezza e la reazione di Mara siano le stesse che stanno vivendo in molti. Il Pdl non è più un partito che attira ma che respinge». Ma dove andrà la Carfagna? «Non lo so, ma non credo che seguirà Micciché in Forza Sud», risponde sibillino Urso. Le porte sono già spalancate nel Fli.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/375962/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La strategia del Cavaliere per mettere all'angolo il nemico
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2010, 05:28:45 pm
Politica

07/12/2010 - RETROSCENA

Il premier e l'arma delle urne per dialogare con Casini

La strategia del Cavaliere per mettere all'angolo il nemico

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
I sondaggi in possesso di Berlusconi (e non solo) dicono che il Pdl abbia smesso di calare nei consensi e che anzi ci sia un recupero. Un rimbalzo di qualche decimale, ma quanto basta per rendere il premier più determinato a puntare tutte le sue carte sulle elezioni anticipate se non dovesse avere la maggioranza alla Camera. Chi spera nelle sue dimissioni da qui al 14 dicembre farebbe meglio a ricredersi in fretta. E' il caso di Fini che sta cercando una soluzione prima di quel giorno: un Berlusconi bis che eviti il ribaltone e non lo costringa a infilarsi in avventure terzopoliste o addirittura in alleanze con la sinistra difficili da gestire. Il leader dell'Udc invece un nuovo governo del Cavaliere lo vuole solo dopo che il Parlamento si sia pronunciato sulla mozione di sfiducia. Non è un caso che Casini continui a ripetere che il vero giorno del giudizio non è il 14 ma il 15 dicembre, cioè quando bisognerà capire come tenere in vita la legislatura. A quel punto, che Berlusconi abbia o meno la maggioranza a Montecitorio, i centristi si offrirebbero in soccorso con le bombole di ossigeno (Lega permettendo) per rianimare il «catacombale» Silvio ed evitare le urne. Fini potrebbe essere scavalcato e trovarsi a rincorrere Casini.

Sono queste le valutazioni che si fanno in casa berlusconiana che osservano che tra i due ogni giorno che passa emergono divisioni e prospettive diverse. Se si andasse a votare in primavera chi sarebbe il candidato alla premiership? I finiani continuano a ripetere che quel ruolo spetterebbe al loro capo, senza ombra di dubbio. L'Udc non è dello stesso avviso. Non lo sono nemmeno oltre Tevere dove si guarda con diffidenza ad un'intesa elettorale con il laico Fini, soprattutto se dovesse essere lui a guidare le truppe d'assalto a Palazzo Chigi. Ecco perché, spiegano i berlusconiani, il presidente della Camera è nei guai, in affanno, e ripete - come ha fatto ieri - che non ci sarà il ribaltone: cerca un'intesa nel centrodestra prima del 14 dicembre. Dopo i giochi per lui sarebbe mortale, con il democristiano Casini pronto a fargli le scarpe.

Le previsioni del premier potrebbero rivelarsi scritte sull'acqua. Casini e Fini sarebbero dei dilettanti se facessero il gioco divide et impera del Cavaliere. Il quale pensa di giocare il ruolo del gatto con i due topi, lasciando intravedere la possibilità di un bis dopo il 14 dicembre. Cosa possibile se otterrà la maggioranza anche alla Camera, anche se per pochissimi voti. Tratterebbe da una posizione di forza. In caso contrario, cioè se dovesse andare giù a Montecitorio e tenere la maggioranza al Senato, salirebbe al Quirinale per chiedere le elezioni. E non ci sarebbero alternative che tengono, nemmeno con il nome del governatore della Banca d'Italia Draghi. Secondo il senatore del Pdl Andrea Augello, Berlusconi avrebbe in mano il pallino anche se dovesse perdere la maggioranza dei deputati per pochissimi voti: «Di fronte alla prospettiva delle urne il primo a presentarsi alla trattativa per un Berlusconi bis sarebbe Casini e a quel punto a Fini non rimarrebbe che acconciarsi». Del resto, sostiene Osvaldo Napoli, «il terzo polo è ormai morto perché sono troppi galli nello stesso pollaio. Se poi si dovesse aggiungere anche Montezemolo allora la competizione in quell'area sarebbe devastante».

Insomma, dalle parti del Cavaliere si ostenta una notevole sicurezza (si parla di nuovi acquisti), ma secondo i finiani si tratta di un «grande bluff». Rimane il fatto che tutti temono di andare a vedere le carte di Silvio, che alla fine potrebbe avere la convenienza di portare gli italiani al voto. Certo, a legge elettorale invariata, corre il rischio di vincere alla Camera grazie al premio di maggioranza e di perdere al Senato. A quel punto però, ragionano a Palazzo Grazioli, se mancassero una decina di senatori per dare vita ad un nuovo governo, si aprirebbe una discussione con i centristi di Casini o con chi è disponibile. Sarebbe quello il vero Berlusconi bis.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378938/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi e la calamita nei confronti dei centristi
Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2010, 04:07:00 pm
Politica

13/12/2010 - RETROSCENA

Berlusconi e la calamita nei confronti dei centristi

Undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari con un occhio rivolto all’Udc

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

A24 ore dal voto il fixing di Berlusconi è di 314/315 deputati dalla sua parte, 311/312 contro. Lo ha ripetuto anche ieri sera alla cena con i senatori che soprattutto cercavano risposte su cosa accadrà dopo. Come si andrà avanti con due, tre voti di differenza? Ministri e sottosegretari dovranno rimanere inchiodati a Montecitorio? Cosa farà l’Udc? Tra l’altro la battuta sibillina di Bossi («dopodiché... lo dico dopo avere ottenuto la fiducia, se Berlusconi non ha sbagliato i conti...») non lascia dormire sonni tranquilli né ai parlamentari del Pdl né ai nuovi arrivati che hanno deciso di saltare il fosso: cioè i vari Scilipoti, Calearo, Cesario, Razzi. Se poi si dovesse andare ad elezioni, a cosa servirebbe il loro cambio di casacca? Fini e Casini soffiano sul fuoco della paura, avvisano che il vero obiettivo del premier sono proprio le urne, senza che nessuno abbia la sicurezza di essere ricandidato e rieletto. E quella frasetta buttata lì da Bossi sembra corroborare questi timori. Ma Berlusconi in queste ore dice a tutti i dubbiosi che, una volta ottenuta la fiducia, verrà risalita la china. «Saremo una calamita per tutti».

Insomma, ogni cosa a suo tempo. Per il leader del Pdl adesso la cosa principale è superare le forche caudine di Montecitorio. Un altro colpo messo a segno è la spaccatura del Fli, con la ribellione dei moderati con in testa Moffa che forse non sarà il solo ad astenersi. Sono state le parole di Fini dette a Lucia Annunziata a far consegnare altre armi nelle mani del Cavaliere, che non ha perso tempo per chiamare i finiani dubbiosi. «Avete visto? Quello ha un solo obiettivo: uccidermi, distruggermi, eliminarmi, non ha nessuna volontà positiva di trovare un’intesa. Mi insulta e vi tratta da ragazzini, certo in buona fede, ma che devono eseguire i suoi ordini. Vuole portarvi all’opposizione e rianimare quelle anime morte della sinistra. Adesso spetta a voi decidere cosa fare».

La campagna acquisti sta funzionando alla grande. Eppure Berlusconi qualche dubbio ancora ce l’ha. Teme i «controtradimenti» dei Calearo, Siliquini, Cesario, Razzi e Scilipoti. «Auguriamoci - ha detto parlando con i suoi collaboratori a Palazzo Grazioli prima della cena con i senatori - che siano coerenti con gli impegni che hanno preso con noi». Finora però tutto fila liscio tanto da far dire al portavoce Bonaiuti, nel suo quotidiano bollettino del tempo, che «dopo un pomeriggio di mare mosso, si prevedono schiarite per la mattina di martedì».

«Dopodiché»? Dopo il 14 dicembre cominceranno gli smottamenti di Fli e l’attrazione nei confronti dell’Udc. La «calamita», appunto, di cui parla Berlusconi, perché nessuno vuole andare ad elezioni anticipate. E il Cavaliere ha undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari. Con un occhio rivolto innanzitutto ai centristi di Casini. L’Ansa ha scritto che ha in mente l’innesto di un paio di ministri tecnici, dai nomi prestigiosi e di grande profilo, tipo Mario Monti, proprio per mandare un segnale di buona volontà all’Udc. Un modo per consentire agli ex Dc di votare i provvedimenti vitali per il governo. Casini fa spallucce: ricorda che l’Udc ha sempre votato a favore di provvedimenti che ritenevano utili per il Paese. La verità, spiegano al quartier generale di via Due Macelli, è che Berlusconi deve aspettare la sentenza della Corte Costituzionale, a gennaio, per sapere se può ancora avvalersi del legittimo impedimento. Se sarà una sentenza a lui favorevole, dovrà rimanere chiuso nel bunker di Palazzo Chigi e tenersi stretta la carica di presidente del Consiglio: non potrà volere le elezioni e dovrà barcamenarsi tra Bossi, che non vorrà tirare a campare, e i voti di Fli e Udc per tirare a campare. E come riuscirà a fare tutto questo se Bruxelles ci imporrà manovre draconiane? Quanto al rapporto tra Fini e Casini, quest’ultimo ha confidato che «siamo condannati a marciare insieme», nonostante tutto.

Intanto il premier punta a vincere la battaglia del 14 dicembre, poi si pensa di vincere la guerra. Soddisfatto di avere mandato in tilt Fini. Il quale, dice La Russa, «sarà imbestialito per il fatto che un “Moffa qualunque”, e io conosco i giudizi che lui ha di alcuni finiani moderati, abbia potuto ribellarsi a lui e scrivere quella lettera a Berlusconi. Lui pensava di avere le mani completamente libere e di poter decidere tutto, ma ha scoperto che così non è». Per La Russa ci sono ancora 24 ore prima che le colombe decidano di abbandonare il binario morto dove vuole portarli Fini. «C’è ancora tempo per avere dei colloqui e chiarimenti. Poi tutto sarà più difficile».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/379703/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il premier: "Terzo polo? E' una tigre di carta"
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2010, 03:50:47 pm
Politica

16/12/2010 - RETROSCENA

Il premier: "Terzo polo? E' una tigre di carta"

«Un'alleanza di falliti».

Via al piano per i dubbiosi di Fli

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi non ha paura del terzo Polo, del cosiddetto Partito della Nazione. Lo considera una «tigre di carta che non ha futuro e grandi prospettive politiche». Costruito piuttosto per difendersi e prepararsi alle elezioni o a trattare l’allargamento della maggioranza. Elezioni che però il premier assicura formalmente di non volere. Ma sono pochi a credere che egli non voglia approfittare della debolezza di tutte le opposizioni e della sua rinnovata posizione di forza per dare scacco matto nelle urne.

Adesso il Cavaliere, dopo avere ottenuto da Bossi il “time out” fino a gennaio, punta tutte le sue fiches sullo smottamento di Fli (innanzitutto) e dell’Udc. A Fini pensa di poter sfilare da 6 a 8 deputati; a Casini almeno 3-4. Più che una minaccia quella del Cavaliere è una concreta possibilità e anche un messaggio al leader dei centristi. Un modo per dirgli di stare in campana: se non ti siedi a trattare senza la presunzione di chiedere la luna (ridimensionamento della Lega, troppi ministeri e tanti soldi per il quoziente familiare), io sono in grado di essere autosufficiente.

E al quel punto non avrò più bisogno di te, figuriamoci di Fini. Un bluff? Forse. Rimane il fatto che, con il voto di fiducia ottenuto martedì, Berlusconi ha dimostrato di saper superare i momenti più difficili e essere una calamita, pur usando tutte le “lusinghe” possibili. Un’attrazione che ora diventa più forte nei confronti di quei finiani che non vogliono uscire dal centrodestra e finire in un terzo polo in attesa di diventare un vagone del centrosinistra di nuovo conio. Dunque adesso è il momento di mostrare a Casini il bastone e non la carota dell’offerta di un nuovo governo. Una risposta durissima al tentativo di Udc, Fli, Mpa e Liberaldemocratici di serrare i ranghi. Non più un’apertura a Casini e al suo partito, ma strappare in tutti i modi (ha undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari) «singoli deputati delusi dalla linea dei propri partiti».

Uomo avvisato... Eppure ieri mattina al Quirinale avrebbe continuato ad assicurare al capo dello Stato la sua intenzione di fare al leader dei centristi «un discorso ragionevole e serio». E’ stata questa la risposta a Napolitano che gli chiedeva come avrebbe affrontato una eventuale manovra aggiuntiva con una maggioranza di 3 deputati. Tremonti ha subito precisato che non ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva. E il premier ha aggiunto che farà di tutto per allargare la maggioranza. Ma il Cavaliere sembra essere in contraddizione quando sostiene l’una e l’altra cosa: mano tesa all’Udc come partito e voglia di “rubargli” deputati. Invece non lo è: è, appunto, la sua solita tattica del bastone e della carota; terrorizzare, far scoppiare fumogeni, far vedere che sta facendo di tutto, ma proprio di tutto per dare stabilità politica al nostro Paese.

Se poi i suoi sforzi non saranno premiati, pazienza, si andrà a votare. Ogni cosa a suo tempo, step by step. Intanto, ha ragionato ieri sera al mega vertice di Palazzo Grazioli, «alla Camera cerchiamo di arrivare a quota 325». Cioè 11 deputati soffiati a Fli e Udc. «Se riusciamo a raggiungere questa quota avremo una maggioranza piccola ma sufficiente ad evitare le imboscate e portare a termine la legislatura, perchè è questo ciò che vogliono gli italiani. La maggiore dote politica per un governo e una maggioranza è garantire la stabilità che mette l’Italia al riparo della speculazione internazionale». Quello di Fini, Casini e Rutelli per Berlusconi è il terzo polo dei «falliti». Se si andrà ad elezioni, ha osservato, loro dovranno fare un pateracchio, sommare liste per superare gli sbarramenti previsti della legge elettorale. Per non parlare poi delle difficoltà che avranno a decidere chi sarà il candidato premier di questa «armata Brancaleone formata da tanti galli nel pollaio». Se poi nella partita elettorale ci sarà pure Luca Cordero di Montezemolo, allora questi «vecchi politici della Prima Repubblica» saranno messi in un angolo. Ma la novità che è emersa ieri sera al vertice è che nel Pdl è riemersa la divisione tra falchi e colombe.

Tra chi vuole svuotare Fli e Udc e coloro che invece pensano sia meglio una seria trattativa solo con l’Udc e un recupero dei finiani che seguiranno Moffa nel gruppo misto. Tra le colombe, neanche a dirlo c’è Gianni Letta e Franco Frattini. Per il ministro degli Esteri «il terzo polo sarà dialogante». Evitare le elezioni, non farsi trascinare dalla Lega alle urne, con il pericolo di trovarsi totalmente nelle mani di Bossi e Tremonti più di quanto l’azione del governo non lo sia stata in questi due anni e mezzo di legislatura. E magari con un Senato senza una maggioranza di centrodestra e il pericolo che in una situazione del genere il Senatur possa chiedere a Berlusconi di passare la mano a Tremonti. Berlusconi interpreta entrambi le posizioni, ma come è sempre successo alla fine gli scappa il superfalco che c’è in lui perchè non ha la pazienza di seguire le alchimie.
«La gente non capirebbe i minuetti del Palazzo», è il suo mantra. Qui, nei Palazzi della politica, i bookmakers scommettono sulle elezioni.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380176/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L'incubo del premier: Casini "nuovo Prodi"
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2010, 11:07:27 am
Politica

18/12/2010 - RETROSCENA

L'incubo del premier: Casini "nuovo Prodi"

Un'alleanza Pd- Terzo Polo potrebbe conquistare i moderati

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A BRUXELLES

Le operazioni mediatiche sono quelle che meglio riescono a Berlusconi. Batte il tasto dei nuovi arrivi nella maggioranza e mette paura agli avversari finiti per il momento in un angolo. Schiaccia a sinistra il «traditore» Fini e ai deputati dell’Udc ricorda che il loro leader Casini ha perso un’occasione d’oro: entrare nel governo dalla porta principale di ministeri e sottosegretariati. Ma quello che ora il Cavaliere teme veramente è una possibile alleanza in divenire tra il nascente terzo polo e il Pd «depurata» da Di Pietro e Vendola. Un centrosinistra di nuovo conio per dirla con un’espressione in voga un po’ di tempo fa e inventata da Rutelli. Berlusconi lo teme perché non potrà dire con tanta credibilità che i suoi vecchi partner si sono consegnati a comunisti e forcaioli. Soprattutto se il «nuovo Prodi» si chiamerà Casini, democristiano di provata fede, tra i fondatori del centrodestra.

Il suo avversario ideale è il governatore della Puglia, orecchino, gay, onestamente e dignitosamente comunista anche se postmoderno. Contro di lui il Cavaliere potrebbe dire le umane e le inumane cose, tanto rimane minoranza. Per non parlare dell’ex Tonino nazionale che ha perso l’onore politico da quando i suoi due deputati hanno salvato il nemico numero uno dell’Idv. Di Casini, che è stato all’opposizione e ce l’ha mandato proprio lui, bisognerebbe lavorare di fino per dire tutto il male possibile. Tanto più se il leader Udc sarà alla testa del battaglione democratico, che alla sua sinistra farebbe strage di voti utili non facendo scattare il 4%. E’ vero che sarebbe un’ammucchiata anche Patto della Nazione più Pd «depurato», ma per Berlusconi sarebbe una concorrenza al centro e sulle fasce moderate che non potrebbe sottovalutare. Ovviamente non può ammettere di averne paura.

Noi glielo abbiamo chiesto alla fine del vertice Ue: teme un’alleanza di questo tipo? E lui: «Non mi preoccupa perché non hanno elettori». Una risposta insolitamente breve, come se non avesse ancora messo a fuoco il problema che potrà trovarsi di fronte. Del resto un sondaggio ad hoc non ce l’ha, e quindi che può dire? Il premier è persona pratica, procede passo dopo passo. Non si pone un problema che non è andato a maturazione. Adesso è interessato all’espansione della maggioranza e i suoi messaggi si fanno incalzanti e quotidiani. Erano mesi che non si offriva ai giornalisti come in questi giorni così a lungo e in tutte le circostanze. Quando non lo fa, annullando viaggi e conferenze stampa, è perché le cose gli vanno male o sta incubando qualcosa. Da quando invece ha superato la rischiosa boa della sfiducia, nonostante possa contare solo su 3 voti di maggioranza, il premier parla a iosa (anche alle 2 di notte come è accaduto l’altra sera nella hall del Conrad).

Ieri, all’uscita vip del Justus Lipsius, è stato l’unico leader che si è fermato con i giornalisti. Si mostra sicuro, ostenta il suo ritorno a Bruxelles da vincitore. «Ditelo che non riuscite a stare senza di me. Non è facile abbattere un combattente veterano come me», ha scherzato con alcuni colleghi al vertice Ue. Colleghi che gli avrebbero fatto tanti di quei complimenti per la fiducia ottenuta da averlo imbarazzato. Del resto, ha osservato, la caduta del governo avrebbe creato instabilità anche in Europa e avrebbe fatto male alla tenuta dell’euro. «Anche questo dimostra l’irresponsabilità di una manovra per come era stata pensata e cercata di portare avanti». Ecco, per fortuna un governo a Roma c’è ancora e a Bruxelles è stato approvato il fondo permanente «salva-Stati». Ora l’euro a suo avviso è in «sicurezza irreversibile», grazie al clima di concordia tra i 27. Non è passata la proposta, sostenuta fortemente dall’Italia, di emettere eurobond. C’è la contrarietà della Merkel e di Sarkozy.

Il Cavaliere nega che ci sia uno strapotere franco-tedesco, anche perché spesso le loro iniziative incontrano la «mancata adesione degli altri Paesi». Ammette però che in Europa serpeggia ancora la voglia di «un protagonismo nazionalistico». In Italia invece deve fare i conti con il duo Fini-Casini. Li considera perdenti, soprattutto il primo, mentre per il secondo usa toni più soft, lasciando la porta socchiusa. Il suo bersaglio è comunque il presidente della Camera: è il Fli che vuole dissanguare, saccheggiare.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380494/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il premier pressa Bossi per sdoganare Casini
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2010, 05:19:55 pm
Politica

21/12/2010 - RETROSCENA

Il premier pressa Bossi per sdoganare Casini

Un sondaggio lo rafforza: il Pdl sale al 28, la Lega è stabile al 12,5

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

La pausa natalizia dovrà servire a Berlusconi per convincere Bossi a non temere Casini. L’incontro tra i due non è stato ancora fissato ma prima di Capodanno ogni giorno è utile per un chiarimento. Nel Pdl c’è chi sostiene che si sono divisi i compiti: il premier fa il poliziotto buono che non vuole le elezioni; il Senatur quello cattivo per mettere paura all’opposizione, innanzitutto al terzo polo, e renderla più morbida nei confronti del governo. La realtà è invece che c’è una divisione, una diversa valutazione su come affrontare e superare questa fase dopo il voto di fiducia con tre voti di scarto. Bossi parla delle urne come «l’unica igiene» possibile per non dare agli avversari il tempo di riorganizzarsi: «La crisi economica è solo un alibi». E Casini sarebbe un cavallo di Troia che ha il solo obiettivo di vedere Berlusconi «morto». Il presidente del Consiglio non la pensa così.

Gioca su più tavoli, convinto di essere più furbo di Casini e che la stabilità ad ogni costo paghi in termini di consensi e credibilità internazionale. I sondaggi gli danno ragione e non solo quelli di cui lui si fida ciecamente (Euromedia). Una rilevazione fatta da Demopolis, conclusa ieri, dà il Pdl in crescita al 28% rispetto al 26% del 30 novembre, mentre il Carroccio si è stabilizzato con considerevole 12,5. Cresce pure l’Udc (da 6,7 a 7,3%); Fli precipita da 7,8 a 5%, una perdita di quasi un milioni di voti. Ovviamente virtuali perché sempre di sondaggi si tratta. «Bossi - spiega un ministro - sa che il Pdl sta riequilibrando i rapporti di forza dentro la coalizione ed è aizzato da chi gli sta intorno a spingere verso le elezioni, magari per fare un favore a Tremonti». Comunque, ora spetta a Berlusconi rassicurare il capo leghista che rimane convinto dell’operazione subdola messa in campo dal terzo polo e da Casini.

L’«alleato ombra» che si sta insinuando nelle maglie delle decisioni governative per condizionare la maggioranza. Una mano a tenere a bada Bossi gliel’ha data il Presidente della Repubblica. Un altro argomento che userà è la nascita del gruppo di responsabilità che ruoterà attorno all’ex finiano Silvano Moffa e all’ex Udc Saverio Romano. Ieri al Quirinale per il ricevimento del Capo dello Stato Berlusconi ha voluto sapere proprio da Romano tutti i particolari su come sta andando avanti la costituzione di questo gruppo (oggi ci sarà una prima riunione di coordinamento). Il Cavaliere spiegherà a Bossi che questi nuovi amici, anche se per il momento non faranno aumentare i 314 voti ottenuti per la fiducia, serviranno a garantire la maggioranza in molte commissioni laddove il centrodestra è andato in minoranza. A cominciare dalle commissioni Bilancio e Finanza della Camera dove il federalismo fiscale rischia di arenarsi.

Intanto Berlusconi sta portando a casa il decreto rifiuti e il ddl sull’Università. Bastona Fini e gioca di fioretto con Casini. Continua a dire che arriveranno altri rinforzi ma è un bluff, almeno non se ne vede traccia. Tutto in attesa di gennaio, della sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Se il premier non avrà più questo scudo saranno in molti a togliergli la spina. E anche se conservasse il legittimo impedimento potrebbe essere Bossi a perdere la pazienza. Sotto traccia rimane l’obiettivo di portare tutta l’Udc nella maggioranza, chiedendo alla Lega di fare qualche sacrificio. Fantapolitica.

Ma è Casini che non vuole entrare nel governo: non vuole sentirsi dire che ha fatto tutto questo per avere un posto al tavola. Meglio un appoggio esterno e tenersi un’alleanza con Fini, Rutelli e Lombardo utile in caso di elezioni anticipate. E’ talmente contrario all’ingresso del suo partito nell’esecutivo che avrebbe fatto saltare un accordo che il segretario Udc Cesa aveva stretto con Gianni Letta. Voci, solo voci, smentite.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380824/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il sospetto della congiura
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2011, 03:44:14 pm
5/1/2011

Il sospetto della congiura

AMEDEO LA MATTINA

Attento Umberto, non ascoltare Giulio». Berlusconi non si fida di Tremonti. Lo considera il vero «ideologo» delle elezioni anticipate che può condizionare le mosse di Bossi e far commettere un grave errore a tutta la Lega.

Il Cavaliere si tiene stretta la sua poltrona e cerca di convincere il Senatùr che il ministro dell’Economia stia giocando una partita tutta sua per arrivare a Palazzo Chigi. «Tremonti pensa solo a se stesso», confida un ministro di rango che avverte il pericolo di un Carroccio trascinato alle urne senza il consenso del premier. Il quale nei colloqui telefonici di questi giorni ha chiesto al leader leghista di stare alla larga da certe tentazioni. «Dimmi se la pensi come Giulio, ma ricordati che se si va al voto te ne assumi la responsabilità». Il tutto ovviamente condito dall’assicurazione che il federalismo fiscale verrà approvato, che i numeri ci sono. Ci sono 10 deputati pronti al salto della quaglia nella maggioranza. A questi se ne potrebbero aggiungere altri 10 che sarebbero i subentranti a quei ministri-deputati che si dovrebbero dimettere dalla Camera.

Operazione complicata, quest’ultima, alla quale Bossi non crede. E dei nuovi arrivi da Fli e Udc non c’è ancora traccia anche se ieri il premier ha detto di essere «sicuro che entro la fine di gennaio in Parlamento ci saranno le condizioni per portare a termine la legislatura. L’Italia ha bisogno di tutto, tranne che di elezioni anticipate». Ha bisogno di «stabilità che ci viene richiesta da tutti i protagonisti più importanti della nostra società, dall’industria alla Chiesa cattolica». Tensioni, contrasti con Bossi e Tremonti? Macché: «Solo chiacchiere al vento, non c’è nulla di vero».

Intanto, per dimostrare che solo di chiacchiere si tratti il Cavaliere avrebbe dovuto accettare l’invito alla «cena degli ossi». Un invito calibrato proprio per svelenire il clima e far vedere che si va d’amore e d’accordo. Cosa per niente vera. Berlusconi ha un problema grande come una casa con la Lega e soprattutto con Tremonti che, a suo dire, sparge veleno e cerca di convincere Bossi a staccare la spina perché con una maggioranza raccogliticcia non si può andare avanti. La tesi non peregrina dell’inquilino di via XX Settembre è che «tirare a campare costa». Costa perché i nuovi arrivi nella maggioranza di Noi Sud, i siciliani di Romano e Mannino e quant’altri parlamentari meridionali chiedono maggiori spese. Lo stesso decreto Milleproroghe rischia di uscire da Camera e Senato con un fardello di milioni in più. Per non parlare dell’Udc. Secondo Tremonti la trattativa con Casini, che insiste sul quoziente familiari (costa una decina di miliardi), finirebbe per cambiare veramente gli equilibri della coalizione a scapito non solo delle casse dello Stato ma anche del Carroccio. Argomento al quale Bossi è molto sensibile, ovviamente.

C’è un altro argomento che Tremonti mette in campo per convincere il Senatùr a mollare Berlusconi. Ed è il «Patto Romano». Il ministro dell’Economia sostiene che ci sia un accordo sotterraneo che lega Gianni Letta, Pierferdinando Casini, ambienti papalini, finanziari, editoriali e imprenditoriali romani. Il loro obiettivo sarebbe portare Casini a Palazzo Chigi e Letta al Quirinale. A farne le spese sarebbe Berlusconi. «Veleni, solo veleni di Tremonti - sostengono i presunti “congiurati romani” - che ce l’ha a morte con Letta. Figuriamoci se Gianni tradisce Silvio». Ecco perché Berlusconi ripete a Bossi «non ascoltare Giulio». Ecco perché ieri sera non poteva salire sul Cadore. Ora il Senatùr frena, dice di essere ottimista, che a marzo non ci saranno elezioni. E che mai Tremonti farebbe «uno sgarbo» al Cavaliere. Al quale concede tempo. Gli dà fiducia, mostra di credere nei numeri di Silvio («non ha mai detto balle»). Ma lo avverte: mai l’Udc al governo. «Allargare sarebbe una continuazione della palude». È questo il paletto che Bossi condivide pienamente con Tremonti: è l’argine al «Patto romano», vero o presunto che sia. Uno stop comunque al partito della spesa che affonda le sue radici al Sud.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8259&ID_sezione=&sezione=


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Pier Ferdinando Casini al centro delle attenzioni di Silvio.
Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2011, 11:57:42 am
Politica

13/01/2011 - RETROSCENA

Letta ancora in campo per convincere Casini

Pier Ferdinando Casini al centro delle attenzioni di Berlusconi

Parte la missione per separare il leader centrista da Fini

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi tiene sempre alzata la spada di Damocle delle elezioni sulla testa degli oppositori «senza idee e senza leader». E questo non vale solo per il Pd incartato nei suoi dilemmi sulle alleanze e nelle tensioni interne. Il messaggio è rivolto soprattutto a Casini che il premier vuole sfilare al Terzo Polo, rompendo l’asse con Fini. Ha rimesso in moto il paziente Gianni Letta per un’ennesima quanto impossibile missione: convincere il leader centrista che gli conviene abbandonare al suo destino il presidente della Camera. Sondaggi alla mano, il premier sostiene che l’alleanza tra centristi, Fli, Mpa e Api non arriverebbe al 10%. E la legge elettorale prevede che se non presenti una lista unica ma una coalizione di partiti (come pensano di fare Casini, Fini, Rutelli e Lombardo), non eleggi nemmeno un deputato se non raggiungi questa percentuale.

Dunque, Letta di nuovo in campo. Un film già visto che tuttavia finora non ha portato risultati. In ogni caso il tentativo di convincere Casini ad un’opposizione sempre più morbida, prescinde dall’obiettivo di allargare la maggioranza per garantire al governo l’autosufficienza, soprattutto in quelle commissioni parlamentari dove Pdl-Lega sono in svantaggio. Ecco perchè Berlusconi, non fidandosi di Casini, punta innanzitutto sulla costituzione del gruppo dei Responsabili sia alla Camera sia al Senato. Il problema più grosso è a Montecitorio, ma ieri ha confidato che la prossima settimana questo gruppo si formerà con 24 deputati. Ci sono un po’ di problemi da risolvere, ad esempio chi farà il capogruppo. La componente Noi Sud e gli ex Udc non vogliono ex finiano Silvano Moffa alla presidenza e spingono invece a favore di Saverio Romano, che oggi incontrerà il Cavaliere. Poi c’è il problema di chi entrerà al governo come ministro o sottosegretario. Ma a parte il tema di chi farà cosa, l’allargamento della maggioranza stenta a realizzarsi nelle dimensioni desiderate dal premier.

Alcuni deputati disposti al passaggio nelle fila del centrodestra attendono di sapere cosa deciderà oggi la Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Due deputati dell’Mpa (Ferdinando Latteri e Aurelio Misiti) prima vogliono capire quale sarà il destino del governo. Altri cosa tocca a loro. C’è chi alza troppo il prezzo. Ignazio La Russa la mette invece così: manca una scadenza di voto parlamentare come fu il voto di fiducia del 14 dicembre. Per cui alcuni deputati non hanno fretta di fare il salto. La scadenza potrebbe però arrivare a fine mese quando si tratterà di votare per la mozione di sfiducia al ministro Bondi.

Insomma, non è tutto così pacifico come sostiene Berlusconi, che ieri a Berlino ha tirato fuori il suo repertorio “migliore” contro i giudici e ha detto che la decisione della Consulta non influirà sul governo. Il messaggio è rivolto ai dubbiosi di cui sopra. Intanto il capogruppo Cicchitto e il ministro Fitto ricordano che l’unica alternativa a questo governo sono le urne, non essendo più in campo l’ipotesi di un esecutivo tecnico. Figurarsi, come ha precisato il Cavaliere, una grossa coalizione nella versione del «patto di salvezza nazionale» indicato da Fini.

Casini dice che gli è venuto a noia il tema delle elezioni. E «se ritiene che i problemi del Paese si risolvano con due-tre parlamentari in più - aggiunge - faccia pure. L’Udc voterà a favore se il governo presenterà provvedimenti positivi per il Paese». Cosa accadrà, secondo Lorenzo Cesa, dipende dalla decisione della Consulta. «Berlusconi - osserva il segretario dell’Udc - non accetterà di farsi girare sullo spiedo con i magistrati che dovranno decidere di volta in volta se esiste il legittimo impedimento. A quel punto potrebbe avere la tentazione di andare a votare. E noi saremo pronti: in tre mesi metteremo su un’alleanza elettorale competitiva. Il candidato premier? Ce lo abbiamo già...», risponde Cesa con un sorriso da gatto mammone. Chi se non Casini?. «Se accettasse la nostra proposta di pacificazione e quella di Fini sulle riforme, Berlusconi potrebbe andare avanti fino alla fine della legislatura. Ma non mi sembra abbia la testa per fare queste cose. E poi la Lega mette i bastoni tra le ruote, Tremonti non caccia un euro».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/383456/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. "Se lascio mi massacrano E Tremonti è già pronto"
Inserito da: Admin - Gennaio 19, 2011, 12:24:03 pm
Politica

19/01/2011 - IL CASO

"Se lascio mi massacrano E Tremonti è già pronto"

Il Cavaliere: Giulio non pensi di andare a Palazzo Chigi coi voti miei

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi resiste nel bunker di Palazzo Chigi. Assediato dalla stampa cattolica. Stretto dal Capo dello Stato che gli consiglia di esercitare il suo diritto di difesa davanti ai giudici di Milano. Mollato definitivamente dal Terzo Polo che sente odore di sangue.
E poi c’è il Pdl che a certi piani alti vorrebbe che valutasse la possibilità di passare la mano per salvare la baracca.
Ma il Cavaliere resiste, ammassa sacchetti di sabbia sulle finestre del bunker e avverte minaccioso: «Il primo che osa venirmi a dire di fare un passo indietro lo caccio dal partito a calci in culo.

Se mi alzo da quella sedia mi massacrano e c’è subito pronto Tremonti ad accomodarsi al mio posto. Se Tremonti vuole fare il primo ministro vada alle elezioni e quella carica se la conquisti, ma non può pensare di fare il premier con i miei voti». Tutti zitti, non vola una mosca. Stanco e diffidente di un ministro dell’Economia e della sua sponda leghista, nonostante il responsabile dell’Economia ieri abbia detto di essere «orgoglioso di far parte di questo governo».

Stufo ma combattivo, con l’obiettivo di stroncare ancora una volta i «magistrati comunisti» e dirottare le carte processuali dei festini hard al Tribunale dei ministri, neutralizzando così le intercettazioni telefoniche. Berlusconi è un combattente nato, stringe i denti e i bulloni della sua maggioranza che ieri alla Camera era però divisa tra coloro che dicono «ce la faremo a passare anche questa nottata» e chi invece teme il peggio: «Questa volta finisce male».

Lui suona la carica, non ha intenzione di mollare. Dice di essere «sereno», di «dormire tranquillo». «Adesso mi difenderò in ogni sede.
Farò uscire le testimonianze delle ragazze che Ghedini ha raccolto. Non mi arrendo, reagirò. Vedremo cosa riusciranno a dimostrare la Boccassini e compagni». I suoi più stretti collaboratori ammettono che è dura ribaltare il piano inclinato, ma nessuno si illuda che Berlusconi possa fare un passo indietro e vada a farsi interrogare a Milano. «Lì c’è un plotone di esecuzione, non ho garanzie», ripete il premier.

Il quale addirittura sostiene di divertirsi di fronte a quanto sta accadendo. Si capisce che è un bluff. Lo scenario politico si complica maledettamente. Non c’è ancora, e difficilmente ci sarà, l’accordo con il Terzo polo sul federalismo fiscale e il finiano Baldassarri, che nella bicameralina fa la differenza, non sembra orientato a votare il decreto attuativo il 26 gennaio. E ieri Bossi ha ripetuto che senza federalismo fiscale si va dritti al voto. Il premier però è sicuro che il provvedimento passerà perché nell’opposizione c’è la paura delle urne.

Anche sulla mozione di sfiducia contro Bondi è prevalsa la linea più dura nell’Udc, Fli, Api e Mpa, rispetto ad un primo orientamento favorevole all’astensione. Al ministro della Cultura, Rutelli e Buttiglione, che hanno “istruito” la pratica, chiederanno di trovare i soldi che Tremonti gli ha sempre negato, di avere la schiena dritta: un elenco di cose da fare, ben sapendo che Bondi dirà di no. «Allora, sarà lui a sfiduciarsi da solo», è la sottile e gesuitica mossa dei centristi. I quali, essendo a conoscenza di ciò che arde sotto la cenere del Pdl, affondano il coltello: faccia un passo indietro e noi siamo disposti a votare pure il diavolo.

Che si chiami Tremonti, Letta o Alfano. Berlusconi indossa la mimetica e spara dalle feritoie al primo che si avvicina. E’ convinto che ci sia altro nelle maniche dei suoi «nemici» di Milano. Che ci siano altre intercettazioni e che si tratti delle telefonate con Ruby e la Minetti, le due principali reginette del bunga bunga. A suo avviso i Pm meneghini furbescamente non avrebbero allegato queste intercettazioni agli atti inviati alla Camera per poi buttarli in pasto ai media al momento opportuno, come hanno fatto in passato con le telefonate tra lui e il dirigente Rai Saccà.

Attorno al bunker si fa terra bruciata, ma Berlusconi è l’uomo delle sette vite. Ce la farà anche questa volta? Si salverà perché è difficile trovare un’alternativa viste le divisioni a sinistra e lo stato embrionale del Terzo Polo? Lo scontro finale si carica delle parole severe scritte dal direttore dell’Avvenire Marco Tarquino e da Famiglia Cristiana. Ma anche su questo fronte il Cavaliere crede di poter parare il colpo. «Nella Chiesa conta quello che dice la Segreteria di Stato vaticana. Loro sanno che senza di me si beccano i laici di sinistra». Amen.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384934/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. IL GOVERNO, RILANCIO E PAURE
Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2011, 06:37:15 pm
Politica

03/02/2011 - IL GOVERNO, RILANCIO E PAURE

Premier-Tremonti, incontro e disgelo

Il ministro potrebbe sbloccare il "tesoretto" dei fondi europei non usati dalle Regioni

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

Maroni è scettico sulla possibiltà che il governo abbia molto tempo davanti a sé. «Non so quanto durerà», si è lasciato sfuggire parlando con i sindaci della Sardegna sulle misure che intende adottare contro la criminalità dell’isola. C’è chi sospetta che il responsabile del Viminale sappia quello che a Montecitorio molti deputati della maggioranza confidano e si dicono tra di loro. Starebbe arrivando «la tempesta perfetta» che travolgerà Berlusconi fatta di foto e filmati veramente compromettenti. C’è chi si lascia suggestionare dalle indiscrezioni dei giornali, c’è chi invece racconta di averlo appreso da fonti qualificate. Al punto che viene attribuito allo stesso premier l’intenzione, se la situazione dovesse precipitare, di presentare alla procura di Brescia una denuncia contro i magistrati di Milano: attentato ad un potere dello Stato perché ci sarebbe un disegno criminoso costruito per colpire il presidente del Consiglio. Voci non confermate. Se dalle intenzioni il Cavaliere passasse ai fatti, verrebbe scatenato un conflitto istituzionale incredibile da far impallidire il capo dello Stato. Voci che comunque la dicono lunga sullo stato d’ansia che si respira a Palazzo Grazioli e che viene tradotto da un ministro berlusconiano in questo modo: «Viviamo alla giornata. Non sappiamo quando arriva il giorno della fine...».

In questa attesa al cardiopalma Berlusconi punta tutto sulla ripresa dell’azione del governo e sulle misure di crescita economica con un Consiglio dei ministri in seduta straordinaria fissato per martedì prossimo. A Palazzo Chigi spiegano che l’incontro con Tremonti è andato bene, che il ministro dell’Economia, arrabbiato perché era stato tenuto all’oscuro del rilancio sui temi economici, ha capito che in questa fase non può remare contro il premier. Remargli conto in questo momento così difficile significa remare anche contro Bossi, il quale è schierato al fianco di Berlusconi contro le elezioni. Finché dura. Così, nell’ora scarsa che è stato a Palazzo Grazioli (il premier era tutto preso dall’intervista al Tg1), Tremonti avrebbe fatto delle aperture. Non ha aperto il cordone della borsa perché secondo il ministro la via dello sviluppo non si può finanziare in deficit e con spese dal sapore elettorale. Dunque nessuna risorsa aggiuntiva da mettere sul tavolo, ma sbloccare il “tesoretto” dei fondi europei non spesi dalle Regioni, soprattutto per finanziare il Piano Sud che il ministro Fitto ha già pronto. Tuttavia sono molti i ministri che dubitano sulla buona volontà di Tremonti: dice di essere disponibile ma prende tempo in attesa di vedere l’evoluzione della situazione (giudiziaria?). Insomma, che c’è molta aria fritta e nulla di concreto. «Ancora ciccia non c’è» commenta chi conosce Tremonti.

Comunque la cosa più importante era l’incontro in sé, l’immagine, far vedere che i due si parlano e che nonostante i sospetti di Berlusconi nei confronti di Tremonti c’è la voglia di dare ossigeno a questo governo. «I gufi saranno scontenti», avrebbe detto lo stesso Tremonti dopo il colloquio con il premier. Rimane il fatto che lo stesso ministro si sarebbe lamentato di non essere stato avvertito dell’articolo uscito sul Corsera dove Berlusconi proponeva un piano per lo sviluppo. Ancora più significativa l’avvertimento del responsabile dell’economia al suo interlocutore: pensare più alla politica che alle vicende giudiziarie.

Oggi sarà una giornata importante per capire quanto il governo sia in grado di pensare alla politica. Si voterà per rimandare ai pm di Milano le carte sulla base delle quali si vuole perquisire l’ufficio del tesoriere Spinelli. L’obiettivo è di raggiungere e magari superare la maggioranza assoluta: 316 voti, forse 317 con i nuovi arrivi dall’Mpa Misiti e Lettieri. Forse anche i Radicali voteranno con la maggioranza: questa è la speranza del Cavaliere. La maggioranza qualificata è la soglia non solo numerica ma psicologica che serve a Berlusconi.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Quirinale irritato per l'ultima forzatura
Inserito da: Admin - Febbraio 04, 2011, 06:03:54 pm
Politica

04/02/2011 - RETROSCENA

Il Quirinale irritato per l'ultima forzatura

Passa il diktat del Senatur: senza devolution si va a votare

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Andiamo a fare il golpe...». Sono le 19,30. Il ministro ha appena finito di votare contro la richiesta dei Pm milanesi di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli, il tesoriere di Berlusconi. Un voto che rafforza il premier che arriva a quota 316: maggioranza assoluta se avesse votato anche il Cavaliere (non lo ha fatto perché era una questione che lo riguardava). Scherza e sorride amaro il ministro mentre esce dalla Camera e si avvia verso Palazzo Chigi dove sta per iniziare il Cdm. Sa che verrà varato il decreto legislativo sul federalismo municipale, scatenando l’ira dell’opposizione, dopo il voto di parità espresso dalla bicamerale. Sa che questo provvedimento non piacerà al Quirinale, che il capo dello Stato avrà un problema a controfirmarlo. In effetti il malumore del Colle è forte. Il federalismo fiscale doveva essere un evento politico bipartisan e il ministro Calderoli aveva molto lavorato a questo obiettivo fino all’ultimo secondo utile. Ma nell’opposizione sono prevalsi motivi più politici che di merito (la testa di Berlusconi) e tutto è finito con il solito scontro all’arma bianca. E dire che fino a ieri tutti, il premier in testa, avevano apprezzato l’ennesimo appello di Napolitano ad uscire dalla «spirale insostenibile di contrapposizioni». Ora il presidente della Repubblica aspetta di vedere il testo del decreto legislativo, e i suoi collaboratori spiegano che c’è un problema di metodo e di procedure. C’è una questione non irrilevante e riguarda la valutazione del voto della bicamerale: è un voto negativo o non espresso? Il timore è che il decreto si configuri come un schiaffo al Parlamento.

Il nostro ministro che avvia verso Palazzo Chigi per fare «il golpe» e osserva che il capo dello Stato non può non firmare il decreto legislativo, ma sa che c’è un diktat posto dalla Lega durante il megavertice che si è svolto qualche ora prima a Palazzo Grazioli, presenti gli stati maggiori del Pdl e del Carroccio. Lì si è ragionato sul fatto che quello della bicamerale è solo un «non parere»: ha solo un valore consultivo. Ma come andare avanti? «Senza il federalismo fiscale si va a votare, ha tuonato Bossi. Bisogna escogitare una soluzione, altrimenti qui salta tutto. Si è quindi pensato al decreto legislativo. Berlusconi d’accordo. Calderoli, Maroni, Tremonti pure. Ha frenato Gianni Letta che aveva ricevuto una telefonata preoccupata dal Quirinale. Così il sottosegretario ha fatto presente il problema. Ma Bossi e i leghisti non sentono ragione. Berlusconi è infuriato con la composizione di questa bicameralina che era partita come bipartisan ma con l’esponente in quota Fini, cioè Baldassarri, che allora faceva parte della maggioranza. Poi però c’è stata la scissione del Pdl e Baldassarri è passato con il Fli.

Hanno fatto di tutto per convincere Baldassarri a votare a favore del testo sul federalismo municipale. Si era incontrato con Berlusconi e Calderoli e gli sarebbe stato concesso un miliardo per sgravi agli inquilini e le famiglie nella cedolare secca. E il finiano avrebbe promesso che si sarebbe astenuto. Ma poi è stato chiamato da Fini: o con me o con il Cavaliere. Si era mosso pure Bossi per convincere il presidente della Camera. Fini gli avrebbe risposto picche: «Se togli di mezzo Berlusconi ti voto tutto quello che vuoi, anche un presidente del Consiglio che mi indichi tu». Ma il Senatur ha osservato che il federalismo non è una cosa di Berlusconi, è la bandiera della Lega. E’ vero che ci sono problemi per via della vicenda giudiziaria del premier: per il momento Bossi rimane fermo in attesa di eventuali nuove rivelazioni dai Pm milanesi. Certamente la Lega non si farà trascinare nel gorgo, se le cose si mettessero male. Avendo nella manica la carta Tremonti o Maroni da giocare al momento opportuno. Intanto si va avanti: da qui il diktat del decreto legislativo. E non è finita se è vero al megavertice di ieri si sarebbe discusso di rimettere mano alla composizione della bicamerale in vista del federalismo regionale. Un riequilibrio a favore della maggioranza. Ma questo significa che il presidente del Senato Schifani dovrebbe togliere Baldassarri e metterci uno del Pdl. A quel punto il presidente della Camera Fini potrebbe dire: manca un rappresentante del Fli e ce ne metto uno mio scelto tra i deputati. Roba da far perdere la pazienza a Napolitano. Ancora una volta.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il sospetto di Berlusconi: "Una mossa politica per far ...
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2011, 09:45:23 am
Politica

05/02/2011 - IL CASO

Il sospetto di Berlusconi: "Una mossa politica per far sganciare Bossi"

E nuovo attacco ai pm: «Siamo una Repubblica giudiziaria»

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi è nero come pece per la lettera del Capo dello Stato. Arrivato a Bruxelles per un complicato vertice europeo, si è fermato con i giornalisti e si è scagliato contro i magistrati. «E’ una la vergogna, ormai siamo una Repubblica giudiziaria, commissariata dalle Procure». Ha ricordato di essere «il soggetto universale che si è difeso di più perché è stato di più attaccato da certa magistratura». Nessuno come lui «nella storia di nessun Paese al mondo...».

Poi il caso Ruby, «un attacco che riguarda il mio privato e quindi io non posso che condividere l’opinione che i sondaggi ci danno: l’ultimo mi dà al 51%: quindi sono il leader europeo più apprezzato dai suoi concittadini, il nostro partito è in crescita oltre il 30%». Ma prima di raggiungere i suoi colleghi europei ha risposto a una domanda sullo scontro con il Quirinale. «Problemi? Penso e spero di no». Passano tre ore è dal Colle ed è arrivata la botta. Il decreto legislativo sul federalismo municipale: «Irricevibile».

Tra Roma e Bruxelles i telefonini si sono fatti bollenti. Ha chiamato Gianni Letta che già si era sentito male quando ha letto sulle agenzie che il premier si era sfogato contro la Repubblica giudiziaria. Il sottosegretario già sentiva soffiare lo tsunami del Quirinale. Ha chiamato pure Bossi e gli ha consigliato «calma e nervi saldi». Lo stesso che aveva consigliato ai suoi durante la riunione in via Bellerio a Milano. «Dobbiamo soddisfare le richieste di Napolitano, seguire le procedure, qualche giorno in più non è un dramma», ha detto a denti stretti il Senatur nella veste del pompiere.

A Berlusconi ha raccomandato di non sbilanciarsi quando sarebbe uscito dal vertice europeo. E infatti, nonostante venisse diffusa integralmente la lettera di Napolitano con quel passaggio «governo scorretto», il Cavaliere si è quasi tappato la bocca quando è uscito da Justus Lipsius. Ha allargato le braccia e ha detto: «Ho già parlato stamattina. E’ un fatto procedurale, si andrà in Parlamento...». Minimizza in pubblico, ma quella lettera è una coltellata per Berlusconi che in fondo ha dovuto accettare il diktat di Bossi.

Il quale ha voluto l’accelerazione e il decreto legislativo a tamburo battente perché non poteva passare che la Lega tornasse a casa il fine settimana senza avere portato al popolo padano uno dei «pezzi pregiati» del federalismo fiscale. E allora buon viso a cattivo gioco. Sì perché Berlusconi si è sfogato contro Napolitano. Non ha detto «il solito comunista», ma poco ci è mancato. La mossa del Quirinale la considera come due dita negli occhi, quasi un atto di guerra. Ma non si può rispondere a muso duro. Tuttavia rimane un grande sospetto.

Perché l’ha fatto? Forse Napolitano sta provocando la Lega, pungola Bossi affinché stacchi la spina del governo per poi andare ad un nuovo governo con Tremonti, Maroni, Letta, comunque senza di lui? Oppure addirittura a elezioni (ipotesi meno gettonata) visto che il Pd sta continuando a chiedere di andare a votare e Bersani insiste con Bossi nel dire che non avrà il federalismo rimanendo incollati a Berlusconi? Sospetti, cattivi pensieri di chi comunque sostiene di essere forte in Parlamento, che presto la maggioranza arriverà a 320 deputati e magari oltre.

Si sente talmente forte da chiedere pure di modificare gli equilibri di quella maledetta Bicameralina che con il voto di parità lo ha costretto a fare il decreto legislativo. «Ricordo che per fair play non avevamo provveduto a sostituire l’uomo di Fli, che invece era da sostituire perché le commissioni devono rappresentare quello che è il Parlamento». Sospetti e sicurezza di poter spezzare le ossa ai suoi nemici, a cominciare da Fini («ho un sondaggio che dà il Fli a Milano (dove si vota per il sindaco ndr) allo 0,9%»).

Se lo possono togliere tutti dalla testa un suo passo indietro. L’altra sera ai deputati «Responsabili» ha detto: «In queste condizioni me ne andrei domani mattina per la mia serenità. Ma non posso farlo perché la maggioranza dell’elettorato è con me e perché io ho una dignità da difendere per la mia famiglia e il mio nome». Ieri sera, in collegamento telefonico con una festa del Pdl, l’ha ribadito: «Contro di me attacchi di una violenza inaudita ma andrò avanti, questi processi farsa saranno un boomerang», «io resto al mio posto, stiamo governando bene. A questo governo non ci sono alternative».

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Cavaliere: siamo alla mossa del golpe (SIC)
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2011, 11:03:02 am
Politica

09/02/2011 - RETROSCENA

Il Cavaliere: siamo alla mossa del golpe

«Non è uno stato di diritto». E si blinda con Bossi e i responsabili

AMEDEO LA MATTINA

Questo non è più uno Stato di diritto. E’ una Repubblica giudiziaria. C’è in atto un golpe di una parte della magistratura». Berlusconi alterna stati di depressione a voglia di combattere fino in fondo contro «una aggressione giudiziaria che non ha precedenti nella storia». Calpestando, come dice il deputato-avvocato Ghedini, «le norme costituzionali». Il premier non butta la spugna proprio ora che si rafforza in Parlamento con il nuovo gruppo dei Responsabili, disomogeneo e raccogliticcio quanto si vuole ma utile a blindare il suo governo e a ritrovare in alcune commissioni quella maggioranza perduta con la scissione del Fli. Il Cavaliere si blinda e si barrica nel bunker antiatomico. E muove le truppe parlamentari nel tentativo di far passare il processo breve prima in commissione giustizia e poi in aula. Concorda la linea di difesa con l’avvocato di Emilio Fede (anche lui implicato nel caso Ruby e ragazze varie), Gaetano Pecorella che è andato a trovarlo ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli. Sostiene che il Tribunale di Milano non è competente. Punta a sollevare il conflitto di attribuzione contro i Pm di Milano che hanno chiesto il rito immediato per il reato di concussione e prostituzione minorile. Il problema è che Berlusconi non dispone della maggioranza nell’ufficio di presidenza della Camera, l’organo che potrebbe essere chiamato a decidere. Difficile che qui passi vista l’aperta ostilità di Fini. Tuttavia non è escluso che il premier intenda insistere lo stesso anche per mettere “fuori gioco” il presidente della Camera.

C’è chi lo consiglia di non esacerbare gli animi, di evitare denunce per attentato a un organo dello Stato (il governo), di mandare ispezioni al Tribunale di Milano. Nessuno gli toglie dalla testa che ci sia un piano preordinato per distruggerlo, ora che si aggiungono pure le intercettazioni di escort che arrivano dalla Procura di Napoli. E intanto l’11 marzo riprenderà il processo Mills in cui Berlusconi è imputato per corruzione. E’ pure convinto che tutto finirà con un buco nell’acqua. «Non ci sono riusciti finora e non ci riusciranno nemmeno questa volta», ripete a tutti quelli che ieri sono andati a trovarlo. Ieri ha messo un po’ la testa al Cdm di oggi sui provvedimenti economici che gli serve per rilanciare l’azione politica, per oscurare mediaticamente le mosse dei Pm milanesi e la marea di intercettazioni napoletane. Ma gran parte della giornata lo ha dedicata ai suoi avvocati Ghedini-Longo e il ministro Alfano.

Si difende in tutti i modi. Ieri è ritornata a circolare l’idea della mobilitazione di piazza, ancora una volta accantonata, ma sempre pronta. Forse oggi verrà convocato l’ufficio di presidenza del Pdl per scrivere un documento durissimo contro i magistrati. Un’iniziativa politica per proteggere a spada tratta il capo e rilanciare sulla riforma della giustizia. Nulla viene lasciato al caso, nemmeno i rapporti con il Vaticano. Nei giorni scorsi ci sarebbe stato un colloquio tra Gianni Letta e il cardinale Tarcisio Bertone. Il sottosegretario lo ha rassicurato che non c’è nulla di veramente preoccupante nelle carte in mano ai pm: non ci sono prove concrete e schiaccianti; tutto si risolverà in una bolla di sapone. Presso la Segretaria di Stato vaticana spiegano che in effetti la situazione non è ancora chiara e questo rende prudenti i media che rispondono direttamente al Vaticano.

Berlusconi alza il muro attorno a sè e non ha dubbi sulla lealtà di Bossi, sul fatto che si potrà procedere sul doppio binario federalismo fiscale-riforma della giustizia (processo breve). Screzi non ne mancano con i leghisti su come è stata gestita la vicenda del decreto legislativo sul federalismo municipale. Non ci sono conferme, anzi solo smentite, anche su uno scontro l’altra sera a Villa San Martino con Tremonti che continua a non rendere disponibili le risorse per il piano di sviluppo.

da lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Pdl mette l'elmetto "Ora siamo in guerra"
Inserito da: Admin - Febbraio 10, 2011, 03:24:47 pm
Politica

10/02/2011 - SCONTRO FINALE

Il Pdl mette l'elmetto "Ora siamo in guerra"

Oggi il premier al Quirinale. Ma Napolitano: nessun faccia a faccia

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Siamo in guerra contro una magistratura che si muove come un’avanguardia rivoluzionaria, una nave spaccaghiaccio per consentire alla sinistra di prendere il potere, ma noi non lo consentiremo. Se non teniamo duro qui non si salva nessuno, ora hanno cominciato a buttare fango pure su mia figlia Marina e sulla mia famiglia. E’ scandaloso! Dobbiamo reagire con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione». L’urlo del Cavaliere è forte, tanto forte da tradire il panico che si è diffuso nella maggioranza e nel governo. Chi lo ha incontrato ieri ha visto Berlusconi stanco, frustrato, ma non intenzionato ad abbassare la guardia.

Anzi, reagirà colpo su colpo, a cominciare dalla decisione di sollevare il conflitto di attribuzione una volta che il gip di Milano avrà deciso sul giudizio immediato chiesto dai Pm. Se il conflitto di attribuzione non verrà sollevato dalla Camera perché nell’ufficio di presidenza Fini lo impedirà, allora sarà l’esecutivo a fare questa mossa. Quanto al giro di vite sulle intercettazioni, non ci sarebbe un decreto ma un disegno di legge da approvare i tempi rapidi. All’ufficio di presidenza del Pdl si è parlato di una denuncia per attentato alla Costituzione, ad un organo dello Stato da parte dei pm milanesi: l’ipotesi per il momento è accantonata.

Un fuoco di sbarramento senza precedenti da parte del premier. E’ chiaro, c’è scritto nel documento del partito, che «la Procura di Milano appare ormai come una sorta di avanguardia politica rivoluzionaria, in sfregio al popolo sovrano ed ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato senza clamori e spesso con grandi sacrifici. Essa agisce come un vero e proprio partito politico calibrando la tempistica delle sue iniziative in base al potenziale mediatico». Infatti, viene fatto notare, la richiesta di giudizio immediato è stata annunciata in concomitanza con l’annunciato Consiglio dei ministri per il rilancio dell’economia. Anche l’invito a comparire è stato notificato all’indomani di «una sentenza della Corte Costituzionale che avrebbe potuto contribuire al ripristino di un equilibrio fra poteri dello Stato». Per Berlusconi la verità è che non si vuole la collaborazione tra le istituzioni, con buona pace del capo dello Stato.

Proprio con Napolitano oggi il premier avrebbe voluto avere un colloquio a due per trattare queste convulsioni. Ma dal Quirinale fanno subito sapere che non risulta al momento un incontro a quatt’occhi con il presidente del Consiglio. Altra cosa è invece la tradizionale cerimonia di commemorazione delle vittime delle foibe, la Giornata del Ricordo: il protocollo prevede anche la presenza del premier. Ma non è scontata. Trapela imbarazzo dal Colle che segue con apprensione e sbigottimento l’avvitamento dello scontro tra governo e magistrati. Se c’è una cosa che Napolitano non vuole è trovarsi come Scalfaro nel ‘94. Una data pericolosamente evocata nel documento del Pdl dove si dice che dovranno essere avviare iniziative politiche e parlamentari per difendere i cittadini e «scongiurare un nuovo 1994 o, ancor peggio, che a determinare le sorti dell’Italia sia una sentenza giudiziaria e non il libero voto dei cittadini».

Il partito e i ministri si stringono attorno al capo «vittima da 17 anni di una persecuzione che non ha precedenti nella storia dell’Occidente». J’accuse pesantissimo contro «la decisione della Procura di Milano di procedere alla richiesta di giudizio immediato, nonostante la restituzione degli atti da parte della Camera per manifesta incompetenza, denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche e disattende gravemente il principio di leale collaborazione fra poteri dello Stato». Ancora un riferimento alle parole dette da Napolitano in passato: un modo per dire al Quirinale di non mettere i bastoni tra le ruote, perchè c’è una guerra in corso. E mentre l’incendio divampava a via dell’Umiltà, sede del Pdl, Bossi stava al Quirinale. Sembra che non sia stato fatto cenno alla furia del Cavaliere. Eppure poche ore prima dell’incontro con Napolitano, lo stesso Bossi aveva detto che i pm di Milano non rispondano più a niente e nessuno. E che la decisione dei pm «significa di andare alla guerra di tutti contro tutti». Forse il colloquio al Quirinale è servito a evitare il decreto sulle intercettazioni e la denuncia per attentato alla Costituzione, ma non tutto il resto. E’ un Bossi nella doppia veste di incendiario e pompiere di fronte a una battaglia ove, come dice Osvaldo Napoli, «non c’è spazio per nessuna tregua. Oggi applaudono i carnefici di Berlusconi, ignorando che saranno un giorno i loro stessi carnefici». Si vorrebbe un Colle silente, un capo dello Stato che giri la testa dall’altra parte mentre Berlusconi parla di «attività eversiva», di un ordine giudiziario divenuto «potere irresponsabile».

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L'avviso del premier "Sulla giustizia non tratto"
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2011, 10:28:51 pm
Politica

11/02/2011 - RETROSCENA

L'avviso del premier "Sulla giustizia non tratto"

Sarà il governo a chiedere il conflitto di competenza con Milano

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Una volta che il gip avrà deciso, sarà il governo a sollevare davanti alla Corte Costituzionale il conflitto di competenza: il processo sul caso Ruby non può svolgersi presso il Tribunale di Milano come vogliono i pm.
La decisione sarebbe stata presa da Berlusconi con i suoi avvocati Longo e Ghedini nella convinzione che il gip darà ragione a Bruti Liberati e alla Boccassini. La tesi su cui insiste il premier è di avere telefonato in Questura perché preoccupato che scoppiasse un incidente diplomatico con l’Egitto, avendo creduto che la ragazza marocchina fosse veramente la nipote di Mubarak.

Tesi poco credibile, ma è questa la linea di difesa-attacco che adotterebbe il governo per portare il processo davanti al Tribunale dei ministri, farlo ricominciare da zero, annullando tutto quello che i pm hanno in mano. L’escamotage serve a superare la difficoltà di far passare il conflitto di competenza nell’ufficio di presidenza della Camera. Fini è totalmente contrario. Allora sarà l’esecutivo a fare la mossa dirompente, a prendersi la responsabilità di innescare un conflitto istituzionale dall’esito non prevedibile.

Berlusconi non sente ragioni, nonostante che non manchino le perplessità dentro la maggioranza e tra alcuni ministri. Non sono ammessi dubbi, perplessità, incertezze nei confronti di un «golpe» seppure «morale», come ha detto Berlusconi nell’intervista a Giuliano Ferrara. Ieri il direttore-consigliere del Foglio è stato a Palazzo Grazioli per dare la carica contro i «moralisti e puritani» che puzzano di totalitarismo. Non c’era solo lui al Palazzo.

Una processione di “amici”: il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, e quello di Studio Aperto, Giovanni Toti; i direttori di «Videonews» e di «Chi», Claudio Brachino e Alfonso Signorini. Si è parlato di strategia della comunicazione: un’offensiva mediatica che deve passare pure attraverso il Tg4 rinnovato e con un nuovo uomo alla guida. Emilio Fede è in uscita colpito e “screditato” dall’inchiesta sul bunga bunga. Circola la voce che Fede non intenda lasciare il Tg4 perché non è soddisfatto della buonuscita che gli sarebbe stata offerta (sembra 10 milioni di euro).

Un accordo si troverà tra vecchi amici e allora sulla rampa di lancio del telegiornale salgono le quotazioni di Brachino, scendono quelle di Salvo Sottile. L’offensiva berlusconiana è un missile con diverse testate nucleari. E’ stata messa in cantiere la denuncia alla Corte europea dei diritti dell'uomo, proposta da Franco Frattini: «come fece Craxi ed ebbe ragione», spiega il ministro degli Esteri. L’altra partita che il Cavaliere vuole giocare è tutta parlamentare grazie ai numeri che alla Camera stanno crescendo: da 316 è sicuro di passare presto a 319.

Giocando su quella che definisce «lo sfascio del Fli dove coloro che si sono dimessi da ministro e sottosegretario si lamentano perché loro hanno perso un posto prestigioso mentre Fini rimane alla presidenza della Camera». Il fronte parlamentare è un siluro che arriva fino al Quirinale. Il premier non farà decreti ma porterà avanti quei provvedimenti che sono già all’esame delle aule o delle commissioni come il processo breve, il giro di vite alle intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati.

In canna anche la modifica dell’articolo 68 della Costituzione non per reintrodurre semplicemente l’immunità parlamentare ma per sospendere le indagini e i processi fino alla scadenza del mandato parlamentare. La nuova norma è contenuta in una proposta di legge depositata il 2 febbraio alla Camera da 101 parlamentari del Pdl. Ma si tratta di una modifica costituzionale dai tempi lunghi. Berlusconi invece ha fretta: per questo del suo particolare piano di riforma della giustizia ne vuole parlare con il capo dello Stato, questo pomeriggio.

Lo vuole informare, metterlo sull’avviso: Napolitano non potrà più dire di non aver saputo e fermare tutto, come ha fatto con il decreto legislativo sul federalismo municipale. Dietro le facce feroci berlusconiane e le dichiarazioni draconiane, nel bunker ci sono tanti dubbi e paure tremende, quella ad esempio di finire tutti in un gorgo.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Sono perseguitato: mi vogliono portare via tutto, anche le...
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2011, 10:48:28 pm
Politica

12/02/2011 - RETROSCENA

Ma il Cavaliere tira dritto e pensa anche alla piazza

«Sono perseguitato: mi vogliono portare via tutto, anche le aziende»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Berlusconi tira dritto. Quello che doveva dire a Napolitano lo ha detto in maniera chiara e netta. Di fronte ad una partita truccata, con i magistrati che giocano sporco e violano la Costituzione e le leggi può succedere di tutto. Non escluso iniziative di piazza. E’ andata male, molto male l’incontro di ieri al Quirinale. La giornata non era cominciata bene per Berlusconi quando ha letto i giornali che riportavano alcune indiscrezioni del Quirinale: il capo dello Stato avrebbe voluto annullare l’incontro dopo aver letto l’anticipazione dell’intervista al Foglio con quelle frasi sull’Italia come la Ddr comunista, il golpe bianco e che l’unico suo giudice è il popolo elettore.

Per tutta risposta Napolitano, dopo avere incontrato il vicepresidente del Csm Vietti, ha espresso concetti diametralmente opposti, indicando nella Costituzione e nelle leggi tutto ciò che serve per far valere la giustizia e la legalità. Insomma un modo per ricordare ciò che lo stesso presidente della Repubblica aveva detto al Cavaliere: si presenti dai giudici e faccia valere la sua difesa. Con queste premesse non poteva finire bene l’incontro del pomeriggio dove Berlusconi si è presentato nel ruolo della vittima («sono perseguitato da quando sono sceso in politica») e il capo dello Stato a consigliare cautela.

Fino al punto di avergli ricordato che se lo scontro è diventato così duro la colpa è anche sua perché lo ha radicalizzato. Un’accusa che il presidente del Consiglio non accetta, sottolineando che è suo obbligo difendere non solo e non tantola sua persona, ma l’istituzione che rappresenta, il voto popolare che gli ha dato un mandato.Il premier ha spiegato di non voler creare alcun conflitto istituzionale, ma deve potere governare senza condizionamenti e pressioni della magistratura, di un altro organo dello Stato che ha violato le leggi e la Costituzione perché i Pm non sono competenti sul caso Ruby.

E nonostante ci sia stato un voto della Camera che ritiene essere il caso di competenza del Tribunale dei ministri, i Pm continuano come se nulla fosse. A questo punto, ha osservato Berlusconi, non mi resta che sollevare il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale e andare avanti con le riforme della giustizia, ma non a colpi di decretazione d’urgenza come era sembrato in un primo momento durante l’ufficio di presidenza del Pdl dell’altra sera. «C’è stato un equivoco», ha spiegato il Cavaliere che ha sottolineato più volte il fatto di essere perseguitato, di essere totalmente estraneo alle accuse che gli sono state mosse.

Ecco perché ha sottolineato la necessità di difendersi e di eliminare lo «scandalo delle intercettazioni». «Sono ingiustamente aggredito da quando sono sceso in politica e questa aggressione mi è costata tantissimo. Sono sulla bocca di tutti, sono l’uomo dei festini...». Napolitano ha più volte consigliato cautela, cercando un ampio dibattito su temi così delicati per la vita del Paese. Ricordando, soprattutto, che ci sono sentenze della Corte Costituzionale che hanno già annullato certe leggi.

Insomma, è meglio evitare di assistere scontri all’arma bianca come è successo nel passato proprio con i giudici costituzionali. Il Colle è molto preoccupato per il clima di tensione che c’è nel Paese, dello scontro permanente tra le istituzioni, facendo capite che non è opportuno sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta. L’atteggiamento di Napolitano è stato interpretato a Palazzo Chigi e nel Pdl come un volersi schierare dalla parte dei pm, smarcarsi dal problema posto da Berlusconi, che vuole tirare dritto senza ascoltare i consigli del Quirinale.

Una sorta di «me ne frego» che prospetta il peggio. Se fosse un arbitro vero, dicono i berlusconiani, Napolitano potrebbe intervenire certo non pubblicamente ma far trapelare attraverso il Csm la preoccupazione di un pronunciamento del gip di Milano nella direzione voluta dai pm. E questo dopo che un ramo del Parlamento sostiene con un voto a maggioranza che il Tribunale di Milano non è competente. Ora, se prima Berlusconi aveva qualche remora e la necessità di coinvolgere nell’attività legislativa in modo preventivo il Quirinale, cambia tutto.

Anche perché, come avrebbe detto il premier nei suoi colloqui privati, qui non solo vogliono farmi dimettere ma togliergli tutto, tutto quello che ho: pure le aziende. Attenzione, avrebbe detto Berlusconi allo stesso Napolitano, che c’è il rischio che la situazione sfugga a tutti di mano e che possano verificarsi situazioni spiacevoli anche nelle piazze.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi gongola "Ora tutti in piazza"
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2011, 04:58:18 pm
Politica

18/02/2011 - GOVERNO TRA INCHIESTE E POLEMICHE

Berlusconi gongola "Ora tutti in piazza"

«Fini? È un fallito».

Il premier pensa a una manifestazione il 26 marzo


AMEDEO LA MATTINA

«E’ un disperato, un fallito, uno che ha perso la testa ora che i suoi gruppi parlamentari si stanno sbriciolando e il suo pseudo progetto politico è fallito. Più mi attacca e più io mi rafforzo. Casini dovrà riflettere sul compagno di strada che si è scelto». Berlusconi è uscito dal bunker (così almeno lui crede) in cui i pm milanesi lo aveva costretto a rinchiudersi. E ora ride delle «disgrazie» di Gianfranco Fini e punta tutte le sue potenzialità ad allargare la maggioranza e a rendere «improcedibile» il processo sul caso Ruby su cui si stanno lambiccando il cervello i suoi avvocati. Intanto entro la prossima settimana saranno 5 i nuovi deputati che si aggiungeranno al centrodestra e il gruppo dei Responsabili potrebbe arrivare a quota 29 anche con prestiti del Pdl. L’operazione «spacca le ossa a Futuro e Liberà» sta procedendo a ritmi serrati anche al Senato. L’obiettivo è sempre lo stesso: ritrovare la maggioranza nella bicamerale, dove dovrà passare il federalismo regionale, e nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. Qui, nell’aula di Montecitorio, arriverà presto il processo breve, forse senza quelle norme transitorie che non piacciano al capo dello Stato perché retroattive. Il premier con questa mossa potrebbe dire che non è un provvedimento ad personam e non riguarda i suoi processi Mills e Mediaset.

Una volta allargata la maggioranza, il Cavaliere procederà alle nomine del nuovo ministro delle politiche europee e dei sottosegretari. In prima fila i Responsabili che scalpitano, «ma devono stare calmi, prendere un po’ di valeriana», spiegano i berlusconiani. Prima bisogna mettere tutti i tasselli al loro posto, dimostrare a Bossi che i numeri ci sono sia in aula che nelle commissioni. La manovra diversiva è forte, potente, dopo avere incassato pure il sostegno del ministro Tremonti sul piano di sviluppo economico (bisognerà vedere quanto concreto in termini di risorse finanziarie). Ma Berlusconi vuole dimostrare al Quirinale che il governo sta lavorando e di «non essere ossessionato dalla giustizia». In questo modo, aggiungono a Palazzo Grazioli, Napolitano non può più pensare di sciogliere il Parlamento. E a marzo tutti in piazza. La prima settimana, forse addirittura l’8 marzo, a marciare saranno donne del Pdl. Poi il 26 appuntamento a Roma: un milione di persone per sostenere il governo, per esprimere solidarietà a Berlusconi, senza forzare i toni contro i magistrati. Cosa molto difficile da evitare visto che la data è a ridosso del processo sulle ragazze. Il 26 marzo sarà pure l’occasione per aprire la campagna elettorale delle amministrative e presentare i candidati a sindaco. La data ha un significato simbolico: 17 anni fa, il 27 e 28 marzo del 1994, Berlusconi vinse le elezioni per la prima volta (si è deciso per il 26 perché cade di sabato).

E’ tutto fatto per dimostrare che il capo è uscito dal bunker e va in piazza con il suo popolo acclamante. «Altro che spacciato - sostiene Berlusconi - come scrive ogni giorno La Repubblica e un’opposizione allo sbando. Sono loro, a cominciare da Fini ad essere spacciati. Si fanno forti dietro i loro amici magistrati, ma io ho la pelle dura». Il premier è convinto che il Fli è destinato a scomparire, «un ectoplasma», mentre il Pd litiga su tutto, ora sono avvitati sulla candidatura alla premiership della Bindi. Ieri inoltre è scoppiata la grana con Di Pietro e i dipietristi che in commissione Giustizia hanno votato con la Lega e il Pdl sul divieto del rito abbreviato nei processi per ergastolo.

Intanto Casini frena sulla Santa Alleanza con la sinistra perchè ha capito che così il Cavaliere resuscita, rischiando di perdere altri pezzi per strada. Come sta accadendo a Fini. Il leader Udc inoltre non vuole suscitare l’irritazione del Vaticano dove oggi Berlusconi andrà a celebrare l’anniversario dei Patti Lateranensi (oltre a Letta ci sarà il pupillo Alfano). Un po’ di freddezza c’è da parte dei vescovi e cardinali. Nessun colloquio privato, solo incontri tra delegazioni: un po’ di imbarazzo dopo il caso Ruby c’è, ma niente di irreparabile.

DA - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. SILVIO: il Colle mi ostacola mentre mi rafforzo... (sic)
Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2011, 05:28:37 pm
Politica

23/02/2011 - RETROSCENA

Disappunto del premier: il Colle mi ostacola mentre mi rafforzo

Ma le colombe spingono il Cavaliere a non accentuare le frizioni con il Quirinale

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi non l’ha presa bene. E’ convinto che Napolitano continui a mettergli «i bastoni tra le ruote proprio ora che la maggioranza cresce e il Fli si è polverizzato». Era salito al Colle per parlare delle drammatiche vicende libiche e su come affrontare l’emergenza migrazione che potrà abbattersi sulle nostre coste. Ma si è trovato di fronte un Capo dello Stato freddo e irritato su un’altra questione, quella del decreto Milleproroghe: un provvedimento-mostro, una salsiccia indigeribile in cui è stato infilato tutto e il contrario di tutto. Il premier ha finto di dare ragione a Napolitano («capisco, capisco...») che nella lunga e dettagliata nota del Quirinale ha voluto sottolineare apposta le parole di condivisione del suo interlocutore, a scanso di equivoci: per evitare cioè interpretazioni diverse una volta rientrato a Palazzo Chigi. Per evitare, in sostanza, che il Cavaliere possa prendere le distanze e costringere il Quirinale a fare un altro comunicato il giorno dopo.

Tutto deve essere chiaro, messo nero su bianco, senza possibili equivoci. Non è dato sapere se il premier, oltre quel «capisco e condivido», abbia spiegato che il pasticcio è stato fatto al Senato e dal ministro dell’Economia Tremonti. Ora comunque la patata bollente ce l’ha lui, con le colombe che lo spingono a evitare frizioni con Napolitano e lo invitano a procedere allo spacchettamento. In altre parole fare un altro decreto nel quale inserire le parti oggetto delle contestazioni presidenziali. Il problema è che i tempi sono risicatissimi (il decreto Milleproroghe scade il 27 febbraio) e l’opposizione è pronta all’ostruzionismo.

Comunque, rimane agli atti che Berlusconi è d’accordo con Napolitano, ma non gli ha detto quello che pensa e come l’ha presa veramente. E’ anche il resto che lo preoccupa, quel richiamo del Capo dello Stato all’uso eccessivo dei decreti, della fiducia, a una serie di ultimatum all'esecutivo. «D’ora in avanti, di fronte a casi analoghi - dice il Presidente - non potrò rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio». E’ considerato un avvertimento, un modo per mettere sabbia nel motore del governo, un messaggio che va oltre la questione in sé del Milleproroghe e che riguarda le riforme della giustizia. Al Quirinale si guardano bene dal mescolare temi e vicende diversi: viene sottolineato il comportamento lineare e coerente di Napolitano. Anche sul versante della giustizia ognuno fa la sua parte e se ne assume la responsabilità. Non sfugge però che dentro la maggioranza ci sia una dialettica su cosa fare, su quali provvedimenti portare in Consiglio dei ministri. Il ministro Alfano si è collocato sul versante moderato. Bossi ha detto no all’immunità e ha frenato sul processo breve. Sembra che gli avvocati-deputati stiano trovando una soluzione legislativa sulla prescrizione deiprocessi del Cavaliere che non sembra disposto a trattare sulla giustizia. Le colombe consigliano prudenzaper non irritare il Quirinale. Nella maggioranza tuttavia un po’ tutti notano la strana coincidenza di un Capo dello Stato che solleva questioni così spinose sul Mille proroghe nel giorno in cui il centrodestra cresce nei numeri e i gruppi di Fini si stanno sciogliendo come neve al sole. Non solo. Berlusconi si chiede perché questo intervento arrivi proprio ora, dopo venti giorni dal voto del Senato e a tre giorni dalla scadenza. Tenuto conto, osservano alcuni parlamentari, che nell’iter a Palazzo Madama il Colle ha avuto la sua «piccola vedetta» che ha seguito i lavori e l’evolversi del provvedimento.

Insomma, rimane il gelo tra Palazzo Chigi e il Colle, le diffidenze e i retropensieri. La maggioranza regge. Anche la Lega regge nonostante dentro il Carroccio le posizioni di Maroni sono sempre più lontane da quelle di Bossi che non vuole staccare la spina, ma nota il crescente isolamento del governo rispetto alle altre istituzioni. Berlusconi allora deve allargare al massimo la sua maggioranza e arrivare, come chiedono i leghisti, a quota 330. E’ questo l’unico modo per evitare l’impasse nelle commissioni e consolidare i numeri in Aula. Su questo versante tutto sembra filare per il meglio. Il Cavaliere vede il suo acerrimo nemico Fini nella polvere, ma il terremoto politico in Libia e i «continui bastoni tra le ruote» del Presidente della Repubblica lo hanno messo di cattivo umore. Ora deve pure vedersela con Tremonti che non è d’accordo sullo spacchettamento del Milleproroghe. Forse dovrà intervenire lo stesso Bossi per convincerlo che questo s’ha da fare perché già i problemi con il Quirinale sono tanti.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. "È la carta decisiva", il delfino Angelino alla prova finale
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2011, 06:27:42 pm
Politica

10/03/2011 - PERSONAGGIO

"È la carta decisiva", il delfino Angelino alla prova finale

Parte una lunga campagna elettorale (anche per il ministro)

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il delfino che avanza ha sgombrato il campo dalle norme ad personam, ha indorato la pillola amara delle riforme costituzionali della giustizia che ieri ha illustrato al capo dello Stato. Una missione quella del ministro Angelino Alfano che, a suo dire, è andata a buon fine («il Presidente della Repubblica è stato cordialissimo, ineccepibile sotto il profilo istituzionale»). E che si sarebbe conclusa in serata a Palazzo Grazioli con la scelta di far presiedere dal capo dello Stato i due Csm previsti dalla bozza del governo.

Una scelta che dovrebbe essere ratificata oggi dal Consiglio dei ministri (tranne sorprese dell’ultima ora) per dare il segnale di una riforma non punitiva. La logica politica è infatti di smussare tutti gli angoli e trovare una sponda alleata nel presidente della Repubblica. Regista della mediazione è sempre Alfano. Il quale, dopo la visita al Colle, è sceso a Montecitorio per parlare con i Responsabili, i deputati del nuovo gruppo parlamentare che mantengono in vita il Cavaliere e che presto saranno ricompensati. Oltre a Saverio Romano Romano all’Agricoltura, le poltrone dei due viceministri al dicastero dell’Attività produttive potrebbero andare all’ex Pd Calearo e all’ex Udc Pionati. Il Guardasigilli ha fatto un discorso di prospettiva politica, di mobilitazione a sostegno della riforma costituzionale che dovrà affrontare le forche caudine del lungo passaggio parlamentare e le barricate della magistratura e dell’opposizione.

Si punta però ad ottenere i voti del Terzo Polo, quantomeno dell’Udc, e si guarda con ottimismo all’eventuale referendum. Ecco perchè la riforma deve essere aperta, ben spiegata agli italiani che devono percepirla come una necessità assoluta e non come la volontà di punire i magistrati che lo perseguitano. Alfano si è presentato ai Responsabili non solo in una veste tecnica, del ministro che spiega una «riforma epocale». Ha parlato da leader politico che chiama i nuovi arrivati nella maggioranza alla mobilitazione. Ha fatto capire che questo non è il momento di innervosirsi, di litigare tra chi deve entrare nel governo (e nervosismo ce n’è tanta in giro), ma di giocarsi tutti insieme una «importante carta politica».

La riforma della giustizia, ha spiegato, è uno degli obiettivi primari del centrodestra fin dal ‘94. E quella che è andata ad illustrare a Napolitano (il giorno prima del cdm, «per portare l’ultima l’ultima versione del testo, non per sgarbo») recepisce molti spunti della riforma concepita nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. «Non è una riforma blindata. Il capo dello Stato ci invita al confronto e noi lo faremo», ha precisato. Nel pomeriggio però Berlusconi ha ragionato in maniera più affilata. Intanto non ha escluso che ci possa essere qualche provvedimento destinato ad incidere sulla prescizione dei suoi processi, ma questa è ancora una carta coperta: se e quando verrà tirata fuori, farebbe saltare tutto il castello delle buone intenzioni. Comunque, per il Cavaliere questa è la volta buona: «Riusciremo a modificare l’ordinamento giudiziario.

Ci hanno provato in tanti ma noi ci riusciremo. Saranno possibili modifiche nel corso della doppia lettura, ma non accetteremo che vengano messi bastoni tra le ruote fino a bloccare una riforma sacrosanta». Alfano, durante l’incontro con i Responsabili, ha detto che da oggi comincia una lunga campagna elettorale: le riforme della giustizia, insieme a quelle per lo sviluppo e l’economia, porteranno il governo alla fine della legislatura, fino al 2013. E questo è molto rassicurante per chi ha fatto il salto della quaglia. Alla fine ci sarà un doppio sbocco nelle urne: elezioni politiche e referendum confermativo delle riforme costituzionali. «Bisogna vincerle entrambi», ha spiegato il Guardasigilli, per il quale potrebbe aprirsi la strada della successione.

DA - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Cavaliere promette a Bossi che batterà i pugni in Europa
Inserito da: Admin - Marzo 22, 2011, 10:25:33 pm
Politica

22/03/2011 - LIBIA LE SPINE DEL GOVERNO

Il Cavaliere promette a Bossi che batterà i pugni in Europa

"Non potevamo star fuori, ma ho l’impressione che non ne trarremo vantaggi"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il timore di Berlusconi e di Bossi è uscire con le ossa rotte dalla "guerra anarchica" in Libia. Francia e Gran Bretagna fanno di testa loro, andando oltre la risoluzione Onu e puntando al petrolio libico che finora è stato appannaggio italiano. E intanto sulle nostre coste continuano a sbarcare ogni giorno centinaia di migranti e questo per la Lega è un’immagine devastante: il più amaro fallimento della politica di contrasto all’immigrazione clandestina. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che siamo in piena campagna elettorale per le amministrative e che ogni partito della maggioranza pensa al bottino dei voti. E allora Bossi si è infuriato non tanto con Berlusconi (sa che il Cavaliere sarebbe voluto rimanere defilato da questo conflitto armato) quanto con quei ministri che hanno gestito le trattative diplomatiche e militari.

Ditone puntato contro La Russa e Frattini come se i ministri della Difesa e degli Esteri si fossero mossi con un eccesso di protagonismo nella disattenzione del premier occupato in altre vicende (i processi di Milano e il rimpasto di governo). Cosa che ovviamente non è vera, sostengono chi lavora accanto a Berlusconi. Il quale ieri si è sentito dire dal leghista Calderoli che bisognava trattare meglio l’uso delle nostre basi militari: noi apriamo le piste di Trapani Birgi, Gioia del Colle e Decimomannu ma i maghrebini che arrivano devono essere divisi tra i Paesi europei. Ma Bossi qualche appunto diretto ce l’avrebbe da fare al suo amico Silvio, ma non glielo dice in faccia: pensa che il Cavaliere abbia gestito male la sua presenza al vertice parigino dell’altro giorno, quando è stato escluso dalla riunione ristretta tra Sarkozy, Cameron e la signora Clinton. Quella era l'occasione per mettere le cose in chiaro. La Lega è veramente sul piede di guerra. Ha minacciato di non votare più il rifinanziamento delle missioni militari e nello stesso Pdl non mancano fortissime perplessità. Al Consiglio dei ministri Brunetta ha detto che non è il caso di sprecare altri soldi che vanno invece concentrati su missioni più serie e che già ci costano un occhio della testa, «nonostante Tremonti...».

Berlusconi ha chiesto al suo alleato Bossi e alla sua maggioranza di tenere i nervi saldi, di non enfatizzare le divisioni dando all’opposizione il destro per attaccare il governo. «Non era possibile tenersi fuori da questo intervento militare e dai nostri impegni internazionali», ha spiegato a Bossi durante il volo che li portava da Milano a Roma. Anche se il premier è preso da mille dubbi: «Da tutto questo ho l'impressione che l'Italia non ne trarrà alcun vantaggio...». Anzi, c'è il rischio che nei pozzi petroliferi l’Eni venga sostituita dalla francese Total, che Sarkozy e Cameron sviluppino quella che negli ambienti di Palazzo Chigi viene definita «una politica neocoloniale» che porterà l'Italia ad essere espulsa da quell’importante quadrante geopolitico proiettato verso il resto dell'Africa.

Berlusconi sa che ci sono in ballo interessi enormi in questa guerra libica che sta procedendo in ordine sparso e che tanti problemi gli sta creando nella maggioranza. Ora cercherà disperatamente di porvi rimedio. Venerdì a Bruxelles al Consiglio europeo alzerà la voce, batterà i pugni sul tavolo; guarderà negli occhi gli inquilini dell'Eliseo e Downing Street colpevoli a suo avviso di essere andati oltre la risoluzione Onu; chiederà con forza ultimativa che l’Europa si faccia veramente carico dei profughi che stanno inondando l’Italia e che le operazioni militari passino subito sotto il controllo della Nato. Questo, almeno, è quello che ha promesso a Bossi. Venerdì a Bruxelles vedremo se il premier italiano si farà sentire e rientrerà nel grande gioco da protagonista.

Intanto qui a Roma Pdl, Lega e Responsabili stanno cercando di mettere a punto una mozione parlamentare comune che formalizzi il sostegno del Parlamento all’azione militare. Ma la Lega vuole che sia un documento di fatto dettato da via Bellerio. Un documento che teoricamente dovrebbe essere concordato anche con l’opposizione.

da - lastampa.it/politica


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La tentazione di Berlusconi "Medierò io con Gheddafi"
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2011, 11:40:22 am
Esteri

23/03/2011 - LIBIA IL FRONTE INTERNO

"Medierò io con Gheddafi"

La tentazione di Berlusconi

Prima il cessate il fuoco, poi una trattativa a tutto campo anche con il rais

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Cessare il fuoco, pensare al dopo, anche dialogando con Gheddafi.
Berlusconi vuole che al più presto le armi tacciano, che i cacciabombardieri rimangano sulle piste per tentare di aprire una fase di trattativa con i ribelli da un lato e con il Colonnello dall’altro. Dovrebbero essere poi le Nazioni Unite a verificare sul campo che la tregua sia effettiva, rispettata veramente da entrambe le parti. A quel punto potrebbe iniziare una trattativa di pacificazione, con un ruolo attivo dell'Unione africana nei confronti di Gheddafi per convincerlo a lasciare o a trovare un’intesa. Mentre l'Italia potrebbe svolgere il «suo ruolo naturale» di dialogo e di ricostruzione con la «nuova Libia» e il comitato degli insorti di Bengasi, città dove abbiamo da poco riaperto il consolato italiano. E una volta che politica e diplomazia avranno ripreso la parola, Berlusconi non esclude di ritornare a parlare direttamente con il Raiss. Disposto anche a recarsi a Tripoli.

Il premier batte su un tasto: «Dobbiamo smetterla di dare l'impressione di essere in guerra».
Gli italiani a suo avviso sarebbero spaventati. Il nostro Paese sta facendo la sua parte accanto alla coalizione dei volenterosi per aiutare il popolo libico e non per cacciare, o peggio ancora, eliminare il Colonnello. Il Cavaliere ha commissionato un sondaggio dal quale risulta che il 75% dei cittadini è contrario all’azione militare. Confermandosi nella convinzione che sarebbe stato meglio non infilarsi in questa vicenda. Ma tant’è, ormai ci siamo dentro e bisogna gestirla, frenando le manie di grandezza della Francia, le mire egemoniche di Sarkozy nel mediterraneo e sul petrolio libico. «Al di là di tutto e del fatto che sono addolorato per Gheddafi - ha osservato - dobbiamo difendere i nostri interessi economici. Non possiamo consentire che l'Eni venga soppiantata da Total».

Ieri sera Berlusconi ha appreso che Sarkozy, dopo la telefonata di Obama, avrebbe aperto alla possibilità di un comando integrato con la Nato. Ma il premier è prudente: vuole capire se si tratta veramente di un cambio di rotta dell’Eliseo. E’ confortato tuttavia dalle posizioni della Russia, della Turchia e di quei Paesi che vogliono uno stop ai bombardamenti. Il premier guarda anche alla Germania neutralista. Frattini però gli ha fatto presente che la Merkel sta pagando un prezzo politico altissimo per la sua posizione neutralista.
Il ministro degli Esteri gli ha consegnato un dossier su quello che scrivono i giornali tedeschi dal quale emerge un vero e proprio j'accuse nei confronti della Cancelliera. E questo a conferma del fatto che l’Italia doveva partecipare alla coalizione in maniera leale.

Anche La Russa ha avuto modo di spiegare a Berlusconi che non potevamo restarne fuori anche se ora la Lega non fa altro che lucrare consensi su una rendita di posizione neutralista.
Il ministro della Difesa è arrabbiato con quelli che dentro e fuori il Pdl lo accusano di avere schiacciato il governo su un’immagine da guerrafondai.

«La nostra era una strada obbligata. Di me hanno fatto la classica caricatura di Fiorello... “Bombardate!”, perché sono di destra.
La verità è che l’unico moderato sono stato io. Ho chiamato Berlusconi alle 2 di notte per dirgli che ci avevano chiesto l’uso dei bombardieri e che io ho rifiutato. E infatti non abbiamo sparato nemmeno un colpo con i nostri Tornado che hanno solo l'obiettivo di "accecare" i radar libici». Quando La Russa si è lamentato che in molti nella maggioranza gli avevano attribuito l’immagine del Dottor Stranamore, e che lo stesso premier aveva lasciato correre questa voce, lo stesso premier gli ha ragione. E gli ha promesso che avrebbe fatto una dichiarazione per smentire queste voci. Ma il ministro della Difesa non ha voluto perché sarebbe apparso come una accusatio non petita, accusatio manifesta».

Berlusconi si presenterà al vertice europeo con una posizione forte contro Francia e Gran Bretagna, per spingere verso una soluzione diplomatica. Ma per farlo ha bisogno che tutto il Parlamento italiano sia dietro di lui, anche l’opposizione. Intanto però deve mettersi
d’accordo con Bossi che preme per una risoluzione molto dura, soprattutto sul versante immigrazione, da presentare alle Camere.
Fino a ieri sera non c’era un’intesa. In Parlamento intanto andranno La Russa e Frattini, il quale in questi giorni si è tenuto in costante contatto con il capo dello Stato.
Berlusconi non sembra volerci mettere la faccia in questa fase di bombardamenti.

da - lastampa.it/esteri


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La Lega nel panico: se non li cacciamo danni alle elezioni
Inserito da: Admin - Aprile 02, 2011, 06:15:41 pm
Politica

02/04/2011 - RETROSCENA

La Lega nel panico: se non li cacciamo danni alle elezioni

Il ministro dell’Interno: "Tengo duro". Ma la maggioranza è divisa

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Quel «fuori dalle palle» agitato da Umberto Bossi come una clava sulla testa degli immigrati rischia di rimanere un buco nell’acqua al centro del Mediterraneo. In piena campagna elettorale per le amministrative lo «tsunami umano» (così l'ha chiamato Berlusconi) può costare caro alla Lega se non riuscirà a mantenere la parola e riportare a Tunisi i tunisini. «Sui rimpatri non cedo, tengo duro, perché sono contrario a certe ipotesi che vanno nella direzione contraria», ha tuonato il ministro dell’Interno Maroni, facendo la faccia feroce dopo l’incontro con Regioni, Comuni e Province. Ma nelle ultime 48 ore il Carroccio sta ingranando la marcia indietro, rendendosi conto che applicare in maniera rigida il reato di clandestinità non porta da nessuna parte.

In questi giorni infatti dentro la maggioranza si sono confrontate due linee. La prima è stata quella del premier, più pragmatica, che non si è mai illuso sulla possibilità di poter portare indietro molti di coloro che sono sbarcati a Lampedusa. E ha pensato ad un gestione unitaria di profughi e clandestini. Maroni invece era rimasto fermo su una posizione ideologica: identificare i migranti e poi rimandarli a casa con le buone o con le cattive. «Come se fosse così facile», aveva confidato Berlusconi. Così, a poco a poco, i leghisti hanno dovuto prendere coscienza che le operazioni di forza stavano andando a sbattere contro un muro. Anche se fino a ieri Maroni intimava che la Tunisia «deve» riprendersi i suoi cittadini. Ma è chiaro che molto è propaganda. La verità è che nelle ultime 48 ore Bossi ha accettato di rivedere la sua posizione intransigente. Approdando all’ipotesi di concedere dei permessi di soggiorno temporanei.

Il primo passaggio è convincere il governo tunisino a riprendersi chi è partito. «Ma non 100 al giorno come dice Berlusconi - osservano fonti accreditate del governo - perché ci metteremmo tre anni prima di rimpatriare tutti, ma in dose massiccia». Se questa operazione dovesse fallire, l’altra strada è l'art. 20 della Bossi-Fini, cioè concedere il permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari. Giuridicamente ineccepibile. Viene meno la qualifica di clandestini e il relativo reato di clandestinità che comporta l’espulsione, e si toglie alle amministrazioni locali la possibilità di chiudere i propri territori. Ma innanzitutto non si consente a francesi, tedeschi, svizzeri e belgi e quant’altri di respingere questi immigrati. Del resto, ha fatto presente Berlusconi, «molti di loro arrivati in Italia hanno manifestato l’intenzione di volersi ricongiungere con parenti e amici in Francia soprattutto, ma anche in Germania e in altri Paesi. Per loro noi pensiamo di istituire dei centri in prossimità delle frontiere».

Insomma, il governo vuole forzare la mano a quei Paesi che hanno mostrato di essere insensibili al problema umanitario che sta gravando sulla sola Italia. «C'è un egoismo generalizzato molto negato da parte degli altri capi di Stato europei», ha spiegato il premier durante la riunione della cabina di regia sull’emergenza immigrazione.

Bruxelles sembra ora che venga incontro, con il Presidente della Commissione Europea, José Durao Barroso, che a Berlusconi ha promesso l’impegno di «una più fattiva solidarietà verso l’Italia». Il problema però sono i singoli Paesi, a cominciare dalla Francia che non ne vuole sentire di aprire le frontiere. Ecco perché anche Maroni si è acconciato, insieme a tutta la Lega, al piano B rispetto ai rimpatri in Tunisia. Appunto, i permessi di soggiorno temporanei. «E' un modo - ha intimato Maroni - per far capire all’Europa che, di fronte al diniego totale di collaborazione, abbiamo uno strumento legislativo per attuare il principio di solidarietà». L'11 aprile il ministro si troverà faccia a faccia con i suoi colleghi a Bruxelles al cosiddetto Consiglio Gai: vedremo come andrà a finire.

da - lastampa.it/politica/sezioni/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E il premier esulta "Non ci ferma più nessuno"
Inserito da: Admin - Aprile 06, 2011, 03:48:03 pm
Politica

06/04/2011 - RETROSCENA

E il premier esulta "Non ci ferma più nessuno"

"Ora dovrebbero sospendere il dibattimento, ma temo non lo faranno"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Avete visto? Quando stiamo calmi, concentrati sulle cose da fare e soprattutto rimaniamo uniti, non ci ferma nessuno». Più che soddisfatto della giornata di ieri in Parlamento, Berlusconi in serata ha pure ricevuto la telefonata di Maroni da Tunisi. «Missione compiuta, accordo fatto con la Tunisia», gli ha annunciato con un sospiro di sollievo il ministro dell’Interno che ha interpretato fino in fondo la Lega di governo. Proprio come voleva il premier, piegando la linea intransigente, propagandistica ed elettorale di Bossi che ha tanto irritato il Pdl. «Tutti i partiti della maggioranza avverte il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli devono dividere costi e benefici di questa operazione nella quale non ci può essere chi porta la croce e chi si fa la campagna elettorale».

Berlusconi ha voluto che Maroni ci mettesse la faccia e così è stato, con una giornata che si chiude in attivo per lui. Ieri tuttavia era stato svegliato male dalla pubblicazione sul Corriere della Sera di alcune sue telefonate “compromettenti” sul caso Ruby sopravvissute agli omissis a tutela dello status parlamentare del Cavaliere. Ma ha subito capito che quella pubblicazione poteva fargli gioco e utilizzarla a suo vantaggio. «La Boccassini, facendo uscire queste conversazioni telefoniche proprio nel giorno del voto sul conflitto di attribuzione, ha pestato una merda che si trasformerà in un boomerang», ha detto con le parole colorite uno stretto collaboratore di Berlusconi. E ora, dopo il voto sul conflitto di attribuzione, il processo andrebbe sospeso perché i giudici non dovrebbero ignorare la volontà del Parlamento. La pensa così il Cavaliere, che tuttavia non nutre grande speranze che ciò accada: «Contro di me è in atto un brigatismo giudiziario».

È alla Camera che il centrodestra esulta e fa dire al neoministro Saverio Romano che superato il crinale tra conflitto di attribuzione e processo breve «il clima si rasserenerà». «Nelle prossime settimane - aggiunge un altro ministro, Raffaele Fitto - non ci saranno provvedimenti impegnativi». «Dovrà tornare in aula solo la legge comunitaria che contiene un emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati, ma non mi sembra un grande problema», osserva il responsabile degli Esteri Franco Frattini. La maggioranza del resto regge e pezzettino dopo pezzettino aumenta di numero grazie alle “potenzialità” e alle “offerte” di cui dispone il Cavaliere. Il Fli addirittura ha chiesto di aprire un’inchiesta parlamentare sull’ingresso della Siliquini, ritornata all’ovile del Pdl dopo il passaggio ai finiani, nel Cda delle Poste.

La maggioranza regge anche se per andare avanti deve tenere tutti i suoi ministri e sottosegretari inchiodati in aula. Alla minima assenza va giù come è accaduto pochi minuti dopo il voto sul conflitto d’attribuzioni (il governo è stato battuto su un emendamento dell’opposizione sui piccoli comuni). Per questo Berlusconi ha bisogno di aumentare le sue truppe e arrivare a quota 330. Obiettivo ancora lontano. Le promesse di posti di governo sono troppe e non ancora onorate. La prossima settimana forse ci sarà una nuova infornata di viceministri e sottosegretari. I nomi che ieri circolavano a Montecitorio sono quelli di Pionati, Calearo, Bernini, Misiti e Musumeci. Poi ci sono da sistemare le new entry liberaldemocratici, Tanone e Melchiorre che ieri hanno abbandonato il Terzo Polo e votato il conflitto di attribuzione. Ingressi scaglionati, perché sono tanti in lista d’attesa. «In ogni caso - spiegava un ministro durante una pausa dei lavori parlamentari - i Responsabili si stanno comportando bene e quindi dovranno essere ricompensati». Ma non tutti sono d’accordo con una ricompensa immediata. Alcuni suggeriscono a Berlusconi di fare le nuove nomine dopo Pasqua. Altri di arrivare prima al traguardo dei 330 deputati e poi si vede.

Montecitorio ieri sembrava un accampamento di guerra, con l’opposizione sottotono, che potrebbe animarsi oggi quando arriverà il processo breve. Ma un esponente del Pd seduto su un divanetto diceva sconsolato che di questo passo, nonostante tutte le difficoltà dentro la maggioranza, Berlusconi arriverà alla fine della legislatura.

da - lastampa.it/politica/sezioni/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Adesso Silvio accusa la Lega "Distinguersi su tutto non paga"
Inserito da: Admin - Maggio 17, 2011, 05:15:09 pm
Elezioni 2011

17/05/2011 - ELEZIONI 2011

Adesso Silvio accusa la Lega "Distinguersi su tutto non paga"

In vista dei ballottaggi ora i moderati del Pdl suggeriscono un cambio di rotta

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La fortezza berlusconiana mostra crepe visibili nei bastioni. Berlusconi vede che l’onda lunga del 2008 si è andata ad infrangersi sugli scogli di Milano e della Lega, con Bossi che ieri a via Bellerio ruggiva («perdiamo per colpa del Pdl e della Moratti che è bollita, per fortuna noi vinciamo altrove»). Nelle stesse ore, man mano che i dati veri del ministero dell’Interno confermavano le proiezioni, anche il premier accusava la Lega di avere contribuito a questa batosta, «perché differenziarsi come hanno fatto loro negli ultimi tempi, su tutto, non paga». Chissà se nella telefonata che c’è stata tra i due queste cose se le sono dette in faccia. Nel giro stretto del capo, rimasto in silenzio stampa ad Arcore con il suo portavoce Paolo Bonaiuti, c’è aria di funerale. E molti adesso ammettono che la ricandidatura della Moratti sia stato un errore.

Lui, Berlusconi, deve ripensare la strategia di comunicazione, con quale linea riprendere la campagna elettorale per il secondo turno. Sono tanti i dirigenti del Pdl che gli consigliano più moderazione, di concentrarsi sui problemi della città, di non continuare con il bombardamento della procura di Milano e i concentramenti rumorosi davanti al Tribunale. Ascolterà questi consigli che anche Bossi gli aveva dato? Riuscirà a far emergere la vera anima moderata della Moratti e non dare ascolto alla Santanché e Sallusti che nel partito con cattiveria hanno soprannominato Olindo e Rosa.

Adesso Berlusconi è deluso, amareggiato, stupito. Stupito che Lettieri a Napoli non ce l’abbia fatto al primo turno mentre il «forcaiolo» De Magistris abbia superato il 20% dei voti. Perfino a Cagliari il candidato del centrodestra Fantola è costretto al ballottaggio e a inseguire il vendoliano Massimo Zedda (Sel) addirittura in vantaggio.

Ma lo choc di Berlusconi è per la sua Milano, per il dato di Pisapia che veleggia attorno al 48%. «Non è pensabile che una città come Milano non possa essere governata da noi. È una città che deve guardare avanti e non può guardare al passato». Ha chiesto spiegazioni al coordinatore Verdini che, imbarazzato, nel pomeriggio ha subito risposto che bisognava aspettare i dati certi, i voti scrutinati e non le proiezioni. Certo, ha provato a dire Verdini, la Moratti ha un trend negativo... «Negativo? Pessimo. Se questi dati verrannoconfermati dallo scrutinio, al ballottaggio non vinceremo mai, nemmeno se recuperassimo tutti i voti moderati in libera uscita», ha osservato il premier. Il quale è ancora più deluso, amareggiato e stupito per il flop personale come capolista del Pdl a Milano. La città non l’ama più? Nella scorsa tornata aveva fatto il pieno di preferenze totalizzandone 53 mila. Un plebiscito che questa volta non c’è stato perché il Cavaliere a Milano dovrebbe attestarsi attorno ai 15, massimo 20 mila preferenze. Una cifra terribile di sfiducia per il futuro politico di Berlusconi, che testardamente ha voluto trasformare queste elezioni amministrative in un referendum su se stesso, sul governo e sulle inchieste che lo riguardano.

Per Berlusconi a Napoli la vittoria al secondo turno potrebbe essere a portata di mano perché il Pd non riuscirà a trovare un accordo con De Magistris. Poi quelli del Terzo polo mai e poi mai voterebbero per il «forcaiolo». Ma a Milano lo spartito è diverso. Qui il Cavaliere non ha il minino dubbio che Casini, Fini e Rutelli vogliano dargli il colpo finale del ko. Ben sapendo che fargli perdere questa città significa spezzare l’asse con Bossi e far cadere il governo. Nessuna dichiarazione ufficiale, comunque. Il portavoce Paolo Bonaiuti rinvia a oggi quando i dati saranno definitivi. A bocce ferme incontrerà Bossi. Vuole farlo a mente fredda. Meglio prima far decantare le cose ed evitare reazioni emotive. Tenendo conto, ha spiegato Berlusconi, che la Lega non è andata bene a Milano. Il Carroccio era accreditato del 15% e ora bene che vada raggiunge il 10%. Qualcuno nel Pdl sospetta che non ci sia stato un impegno forte del Carroccio, che avrebbe fatto votare per la propria lista e non per la Moratti.

Circolano le voci più incontrollate, sospetti e veleni tipici di una campagna elettorale andata male. Veleni che scorrono anche dentro il Pdl. La resa dei conti nel partito è rinviata alla fine dei ballottaggi, ma già c’è chi dice «io l’avevo detto che andava a finire così». Sono le colombe che puntano il dito contro gli «estremisti» interni, e non risparmiano nemmeno Berlusconi che ha forzato e sbagliato i toni. C’è Scajola sul piede di guerra che attende di essere reintegrato nel governo. Non solo. Cosa succederà tra i Responsabili, tra i nuovi arrivati nella maggioranza che adesso sentono puzza di bruciato? Continueranno a garantire il loro voto al governo?

Sono tanti gli interrogativi che si pone Berlusconi, il quale non vuole sentir parlare di divisioni. Dovrà avere il colpo d’ala, tirare il coniglio dal cilindro, salvare il salvabile alle amministrative e poi rilanciare l’azione del suo esecutivo con provvedimenti di crescita economica, di riduzioni delle tasse. Tremonti glielo permetterà? Sono queste le riflessioni che si ascoltano tra i dirigenti Pdl.

Non è di questo che però ieri sera si è messo a discutere ad Arcore. Ha preferito convocare un vertice per il calciomercato con il presidente e l’allenatore del Milan Galliani e Allegri.

da - lastampa.it/focus/elezioni2011/articolo/lstp/402549/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Paniz stoppa gli aspiranti: «L'erede? Sarà Marina Berlusconi
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2011, 09:06:26 am
Elezioni 2011

20/05/2011 - RETROSCENA

L'arrocco del Cavaliere: anche da sconfitto nessuna successione

E Paniz stoppa gli aspiranti: «L'erede? Sarà Marina Berlusconi»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi si prepara a resistere all’onda d’urto della sconfitta a Milano. «Solo un miracolo può consentirci di ribaltare l’esito del voto», spiega sconsolato un ministro che ha partecipato alle riunioni di Palazzo Grazioli. Sono troppi i punti da recuperare di fronte a un calo fisiologico dei votanti (calcolato nell’ordine del 20%) e alla carica dei milanesi che torneranno a votare Pisapia. Allora la ridotta politica del premier rimangono Napoli e Cagliari. Napoli, innanzitutto, da strappare dalle «grinfie del forcaiolo» De Magistris. Vincere quantomeno sotto il Vesuvio gli consentirebbe di mascherare la débâcle, di continuare a parlare di pareggio (come ha fatto Verdini commentando i risultati elettorali del primo turno). Portare Lettieri a Palazzo San Giacomo governato dalla sinistra da lunga pezza sarebbe il disperato tentativo di depotenziare il «nuovo progetto» di cui ha parlato ieri Bossi. E che di fatto prevede la messa in rampa di lancio di un successore alla premiership, senza però crisi di governo e cambi in corsa prima delle elezioni politiche. Arrivando insieme al 2013 se si vince a Milano, al 2012 se si perde nella città della madonnina.

Insomma, Bossi propone un rilancio forte, visibile, tangibile del centrodestra sempre nel formato Pdl-Lega, attraverso una serie di riforme. La prima, quella fiscale. Ma una riforma del genere Tremonti (sempre che la voglia fare in questa legislatura) non la spenderebbe per rilanciare Berlusconi a Palazzo Chigi. La farebbe soltanto se fosse nelle condizioni di poterla gestire e - soprattutto - di poterla utilizzare per se stesso.

Ma Berlusconi di successione non ne vuole sentir parlare. Ieri l’avvocato-deputato Maurizio Paniz ha azzardato che «l’erede di Berlusconi è Marina Berlusconi». Forse solo una boutade da parte di un deputato entrato nelle grazie del capo. E’ chiaro comunque che nel Pdl si respira un’aria di resistenza all’ultimo sangue. Anche il cosiddetto «patto azzurro» è funzionale a respingere l’assalto di Bossi che scatterà all’indomani dei ballottaggi. E’ il patto che hanno stretto in questi giorni Frattini, Alfano, Scajola, Gelmini, quell’area di ex Forza Italia che non vuole morire leghista, che vuole «segare» Verdini e La Russa, che ce l’ha a morte con i falchi come Daniela Santanchè che vengono visti come i veri responsabili dello scivolone milanese. Tornare allo spirito moderato e liberale di Fi del ’94, ricostruire il Pdl partendo dai congressi, superare il triunvirato e la ripartizione con gli ex An è il loro programma. Obiettivo: portare alla testa del partito un coordinatore unico (Alfano?).

«Non ha perso Berlusconi, che generosamente ci ha messo la faccia, ma il partito... (il Pdl, ndr) e la Lega poi non ha avuto buoni risultati elettorali, anzi...», dicono quelli della guardia pretoriana. E’ quella parte del Pdl che non vuole Tremonti nominato alla vicepresidenza del Consiglio e candidato in pectore a Palazzo Chigi, come sembra suggerire Bossi. Un’ipotesi che lo stesso Berlusconi esclude (lo ha già fatto sapere al Senatur), perché il premier non contempla nessun successore e pensa ancora di potere essere lui a rilanciare il centrodestra. E questo anche se dovesse perdere Milano e soprattutto se dovesse vincere a Napoli.

Resistere, resistere, resistere. Vendere cara la pelle. Da Palazzo Chigi Berlusconi non vuole schiodare nemmeno in caso di sconfitta nei prossimi ballottaggi. Ieri chi è andato a trovarlo nei suoi appartamenti romani lo ha trovato «tonico», pronto alla pugna. Lui, il premier, ha addirittura detto di essere pronto ad allargare la maggioranza e a Bossi ha assicurato che metterà in riga i Responsabili che latitano nelle votazioni parlamentari. In Consiglio dei ministri ha assicurato che il governo è saldo e con Bossi è tutto ok.

Ma cosa farà Bossi se il suo amico Berlusconi non dovesse mettersi in testa di guidare il rilancio e la successione in maniera concordata? Ieri i due si sono incontrati e con loro c’erano Calderoli e Tremonti. Non era quella l’occasione per parlare di tutto questo. Non era il momento della resa dei conti. Anzi è il momento di lanciare un messaggio di unità, di apparire compatti perché è necessario compiere la missione impossibile di Milano. Forse i due alleati saliranno insieme su un palco alla fine della campagna elettorale. Poi si vedrà.

da - lastampa.it/focus/elezioni2011/


Titolo: A. LA MATTINA. Le colombe: Il capo non è più lucido e ci sta portando a sbattere
Inserito da: Admin - Maggio 21, 2011, 04:54:58 pm
Elezioni 2011

21/05/2011 - RETROSCENA

I duri del Pdl esultano "Silvio è più falco di noi"

Santanchè: "Nessuno sa fare campagna elettorale come lui"

Le colombe: "Il capo non è più lucido e ci sta portando a sbattere"

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

I falchi esultano, le colombe piangono e la balcanizzazione del Pdl compie un altro passo avanti. Il ritorno in pubblico di Berlusconi, con l’inondazione televisiva, divide il partito. C’era chi aspettava qualcosa di nuovo, un colpo d’ala, una curvatura in chiave moderata, mettendo da parte la tiritera dei bolscevichi alle porte di Milano e dei pm d’assalto con le mani su Napoli. E chi invece ora vede confermato il proprio approccio radicale, uscendo dal cono d’ombra degli untori che hanno fatto perdere il primo turno alla Moratti. In prima fila quella Daniela Santanché che è stata crocifissa come il modello perdente da evitare come il demonio. Ride al telefono la pasionaria del berlusconismo: «Berlusconi non mi è sembrato una colomba, anzi è sempre l’aquila che vola più in alto di tutti. Nessuno sa fare campagna elettorale meglio di lui. Sarebbe bene seguire il suo esempio». Insomma, come dire che lei e i duri del Pdl non sono stati sconfessati, tutt’altro e questo perché il vero capo dei falchi si chiama Silvio Berlusconi. Con buona pace della Moratti che chiedeva toni smorzati e un focus solo sui temi cittadini.

«Così invece - dicono dall’altra parte della barricata si continua con gli stessi argomenti, senza novità, il che dimostra che il capo non è più lucido e ci sta portando tutti a sbattere». I cosiddetti moderati del Pdl hanno le mani tra i capelli: «Se poi la "sorpresa" di cui ha parlato Calderoli è quella di spostare due ministeri a Milano e due a Napoli siamo fritti: ma si rendono conto di cosa significa? Della rivolta che ci sarebbe a Roma da parte delle famiglie dei ministeriali che sarebbero costretti a trasferirsi? Significherebbe perdere decine di migliaia di voti solo nella capitale. E’ puro masochismo».

Vedremo se i progetti annunciati da Calderoli con un' intervista alla Padania andranno in porto. I romani del Pdl sono esterrefatti e hanno già altri guai a casa loro. «Adesso - spiega il senatore Andrea Augello con la massima flemma è il momento degli espedienti comunicativi tipici della campagna elettorale per recuperare i voti persi per strada. Dopo i ballottaggi tornerà la politica e penseremo a cosa fare veramente». Il senatore Augello osserva da lontano ciò che sta accadendo a Milano e Napoli, avendo ben altre gatte da pelare visto che nel Lazio e a Roma sta infuriando un’altra "guerra civile" dentro il Pdl con il sindaco Alemanno e la presidente della Regione Polverini che sostengono a Terracina, un grosso comune nel Sud del Lazio, un candidato diverso da quello ufficiale del partito. Appunto, un altro esempio di balcanizzazione del Popolo della Libertà, un fiorire di liste autonome che fanno capo proprio ad Alemanno e la Polverini. Un fenomeno al quale vorrebbero dare una regolata quegli esponenti del «patto azzurro» (Alfano, Frattini, Gelminie Scajola) con l’avvio del tesseramento e i congressi locali per arrivare entro la fine dell’anno alleassise nazionali dove eleggere un coordinatore unico. Superando la divisione tra ex An e ex Fi. Ma qui il problema scoppiato nel Pdl è che le divisioni sono all’interno delle stesse componenti tradizionali.

Intanto Berlusconi continua la sua campagna elettorale con i toni di sempre, gli stessi che non hanno portato alle urne molti milanesi di solito schierati a destra. E se c’è una cosa che accomuna falchi e colombe è il giudizio sulla Moratti, che non tira, che continua a sbagliare, come quando annuncia l’abolizione dell’ecopass che ha messo lei. «Perché non lo diceva durante la campagna elettorale per il primo turno?», si chiedono tutti. L’unica novità, almeno per il momento, è che il premier non ha ripreso a inveire contro i magistrati che lo hanno messo alla sbarra. E sta entrando un po’ più nel merito delle questioni cittadine. Il portavoce del Cavaliere, Paolo Bonaiuti, sottolinea questi aspetti. «Non ha mai citato Pisapia e De Magistris. Ha invece giustamente ricordato che dietro di loro c’è chi ha gestito il potere per 18 anni a Napoli e la sinistra di protesta, non certo quella riformista».

da - lastampa.it/focus/elezioni2011/articolo/lstp/403355/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Pdl e Lega: si va avanti per tutta la legislatura
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2011, 02:14:05 pm
Politica

07/06/2011 - GOVERNO IL VERTICE

Pdl e Lega: si va avanti per tutta la legislatura

Ad Arcore tensione Berlusconi-Tremonti, alla fine la spunta il ministro

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

I leghisti raccontano che Bossi è stato spettatore dello scontro tra Berlusconi e Tremonti. Spiegano che il problema vero è tra loro due: un problema difficilmente risolvibile perchè il ministro dell’Economia ha gli argomenti forti per tenere i cordoni della borsa chiusi e per non fare la riforma del fisco. Eppure questa volta il capo leghista si è schierato, con moderazione, dalla parte del Cavaliere. Anche lui vorrebbe un segnale tangibile sulla pressione fiscale ma ha trovato un muro nell’inquilino di via XX settembre. Il quale è stato chiaro pure sulla necessità di fare una manovra triennale da 40 miliardi nell’arco per centrare l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014.

Insomma, il governo galleggia, l’incontro di ieri non ha prodotto grandi decisioni. Non è stato deciso chi sarà il nuovo ministro della Giustizia. Berlusconi ha carta bianca ma prende tempo perchè prima deve rendere operativa la nomina di Alfano a segretario politico del Pdl (per fare questo bisogna cambiare lo statuto del partito). Totale impasse sull’allargamento della maggioranza all’Udc (Casini come precondizione vuole la testa del Cavaliere e quindi una crisi di governo). Non c’è traccia di nomine di un vicepremier leghista (a maggior ragione Tremonti) che avrebbe il sapore di commissariare il presidente del Consiglio. Incertezza assoluta sulla futura premiership, nonostante ieri Bossi abbia detto che se Berlusconi intende ricandidarsi avrà il suo sostegno. E questa non è un’affermazione di poco conto perché significa che non c’è ancora il benservito al Cavaliere. Non c’è in questa fase, almeno. Infatti l’unico vero risultato del vertice è stato quello di decidere sulla necessità di serrare i ranghi dopo la sconfitta elettorale e andare avanti insieme, comunque. Senza rinfacciarsi di chi è la colpa della batosta nelle urne. Alla fine del vertice Angelino Alfano dichiara che «l’alleanza è solida» e che andrà avanti «sino al 2013». Così come conferma l’intezione di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014. «E’ andata bene» commenta in serata a Roma Berlusconi. Secondo il quale il taglio delle tasse resta in programma, «vedremo come».

«Bossi - osservano i berlusconiani - non può alzare troppo la cresta perchè di voti, e tanti, ne ha perso pure lui. Siamo nella stessa barca e nessuno può permettersi di scendere». In altre parole, Bossi si deve tenere stretto Berlusconi in questo momento. Lo choc post-elettorale è ancora troppo vivo per prendere decisioni politiche importanti. In autunno si capirà meglio quali margini ci sono per continuare la legislatura: se sarà possibile arrivare alla scadenza naturale del 2013 oppure è più opportuno andare al voto anticipato nel 2012. Un’ipotesi quest’ultima, che lo stesso Bossi ha messo sul tavolo del vertice come extrema ratio, e che il premier ha escluso convinto di poter controllare la maggioranza in Parlamento e avviare le riforme.

Intanto qualcosa il Carroccio ha strappato: Berlusconi ha dato il via libera al trasferimento «operativo» degli uffici del ministro delle Riforme e della Semplificazione a Milano (cioè di Bossi e Calderoli) pur rimanendo il resto dei due dicasteri a Roma. Così il 19 giugno a Pontida, davanti al suo popolo, Bossi potrà sventolare la bandiera verde con maggiore forza.

L’impressione è che il governo abbia il motore imballato e i leghisti hanno la sensazione che il Cavaliere abbia ormai il fiato corto. Ma nessuno sa bene come uscirne. L’unica cosa certa è che dall’incontro di ieri a uscirne vittorioso è stato Tremonti che ha visto confermata la tabella di marcia: nelle prossime settimane verrà preparata una manovrina per aggiustare i conti, poi a settembre ci procederà con la legge di stabilità per il prossimo triennio e con la delega sul fisco che Berlusconi voleva anticipare e approvare entro l’estate come segnale agli elettori che li hanno abbandonato.

Il processo al ministro dell’Economia in quanto colpevole di aver fatto perdere una barca di voti non c’è stato. Ma lo scontro c’è stato. Bossi questa volta ha preso le parti di Berlusconi, insistendo su un alleggerimento della pressione fiscale sulle piccole imprese da fare presto. Il premier vuole andare oltre e mettere mano alle aliquote Irpef. Ma il ministro dell’Economia gli ha ricordato che è stato lui a sottoscrivere il patto di stabilità a Bruxelles con gli altri capi di Stato e di governo. E poi, ha aggiunto Tremonti, non è tanto l’Europa a doverci preoccupare, ma i mercati, le borse. «Se facciamo un passo falso ci massacrano. E’ questo che volete?». Chi ha visto dopo il vertice Tremonti, lo ha descritto sereno e soddisfatto.

da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/405861/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. P4, l'incubo di Berlusconi: telefonate sul bunga bunga
Inserito da: Admin - Giugno 27, 2011, 05:45:40 pm
Politica

24/06/2011 - RETROSCENA

P4, l'incubo di Berlusconi: telefonate sul bunga bunga

Il Cavaliere molto indispettito per i commenti di ministri e vertici del partito nei suoi confronti

Teme la pubblicazione di conversazioni tra colleghi di governo critici con lui

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A BRUXELLES

Silvio Berlusconi è arrivato a Bruxelles per il vertice europeo sotto la nuvola nera delle intercettazioni che a suo parere sono «una scatola vuota» dal punto di vista penale. Ed è quello che ripetono tutti nel governo, anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Eppure questa «scatola vuota» preoccupa, e non solo per questioni di violazione della privacy. L’ossessione del premier è leggere sui giornali una conversazione tra ministri e ministre sul «bunga bunga».

Già qualcosa del genere è venuta fuori dall’inchiesta che riguarda Flavio Briatore il quale aggiornava Daniela Santanchè sulle attività amatorie del Cavaliere. E fintantoché a parlarne in termini di «malattia» è il padrone del «Billionaire» passi. Succederebbe invece il finimondo se saltasse fuori un’intercettazione telefonica in cui sono ministri e ministre a dire che il capo pensa solo al «bunga bunga», che non è più in grado di governare, che l’esecutivo è allo sbando. Un «malato», appunto: una parola pronunciata al telefono con Luigi Bisignani che potrebbe marchiare a fuoco chi l’avrebbe pronunciato. Ancora nulla da codice penale, però con quale faccia quel ministro e quella ministra potrebbe presentarsi di fronte al presidente del Consiglio? E la stessa immagine di Berlusconi, spiegano nel Pdl, ne uscirebbe ulteriormente frantumata in una fase politica certamente non esaltante per il centrodestra. «Sono dispiaciuto afferma Osvaldo Napoli - perché alla fine intercettazioni senza rilevanza penale finirebbero per rovinare rapporti personali con un inevitabile riflesso sul piano politico. Come fai a lavorare insieme a un tuo collega se sai che pensa certe cose di te?».

Preoccupazioni che si sommano ad altre preoccupazioni. Ad esempio, da questo spettacolo messo in piazza chi ne esce bene è solo Giulio Tremonti. E questo lo dicono i «nemici» di Tremonti. Emerge che il potere di condizionamento di Luigi Bisignami non arriva fin dentro il ministero dell’Economia, mentre era di casa a Palazzo Chigi. E qui entra in scena Gianni Letta. E’ l’inquilino di via XX settembre ad essere sempre la bestia nera per Berlusconi e gli altri ministri che sono tenuti all’oscuro dei contenuti della manovra di 40 miliardi per il pareggio di bilancio del 2014 di cui si sta discutendo al vertice di Bruxelles. La prossima settimana forse se ne saprà di più e sembra che Tremonti abbia promesso di incontrare i gruppi parlamentari. Una promessa alla quale sono in pochi a credere perché il ministro dell’Economia finora ha sempre fatto di testa sua. Questa volta, precisano a Palazzo Chigi, non può farlo: non ha più la sponda della Lega. Comunque, il contenuto delle intercettazioni e il fatto che alcuni ministri (Mariastella Gelmini, innanzitutto) parlino con Bisignani in maniera poco gratificante di Tremonti, lo avrebbero rafforzato su vari fronti. Pure sulla decisione da prendere sul nuovo governatore della Banca d’Italia. Ed è notorio che il candidato a quella importante poltrona di via Nazionale sia Vittorio Grilli, il direttore generale del ministero dell’Economia.

A Bruxelles Berlusconi sta affrontando ben altri problemi, sicuramente più gravi. E’ rimasto fulminato quando Antonis Samaras, leader della Nea Demokratia, gli ha detto «you are the next» quando il nostro premier insisteva sulla necessità che l’opposizione greca sostenesse il piano di rigore del loro governo. «Tu sei il prossimo», che poi è uno dei fantasmi (la deriva greca, appunto) che agita da tempo l’Italia e che proprio Tremonti sventola sotto il naso a tutti coloro che gli contestano il suo rigore. A cominciare dal Cavaliere.

Con le persone con le quali ieri ha parlato Berlusconi mostra sicurezza, convinto che il governo arriverà alla fine della legislatura. Finge di non essere preoccupato delle intercettazioni che impazzano sui giornali. Ha detto che a preoccuparlo è piuttosto la montagna di milioni che dovrà pagare se la sentenza Mondadori venisse confermata. Tutto il resto è «una porcata, bassa umanità». Per il premier di fronte a «uno scandalo del genere, ad una palese, ennesima violazione della privacy, servirebbe un intervento autorevole....». Il riferimento è al Quirinale, al capo dello Stato che è anche presidente del Csm. Ma dal Colle non una parola. Un silenzio che per Berlusconi la dice lunga pure sulla possibilità di poter approvare un provvedimento sulle intercettazioni. Un tema che è tornato prepotentemente all’ordine del giorno della maggioranza. Le parole di Massimo D’Alema («una valanga di intercettazioni senza rilievo penale») dovrebbero far sperare in un possibile dialogo con l’opposizione. Ma sono pochi a crederci. Dice Franco Frattini: «Vorrei vedere se presentassimo pari pari la legge sulle intercettazioni scritto dal governo Prodi. Come farebbe il Pd a sottrarsi?».

da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/408562/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Dietrofront sulla salva Fininvest
Inserito da: Admin - Luglio 06, 2011, 05:18:55 pm
Politica

06/07/2011 - RETROSCENA

Dietrofront sulla salva Fininvest

La furia del Cavaliere: "Un agguato"

Per il premier Tremonti sapeva e ha informato il Colle: «Vuole rovinarmi, dirà di no su tutto»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Quando ha capito che al Quirinale la norma salva Fininvest non sarebbe passata, Berlusconi è andato in escandescenza, pronunciando parole di fuoco nei confronti del Capo dello Stato. «Mi vuole rovinare. Ma qui non gioca solo sulla mia pelle. Non si rende conto che non rischio solo io ma ci vanno di mezzo anche i lavoratori delle mie aziende. Si tratta di migliaia di posti di lavoro. E questi sarebbero i paladini del popolo? E’ stata montata dalla sinistra una crociata indegna, assurda». Non è un caso infatti che la dichiarazione con la quale ha comunicato il ritiro della «norma giusta e doverosa» si chiuda proprio con il riferimento ai lavoratori di «qualche impresa» che potrebbero ricordarsi di «questa vergognosa montatura».

Ma in tutta vicenda il premier ci vede anche il gioco sporco di Tremonti e di tutti quelli (pochi per la verità) che sapevano della norma-blitz inserita all’ultimo minuto nella manovra economica. Vertici della Lega compresa, che ieri hanno fatto sapere di essere stati tenuti all’oscuro, di avere scoperto solo a cose fatte che la norma era stata inserita. Quando invece (Berlusconi ne ha la certezza) che Calderoli sapeva, eccome. Tanto che ieri in Transatlantico ha confidato di aver letto la manovra versione proFininvest dalla prima all’ultima riga.

«La verità è che mi hanno lasciato solo, quasi nessuno nel partito e nel governo ha difeso la norma nel merito, norma giusta e sacrosanta. Ma è Tremonti che mi ha teso un agguato», si è sfogato il Cavaliere. A cosa si è riferito Berlusconi è presto detto. In sostanza la norma, su input di Palazzo Chigi, è stata scritta dall’ufficio legislativo del ministero della Giustizia e timbrata dal Guardasigilli. Il quale l’ha trasmessa al ministro dell’Economia che, secondo una certa vulgata, avrebbe prima opposto resistenza per poi cedere. Versione negata dallo stesso presidente del Consiglio: «Figuriamoci se Tremonti si fa imporre qualcosa che non condivide. Semmai è lui che impone le sue idee agli altri».

Ed ecco l’agguato: una volta messa la sua firma sull’ultima versione della manovra, il ministro avrebbe avvertito Napolitano della presenza della norma salva Fininvest, prendendone le distanze, dicendo di non saperne nulla. Ben sapendo che il Capo dello Stato si sarebbe messo di traverso. Infatti ieri a Gianni Letta è stato comunicato dal Colle che il presidente della Repubblica non avrebbe firmato quella versione della manovra. La mossa di Tremonti, che prima firma e poi nasconde la mano, aveva l’obiettivo di far fare una bruttissima figura non solo al premier ma anche ad Alfano. Un ben servito a colui che si è presentato come il segretario del «partito degli onesti»; il preferito dal Cavaliere come successore.

Che le cose siano andate veramente così non è dato saperlo. Questa è comunque la ricostruzione dei fatti da parte di un Berlusconi infuriato con Tremonti: l’avrebbe lasciato fare nella convinzione che il premier sarebbe andato a sbattere sui muraglioni del Quirinale. E così è successo. Rimane un punto interrogativo? Ma come è possibile che nessuno si sia preoccupato di sondare bene il Capo dello Stato prima di spedire lassù sul Colle l’ultima versione della manovra? Cosa ha fatto Gianni Letta mentre al ministero della Giustizia stavano scrivendo la norma? Non sapeva niente nemmeno lui? Sembra un po’ una commedia dell’assurdo e degli equivoci. Sicuramente un gioco a scaricabarile e quando Berlusconi ha capito che era rimasto con il cerino in mano, insieme ad Alfano silente, ha ritirato il «lodo Mondadori». La decisione è arrivata nel pomeriggio di ieri a Palazzo Grazioli. Presenti Letta, Frattini, Alfano.

«Il Capo dello Stato ormai dirà no su tutto, non ci farà passare più niente da qui alla fine della legislatura. Ma noi - ha detto Berlusconi - dobbiamo resistere e andare avanti». Andare avanti con la convinzione che sono in molti a remare contro, con Bossi sempre lì a tirare il filo della tensione. Ieri il «Secolo d’Italia» titolava in prima pagina «Ma qual è il vero volto della Lega». Intanto i leghisti hanno annunciato di voler cambiare la manovra in Parlamento e dicono basta alle leggi ad personam. Tranquilli, dice il ministro Matteoli, «la Lega si presenta come un partito movimentista nel territorio, poi a arriva a Roma e vota ciò che il governo decide...».

I deputati si aspettavano che il capo si presentasse alla riunione del gruppo, ma lui non si è presentato. Forse per evitare di dire qualche parola di troppo oppure per non rubare la scena ad Alfano. E qui, dopo una giornata di silenzio, il segretario ha difeso la norma salva Fininvest: «Sacrosanta ma strumentalizzata perché riguardava Berlusconi, se non avesse riguardato il premier sarebbe stata giudicata diversamente».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/410218/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Bossi: "Giulio fa bene a sentire i mercati"
Inserito da: Admin - Luglio 09, 2011, 04:57:40 pm
Politica

09/07/2011 - CENTRODESTRA, GOVERNO IN BILICO

Berlusconi tregua forzata con Tremonti

Il premier lo invita a colazione:"Non sei insostituibile".

Bossi: "Giulio fa bene a sentire i mercati"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Una giornata tormentata. Una delle più difficili per il governo. La crisi politica si è incrociata con la speculazione finanziaria e il crollo della Borsa. In mattinata si era diffusa la voce che Tremonti si sarebbe dimesso. Le premesse c’erano tutte, del resto. Le cronache politiche e i retroscena dei giornali dipingevano una situazione politica disastrosa. In un’intervista a Repubblica Berlusconi accusava il ministro dell’Economia di non fare gioco di squadra e di sentirsi «un genio mentre tutti gli altri sono dei cretini». «Lui è preoccupato dei mercati, ma io gli ricordo sempre che in politica il fatturato è composto dal consenso e dai voti». La rottura sembrava vicina ma sono intervenuti in tanti a placare la bufera, anche il Quirinale e Bossi che si è lanciato in uno sperticato assist tranquillizzante per l’inquilino di via XX Settembre, «una brava persona, perbene e capace. Se ascolta i mercati fa bene, altrimenti faremmo la fine della Grecia». Poi una stoccata al premier: «Litigano tutti, adesso Berlusconi se la prende anche con Tremonti, meno male che ci siamo noi che teniamo la barra dritta».

Berlusconi invece la pensa diversamente su Tremonti, ma i mercati hanno imposto una finta tregua. Nell’intervista a Repubblica ha parlato anche del suo futuro politico. Ha annunciato che non si candiderà a Palazzo Chigi nel 2013 (al suo posto ci sarà Alfano, mentre per il Quirinale il candidato sarà Letta). Tuttavia non sono state queste le affermazioni a tenere banco, ma la tempesta attorno al ministro agitata dall’imbarazzante inchiesta su Marco Milanese. Non c’è dubbio che Tremonti ne esce indebolito, «un’anatra zoppa - dicono i berlusconiani - che ora deve abbassare le penne». Ma fortissima preoccupazione per i mercati ha costretto il premier a correre ai ripari. Verso mezzogiorno ha fatto sapere di avere invitato a colazione il ministro dell’Economia. Dopo un’ora di incontro, una nota precisava che la manovra verrà approvata prima dell’estate e c’è «la volontà del governo di raggiungere il pareggio di bilancio per il 2014, in linea con gli impegni assunti a livello europeo». Una nota formale dove, comunque, non viene ribadita la piena fiducia in Tremonti.

Da Palazzo Chigi fanno sapere che i due si sono visti esclusivamente per dare un segnale rassicurante ai mercati. Quanto invece ai rapporti personali rimane una situazione di sfiducia reciproca. L’inquilino di via XX Settembre non si dimette, almeno fino all’approvazione della manovra. Ma il premier gli ha detto chiaro e tondo che la deve smettere di remare contro. «Tu non sei insostituibile. La manovra sarà cambiata in alcuni punti e il saldo rimarrà intatto: se non sei d’accordo dillo subito».

Tremonti si aspettava solidarietà e conforto per la vicenda Milanese, che il Cavaliere gli dicesse di credere alla sua onestà. E in effetti il premier non ha dubbi sulla trasparenza morale del suo ministro dell’Economia. Non è questo il punto, quanto il fatto che il presidente del Consiglio non è più disposto a sentirsi commissariato da Tremonti, non regge più le pressioni degli altri ministri maltrattati e insultati. C’è una risposta da dare ai Comuni, alle Province e alle Regioni sulle barricate. E la Lega (lo ha ribadito anche ieri Maroni) vuole rivedere più in profondità il patto di stabilità a favore degli enti locai virtuosi.

Resta il fatto che Tremonti non si dimette e con Berlusconi è condannato a convivere. E per addolcire il clima nel decreto della manovra è pure saltato fuori un “tesoretto” di 5,8 miliardi che saranno utilizzati ad ottobre con la nuova Finanziaria per ridurre la pressione fiscale.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/410787/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi teme di cadere nella trappola bipartisan
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2011, 04:48:09 pm
Politica

13/07/2011 - RETROSCENA

Berlusconi teme di cadere nella trappola bipartisan

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, teme che ci sia una manovra per farlo dimettere

Ma il premier è convinto che sia l'ultimo scoglio da affrontare

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi finalmente si fa vivo con una nota, in ritardo di alcuni giorni, quando le nubi nerissime della speculazione sull’Italia si sono allontanate (per il momento) e la Borsa mette a segno un incredibile recupero. Non ringrazia l’opposizione che consente l’approvazione a tempi di record della manovra economica, anche se alla fine il governo ha deciso di mettere comunque la fiducia. Si limita a invocare «coesione» e a dire che c’è «l’impegno di tutte le forze politiche, al governo e all’opposizione, a difendere il Paese». A ringraziare «per il senso dello Stato» è stato invece Tremonti durante un incontro con i capigruppo del centrosinistra al Senato. Per il premier il loro tutto sommato è un atto dovuto di responsabilità, «il primo in questa legislatura».

Si spiega solo in questo modo il rifiuto del Cavaliere di fare un appello agli avversari mentre nei giorni scorsi infuriava la tempesta.
C’è addirittura chi, come Gianni Letta, avrebbe voluto la convocazione di Bersani, Casini e Di Pietro a Palazzo Chigi sullo stile di Obama con i Repubblicani. Lui invece non crede alla loro buona fede («sono stati costretti da Napolitano») come si evince dal fatto che ancora ieri chiedevano la sua testa, le dimissioni in blocco del governo. Non se ne parla, perchè questo esecutivo «ha l’Europa al suo fianco e possiamo contare su innegabili punti di forza. Il governo è stabile e forte, la maggioranza è coesa e determinata. Le nostre banche sono solide e al riparo dai colpi che grandi istituti bancari esteri hanno dovuto subire e sono state pronte a rispondere agli inviti ad accrescere ulteriormente la loro capitalizzazione. La nostra economia è vitale».

Questo è quello che il presidente del Consiglio afferma in una nota tanto attesa dopo che da più parti gli si chiedeva di battere un colpo. E il colpo lo ha battuto a suo modo. A Palazzo Chigi spiegano non lo ha fatto prima perchè bisognava far passare il momento più cupo dell’attacco speculativo e solo quando si è capito che la manovra veniva approvata entro questa settimana allora il premier si è pronunciato.
Ma ci sono altre spiegazioni al suo ritorno sulla scena politica dopo la batosta della sentenza sul Lodo Mondadori. E’ stato costretto per non sentirsi dire che il capo dello Stato sta di fatto svolgendo un ruolo di supplenza politica. Addirittura pure la Merkel, dall’estero, «prova a governarci» titolava ieri Libero.

Insomma Berlusconi non ne sentiva la necessità tutto preso come è dall’ira per la sentenza sul Lodo Mondadori. Non usa infatti toni bipartisan ed è convinto di poter superare questo momentaccio, e portare a termine la legislatura. Tanto da far dire a Casini che si aspettava «un gesto di sensibilità istituzionale da parte del premier, che invece è fermo nel suo delirio di autosufficienza».
Ma la storia potrebbe non finire qua: non è detto che i movimenti speculativi si siano definitivamente fermati. Ora intanto la manovra verrà approvata mettendo la fiducia. Sembrava che non ce ne fosse bisogno visto che l’opposizione aveva dato via libera (anche il Quirinale non gradisce che il governo metta la fiducia). «Lo facciamo solo per problemi tecnici, per fare prima», spiega il vicecapogruppo del Pdl al Senato Quagliariello. Sarà pure così, ma è comunque un segno di nervosismo, un volersi assicurare un risultato che alla fine rafforza Berlusconi preoccupato per quello che succederà dopo.

Una volta superata lo scoglio di questi giorni, i problemi della maggioranza rimarranno tali e quali, a cominciare dal rapporto con il ministro dell’Economia. Ieri a Montecitorio girava voce che dall’inchiesta su Milanese sono in arrivo altre carte compromettenti per Tremonti. E che questo potrebbe spingere verso un governo di transizione. Nella maggioranza c’è pure chi se lo augura nella convinzione di potere scaricare l’onere di affrontare la difficile situazione economica e finanziaria. Sono solo elucubrazioni che danno il senso di affanno del centrodestra.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/411262/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La Lega spaventa il Cavaliere "Nessuna alternativa a me"
Inserito da: Admin - Luglio 16, 2011, 04:57:55 pm
Politica

16/07/2011 - IL CASO

La Lega spaventa il Cavaliere "Nessuna alternativa a me"


«E Bossi lo sa». Il premier tenta di fugare i forti malumori padani.

Però Maroni avvisa: a settembre molte cose cambieranno, vedrete

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Bossi vuole mandare «in galera» Alfonso Papa. Il capo leghista ritira fuori quel cappio che agitò Luca Leoni Orsenigo nell’aula di Montecitorio nel 1993 durante gli scandali di Tangentopoli. L’allusione alle forche per i politici corrotti fa rabbrividire Berlusconi che sta facendo di tutto per salvare il suo deputato e convincere il leader leghista a cambiare posizione. Il Senatur promette ma poi non mantiene. Come è successo ieri mattina quando il premier gli ha telefonato per votare contro l’arresto ma poi i leghisti in Giunta si sono astenuti facendo passare la posizione dell’opposizione. «Guarda Umberto, se lasciamo passare l’arresto di uno poi diventa una valanga. E io non sono disposto ad arrendermi alla gogna giudiziaria autorizzando arresti preventivi. E poi magari il povero cristo risulta innocente dopo anni di calvario». E a tutti i parlamentari che sono andati a salutarlo ha detto che bisogna rimanere uniti, di essere contrario ai processi in aula. «La carcerazione preventiva per un parlamentare sarebbe un gravissimo precedente». Si sfoga ed esprimere amarezza per la sentenza sul Lodo Mondadori («non sono arrabbiato, di più...»), che avrebbe arrecato sofferenza ai suoi familiari.

Archiviata la manovra economica Berlusconi torna a parlare e si lancia in una affermazione che un ministro ha definito «lunare», cioè che adesso è l’ora delle riforme, anche quella fiscale per abbassare le tasse. La verità è che non ci crede nessuno e nemmeno lui. Torna a parlare in pubblico e in privato. Ma in pubblico lo fa con misura. Ieri, uscendo dall’aula a votazione conclusa si è presentato con un foglietto scritto a mano dentro una cartella di pelle rossa con le dichiarazioni da rilasciare alla stampa. Alla prima domanda scomoda è stato tirato via da Sestino Giacomoni, uno dei più stretti collaboratori. In privato spiega che bisogna resistere all’assalto delle procure che vogliono abbattere il governo, «ma non c’è un’alternativa a questa maggioranza e Bossi lo sa». Ecco che ritorna il problema dei rapporti con la Lega che ha difficoltà a far accettare al suo elettorato un’alleanza con un Pdl pieno di inquisiti. Perché non c’è solo il caso Papa, Milanese e Romano. Sarebbero in arrivo da diverse procure richieste d’arresto per almeno 3 parlamentari (c’è chi parla di 7), tra cui un deputato ligure e un presidente di Provincia. Poi a Montecitorio non si fa altro che parlare di quello che potrebbe venir fuori dalle carte di Napoli su Tremonti, ma il procuratore Lepore lo ha escluso categoricamente.

Ieri Tremonti era particolarmente affabile. Parlava di libri e di Simenon dicendo di avere letto «Tre camere a Manhattan» e «Il Presidente». Su quest’ultima citazione si sono scatenati i giornalisti e le malelingue che sono andati a riprendere la storia in cui si narra di un uomo molto potente che era stato a un passo dal diventare Presidente della Repubblica. Ma vecchio e malato viene controllato perché qualcuno lo ritiene pericoloso. Tra questi il suo ex segretario particolare che sta per diventare primo ministro e che il Presidente tiene in pugno perché conserva una lettera compromettente. Dal tono rilassato della conversazione con i giornalisti tutto sembrava ma non che volesse fare riferimenti cattivi (Berlusconi e Alfano). Semmai il ministro dell’Economia era molto soddisfatto di aver portato in porto una manovra corposa, una diga contro la speculazione dei mercati: «L’Italia oggi è più forte». E anche lui si sente più forte, perché non teme nulla che possa esporlo nell’inchiesta sul caso Milanese.

L’enigma di Berlusconi si chiama però Bossi. Il premier sa che il leader della Lega è alle prese con forti contrasti interni, con un Maroni che ieri diceva ai suoi deputati di riferimento di stare calmi, di votare la manovra: «Poi a settembre molte cose cambieranno». Insomma, il Carroccio tornato all’origine del cappio staccherà la spina? Berlusconi ha invitato Bossi a non farsi incantare dalle sirene dell’opposizione e del Quirinale. Ma cosa accadrà è ancora un’incognita. Non si sa chi andrà al posto di Alfano alla Giustizia, anche se circola la voce che la prossima settimana verrà fuori il nome. L’«Incidente» è sempre dietro l’angolo e la sindrome del cappio spaventa il Cavaliere.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/411769/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi al Senatur "Non credere a Woodcock"
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2011, 07:03:24 pm
Politica

17/07/2011 - RETROSCENA

Berlusconi al Senatur "Non credere a Woodcock"

L'arma del voto segreto potrebbe salvare il deputato inquisito

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il giallo della Lega e i timori del Pdl. Il punto ancora non risolto è: cosa farà mercoledì il Carroccio quando verrà messa ai voti la richiesta d’arresto di Alfonso Papa? L’altro giorno, prima di lasciare Roma, Bossi si è sbilanciato, emettendo la sentenza. Ieri sera il clamoroso voltafaccia.

Che cosa è accaduto? Torniamo a venerdì sera, sull’aereo che riportava a casa Berlusconi e il Senatur. Il premier si è appellato alla tenuta della maggioranza, ha ricordato che verrebbe dato «un segnale devastante di divisione», si aprirebbe il portone di Montecitorio alle procure. «Umberto, non possiamo abbassare la testa. Ma ti rendi conto chi sta facendo le indagini, chi ha chiesto l’arresto di Papa? Quel Woodcock è un esaltato. Le sue indagini sono tutte finite nel nulla. E’ lo stesso che chiese l’arresto del deputato del Pd Margiotta e che la Camera respinse. Sai come è andata a finire? A maggio di quest’anno è stato assolto con formula piena. Ghedini - ha aggiunto il premier indicando l’avvocato seduto accanto - potrebbe farti un elenco infinito delle cause perse da Woodcock».

Bossi ha ascoltato senza dare una risposta definitiva. I due forse si vedranno domani per prendere una decisione. Non è escluso che il capo leghista stia trattando qualcosa (la nomina a ministro di Reguzzoni che lascerebbe la carica di capogruppo al maroniano Stucchi?). In fondo ha condiviso il ragionamento di Berlusconi, e ora bisogna vedere se alle parole seguiranno i fatti. Perché anche per lui fare marcia indietro dopo quel ringhio alla Bracardi «in galera» diventa difficile.

Anche perché Bossi ha un disperato bisogno di marcare sempre di più la differenza con il Pdl. Molti elettori lo hanno salutato alle scorse amministrative, e l’emorragia potrebbe continuare alle prossime prove elettorali. Un sondaggio che circola a via Bellerio evidenzia che sono in crescita i leghisti, scontenti di Berlusconi e della corte di inquisiti, che guardano con interesse all’Idv forcaiola di Antonio Di Pietro. Anche il suo zoccolo duro è costretto a turarsi il naso con le pinze, come hanno fanno tutti i deputati (la maggioranza che ha Maroni come punto di riferimento) quando hanno votano le leggi ad personam. E allora, che fa Bossi? Qui c’è il timore, che paradossalmente è anche una speranza, di Berlusconi.

Al di là delle parole di ieri sera, Bossi ha davanti a sè più di una carta da giocare. Potrebbe salvare Papa senza lasciare le impronte digitali. A scrutinio segreto i voti per respingere l’arresto potrebbero arrivare un po’ dalla Lega e dall’Udc, e qualcosina anche dal Pd. Del resto, anche nell’opposizione non sono pochi i deputati che temono di aprire il portone di Montecitorio alle procure. E poi basta non presentarsi alla Camera al momento del voto, una cinquantina di assenze strategiche, si abbassa il quorum e il gioco è fatto. Bossi potrebbe fare propaganda, dire di aver tenuto duro, cavalcare gli istinti forcaioli, non sporcarsi le mani. O ancora: dire che nessuno va in galera senza processo, e poi, nel segreto dell’urna, far scattare il doppio gioco e le manette. Ovviamente Bersani e Casini faranno di tutto per non farsi prendere in giro e non levare a Bossi le castagne dal fuoco.

Ma riusciranno nel loro intento a garantire la presenza di tutti i loro deputati? C’è un’ipotesi che potrebbe levare tutti dai guai: Papa si dimette e si consegna ai carcerieri. Domani sera, dunque, una nuova puntata: se l’incontro con il premier verrà confermato, il Senatur potrebbe attenuare la sua posizione, magari scegliere di far astenere i suoi deputati, poi la roulette russa del voto segreto farà il suo gioco. Ma ora dovrà vedersela con Maroni, che vuole a tutti i costi il voto per l’arresto dell’ex magistrato.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/411865/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Una poltrona a Reguzzoni per placare la guerra nella Lega
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2011, 10:02:22 am
Politica

18/07/2011 - RETROSCENA

Una poltrona a Reguzzoni per placare la guerra nella Lega

Ma la mina vagante è Romano: Maroni non difenderà un indagato per mafia

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il dietrofront di Bossi sul caso Papa rende felice Berlusconi, ma non è gratis. Certo, il Senatur condivide il ragionamento del premier, quello di non aprire il portone di Montecitorio alle procure perchè da lì può entrare lo tsunami che travolgerebbe la maggioranza. E poi questo Woodcock («un esaltato») non ne ha mai azzaccata una. Il risultato, chiosa lo stesso capo leghista, che sembra avere rimesso il cappio nel cassetto, è che a guadagnarci sarebbe Di Pietro, come ai tempi di Craxi. Poi, aggiunge Berlusconi, se dovesse finire in carcere Papa con i voti leghisti, a settembre la vittima successiva sarebbe Milanese, che si trascinerebbe Tremonti. Ma sul ministro dell’Economia il leader del Carroccio tira il freno a mano. Sabato sera alla festa del Redentore a Venezia si è lanciato in una sperticata difesa. «Tremonti non si tocca: è appoggiato dalla Lega, non lo uccide nessuno. Io i miei amici li difendo, Tremonti è una persona perbene».

Ma, appunto, non c’è solo questo nella piroetta del capo leghista che ha mandato in bestia Maroni. No, ci sarebbe il trasferimento del capogruppo del Carroccio Reguzzoni al ministero per le Politiche comunitarie. Lasciando libera una casella destinata a Stucchi, uomo di Maroni. Così, si illudono Bossi e Berlusconi, il ministro dell’Interno si tranquillizza e se ne sta calmo. Questo ministero è rimasto vacante in attesa che Ronchi, dimessosi per seguire Fini, rientrasse come il figliol prodigo. In effetti è tornato, ma è stato lo stesso Ronchi a rinunciare a quella poltrona che aveva lasciato tra tormenti e sofferenze. Si è consultato con Alemanno e altri amici romani ex An, e tutti gli hanno consigliato di rimanere fuori dal governo: «Ti sputtaneresti».

Ecco, l’incontro di oggi tra il premier e Napolitano (è stato chiesto dal premier attraverso Letta: la precisazione del Quirinale non è casuale) potrebbe servire anche a fare il punto delle nomine ministeriali. A cominciare dalla sostituzione alla Giustizia dello scalpitante Alfano (si dimetterà nei prossimi giorni) che non vede l’ora di cominciare a fare il segretario del Pdl a tempo pieno. Berlusconi non ha un nome secco: porterà al Quirinale una rosa di nomi e il Colle esprimerà un gradimento. Sistemato così il governo, il premier penserà alla sopravvivenza futura. Bossi continua a puntellarlo perchè non pensa che ci sia un’alternativa credibile. Diffida di esecutivi tecnici e di larghe intese che passerebbero per la decapitazione del Cavaliere e anche della sua. Osserva i movimenti dell’opposizione e si infastidisce quando gli avversari lisciano il pelo a Maroni (ieri lo ha fatto Bocchino del Fli). Veltroni invece liscia il pelo ad Alfano (al Corriere della Sera ha detto che potrebbe essere «l’uomo di una nuova destra»). Guarda caso Maroni e Alfano sono i due protagonisti del superamento del tandem Bossi-Berlusconi. Ma è difficile che i due delfini vogliano commettere il parricidio. Sono due persone leali, ma fino a quando non commettono l’assassinio politico non avranno ali per volare.

A preoccupare Berlusconi è la faglia dentro la Lega, con Bossi che sbanda, si contraddice e getta nel panico la base. Venerdì ha detto che Papa deve andare «in galera»; dopo 24 ore la piroetta: «Non va bene mettergli le manette prima del processo». Il Cavaliere applaude, Maroni è furioso. «La situazione è diventata insopportabile. Se voteremo no all’arresto di Papa, dovremo fare lo stesso per Milanese, ma poi arriva il caso Romano e per me sarebbe devastante salvare pure chi è accusato di essere vicino alla mafia». Maroni è in cul de sac: non può contraddire Bossi; nonostante il voto segreto di mercoledì, non può chiedere ai deputati che fanno capo a lui (40 su 59) di votare sì all’arresto di Papa perchè verrebbe sconfessato il capo. Ieri sera Bossi ne ha detta una terza, e chi ci capisce ancora qualcosa è bravo. A settembre comunque potrebbe esserci la resa dei conti tra i maroniani e il cerchio magico filoberlusconiano che sta attorno a Bossi. Sul caso Romano, su cui pende la mozione di sfiducia dell’opposizione, il ministro dell’Interno non potrà che puntare i piedi.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/411970/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. "Ormai la parola di Bossi non conta più nulla"
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2011, 05:56:46 pm
Politica

21/07/2011 - RETROSCENA

"Ormai la parola di Bossi non conta più nulla"

L'ira di Berlusconi tradito dal più fedele alleato: «Ora bisogna trattare con Maroni»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Da oggi la parola di Bossi non vale più niente. Ora bisogna capire cosa ha in testa Maroni. E’ con lui che bisogna parlare». Berlusconi ha capito che si è chiusa un’epoca, che nella Lega non comanda più il Senatùr. Ora si possono aprire scenari imprevedibili. Anche un governo istituzionale, da evitare. Ha capito che «con questo voto si è celebrato il congresso della Lega, e ha vinto lui».

Ha vinto quel Bobo Maroni che non è andato a sedersi tra i suoi deputati, mentre dal banco del governo dopo il voto è stato notato quel signore vestito di scuro con la camicia bianca che si è avvicinato al «nuovo» capo della Lega. «Abbiamo un ottimo ministro dell’Interno, complimenti». Di Pietro gli ha stretto la mano e si è allontanato. Soddisfatto. Una scena che non lascia presagire nulla di buono per Berlusconi e che ha fatto salire un brivido lungo la schiena ai più stretti collaboratori del premier. Il quale di primo acchito non aveva capito come era finita la votazione. Si è consultato con Fitto, alla sua destra, e quando ha realizzato il disastro il suo volto è diventato terreo. Ha battuto il pugno sul tavolo ed è uscito dall’aula per infilarsi nella stanza del governo. Qui è esplosa tutta la sua rabbia. Non ha risparmiato nessuno. Casini che «in una giornata ha bruciato tutto il suo passato politico». E poi «quei Radicali che da una vita ci riempiono la testa con il garantismo e ora si scoprono improvvisamente forcaioli». Per Berlusconi è «una vergogna». Una vergogna per tutti, per il Pd che manda in galera Papa ma al Senato salva Tedesco. Dice che bisogna resistere all’ondata di manette, reagire a «questo medioevo giudiziario».

Ma il problema centrale è la Lega, dove ci sarà una resa dei conti tra i maroniani e i filogovernativi inviperiti di Reguzzoni, con Bossi che non controlla più il partito. Il Senatùr aveva assicurato a Berlusconi la riuscita del rischioso gioco acrobatico: dire di sì all’arresto per salvare la faccia di fronte al proprio elettorato; poi nel segreto dell’urna salvare Alfonso Papa, con una trentina di voti leghisti contrari alle manette. Nella speranza che dall’opposizione arrivasse il soccorso. Era quello che la sera prima del voto il capogruppo Reguzzoni aveva confidato durante una cena, ma un uccellino è andato a riferirlo a Maroni. «Vedremo se il giochino riesce», è stato il commento di Maroni.

«E’ con Maroni che adesso bisogna parlare», diceva ieri un ministro berlusconiano mentre lasciava Montecitorio. Ed è lo stesso concetto che in serata si è sentito ripetere Berlusconi durante un vertice che si è svolto a Palazzo Grazioli. E’ con il nuovo leader leghista che bisogna fare i conti per evitare che lui guardi oltre il centrodestra. Nessuno ha osato dire quello che in privato alcuni confidano, e cioè che è arrivato il momento di passare la mano ad Alfano con un nuovo governo retto da un nuovo asse Maroni-Alfano, appunto. Lo dovrebbe capire da solo il Cavaliere. Il quale tra l’altro, incontrando in mattinata i coordinatori del Pdl, ha spiegato che inevitabilmente si sente a fine corsa. E’ il momento di spendere tutte le energie del partito per sostenere Angelino e la sua candidatura alla premiership. «Se siamo bravi, se siete bravi - ha detto ai dirigenti regionali del Pdl - ce la possiamo fare a vincere nel 2013. Abbiamo 20 mesi per recuperare terreno».

Venti mesi che sembrano un’eternità dopo il catastrofico voto di ieri su Papa e l’incapacità della maggioranza di mettersi d’accordo sul decreto rifiuti e sugli altri temi che dividono le strade della maggioranza. Proprio ieri, il viceministro Castelli ha avvertito che non è più disposto a finanziare le missioni militari all’estero. Ora Berlusconi proverà a chiarire con Bossi. Ma ha poche speranze di poter trovare la «quadra», come ai vecchi tempi, di frenare le prospettive politiche di Maroni. Si rende conto che il vero chiarimento per salvare il governo e non aprire il portone dei Palazzi alle procure deve averlo con il ministro dell’Interno. Non c’è altra via d’uscita, è stato osservato da tutti nel vertice di ieri sera, perché l’esecutivo non può sopravvivere se gli accordi che vengono presi da Bossi poi vengono capovolti in aula dalla forte pattuglia maroniana. Quell’«abbiamo un ottimo ministro dell’Interno» pronunciato da Di Pietro apre lo scenario di un governo istituzionale magari presieduto dallo stesso Maroni. Il quale ieri ha avuto il coraggio di fare lo strappo nei confronti di Bossi. Ora lui attende che altrettanto faccia il nuovo segretario Alfano.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/412374/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Cavaliere in Sardegna senza certezze.
Inserito da: Admin - Agosto 07, 2011, 12:28:41 pm
Politica

07/08/2011 - RETROSCENA

Gli scongiuri del premier: "Quello che accadrà ora non dipende da noi"

Cavaliere in Sardegna senza certezze.

Bonaiuti: bisognerà rifare i calcoli

AMADEO LA MATTINA
ROMA
Basterà l’annuncio fatto venerdì da Berlusconi e Tremonti di anticipare al 2013 il pareggio di bilancio? Nella maggioranza non c’è traccia di ottimismo. Il governo rimane con il fiato sospeso durante il fine settimana in attesa dell’apertura delle borse. A a complicare tutto è arrivato ieri il downgrade del debito sovrano americano. «Quello che accade e accadrà non dipende da quello che facciamo noi», ha spiegato ieri Berlusconi che prende tempo. Infatti non è stata ancora fissato il Consiglio dei ministri che dovrà rendere operativa la mossa annunciata insieme al ministro dell’Economia. Ci sarà prima l’incontro con le parti sociali, l’audizione di Tremonti in Parlamento e poi «bisognerà rifare i calcoli», dice il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, che smentisce una riunione del governo tra mercoledì e giovedì.

Non è questo il problema, osservano a Palazzo Chigi.

Il problema principale è verificare se la Bce comincerà ad acquistare i titoli di Stato italiani.
Questo darebbe all’Italia una vera boccata d’ossigeno. La Germania sembra ancora contraria, ma la pressione che viene da Washington e da Parigi potrebbe sbloccare il veto della Merkel. Bossi lo ha detto chiaro e tondo: se non riusciremo a far comprare i titoli di Stato alla Bce, diventa «un casino; tutti hanno paura che diventino carta straccia». Il leader leghista tuttavia è convinto che la svolta ci sarà e ciò grazie alla decisione di anticipare di un anno il pareggio di bilancio. La stessa certezza Berlusconi non ce l’ha perchè quanto accadrà negli Stati Uniti dopo il downgrade ha effetti imprevedibili. Si teme il peggio. E non è per nulla consolatorio il giudizio di un ministro che parla di nemesi per Washington: «Per anni l’Italia è stata criticata e attaccata per il suo debito pubblico, ora anche gli Usa subiscono il giudizio negativo di un’importante agenzia di rating».

Una magra consolazione per il Berlusconi che vola nella sua villa in Sardegna ma deve mostrarsi totalmente concentrato sulla crisi internazionale («la nostra attività continua senza interruzione»). Deve dimostrare di essere saldamente in sella. Smentisce ipotesi di elezioni anticipate, avalla i contatti con l’Udc di Casini attraverso il segretario del Pdl Alfano per allargare il sostegno al suo governo. «In questo momento - sostiene il premier - la cosa più deleteria per il nostro Paese è mostrare segnali di sbandamento politico. Ad essere allo sbando è l’opposizione che divisa su come fare il bene dell’Italia».

Che invece lo sappia il presidente del Consiglio non è un dato certo. In pochi giorni ha cambiato posizione: ha anticipato al 2013 il pareggio di bilancio dopo avere escluso questa ipotesi solo 48 ore prima. Adesso da più parti ci vengono chieste altre misure per rafforzare il rigore. Dalla Bce e da Bruxelles arrivano indiscrezioni secondo cui quelle varate finora sono insufficienti. Tremonti sostiene che invece la manovra va bene così com’è. I prossimi giorni ci daranno se è vero o se il governo dovrà fare un altro dietrofront. Intanto non c’è la convocazione del Cdm. Il destino del centrodestra è senza dubbio legato alla crisi. E Berlusconi prende tempo e non può permettersi di andare a elezioni anticipate. «Sarebbe un suicidio in queste condizioni», ha detto ieri a Francesco Storace, leader della Destra, che gli consigliava di introdurre misure contro i costi della politica. Sarebbe un suicidio tranne se Alfano riuscisse ad agganciare Casini nella prospettiva di una nuova alleanza politica. Un centrodestra allargato ancora una volta all’Udc avrebbe maggiori possibilità di vincere le elezioni politiche. Almeno così ragiona una parte del Pdl. Quella parte che si illude nella ciambella di salvataggio, ora che il Terzo Polo, a parole, è disposto ad evitare che l’Italia (più che Berlusconi) anneghi come la Grecia.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/414838/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi prudente ma pronto ad accelerare
Inserito da: Admin - Agosto 08, 2011, 11:24:36 am
Politica

08/08/2011 - LA CRISI LA REAZIONE

Berlusconi prudente ma pronto ad accelerare

In settimana il Consiglio dei ministri dovrà approvare quanto annunciato venerdì

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Non solo passeggiate e dieta a Villa Certosa ma anche continui contatti con Tremonti e le Cancellerie europee, soprattutto con Berlino e Parigi. Così viene descritta la giornata di Berlusconi in attesa della riunione della Bce e del G7. Un’attesa preoccupata per il comportamento della Merkel che si era messa di traverso sull’acquisto dei titoli di Stato italiani. Alla fine nel governo c’è un cauto ottimismo di fronte all’indiscrezione filtrata dall’Eurotower secondo cui gli acquisti verranno fatti su vasta scala. Ma la condizione è che ci sia un’immediata anticipazione della manovra economica. E’ questo il prezzo che l’Italia deve pagare. Così in settimana il Consiglio dei ministri dovrà portare in porto quanto era stato annunciato pochi giorni fa dal presidente del Consiglio e dal ministro dell’Economia. Cauto ottimismo, prudenza dettata dall’incertezza sull’apertura delle borse e soprattutto sulla necessità di raffreddare lo spread tra Btp e Bund tedeschi che ha raggiunto livelli record. Berlusconi e Tremonti sono pronti ad accelerare sui tempi del pareggio di bilancio, intervenendo con un decreto legislativo. Il passo fondamentale dovrebbe essere fatto nel Consiglio dei ministro di giovedì. Berlusconi e Tremonti vogliono mantenere l’impegno che Sarkozy e la Merkel ieri hanno sollecitato con forza. Berlino e Parigi mettono fretta a Roma, ma per Berlusconi questo non significa che «l’Italia sia commissariata» come da più parti, a cominciare dall’opposizione, viene sostenuto. «E’ normale che nella condizione eccezionale in cui ci troviamo - spiega il premier - tutti insieme cerchiamo di trovare una via d’uscita, ma nessuno ha la bacchetta magica». I problemi infatti si moltiplicano. Se prima l’occhio del ciclone era la Grecia ora la tempesta è arrivata negli Stati Uniti dopo il downgrade dell’agenzia Standard & Poor’s. Le fiamme della speculazione si espandono in tutto il mondo e nemmeno Paesi come la Francia sono al riparo dall’incendio. «Quello che non capiscono le nostre opposizioni provinciali - dice il capogruppo del Pdl Cicchitto - siamo di fronte a una autentica tragedia, alla più grave crisi attraversata dal capitalismo contemporaneo. Una crisi peggiore di quella del 1929. Bersani è un irresponsabile, non si rende conto che i giochetti sono finiti e l’Italia si gioca tutto». Ma il governo italiano e la sua maggioranza faranno fino in fondo la loro parte, assicurano a Palazzo Chigi. E se non dovesse bastare l’anticipo del pareggio di bilancio, non si esclude neanche il ricorso ad altre e nuove misure immediate per reperire altre risorse. Fonti della maggioranza ieri parlavano di un decreto per interventi d’emergenza, ma si tratta solo di voci. Al ministero dell’Economia escludono che siano necessario un piano B perchè quello che è stato messo in cantiere è quanto ci è stato chiesto e potrebbe bastare. Il condizionale è d’obbligo perchè già altre volte sono state esclusi nuovi interventi tranne poi fare dietrofront. Ma a Palazzo Chigi, ovviamente, incrociano le dita: già l’anticipo della manovra dal 2014 al 2013 comporterà molti sacrifici per gli italiani. Sacrifici che avranno effetti sul consenso elettorale. Una cosa viene data per certa: non sarà mai introdotta la patrimoniale. E’ l’atteggiamento della Germania che infastidisce molto il nostro governo. Infastidiscono i toni perentori che sono stati usati da Sarkozy e dalla Merkel nel comunicato congiunto in cui si chiede l’immediata anticipazione della manovra. Toni che di solito sono stati usati per la Grecia e che danno fiato ai partiti dell’opposizioni. «La Germania - spiega un ministro - non capisce che se l’Italia va a gambe all’aria non si salva più nessuno, perchè poi sarà il turno della Francia e alla fine non ci sarà più l’Europa. Anche Berlino verrebbe travolta dallo tsunami».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/414914/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: non voglio fare come Prodi.
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2011, 12:19:10 pm
Politica

11/08/2011 - LA CRISI- IL GOVERNO

Patrimoniale, il premier non cede E spunta l’ipotesi Eurotassa

Berlusconi: non voglio fare come Prodi. Poi lo sfogo: ho già perso un miliardo

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi resiste. Per lui sono ore e giorni neri. Lo sono certamente per tutti i leader occidentali, ma per chi ha sempre promesso che non avrebbe mai e poi mai messo le mani nelle tasche degli italiani il momento è ancora più buio. Ieri sera a Palazzo Grazioli, con Alfano, Bossi e Tremonti, cercava di resistere ad ogni forma di patrimoniale, di nuova imposta. Gli si è accapponata la pelle quando il segretario del Pdl e il ministro dell’Economia hanno pronunciata la parola «Eurotassa». La sua mente è subito andata al ‘96, quando Prodi e Ciampi introdussero l’Eurotassa per entrare nell’Euro. Allora gli italiani pagarono per avere la nuova moneta, ora dovrebbero pagare per tenersela stretta. Ma già l’accostamento al suo acerrimo nemico che lo ha sconfitto due volte alle elezioni gli fa rivoltare lo stomaco. «Non se ne parla». Pure Bossi ha scosso la testa. Ma il premier deve comunque prepararsi ad una resa, ad una correzione dei conti lacrime e sangue.
E nessuno nella maggioranza può esimersi visto che, come ha detto lo stesso Cavaliere alle parti sociali, è cambiato il mondo dalla scorsa settimana quando aveva visto sindaci e Confindustria.

Nessuno la chiamerebbe patrimoniale. Meglio chiamarla Eurotassa, contributo straordinario di solidarietà che andrebbe a pesare sulle fasce di reddito medio alte. Tuttavia la montagna di soldi che il governo dovrà trovare è enorme e nella riunione tra Alfano e i capigruppo nel pomeriggio di ieri tutti erano d’accordo sul fatto che siamo di fronte al rischio del declino del modello economico occidentale.
Quindi bisogna fare di tutto per scongiurare questo rischio, facendo noi la nostra parte. Insomma bisogna convincere Bossi a mettere mano alle pensioni e Berlusconi ad adottare una nuova tassazione. Metterci la faccia significa assumersi tutte le responsabilità, anche quelle più dolorose dal punto di vista del consenso sociale ed elettorale. Questo, è stato detto nel Pdl, alla lunga pagherà: quando si uscirà dalla tempesta mondiale, Berlusconi si potrà assumere tutti i meriti.

Facile a dirsi, difficile far fare al Cavaliere ciò che ha sempre escluso nella sua vita politica. Forse per questo il premier è stato visto dai rappresentanti delle parti sociali molto giù di tono. Addirittura appisolarsi. E’ rimasto sconcertato quando la segretaria della Cgil Camusso ha minacciato lo sciopero. Sembra che abbia sussurrato a chi gli stava accanto: «Sembra il capo dei sindacati greci, e si è visto che fine hanno fatto lì i sindacati». A proposito della Camusso. Quando la leader sindacale ha messo l’altolà a misure che colpirebbero i ceti popolari deprimendo ancora di più i consumi, Letta ha risposto: «La sua preoccupazione su chi colpire è anche nostra, ma qui è cambiato il mondo...». A chi insisteva per sapere cosa contenesse la lettera inviata a Berlusconi da Trichet e Draghi, sempre Letta ha spiegato è «confidenziale»: «Quello che i giornali hanno scritto su questa lettera ha fatto male non al governo ma all’Italia. Comunque ora siamo oltre quelle richieste».

A Palazzo Chigi il governo ha drammatizzato molto la situazione e non poteva fare altro visto che le fiamme della recessione e il crollo delle Borse stanno colpendo tutti. «Anche io sono stato colpito: ho già perso un miliardo», avrebbe detto Berlusconi. Il quale però ora accelera. La convocazione del Consiglio dei ministri per la prossima settimana (fino all’altro ieri esclusa) è la conseguenza di questa drammatizzazione che ha portato anche la Francia a fare in fretta. Ma su cosa fare il nostro governo non ha ancora le idee chiare.
Bossi non vuole toccare le pensioni di anzianità, mentre sembra aver ceduto sull’innalzamento dell’età pensionabile per le donne.
Anche la Lega non è favorevole alla patrimoniale e l’Eurotassa nella serata a palazzo Grazioli perde quota.

Oggi forse se ne saprà di più. Certo, Berlusconi dovrà pur dispiacere gli italiani e cancellare le promesse fatte in tutti questi anni.
Ma vorrebbe condividere le misure con le parti sociali e l’opposizione tutta, non solo con l’Udc e il terzo Polo. Per lui sarebbe più facile inghiottire il rospo se la responsabilità fosse collettiva e spera molto nella capacità di Napolitano di convincere il Pd alla disponibilità nel sostenere i provvedimenti draconiani. In effetti il capo dello Stato avrebbe sentito Bersani e gli avrebbe consigliato di non arroccarsi sull’Aventino, ma di sedersi al tavolo e vedere le proposte concrete.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415326/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Tregua Berlusconi-Tremonti Il premier rassicura i "ribelli"
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2011, 07:23:25 pm
Politica

14/08/2011 - RETROSCENA

Tregua Berlusconi-Tremonti Il premier rassicura i "ribelli"

Villa Certosa. Ieri il premier Silvio Berlusconi ha lasciato Roma per trascorrere qualche giorno nella sua residenza in Sardegna

Ma c’è chi sostiene che dietro i critici del ministro ci sia proprio Silvio

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Tremonti è nervoso. E’ andato da Berlusconi a chiedere rassicurazioni sulla tenuta della manovra in Parlamento ma anche sulla sua sorte politica. Il premier nelle quasi due ore di colloquio lo ha rassicurato, dicendo di non stare ad ascoltare i retroscena. Eppure quello che hanno scritto un po’ tutti i giornali sulla sostituzione del ministro dell’Economia viene proprio da fonti molto vicine a Palazzo Grazioli. In autunno si vedrà. Ora però non è il momento di fare polemiche. C’è da suturare le ferite, far comprendere agli italiani i sacrifici, convincere le truppe parlamentari a votare le misure lacrime e sangue.

Nel governo c’è però il timore che la manovra non regga all’impatto con il Parlamento, che l’ira degli amministratori del Pdl (molti dei quali sono anche deputati e senatori) possa stravolgerla. Il gruppo degli ammutinati di Crosetto e Straquadanio è cresciuto arruolando l’ex ministro Martino. I giornali vicini al centrodestra usano la stessa definizione (stangata) di quelli dell’opposizione. Addirittura circola l’ipotesi (incredibile) che sarà lo stesso Berlusconi a fare da sponda a questa ribellione dopo che ieri ha detto a più di un ministro che lui «non è riuscito a incidere su nulla». Cosa che non è vera.

Insomma, circola voce che il presidente del Consiglio avrebbe rassicurato i «ribelli» che quando la manovra approderà nelle aule parlamentari qualcosa di significativo verrà modificato. E che poi in un secondo momento, con la delega fiscale, ci sarà l’aumento dell’Iva, un aumento che Tremonti gli ha impedito di fare. D’altronde non dicono tutti che il decreto varato dal Consiglio dei ministri è aperto ai contributi pure dell’opposizione? «Sì - spiega un alto dirigente del Pdl - ma si tratterà di piccole modifiche per accontentare una parte dell’opposizione (cioè l’Udc e il Terzo Polo ndr). Non si può certo far saltare la manovra. Ci riderebbe dietro tutto il mondo». Comunque la preoccupazione c’è e i capigruppo della maggioranza dovranno cercare di ammansire il gregge. Il più nervoso di tutti sembra invece Tremonti che si sente (e lo è) il bersaglio di tutti, un San Sebastiano trafitto dalle frecce di tutti. A cominciare da quelle di Berlusconi. La lettura dei giornali di ieri è stata molto indigesta per lui, con molti articoli che parlavano di scontri all’arma bianca tra il ministro dell’Economia e il premier, di sostituzioni una volta approvata la manovra.

Già l’inquilino di via XX Settembre vede nemici ovunque, anche tra i pochi (pochissimi) che gli sono rimasti amici, figurarsi quando ha capito che addirittura il governatore Draghi (suo arcinemico) andava in giro a dire che presto Giulio salterà dalla poltrona di Quintino Sella. Tremonti si è mostrato tranquillo alla conferenza stampa di ieri quando ha detto ai giornalisti di avere un’impressione: «Ci rivedremo». E Calderoli ha subito aggiunto «sì, ma non per una nuova manovra». Comunque, ieri, dopo questa conferenza stampa, Tremonti si è spostato a Palazzo Grazioli con in testa tutti quei retroscena che lo vedrebbero politicamente moribondo. E al premier avrebbe chiesto spiegazioni, più che altro rassicurazioni. Gli ha chiesto mettere fine agli attacchi che gli vengono da dentro il Pdl e di non esporsi più alle interferenze di Draghi. E questo anche per quanto riguarda la nomina del nuovo governatore della Banca d’Italia, cioè di colui che dovrà presto sostituire quel Draghi che al suo posto vorrebbe Saccomanni. Il ministro dell’Economia invece vorrebbe su quella prestigiosa poltrona Grilli, il suo direttore a via XX Settembre, un nome che non vede d’accordo il capo dello Stato. A parte questa importante partita, ci sono le intenzioni del Cavaliere a innervosire Tremonti. C’è una versione cruenta («si sono presi a pesci in faccia») del colloquio tra i due. Ce n’è un’altra più soft. Il ministro gli avrebbe fatto presente che, se non viene data l’idea di compattezza, questa manovra avrà enormi difficoltà a passare in Parlamento. Cosa che su cui il Cavaliere avrebbe convenuto. Da qui le dichiarazioni pubbliche del Cavaliere sulla bontà della manovra. D ’ a l t r o n d e , spiegano nel Pdl, si sono ristabiliti i ruoli. Tremonti non è più il deus ex machina che fa e disfa. Il premier ha avuto un ruolo primario, anche se ha dovuto accettare un compromesso. Lo stesso Pdl è stato al tavolo della trattativa, cosa che finora non era mai accaduto.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415703/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E Berlusconi si prepara a mettere la fiducia alla Camera
Inserito da: Admin - Agosto 15, 2011, 06:25:34 pm
Politica

15/08/2011 -

E Berlusconi si prepara a mettere la fiducia alla Camera

Il Cavaliere ai suoi: quello che mi fa soffrire è che passerò per l’uomo delle tasse


AMEDEO LA MATTINA

Berlusconi da Villa Certosa ripete sempre lo stesso mantra a chi lo ha sentito ieri al telefono. «Se c’è una cosa che mi fa soffrire maledettamente è di dover passare per l’uomo delle tasse». Ma il premier ha pochi margini di manovra e lo sa perfettamente. Così come si rende conto che alla fine dovrà mettere la fiducia al decreto varato giovedì dal governo. Intanto rabbonisce i ribelli del suo partito; in qualche modo li usa, dà loro spazio per tentare qualche modifica che gli faccia grondare meno il cuore. «Calmi, state calmi, sono dalla vostra parte. Cercheremo di fare qualcosa...». Ai piani alti della maggioranza però raccontano un’altra storia, cioè che i margini sono strettissimi. Magari un piccolo alleggerimento del contributo di solidarietà, forse qualcosina sulle pensioni di reversibilità. Si potrà ritornare alla carica con Bossi sulle pensioni di anzianità, ma l’impresa è ardua. Il Senatur è già in giro per il Nord a vendersi che grazie a lui le pensioni non sono state toccate, nonostante la richiesta arrivata della Banca d’Italia (leggi Draghi) pure durante il Consiglio dei ministri di giovedì. Allora si va verso piccole modifiche per accontentare i malpancisti del centrodestra e anche i centristi di Casini, oltre che il capo dello Stato che vuole una condivisione ampia. Poi alla Camera scatterebbe la fiducia sul testo che uscirà dal Senato. Dentro la maggioranza però crescono i ribelli mentre i tempi di approvazione delle misure lacrime e sangue sono stretti, strettissimi. Ieri è stata la Commissione europea a sollecitare un timing veloce e un voto con un ampio consenso. Lo stesso invito è venuto nei giorni scorsi dal capo dello Stato. Gli interlocutori principali sono quelli del Terzo Polo, innanzitutto l’Udc di Casini.

Più difficile trovare un’intesa con il Pd. Tuttavia i maggiori problemi verranno proprio dall’interno del centrodestra. Sul piede di guerra sono in molti. Non solo la già agguerrita pattuglia di Crosetto e Martino che conta otto deputati. C’è pure l’ala di parlamentari che fanno capo al sindaco di Roma Alemanno, che tra senatori e deputati ne conta oltre venti (più di una decina solo alla Camera). Senza sottovalutare i leghisti di fede maroniana. Il ministro dell’Interno in queste ore ha sentito molti sindaci e amministratori (molti di questi siedono a Montecitorio) della sua area e ha riscontrato un fortissimo malessere. Con loro ha discusso le proposte che possono essere trasformate in emendamenti per ridurre i tagli agli enti locali: tra queste l’aumento dell’Iva e magari un nuovo condono per i capitali che rientrano in Italia, questa volta facendo pagare più del 5%, come invece è stato fatto nel 2009. Ecco già che emerge una prima divergenza dentro lo stesso Carroccio dove Calderoli, in sintonia con Tremonti, parla sì di aumentare l’Iva, ma solo nell’ambito della delega fiscale. I maroniani vorrebbero farlo subito, modificando il decreto. Ed è quello che vorrebbero fare pure i ribelli del Pdl per diminuire le tasse al ceto medio. Con l’illusoria sponda del premier. Insomma, ad un certo punto il governo si potrebbe trovare in un collo di bottiglia. Si potrebbero riaprire i contrasti tra ministri, tra il premier e il responsabile dell’Economia. La discussione si farebbe macchinosa e senza via d’uscita. Per questo nella maggioranza si prevede che alla fine scatterà la tagliola della fiducia.

Il presidente del Consiglio attende di capire quanto forte e ostinata sarà la resistenza dei suoi parlamentari. Attende di capire quale effetto avrà l’opera di mediazione che sta mettendo in campo il segretario del Pdl. Alfano ha infatti già promesso a Crosetto un incontro in tempi ravvicinati. Forse già la prossima settimana. Più probabilmente quella successiva, quando (il 22 agosto) si riuniranno al Senato le commissioni che cominceranno ad esaminare la manovra. I capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri sanno che qualche proposta dei centristi dovrà essere recepita. Lo stesso discorso, a maggior ragione, vale per quelle che arriveranno dalla maggioranza. «Dobbiamo però stare attenti - spiegano i responsabili dei gruppi Pdl - a non inseguire ogni starnuto e soprattutto a mantenere invariati i saldi». Le distanze sono ancora molto forti e non sarà facile trovare il varco di un’intesa. Berlusconi dovrà rassegnarsi a passare per «l’uomo delle tasse».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415784/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L’idea: il quoziente familiare sul contributo di solidarietà
Inserito da: Admin - Agosto 18, 2011, 05:38:54 pm
Politica

17/08/2011 - RETROSCENA

L’idea: il quoziente familiare sul contributo di solidarietà
     
Il premier cerca di ingolosire l’Udc: modulazioni diverse per chi ha figli a carico

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi non sa come far bere l’amaro calice della manovra ai suoi parlamentari inquieti.
Come spiegare loro che «non c’è trippa per gatti». Si esprime così un alto dirigente del Pdl che esclude la possibilità di accogliere le proposte di Crosetto e Martino. Sì, qualcosa si farà ma si tratta di poca roba. Prendiamo le pensioni: chi lo dice a Bossi che bisogna toccarle mentre lui va in giro a vendersi come il salvatore della povera gente? E poi ci sono i sindacati, quelli considerati «buoni» (Cisl e Uil) che non vogliono sentire ragioni. Quanto agli strilli della Cgil, non vengono nemmeno presi in considerazione.
«La Camusso e Fassina del Pd parlano come Toni Negri», graffia Maurizio Gasparri. Alla fine quel poco che si potrà fare per addolcire le lacrime potrebbe riguardare il contributo di solidarietà, introducendo il quoziente familiare. «Questa - osserva il capogruppo Pdl al Senato - mi sembra una ipotesi ragionevole, sensata. Una modulazione ci vuole, perché una cosa è avere un reddito di 100 mila euro con quattro figli a carico, un’altra chi ha lo stesso reddito ed è single».

Con questa modifica si accontenterebbe il terzo Polo, in particolare l’Udc di Casini, e tutta l’area cattolica e ciellina del Pdl. Un’altra modifica considerata possibile è riportare a due anni il periodo di tempo in cui rimane in vigore il contributo di solidarietà.
Ecco su questo punto c’è un problema di non poco conto. Il premier ha svelato che al Consiglio dei ministri era stato deciso che sarebbe durata solo due anni, ma poi Tremonti li ha fatto diventare tre. «E’ una delle magie che si verificano spesso al ministero dell’Economia», dice un ministro che ricorda un altro recente precedente, quello dei ticket sanitari che dovevano essere introdotti dopo sei mesi e invece la mazzata è arrivata subito.

Berlusconi ha considerato la mossa dell’inquilino di via XX settembre un «colpo di mano, una presa in giro. Adesso però alcune cose vanno messe a posto. Non comanda lui». Anche perché, come dice Maurizio Lupi, uno dei dati positivi di questa fase è «il ritorno a una guida forte e politica da parte del presidente del Consiglio. Il ministro dell’Economia resta importante, ma è un ministro di un governo guidato dal premier». Questa uscita del vicepresidente della Camera ha irritato molto Tremonti. Il quale ha giudicato risibile la proposta dello stesso Lupi di tassare ulteriormente i capitali scudati. Un aumento nell’ordine dell’1 o del 2% rispetto al 5% già pagato con il condono del 2009.

Per Tremonti non è praticabile, per altri incostituzionale. Ma nel Pdl si chiede di studiare l’ipotesi (il premier è d’accordo) che porterebbe alle casse dello stato quei miliardi necessari a rivedere il contributo di solidarietà e introdurre il quoziente familiare.
In questo modo, ragionano nel partito, si andrebbe incontro alle richieste del Pd (nonostante i Democratici chiedono di tassare i capitali scudati con percentuali a due cifre) e dell’Udc. Su questo terreno Casini aspetta alla prova il segretario del Pdl Alfano. «Inoltre - precisa Lupi - si andrebbe incontro al giusto desiderio del capo dello Stato che chiede un voto parlamentare ampio». E poi, aggiunge Osvaldo Napoli, deputato Pdl e presidente dell’Anci, «mi sembra giusto far pagare di più agli evasori, così come non si può dare una mazzata agli enti locali. Tremonti provi a fare il consigliere comunale o il sindaco: si accorgerà che ce la farebbe a governare una comunità».

La prossima settimana al Senato si apriranno le danze degli emendamenti. Alfano riunirà ribelli e malpancisti a via dell’Umiltà.
Ma i margini sono strettissimi. Eppure questi piccoli aggiustamenti troveranno il muro del ministro dell’Economia.
Lo stesso Berlusconi, che tende a rassicurare le truppe, è consapevole che alla fine bisogna inghiottire il rospo. Ieri, tornando a Milano dalla Sardegna, ha inviato un messaggio ai naviganti. «È normale che ciascuno cerchi di portare avanti le sue proposte, ma io credo che poi, una volta che chiederemo la disciplina di partito, il risultato sarà l’unanimità».

La disciplina di partito alla fine prevarrà. E la fiducia, che verrà messa alla Camera, farà il resto. L’impressione è che il florilegio di proposte (compreso quella di innalzare l’Iva) serva piuttosto a contenere i tagli agli enti locali. Un terreno su cui si sta spendendo il ministro Maroni. Calma e gesso, avverte il pragmatico Gasparri. «Lo sfogatoio è normale, Ma non possiamo dare la sensazione che si decide una cosa un giorno e la smonta il giorno dopo».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415935/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi chiama Alfano "Basta fronde"
Inserito da: Admin - Agosto 19, 2011, 11:45:37 am
Politica

19/08/2011 - RETROSCENA

Berlusconi chiama Alfano "Basta fronde"

Il premier Silvio Berlusconi e il Segretario del Pdl Angelino Alfano

Il premier è nervoso anche per la dieta che sta facendo: deve perdere almeno cinque chili.

Lo sfogo di Maroni: "Se fossimo all’opposizione saremmo in prima fila a protestare contro i tagli"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Sarà Angelino Alfano a dover dare la brutta novella ai malpancisti e ai frondisti del suo partito. «Pensaci tu, qui ognuno dice la sua a ruota libera e sta diventando un caravanserraglio imbarazzante. Non se ne può più. Possiamo fare poco, molto poco e in fretta». Berlusconi è alle prese con una ferrea dieta per perdere almeno 5 chili che lo snerva. Ma l’irritazione maggiore del premier è dovuta alle reazioni che vengono dal Pdl. Uno spettacolo assurdo, un bailamme che può minare all’estero la credibilità della nostra manovra economica. E’ irritato anche per l’annuncio della Merkel e di Sarkozy di una tassa sulle transazioni finanziarie che avrebbe contribuito al nuovo pauroso crollo nelle borse. Berlusconi dice basta al prolificare di proposte non concordate, in contrasto tra di loro e soprattutto mai discusse nella maggioranza. Come il nuovo scudo fiscale.

Ecco, la prossima settimana (tra mercoledì e giovedì) Alfano incontrerà i notabili ribelli del Popolo della libertà e dovrà spiegare loro che c’è «poco, molto poco da fare». Tranne se Bossi non cede sulle pensioni. E’ quello che il premier sta ripetendo agli uomini a lui più vicini ma non ha detto direttamente ai Martino, Crosetto, Brunetta, Scajola. A tutti coloro che hanno sognato e sognano praterie liberali fatte di liberalizzazioni, privatizzazioni, riforme pensionistiche e quant’altro ha alimentato la propaganda di Forza Italia fin dalle origini. Poco, molto poco. Sì perché, ragiona Berlusconi, se tocchiamo le pensioni si inalberano Bonanni e Angeletti che non possono essere messi in difficoltà proprio ora che si trovano di fronte alla mobilitazione autunnale di «Camusso la greca» (il premier, facendo riferimento ai duri scioperi della Grecia, definì così la segretaria della Cgil dopo averla sentita all’incontro con le parti sociali, mercoledì scorso).

Poi su questo tema non può dispiacere l’amico Umberto che è ormai l’unico baluardo che gli è rimasto a difenderlo dal disincanto di Maroni e dalla furia degli amministratori locali leghisti. «Se fossimo all’opposizione - avrebbe confidato il ministro dell’Interno - saremmo in prima fila a protestare». Nella pancia del Carroccio inoltre non si capisce questa battaglia di retroguardia di Bossi in difesa delle pensioni di anzianità quando vengono soffocati con i tagli gli enti locali e le Regioni. Meno male che c’è l’Umberto a tenere a bada gli escamisados della Lega. Ma è proprio sul fronte pensione che c’è movimento. L’ha fatto capire ieri Calderoli rispondendo a Brunetta per il quale è il momento di intervenire sulle pensioni di anzianità equiparando l’età tra donne e uomini anche nel privato. «Se c’è questa esigenza ha osservato il ministro leghista - bene, lo si faccia, ma lo si faccia con uno scivolo di una durata sufficiente, perché sono diritti acquisiti».

Forse Bossi si muove su questo terreno. Il pressing di Maroni potrebbe trovare ascolto e consentire così a Tremonti di trovare i soldi necessari ad attenuare i massicci tagli che colpiscono gli enti locali. Potrebbe essere questo l’accordo tra Bossi e il ministro dell’Economia in occasione della cena di ieri per spegnere le 64 candeline di quest’ultimo. Trovare soldi. Come? Aumentando l’Iva? Per il Cavaliere non si può perchè la Confcommercio è contraria. Province da tagliare? Magari si può pensare a quelle più grosse che farebbero risparmiare veramente, mentre cancellare le piccole (come previsto già dalla manovra) non porta risorse alle casse dello Stato. Come andrà a finire? Un ministro spiega che da 1 a 10 si potrà fare 0,5, forse 1: un modo per dire che i margini per modifiche in profondità sono pochi.

L’ipotesi che rimane più gettonata è quella che introduce il quoziente familiare nel contributo di solidarietà. Si tratterebbe di trovare poche centinaia di milioni, che tra l’altro sembra ci siano già nelle pieghe della manovra perché il governo si è tenuto largo nel calcolo di alcune entrate (ad esempio quelle derivanti dalle accise sulla benzina). La morale è che Alfano, se non si interviene sulle pensioni, dovrà mettere il silenziatore a tutte le proteste e proposte. Il Parlamento dovrà fare in fretta nel convertire la manovra. Berlusconi è preoccupato per l’assalto degli speculatori

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416177/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Governo nel panico "Rischio manovra-ter"
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2011, 03:16:33 pm
Politica

06/09/2011 - RETROSCENA

Governo nel panico "Rischio manovra-ter"

Berlusconi irritato: credibilità dell'esecutivo non in discussione

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il governo è nel panico e l’appello di Napolitano accresce l’ansia e l’irritazione di Berlusconi. Tra i ministri si sprecano le parole d’allarme per descrivere la tempesta in cui naviga non solo l’Italia ma tutti i Paesi europei e gli Stati Uniti. E il premier è convinto che quello che accade a Piazza Affari non abbia nulla a che vedere con la manovra e la credibilità del suo governo, checché ne dica il capo dello Stato. Semmai si guardi agli effetti disastrosi che ha avuto la messa sotto accusa delle banche americane da parte dell’amministrazione di Washington. Con forti ricadute sugli istituti di credito dell’eurozona. E’ però rimasto molto colpito dall’accostamento tra Grecia e Italia («sono in una situazione di estremamente fragile») fatto riservatamente dalla Cancelliera Merkel durante un incontro con i parlamentari Cdu.

Il resto poi è sotto gli occhi di tutti: le borse in picchiata; lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi ieri schizzato a un massimo di 370 punti; Mario Draghi ricorda che l’acquisto dei titoli di Stato italiani potrebbe interrompersi. «Se i mercati continuano così e la Bce ci taglia l’ossigeno - spiega un ministro - resterà polvere di questa manovra che stiamo approvando in Parlamento. Tra un mese dovremo farne un’altra e questa volta la mannaia non potrà che cadere sulle pensioni. E Bossi non potrà più dire di no. E’ tutta benzina nel motore della protesta sociale e della Camusso, con il Pd e Di Pietro che mietono consensi». Una manovra Ter.

Ecco lo spettro che si aggira nelle stanze del governo: la paura di dover rimettere mano ai conti pubblici, essere costretti da qui a un mese a mettere in campo altre misure draconiane, non riuscire più a fermare la valanga. Con la conseguenza politica che a saltare sarà Berlusconi e tutta la coalizione di centrodestra. Si tratta di un'estrema ratio che tuttavia salta fuori con insistenza nelle conversazioni riservate. Ne hanno parlato pure ieri nella sede della Lega a via Bellerio Tremonti e Bossi. Così come si discute di rendere più stringente e chiara la cosiddetta “clausola di salvaguardia” di cui lo stesso Berlusconi aveva parlato al vertice di Parigi sulla Libia. In sostanza si tratterebbe di garantire che le eventuali mancate entrate dalla lotta all’evasione fiscale, messe già in bilancio con la manovra e che hanno suscitato molte perplessità a Bruxelles, verranno compensate con l’aumento dell’Iva di 1 o 2 punti. Forse a questo si riferisce Napolitano quando chiede di introdurre nella manovra «misure capaci di rafforzarne l’efficacia e la credibilità».

Ma è di pensioni di anzianità e delle donne che si ritorna a ragionare, più per il futuro che il presente. Il premier, in diretta telefonica con via Bellerio, e il ministro dell’Economia hanno cercato di convincere Bossi, senza esito. Il Senatur tiene duro sulle pensioni, mentre Maroni è favorevole a rivederle. Il pressing per il momento è fallito. Adesso la priorità assoluta è approvare la manovra che dovrebbe assicurare il pareggio di bilancio entro il 2013. Un’approvazione che potrebbe arrivare nei prossimi giorni sulla base di un voto di fiducia al Senato. La maggioranza vorrebbe evitarlo per venire incontro alle richieste dell’opposizione e alla volontà del capo dello Stato. Ma a Palazzo Madama sono ancora troppi gli emendamenti del Pdl e dell’Idv. Poi sono tanti gli scontenti del centrodestra. Il fuoco amico di Formigoni, Alemanno e Polverini fanno imbestialire Berlusconi, per non parlare di Tremonti. Il quale vuole arrivare al G7 dei ministri finanziari di venerdì e sabato prossimi con la manovra già in tasca, per la parte che quanto riguarda il passaggio al Senato.

E’ Tremonti che spinge molto perchè venga messa la fiducia. Non vuole scherzi, non vuole perdere altro tempo, non c’è più spazio per le «prove d’orchestra». Nemmeno per ascoltare il presidente della Repubblica? Ieri a via Bellerio Bossi, almeno su questo, ha dato il via libera alla fiducia. Berlusconi vorrebbe evitarla ma si rende conto che è quasi inevitabile. Ora però in qualche modo dovrà rispondere al Quirinale.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418873/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi teme pm e sondaggi
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2011, 12:28:52 pm
Politica

08/09/2011 - RETROSCENA

Berlusconi teme pm e sondaggi

"I magistrati vogliono uccidermi". Le rilevazioni lo danno perdente anche se alleato col Terzo Polo

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Nel giorno della fiducia, con i sondaggi a picco, Berlusconi sa che la tempesta non è finita. Anzi, la tempesta perfetta potrebbe arrivare nei prossimi 15 giorni. Il Cavaliere rimane chiuso a Palazzo Grazioli, assente dalla scena pubblica. Pensa solo ai guai giudiziari, al fango che gli sta piovendo addosso, le intercettazioni esplicite sulle sue prestazioni sessuali, le confidenze piccanti con Tarantini. Proprio quel Tarantini che insieme a Lavitola lo avrebbe ricattato, spillandogli soldi. Martedì prossimo i magistrati di Napoli andranno a sentire il premier a Palazzo Chigi come parte offesa. Ma per lui è chiaro che la musica dei pm non è suonata in sua difesa. «Vogliono uccidermi per le mie scopate. Vogliono delegittimare il governo, la mia persona in un momento così delicato per il Paese. È una vergogna pubblicare sui giornali conversazioni private. E nella maggioranza chi vuole fare altro ci metta la faccia, se ha il coraggio...».

Berlusconi non è andato al Senato per la fiducia e non andrà nemmeno alla Camera nei prossimi giorni. Deve prepararsi a rispondere, senza la presenza dei suoi avvocati, alle domande degli insidiosi magistrati napoletani (ieri pomeriggio ha ricevuto anche il senatore argentino, Esteban Caselli, il cui nome era saltato fuori in una telefonata tra lo stesso Berlusconi e Lavitola). Martedì prossimo tutto ciò potrebbe avvenire mentre i giornali spiattellano conversazioni telefoniche in cui il premier italiano esprime apprezzamenti poco lusinghieri su alcuni suoi colleghi europei. Sono questi i timori che serpeggiano nella maggioranza, il panico che prende alla gola ministri e capigruppo. Ed è solo una parte del problema. La via crucis infatti proseguirà mercoledì 13 settembre quando arriverà il voto in Giunta su Marco Milanese, ex braccio destro del ministro Tremonti. Un voto palese al quale farà seguito la settimana successiva quello a scrutinio segreto nell’aula della Camera. Dicono che la sorte di Milanese (il carcere) sia segnata e che le truppe fedeli a Maroni abbiano già pronto il pollice verso. «Quanto potrà resiste Tremonti al suo posto?», dicono i tanti nemici del ministro dell’Economia.

In questo lasso di tempo la manovra troverà sui mercati il suo banco di prova. Il punto di rottura sarebbe proprio questo: che tutto quello che è stato fatto non serva a fermare la speculazione, a evitare il crollo di Piazza Affari, a scongiurare il declassamento da parte delle agenzie di rating, ad accorciare lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. Ecco, la tempesta perfetta che teme Berlusconi. A quel punto la Lega non potrebbe più reggere la botta e le tensioni al suo interno, con Maroni in movimento per il dopo Berlusconi, esploderebbero. E’ la tenuta del Carroccio che teme il segretario del Pdl Alfano, più che i movimenti dentro la maggioranza. Si vocifera però di riunioni segrete, ipotesi di documenti di gruppi della maggioranza. Il deputato calabrese Pittelli dal Pdl è passato al gruppo misto. I sudisti di Miccichè sempre più lontani, argini che nella galassia meridionale si rompono con il passaggio all’opposizione dell’Mpa.

C’è la paura del baratro se Berlusconi non farà un passo indietro per un esecutivo di larghe intese, come gli suggerisce Pisanu. Mentre Cazzola consiglia di «saper lasciare al momento giusto». In molti si preparano all’apocalisse. C’è chi spera, e chi ne è sicuro, che di fronte alla tempesta perfetta sarà Napolitano a dire al Cavaliere, «nonostante tutto quello che è stato fatto, l’Italia sta affondando: evidentemente il problema è la credibilità del governo, il problema è lei...».

Il Cavaliere si illude di poter resistere. Ma è proprio dentro la sua maggioranza che cresce la consapevolezza di una fase politica nazionale finita, gravata da una eccezionale crisi internazionale. Il premier potrebbe dire, «allora elezioni anticipate», facendo paura ai parlamentari che non vogliono andare a casa. Ma lo stesso Berlusconi sa che perderebbe rovinosamente. Gli ultimi sondaggi sono disastrosi, 12 punti in meno sul 2008. Col tandem Pdl-Lega testa a testa con la sinistra pure se si alleasse con Casini e il terzo Polo.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419183/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora Berlusconi cerca la sponda di Napolitano
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2011, 11:53:15 am
Politica

14/09/2011 - RETROSCENA

Ora Berlusconi cerca la sponda di Napolitano

Silvio Berlusconi dopo il varo definitivo della manovra salirà al Colle per riferire al presidente Napolitano

Il Cavaliere al Quirinale per parlare della manovra, con l’inchiesta sullo sfondo

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A STRASBURGO

Oggi, accompagnato da Gianni Letta, Berlusconi dovrebbe salire al Colle. Ufficialmente con Napolitano non parlerà delle inchieste giudiziarie e dell’inseguimento dei pm napoletani che vogliono ascoltarlo come parte lesa nella vicenda Tarantino. Il premier vuole riferire dei colloqui avuti a Bruxelles e a Strasburgo col presidente del consiglio Ue Van Rompuy e con il capo dell’esecutivo europeo Barroso. Vuole parlare della manovra economica (a mezzogiorno si voterà la fiducia alla Camera e lui dovrebbe varcare il portone del Quirinale subito dopo), della necessità di ridare fiducia ai mercati «infiammati dagli articoli dei giornali e dai comportamenti delle opposizioni nei vari Paesi». Quelle opposizioni che avrebbero voluto contestarlo mentre lui si spostava da un’ala all’altra dell’Europarlamento e che ha sapientemente evitato, imbucandosi in porte secondarie. Ecco, il tema ufficiale è la manovra e i nuovi impegni per il rilancio dell’economia, ma non è escluso che il Cavaliere pieghi l’incontro su ben altro. Su quei magistrati che fanno di tutto per indebolire il governo, su quelli di Napoli in particolare, che vogliono ascoltarlo come parte lesa, ma che gli starebbero tendendo una «trappola». Il capo dello Stato si è sempre tenuto alla larga da questo terreno minato, e quindi dalle parti del Colle è difficile che Berlusconi trovi una sponda. Anche se i berlusconiani mettono in giro la voce che il Quirinale guarda con scetticismo l’inchiesta di Woodcock. Voci di parte, ovviamente, che non hanno riscontri e che magari sono messe in circolazione per screditare i pm partenopei. Ma il punto è: cosa farà il Cavaliere di fronte alla pressante richiesta di essere ascoltato? Non è stato fissato alcun altro incontro ed è molto improbabile che ce ne sarà qualcuno in futuro. Questa è la strategia che Berlusconi ha messo a punto con i suoi avvocati.

Dopo il forfait di ieri per «impegni europei», la procura partenopea ha posto l’ultimatum: entro pochi giorni il Cavaliere dovrà dare la sua disponibilità, altrimenti ci sarà l’accompagnamento coatto. Un’escalation che ha compattato la maggioranza attorno al presidente del Consiglio che torna a Roma con la convinzione che hanno ragione i suoi avvocati, Ghedini e Longo: è meglio sbattere la porta in faccia a Lepore. Berlusconi è un po’ spavaldo e spaccone. Oppure finge sicurezza. Va dicendo che se dipendesse da lui non ci penserebbe un minuto a incontrare i magistrati. «Non hanno nulla in mano e io non ho nulla da nascondere. Ho aiutato una famiglia in difficoltà, come ho fatto con tante altre. Tutti sanno che sono un tipo generoso. Dov’è il reato quando sia io che Tarantini diciamo la stessa cosa?». Nei ragionamenti del premier torna lo spettro dell’avviso di garanzia recapitato durante il vertice del G8: «Le procure stanno tentando l’ultimo attacco, non hanno nemmeno avuto il buon gusto di aspettare domani per parlare di audizione coatta. Non credano di farmi fare la fine del ’94». I suoi difensori continuano ad insistere: non è il caso di prestarsi alla «furbata» dei magistrati di Napoli. Loro - questa la convinzione dei legali - sono pronti ad accusare il premier di falsa testimonianza se il Cavaliere confutasse quei «fatti oggettivi» di cui parla Lepore. Insomma, non vogliono ascoltarlo, ma accusarlo, e tutto questo senza le garanzie e la tutela necessaria. Berlusconi non potrà avvalersi della facoltà di non rispondere e non avrà accanto a sè gli avvocati. Dunque, nessuna data. Tranne se non verranno concordate una serie di cose, a cominciare dalla presenza dei legali di Berlusconi. Questa possibilità rientra nelle facoltà dei magistrati e su questo si sta trattando. Sarebbe una ipotesi di mediazione la presenza di Ghedini e Longo (anche per evitare che il Cavaliere vada in escandescenza nei confronti dei pm). Un’altra condizione per fissare l’incontro è che vengano anticipati tutti i fatti che si vogliono sottoporre all’attenzione del premier, in modo tale da arrivare veramente preparati. Rimane il fatto che Berlusconi non darà alcuna disponibilità a quelli che considera degli accusatori, dei ricattatori, che diffondono le intercettazioni, che interrogano gli avvocati nonostante il segreto professionale, che sono fuori dalla loro competenza territoriale. Un’indagine che fa acqua da tutte le parti, sostiene il premier, e che mette in difficoltà il governo in un momento di terrificante per l’Europa e l’Italia. Chissà se tutte queste cose le metterà nel conto della tenuta del nostro Paese quando arriverà oggi al Quirinale?

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420100/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La fronda incita il premier ad andare contro il ministro ...
Inserito da: Admin - Settembre 29, 2011, 12:36:51 pm
Politica

29/09/2011 - IL CASO

"Silvio, tieni duro o perderai la faccia"

La fronda incita il premier ad andare contro il ministro del Tesoro

"Ha già ceduto sulla cabina di regia e sui sei miliardi di tagli"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi è tentato di puntare su un terzo nome per la più alta poltrona di Bankitalia. Il mister «X» non è stato ancora individuato, ma autorevoli fonti governative spiegano che c’è il rischio concreto che Saccomanni e Grilli vengano bruciati. Come alternativa sono circolati i nomi di Guido Tabellini, rettore della Bocconi, e di Lorenzo Bini Smaghi che siede nel board della Bce, ma che a novembre dovrà lasciare l’incarico. La scelta non è stata fatta e non è detto che si farà. Anzi, a Palazzo Chigi brancolano nel buio.

Il premier non decide, impigliato nei veti incrociati e nelle sue contraddizioni (c’è chi racconta che martedì aveva promesso a Tremonti di puntare su Grilli). La partita per la nomina del nuovo governatore, per dirla con lo Spiegel-online, è diventata «un pericoloso combattimento di galli». Una lotta di potere con Tremonti che ha fatto crescere al massimo l’irritazione del Capo dello Stato. Napolitano a tutto voleva assistere tranne che a una vera e propria rissa politica dentro il governo, con la novità che ora anche la Lega è divisa. Bossi ha calato l’asso su Grilli (il candidato del ministro dell’Economia), mentre Maroni punta su Saccomanni. Ieri in Transatlantico, mentre si votava nervosamente sulla sfiducia a Romano, il ministro dell’Interno ha incrociato Tremonti e gli ha detto: «Sbaglio o ad agosto si era deciso che era meglio mandare uno indicato da Draghi?».

Per superare lo stallo il Cavaliere sta pensando a un terzo nome. Ma questo rappresenterebbe una sconfitta per lui, il Pdl e Gianni Letta che ha ingaggiato su questo terreno l’ennesimo scontro con il ministro dell’Economia. Il quale fa diffondere un sospetto: perché Draghi è andato prima al Quirinale e poi a Palazzo Chigi? Per caso è andato a perorare con Napolitano e Berlusconi la causa di Saccomanni? «Non è possibile che un esponente istituzionale di così alto livello si metta a fare il piazzista per un candidato interno della Banca d’Italia - dice Tremonti - Sarà a andato a parlare dei massimi sistemi economici, non di questioni cortile». Domande retoriche e considerazioni taglienti per dire che Draghi sta intervenendo a gamba tesa. Ma nel Pdl cresce la rivolta contro l’inquilino di Via XX Settembre. Il capogruppo Cicchitto ha ricordato che si tratta di questioni così delicate che vanno affrontate con «grande ponderazione, non mettendo in pista dei nomi (Grilli) che possono rappresentare non un fattore evolutivo per la Banca d’Italia ma involutivo». Il partito di Berlusconi considera la tenuta sul nome di Saccomanni come la linea del Piave. Spiegava ieri un ministro: «Se Berlusconi non tiene nemmeno su questo punto è la fine della sua credibilità. Molti di coloro che sono qui - aggiungeva il ministro indicando i deputati - non si sentiranno più garantiti. Già ha ceduto sulla cabina di regia e oggi ha pure firmato il Dpcm che taglia di 6 miliardi i fondi dei ministeri. A decidere dove tagliare è sempre lui, Tremonti». Non tutti però sono così pessimisti e spiegano che alla fine Berlusconi la spunterà su Saccomanni. Lo stesso sostegno di Bossi alla candidatura di Grilli è vista dai più ottimisti come un modo per avere in cambio da Tremonti il via libera ad alcuni provvedimenti per lo sviluppo e la crescita che non siano quelli già programmati da Tremonti a costo zero.

L’altro ieri sera, al vertice di Palazzo Grazioli con Bossi, è stato deciso di creare un gruppo di lavoro composto da esponenti del Pdl e della Lega che lavori in questa direzione. Per il Pdl sono già al lavoro i ministri Romani, Fitto e Brunetta. Quando e se verrà fuori qualcosa di concreto, ci sarà sempre l’ostacolo del ministro dell’Economia. «Ma questa volta - assicura uno dei più stretti collaboratori del premier - Tremonti non potrà dire questo sì, questo no. Il suo potere di veto è finito. Sono tanti i ministri che non sono più disposti a votare a scatola chiusa le decisioni prese a Via XX Settembre». Vedremo. Intanto quella che lo stesso Tremonti chiama «tregua operosa» sembra volgere a suo vantaggio. Berlusconi è tutto preso dalla guerra con i magistrati. E ieri alla Camera cresceva la certezza che si andrà al voto nel 2012. Sono in molti a prepararsi al diluvio, a organizzare le proprie truppe. Lo sta facendo anche il sottosegretario Crosetto che sta mettendo su l’associazione «Controcorrente».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422532/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Bankitalia, Saccomanni resta in pole
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2011, 03:38:00 pm
Politica

30/09/2011 -

Bankitalia, Saccomanni resta in pole

Nel partito assedio a Tremonti. Ma c’è chi ipotizza una terna, con dentro Grilli e Bini Smaghi

AMEDEO LA MATTINA

Che il governatore della Banca d’Italia sarà, con molta probabilità, Saccomanni non si può ancora annunciare. Ma Berlusconi sa come finirà la partita, ne è consapevole. Chiede tempo. «E’ il segreto di Pulcinella», dicono alcuni autorevoli esponenti del Pdl che ieri sono andati a Palazzo Grazioli prima che iniziasse il vertice dei coordinatori e dei capigruppo della maggioranza. Il primo a spingere sul nome del direttore di Palazzo Koch è stato Angelino Alfano il quale si rende conto che questa partita è esiziale per l’autorevolezza e la credibilità del Cavaliere. «Non si può scherzare con il fuoco», ha incalzato il segretario del Pdl che teme anche una ricaduta sulla sua leadership e la tenuta di un partito in grande agitazione. Ieri se n’è andato Santo Versace, verso i lidi dell’Udc. Si parla di un’altra fuoriuscita imminente (ma non è confermata), quella dell’ex generale Gdf Speciale. Movimenti pure al Senato e nella pattuglia che alla Camera fa capo a Scajola. Tutte tensioni legate all’esito del braccio di ferro con Tremonti e alla possibilità di risalire la china dei consensi con misure popolari che compensino la stangata dell’ultima manovra economica. Non darla vinta a Tremonti è diventato lo spartiacque.

Il Cavaliere però non vuole forzature, ha bisogno di tempo (un ministro sostiene che si prenderà tutto il mese di ottobre per decidere su Bankitalia). Deve prima portare a casa la legge sulle intercettazioni, che la prossima settimana approda nell’aula di Montecitorio. Deve convincere Bossi a non appoggiare la candidatura di Grilli. E, soprattutto, ha la necessità di far decantare le tensioni col ministro dell’Economia. Impresa improbabile visto che la vicenda di Bankitalia è legata a doppio filo ai provvedimenti per la crescita e lo sviluppo. Raccontano che ieri nel prevertice di Palazzo Grazioli è stata consegnata al presidente del Consiglio una cartellina riservata contenente quelle che sono state battezzate le «tabelline tremontiane». Si tratterebbe di indiscrezioni sul decreto sviluppo che l’inquilino di via XX Settembre starebbe preparando («in assoluta autonomia e alla faccia della collegialità», dicono i berlusconiani). Sarebbero bozze fatte filtrare di soppiatto dal Tesoro il cui contenuto non piace al vertice del Pdl. E tutto questo mentre una commissione mista, composta da esponenti di partito e dei gruppi di maggioranza, dovrebbe elaborare proposte sulla stessa materia. L’uso del condizionale per descrivere tutto questo lavorio non è un caso, perché sono in molti nel Palazzo a non credono in grandi risultati. Far collimare le «tabelline tremontiane» coi desideri di Berlusconi sarà un rompicapo. E lo sfogatoio contro Tremonti a casa del premier è l’ulteriore prova che non c’è alcuna tregua. E’ stato pure ipotizzato che la lettera della Bce, pubblicata ieri dal «Corriere della Sera», sia stata data da Tremonti per infastidire Draghi e far capire chi è l’affamatore del popolo. Gli ambienti vicino al ministro dell’Economia invece puntano il dito proprio contro Draghi: è stato lui a dare la missiva al giornale. Come se non bastasse, a far infuriare i ministri è stato anche il Dpcm che taglia ai dicasteri oltre 6 miliardi. Provvedimento firmato dallo stesso Berlusconi, però. Ignazio La Russa lamenta la sforbiciata di 1,4 miliardi per la Difesa. «Una cifra che equivale a quasi metà del budget delle Forze Armate. Non volevamo tagli lineari. Vogliamo mantenere l’efficienza e la sicurezza dei nostri militari. Se non ci riuscissimo non varrebbe la pena di restare a dirigere questo ministero».

Insomma, una minaccia di dimissioni. Il cuore del problema rimane Bankitalia. Ieri sono circolate le ipotesi più eccentriche che sgomentano il capo dello Stato. Ad esempio che Berlusconi potrebbe portare in Consiglio dei ministri una terna di nomi (Saccomanni, Grilli e Bini Smaghi) per consentire una scelta «democratica» (o pilatesca), sapendo che la maggior parte dei ministri Pdl voterà per Saccomanni. «Sciocchezze», dice Cicchitto. Il premier sa che non potrà scegliere un nome sgradito al Consiglio superiore di via Nazionale, organo preposto a vigilare sull’autonomia di Bankitalia. «Non possiamo fare un nome che ci viene bocciato in quella sede», ha detto il Cavaliere. Però in quella sede il nome secco è Saccomanni. Eppure raccontano che quando due settimane fa è andato da Barroso, Berlusconi presentò il direttore generale del Tesoro Grilli come nuovo numero uno della Banca d’Italia.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422674/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il premier sconcertato "Attacco pesantissimo"
Inserito da: Admin - Ottobre 01, 2011, 03:32:18 pm
Politica

01/10/2011 - IL CASO

Il premier sconcertato "Attacco pesantissimo"

«Non riusciranno a farci rompere con gli alleati»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

E’ un attacco politico pesantissimo. Napolitano vuole rompere la nostra alleanza con la Lega, ma non possiamo permetterlo perché è probabile che andremo a elezioni nel 2012». Già prima dell’intervento del Capo dello Stato («a gamba tesa», dicono a Palazzo Grazioli) Berlusconi sapeva a che punto era arrivata la rabbia di Napolitano sulla politicizzazione della vicenda Bankitalia. La terna di nomi, il terzo candidato, vertici di maggioranza, votazioni in Consiglio dei ministri, lo scontro con Tremonti. E poi, la ciliegina sulla torta: Bossi che appoggia Grilli perché è di Milano. Roba dell’altro mondo, uno spettacolo indecoroso per il Colle.

Da qui la reazione che a Palazzo Chigi si aspettavano. Quello che non si aspettavano è il tono interventista, che a Berlusconi ricorda un po’ Cossiga e un po’ Scalfaro, pro-referendari, con tanto di riferimento ai collegi uninominali del Mattarellum e alle preferenze. Ma cosa c’è, oltre a tutto questo, dietro le parole di Napolitano? Il sospetto che si insinua nelle fibre berlusconiane è che il Capo dello Stato voglia far saltare il banco e che stia preparando un incidente con la Lega e una manovra per dare vita a un altro governo che faccia la legge elettorale. Meno cervellotico è un altro sospetto. Che il Presidente abbia mangiato la foglia dei ragionamenti che si fanno nella cerchia ristretta di Berlusconi. Se i referendum verranno ammessi, per evitare che si arrivi al voto che cambia il sistema elettorale, l’idea è puntare tutte le fiches sullo scioglimento del Parlamento.

Le urne si aprirebbero, sì, ma per le elezioni politiche, e con questa legge elettorale che spinge alle alleanze e consegna ai vertici dei partiti la nomina dei candidati grazie alle liste bloccate. Tenere la barra sul bipolarismo, ma l’accordo sulla legge elettorale è lontano, dentro la maggioranza e con l’opposizione. Se poi si andrà al voto politico nel 2012 il candidato sarebbe ancora una volta Berlusconi, che non ha intenzione di mollare sull’onda delle inchieste giudiziarie, cacciato e inseguito come Craxi. «Non scappo. Se perdo le elezioni almeno le perdo con onore». Insomma, ora il rischio elezioni anticipate nella primavera 2012 (a marzo?) diventa più concreto. Il referendum elettorale ha fatto irruzione nei già fragili equilibri politici della maggioranza come una palla da bowling tra i birilli. Si moltiplicano i problemi per il centrodestra.

La Confindustria che va all’attacco sul decreto sviluppo. Di quei cinque punti, spiegano a Palazzo Chigi, ne verranno accolti almeno due. Ma di patrimoniale non se ne parla. Forse qualcosa si farà sulle pensioni di anzianità e ci si concentra sulle dismissioni. La partita sulla Banca d’Italia non è risolta. E’ stata messa in circolazione l'idea dell’outsider che metta d’accordo Bossi e Tremonti, ma è Saccomanni in pole position. Tutte queste partite passano però per le preoccupazioni di Berlusconi sulle sue vicende giudiziarie. Vuole evitare assolutamente una condanna, spinge l’acceleratore sul provvedimento che limita la pubblicazione delle intercettazioni. Una corsa contro il tempo.

Ma il Cavaliere ha confidato amareggiato a chi lo ha sentito in questi giorni che comunque una condanna l’ha già subita. «La condanna più grande è di essere stato costretto ha buttare a mare 25 anni di lavoro». Berlusconi si riferisce a quel miliardo che ha dovuto spendere tra spese legali e il risarcimento all’editore di Repubblica De Benedetti. Il Cavaliere però è convinto di avere ancora molte frecce nel suo arco. E si sta preparando alle elezioni. Vorrebbe riesumare il logo di Forza Italia. Ha chiesto il parere agli ex An, che sono contrari. Ma l’impressione è che si vada in questa direzione. Forse vorrà dire qualcosa che in questi giorni sono comparsi dei manifesti del Pdl con lo slogan «per un’Italia più forte».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422830/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Verso l’intesa degli ex Dc Pronti a far cadere il premier
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2011, 04:51:56 pm
Politica

06/10/2011 - RETROSCENA

Verso l’intesa degli ex Dc Pronti a far cadere il premier

Gli uomini di Pisanu e Scajola ormai vicinissimi a staccare la spina

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Siamo agli ultimi giorni di Pompei e questa volta non sarà facile evitare di finire sotto la lava».
A parlare nella più stretta riservatezza non è uno dei tanti parlamentari malpancisti che ieri affollavano Montecitorio per votare il giudice costituzionale. E’ un importante esponente del Pdl che spesso partecipa ai vertici di Palazzo Grazioli e riferisce a Berlusconi cosa si muove veramente tra Camera e Senato. Berlusconi potrebbe non mangiare il panettone. L’ipotesi di una crisi di governo prima di Natale (entro ottobre?) si fa sempre più concreta. La mano assassina dovrebbe arrivare dall’interno del Pdl, soprattutto da Pisanu e Scajola, pronti a staccarsi dalla casa madre e formare gruppi autonomi. L’operazione è in rapida costruzione. Bastano una decina di deputati per chiudere l’esperienza del governo Berlusconi.

Ma gli scajolani, che ieri sera erano in 15 ad una cena con l’ex ministro delle Attività produttive, assicurano che saranno molti di più a staccare la spina. Dall’incontro che si è svolto in un ristorante dentro la Galleria Alberto Sordi, in pieno centro, a pochi passi da Palazzo Chigi, dovrebbe venir fuori un documento molto critico con Berlusconi e pieno di richieste nei confronti di Alfano. Tante e onerose richieste al premier e al segretario del Pdl per farsi dire no e quindi giustificare la loro scissione. Le conseguenze si vedrebbero presto nelle aule parlamentari. Spiegava ieri Pisanu mentre lasciava la Camera, dopo aver visto Scajola e parlato con numerosi esponenti della maggioranza e dell’opposizione (a lungo con Veltroni): «Vede, a forza di gridare che il Re è nudo, alla fine il popolo accorre a vederlo. E’ evidente che la situazione può precipitare da un momento all’altro, molto prima di quanto si pensi».

I parlamentari della maggioranza, è stata la nostra osservazione, non sembrano però disposti a buttare giù Berlusconi e andare a casa. Pisanu, politico di lungo corso, ha abbozzato un sorriso: «Proprio perché temono che nel 2012 si andrà al voto, non staranno con le mani in mano e non sono più disposti a seguire il Re nudo». In effetti c’è un proliferare di iniziative centrifughe nel Pdl e Alfano ha una grande difficoltà a gestirle e inseguirle. La voce poi che Berlusconi possa farsi una sua lista di duri e puri moltiplica la confusione e il panico. Tra l’altro, per evitare il fuggi fuggi, il premier sta rinviando in continuazione la sua partecipazione a «Porta a Porta» dove dovrebbe (o meglio avrebbe dovuto) annunciare che non si ricandida più alla premiership. Ma torniamo alla scena del delitto, che non è stata ancora allestita del tutto.

Ma si fanno già delle ipotesi concrete. La prima è che lo scivolone del Cavaliere arrivi sul «Def» sul quale ieri la maggioranza è andata sotto in commissione. Quando il documento economico e finanziario arriverà in aula per l’approvazione definitiva potrebbe arrivare il colpo mortale. Tremonti è convinto che sarà questa l’occasione fatale dove si potrebbe scaricare tutta l’ira nei suoi confronti e dello stesso premier che non è in grado di tenere a bada il ministro dell’Economia. Il quale in questi giorni si lamenta del fatto di non avere un solo interlocutore con cui parlare di decreto sviluppo, mentre tutti i ministri lo chiamano per trattare e litigare, anche sui tagli ai dicasteri previsti dal Dpcm. Sarebbe però da irresponsabili mandare il governo a gambe all’aria proprio su un provvedimento che reggela manovra economica in un momento in cui l’Italia è nell’occhio del ciclone internazionale.

Allora diventa più probabile che l’agguato si verifichi su un voto di fiducia e il primo che potrebbe arrivare già dalla prossima settimana è quello sulle intercettazioni. Ieri si è consumata la rottura tra la maggioranza e il Terzo Polo, con le dimissioni della relatrice Giulia Bongiorno e la sua sostituzione con il pidiellino Enrico Costa. E’ Costa che considera molto probabile che il governo metta la fiducia sul provvedimento. Ma Berlusconi dovrà pensarci dieci volte prima di fare questo passo perché sa che si sta preparando un nuovo 14 dicembre. Lo scorso anno, quel giorno, la spallata cercata da Fini, fresco di rottura con il Pdl, non riuscì. Questa volta, al di là dell’occasione giusta per sferrare la pugnalata mortale, sarà difficile ripetere il flop anti-berlusconiano. Si stanno muovendo molte cose tra le file parlamentari del centrodestra. Gli ultimi giorni di Pompei, appunto.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/423532/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ma ora Palazzo Grazioli non crede al bluff degli ex Dc
Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2011, 06:11:46 pm
Politica

09/10/2011 - CENTRODESTRA LE MANOVRE SUL DOPO BERLUSCONI

Ma ora Palazzo Grazioli non crede al bluff degli ex Dc

"Pisanu cerca lo strappo, Claudio sta solo trattando posti e rielezioni"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Si dice Pella e si legge Pisanu». Prima di partire per la Russia alla corte dello Zar Putin, Berlusconi aveva interpretato in questo modo il riferimento fatto nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica. Ieri Napolitano, a scanso di equivoci, ha colto l’occasione della sua visita a Cuneo per spiegare che il suo ricordo del governo di tregua formato nel 1953 da Giuseppe Pella aveva un valore puramente storico. Nessun riferimento all’attualità. Ma questa precisazione non ha convinto gli uomini del premier alle prese con la manovra Pisanu-Scajola. Anzi raccontano che il premier abbia un terribile sospetto, e cioè che Pisanu abbia garantito al capo dello Stato la caduta del governo in tempi brevi e la possibiltà di formare un esecutivo di transizione sostenuto da una robusta fronda del Pdl, dal Terzo Polo e dal Pd. Con lui a Palazzo Chigi? Appunto, «si dice Pella e si legge Pisanu».

Scajola sarebbe pronto a far parte di questa operazione, ma sono molti a Palazzo Grazioli, a cominciare dal padrone di casa, che non credono al pugnale dell’ex ministro delle Attività produttive. «Non arriverà a tanto. Sta solo trattando da vero democristiano: è una questione di posti e soprattutto di ricandidature alle prossime elezioni politiche. Tutto il resto, come il decreto sviluppo e il rilancio del Pdl, è fuffa. Ci penserà Alfano...».

Già, Alfano che nega l’esistenza di una fronda interna e riconosce a «soggetti importanti» di aver posto questioni che non possono essere sottovalutate: «La prossima settimana incontrerò Scajola». Forse martedì. Ma il segretario del Pdl ha le mani vuote e la pistola scarica, anche se fosse vero che l’esito positivo della trattativa è legato alla garanzia di ricandidare e rieleggere Scajola e i suoi amici. Angelino sa che questa leva, per la verità molto convincente, è nelle mani di due uomini nel partito: di Verdini e di Berlusconi.

Il primo è uno dei nemici giurati di Scajola e non sarà certo generoso (ognuno ha i suoi da piazzare). Il Cavaliere ha pochi posti a disposizione. Spiega un autorevole esponente del Pdl: «Se vanno così le cose, perdiamo almeno 80 deputati e Berlusconi deve mantenere troppe promesse fatte per tenere in piedi la maggioranza dopo l’uscita di Fini». Qualcun altro (scherzando?) aggiunge che dovrà pure sistemare molte ragazze che pretendono troppo in cambio da lui, «magari che parlano russo». Un riferimento velenoso al viaggio del Cavaliere in Russia per il compleanno di Putin (tornerà questa sera). Una trasferta considerata poco opportuna in certi ambienti del Pdl, visto che in Italia ci sono ben altre gatte da pelare.

Scajola allontana con sdegno le insinuazioni su una trattativa prosaica, di basso livello, fatta di posti e candidature. «Io parlo di grande scossa e c’è chi mette in giro queste falsità, meschinità. Quello che mi sta a cuore di più è il decreto sviluppo. Siamo sull’orlo del baratro e serve veramente un colpo di reni. Poi se lor signori non capiscono, allora significa che si rischia il naufragio». Tutto un bluff? Può darsi, ma per lui, come per molti non garantiti della maggioranza che sentono odore di elezioni anticipate, potrebbe prevalere il principio «primum vivere deinde philosophari». Del resto Scajola poteva diventare capogruppo o vicepresidente della Camera se Cicchitto o Lupi fossero diventati ministri. Ma niente: è stato tenuto fuori dalla porta con la scusa dei suoi guai giudiziari. «Come se gli altri invece fossero delle verginelle», osserva un amico di Scajola.

Verdini ha interpretato le parole pronunciate ieri a Saint-Vincent da Scajola come un passo indietro. E aggiunge: «Temo più l’incidente per la somma di tante piccole insoddisfazioni che la regia di un golpe che nessuno ha la forza di fare». Vedremo. Intanto sale la tensione per martedì quando alla Camera e al Senato arriverà la nota di variazione del documento economico e finanziario che dovrà essere votato. Tutti i parlamentari del Pdl sono stati precettati dai capigruppo Cicchitto e Gasparri. Annullate tutte le missioni di ministri e sottosegretari. «Se andiamo sotto sul Def andiamo tutti a casa», dice Cicchitto allarmato. Mercoledì poi riprende la discussione in aula sulle intercettazioni e anche su questo terreno il buio nella maggioranza è totale. La trattativa con l’Udc (si parla di un accordo con Vietti) è saltata e al governo non resterebbe altro che mettere la fiducia. Ma con questi chiari di luna e con Alfano che si presenterà a Scajola con le mani vuote, chi ha il coraggio di sfidare il destino?

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/423910/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il patto Silvio-Umberto: voto anticipato, in cambio il sì...
Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2011, 11:19:37 pm
Politica

26/10/2011 - RETROSCENA

Il patto Silvio-Umberto: voto anticipato, in cambio il sì sui 67 anni

L'accordo nella notte dopo un vertice a palazzo Grazioli

E Bossi attacca Draghi: "Dalla Bce una fucilata al premier"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

L’ ennesima giornata convulsa si chiude con una indiscrezione: Bossi accetta di alzare a quota 67 anni l’età per andare in pensione, Berlusconi apre alla possibilità di votare a marzo. Un’intesa segreta per sbloccare la situazione e scrivere una lettera che soddisfi Bruxelles senza spaccare la maggioranza. Prima di partire per Bruges, Napolitano ha atteso di leggere la missiva che Berlusconi manderà (dovrebbe mandare) stamane all’Unione europea. Il Capo dello Stato ha pure rinviato la partenza per la cittadina belga dove oggi parteciperà all’inaugurazione dell’anno accademico del Collegio d’Europa. Ha atteso invano: la missiva non era pronta, un accordo completo con Bossi non era stato ancora trovato. Qualcosa però Gianni Letta gliel’ha anticipato al telefono. Napolitano è partito preoccupato.

Intanto a Roma il premier ha continuato a limare il testo, lungo nell’esposizione e nelle rivendicazioni ma «sottile» nei contenuti. Almeno rispetto alle aspettative europee; in particolare sul versante delle pensioni sul quale la Lega non ha ceduto. Tra l’altro il Consiglio dei ministri non ha preso alcuna decisione e scadenze precise non ce sono. Bossi ha bloccato un accordo pieno. «Non hai capito - ha detto al presidente del Consiglio - che noi possiamo cedere all’infinito, dargli tutto quello che vogliono, ma non saranno mai contenti perché vogliono le tue dimissioni, quelle del nostro governo, per metterci un loro tecnico, Monti. Altro che Gianni Letta!».

Ecco perché Bossi ieri ha attaccato pubblicamente la lettera della Bce («scritta da un italiano», cioè Draghi) che a suo avviso sarebbe stata «una fucilata a Berlusconi». Ecco perché in privato Tremonti ha detto al premier «con questo accordicchio a Bruxelles non puoi andarci»: «Non hai capito che il problema sei tu». Per i berlusconiani il ministro dell’Economia è stato «brutale», ha cercato di giocare fino all’ultimo le sue carte. Sabato aveva presentato al presidente della Commissione europea Barroso un programma straordinario per il Mezzogiorno e questo a Roma è stato interpretato come il tentativo di accreditarsi come il successore di Berlusconi alla testa di un esecutivo tecnico.

Ma gli stessi ambienti berlusconiani spiegano il suo tentativo è fallito. E raccontano che Tremonti ha svolto un ruolo secondario nella stesura della lettera che stamane sarà inviata. Una lettera di orgoglionazionale, di rivendicazione di quanto è stato fatto. Si ricordano le due manovre di agosto e settembre, si rassicura sul pareggio di bilancio nel 2013. Quanto alle pensioni dovrebbe annunciare il graduale innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Nulla sulle pensioni di anzianità. A Palazzo Grazioli si è continuato a trattare su questo punto, ma Bossi è rimasto irremovibile. Insomma un compromesso al ribasso, un tentativo di superare la prova di Bruxelles.

«Un bluff», dice un ministro che avrebbe voluto sfidare la Lega con un intervento forte sulle pensioni. Il premier è consapevole del rischio che sta correndo, del pericolo che incombe da parte dei mercati. Come apriranno le borse giovedì, a quanto schizzerà lo spread tra i titoli italiani e i bund tedeschi se al vertice europeo la lettera light verrà bocciata? Berlusconi arriva al summit dicendo che nessuno può dare lezioni a un governo democraticamente eletto. «Alza la voce», gli ha consigliato Giuliano Ferrara. Per dare uno schiaffo a Sarkozy che lo ha deriso nella conferenza stampa di domenica scorsa i falchi gli hanno suggerito di non partecipare al vertice Ue. Cosa prontamente smentita dal portavoce Bonaiuti. Sarebbe devastante.

La giornata di ieri è stata intessuta di incontri, colloqui telefonici, un braccio di ferro continuo. Con il Cavaliere che ha cercato di forzate i ministri leghisti. Ha pure messo sul tavolo anche le sue dimissioni. «Se pensate che il problema sono io, faccio un passo indietro». I ministri e i capigruppo del Pdl hanno fatto quadrato attorno al premier, ma era chiaro che la mossa del Cavaliere era finalizzata a mettere paura al Carroccio. Un modo per dire «se volete allora beccatevi il governo tecnico». E su questo Bossi non ci sta. Non ci sta nemmeno Maroni che spesso viene dato in disaccordo con il leader leghista. Ieri il ministro dell’Interno ha chiacchierato a lungo con Bersani e il suo vice Enrico Letta.

Entrambi gli hanno fatto presente che la Lega rischia di rimanere sotto le macerie insieme a Berlusconi. Offrendo la possibilità di fare un governo Monti, escludendo di poter sostenerne uno guidato da Gianni Letta. «So perfettamente che un ciclo si è chiuso ma non sarò io a rompere con Bossi», è stata la risposta di Maroni. Rimane il problema di vedere se lo scambio Bossi-Berlusconi reggerà alla prova del tempo e se il governo riuscirà ad arrivare a gennaio.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426554/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Lettera all'Ue, l'ira di Tremonti: non potremo mantenere...
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2011, 05:26:45 pm
Economia

27/10/2011 - CRISI- RETROSCENA

Lettera all'Ue, l'ira di Tremonti: non potremo mantenere le promesse

Il ministro del Tesoro non avalla, un collega: l'ha fatto volutamente

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Fate voi. Non riusciremo a mantenere tutti questi impegni e poi quello che conta, più che il giudizio di Bruxelles, sarà la reazione dei mercati». Non ci ha messo la sua firma nella lettera che ieri Silvio Berlusconi ha portato al vertice europeo. Il ministro dell’Economia è rimasto ai margini della trattativa. «Volutamente», dice chi ci lavora accanto: se tutto dovesse precipitare Tremonti potrebbe sperare di essere il successore del Cavaliere per un governo di transizione. «Macché spiega un ministro che è stato parte attiva nella stesura della lettera - è fuori gioco. Si è messo alla finestra quando ha capito che non era lui a dirigere le danze. E infatti questa volta non è stato lui a definire la griglia di proposte che ci consente di superare l’esame in Europa».

Tremonti non ha sopportato che il ruolo principale nella stesura della missiva sia stato affidato a Romani e Brunetta, con la supervisione di Gianni Letta. Un problema di metodo e protagonismo, ma non è escluso che ci sia una questione di merito. Ad esempio sulle dismissioni e le privatizzazioni l’inquilino di via XX Settembre non avrebbe le stesse idee dei suoi colleghi; non è disponibile alla vendita di alcuni gioielli dello Stato, anche in parte, come Finmeccanica, Eni ed Enel. Aziende che fanno gola ai privati e che potremmo mettere sul mercato per recuperare le risorse necessarie a finanziare la crescita e lo sviluppo. Soldi che serviranno anche ad abbattere il debito pubblico. Per fare questo il governo affiderà l’elaborazione di un piano ad «una commissione ristretta di personalità di prestigio». Ed è quello che Tremonti ha sempre visto come fumo negli occhi. Comunque si tratta di un versante ancora incerto, un terreno scivoloso tutto da definire nel quale Tremonti non potrà essere escluso.

Rimane il fatto, ripetono alcuni ministri, che il responsabile dell’Economia questo giro non ha toccato palla. Martedì sera, quando si è recato a Palazzo Grazioli (dove è rimasto in tutto mezz’ora), la lettera era già stata scritta e si trattava di una bozza, mentre la versione finale con tutte le scadenze non l’ha mai vista. Ne ha preso atto. Del resto per tutta la gestione della vicenda si sarebbe messo sull’Aventino, irritando pure Umberto Bossi, che però continua a proteggerlo. Un atteggiamento che stupisce il premier: «Umberto è l’unico che ancora lo difende, tutti gli altri lo vorrebbero morto». Nessuno nella maggioranza ha più paura delle sue dimissioni, spiegano i berlusconiani. Tra l’altro, Tremonti non può più ergersi a unico interlocutore in Europa: il Cavaliere si sarebbe ripreso il ruolo che gli spetta, perché la lettera porta la sua firma e non quella del ministro dell’Economia.

Il punto però è come dare gambe alle promesse fatte ieri da Berlusconi a Bruxelles. Come trasformare in provvedimenti il «libro dei sogni» e poi farlo passare nelle aule del Parlamento dove l’odore di elezioni anticipate nel 2012 sta nuovamente mettendo in moto le frange legate a Scajola e Pisanu. Tutti attendono l’esito del vertice europeo, ma gli occhi sono puntati sulla reazione che avranno i mercati sull’Italia. Lo scenario del voto, con l’indiscrezione di un patto tra Bossi e Berlusconi per andare a votare il prossimo marzo, sta facendo fibrillare la maggioranza. Anche in un incontro ristretto che si è tenuto ieri nella sede del Pdl si è ragionato di questa eventualità. Il segretario Alfano ha riunito alcuni ministri e diversi parlamentari a lui vicini, quelli che vengono chiamati i «quarantenni» e che stanno preparando il ricambio generazionale in vista di urne aperte nella prossima primavera. Uno scenario che Alfano considera il più probabile. Nella Lega si parla addirittura di «black list», di maroniani da epurare in caso di voto. Gli estensori di questa lista sarebbero quelli del cerchio magico di Bossi, tra i quali il capogruppo Reguzzoni. Proprio tra lui e due deputati in odore di epurazione (Molteni e Rivolta) è andato in scena un alterco alla buvette di Montecitorio. La tensione è a fior di pelle e ieri alla Camera il governo è andato sotto diverse volte.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/426733/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Cavaliere vuole evitare la leadership di Casini
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2011, 09:02:13 am
Politica

28/11/2011 - retroscena

Il Cavaliere vuole evitare la leadership di Casini

Rispolvera gli slogan sul comunismo per parlare a tutti i moderati

Amedeo La Mattina
Roma

Berlusconi non voleva andarci a Verona. Aveva già dato forfait sabato. Non aveva alcuna intenzione di intervenire al convegno dei Popolari Liberali di Giovanardi. Avrebbe preferito che parlasse solo il segretario del Pdl Alfano, per non oscurarlo. Ma alla fine si è fatto convincere per non dare un dispiacere al suo ex sottosegretario e anche cogliere l’occasione di una presa di distanze da una maggioranza politica indistinta. Non vuole confondersi innanzitutto con il Pd che ritorna a bollare come comunista, incapace di evolversi in senso socialdemocratico. Un’accusa che contiene dell’altro, non detto: un modo per mettere sottoscacco i centristi del Terzo polo, a cominciare dall’Udc di Casini che, abbattute le barriere tra centro, sinistra e destra, sta prendendo le misure delle future alleanze sul grado di sostegno al governo Monti. Esattamente ciò che il Cavaliere vuole evitare per non farsi relegare nel dimenticatoio e favorire una nuova Dc del Terzo Millennio in cui Alfano verrebbe inghiottito. Insieme a un bel pezzo di Pdl.

Ma la situazione finanziaria europea è su un crinale così pericoloso che dovrebbe sconsigliare riserve e tatticismi sull’azione di Monti. Invece Berlusconi ha dato l’impressione di voler aprire una lunga quanto prematura campagna elettorale. Ha toccato le corde di quella parte del suo partito che ha ancora il dente avvelenato per essere stata spinta fuori dai ministeri e si trova una Lega cannibale sulla schiena. Così il Cavaliere, non avendo una strategia ancora chiara e potendo solo ripetere che la colpa dello tsunami sull’euro non era sua, risfodera il vecchissimo cavallo di battaglia dei comunisti alle porte, del Pd mai diventato socialdemocratico.

Dal partito di Bersani nessuna risposta ufficiale. In via riservata i Democratici spiegano che le parole dell’ex premier sono quelle di un uomo sconfitto, che recita due parti in commedia. Si appresta a votare il pacchetto delle misure anti-crisi, sa che Monti durerà fino al 2013 perché provocare le elezioni anticipate sarebbe un disastro per lui, il ko definitivo. Deve però alzare la voce, distinguersi, evocare in maniera stanca vecchi repertori di una stagione sepolta. In questo modo, osservano a Largo del Nazareno, il Cavaliere pensa di tenere a bada chi nel suo partito lo spinge a elezioni in primavera. Ma c’è un’altra parte del Pdl, dai ciellini di Lupi e Formigoni a Scajola, Frattini ed ex Dc, che voglio andare avanti con Monti. E guardano all’Udc e al Terzo Polo come via d’uscita dal vecchio schema del centrodestra e dall’abbraccio con la Lega. Sono gli stessi che temono che Alfano non abbia le gambe per creare la riunificazione dei moderati sul modello Ppe.

Casini vorrebbe strappare il velo di ipocrisia che copre i rapporti tra le forze politiche che sostengono Monti. Fosse per lui i vertici della nuova maggioranza dovrebbero tenersi alla luce del sole, senza infilarsi nei sottopassaggi del Senato. L’ex presidente della Camera tuttavia non crede che Berlusconi stacchi la spina fintantoché i suoi interessi saranno salvaguardati. Del resto, è stato lo stesso Bossi a spiegare che l’ok del Cavaliere al nuovo governo è stato dettato dalla necessità di mettere a riparo le aziende Mediaset.

Ora il problema è tutto di Alfano. Quando i provvedimenti economici arriveranno in Parlamento dovrà tenere unito il suo partito. Se il Pdl si spaccherà, dovrà decidere da che parte buttarsi. Nel Pdl molti, da entrambe le fazioni, si chiedono se avrà birra nelle gambe per tenere la botta: o di rompere o di continuare a sostenere Monti, in ogni caso. Alfano va in quest’ultima direzione, su un terreno di responsabilità nazionale in cui può incontrare il Terzo Polo e costruire la nuova casa dei moderati. Più facile a dirsi che a farlo perché tutto passa attraverso il cerchio di fuoco della prova del governo Monti. Ancora una volta potrebbe essere Berlusconi a dire l’ultima parola e lo stesso Alfano è terrorizzato che possa essere Casini a prendersi la leadership del Ppe italiano.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/432028/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E nel Pdl critiche ad Alfano: «E’ troppo collaborativo»
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2011, 07:12:25 pm
Politica

26/11/2011 - retroscena

Stallo sulla squadra in attesa del sì di Grilli

E nel Pdl critiche ad Alfano: «E’ troppo collaborativo»

Amedeo La Mattina
Roma

Ancora due settimane per le misure anti-crisi. Intanto il governo è impantanato sulla nomina dei sottosegretari e dei viceministri. Non c’è accordo su quanti ne spettano al Pdl, che in base alla sua forza parlamentare ne rivendica 12 e vorrebbe che Pd e Terzo Polo si spartissero gli altri 13. Monti ha stabilito che in tutto dovranno essere 25 quelli indicati dai partiti. Il premier si riserva per sé e per Passera 5 viceministri. Nomi che ballano, come quello del direttore generale del Tesoro Grilli che il premier vorrebbe a via XX Settembre, ma lui ancora non ha sciolto la riserva. Molte personalità contattate non sono disponibili a impegnarsi nell’esecutivo perché dovrebbero lasciare lauti stipendi. L’altro problema è il profilo che dovrebbe avere la nuova squadra montiana. Alfano ha chiesto che siano veramente tecnici, non ex parlamentari camuffati da tecnici. Potrebbero quindi saltare D’Andrea (Pd), D’Onofrio (Udc) e Martusciello (Pdl), che dovrebbero funzionare da raccordo con le forze politiche e le commissioni nella veste di sottosegretari ai Rapporti con il Parlamento. Ma il premier è intenzionato a non cedere: ha bisogno di figure di questo tipo.

Alfano è gravato dalla guerra di una parte del suo partito: viene accusato di essere troppo collaborativo con Monti (ieri in via dell’Umiltà ci sono state una serie di riunioni movimentate). Ma l’ex ministro della Giustizia ha le spalle coperte da Berlusconi, il quale continua a far ripetere che la tempesta finanziaria non era colpa sua e che i tecnici non sono il toccasana. Detto questo però non cede alle pressioni di chi nel Pdl vorrebbe andare a votare in primavera e chiede di rimanere legati alla Lega su una posizione critica nei confronti del governo Monti.

Insomma ce n’è abbastanza per far dire a Bersani che la situazione è critica, il premier è troppo lento nelle decisioni. Ma Monti non vuole correre, vuole procedere con prudenza e con i suoi tempi. Non è detto nemmeno che martedì prossimo ci sarà il Consiglio dei ministri per le nomine. Ma a preoccupare la «maggioranza che non c’è» sono le misure economiche. I frenetici contatti in corso tra Roma e l’Unione europea (unico vero referente di Monti secondo il metodo comunitario) hanno l’obiettivo di capire se le misure in cantiere siano sufficienti ad evitare il peggio. Se crolla l’Italia, crolla anche l’euro. Il premier dice la verità e non drammatizza. Ma l’effetto sulle forze politiche è quello di chi mette già le mani avanti: il pacchetto anti-crisi sarà prendere o lasciare. E’ quello che ha detto a Bersani, Casini e Alfano nelle telefonate e negli incontri fantasma a Palazzo Giustiniani. Ma ci vorrà del tempo prima che i provvedimenti economici vengano alla luce. Ed è questa la vera notizia.

Ci vorranno almeno due settimane, confida il super ministro Passera. Prima i singoli ministri dovranno fare le loro proposte, poi verranno messe sul tavolo di Monti che decide il timing. Il premier vuole prendersi tutto il tempo necessario per calibrare gli interventi. Potrebbe presentarsi al vertice europeo dell’8-9 dicembre senza aver ancora messo nero su bianco la sua ricetta economica. Ha un altro ritmo il nuovo presidente del Consiglio, che tuttavia deve fare i conti con i partiti. Che sono all’oscuro dei provvedimenti che intende mettere in campo il professore. Ma Bersani, Alfano, Casini, Fini e Rutelli vorrebbero un luogo dove confrontarsi (la fantomatica cabina di regia). «Il problema - spiega Denis Verdini - è che noi dobbiamo votare in Parlamento. E lì può succedere di tutto se non c’è un confronto preliminare. Senza si può aprire il vaso di Pandora».

Comunque, prima di tutto questo Monti deve definire la macchina del governo. La spinta prevalente è che sottosegretari e viceministri siano dei tecnici, ma quelli di rango guadagnano molto per accontentarsi di 60-100 mila euro lordi all’anno. Dicevamo di Grilli. Se lui dovesse dire di no, l’altro nomeè quello del direttore della Banca d’Italia Saccomanni, come vice del Tesoro. Come vice alle Finanze gira ancora il nome di Befera, direttore delle Agenzie delle entrate. Alle Comunicazioni c’è un problema politico perché Berlusconi non molla sul nome di Roberto Viola, segretario generale Agcom, mentre il Pd tiene duro su Nicola D’Angelo, anche lui dell’Agcom. In questo ministero come sottosegretario si fa il nome di Vincenzo ZenoZencovich, esperto in diritto delle comunicazioni. Al Welfare accanto alla Fornero potrebbe andare Michel Martone, giuslavorista della Luiss vicino a Sacconi.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/431765/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: gli italiani ci rimpiangeranno (che faccia di...)
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2011, 10:59:33 am
Politica

05/12/2011 -

Berlusconi: gli italiani ci rimpiangeranno

 
Alfano aggiunge: “Se non hanno toccato l’Irpef è merito nostro”

AMEDEO LA MATTINA
Roma

«Gli italiani ci rimpiangeranno». Berlusconi ha commentato con queste parole le notizie sulla manovra economica che ieri sono arrivate come una bomba. E’ semmai preoccupato dall’atteggiamento radicale che sta assumendo la Lega, ma il Cavaliere è convinto di poter recuperare, prima o poi, il rapporto con i suo amico Umberto. Intanto dal «Parlamento padano» di Vicenza Bossi e tutto lo stato maggiore leghista ha tuonato contro Monti, rilanciando vecchi slogan secessionisti. E questo mentre a Roma gli ex alleati del Pdl aspettavano con ansia di conoscere i provvedimenti del governo. La «stangata» è arrivata e non è certo il mancato intervento sull’Irpef a far tirare un sospiro di sollievo. Ora sono tutti lì a dire che sono riusciti a immettere un po’ di equità, ma non sarà facile far digerire ai loro elettori e parlamentari la stangata.

Berlusconi (ha seguito in diretta tv la conferenza stampa del premier Monti) ha appreso con soddisfazione questa novità che per il Pdl è una piccola vittoria. «Vuol dire - ha detto Angelino Alfano - che è passata la nostra impostazione per non colpire i soliti noti. Di questo sono contento. Domani leggeremo con attenzione tutto il testo». Una piccola vittoria e una piccola soddisfazione visto che dalla lettura del testo emerge un aumento complessivo della pressione fiscale. Non c’è la patrimoniale classica, che il Cavaliere ha detestato, ma c’è tutto il resto. Soprattutto una mazzata sulla casa, compresa la tassazione della prima casa, e un intervento pesante sulle pensioni.

«Adesso la luna di miele di Monti con l’opinione pubblica è finita», sottolinea l’ex ministro Romani. Una magra consolazione perchè il Pdl adesso dovrà votare una manovra che il capogruppo Cicchitto non esita a definire «lacrime e sangue». Ci saranno pochi margini per cambiarla in Parlamento, anzi quasi nulli visto che l’esecutivo si appresta a mettere la fiducia. Del resto, ammette Alfano, «noi abbiamo fatto una scelta di sostenere questo governo. Non c’è la possibilità di fare un intervento morbido. I bivio è tra una manovra pesante oggi o il rischio fallimento del Paese domani». Almeno, osserva il presidente dei senatori Gasparri, «siamo riusciti ad evitare l’aumento dell’Irpef, come avevamo chiesto noi nell’incontro con il premier».

Insomma il Pdl, che oggi pomeriggio riunirà il suo vertice dopo avere ascoltato Monti in Parlamento, si prepara a bere l’amaro calice e a rincorrere la Lega che cavalcherà sempre di più il malcontento popolare. Ma anche Berlusconi farà il suo gioco per non farsi mettere nell’angolo. Come dice Romani, la luna di miele che Monti ha goduto finora è finita e il Cavaliere anche ieri ha ripetuto un concetto che aveva confidato nei giorni scorsi.

Ecco, «gli italiani ci rimpiangeranno; gli umori dei cittadini sono mutevoli», ripete Berlusconi, il quale è convinto che questo consentirà di risalire la china del consenso. La preoccupazione però di fondo rimane perchè il rischio è che le misure di oggi non possano bastare. E tra qualche mese ce ne saranno di altre, proprio in piena campagna elettorale per le Amministrative.

Adesso Berlusconi ha invitato i suoi a non distinguersi, a votare compatti, affinchè non ci siano scossoni che possano compromettere l’immagine del Paese e il tentativo di portare l’Italia fuori dalla crisi. Ma cosa potrà succedere in futuro non è ancora chiaro. Se la situazione non dovesse migliorare il Pdl non esclude di poter valutare altri scenari, anche quello di non sostenere più Monti e andare al voto a giugno. E’ ancora tutto prematuro. Per il momento si tratta di far apparire la manovra come tutta farina del sacco dei tecnici. Un’operazione che tuttavia sarà difficile centrare, nascondendo le proprie responsabilità. Si cerca di valorizzare gli aspetti positivi, come ha fatto il presidente della Lombardia Formigoni: sono stati scongiurati i tagli alla sanità e al trasporto pubblico locale. «Sapevamo che la situazione economica è pesante e andava fronteggiata con provvedimenti di questo tipo». Più severo il giudizio dell’ex ministro Sacconi. «Un grande partito come il Pdl deve tenere comportamenti responsabili, ma turarsi il naso e votare non significa chiudere gli occhi sugli squilibri di questa manovra, tutta tasse, pensione e ben poca crescita».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/433040/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi avverte:"Basta tasse o si torna al voto"
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2011, 12:42:36 pm
Politica

22/12/2011 - LA CRISI GLI INCONTRI DEL PREMIER

Berlusconi avverte:"Basta tasse o si torna al voto"

OPINIONI Scandalo al Pirellone: super liquidazione all'arrestato 

Al governo ha chiesto una "cabina di regia" con Pdl, Pd e Udc


Amedeo La Mattina

Roma

Questa volta con la manovra è andata così e per questioni di urgenza l’abbiamo approvata ma a Monti ho detto che è la prima e l’ultima volta. Siamo sempre il sostegno più importante di questa maggioranza e il governo dovrà relazionarsi con noi prima di portare qualsiasi provvedimento in Parlamento». E se questo non accadrà gioco forza si andrà alle elezioni anticipate. Berlusconi rialza la testa, ma lo fa con i suoi parlamentari costretti a votare obtorto collo una manovra indigesta, nonostante sia stata un po’ addolcita. Sono i due partiti maggiori di questa strana maggioranza, Pd e Pdl, che cercano di uscire dallo stato di commissariamento in cui si sono trovati improvvisamente con la nascita del governo Monti. Anche Bersani, alle prese con una forte componente critica dentro il Pd e una Cgil sulle barricate in difesa dell’articolo 18, ha espresso lo stesso atteggiamento del Cavaliere all’incontro con il premier.

Per la verità nell’incontro a Palazzo Chigi con il Professore i due leader hanno usato toni molto soft. Anche perché il premier ha chiarito che se affonda il governo, affondano pure i partiti. Per cui i toni, appunto, non sono stati così ultimativi come Berlusconi ha fatto intendere ieri sera ai suoi senatori. Ma all’esterno e alle truppe bisogna dare la carica, rianimarli, tirali su e allora da oggi in poi il Pdl vuole essere consultato preventivamente. Il Cavaliere, che ieri ha incontrato Monti insieme a Gianni Letta (Alfano lo vedrà domani), sembra avere due facce e le gioca su più tavoli, con un occhio agli umori dell’opinione pubblica e un altro alla Lega sempre più lontana. Con Monti è stato molto più conviviale. Tra l’altro lo stesso premier è d’accordo sul fatto che adesso si dovrà discutere e concordare prima. E questo anche per quanto riguardo la riforma del mercato del lavoro.

Berlusconi allora parla di una «cabina di regia» tra il governo e una maggioranza che sostiene Monti a compartimenti stagni. Il Cavaliere, a differenza di buona parte del suo partito, sembra disponibile a quel patto alla luce del sole di cui parla Casini. E quindi ad allargare i compiti della «cabina di regia» anche al confronto diretto tra Pdl, Pd e Terzo Polo. Ma c’è lo stop netto di Bersani sui provvedimenti che l’esecutivo dovrà adottare, mentre sulle riforme costituzionali ed elettorale sarà possibile aprire un binario parallelo per far vedere che i partitisono vivi, capaci di rigenerarsi senza l’intervento dei tecnici. Anche di questo si è parlato ieri a Palazzo Chigi, trovando Monti concorde.

Il Cavaliere ieri si è presentato come l’azionista di maggioranza, e ha garantito che non sarà lui a staccare la spina. A Monti ha chiesto che tutti i provvedimenti dovranno essere concordati prima «in modo che possano arrivare in Parlamento con una accordo alle spalle e un iter più agevole». Il capogruppo del Pdl Cicchitto la spiega così: «Se non c’è una cabina di regia, la via d’uscita sono gli incontri bilaterali con il governo. Abbiamo votato il decreto “salva-Italia” in una situazione di emergenza, ma da oggi in poi non voteremo più a scatola chiusa, e se c’è un provvedimento che non ci convince ci terremo le mani libere».

Il doppio passo di Berlusconi non prevede limiti temporali al governo Monti. Ma non esclude un ritorno alle urne. A suo parere si potranno verificare alcune condizioni. La prima, che si riesca a fare un accordo con l’Udc; in quel caso questa alleanza vincerebbe sicuramente. La seconda: i sondaggi potrebbero dire che il Pdl vince anche da solo e questo è possibile se il governo continuasse con questa imposizione fiscale, mentre la sinistra e i sindacati continueranno sulla linea dello scontro. «Noi comunque siamo gli arbitri di questa situazione. Adesso però in Parlamento dobbiamo mantenere la più assoluta compattezza. Qualche deputato si è distinto sulla manovra perché noi siamo un partito liberale, ma la stampa di sinistra ne ha approfittato per dire che siamo divisi. Sono convinto - ha detto Berlusconi - che questo non accadrà più e solo compatti determineremo l’esito della situazione».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/435440/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Pdl avverte il Professore Alla fine devi decidere con noi
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2012, 11:44:37 am
Politica

03/01/2012 - LA CRISI LA BATTAGLIA POLITICA

Il Pdl avverte il Professore "Alla fine devi decidere con noi"

Il segretario del Pdl chiede al governo «maggiore concertazione» col partito prima di prendere decisioni che il Parlamento dovrà votare

Ma sulla questione del lavoro anche i democratici sono in fibrillazione

Amedeo La Mattina
Roma


Ieri Monti ha avuto primi contatti informali con i partiti. E’ sempre una corsa in salita e contro il tempo quella che impegnerà il premier in queste prime settimane del 2012 partito all’insegna dei sacrifici e dei rincari. Non sono solo i sindacati che vogliono condizionare le decisioni che il governo prenderà sul mercato del lavoro e sulla crescita. Anche le forze politiche chiedono di essere consultati per non essere esclusi dal negoziato e scavalcati dai sindacati.

Il Pdl lo chiede espressamente. «E’ ragionevole spiega il capogruppo Cicchitto - che il governo scambi le opinioni con le forze sociali; poi, in sede di decisione politica, il governo deve fare le sue scelte di intesa coi partiti che lo sostengono in Parlamento». Sì, perchè alla fine senatori e deputati dovranno votare quei provvedimenti che saranno adottati; e per loro potrebbero essere altri dolori quando dovranno spiegarli a un elettorato gravato dalle misure già entrate in vigore.

Ad avere i nervi scoperti sul tema lavoro è soprattutto il Pd che deve fare i conti con una Cgil sul piede di guerra. Così, Stefano Fassina, responsabile economia dei Democratici, avverte l’esecutivo a non commettere «errori nei delicati passaggi delle prossime settimane»; e ricorda proprio le parole pronunciate a fine anno dal presidente Napolitano, che «ha riportato il discorso sul lavoro alla realtà».

Sono i due partiti maggiori ad essere in fibrillazione, mentre il Terzo Polo chiede a Monti di tirare dritto, di non farsi legare le mani. «Il dovere del governo non è quello di concertare coi sindacati e di negoziare coi partiti. È quello di fare riforme - osserva Benedetto della Vedova, capogruppo del Fli - a partire da quelle relative al mercato del lavoro e alla liberalizzazioni, che incentivino l’investimento e l’attività economica».

Il premier, che ha trascorso il secondo giorno del 2012 a Palazzo Chigi insieme alla famiglia, ha poco tempo a sua disposizione. Il 20 gennaio è previsto il primo Consiglio dei ministri e il 23 dovrà partecipare alla riunione dell’Eurogruppo dove dovrà portare l’ulteriore lavoro fatto a casa. Monti ha comunque promesso ai leader di partito di incontrali e ascoltarli affinchè in Parlamento arrivino misure condivise: oltre agli auguri dei giorni scorsi, il professore ha sentiti telefonicamente alcuni loro anche ieri e sta già ragionando sulle cose da fare, a partire dalle liberalizzazioni. E sono arrivati subito gli altolà. «Su edicole, taxi e farmacie - ha avvertito l’ex ministro Carlo Giovanardi - sarà meglio che il governo Monti riponga nel cassetto le sue cattive intenzioni».

I partiti maggiori della strana maggioranza non arriveranno a staccare la spina, ma Berlusconi, Alfano e Bersani devono fare i conti con i loro mondi di riferimento e chiedono una terapia di crescita contro la recessione. Il Pd insiste sui lavoratori precari e sulle "emergenze" vissute da numerose aziende. L’ex ministro Damiano chiede un intervento forte per la crescita e sugli ammortizzatori sociali. Dal Pdl il vicecapogruppo al Senato Quagliariello ricorda che il governo ha varato una manovra su cui dice di avere «molti dubbi»: «L’abbiamo votato perchè è stata posta la fiducia. Ma la stabilizzazione non c’è stata. Lo dico con preoccupazione. Con lo spread sopra i 500 punti siamo ancora nella fase uno, altro che fase due! Ora serve una correzione profonda di questa manovra, mentre i partiti devono fare le riforme istituzionali». Nel partito di Berlusconi c’è chi, come Alessandra Mussolini, arriva a chiedere di sfiduciare il governo che «ci sta accompagnando alla recessione e alla disperazione».

Sarà un gennaio sicuramente complicato per Monti e tutte le forze politiche che, tra l’altro, attendono con un certo patema d’animo la decisione della Corte costituzionale che dovrà dire se il referendum sulla legge elettorale è ammissibili. L’11 gennaio la Consulta si riunirà in camera di consiglio. Ci vorranno alcuni giorni per una decisione, ma alla fine i partiti avranno un’altra grande grana da affrontare.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/436650/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. GOVERNO, MAGGIORANZA A RISCHIO
Inserito da: Admin - Gennaio 18, 2012, 12:24:07 pm
Politica

18/01/2012 - GOVERNO, MAGGIORANZA A RISCHIO

Berlusconi avvisa: "Due settimane decisive per Monti"

Alfano, Bersani e Casini: gli "azionisti" del governo Monti

Il Pdl chiede di ridiscutere alcune liberalizzazioni

Non c’è ancora intesa sulla mozione per l’Europa

AMEDEO LA MATTINA

Roma

Per Berlusconi le prossime due settimane saranno decisive. Monti dovrà recepire le proposte del Pdl, ammorbidire le liberalizzazioni, essere più cauto su certe categorie come tassisti e farmacisti. Non si tratta di un annuncio di smarcamento («saremo leali con il governo»), ma è il chiaro segno di una forte fibrillazione nel Pdl. Ieri sera a Palazzo Grazioli sono stati in molti a frenare sull’abbraccio con il Pd: il timore è che, voto dopo voto, la strana maggioranza diventi politica. Del resto, fino a poche settimane sembrava fantapolitica una mozione comune sulla giustizia. Ora è successo e si va verso una larga intesa sull’Europa. Berlusconi vorrebbe un riconoscimento esplicito del suo lavoro, ma nella mozione che verrà messa a punto domani dal ministro Moavero con i rappresentanti dei partiti non ci sarà. E per la verità non c’è nemmeno nel testo preparato da Frattini per il suo partito. Così come non ci saranno una serie di elementi che il Pd, ma anche il Pdl, vorrebbero inserire come l’obiettivo degli Eurobond, la trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza, l’esclusione di altre manovre.

Il governo chiede di avere le mani più libere e la definizione di un testo unitario con pochi dettagli e non troppo vincolante. Lo stesso strumento della mozione parlamentare non piace a Palazzo Chigi: il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giarda aveva suggerito ai gruppi di presentare un semplice ordine del giorno. Del resto lo stesso Monti non vuole andare allo scontro con la Merkel. «Non vogliamo creare problemi al Governo - spiega Sandro Gozi che per il Pd sta seguendo la trattativa - ma alcuni punti vanno fissati». «Sostegno ma anche indirizzo - afferma Osvaldo Napoli del Pdl - considerando l’assenza di una maggioranza politica precostituita». Ecco il punto, l’assenza di una maggioranza politica. Il capogruppo della Lega Reguzzoni sostiene che questa ci sia e ne risponderà ai propri elettori. No, replica l’ex ministro degli Esteri Frattini, «non è una maggioranza politica, ma una maggioranza salva Italia».

Sembra un gioco di parole. I due partiti maggiori cercano di esorcizzare quello che Casini, Fini e Rutelli, vogliono invece realizzare in questa legislatura e anche nella prossima. Per loro infatti è necessario trasformare un’alleanza occasionale in una coalizione politica. E la colazione di lunedì offerta da Monti a Bersani, Alfano e Casini può essere stata il primo passo per altre iniziative comuni alla luce del sole. Ma le resistenze dentro il Pd e il Pdl sono tante. Nel partito di Berlusconi sono in molti a temere che alla fine della fiera le liberalizzazioni danneggeranno più il loro elettorato di riferimento. «La vera liberalizzazione - dice l’ex ministro Gelmini - è la cancellazione dell’articolo 18, ma su questo punto il governo sembra fermarsi per non dispiacere il Pd e la Cgil». Paolo Romani afferma che se nella mozione sull’Europa non ci sarà alcun riconoscimento al governo Berlusconi significa che «stiamo scivolando pian piano verso la Grosse koalition e questo non può essere accettato».

Pdl ora dovrà pure ingaggiare il confronto sulla legge elettorale e sforzarsi di trovare un’intesa con il suo avversario principale, il Pd. Ma Berlusconi vuole trovare un accordo pure con la Lega (ieri ha visto Calderoli). Tutti sanno che si dovrà arrivare ad un compromesso. C’è chi spera che alla fine Berlusconi stacchi la spina in primavera e si vada a votare con il Porcellum. Il Cavaliere però si rende conto della gravità della situazione economica e poi ha interessi personali da tutelare (tra l’altro il 7 febbraio la Consulta si pronuncerà sul conflitto d’attribuzione relativo al processo Ruby).

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438741/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Rischio imboscate del Pdl Napolitano copre il premier
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2012, 10:41:11 am
Politica

20/01/2012 - retroscena

Rischio imboscate del Pdl Napolitano copre il premier

«La protesta è giusta ma non deve superare certi limiti: l’occupazione delle piazze non può essere consentita a oltranza»

Luigi De Magistris, sindaco di Napoli.

Partito in picchiata. Verdini: tra un anno saremo al 15%


AMEDEO LA MATTINA
Roma

Monti è pronto a varare quella che Linda Lanzillotta, dopo l’incontro del Terzo Polo con il sottosegretario Catricalà, ha definito «la vera prima rivoluzione liberale in Italia: quella che doveva fare Berlusconi e non è stato in grado di fare». Ora però il governo dovrà attraversare il terreno minato del Parlamento dove le lobby delle professioni, avvocati e commercialisti in testa, sono forti, e agguerrite; proprio quelle lobby, oltre i tassisti, che trovano robuste sponde nel Pdl e che verranno colpite dalle liberalizzazioni. Non è un caso che ieri il segretario del Popolo delle libertà Alfano abbia avvertito il premier che «per liberalizzare non occorre uccidere le professioni». Con un avvertimento: «Il governo ha il dovere di presentare delle proposte e noi abbiamo il diritto-dovere di presentare le nostre. L’esecutivo propone, il Parlamento ratifica, ma senza un obbligo evangelico. Non siamo a caccia di pretesti per mettere in difficoltà Monti, né per farlo cadere, ma speriamo che il governo recepisca la nostra visione».

Al ministero per i Rapporti con il Parlamento spiegano che qualche ritocco si potrà sempre fare, ma di levare tasselli non sarà possibile. La sensazione netta è che Berlusconi e Alfano dovranno ancora una volta bere l’amaro calice, come è accaduto con il decreto «salva-Italia» fatto essenzialmente di tasse per stabilizzare il debito pubblico e votato dal Pdl, facendo perdere a questo partito una grande quantità di consensi. A Palazzo Grazioli in questi giorni sono arrivati sondaggi che lo danno al 22%, dallo stratosferico 37,4% del 2008: e ancora non vedono la fine della discesa, al punto che viene calcolata una perdita media dello 0,3% alla settimana. «Di questo passo tra un anno se ci va bene arriveremo al 15%», è sbottato Denis Verdini che insiste con il Cavaliere per staccare la fatidica spina al governo. E non è il solo, ma l’ex premier non può, non vuole e non ne ha la forza.

Che il terreno sia minato, Monti ne è consapevole, ma è determinato ad andare avanti e non crede che alla fine nel Pdl prevarrà la linea dei falchi. Ha le spalle coperte dal capo dello Stato al quale ieri il presidente del Consiglio è andato ad illustrare i provvedimenti che verranno varati oggi dal governo. «Ripristinando così - dicono nel Pd una prassi preberlusconiana, visto che è il capo dello Stato a dover firmare i decreti». Napolitano ha dato il via libera e pieno sostegno a Monti per l’attraversata del Parlamento. Ha gradito moltissimo che il premier si sia presentato al Quirinale con una serie di sottosegretari competenti in materia, coloro che scrivono le formulazioni tecnicogiuridiche. Il capo dello Stato ha ascoltato con attenzione e alla fine pare si sia alzato dalla poltrona soddisfatto.

Il presidente della Repubblica apprezza il lavoro che il premier sta facendo in Europa, il suo insistere sulla crescita e non solo sul rigore voluto dalla Merkel; e sul metodo comunitario di affrontare le questioni. Una tela diplomatica che in questi giorni è passata per Londra dove ha visto Cameron e ha rassicurato la City. E ieri è stato fatto un altro passaggio importante in vista dei prossimi appuntamenti europei, con l’incontro a Palazzo Chigi con il premier polacco Tusk.

Anche di questo scenario internazionale sembra che ieri si sia parlato al Quirinale. Per Napolitano la credibilità dell’Italia sui mercati e la stabilità del debito pubblico passa anche attraverso le liberalizzazioni: sono il secondo biglietto da visita che Monti potrà portare al vertice europeo del 30 gennaio. Potrà continuare a dire che gli italiani non chiedono niente alla Germania e a quei Paesi che ancora nutrono qualche dubbio sul nostro conto: noi pensiamo a fare i compiti a casa nostra, ma la Merkel dovrà cambiare rotta.

Ora però Monti dovrà affrontare il terreno minato del Parlamento italiano. A Palazzo Chigi, negli incontri che si sono svolti ieri con alcune delegazioni dei gruppi, il governo è apparso sereno, niente affatto preoccupato di fronte alle critiche che inevitabilmente pioveranno. Del resto, ha spiegato il sottosegretario Catricalà, le liberalizzazioni riguardano tutte le categorie professionali, tutti i settori economici. E’ una spinta alla modernizzazione, un cambio di passo anche culturale, un aiuto ai giovani. «E poi - ha sottolineato il sottosegretario - non stiamo facendo altro che applicare le indicazioni che ci vengono da Bruxelles».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/439018/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La mossa di Silvio: campagna elettorale senza la mia faccia
Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2012, 12:19:52 pm
Politica

20/02/2012 - il caso

La mossa di Silvio: campagna elettorale senza la mia faccia

Ipotesi "civica", ma mezzo partito fa muro

Amedeo La Mattina
Roma

Il Cavaliere non sarà presente alle amministrative. Niente comizi, niente campagna elettorale. E se questa scelta verrà mantenuta fino in fondo, se riuscirà a resistere alle richieste del territorio, sarà la prima volta in assoluto da quando è sceso nell’agone politico. Toccherà al segretario Angelino Alfano pedalare e assumersi fino in fondo la responsabilità dei risultati elettorali. Non ci sarà più la presenza «salvifica» di Berlusconi, come è accaduto in passato in molti casi. Oggi sono altri tempi, sembra passata un’era geologica e l’ex premier Berlusconi lo sa, se ne rende conto. Per questo non vuole metterci la faccia, sul voto di primavera, su una sconfitta annunciata. Ed è la logica conseguenza della volontà, che si fa sempre più diffusa nel Pdl, di interpretare l’appuntamento elettorale in chiave civica. Ma non sarà facile per Berlusconi convincere una buona parte del partito, che resiste a tuffarsi nelle amministrative sostenendo candidati non di partito, facendo pure scomparire il simbolo del Pdl.

A Palermo si pensa addirittura di sostenere il giovane Costa, che è stato scelto dal Terzo Polo per la corsa alla più alta carica di Palazzo delle Aquile. Miccichè e il suo Grande Sud sembrano sempre più decisi a partecipare a questa partita, che lascerebbe il Popolo della Libertà isolato. Ecco perché Alfano sta pensando di appoggiare Costa. Sarebbe un fatto eclatante. Ovviamente non sono tutti d’accordo, perché accodarsi ad una scelta altrui sarebbe umiliante. Gli altri, coloro che non vogliono farsi sfuggire il trentaquattrenne Costa, che si porta dietro un bel po’ di voti Pdl vicini al presidente dell’Ars Francesco Cascio, rispondono: pensate invece quanto sarebbe umiliante se il nostro candidato non riuscisse a passare al primo turno, dovendo assistere a un ballottaggio tra Pd e Terzo Polo.

I rompicapo del Pdl attraversano l’Italia da Nord a Sud. E’ in corso un duro braccio di ferro sulla strategia da adottare alle amministrative. Dietro le scelte di continuare ad esistere come Pdl e di cambiare pelle (e nome) c’è l’obiettivo di partecipare alle operazioni che dopo le amministrative partiranno. Il fantasma del Nuovo Partito su cui punta Casini agita i sogni di una parte dei berlusconiani, che presto potrebbero diventare ex berlusconiani. Sì, perché non sono pochi coloro che per le Politiche 2013 aspettano che passi il nuovo autobus con la scritta luminosa «Appello ai Moderati: tutti a bordo». Per non subire questa operazione (non si sa ancora chi dovrebbe guidarla, se ci sarà Monti, Passera o qualcun altro alla guida dell’autobus), Alfano saggiamente si sta attrezzando. E Berlusconi cerca di dargli, per quanto può, una mano. Ma alle amministrative la musica è diversa: lui non ci sarà.

Il braccio di ferro dentro il Pdl è duro. Ieri Giuliano Ferrara ha messo il dito nella piaga. Sulle colonne del «Giornale» ha definito i partiti in generale delle anime morte, realtà che sanno fare solo danni. «Non servono più. Il Pdl poi si è mangiato la leadership, ha condotto alla perdita della maggioranza alle Camere, è stato il luogo delle risse indiscernibili, di rinvii e intralci all’azione del governo». Ma non sono solo gli ex An, abituati a lavorare con maggiore organizzazione, a non volere perdere il simbolo del Pdl per strada. Anche alcuni ex ministri di origine Forza Italia considerano un suicidio presentare solo liste civiche. «Chi sta forzando su questa ipotesi - spiega uno di loro - non ha voti. Sono gli stessi che magari denunciano tesseramenti falsi perché di tessere ne hanno poche e hanno perso o si apprestano a perdere i congressi. Alfano deve avere il coraggio di ripartire anche dal 18-20%. E’ una pazzia scomparire nelle liste civiche».

Insomma Berlusconi, che oggi ha riunito amministratori e i vertici nazionali e locali del Pdl, dovrà trovare un compromesso difficile. In effetti pensare di correre a Palermo senza il simbolo, nella città che è stata una delle roccaforti del berlusconismo, sarebbe incredibile. E la stessa cosa potrebbe accadere a Verona. Il Cavaliere si è però convinto (i sondaggi glielo confermano) che ormai per gli italiani partito è uguale a sfiducia. Ma uno che di campagne elettorali nei comuni se ne intende, come Osvaldo Napoli, invita i dirigenti del suo partito a non impiccarsi alla disputa fra liste civiche e liste di partito. «Voglio dire, da amico di Berlusconi e di Alfano, che il voto amministrativo deve essere l’occasione non per presidiare il territorio mostrando le insegne del partito, oppure per mimetizzarci attraverso le liste civiche. Occorre un bagno di umiltà e di speranza che tutto il centrodestra deve fare fra i cittadini».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443174/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. MONTI "Nessun mandato predeterminato".
Inserito da: Admin - Marzo 14, 2012, 11:30:52 am
Politica

14/03/2012 -

Il premier prima del vertice stoppa il Pdl

La riforma della giustizia è uno dei terreni di scontro più aspri tra i partiti

"Nessun mandato predeterminato".

E Casini: con certe bambinate Alfano si gioca il credito al centro

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Ieri pomeriggio Casini passeggiava sconsolato in Transatlantico mentre in aula il governo andava giù tre volte. Il leader dell’Udc non legava questi scivoloni con le fibrillazioni tra i partiti della «strana» maggioranza. «Sarebbe una forzatura, tuttavia il clima rischia di deteriorarsi. Io capisco Alfano: pone dei veti, non si presenta al vertice di maggioranza, alza la voce per tenere unito il Pdl, ma è un gioco folle. Con queste “bambinate” si sta bruciando il suo credito al centro». Casini ragionava così con alcuni deputati del suo partito e non è un caso se abbia voluto pubblicamente spiegare che l’accordo tra Udc e Pdl sul candidato sindaco di Palermo non ha valore strategico («con Fini e Rutelli abbiamo deciso di circoscrivere a zero la valenza politica»).

Il clima non è dei migliori, ma il presidente del Consiglio non è preoccupato. Monti considera quelle tra Bersani e Alfano schermaglie preelettorali che non arriveranno al punto di mettere in crisi il governo. E va avanti mettendo sul tavolo del vertice di maggioranza che si terrà domani tutti i temi che ritiene necessari, senza escludere giustizia e Rai. Non accetta veti. Il segretario del Pdl vuole parlare solo di lavoro, di accesso al credito per le imprese e accusa Bersani di pensare alle «poltrone Rai». «Se rimarrà tempo ci occuperemo anche del servizio televisivo pubblico e di giustizia», ha ironizzato l’ex Guardasigilli. «Già - gli ha risposto acido il leader dei Democratici -, Alfano ora è il capo della classe operaia... Non ho ho nessuna voglia di litigare, ma con i veti reciproci il governo sarebbe paralizzato. Attenzione a non accendere fuochi. Io non ho mai sollevato questioni, invece ho visto il Pdl esasperare i toni e far saltare un vertice».

Il vertice adesso si farà e Monti ha imposto un ordine del giorno che piace al Pd. La doccia fredda per Alfano è arrivata addirittura durante la conferenza stampa con la Merkel. Con l’aplomb del professore che tanto piace alla Cancelliera tedesca, il premier ha ricordato che un governo non può avere un «mandato predeterminato». Certo, i tecnici sono stati chiamati a Palazzo Chigi per superare la crisi economica e rilanciare la crescita, ma come assolvere a questa missione è una competenza dell’esecutivo: riforma della giustizia civile e lotta alla corruzione ne sono parte integrante. Ciò significa che il Pdl non può porre veti preventivi, nemmeno sul tema della tv pubblica visto che viale Mazzini versa in un pessimo stato economico e finanziario. Bersani spera che il premier metta mano alla governance, che venga cambiata la legge Gasparri. Nel Pd gira voce che Palazzo Chigi, d’accordo con il Quirinale, aveva già cominciato a scrivere un decreto per ridurre il numero dei componenti del Cda e dare più poteri al direttore generale (ovviamente l’attuale dg Lorenza Lei non sarebbe rimasta al suo posto). Il decreto sembra sia stato messo in un cassetto e il ministro Corrado Passera domenica in un’intervista al Sole-24 Ore ha parlato solo di un rinnovo del cda Rai con i criteri stabiliti dalla legge Gasparri. I democratici non ci stanno. «Come fa Monti a rimangiarsi quello che ha promesso in una trasmissione televisiva?», si chiede Paolo Gentiloni. «Se si piegasse ai diktat di Berlusconi, l’autorevolezza che ha conquistato fino ad oggi - aggiunge l’ex ministro delle Comunicazioni - ne verrebbe molto deteriorata».

Il presidente del Consiglio però non vuole infiammare gli animi, così nel vertice di domani mette tutti i temi caldi, nessuno escluso. Sulla legge contro la corruzione punta a far passare la proposta di mediazione del ministro Severino; sulla Rai cerca di far passare la nomina dei nuovi consiglieri d’amministrazione e del direttore generale. «Lorenza Lei però non si tocca», dice perentorio Paolo Romani. Il Pd teme che lo scoglio venga superato mettendo sul piatto di Mediaset le frequenze televisive. Così Bersani tiene alta l’asticella, continuando a ripetere che non parteciperà alle nuove nomine di viale Mazzini. Monti sta facendo di tutto per sbloccare la rigidità del capo dei Democratici.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446332/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Pdl avvisa il Pd: "Niente veti"
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2012, 11:15:46 pm
Politica

23/03/2012 - LAVORO FIBRILLAZIONE TRA I PARTITI

Il Pdl avvisa il Pd: "Niente veti"

Angelino Alfano, segretario del Pdl: «Sull’art. 18 si deve andare avanti anche se la Cgil mette il veto. Se Bersani vuole una riforma su misura deve vincere le elezioni».

Bersani insiste e vuole modifiche in Parlamento

Alfano lo stoppa: vogliono snaturare la riforma

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Mario Monti ha fatto sapere che andrà avanti sulla riforma del mercato del lavoro, anche nella parte più contestata dell’articolo 18: no al reintegro in caso di licenziamento per motivi economici; in compenso ci saranno norme stringenti contro gli abusi. Ma l’intenzione di inserire quest’ultima modifica in un disegno di legge significa lasciare il Parlamento libero di apportare modifiche.

Ed è proprio su queste modifiche che punta Bersani, convinto che nelle aule parlamentari ci sono i numeri per far prevalere il modello tedesco (è sempre il giudice che decide tra reintegro e indennizzo), anche con i voti del Pdl e di una parte di esso. Il segretario del Pd pensa che ci sia un’opinione pubblica trasversale contraria a rendere più facile l’allontanamento del lavoratore dalle aziende. Ecco, quella tedesca è la strada che il leader dei Democratici ha individuato per evitare la rottura con la Cgil e tenere unito il partito. Infatti in questo senso si sono espresse tutte le componenti, da Letta a Fassina, da Fioroni e alla Bindi, da D’Alema a Veltroni, il cui silenzio di questi giorni aveva fatto pensare a una sua forte distanza dal segretario. Ieri invece ha detto che «non servono diktat né al Pd né al Parlamento: alla via del decreto bisogna preferire uno strumento che permetta al Parlamento di non mettere un timbro ma di modificare la riforma sull’art. 18».

Un altro assist al Pd è venuto paradossalmente da Bossi («questa non è una riforma, ma una controriforma») e dalla promessa di trasformare le aule in un Vietnam da parte di Di Pietro. Ma per Bersani ancora più utile è stata l’esternazione di monsignor Bregantini della Cei: «Lasciare fuori la Cgil sarebbe un grave errore. La questione è chiusa, ha detto il presidente Monti. Si poteva dire: la questione è posta, ora dialoghiamo».

Il premier tuttavia non cambia idea, tiene il punto, non perde la faccia, può continuare a presentare all’estero la «Nuova Italia» dove è conveniente investire. La Cgil comunque non si fida, il Pd non ci sta. «Credo - ha spiegato Bersani che il Parlamento abbia la possibilità di apportare miglioramenti e correzioni. Anche le altre forze politiche possono percepire il turbamento che c’è nell’opinione pubblica. Non possiamo ridurre tutto o quasi il meccanismo dei licenziamenti all'indennizzo». A questo punto, solo Alfano e Casini sostengono la riforma del mercato del lavoro targata MontiFornero, pure nella parte relativa all’articolo 18. Tranne poi verificare quali saranno i loro comportamenti in Parlamento.

Il Pdl ha accusato il Pd di essere condizionati dalla Cgil che a sua volta è ostaggio della Fiom. Secondo il capogruppo Cicchitto «è in atto un forte tentativo di snaturare la riforma»: «Ci auguriamo che il governo tenga ferme le scelte fatte». E Alfano ha messo le mani avanti, affermando che in Parlamento il suo partito non si presterà a «un compromesso al ribasso, a una riformetta. Se Bersani vuole fare la riforma che hanno in mente Camusso e la Fiom, allora vinca le elezioni, la faccia e poi la spieghi alla gente». Alfano ha provato a soffiare sul fuoco delle divisioni interne al Pd e a mettere Bersani contro Napolitano, che a suo giudizio esprime «una vera cultura riformista». Casini ha capito il pericolo che corre il governo e dice alle «provocazione» del Pdl: «Bisogna rispettare il Pd e il suo travaglio interno. Ho visto dichiarazioni di chi mette in contrapposizione Napolitano e Bersani. È un giochino di cattivo gusto».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447477/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Casini chiude l’Udc e lancia il “Partito della nazione”
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2012, 10:47:38 pm
Politica

15/04/2012 - VERSO IL VOTO LE STRATEGIE

Casini chiude l’Udc e lancia il “Partito della nazione”

Gli esperti: Così cambierà l'Italia nel 2013

“Tsunami sulla politica, serve un nuovo soggetto”. Freddi Pdl e Pd

Insofferenza in Futuro e Libertà: Fini si dimetta e scenda in campo

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Casini scalda i motori della sua nuova creatura politica, quel Partito della Nazione che nei progetti di Pier dovrà essere il nuovo baricentro della politica italiana. E magari su questa onda alta salire al Quirinale con i voti del Pd e del Pdl. Un conto senza l’oste, osservano nei due maggiori partiti che vogliono «prima vedere cammello poi pagare»: cioè, l’Udc con chi stringerà un’alleanza alle politiche del 2013? Il punto è che Casini non vuole allearsi con nessuno. E, grazie ad una nuova legge elettorale di taglio proporzionale (se mai verrà alla luce), punta a rimettere in piedi la Grande Coalizione nel prossimo Parlamento.

«La politica italiana è in pieno tsunami, non bisogna nemmeno aspettare le prossime amministrative», ha detto ieri al congresso veneto del suo partito. «Credo che agli italiani serva un soggetto politico nuovo che parli il linguaggio della serietà, delle scelte impopolari, del rigore, metta assieme tecnici e uomini politici, sindacalisti intelligenti e imprenditori illuminati». Insomma, per Casini l’Udc non basta più, occorre fare un salto di qualità, andare oltre lo stesso Terzo Polo, creare un partito plurale che metta assieme «diverse personalità compreso anche chi sta ora nel governo attuale». Quindi «sindacalisti intelligenti» come il leader della Cisl Raffaele Bonanni; «imprenditori illuminati» come Luca Cordero di Montezemolo, Emma Marcegaglia e i protagonisti di Rete Imprese Italia; ministri come Riccardi, Ornaghi, Severino e Passera. Il ministro dello Sviluppo economico non è più un pericoloso concorrente attorno al quale potrebbe nascere un altro polo moderato: così viene vissuto da Casini. In questo progetto politico non è ancora contemplato il Pdl e quella casa dei moderati modello Ppe per il quale Alfano sta lavorando disperatamente. Ma che fine farà il Terzo Polo? Che ruolo avrà Gianfranco Fini? Ecco l’altro problema che Casini dovrà affrontare presto.

Nel Fli l’insofferenza per il protagonismo di Pier è altissima. Non viene digerito il fatto che la maggioranza abbia tre sole lettere a contraddistinguerla: ABC, cioè Alfano, Bersani e Casini. Con l’ex leader di An in un angolino, inghiottito in un cono d’ombra. «ABC non basta più è tempo che scenda in campo la F», avverte Carmelo Briguglio. «Fini - chiede il vicepresidente dei deputati Fli - deve scendere in campo, si deve dimettere da presidente della Camera e guidare da protagonista il nuovo soggetto politico, libero da lacci e lacciuoli. Ormai il 90% del Fli la pensa così». Cosa abbia intenzione di fare Fini ancora non è chiaro. Nei mesi scorsi ha smentito di volersi dimettere dalla terza carica dello Stato. Quando era in sella a Palazzo Chigi Berlusconi, questa ipotesi era stata scartata perché, così veniva spiegato, era necessario «un presidio di garanzia istituzionale alla Camera». Dopo si è aperta l’era dei tecnici e dal più alto scranno di Montecitorio bisogna guidare la nuova fase parlamentare. Ora la politica si è avviata verso la boa delle amministrative e dovrà presto prepararsi alle elezioni politiche del 2013 che si presentano come un buco nero. Il gioco da qui a qualche settimana si farà durissimo e Fini non potrà rimanere ancora a lungo imbalsamato nel suo ruolo istituzionale. Dovrà affiancare Casini nella costruzione del Partito della Nazione. Lui non ha ancora scelto i tempi per fare il passo. C’è ancora un anno prima del voto politico e tanti sono gli impegni parlamentari da affrontare: lasciare scoperta la presidenza della Camera potrebbe essere considerata una mossa poco seria, anche dal Quirinale. Nel Fli però il pressing a dimettersi è diventato fortissimo, assordante.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450171/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi cerca la sponda del Colle
Inserito da: Admin - Aprile 28, 2012, 11:37:19 am
POLITICA

28/04/2012 -

Berlusconi cerca la sponda del Colle

Ieri il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha incontrato a pranzo l’ex premier Silvio Berlusconi

L’ex premier si sfoga con il Presidente della Repubblica: “Basta pubblicare le mie telefonate”

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

È difficile capire le vere intenzione che animano Berlusconi quando si reca al Quirinale e lamenta con una certa foga «l’amarezza per la continua e nuova aggressione giudiziaria» nei suoi confronti. Una «macchina del fango» sempre in moto nelle varie procure d’Italia, alimentata dalla «persecuzione mediatica di Repubblica» che nel suo sito web mette in rete le telefonate con le protagoniste del “burlesque” ad Arcore. Telefonate che «non hanno nulla di penalmente rilevante ma con l’unico obiettivo di screditarmi più che altro dal punto di vista personale visto che ho fatto molti passi indietro dalla vita politica». Per il Cavaliere si tratta di «una violazione della privacy che non ha riscontro in nessun altro Paese civile» e che renderebbe ancora più necessario e urgente una disciplina sulle intercettazioni. «Le legge di cui si sta discutendo non è quella che avremmo fatto noi - ha detto - ma almeno questa, che è un compromesso, va approvata al più presto». Insomma deve finire il gioco al massacro che lo vede sempre al centro dell’attenzione di qualunque vicenda giudiziaria, che si tratti di Ruby, di Lavitola o di Finmeccanica.

Un semplice sfogo o la ricerca di una “sponda” nel capo dello Stato in cambio della pace politica?
Il presidente della Repubblica è abituato ad ascoltare simili lamentele da parte di Berlusconi: ha ascoltato senza dire nulla. Semmai il capo dello Stato era più interessato a verificare il grado di compattezza attorno al governo Monti.

E dalla colazione al Colle, alla quale ha partecipato anche Gianni Letta, si è alzato tranquillizzato.

Nel Pdl poi le interpretazioni sono le più varie, a cominciare da quella secondo cui Berlusconi avrebbe messo sul piatto un “aiutino” per frenare la «macchina del fango» in cambio di un appoggio convinto all’esecutivo. Anche perchè il partito è in grave sofferenza per i provvedimenti di rigore, innanzitutto per l’aumento della pressione fiscale, mentre l’elettorato di riferimento si sta sciogliendo sotto l’urto dell’antipolitica. Berlusconi tuttavia ha escluso che il Popolo della libertà possa fare sgambetti al Professore della Bocconi. Lo stesso ultimatum lanciato da diversi esponenti del Pdl sulla riforma del mercato del lavoro non prelude a niente di catastrofico, nonostante «si sia concesso troppo alla Cgil, facendo un favore elettorale a Bersani». «Questo ci ha penalizzato. Per questo vogliamo una correzione». Quello che sicuramente non va è il continuo incremento delle tasse. Per il Cavaliere, ad esempio, si deve assolutamente evitare di aumentare l’Iva e in futuro è necessario addolcire, se non eliminare, l’Imu per la prima casa.

Napolitano è sempre concentrato sulla situazione economica che rimane sempre tesa. E che richiede una continua opera di vigilanza. Rigore e risanamento finanziario deve andare di pari passo alla politica di crescita e su quest’ultimo versante il capo dello Stato intravede degli spiragli, ancora tutti da verificare, anche da parte della Merkel. Insomma non è il momento di abbassare la guardia e di mettere in giro voci di elezioni anticipate a ottobre. Berlusconi ha spiegato di averle mai auspicate, ma di aver parlato delle possibili tentazioni che potrebbe avere il Pd sicuro di vincere. Il Pdl invece vuole concludere la legislatura, facendo le riforme. Per il Cavaliere però non si devono fare solo le riforme costituzionali ed elettorale: bisogna mettere mano alla giustizia e alle intercettazioni. Non ci sarà un atteggiamento barricadero, intransigente: c’è una disponibilità al compromesso, pure sulla responsabilita civile dei magistrati. Non sarà tuttavia accettato dal Pdl di dare con una mano e non ricevere dall’altra.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/452087/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Casini: smemorati, Monti deve rimediare agli errori di altri
Inserito da: Admin - Aprile 30, 2012, 11:22:29 am
Politica

30/04/2012 - Fisco, monta la protesta

Pdl e Pd, tutti iscritti al festival anti-tasse

Casini li stoppa: smemorati, Monti deve rimediare agli errori di altri

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Il clima di campagna elettorale fa volare i palloni delle proposte sul fisco, di riduzione ovviamente, sapendo che per il momento ciò non è possibile. Poi il fatto che oggi il governo porta alla luce la spending review del ministro Giarda aggiunge l’illusione che, tagliando le spese, si possa costituire un tesoretto utile ad abbassare le tasse. Tutti sono consapevoli che non sarà possibile, che al massimo si potrà evitare di aumentare l’Iva e centrare il pareggio di bilancio.

Da questo festival anti-tasse si distingue Casini, stupefatto da tutti questi «smemorati che sembrano Alice nel Paese delle meraviglie. In 4-5 mesi ci siamo dimenticati perché Monti ha preso in mano l’Italia, sembra che la pressione fiscale sia colpa sua. Monti invece deve rimediare perché qualcuno prima di lui ha abolito l’Ici e ora c’è l’Imu, perché qualcuno in Europa ha sottoscritto impegni pesantissimi e ora dobbiamo onorarli». Sono gli impegni sottoscritti da Berlusconi per il pareggio di bilancio nel 2013.

Ecco invece la babele di proposte. La più sexy è quella del segretario del Pdl Alfano: non far pagare le tasse, fino alla somma vantata nei confronti della P.A., agli imprenditori che non ricevono i rimborsi. Fanno la ola gli uomini e le donne del Popolo della libertà che bacchettano Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, che si permesso di ironizzare sull’idea di Alfano, bollandola come irresponsabile e propagandistica.

Intanto, perché in tre anni e mezzo di governo, Berlusconi non ha attuato la proposta avanzata dall’ex ministro della Giustizia. Poi perché in questo modo si determinerebbe un buco di bilancio di 30-40 miliardi di euro in un solo colpo. Osvaldo Napoli invece difende la proposta di Alfano: è «semplice, razionale ed efficace quanto inutilmente polemica, contorta e irrazionale la replica di Fassina: per quale ragione dovrebbe aprirsi un buco nei conti pubblici se lo Stato attiva una compensazione fra crediti e tasse verso le imprese?».

La tassa più sofferta rimane l’Imu che gli italiani si apprestano a pagare tra mal di pancia e rabbia, ingrossando le fila dell’antipolitica e dell’astensione. Maroni ne approfitta per lanciare la disobbedienza civile, ben sapendo quanto di queste entrate sulla casa i sindaci, che non possono derogare al patto di stabilità, hanno bisogno.

Facile per Bersani schiacciare la palla, ricordano al neocapo della Lega che in Italia c’è già troppa gente che fa lo sciopero fiscale, evadendo le tasse. Semmai, dice Bersani, bisogna rendere l’Imu più leggera. E per fare ciò aveva proposto un’imposta personale sui grandi patrimoni immobiliari. «Maroni era lì quando abbiamo fatto questa proposta. Erano tutti lì quelli che ora si lamentano. Poi su una cosa Pisapia ha ragione: bisogna fare un meccanismo per cui l’Imu rimane ai Comuni e loro non facciano solo gli esattori per conto dello Stato».

Erano tutti lì, sia prima che dopo il governo Berlusconi. Ma ora Bossi dice che «Roma ha rotto le balle» e il tandem Gasparri-Romani chiede di sottoscrivere un accordo con la Svizzera per la tassazione dei patrimoni nascosti.

«Il Governo Monti - sostengono il capogruppo del Pdl e l’ex ministro - è chiamato a recuperare queste ingenti somme evase al fisco per allentare la morsa fiscale su cittadini e imprese». Anche Di Pietro è della stessa idea e quantifica il capitale esportati illegalmente all’estero in 40 miliardi di euro. «L’Italia dei Valori chiede da mesi che si faccia così, ma i signori del governo da quell’orecchio proprio non ci sentono e un sistema dell’informazione ancora più allineato e coperto che ai tempi del fascismo gli tiene bordone».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/452260/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L'ira di Fini contro Casini: è inaffidabile
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2012, 11:47:16 pm
Politica

10/05/2012 - ELEZIONI LE CONSEGUENZE

L'ira di Fini contro Casini: è inaffidabile

Vertice a Montecitorio, il leader Udc irremovibile «Ognuno porti avanti il suo progetto, poi si vedrà»

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Casini scioglie il Terzo Polo, scarica Fini e Rutelli, si allontana decisamente da Bersani e vira, più che a destra, verso quello che sarà il contenitore dei moderati che sta aprendo il cantiere. Obiettivo sbarrare la strada alla sinistra e a un Pd «affetto dalla sindrome
dell’autosufficienza», osserva il leader dell’Udc. Dopo i ballottaggi ed entro la fine di luglio ci saranno grandi novità che interesseranno
l’area cattolica, personaggi come Luca Cordero di Montezemolo, il nuovo soggetto politico che sta preparando Berlusconi e Alfano, oltre il Pdl. Tante iniziative autonome e per il momento separate l’una dall’altra, ma che potrebbero incontrarsi per coagulare il “centrodestra liquido”.
 
Il voto amministrativo, secondo Casini, ha reso in maniera plastica questa liquidità, e «i moderati rischiano di rimanere sotto le macerie» dell’antipolitica, mentre il Pd non comprende che sta crescendo «un mostro» fatto di grillini e sinistra radicale stile Vendola.
 
Commettendo l’errore di accarezzare una legge elettorale a doppio turno alla francese, che sarebbe la tomba dell’Udc. E anche se dovesse rimane l’attuale Porcellum, il rischio per il partito dell’ex presidente della Camera sarebbe altissimo: potrebbe verificarsi che l’ago della bilancia non sarebbe più l’Udc, ma un altro soggetto che scenderà in campo per le politiche 2013.

Allora, massimo movimentismo, gettare a mare il Terzo Polo, salutare Fini e Rutelli: ognuno tessa la propria tela e si salvi chi può.
Le amministrative, secondo l’Udc, hanno dimostrato l’inesistenza del Fli e dell’Api. E poi Casini non sopporta più di stare insieme a esponenti del Fli, come Briguglio e Granata, che lo provocano, lo insultano, che in Sicilia sostengono Raffaele Lombardo. Basta, ognuno per la sua strada, in mare aperto. Dal Fli, proprio Briguglio in un tweet scrive che «su Costa (il candidato Pdl-Udc che a Palermo non è andato al ballottaggio ndr) non ci sbagliavamo, su Casini speriamo di sbagliarci». E a proposito di voti, sempre Briguglio che in Sicilia è il coordinatore regionale del Fli, ricorda che sommando i voti presi nei comuni dell’isola il suo partito ha ha avuto una media superiore al 7%: «Un ottimo risultato, che lascia presagire un’affermazione ancora maggiore alle politiche e alle regionali». «Noi - aggiunge Italo Bocchino - andiamo avanti alla costruzione del Fli. Alle amministrative abbiamo ottenuto il 4,2%. Cosa voglia fare l’Udc non ci è chiaro».

Nell’Udc fanno spallucce. Per Casini l’alleanza con Fli e Api non è sufficiente a rappresentare «un’esigenza di cambiamento, di rinnovamento». «Siamo in una nuova stagione e il gioco è diverso: se qualcuno pensa che le cose vadano bene così, vada avanti». Ieri Fini si è trovato il
de profundis del Terzo Polo sui giornali e si è molto arrabbiato, temendo che il leader dell’Udc avesse comunicato la marcia di avvicinamento verso il Pdl e la federazione dei moderati proposta da Alfano. «Gridava come un pazzo, diceva che Casini è inaffidabile», raccontano nel Fli.
Ma nell’incontro tra i due a Montecitorio, Casini ha chiarito di avere ripetuto cose dette tante volte: che il Terzo Polo non riesce a intercettare l’emorragia di consensi del Pdl, che ci vuole qualcosa di nuovo, un soggetto non strutturato che si apra alla società civile.
«Vuoi che io mi allei con il Pdl ora che sono ai minimi termini? Ognuno porti avanti il suo progetto, poi si vedrà», ha detto a Fini. Il quale però ha capito l’antifona: Pier pensa che non può più fare il gioco dei due forni e vuole trattare solo per sè il ruolo che avrà nel futuro rassemblement dei moderati.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453577/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Guerra per bande nel Pdl
Inserito da: Admin - Luglio 05, 2012, 12:04:42 pm
Politica

05/07/2012 - retroscena

Guerra per bande nel Pdl

Il partito militare non c'è più


AMEDEO LA MATTINA
Roma

Una volta c’era la caserma Pdl dove sulle questioni Rai (e giustizia) non si fiatava, nessuno poteva scostarsi di un millimetro dai voleri della Real Casa, ovvero da Silvio Berlusconi e dai suoi interessi in conflitto. Poi è successo che le maglie si sono allentante, il Cavaliere ha perso Palazzo Chigi, i dissidi nel partito si sono centuplicati, in ogni Regione è scoppiata la guerra per bande, la metà dei parlamentari non verrà più eletta e quindi si comincia a giocare per sé, anche per interessi personali.

Ecco, la “straordinaria” vicenda che sta andando in scena in commissione Vigilanza Rai rientra in questo processo di sfilacciamento in cui perfino dei fedelissimi del Capo disattendono gli ordini di scuderia. È successo infatti che il senatore Paolo Amato non era d’accordo con i quattro nomi da votare per il Cda di viale Mazzini perché era stato tagliato fuori Giampaolo Rossi, presidente di Rainet e fidanzato dell’onorevole Deborah Bergamini. Rossi faceva parte della lista degli otto nomi che era stata redatta a via dell’Umiltà, il quartier generale del Pdl, nelle settimane scorse.

Ma i “fortunati” predestinati dovevano essere solo quattro e in una riunione dei componenti pidiellini qualcuno ha chiesto al segretario Angelino Alfano «e ora come facciamo?». Chi rimane dentro e chi fuori? Con quale criterio si sarebbe presa una decisione? «Magari facciamo le primarie», ha scherzato Marcello De Angelis. Battuta non raccolta. Su queste cose c’è poco da scherzare perché perdere il controllo in Rai è cosa seria, molto seria.

A tagliare e scremare ci hanno pensato Berlusconi e i capigruppo l’altra sera a Palazzo Grazioli. Alla fine nella rosa dei nomi da votare in Vigilanza Giampaolo Rossi non c’era. Allora la Bergamini, così raccontano i beni informati del Pdl, si è arrabbiata e ha cercato di far saltare il piano, non credendo che ci sarebbe stata una compensazione di qualche tipo. Ha parlato con Amato, suo concittadino fiorentino con il quale in Toscana condivide la guerra contro il coordinatore nazionale Denis Verdini. Così il senatore si è presentato in Vigilanza: prima ha votato Flavia Piccoli Nardelli, la candidata sostenuta dall’inedita alleanza tra Fli e Idv. Risultato: prima fumata nera; poi si è rivotato ed è spuntata una strana scheda bianca: altra fumata nera, mandando in bestia gli uomini del Pdl e soprattutto Berlusconi. Adirato l’altra sera a Palazzo Chigi ha chiesto ai dirigenti del partito cosa serve convocare l’ufficio di presidenza e decidere la linea se poi i parlamentari fanno quello che vogliono? È partita la caccia al colpevole, Amato viene individuato, si dice che è il mandante di Pisanu in rotta con il Pdl e in avvicinamento al Terzo Polo, a Fini in particolare. Ma da una più accurata indagine salta fuori che la mano del «traditore» è stata armata innanzitutto dalla Bergamini. Così Amato è stato messo alla porta sostituito, guarda caso proprio ieri, da Pasquale Viespoli del gruppo Coesione Nazionale, in sostanza una costola del Pdl. Con la conseguenza che adesso potranno essere eletti nel Cda della Rai Verro. Pilati, Rositani e Todini, un nome, quest’ultimo, frutto di un’intesa tra Pdl e Lega. Mentre gli altri tre sono il risultato dell’equa divisione tra ex Forza Italia ed ex An.

Ora su tutto questo è esploso un conflitto istituzionale tra il presidente della Camera Fini e il suo omologo al Senato Schifani, che ha messo nero su bianco la sostituzione di Amato con Viespoli.

Del resto la seconda carica dello Stato, una volta che Fini se n’è lavato le mani, ha risposto a una lettera che gli aveva mandato il capogruppo del Pdl Gasparri per annunciare che il suo partito avrebbe rinunciato a un componente in Vigilanza per fare posto a Viespoli.

E fin qui tutto sembrava filare liscio, ma chi avrebbe potuto prevedere che Amato si sarebbe ribellato?

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461247/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi temporeggia e sogna la rivincita
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2012, 04:59:00 pm
Politica

24/07/2012 - retroscena

Berlusconi temporeggia e sogna la rivincita

L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è dimesso il 12 novembre scorso

Il Cavaliere dice no al voto in autunno e lavora alla legge elettorale. Ma scioglierà la riserva sulla sua ricandidatura solo a settembre

Amedeo La Mattina
Roma

Con lo spread a 520 punti e che nelle prossime settimane potrebbe arrivare a 600, la missione di Monti potrebbe essere considerata fallita: Berlusconi ha in testa questo concetto e avrebbe tanta voglia di dirlo pubblicamente, ma per il momento tace, segue l’evoluzione della situazione italiana ed europea. Così come avrebbe voglia di salire al Quirinale e dire a Napolitano «dove eravamo rimasti?», cioè a quel 12 novembre 2011 quando dovette dimettersi perchè tutto precipitava e lo spread era arrivato a 574 punti. Lasciando Palazzo Chigi al Professore della Bocconi, che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi del Paese perchè portatore della necessaria credibilità europea, pure per «piegare» frau Merkel. E ora, ragiona il Cavaliere, dopo i sacrifici degli italiani e l’aumento delle tasse, «a che punto è la notte?».

Certo, di chiedere le dimissioni di Monti per il momento non ci pensa, anzi è d’accordo con il suo successore che a Soci ieri ha spiegato che il motivo di tanto nervosismo sui mercati non sono «i problemi specifici dell’Italia, ma le notizie, le dichiarazioni e indiscrezioni sull’applicazione delle decisioni prese dal vertice Ue di fine giugno». Dito puntato sulla Germania che frena e sulle affermazioni del ministro dell’Economia Roesler che ha rafforzato le voci su un’imminente uscita della Grecia dall’euro. Ecco, negli atteggiamenti della Merkel e dei suoi alleati (Roesler è un esponente del Partito liberale) il Cavaliere vede la conferma delle sue critiche rivolte a Berlino e contenute in una recente intervista alla Bild intitolata «Non vogliamo un’Europa più tedesca». Ecco, se oggi non sono «i problemi specifici dell’Italia», secondo l’ex premier, non lo erano nemmeno quando governava lui. Oggi come allora sarebbe l’attacco speculativo sull’euro a romperci le ossa, con la Merkel che continua a sbagliare. E taccia Bersani, eviti di sostenere «stupidaggini» del tipo che ci troviamo in queste condizioni perché raccogliamo quello che le destre hanno seminato in 10 anni di governo in quasi tutti i Paesi europei. E che «Berlusconi di nuovo in campo non è una buona notizia vista dal mondo». Dopo Berlusconi, dice il diretto interessato, non sembra che sia cambiato granché.

L’ex presidente del Consiglio non tifa per elezioni ad ottobre. Nel Pdl sono in molti ad escludere questa ipotesi. Lo esclude il capogruppo Gasparri, perché prima bisogna cambiare la legge elettorale e a suo giudizio non sarà possibile in tempi stretti, nemmeno in prima lettura al Senato entro il 10 agosto quando il Parlamento chiuderà i battenti per la pausa estiva. Tuttavia, ragiona il Cavaliere, se la situazione dovesse precipitare, con lo spread attorno a quota 600, nulla a quel punto può essere escluso. E’ sicuro però che lui si prepara a portare il conto sul tavolo di chi l’ha voluto fuori da Palazzo Chigi perchè bisognava salvare l’Italia e invece non è servito il suo sacrificio e i sacrifici che gli italiani stanno sopportando. Così come è abbastanza sicuro che si ricandiderà per la sesta volta.

Vorrebbe annunciare il ritorno in pista tra settembre e ottobre, quando sarà chiaro con quale legge elettorale si andrà a votare e quali saranno le condizioni finanziarie del Paese. Ma se gli eventi precipitassero, l’annuncio ufficiale verrebbe anticipato. L’orizzonte per il momento rimane il 2013. Ma c’è un macigno sul suo cammino e sono le elezioni regionali in Sicilia. Berlusconi vorrebbe che anche questo appuntamento elettorale venisse fissato per il prossimo anno, evitando il voto ad ottobre. Nell’isola, che è stata una miniera di voti prima per Forza Italia e poi per il Pdl, il Cavaliere ha certezza di un pessimo risultato. Le ultime elezioni amministrative, quelle comunali di Palermo in particolare, sono state un amarissimo assaggio. Ecco, una debacle in Sicilia sarebbe un terribile viatico per le elezioni politiche, un modo per mettere piombo sulle ali di un Berlusconi che pensa di rinascere sull’onda del malcontento popolare, di un’Europa a predominio tedesco. Peggio ancora se in quella Regione Pd e Udc dovessero sperimentare la nuova alleanza e magari con successo.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/463409/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Legge elettorale: i tre punti chiave della proposta Pdl
Inserito da: Admin - Agosto 01, 2012, 07:42:20 pm
Politica

01/08/2012 - riforme, il braccio di ferro

Legge elettorale: i tre punti chiave della proposta Pdl

Si tratta sulla legge elettorale, che però resta ancora in stand by

Premio del dieci per cento, sbarramento al cinque Democratici ancora divisi, certo il rinvio a settembre

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Il Pdl ha fatto la prima mossa, depositando alla presidenza del Senato un ddl per la riforma della legge elettorale. Il vicecapogruppo Quagliariello si è premurato di spiegare che non si tratta di «un diktat ma una proposta per arrivare a un testo base condiviso». Il testo comunque prevede quanto annunciato ormai da tempo: 2/3 dei parlamentari eletti con le preferenze e un terzo con liste bloccate nei collegi; il premio di maggioranza del 10% andrà al primo partito; sbarramento per entrare in Parlamento del 5%. Oggi la palla passa al comitato ristretto dove il relatore del Pd Enzo Bianco, pur ribadendo che il doppio turno sarebbe il sistema migliore per garantire la governabilità, dovrebbe aprire al «premio di governabilità» al partito chiedendo che deputati e senatori vengano eletti in collegi uninominali.

Dovrebbe, appunto, perchè nel Pd la discussione è accesa. Se confermata l’indiscrezione su quanto dirà Bianco, sarebbe un passo in avanti: significa che le posizioni cominciano ad avvicinarsi. Parlare di un accordo è ancora presto. E le forze politiche non pensano sia urgente chiudere entro agosto. Anche se il capo dello Stato Napolitano e il premier Monti insistono per un segnale di responsabilità e stabilità, guardando ai mercati, che a loro avviso passa pure per l’approvazione delle nuove regole elettorali. Tuttavia tutti protagonisti della trattativa escludono che si faccia in tempo non solo ad approvare una legge in piena estate, ma di poter definire un testo base. Lo stesso presidente del Senato Schifani ha detto che gli sembra difficile un primo passaggio parlamentare prima della pausa estiva: sono stati fatti «passi in avanti», ma senza fretta perché occorre evitare «anomalie nei principi applicativi della riforma».

«Non è uno yogurt che scade dice Maurizio Gasparri -, stiamo parlando della principale legge che regola la vita politica. Ci sono ancora diverse questioni da discutere. Loro vogliono i collegi sul modello del Provincellum e a noi non vanno per niente bene». «E no - ribatte il vicecapogruppo del Pd al Senato Zanda - non possono pretendere che noi accettiamo le preferenze e per quanto riguarda il premio di governabilità non può essere inferiore al 15%. Quando si arriverà in Aula per votare tutti i tasselli devono essere a posto, non si può dire: poi decide l’Aula sui punti controversi».

Ma Bersani, si chiede una parte del Pd, perché dovrebbe accettare il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione che vince? Lascerebbe a Casini la possibilità di correre da solo, anzi con una lista più ampia dell’Udc e che comprenda imprenditori, cattolici e ministri dell’attuale governo. Con il rischio che Bersani sia costretto a passare la mano di nuovo a Monti e alle larghe intese se nel prossimo Parlamento non si formerà una maggioranza certa e solida. Con la conseguenza che Berlusconi possa avere ampi margini di manovra. L’attuale sistema lo garantirebbe di più. Così la discussione interna al Pd sta diventando molto nervosa. I filo-montiani del Pd, da Veltroni a Gentiloni, Letta e Boccia, sono a favore del premio di maggioranza al partito, mentre l’ala sinistra è nettamente contraria.

Tra pochi giorni la discussione verrà chiusa. Se ne parlerà a settembre, anche se Letta propone di tenere aperto il Senato anche ad agosto «perché se perdiamo l’abbrivio e ci si ferma per 3-4 settimane dopo non si riprende più». Tra l’altro c’è un deputato del Pd, Roberto Giachetti, che da settimane sta facendo lo sciopero della fame contro la melina dei partiti. La sua salute è peggiorata, così un gruppo di colleghi ha deciso di fare la staffetta del digiuno. «È ora che anche altri parlamentari si facciano carico di proseguire la sua iniziativa per portare al più presto la riforma della legge elettorale nelle aule. Con altri deputati e senatori ad agosto organizzeremo un digiuno a staffetta che raccolga il testimone del collega del Pd», ha preso l’iniziativa il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/464284/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi stoppa la nuova legge elettorale
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2012, 05:24:55 pm
Politica

26/08/2012 - I PARTITI LE STRATEGIE

Berlusconi stoppa la nuova legge elettorale

Il Cavaliere si impunta sulle preferenze. I democratici vogliono i collegi

AMEDEO LA MATTINA
Roma

Non c’è e non ci sarà nemmeno nei prossimi giorni il via libera di Silvio Berlusconi. L’ex premier a Villa Certosa in Sardegna sta valutando con Angelino Alfano il dossier sulla legge elettorale che ha portato Denis Verdini. Vuole tenere ancora le carte coperte e non riesce a superare la contrarietà di una buona parte del suo partito che vuole le preferenze. E non si tratta solo degli ex An, come si è affrettato a precisare ieri Ignazio La Russa. «Ormai le dichiarazioni di Casini, di tutto il Terzo Polo, di Formigoni, Fitto e Lupi e dello stesso Enrico Letta del Pd (ma l’elenco potrebbe continuare ) fanno capire che il vero modo per far scegliere ai cittadini i propri parlamentari è il sistema delle preferenze». L’ex ministro della Difesa accusa il Pd di volere i collegi per «motivi poco nobili o semplicemente per perpetuare un “centralismo democratico” tanto caro storicamente alla sinistra». La Russa, allarmato per le indiscrezioni di stampa secondo cui l’accordo di fatto era già stata chiuso, ieri ha sentito Verdini che lo ha rassicurato: l’intesa non c’è e il Cavaliere tiene le bocce ferme. Lo stesso capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha confermato pubblicamente che la soluzione è vicina, ma ancora non c’è».

Anche dall’altra parte del campo frenano, in chiave però opposta alle preferenze. Lo ha fa Dario Franceschini quando ha ricorda che per il Pd sono indispensabili i collegi uninominali e il premio alla coalizione. «Se invece finisse con le preferenze e il premio alla lista non saremmo di fronte ad una mediazione ma più semplicemente alla proposta del Pdl imposta agli altri». I Democratici attribuiscono l’impasse al Pdl, al fatto che Berlusconi non pensa di sciogliere la riserva nemmeno la prossima settimana. Infatti Bersani, aprendo ieri a Reggio Emilia la Festa dell’Unità, ha detto che l’accordo non dipende solo dal suo partito: «Noi abbiamo chiarito i nostri due paletti. La sera in cui si conosceranno i risultati elettorali, il mondo deve sapere che in Italia c’è qualcuno che può governare, sennò arriva lo tsunami». E a scanso di equivoci, il segretario del Pd ha chiarito che non c’è alcun automatismo tra la nuova legge elettorale e il voto anticipato. Poi però ha aggiunto che «di fronte ai mesi che abbiamo davanti, essere attrezzati è doveroso».

In effetti non sono pochi i calcoli che vengono fatti all’ombra della legge elettorale: allungare i tempi il più possibile significa scongiurare definitivamente il voto anticipato a novembre che molti vogliono evitare. A cominciare da Berlusconi che ha bisogno di tempo per preparare la sua ennesima discesa in campo che sta preparando anche in queste ore a in Sardegna con Alfano. In punto comunque rimane la soluzione sulle nuove regole di voto, preferenze o collegi, che vedono l’Udc di Casini a favore della prima soluzione. Ieri è arrivata la minaccia dei centristi che con una nota di Antonio De Poli, ispirata da Casini, ricordano che il Parlamento non è un semplice passacarte. «Si voti liberamente sulle preferenze e ciascuno si assuma le sue responsabilità». Così pure La Russa, per il quale si può votare insieme al Pd le parti già concordate. «Il resto può essere lasciato alle maggioranze che si formano alla Camera e Senato. Non vedo dove sia lo scandalo. Del resto la maggioranza che sostiene il governo è una somma di voti non una coalizione politica».

Un accordo sulla legge elettorale alla fine si farà ma i tempi si allungheranno. E l’appuntamento di mercoledì al comitato ristretto del Senato, il primo dopo la pausa estiva, sarà interlocutorio, ancora una volta. Con il risultato che verrà aggiornato a settembre.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466453/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Vendola: soddisfatto del Pd incompatibile con il Monti bis
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2012, 04:54:12 pm
Politica

29/08/2012 - intervista

Vendola: soddisfatto del Pd incompatibile con il Monti bis

Nichi Vendola è presidente della Regione Puglia dal 2005 e leader del partito Sinistra ecologica e libertà

Il leader di Sel: con Grillo legittima difesa, il comico ha argomenti di destra

Amedeo La Mattina
Roma

Bersani, tra Casini e Vendola, sceglie Vendola, cioè lei: una mossa tattica o è veramente finita la prospettiva di unire progressisti e moderati?
«Non credo che sia una mossa tattica. Sono molto contento di come Bersani abbia tradotto un concetto politico, cioè la ricostruzione del campo dei progressisti sulla base di rapporti di lealtà e stima reciproche. Per me è la conferma umana e politica di una persona intellettualmente onesta e leale. Prima c’era una rappresentazione dell’equidistanza, come se io e Casini fossimo il peso e il contrappeso che teneva in equilibrio l’asse del Pd. Ora Bersani rovescia questo schema e dice che Sel e Pd stanno ridefinendo un programma e una speranza collettiva».

Sì, ma poi dovrete avere i numeri per governare e magari quelli dell’Udc vi serviranno.
«Non abbiamo bisogno di furbizie elettorali. Dobbiamo essere seri con gli elettori: dobbiamo presentarci con un programma chiaro e quello di Bersani è incompatibile con quello di Casini, per il quale dopo Monti c’è Monti. Il Grande Centro e la Cosa Bianca sono falliti, e Casini risponde agganciando Monti come una sublime compensazione. Bersani dice cose differenti, come il ripristino della politica, il primato del lavoro, la rinegoziazione con Bruxelles, perché non siamo di fronte alle tavole della legge, non c’è Mosè a Bruxelles».

Ma scusi, se è tanto d’accordo con Bersani perché si candida contro di lui alle primarie? L’avversario comune è Renzi.
«Le primarie devono essere vissute come l’occasione per rifondare la sinistra del futuro. Renzi esprime una posizione di innovazione anagrafica, ma di sostanziale conservatorismo politico e sociale. E’ personaggio fascinoso, un bravo sindaco, ma credo sia molto suggestionato dalle luci abbaglianti della politica-spettacolo. Il fatto che Bersani si sia spostato a sinistra non lo vedo come un’insidia, ma come un fattore positivo. L’idea che per vincere devi denigrare è un’idea barbarica. Noi stiamo costruendo la casa comune, non la mia carriera: una casa ecosostenibile e non una piccola galera».

Farete un listone Sel-Pd? È vero che ha litigato con Bertinotti su questo?
«Diverbio totalmente inventato. Il listone è fantapolitica».

Non crede che l’elettorato del suo partito, Sel, potrebbe vedere male una rottura con Di Pietro e l’area che guarda a Grillo?
«Non vedo questo rischio. Intanto abbiamo un dovere di aprire una battaglia a viso aperto contro i populismi e qualunque forma di rappresentazione manichea della realtà. Bisogna recuperare alla politica un ruolo educativo. Se la politica perde le grandi narrazioni finisce per nutrirsi di piccoli virulenti rancori e odii. Nella ridefinizione del campo progressista non c’è una porta chiusa ad altre forze che si pongono in maniera alternativa alla stagione della destra e del montismo. L’Idv può ritrovare il proprio posto nel centrosinistra, e tutte le forze di sinistra devono porsi il problema di un’agenda di governo. Lo dico a Rifondazione comunista, che mi chiede di rimettere in piedi il fronte degli antagonisti: noi ci candidiamo al governo del Paese, non ad essere il miglior perdente. Il tema vero che si pone anche in Italia, ed è questo il senso del dialogo forte tra me e Bersani, è aprire la strada per ricostruire una nuova grande sinistra che combatta per cambiare l’Europa che si sta avvitando su meschini nazionalismi. Noi, che siamo innamorati dell’utopia di Altiero Spinelli ed europeisti fino al midollo, diciamo che l’Europa ha bisogno della sinistra».

Lei ormai parla come un socialista europeo.
«Parlo come uno che pensa che la difesa del Welfare e dei diritti di libertà si possano e si debbano fare su scala continentale. La realtà fa irruzione sulla scena pubblica. E’ apparsa col volto austero della Corte europea, che ha bocciato la crudeltà della legge su fecondazione assistita. La realtà fa irruzione con la drammaticissima protesta dei minatori del Sulcis, con la necessità di rimettere al centro la questione del lavoro che c’è e che non c’è, della gigantesca questione sociale che colpisce i consumatori e il ceto medio basso. Occorre riconoscere i diritti delle coppie gay, recuperare allo Stato il ruolo di garante dei diritti di tutti. È necessario rivedere la riforma previdenziale, prodotto della sciatteria e della sicura ideologia dei salotti liberisti, preparare un piano straordinario di messa in sicurezza del territorio...».

Si fermi. È chiaro che lei condivide l’accusa di fascista lanciata da Bersani a Grillo.
«Bersani ha esercitato il diritto alla legittima difesa, ma dobbiamo sottrarci alla tentazione della ritorsione polemica. Meglio parlare di contenuti. Grillo ha bisogno di essere tenuto in vita da un meccanismo di guerra civile simulata. Alcuni suoi argomenti sono classicamente di destra. Il populismo è una semina che dà frutti avvelenati».

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466732/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Senza accordo avanti in Parlamento
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2012, 10:10:43 am
Politica

28/08/2012 - LEGGE ELETTORALE

Senza accordo avanti in Parlamento

Procedendo col metodo indicato da Napolitano, visto che non si trova un accordo, non si può sapere in anticipo che tipo di legge elettorale sarà licenziata dal Parlamento

Sempre più distanti le posizioni dei partiti. Si rischia di andare in aula con “maggioranze variabili”

AMEDEO LA MATTINA
Roma

C’è anche l’approssimarsi delle urne a complicare, e di molto, il confronto-scontro sulla legge elettorale. Non si andrà a votare in autunno ma l’appuntamento con gli elettori si avvicina a passi veloci e i due maggiori partiti, Pd e Pdl, sono sempre più allergici ad approvare insieme provvedimenti che verrebbero subito bollati come «inciucio» dalle opposizioni interne ed esterne al Parlamento. Ieri per esempio Antonio Di Pietro ha attaccato dicendo che quello che stanno combinando Abc, cioè Alfano, Casini e Bersani, è «peggio del Porcellum, è un superporcellum perché i cittadini daranno il voto ai partiti che si accorderanno come vorranno solo dopo. Così le carte vengono truccate». Anche lo stop al ddl anti-corruzione da parte dei berlusconiani sembra rientrare nella stessa logica: sulla sistema elettorale la musica non cambia. Tra l’altro, bisogna tener conto che più in là si approvano le nuove regole e minore è il rischio di un precipitare verso le urne anticipate. Sono in pochi ormai a credere a una eventualità del genere, ma non si sa mai visto che la strana maggioranza sembra imballata e il governo è in difficoltà.

Risultato: l’accordo non c’è, non c’è mai stato per la verità, nonostante siano state strombazzate intese ormai chiuse. L’effetto sarà di procedere in Parlamento a colpi di maggioranze variabili. «Non vedo dove sia lo scandalo spiega il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri - visto che in una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato, prima dell’estate, il capo dello Stato chiese di mettere ai voti le varie proposte pur di superare l’attuale legge. Si lasci decidere alle aule senza costrizioni. Il Pd accetti questo metodo libero e democratico».

Ecco quindi quello che il Popolo delle libertà, per mettere in difficoltà Bersani, chiama il «Metodo Napolitano» e verrà presentato domani da Gaetano Quagliariello al comitato ristretto di Palazzo Madama che il presidente del Senato Renato ha voluto per aiutare l’accordo.

Ci sarà, dunque, un nulla di fatto, non ci sarà un testo base della strana maggioranza sempre più strana. E Quagliariello chiederà, appunto, che si cominci ad esaminare comunque uno dei testi già depositati in Commissione. Magari il suo dove vengono indicati i punti in comune, lasciando al libero voto dell’aula il resto, cioè quello che ancora divide. Nella convinzione del Pdl che passeranno le preferenze visto che a favore sono anche i centristi di Casini e i finiani. «C’è un’intesa di massima su alcuni punti: ecco, ripartiamo da lì...», dice Quagliariello. Come dire, poi si vedrà se quali maggioranze prevarranno.

Il Pd verrebbe messo in minoranza sulle preferenze: è questo il punto su cui si è fermata la trattativa. Bersani vuole invece che la ripartizione dei seggi venga fatta nei collegi e che il premio di maggioranza, se deve andare alla coalizione o al primo partito, sia del 15%. Berlusconi, visto che nei sondaggi i Democratici sono i favoriti, non vuole dare un bonus così alto: vuole concedere solo il 10%.

Ma al di là delle fredde e noiose tecnicalità, che comunque sono determinanti per il successo o meno di un partito, rimane il dato che le sbandierate intese non ci sono. E il clima politico attorno al governo Monti si surriscalda pericolosamente. Al presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini non resta che dire: «Se dopo tutte le paginate, gli schemi e gli annunci letti in questi giorni sui giornali mercoledì non si registrerà almeno un minimo progresso, credo che sia meglio tornare in commissione per registrare il nulla di fatto».

Allora avanti con il «Metodo Napolitano», ma il presidente della Repubblica magari non sarà molto contento dell’immagine che dà la classe politica ai cittadini e all’estero.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466623/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una ...
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2012, 05:44:38 pm
Politica

20/09/2012 - il punto politico Pdl, si rischia la tempesta perfetta

Virginia Raffaele: ecco l'imitazione della Polverini

Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine

Amedeo Lamattina
Roma

Ora Berlusconi dovrà essere capace di uscire dal bunker dove si è rifugiato, tirare fuori il Pdl da quella che il direttore di Libero Belpietro ha definito la "palude della libertà" . Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine. E non è soltanto una questione di "rubagalline" come qualche giorno fa aveva detto il segretario Alfano, ma di un sistema di selezione delle candidature e di un meccanismo di voto regionale (le preferenze) che ha dato il peggio di sè. E' la mancanza di una leadership che latita in attesa di vedere quale sarà la legge elettorale e delle contorsioni masochistiche delle primarie Pd. Ecco, le preferenze, quelle che il Pdl chiede per la riforma elettorale e che a gran voce chiedono La Russa, Gasparri e Meloni per consentire a chi ha più filo da tessere di farsi eleggere senza essere scelti e nominati dai vertici del partito, magari in una lotta fratricida tra ex An ed ex Forza Italia. Su questo ieri sera nel bunker di Palazzo Grazioli gli ex An hanno chiesto garanzie al Cavaliere: non faccia scherzi, non baratti i collegi per un premio di maggioranza piccolo al primo partito che sulla carta dei sondaggi rimane il Pd.

L'ex premier ha dato rassicurazioni ma verba volant... E ora, con quello che succede nel Lazio, sarà più difficile mantenere la promesse, sarà più difficile la convivenza tra una parte degli ex An e i forzisti della prima ora. La tensione è alle stelle nel Pdl, la possibilità di una scissione definita "virtuosa" dalla Santanché ( "aumenteremmo tutti i voti con liste diverse ma federate") se si dovesse andare al voto con il proporzionale. Le parole dell'ex ministro Frattini fanno capire molto: "la fusione fredda non è riuscita, ci sono visioni diverse". Ieri sera La Russa e Gasparri, uscendo dal bunker, hanno voluto dare l'impressione che le cose si siano messe sui binari giusti perchè Berlusconi avrebbe aperto una riflessione sul tema: vogliamo vincere o solo pareggiare? Si staglia all'orizzonte la voglia del Cavaliere di cercare almeno un pareggio o un quasi pareggio complice un nuovo sistema proporzionale, per dar vita poi alla Grande coalizione e Monti ancora a Palazzo Chigi. Cosa che una buona parte del Pdl non vuole. Ma il problema oggi è cosa sopravviverà del partito se la macchia di fango del Lazio, per il momento limitata a Fiorito, diventerà un lago melmoso con dentro altri consiglieri targati Pdl e magari pure Lista Polverini, nonché la stessa presidente.

Berlusconi è ben consapevole del rischio enorme che sta correndo, dell'effetto domino che le dimissioni della Polverini potrà avere. "Qui - ha detto ai suoi ospiti nel bunker - voi ponete dei problemi che capisco ma vi rendete conto che ci stiamo fracassando la testa contro un muro? Dobbiamo rimanere uniti". Alle regionali siciliane quel che resta del centrodestra sembra arrancare: se Musumeci dovesse perdere e la Polverini buttare la spugna, sarebbe una tempesta perfetta, che risucchierebbe anche il Comune di Roma dove Alemanno si è ricandidato senza il sostegno di mezzo partito.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469381/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Virginia Raffaele: ecco l'imitazione della Polverini
Inserito da: Admin - Settembre 26, 2012, 03:41:33 pm
Politica

20/09/2012 - il punto politico Pdl, si rischia la tempesta perfetta

Virginia Raffaele: ecco l'imitazione della Polverini

Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine

Amedeo Lamattina
Roma

Ora Berlusconi dovrà essere capace di uscire dal bunker dove si è rifugiato, tirare fuori il Pdl da quella che il direttore di Libero Belpietro ha definito la "palude della libertà" . Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine. E non è soltanto una questione di "rubagalline" come qualche giorno fa aveva detto il segretario Alfano, ma di un sistema di selezione delle candidature e di un meccanismo di voto regionale (le preferenze) che ha dato il peggio di sè. E' la mancanza di una leadership che latita in attesa di vedere quale sarà la legge elettorale e delle contorsioni masochistiche delle primarie Pd. Ecco, le preferenze, quelle che il Pdl chiede per la riforma elettorale e che a gran voce chiedono La Russa, Gasparri e Meloni per consentire a chi ha più filo da tessere di farsi eleggere senza essere scelti e nominati dai vertici del partito, magari in una lotta fratricida tra ex An ed ex Forza Italia. Su questo ieri sera nel bunker di Palazzo Grazioli gli ex An hanno chiesto garanzie al Cavaliere: non faccia scherzi, non baratti i collegi per un premio di maggioranza piccolo al primo partito che sulla carta dei sondaggi rimane il Pd.

L'ex premier ha dato rassicurazioni ma verba volant... E ora, con quello che succede nel Lazio, sarà più difficile mantenere la promesse, sarà più difficile la convivenza tra una parte degli ex An e i forzisti della prima ora. La tensione è alle stelle nel Pdl, la possibilità di una scissione definita "virtuosa" dalla Santanché ( "aumenteremmo tutti i voti con liste diverse ma federate") se si dovesse andare al voto con il proporzionale. Le parole dell'ex ministro Frattini fanno capire molto: "la fusione fredda non è riuscita, ci sono visioni diverse". Ieri sera La Russa e Gasparri, uscendo dal bunker, hanno voluto dare l'impressione che le cose si siano messe sui binari giusti perchè Berlusconi avrebbe aperto una riflessione sul tema: vogliamo vincere o solo pareggiare? Si staglia all'orizzonte la voglia del Cavaliere di cercare almeno un pareggio o un quasi pareggio complice un nuovo sistema proporzionale, per dar vita poi alla Grande coalizione e Monti ancora a Palazzo Chigi. Cosa che una buona parte del Pdl non vuole. Ma il problema oggi è cosa sopravviverà del partito se la macchia di fango del Lazio, per il momento limitata a Fiorito, diventerà un lago melmoso con dentro altri consiglieri targati Pdl e magari pure Lista Polverini, nonché la stessa presidente.

Berlusconi è ben consapevole del rischio enorme che sta correndo, dell'effetto domino che le dimissioni della Polverini potrà avere. "Qui - ha detto ai suoi ospiti nel bunker - voi ponete dei problemi che capisco ma vi rendete conto che ci stiamo fracassando la testa contro un muro? Dobbiamo rimanere uniti". Alle regionali siciliane quel che resta del centrodestra sembra arrancare: se Musumeci dovesse perdere e la Polverini buttare la spugna, sarebbe una tempesta perfetta, che risucchierebbe anche il Comune di Roma dove Alemanno si è ricandidato senza il sostegno di mezzo partito.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469381/


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La tentazione di tenersi il “Porcellum”
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2012, 05:40:24 pm
politica
30/10/2012

La tentazione di tenersi il “Porcellum”

Il premier Monti ha di recente ricordato che il suo «maledetto governo» ha «un gradimento molto più elevato rispetto a quello dei vari partiti»

Il replicarsi di uno scenario siciliano sul fronte nazionale agita i partiti, che potrebbero scegliere di non cambiare l’attuale legge elettorale

Amedeo La Mattina
inviato a Palermo

La chiamano onda anomala, uragano, ciclone, mazzata, boom, quella del movimento 5 Stelle che è partito dalla Sicilia. Intanto vedremo presto cosa sapranno fare all’Assemblea regionale siciliana gli «attivisti 5 Stelle», come loro amano chiamarsi perché considerano la definizione «grillini» offensiva, riduttiva e verticistica. Si capirà già nelle prossime settimane in che modo irromperanno a Palazzo dei Normanni e quanto filo da torcere daranno al nuovo governatore siciliano Rosario Crocetta, che si troverà ad affrontare problemi enormi senza una maggioranza. Elefanti in una cristalleria piena di debiti, che metteranno alla prova un’alleanza Pd-Udc che ha ottenuto i voti di una piccola parte di elettorato siciliano, solo il 47%. Basti pensare che Crocetta ha vinto con gli stessi voti che nel 2008 aveva ricevuto la candidata del Pd Anna Finocchiaro, sconfitta da Raffaele Lombardo. 

La situazione siciliana, con le dovute differenze, potrebbe replicarsi a livello nazionale con i «barbari» alle porte di Roma e poi all’interno del Parlamento con il solo Pd attorno al 30%, e il resto dei partiti affetto da nanismo. Tranne il Movimento 5 Stelle. Uno scenario simile alla Grecia. Per questo c’è chi vuole tenersi (senza dirlo ovviamente) il Porcellum, che garantisce al partito o alla coalizione che vince un ampio premio di maggioranza. Un arroccamento, una tentazione di chiudersi di fronte all’astensionismo che cresce più insidioso del grillismo. Una tendenza a chiudere porte e finestre come sta accadendo a New York con l’arrivo dell’uragano Sandy, blindandosi in ammucchiate a sinistra. Anche la soluzione delle larghe intese, delle alleanze tra progressisti e moderati, potrebbe non bastare se i partiti non sapranno cogliere la rabbia e la disaffezione per la politica che sale dall’opinione pubblica. Ora le forze politiche, dopo la campana che è suonata in Sicilia, dovranno riflettere sulle parole del premier Monti, sul perché questo «maledetto governo», che ha dovuto dare «cose molto spiacevoli», ha «un gradimento molto più elevato rispetto a quello dei vari partiti». Il dilemma è: Crocetta e chi governerà a Roma sapranno sopravvivere all’Uragano Italia? 

da - http://lastampa.it/2012/10/30/italia/politica/la-tentazione-di-tenersi-il-porcellum-MbA7RcAmQFOuWozkKHIxOM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il dinosauro e la quaglia
Inserito da: Admin - Novembre 09, 2012, 05:46:00 pm
Politica
09/11/2012 - retroscena

Il dinosauro e la quaglia

Pdl al bivio: Berlusconi non ha più assi nella manica

Amedeo La Mattina
Roma


Il Pdl è al bivio della sua sopravvivenza politica. Lo scontro tra Berlusconi e il politburo del partito andato in scena a Palazzo Grazioli consegna ad Angelino Alfano le chiavi di un autobus ammaccato e con le gomme sgonfie. Ma almeno ha avuto il merito di metterlo su una strada, in direzione delle elezioni politiche. Una strada accidentata, in salita e piena di curve lungo la quale il Popolo della libertà dovrà diventare una forza politica popolare e moderata che non rinnega la scelta fatta con il governo dei tecnici e il “montismo europeo”. «Altrimenti io e molti altri non rimarremo nel Pdl o comunque si chiamerà», avverte l’eurodeputato Cl Mario Mauro, che ieri a Berlusconi detto in faccia che lui non è «più l’asso nella manica dell’antipolitica come nel ‘94». «Lei, presidente, è ormai espressione della politica, come tutti noi e subisce la corrosione dell’antipolitica». 

 

Insomma, caro presidente, game over. La sua parabola è finita, gli suggerisce Giuliano Ferrara sul Foglio, non è più il momento di inseguire l’eterna giovinezza e l’insurrezione antifiscale: è «il momento del senso della realtà con tutta la mediocrità e l’urgenza difensiva di scelte che non eccitano ma sono inevitabili». Invece il Cavaliere non accetta il declino, pensa di ruggire ancora e promette (minaccia) di tirare fuori dal cilindro non il classico coniglio, ma addirittura un dinosauro, attaccando la politica economica di Monti che a suo avviso ha danneggiato l’Italia e creato disgusto nei cittadini. Cosa sia il dinosauro nessuno lo sa e neanche lui, che dopo mesi di ricerca del nuovo Berlusconi continua a girare a vuoto. E alla fine potrebbe trovarsi a dover concludere che il nuovo Berlusconi è il vecchio Berlusconi. A quel punto sarebbe svelato il mistero del vero dinosauro della politica italiana che era già in pista quando governavano ancora Khol, Chirac, la Thatcher, Zapatero, Bush. 

Gli uomini e le donne che si sono stretti attorno al segretario per salvare il salvabile (e se stessi innanzitutto) sono convinti che il loro ex padre padrone non abbia assi nella manica, che sia tutto un bluff. Lo stesso Alfano ne è convinto, ma il leader che all’ufficio di presidenza ha tirato fuori il quid, sa che un Pdl senza Berlusconi difficilmente potrà attraversare il deserto e tenersi quei voti dello zoccolo duro berlusconiano che ancora esiste. Le percentuali di consenso che i sondaggi attribuiscono al Popolo della libertà non consentono sprechi e divisioni. Ma Alfano vorrebbe l’ex premier imbalsamato padre nobile, che non scarti verso liste strane e sentieri antimontiani. Lo vorrebbe come Berlusconi non può essere. Non vorrebbe più sentirgli dire che «con quelle facce, con quel politburo che Angelino hai attorno non vai da nessuna parte, altro che primarie all’americana…». 

 

Alfano comunque schiaccia l’acceleratore dell’autobus che arranca in salita, scoppietta e fa fumo. E’ convinto di avere una sola carta da giocare per agganciare i pezzi della locomotiva centista e moderata. Ha preso il coraggio a due mani e prova il salto, con tutti intorno ad aspettare di vedere se riuscirà a spiccare il volo o sarà il classico salto della quaglia. 

da - http://lastampa.it/2012/11/09/italia/politica/il-dinosauro-e-la-quaglia-ZOInST0QCdpyvCkXtxFwJL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Crosetto: “Corro alle primarie Con Alfano gente senza futuro”
Inserito da: Admin - Novembre 11, 2012, 04:10:07 pm
Cronache
11/11/2012 - intervista

Crosetto: “Corro alle primarie Con Alfano gente senza futuro”

Crosetto ha spesso espresso pareri sul Pdl fuori dal coro

E attacca Samorì: in campo persone con poca storia e molta cronaca

Amedeo La Mattina
Roma


Ci sarà anche lui, Guido Crosetto, nella corsa per le primarie del Pdl. Ma la sua non sarà una candidatura in opposizione ad Alfano.
«Mi candido per rappresentare un’idea e un gruppo di persone le quali ritengono che Monti non sia indispensabile e che la sua politica economica, come quella di Tremonti, sia distruttiva per il Paese. Questo non significa essere contro l’Europa ma stare in Europa vivendo, non morendo. Mi candidato per dare voce a migliaia di piccole e medie aziende rimaste afone».

 

Sembra di sentire Berlusconi. 

«E’ vero ma io queste cose le ho sempre dette, anche durante il governo Berlusconi e non ho mai cambiato idea. Io non ho votato la fiducia al governo Monti. Berlusconi invece lo ha capito solo dopo quali sarebbero stati gli effetti della politica montiana. Oggi il deficit italiano è peggiore di quello precedente. Le aziende sono al collasso, le banche si sono chiuse e quando parlo di aziende penso anche ai milioni di lavoratori che ci lavorano. Vorrei portare una voce all’interno del Pdl e delle istituzioni che difende questa linea».

 

Anche la Santanché esprimerà una linea critica al governo Monti. Perchè non fate un ticket? 

«La differenza è che io questa linea l’ho sempre avuta e non attacco i colleghi di partito. Non mi scaglio contro Alfano, anzi vorrei che lui condividesse la mia posizione. La candidatura di Alfano è seria, ho stima per lui e non gli sparerò mai addosso. Semmai ci sono altre candidature di persone con poca storia e molta cronaca, tipo questo Samorì».

 

Perchè non è entrato nel suo comitato elettorale, visto che glielo ha chiesto? 

«Quello di Angelino è un passaggio politico, la sua candidatura gli serve a confermare l’autonomia della sua leadership. È giusto che lo faccia mentre io voglio portare contenuti e idee nel dibattito. Se appoggiassi Alfano, mi troverei in compagnia di gente che non la pensa come me e che ha concluso il suo ciclo politico».

 

L’impressione è che lei non corra per vincere. 

«Io vorrei che vincessero le mie idee. E penso che Alfano e il centrodestra abbiano bisogno di una candidatura per parlare con mondi che altrimenti non avrebbero interlocutori nel Pdl. Se mi accorgo che le mie idee non hanno seguito o che rappresentano poca cosa, allora non ho problemi a ritirarmi». 

 

Cosa pensa di Casini e Fini che sembrano tendere la mano al Pdl, ma chiedono ad Alfano scelte dolorose a cominciare da una rottura definitiva con Berlusconi? 

«Al posto di Alfano direi loro “fate anche voi un passo indietro: sedete in Parlamento da una vita, ricoprite ruoli importanti da prima che Berlusconi scendesse in campo, avete avuto la possibilità di incidere sulla politica italiana, assumetevi anche voi un po’ di responsabilità”. E invece cantano come fossero delle vergini, ma hanno esaurito il loro ruolo politico». 

 

Nei loro partiti nessuno li ha messi in minoranza, mentre è successo a Berlusconi. 

«Io all’ufficio di presidenza c’ero e le posso assicurare che Berlusconi non è andato in minoranza. Lui aveva dei dubbi sulle primarie e sull’opportunità di continuare a puntare sul Pdl. Ha ascoltato i discorsi di tutti e ha deciso di seguire la strada indicata da gran parte del partito. Lui adesso deve aiutarci a seguire questa strada che io ho sintetizzato in questo modo: dateci la possibilità di evitare la scelta tra la distruzione del Paese con Grillo e la sinistra. Ci vuole un progetto serio che eviti queste due alternative». 

 

Ci vuole il Ppe italiano. 

«Ci vuole una forza politica che rappresenti la maggioranza degli italiani che non votano a sinistra, che temono Grillo e che sono confluiti nell’astensionismo. Il Ppe italiano non nasce distruggendo il Pdl o in una stanza in cui si riuniscono tanti piccoli nanetti o dei dinosauri della politica come Fini e Casini». 

 

Berlusconi è un bel esemplare di Dinosauro però. 

«Berlusconi almeno ha costruito qualcosa, qui c’è gente invece che con il lavoro non avrebbe pagato la bolletta della luce. Se vogliamo riprendere il dialogo con gli elettori non possiamo chiudere in una stanza Alfano, Casini e Fini. Sarei sconcertato io figuriamoci il cassintegrato, il disoccupato, l’operaio. Penserebbero “questi si sono messi d’accordo per dividersi il potere”. 


da - http://lastampa.it/2012/11/11/italia/cronache/crosetto-mi-candido-perche-Fyw1Dbn3VYPjNURXvMpm1O/pagina.html :o


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Nel balletto delle primarie del Pdl spunta il ticket ...
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 01:31:58 am
politica
22/11/2012


Nel balletto delle primarie del Pdl spunta il ticket Meloni-Crosetto

La giovane ex An è considerata troppo di «destra sociale». Il piemontese aiuterebbe ad addolcire quel cliché. Ce la faranno?

Amedeo La Mattina

Roma

Sotto il velo delle grandi e convulse manovre tra Berlusconi e Alfano c’è un lavorio dei candidati che si annusano e provano ad allearsi. Per fare massa, certo, per fare paura al segretario che, se non raggiunge e supera abbondantemente il 50%, farebbe una brutta figura e si sentirebbe dire dal Cavaliere «te l’avevo detto che ti saresti fatto del male...».

 

Tra le più temibili avversarie di Alfano c’è Giorgia Meloni, la più giovane, pierina lingua sciolta, che ha una discreta rete di giovani in giro per l’Italia e che potrebbe catalizzare una parte del mondo ex An in rotta anti-montiana. Facendo infuriare La Russa e Gasparri. Ma la ragazza dagli occhioni azzurri ha, diciamo così..., un handicap politico grande quanto una casa: è troppo targata a destra, troppo destra sociale. Allora cosa ha pensato di fare la «rottamatrice» del Pdl, che da sempre chiede le primarie e l’annullamento di tutte le cariche del partito? Di fare ticket con Guido Crosetto e Alessandro Cattaneo, il sindaco di Pavia, leader dei giovani formattatori. Entrambi sono già candidati, ma dovranno ancora presentare le fatidiche 10 mila firme per accedere alla corsa delle primarie. Con Cattaneo sembra che le cose siano ormai fatte, accordo già in tasca alla Meloni. Quanto a Crosetto, ancora un po’ di suspence. 

 

Il «gigante buono» piemontese, come viene chiamato affettuosamente, vuole ancora capire come andrà a finire, quando si faranno queste benedette primarie e far vedere che le firme ce le ha tutte e 10 mila, alla faccia di chi nel Pdl dubiti. Fatto tutto questo, allora valuterà se fare ticket con la Meloni, accettando la sua proposta. Ancora nessuna risposta. Già, perchè una proposta a Crosetto? Proprio perchè ha quel suo handicap politico. Con Cattaneo, ma in particolare con Crosetto accanto, Meloni esce dal cliché di destra. L’ex sottosegretario alla Difesa viene da Forza Italia, è come lei molto critico nei confronti di Monti, è un liberale, non rappresenta l’apparato, nè quello nazionale né quello locale. E poi è un tipo che parla spiccio di economia, che non è certo la materia di Giorgia, tutta politica e militanza. Le danze sono appena iniziate e ne vedremo delle belle.

da - http://lastampa.it/2012/11/22/italia/politica/nel-balletto-delle-primarie-del-pdl-spunta-il-ticket-meloni-crosetto-hqEiWxacT2N2CtU7LtmPaJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alfano a un passo dalla rottura con Berlusconi
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2012, 11:43:21 pm
Politica
28/11/2012 - retroscena

Alfano a un passo dalla rottura con Berlusconi

L’ex pupillo vuole l’accordo del Pdl con il centro

E La Russa pensa a “Centrodestra nazionale”

Amedeo La Mattina
Roma

Ora Berlusconi frena un po’. La dura reazione di Alfano potrebbe avere il suo effetto. 

Il Pdl sta vivendo ore febbrili. È in gioco la sopravvivenza del partito e di un’intera classe politica. Berlusconi ha terremotato la sua creatura, ha paralizzato le primarie, mettendo Alfano con le spalle al muro: «O vieni con me nella nuova Forza Italia o rimarrai prigioniero dei vari La Russa e di chi vuole portare il tuo scalpo a Casini e Montezemolo». Che poi sarebbero, secondo il Cavaliere, Cicchitto, Quagliariello, Fitto, Frattini e tutta la filiera di Comunione e Liberazione, da Maurizio Lupi a Mario Mauro e Roberto Formigoni. «Hai ancora pochi giorni per decidere. Io tra mercoledì e giovedì farò l’annuncio», era stato l’ultimatum dell’ex premier al suo ex delfino, che non ci sta ad andare, con il cappello in mano, nella nuova Forza Italia dove «urlano le Santanchè e Biancofiore». Ma soprattutto non vuole seguire una linea politica, già annunciata a chiare lettere da Berlusconi, tutta all’attacco dell’Europa a trazione tedesca, in contrasto con l’azione portata avanti da Monti.

 

Insomma, come ha spiegato l’influente eurocapogruppo Mauro in un’intervista all’Huffington Post, «non si può archiviare Monti. Né si può dire che l’operazione che lo ha portato a Palazzo Chigi è un’operazione anti-democratica o un colpo di Stato. La verità è che si è fallito perché non sono state fatte delle riforme che erano necessarie, soprattutto per colpa della Lega, i cui veti hanno pesato in una situazione parlamentare difficile». 

 

Alfano non ci sta a chiudersi in una ridotta berlusconiana radicale, di farsi umiliare ancora una volta, di farsi bombardare e uccidere senza sparare un colpo. E il colpo lo ha sparato forte: «Se Berlusconi rifà Forza Italia e si candida premier non solo non potrò seguirlo su una strada suicida, ma non lo sosterrò». Un messaggio, raccontano alcuni, che è arrivato a Villa San Martino attraverso i mediatori Gianni Letta e l’avvocato Nicolò Ghedini. Altri assicurano che l’ex ministro della Giustizia lo abbia detto direttamente al Cavaliere al telefono in questi ultimi giorni o addirittura la scorsa settimana a Roma, nei loro incontri quattr’occhi a Palazzo Grazioli. 

 

Ora, al di là della circostanza in cui Alfano ha mostrato il suo quid, sembra che l’ex premier sia rimasto colpito dalla reazione del suo ex pupillo. Che gli ha riservato altre sorprese. Non solo non lo seguirà e non sosterrà una sua candidatura sulle ceneri del Pdl. Alfano porterebbe il Pdl su una posizione coincidente con quella di Casini e Montezemolo per costruire un nuovo centrodestra: l’unico argine per fermare la scalata al potere della sinistra di Bersani-Vendola. Non è un caso che ieri abbia detto che «senza il Pdl nessuna alleanza può battere la sinistra». È certamente rivolto a Casini e Montezemolo, ma anche a Berlusconi. «Provate a vedere tutti i sondaggi che ci sono in giro - ha aggiunto - senza il Pdl nessuno avrà la maggioranza. Se il protagonista di un’alleanza, se il protagonista della competizione non sarà il Pdl non c’è modo di battere Bersani e Vendola». Ha poi fatto riferimento all’area dei popolari, al Ppe, esattamente quello che sostengono gli esponenti di Comunione e Liberazione che di Berlusconi non ne vogliono più sapere.

 

L’ex ministro della Giustizia però non vuole andare a uno scontro all’arma bianca con Berlusconi. Vuole convincerlo a fermare la macchina che tanto piace ai falchi. Spera che i suoi messaggi facciano breccia nel Cavaliere. Non vuole essere costretto a rompere in maniera plateale. fa affidamento sulla famiglia di Berlusconi, su Marina, su Confalonieri che hanno consigliato l’ex premier a non imbarcarsi nella nuova avventura politica ad altissimo rischio. Sono tanti i problemi dell’azienda, di Mediaset dopo il calo delle entrate pubblicitarie. Spendersi in prima persona, fare una campagna elettorale per demolire quello che ha fatto Monti sarebbe un triplo salto mortale. Anche i sondaggi non danno grandi prospettive di consenso. È vero che c’è un bacino elettorale del 30% inviperito con Monti, le sue tasse ed Equitalia, ma tradurlo solo in parte in voti è un’altra cosa. Alla fine la nuova Fi potrebbe rimanere inchiodata al 7-8%. 

 

I falchi tremano all’idea che Berlusconi cambi idea visto che il capo ha rinviato, forse annullato, il grande annuncio. E si potrebbe andare avanti con il Pdl ma senza primarie e gli ex An. La Russa è già pronto a farsi il suo partito. Ha pure il nome: «Centrodestra Nazionale». Anche gli uomini più vicini ad Alfano temono che il segretario, dopo avere alzato la voce possa innestare la marcia indietro.


da - http://lastampa.it/2012/11/28/italia/politica/alfano-a-un-passo-dalla-rottura-cerca-l-accordo-al-centro-twlmWXCwVbCJVqzsQaVs4J/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: election day o faremo cadere il governo
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2012, 12:13:36 pm
politica
04/12/2012 - retroscena

Berlusconi: election day o faremo cadere il governo

In Parlamento però molti senatori e deputati del Pdl potrebbero non seguire le indicazioni dell’ex premier

Amedeo La Mattina
Roma

Le ultime da Arcore raccontano di Berlusconi tentato di candidarsi a premier alla guida del Pdl. È quello che gli hanno suggerito Gianni Letta, Denis Verdini e Niccolò Ghedini. «Se proprio vuoi candidarti - è stato la loro riflessione - non farlo con la nuova Forza Italia, non ti conviene fare un nuovo partito, riprenditi il Pdl. A quel punto chi potrebbe dirti di no?». Per la verità sono in molti nel Pdl a non voler candidare Berlusconi, ma non avrebbero la forza di impedire una mossa del genere. Lo stesso Alfano non potrebbe evitarlo perchè ha sempre detto che se si candida il Cavaliere le primarie non sono necessarie. A quel punto il segretario sarebbe il primo a sostenere Berlusconi. Tutti dovrebbero farsene una ragione. E poi, se il Pdl dovesse perdere le elezioni, a perdere sarebbe l’ex premier, non il giovane Alfano. 

Questa è l’ultima in ordine di tempo, suscettibile di cambiare nell’arco di ventiquattro ore o anche meno. Tra l’altro, la postilla a questa ipotesi è che il Pdl potrebbe cambiare nome e simbolo, ma questa è già il secondo tempo. Il primo riguarda la decisione dell’ex premier che domani potrebbe andare alla presentazione del libro di Bruno Vespa «Il palazzo e la piazza» e comunicare al mondo la sua mossa, far vedere il dinosauro che ha preparato in laboratorio. Presenza confermata fino a ieri ma il Cavaliere ancora non ha sposato del tutto l’idea dei suoi consiglieri, ma è sicuramente in calo l’ipotesi di andare per la sua strada resuscitando la cara estinta Forza Italia. Non è da escludere che dia forfait a Vespa che sta tenendo la sua redazione pronta nel caso in cui l’ospite svelasse il mistero: pronti a fare una grande puntata di Porta a Porta con lo stesso Cavaliere in studio. 

Difficile comunque che Berlusconi si presenti al Residence Ripetta per continuare a tergiversare, a dire e non dire. A questo punto dovrà spiegare se guiderà di nuovo il Pdl riveduto e corretto oppure lanciarsi nella nuova/vecchia avventura di Forza Italia. Ci sarebbe anche la terza ipotesi: che non faccia né l’uno né l’altro, lasciandosi andare allo scoramento. Sì, perchè i diverse occasioni ha detto di sentirsi abbandonato da tutti «quei nani che ora si sentono dei giganti». Quei nani del Pdl che lui avrebbe trasformato in giganti, cioè in ministri, governatori, sindaci e che ora lo avrebbero tradito perchè non vogliono seguirlo. 

Il cerino rimane tra le sue dita e sta bruciando: il Cavaliere non può più tergiversare, non può continuare a compulsare nevroticamente i sondaggi della Ghisleri, non può guardare e riguardare i bozzetti della nuova Forza Italia, un restyling che gli servirebbe a rinnovare il sogno dell’94. Alfano sabato il suo paletto lo ha messo: rinnovamento del Pdl sì, rottamarlo no. E la maggioranza del partito è con il segretario. Ecco, adesso, la palla è sui piedi dell’ex premier. «Sta riflettendo», racconta La Russa, che ieri ci ha parlato. Hanno parlato anche dell’election day e Berlusconi vuole far cadere il governo se non ci sarà la data unica per Regionali e politiche. L’ex ministro della Difesa però gli ha fatto presente che non è così facile, che i gruppi parlamentari del Pdl non sono più controllabili. E poi il capo dello Stato, anche in caso di sfiducia al governo, non scioglierebbe il Parlamento se prima non si fa la legge elettorale. Tra l’altro, se si andasse a votare a febbraio anche per le politiche non ci sarebbe il tempo per stampare le schede elettorali.

Il Cavaliere non ha più molti margini di manovra e i «nani diventati giganti» chiedono che sia Alfano a sfidare Bersani (Formigoni) perchè una sua ricandidatura sarebbe «una scelta irrazionale» (Alemanno). C’è poi chi, come Osvaldo Napoli, che suggerisce di intestarsi l’agenda Monti accanto a Casini, Montezemolo e Riccardi. Esattamente l’opposto di ciò che Berlusconi vorrebbe fare: un centrodestra alternativo alla «palude centrista» (Bondi). Allora, incita la Biancofiore, Berlusconi butti a mare coloro che «non vogliono la sua candidatura, quelli che hanno beneficiato del suo consenso personale». 

da - http://lastampa.it/2012/12/04/italia/politica/berlusconi-election-day-o-faremo-cadere-il-governo-9FErZgSqEGc35hgMMLuuLP/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Sul Pdl l’ombra della scissione
Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:59:01 pm
POLITICA
06/12/2012

Sul Pdl l’ombra della scissione

Amedeo La Mattina
ROMA


L’ombra della scissione l’ha evocata questa mattina Guido Crosetto prima di lasciare gli studi di Omnibus perché «è il momento delle scelte importanti che non possono essere fatte in tv: alcuni saranno felici di seguire Berlusconi, altri prenderanno altre strade». «Non ho più nulla da dire», e se n’è andato. Forse è un po’ troppo parlare di scissioni, ma non è condivisa da molti la linea politica del Cavaliere, ancora candidato a premier, lanciato nell’attacco frontale a un governo che ci avrebbe trascinato nel «baratro della recessione». 

 

Su questo Crosetto e gli ex An la pensano come il Cavaliere, ma è la stragrande maggioranza del partito (Alfano compreso) non vuole di nuovo Berlusconi in pista. «Non è così - dice Bondi - basta uscire da quei vertici fumosi, inutili e dannosi per il presidente Berlusconi, come il vertice di ieri, ai quale non partecipavo da tempo. Ho avuto la nausea a ritornarci. E infatti oggi non ci andrò. Fuori c’è il mondo della gente comune, dei parlamentari comuni: sono queste persone che il presidente deve ascoltare e capirà che la sua scelta di candidarsi è giusta, necessaria».

 

L’ombra della scissione è evocata anche dalle parole dell’eurocapogruppo Mario Mauro, esponente autorevole di Comunione e Liberazione, il quale ieri aveva detto che il Cavaliere non è «un candidato adeguato» e nei giorni scorsi aveva confidato che se il Pdl dovesse abbracciare posizioni populiste anti-Monti, anti-Merkel, anti-rigoriste, lui in questo partito non ci starebbe un minuto in più. Ma cosa ha portato ieri notte Berlusconi a preparare questo sgradito “regalo di Natale”? Dicendo tra l’altro una bugia grande quanto una casa, cioè che «i suoi» gli dicono di scendere in campo per salvare ancora una volta il Paese. I suoi chi? I suoi familiari, tutti in coro, a cominciare dall’adorata figlia Marina, lo hanno consigliato, quasi pregato, di non buttarsi in una nuova avventuta politica. Lo stessa dicasi per Confalorieri, Nicolò Ghedini e Gianni Letta. I suoi non possono essere i dirigenti del Pdl che ieri al vertice, a parte Bondi, gli hanno chiesto di valutare seriamente il passo indietro e di mettere in rampa di lancio Alfano. E tutti se ne sono andati con la convinzione che il Cavaliere si era ammorbidito, che l’ipotesi Alfano avesse maggiori chance di andare in porto. 

 

Poi però Berlusconi ha fiutato l’aria di ciò che i giornali avrebbero scritto, della serie «Berlusconi molla e apre la strada ad Angelino», «Berlusconi fermato dai colonnelli». Insomma aveva capito, anche dalle ricostruzioni del vertice da parte delle agenzie, che i suoi «ospiti infedeli» a Palazzo Grazioli avevano messo in giro una decisione che lui in cuor suo non aveva ancora preso e che quelle voci fatte filtrare erano un modo per forzargli la mano. E così ha fatto saltare il tavolo, tornando alla sua vera intenzione iniziale. A farlo arrabbiare moltissimo è anche il decreto del governo sulla incandidabilità di chi ha sentenze a carico e l’orientamento di Palazzo Chigi e del Quirinale di non concedere l’election day. Ieri sera, nella residenza del capo che stava incartando il “regalo di Natale” della sua discesa in campo, c’era anche Alfano richiamato all’ordine. Ma non aveva puntato i piedi? Non aveva fatto vedere il quid? 


da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/sul-pdl-l-ombra-della-scissione-IfkejkM2rsjC9bYmnbYdYJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il Cavaliere su Alfano: «E’ il miglior politico, fa parte ...
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2012, 11:22:38 pm
Politica
10/12/2012 - ANALISI

Controconferenza stampa di Berlusconi Nel mirino Monti e il diktat tedesco

Il Cavaliere su Alfano: «E’ il miglior politico, fa parte del mio ticket»

Amedeo La Mattina
ROMA


Berlusconi sta valutando l’ipotesi di partecipare alla controconferenza stampa di fine anno organizzata da Renato Brunetta per «smascherare l’imbroglio di questo governo e le balle di Monti». L’ex ministro è diventato la punta di lancia del berlusconismo economico in assetto da guerra elettorale (l’altra punta, ma del berlusconismo politico, è Daniela Santanché). Una controconferenza, dunque, rispetto a quella istituzionale (21 dicembre) del presidente del Consiglio Monti, il quale sicuramente dovrà ribattere alle accuse del Cavaliere secondo cui si stava meglio quando governava lui e tutti gli indicatori economici rispetto a un anno fa sono peggiorati.

 

E’ quello che ha detto ieri sera su un marciapiede davanti a una pizzeria di Milano nella sua seconda uscita da quando ha annunciato, a sorpresa anche per il segretario Alfano, il “ritorno di Ringo” (il richiamo agli spaghetti-western è di Luca Ricolfi). Anche la prima uscita non è stata granché ortodossa. A Milanello, infatti: capannello selvaggio di giornalisti, dichiarazioni a braccio, ma in tempi in cui il Milan va forte ed è tornato competitivo (grazie alle sue visite al centro sportivo?) il Cavaliere è convinto che la sua comunicazione politica ne possa trarre vantaggio. E comunque, lì, su quel marciapiede a due passi dal famoso ufficio (anche per le Olgettine) di via Rovani, sono morte le speranze dei montiani del Pdl che si illudono di fare in Italia il Ppe. «Il tempo dei tecnici è finito. Noi durante il nostro governo siamo stati migliori di questo. Noi abbiamo tenuto fede agli impegni». E vabbè, fin qui ordinarie contraddizioni rispetto a quanto Berlusconi aveva detto qualche mese fa quando si scusò con gli italiani per averli delusi, per non avere potuto realizzare il programma di governo. Il resto però è una cannonata all’Europa.

 

«Non si può continuare con queste politiche germano-centriche in ossequio all’Europa. Monti si è piegato ai diktat dell’Europa che a sua volta ha subìto il diktat della Merkel. Il risultato è la recessione. Dobbiamo invertire questa politica economica». Poi il botta e risposta con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che aveva definito Berlusconi come «una minaccia per l’Unione europea». «È assurdo e inaccettabile - è stata la dura reazione del Cavaliere - che possa esprimere giudizi così sulla politica italiana. È anche male informato, perché se in Italia c’è una persona più europeista di Silvio Berlusconi me la facciano trovare».

 

Sembra di essere ritornati esattamente a quando, con Berlusconi a Palazzo Chigi, non passava giorno in cui non ci fosse uno scontro o una scaramuccia con questo o quell’altro Paese europeo. A gettare altra legna nel fuoco ci ha pensato proprio Brunetta, l’organizzatore della controconferenza di fine anno sulla «gigantesca operazione di verità», invitando il Professor Monti ad ammettere che la crisi italiana è nata in Germania. Sarebbe stata Berlino a imporre il governo dei tecnici, senza alcuna colpa da parte di chi governava allora a Roma. E sarebbero state le banche tedesche, nel giugno 2011, a vendere titoli italiani facendo puntare la speculazione su di noi. Insomma è «il comportamento irresponsabile della Merkel la causa dei mali dell’Europa». Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i montiani Frattini, Mauro, Formigoni, Lupi, Fitto e lo stesso segretario del Pdl Alfano che, come ha detto sempre ieri sera Berlusconi, è il miglior politico italiano: «Lui fa parte del mio ticket». Quindi Berlusconi candidato premier, Alfano vice candidato premier. 

da - http://lastampa.it/2012/12/10/italia/politica/controconferenza-stampa-di-berlusconi-nel-mirino-monti-e-il-diktat-tedesco-a5g9oXtrqkCoPYyW5OgCKK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il vero ostacolo all’alleanza Lega-Pdl? Albertini ...
Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2012, 05:34:55 pm
politica
12/12/2012

Il vero ostacolo all’alleanza Lega-Pdl? Albertini candidato in Lombardia

L’ex sindaco di Milano è troppo filo-montiano e legato al Ppe.

La sua candidatura alla presidenza della Regione leverebbe a Bobo Maroni
il sostegno del centrodestra

Amedeo La Mmattina
Rroma

Il problema è Albertini. Sembra che siano solo propaganda a fini interni le parole di Maroni, che non intende allearsi con il Pdl se il candidato premier è Berlusconi. Da Palazzo Grazioli fanno sapere che non è stata posta in questi termini la questione, o quantomeno non in maniera così netta. Certo nel caso in cui Berlusconi, da qui alla Befana (quando dovranno essere presentate liste e candidature), si rendesse conto che la sua campagna contro «il grande imbroglio» non dovesse sortire grandi recuperi nei sondaggi, allora sarebbe lui per primo a gettare la spugna. E magari a richiamare in servizio Angelino Alfano. Ma questo si vedrà nelle prossime settimane.

Intanto c’è il passaggio stretto dell’alleanza con il Carroccio. L’ostacolo è Albertini; la candidatura per la presidenza della Lombardia dell’eurodeputato ed ex sindaco di Milano, che si presenta come «il piccolo Monti» (la definizione è sua) è su una linea politica opposta a quella di Berlusconi e Maroni, ovvero tutta in chiave Ppe e in sintonia con la politica del Professore della Bocconi. Tra l’altro Albertini è tra coloro, come Frattini e Mauro, che stanno valutando di salutare il Pdl e dar vita a una lista di sostegno a Monti, qualora il premier decidesse di scendere in campo. 

Ecco, ieri notte a Palazzo Grazioli, Maroni ha chiesto a Berlusconi di intervenire, di convincere Albertini a desistere dalla corsa lombarda: la sua candidatura viene vista come un ostacolo alla vittoria di Maroni perchè gli leverebbe una parte dei consensi tradizionalmente legati al centrodestra. Sarà difficile per Berlusconi convincere Albertini, soprattutto adesso che ha preso la strada dell’assalto frontale alle politiche montiane. Se non ci riuscirà, il Cavaliere rischia grosso, in gioco c’è il flop elettorale. Se non dovesse agganciare la Lega nella battaglia politica nazionale, in cambio della cessione della Lombardia, perderebbe la possibilità di vincere il premio di maggioranza in una Regione decisiva per i futuri equilibri al Senato. 

da - http://lastampa.it/2012/12/12/italia/politica/la-versione-di-palazzo-grazioli-ecco-le-condizioni-di-maroni-per-dire-si-all-alleanza-con-il-cav-AZhHSoU4DStvJ3aeJ37g1N/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fonti del Ppe: Monti non esclude la candidatura
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2012, 07:22:18 pm
politica
13/12/2012

Fonti del Ppe: Monti non esclude la candidatura

Berlusconi: “Se lo fa mi ritiro, tutto il Pdl è con lui”

Amedeo La Mattina
inviato a Bruxelles

Un vertice europeo dei Popolari segnato da una grande attenzione per quanto sta accadendo in Italia e da voci e smentite sulle mosse di Mario Monti. 

 

La cancelliera tedesca Angela Merkel avrebbe chiesto a Monti di ricandidarsi, oggi durante il pre-vertice del Ppe a Bruxelles (ma da Berlino fonti del governo tedesco smentiscono che si sia espressa su “candidature specifiche”).

 

Il premier, secondo fonti del Ppe, a sua volta avrebbe risposto di non escludere affatto una sua candidatura. Una posizione, questa di Monti, che negli ambienti di Palazzo Chigi viene però ritenuta non una novità, ma in linea con quanto il presidente del Consiglio va ripetendo negli ultimi giorni riguardo a un suo possibile, futuro impegno in politica. 

 

Silvio Berlusconi, nel frattempo, avrebbe ribadito il suo orientamento durante lo stesso vertice: «Se Monti si candida io mi ritiro, non solo, ma il professore avrà tutto il sostegno del Pdl». 

 

Al termine della riunione del Partito popolare europeo a Bruxelles il commissario europeo all’Industria Antonio Tajani ha affermato che “nessuno dei leader del Ppe ha chiesto espressamente a Monti di candidarsi”. “Tutti hanno parlato bene di Monti - ha aggiunto - ma nessuno vuole interferire”. Di diverso avviso Sybrand Van Haersma Buma, leader dell’opposizione in Olanda, che all’uscita della riunione ha detto: «È chiaro che il Ppe dà un chiaro supporto a Monti e non a Berlusconi. Vogliamo vedere questa situazione politica continuare, è importante per l’Europa”. Buma ha anche affermato: “Apprezziamo i risultati raggiunti da Monti, non quelli raggiunti da Berlusconi”. 

 

Anche il presidente francese Francois Hollande non ha voluto far mancare il suo sostegno all’operato di Mario Monti, descritto come il leader «che ha permesso all’Italia di raddrizzarsi». All’arrivo di Monti al summit, Hollande è tornato indietro per salutarlo. I due si sono stretti la mano a lungo, davanti a fotografi e telecamere. Più tardi, parlando con i giornalisti, Hollande ha definito Monti «l’uomo che ha fatto in modo che l’Italia sia rispettata». 

da - http://lastampa.it/2012/12/13/italia/monti-non-escludo-di-candidarmi-il-cav-se-lo-fa-mi-ritiro-il-pdl-e-con-lui-sX4ILgWbVqnn43TJ2f2RqL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ora Monti prende tempo e pensa alla grande coalizione
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2012, 11:37:52 am
Cronache
15/12/2012 - retroscena

Ora Monti prende tempo e pensa alla grande coalizione

La decisione definitiva arriverà dopo il voto sulla legge di stabilità

Amedeo La Mattina
inviato a Bruxelles

Anche ieri Monti è rimasto una sfinge. Alla conferenza stampa di Bruxelles i giornalisti hanno cercato in tutti i modi di farlo sbilanciare, ma il premier ha preferito soffermarsi sulle conclusioni del vertice europeo. Non sono riusciti a cavare un ragno dal buco nemmeno quando gli è stato chiesto un parere sull’intervista di D’Alema sul Corriere (sarebbe «illogico e in qualche modo moralmente discutibile che il Professore scendesse in campo contro la principale forza politica che l’ha voluto»). Il professore non si è scomposto, ha indicato la mazzetta intonsa dei giornali poggiata sul tavolo e ha detto di non averla ancora letta. «Non mi tolga la suspense», ha risposto al giornalista. Una risposta che potrebbe essere interpreta come un modo per snobbare D’Alema, oppure l’uso della prudenza di chi fa già capire quali potrebbero essere i toni che userebbe in una sua eventuale campagna elettorale. «I consigli quando vengono da persone autorevoli che stimo molto li prendo sempre in considerazione». In ogni caso, non gli sembra «né possibile né opportuno» parlare delle sue intenzioni politiche per rispetto degli italiani. «Qualunque sia il mio futuro avrà a che fare con l’Europa». 

 

Ogni cosa a suo tempo, prima bisogna approvare la legge di stabilità, poi dirà quale futuro politico intende ritagliarsi. Così i montiani di tutti i partiti fremono, si incontrano, discutono, parlano di liste, ma tutti rimangono appesi a una decisione che comunque Monti dovrà prendere già la prossima settimana (le liste a suo nome dovranno essere presentate entro i primi giorni di gennaio). Tra gli stessi montiani di ogni latitudine sta però crescendo la sensazione che il premier non scenda nell’agone politico in prima persona: al massimo farà un endorsement per quelle liste che si richiamano alle sue riforme, al lavoro fatto dal governo, alla necessità di proseguirlo dentro il solco degli impegni europei. Una scelta di spettatore attivo e interessato che sta complicando molto la vita di Casini, Fini, Riccardi, Montezemolo e di quei montiani del Pdl pronti con le valigie in mano a mollare Berlusconi. 

 

Negli ambienti vicini al premier viene considerata improbabile una campagna elettorale di Monti a braccetto del Cavaliere. Sarebbe una sfida troppo forte a Bersani, che stima, con toni muscolari che non gli appartengono. Anzi, è proprio l’opposto ciò che auspica il Professore: un confronto di merito sulle proposte da fare al Paese, su come proseguire insieme un’esperienza di governo dopo le elezioni di febbraio. La logica di Monti è di continuare a tenere impegnate forze politiche ed energie nuove attorno a un progetto di risanamento finanziario e di crescita economica. Un tratto di strada è stato fatto insieme e ce n’è ancora molta da fare. Come ha detto ieri alla conferenza stampa, le crisi finanziarie sono sempre dietro l’angolo. 

 

Ecco perchè c’è bisogno del Pd e dei moderati. Ed è difficile legare Berlusconi a questo cammino viste le posizioni assunte dal Cavaliere sugli «effetti recessivi» della politica economica del governo, sull’Europa «germanocentrica», sul «grande imbroglio dello spread». Se l’impostazione è quella di Renato Brunetta non c’è spazio per il dialogo. Il confronto elettorale dovrà essere costruttivo e sereno, non uno scontro all’arma bianca, pensando che dopo il voto potrebbe essere non solo necessario per i numeri in Parlamento, ma anche opportuno costituire una maggioranza larga. Per Monti è difficile immaginarsi uomo di parte, in lotta e contrapposto a una sinistra riformista. Tra l’altro lo hanno molto colpito le parole di apprezzamento usate del presidente Hollande nei suoi confronti e quelle tranchant contro Berlusconi che «non avrebbe prospettive politiche» di tornare al governo dell’Italia. 

 

La Sfinge-Monti preoccupa i montiani. Quelli del Pdl non vedono l’ora di potersi staccare da Berlusconi. Mario Mauro ricorda a Monti che ormai mancano poche ore. L’ex ministro Frattini è convinto che con Monti alla guida di uno schieramento politico la partita con la sinistra sarebbe riaperta: «Se invece rimanesse dietro le quinte, per il centrodestra le cose si complicherebbero terribilmente». E’ quello che potrebbe accadere, perchè non gli appartiene lo schema centrodestra versus centrosinistra. Non sarebbe la campagna elettorale giusta. Not in his name.

da - http://www.lastampa.it/2012/12/15/italia/cronache/ora-il-prof-prende-tempo-e-pensa-alla-grande-coalizione-hxJTILUFK1ZgR911TaOPdL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Bersani stringe sulle liste i popolari chiedono seggi
Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2013, 07:12:30 pm
Politica
07/01/2013 - verso il voto

Bersani stringe sulle liste i popolari chiedono seggi


Il segretario Pier Luigi Bersani vuole chiudere in fretta le liste per dedicarsi alla campagna elettorale

Il sindaco Renzi potrebbe riuscire a ottenere più di 60 parlamentari

Amedeo La Mattina
Roma


Bersani ha fretta di tuffarsi nella campagna elettorale e girare l’Italia. Vuole quindi chiudere al più presto la composizione delle liste e lasciarsi alle spalle polemiche e mal di pancia. Domani infatti la direzione del Pd dovrebbe mettere il sigillo alle candidature che dovrebbe sancire una prevalenza di esponenti vicini al segretario tra coloro che sono stati eletti alle primarie o verranno inseriti nel listino (si calcola attorno al 70%). 

 
L’area ex Popolare di Letta, Franceschini, Bindi e Fioroni già canta vittoria perché pensa di arrivare a quota 20% e magari far dimagrire ulteriormente Bersani grazie ai ricorsi delle varie regioni che non accettano l’assegnazione dei posti calati da Roma. «Eleggeremo sicuramente più parlamentari di Renzi», esultano gli ex Popolari che hanno vissuto male il protagonismo del sindaco di Firenze. Il quale fa spallucce e si ritiene soddisfatto di poter eleggere oltre 60 parlamentari (tra Camera e Senato), che potrebbero diventare 70 se il Pd avrà un’affermazione più forte del previsto. Ancora in bilico comunque la candidatura di Reggi, braccio destro del rottamatore, che invece indicherà tra i suoi 17 del listino Michele Anzaldi (ex portavoce di Rutelli) e l’avvocato di Milano Roberto Cociancich (presidente della conferenza internazionale scoutismo cattolico). 

Fuori invece il deputato Sarrubbi: tra i parlamentari uscenti vengono confermati tra i renziani solo Realacci e Gentiloni. 


Incerta ancora la sorte del senatore e costituzionalista Ceccanti dell’area liberal che potrebbe essere recuperato in zona Cesarini. Questa è una componente che viene penalizzata ma per Walter Verini, storico braccio destro di Veltroni che sarà candidato in buona posizione nella sua Umbria, il problema non è quantitativo, ma se il Pd avrà una chiara «agenda riformista e se punta al dialogo con Monti dopo le lezioni». Verini pensa che sarà così, ma nella sua area c’è chi ritiene che i liberal siano tenuti fuori deliberatamente. Ne è convinto anche Parisi, che lascia il Parlamento e ritiene che il Pd sia «più sbilanciato a sinistra: lo ha deciso da tempo Bersani, e lo ha confermato la sua vittoria nella sfida con Renzi». Il segretario vuole chiudere in fretta il nodo delle candidature e vuole dare spazio quanto più possibile alla società civile. Dopo le candidature rosa della filosofa Michela Marzano e dell’ex leader degli industriali piemontesi Mariella Enoc, spuntano i nomi del nutrizionista Giorgio Calabrese e del docente al Politecnico di Torino l’italo argentino Juan Carlo De Martin.

 
Praticamente definiti i capolista alla Camera e al Senato. Fioroni doveva guidare il Pd in Sicilia orientale, accanto a Bersani nella Sicilia Occidentale. L’ex ministro della Pubblica Istruzione invece ha preferito correre nel Lazio (Lazio 2) ma non come capolista: sarà il numero due dopo una donna. Forse la Ferrante, l’agguerrita capogruppo in commissione Giustizia alla Camera. Stessa scelta fatta da Marini che lascia il primo posto al Senato a Stefania Pezzopane, ex presidente della provincia dell’Aquila. 

da - http://lastampa.it/2013/01/07/italia/politica/bersani-stringe-sulle-liste-i-popolari-chiedono-seggi-4VtNCL4ItFtxK9gB32qfoN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “L’Imu? Voto di scambio” Monti silura Berlusconi
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2013, 06:53:58 pm
italia
05/02/2013 - venti giorni al voto

“L’Imu? Voto di scambio” Monti silura Berlusconi

La replica: stupidaggini.

E rilancia il condono fiscale

Amedeo La Mattina
ROMA

La «strana maggioranza» è ormai il pallido ricordo di un’era geologica fa. Nella campagna elettorale irrompe la promessa di Berlusconi di rimborsare l’Imu del 2012, monopolizzando l’attenzione e centrando l’obiettivo di mettere in difficoltà gli avversari che devono rincorrerlo con l’argomento della non credibilità del Cavaliere. La stroncatura più sonora è arrivata da Monti che scomoda il codice penale e parla di «voto di scambio, ma anche di un tentativo simpatico di corruzione: io ti compro il voto con dei soldi e i soldi sono dei cittadini». 

 

Addirittura il premier uscente intravede qualche elemento di «usura» e ricorda Achille Lauro che ti dava una scarpa prima del voto e la seconda dopo, se l’avevi votato. Corruzione, usura, voto di scambio? Ma di che parla il Professore? Per Berlusconi sta sparando una raffica di «stupidaggini». «Se in Italia c’è qualcuno che è credibile questo è il sottoscritto» e rilancia sul condono tombale. 

 

Una gaffe perchè nel Pdl la consegna era che di condono non si sarebbe dovuto parlare perché in questo modo si dà agli avversari la possibilità di attaccare sul fronte dell’evasione fiscale e dire ecco gli amici degli evasori. E infatti Bersani coglie la palla al balzo per dire che la differenza tra lui e Berlusconi è proprio questa: «Io dico “mai più condono”». L’ex premier si è reso conto dello scivolone e ha rettificato il tiro, spiegando che voleva riferirsi non al condono in generale, ma a quello fiscale nei confronti di Equitalia. 

Si va avanti a colpi di clava e Monti la usa contro il Cavaliere. Il Professore ha capito che i voti deve andarli a prendere tra gli indecisi, tra coloro che in passato hanno votato per Berlusconi e sono sempre sensibili alle sue parole contro i controlli della Guardia di Finanza e lo Stato di polizia tributaria. È su questo bacino di voti, qualificabili come di centrodestra, che si scatena la contesa soprattutto tra il premier uscente e il suo predecessore, contraddetto però anche dal suo ex ministro dell’Economia.

 

Per Tremonti infatti la restituzione dell’Imu del 2012 non ha la copertura finanziaria e crea «qualche problemino» al bilancio dello Stato. 

Nello scontro ieri pure la caduta rovinosa delle Borse e lo spread che è ricominciato a salire. Il centrosinistra, sventolando il Wall Street Journal e il Financial Times, accusa il centrodestra di far paura ai mercati con promesse che scombussolerebbero i conti pubblici. Lo stesso Monti in mattinata, in una trasmissione tv, aveva paventato questo rischio che si è concretizzato durante la giornata a Piazza Affari. Berlusconi ha reagito in maniera stizzita, innanzitutto quando il Professore gli ha dato del corruttore. Il primo a reagire è stato il segretario del Pdl Alfano, che ha chiesto le dimissioni di Monti da senatore a vita. Berlusconi si è subito associato alla richiesta di Alfano e ha chiarito che il terremoto sui mercati è tutta colpa della vicenda Monte Paschi di Siena. 

 

«La responsabilità politica della vicenda Mps è a sinistra - ha sottolineato Alfano durante la videochat della Stampa.it - e ora non possono dire “non ne so niente”. Questo è qualcosa di inaccettabile». In ogni caso, ha aggiunto, «ci congratuliamo con la procura di Siena», ma lo ha detto con una punta di malignità perchè da quella procura non trapela nulla (per riguardo al Pd, è il sospetto di Alfano), mentre quando si tratta dei processi a Berlusconi viene tutto spiattellato suoi giornali. Già, gli ha fatto eco il Cavaliere, quando riguarda noi saltano fuori le intercettazioni e ci sbattono in carcere.

da - http://lastampa.it/2013/02/05/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/l-imu-voto-di-scambio-monti-silura-berlusconi-rcdkA77eu6xWAstGMbm1NM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi alza il tiro, voto a giugno
Inserito da: Admin - Marzo 13, 2013, 11:45:01 am
Elezioni Politiche 2013
13/03/2013 - giustizia. le politiche

Berlusconi alza il tiro, voto a giugno

In ospedale ha ricevuto gli ultimi sondaggi di Euromedia: il M5S e il Pd starebbero perdendo consensi

Amedeo La Mattina

ROMA


Nemmeno il sondaggio Euromedia della Ghisleri (infallibile per il Cavaliere) gli ha fatto venire il buon umore. L’uvetite non passa, non può leggere, non può guardare la televisione (ma per il big match Barcellona-Milan ha fatto un’eccezione all’insaputa dei medici), da un occhio però non ci vede e deve tenere una mascherina tipo subacqueo con i vetri scuri. Non c’è nulla che lo tiri su, nemmeno la compagnia affettuosa della fidanzata Francesca Pascale, le carinerie della sua fedelissima ombra Mariarosaria Rossi, le visite della figlia Marina e della pasionaria Santanchè. Eppure quel sondaggio recapitato nella suite del San Raffaele lo ha determinato ancora di più nel puntare tutto sulle elezioni a giugno, perchè gli dice che il centrodestra cresce ancora fino a diventare maggioranza, il Pd cala e Grillo sta accusando il colpo di essere entrato in Parlamento. Le trattative più o meno mascherate sulla presidenza delle Camere, gli incontri con i partiti non fanno bene alle 5 Stelle. Se poi alla fine una Stella dovesse andare a sedersi nel più alto scranno di Montecitorio, secondo Berlusconi, il MoVimento si schianta. 

 
Chissà se sarà così; forse c’è tanta invidia e rabbia per il fatto che a Bersani non passa per l’anticamera del cervello di mettersi a discutere con lui, con il «corruttore di senatori», delle cariche istituzionali, del prossimo capo dello Stato men che meno. Il lupo nero si chiama Prodi, colui che l’ha sconfitto per due volte e che l’altro giorno è andato dai magistrati napoletani per parlare del «senatore corrotto» De Gregorio. Non vuole più un presidente della Repubblica di sinistra, anche se gli viene attribuita una certa simpatia per chi, come D’Alema, fa l’elogio del compromesso (dell’inciucio?) e non metterebbe all’angolo chi rappresenta un terzo degli italiani. Nonostante ciò ieri Berlusconi ha fatto una nota per smentire le voci. «Per il Quirinale il centrodestra non ha bisogno di chiedere a nessuno, e tanto meno alla sinistra, “candidati in prestito”, perché, dopo tanti presidenti di un solo colore, ha invece diritto a rivendicare un candidato diverso e di altra estrazione». Ma qual è il suo candidato in pectore di cui ha parlato durante la campagna elettorale? Nessuno lo sa e chissà se ce n’è uno. Allora smentire il suo gradimento su D’Alema (e Amato) sa tanto di escamotage per non bruciarlo (o bruciarli). Con il sospetto che l’operazione bruciatura di D’Alema, osserva una vecchia volpe come Osvaldo Napoli, sia nata dentro il Pd, dopo aver «appositamente preconfezionata la sua candidatura». 

 

Dalla suite del dolore, l’ex premier del centrodestra segue l’evoluzione della situazione politica e apprezza il comportamento di Napolitano che ha ricevuto il segretario Alfano e i capigruppo Cicchitto e Gasparri. Al presidente è stato chiesto una difesa, un intervento contro la «persecuzione giudiziaria», una mossa presso il Csm e Napolitano lo ha fatto per il bene del paese, per evitare l’Aventino dei parlamentari Pdl, per scongiurare che la neonata legislatura abortisca e non si riesca a eleggere le massime cariche dello Stato. «Grazie Presidente», ha perfino twittato la Santanchè. «Ma il saggio pompiere del Colle ha fatto il suo passo, l’Anm piromane ha lanciato una tanica di benzina e Bersani chi l’ha visto?», si chiede Daniele Capezzone per sottolineare che il rischio sia quello di un capo dello Stato che predica nel deserto, con i pm sempre all’attacco e il Pd ad amoreggiare con le 5 Stelle. Alfano ha però fiducia nell’inquilino del Quirinale: «Solo lui può essere il punto di equilibrio su tutto, ma questo equilibrio dovrà essere trovato prima che si formi il governo».

 

Alfano si augura che Napolitano riesca ad evitare la messa fuori gioco di Berlusconi per via giudiziaria, che si faccia mediatore tra i protagonisti politici e anche di questo si è parlato ieri al Colle. Un carico eccessivo per presidente della Repubblica, il quale considera «comprensibile la preoccupazione dello schieramento risultato secondo di vedere garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento». Ma Berlusconi rimane sul piede di guerra. È pronto a dare fuoco al suo «senso di responsabilità», a far mancare il numero legale in aula se le cose si metteranno male. «O c’è un quadro che migliora la situazione - spiega Cicchitto facendo riferimento alle cariche istituzionali - oppure non vengano a bussare alla nostra porta quando fallirà il tentativo di Bersani di formare il governo». Già, il governo del presidente: il Pdl non lo voterà se verrà tagliato fuori da tutto. E ieri al Quirinale è stato detto al presidente. 

da - http://lastampa.it/2013/03/13/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/basta-presidenti-di-sinistra-dFQUTHqZpTIYOI6Y3oGPHL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi “non ostile” a un governo Pd (furboooo!)
Inserito da: Admin - Marzo 22, 2013, 06:34:47 pm
Elezioni Politiche 2013

22/03/2013 - le consultazioni. i partiti

Berlusconi “non ostile” a un governo Pd

Il leader Pdl è convinto che Bersani ora sia più “duttile”. Intanto Grillo chiude a ogni possibile collaborazione

Amedeo La Mattina
Roma

Magari si illude, ma Berlusconi parla di spiragli aperti, addirittura di un Bersani più duttile dopo l’incontro con Napolitano. Forse perché si è reso conto delle divisioni che si aprirebbero nel Pd se dovesse forzare la mano e piegare la situazione politica verso un nuovo ricorso alle urne. 

 

Il Cavaliere tiene presente anche questo aspetto e spera che gli spiragli diventino sempre più chiari. Insomma, ragiona l’ex premier, un governo Bersani non deve necessariamente essere sostenuto da una «strana maggioranza» come quella che mantenne in vita, per oltre un anno, Monti. Si può fare qualcosa di più spurio. 

 

Potrebbe avere la «non ostilità» del Pdl e intanto consentire una partenza che consenta di metter in campo una serie di provvedimenti per rilanciare l’economia. «In fin dei conti le cose da fare sono chiare a tutti». In questo contesto di maggioranza larga, verrebbe da sè, nei piani di Berlusconi, una tutela di fronte alla magistratura e si spianerebbe la strada per un nuovo capo dello Stato di garanzia per tutti.

 

Uno scenario che si potrebbe verificare anche con un governo guidato da una personalità non politica, fuori dalle contese elettorali e parlamentari, che comunque non insegue i grillini, ai quali più dai più pretendono. Allora, in attesa che gli spiragli diventino porte aperte, si mette il silenziatore alla manifestazione di domani a Piazza del Popolo. Così lo slogan che campeggerà sulla tribuna non sarà quello barricadero «tutti con Silvio contro l’oppressione fiscale, burocratica e giudiziaria», ma «tutti con Silvio per un’Italia nuova». 

 

Ovviamente oggi, con le decisioni di Napolitano, si capirà se questo depotenziamento ci sarà (sabato mattina è stata convocato l’ufficio di presidenza del Pdl) oppure si ritornerà a tirare fuori le unghie.

Altro indizio. Sono in corso molti contatti con i Democratici, soprattutto al Senato. 

 

C’è addirittura chi racconta colloqui tra il presidente Grasso, Gianni Letta, Angelino Alfano. Tra i pontieri pura l’avvocato Ghedini che si inventò la norma che avrebbe consentito a Grasso di diventare Procuratore Antimafia, tagliando la strada a Caselli. Insomma, se ne sono sentite tante ieri tra Camera e Senato. Resta però un punto fermo per Berlusconi: «Bersani comincia ad avere la consapevolezza che in qualche modo deve fare i conti con me». Come è tutto da vedere. Le parole del leader dei Democratici sono state analizzate in controluce quando ha detto che intende rivolgersi a tutto il Parlamento, non parlando più espressamente di «pregiudiziale nei confronti del Pdl e di Berlusconi». 

 

Certo, ha pure detto «ci sono punti che la destra ha impedito di realizzare in questi anni e immagino che sarebbe una singolare via di Damasco...». Ma come si sa Berlusconi è capace di farsi concavo e convesso. Tuttavia nel complesso nel Pdl sembra un primo passo indietro. «Bersani - spiega l’ex ministro Fitto - cerca un incarico disperatamente». «Mi è sembrato un uomo in fuga che ha capito la complessità della situazione», osserva Cicchitto. «La sua linea esce indebolita dal Quirinale», secondo Gelmini. 

 

Il Cavaliere forse si illude che il suo avversario della sinistra alla fine apra alle larghe intese e che senza questa apertura Napolitano non gli darà l’incarico. È rimasto però sorpreso, positivamente, quando lo stesso capo dello Stato gli ha detto che darà l’incarico solo a chi ha i numeri. E il segretario del Pd, se continua a guardare solo verso i grillini, non ce li ha. Anzi, il Cavaliere racconta di avere avuto più che un’impressione, la certezza che Napolitano non intenda giocare al buio e inoltre esclude che l’alternativa a Bersani sia il presidente Grasso, considerato «troppo leggero politicamente». E poi dopo la «gaffe» di dire sono «disposto a qualunque prospettiva», le sue chance sembrano precipitate a zero. Oggi l’arcano verrà scoperto.

 

Ma per Berlusconi la formazione del governo è solo la precondizione per l’altro passo considerato fondamentale: chi andrà al posto di Napolitano? «A me un Napolitano bis va più che bene», ha confidato ieri dopo il colloquio al Quirinale. 


da - http://lastampa.it/2013/03/22/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/berlusconi-non-ostile-a-un-governo-pd-lXqwshB9tQldNEcgVJztxH/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Silvio fa la prima mossa ma vuole mani libere
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2013, 06:28:19 pm
politica
07/04/2013

Silvio fa la prima mossa ma vuole mani libere


Il Pdl vuole un patto di legislatura altrimenti preferisce le urne

Amedeo La Mattina
Roma

Berlusconi è tendenzialmente pessimista. Lascia che Gianni Letta vada avanti nelle trattative in corso con il Pd e scaldi i motori del Gran Premio del Governo e del Quirinale. Ma la sua macchina è ancora ferma ai box. Non crede ad esempio che l’intervista di Franceschini al Corriere della Sera con la quale apre al Pdl, possa sbloccare l’impasse della politica italiana. 

 

Non crede nemmeno che sia stata concordata con Bersani per aprire la pista al governissimo. Piuttosto pensa che le parole dell’ex segretario e capogruppo dei Democratici serva a spianare la strada a una candidatura cattolica alla presidenza della Repubblica. È notorio che Franceschini sostenga quella di Franco Marini di cui era vicesegretario nel Ppi insieme a Enrico Letta, l’altro facilitatore delle trattative. 

 

Per Berlusconi Bersani ora è più isolato nel partito, prigioniero della sua posizione contraria alle larghe intese. «Alla fine, temo, rimarrà vittima della sua ostinazione ideologica e cocciutaggine. Vedremo l’evoluzione del dibattito nel Pd, ma teniamoci pronti alle elezioni». Lui intanto mantiene una linea di lotta e di governo. Mobilita le piazze, quasi una alla settimana: sabato prossimo a Bari, l’altro a Brescia, l’altro ancora forse a Palermo. Ognuno di questi appuntamenti verrà preceduto, il venerdì sera, da una cena con imprenditori e commercianti, Berlusconi presente, per raccogliere fondi. Come se fosse in piena campagna elettorale.

 

Di lotta e anche di governo, disponibile a votare un nuovo capo dello Stato scelto nella rosa di centrosinistra (Marini mi sta bene e pure Amato) a condizione che si formi un governo di larga coalizione. Non gli va per niente bene l’ipotesi prospettata dalle colombe Pdl di partecipare ad un eventuale esecutivo con ministri di area centrodestra, non targati Pdl. Il «lodo Letta», che sembra incontrare il favore del Pd, è bocciato dal grande capo.Dice il capogruppo Renato Brunetta: «Dobbiamo vergognarci di noi? Siamo figli di un Dio minore? Per favore siamo seri! Una grande coalizione presuppone pari dignità e un governo che duri un’intera legislatura. Su questa impostazione non recidiamo di un millimetro». 

 

È ovvio aggiunge Brunetta, che sul programma invece ci sarebbe un confronto con il Pd e Scelta Civica. L’altra strada è il voto a giugno. «Noi abbiamo proposto i nostri otto punti . È il nostro programma. Se avessimo vinto le elezioni, in questi quaranta giorni che Bersani ci ha fatto perdere, noi avremmo già presentato il provvedimento per la restituzione dell’Imu pagata nel 2012 e l’abolizione della stessa tassa. Oltre al riconoscimento alle imprese di una detrazione dei contributi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato di giovani, disoccupati e cassintegrati».

 

Questi sono tre delle otto proposte di legge che ieri Berlusconi ha rilanciato sul sito forzasilvio.it: gli serviranno per dialogare con le piazze, per tenere caldi i suoi elettori in una campagna elettorale per il momento solo virtuale.È il bastone da tenere in una mano mentre nell’altra c’è la carota della disponibilità a trattare, ma sempre su un piano di pari dignità. Ora, con le dichiarazioni di Franceschini, «il re è nudo - sostiene Daniela Santanchè - e Bersani non può più farci perdere tempo e rimanere nella palude. Noi siamo responsabili, lui pensa al suo incarico di governo. È chiaro che se non ci sono le condizioni o se la trattativa dovesse rimanere nel vago, la prossima settimana non ci sarà l’incontro tra Berlusconi e Bersani».

 

È un continuo stop and go. Il Cavaliere ha fissato l’asticella ai suoi ambasciatori: o governo insieme e presidente della Repubblica scelto nel centrosinistra o governo Bersani senza ministri Pdl ma con un capo dello Stato di centrodestra.

da - http://lastampa.it/2013/04/07/italia/politica/silvio-fa-la-prima-mossa-parte-la-campagna-elettorale-g4wI1eo01cWLB3RhOARGkO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E i democratici meditano il grande agguato
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2013, 05:37:58 pm
politica
08/05/2013 - retroscena

E i democratici meditano il grande agguato

Ma il premier manda Franceschini per evitare guai

Amedeo La Mattina

Roma

«Noi siamo e dobbiamo continuare ad essere responsabili e leali con loro, ma se il Pd non è in grado di mantenere un impegno e di controllare i suoi parlamentari prima o poi la maggioranza si farà male e con essa il governo». Berlusconi non ha nessuna intenzione di creare problemi al premier Letta, continua a indossare la maschera dello statista. Non ha però intenzione di farsi mettere due dita negli occhi come è successo ieri al Senato dove Nitto Palma è stato impallinato dagli otto senatori del Pd. Nonostante l’accordo della sera prima siglato dai capigruppo Zanda e Schifani. Le questioni potrebbero moltiplicarsi, le tensioni strappare la tela della coalizione. Per questo Berlusconi ha convocato il vertice del Pdl per mettere in chiaro alcune questioni, dall’Imu alla proposta sulla cittadinanza ipotizzata dal ministro Kyenge, dalla presidenza della Convenzione a quella della commissione Giustizia. A surriscaldare il clima i processi del Cavaliere che la Cassazione ha deciso di tenere a Milano e non spostarli a Brescia.

 

Ma a fare male in questo momento è il cazzotto nella pancia della mancata elezione di Nitto Palma. L’ex premier teme l’agguato. Teme che oggi, quando a Palazzo Madama si tornerà a votare a scrutinio segreto, i senatori Democratici mettano in campo uno di loro (Casson, Manconi?) e riescano a farlo passare con i voti di Sel e 5 Stelle, e magari con l’aiutino di Scelta civica. E in effetti la voglia di agguato nel Pd c’è ed è forte. Il capogruppo Zanda sta sudando le proverbiali sette camicie per convincere i suoi senatori a evitare l’incidente, a non fare l’agguato. Ha chiesto a Casson di rettificare una sua dichiarazione nella quale annunciava una candidatura del Pd, appunto. E Casson ha poi aggiustato il tiro dicendo che ci vuole «una candidatura condivisa». Quella di Caliendo va bene, sempre del Pdl. Mai Palma, l’amico di Cosentino finito in carcere. 

 

In aiuto di Zanda è intervenuto il ministro per i rapporti con il Parlamento Franceschini sollecitato dal presidente del Consiglio Letta. Il quale è consapevole di quanto Berlusconi tiene a questa commissione. Il Cavaliere non recede dal nome di Nitto Palma. Zanda ha chiesto a Schifani di indicare un altro nome più digeribile (Caliendo, appunto) ma da Palazzo Grazioli è arrivato un no fortissimo. «Ci devono dire se sono in grado di rispettare i patti o no, e questo deve valere su tutto - ha detto il Cavaliere - perché non possiamo andare avanti con intese fatte di giorno e disfatte di notte. Cosa succederà con i provvedimenti economici e sulle riforme costituzionali?». 

 

A trattare si sono messi pure Verdini e Migliavacca, senza riuscire a venire a capo di nulla, almeno fino a sera. Il Pd sta cercando una soluzione, se Nitto Palma non verrà messo da parte nella notte (cosa poco probabile): alla quarta votazione di oggi in cui viene eletto chi prende più voti, Nitto Palma potrebbe essere eletto con i soli voti del Pdl e della Lega. Evitando una contro-candidatura targata Pd.

 

Insomma il Pd ha il problema di tenere a bada l’ala antigiustizialista concentrata in quella commissione. «Io ho capito come andava a fine - racconto Nitto Palma nel cortile di Palazzo Madama - quando ho visto i nomi assegnati in questa commissione. E Zanda, che ha chiuso l’accordo con Schifani, sapeva benissimo che questi senatori non mi avrebbero votato». A suo giudizio sarebbe scattato il primo agguato per farlo desistere e convincere Berlusconi a cambiare cavallo. «Non capisco - aggiunge Palma - questo astio nei miei confronti. Io sono stato sottosegretario agli Interni e ministro della Giustizia: non sarei mai stato nominato senza il consenso del Capo dello Stato. Quindi si regolino un po’». Dicono che ce l’hanno con lei perché amico di Cosentino e voleva candidarlo per salvarlo dalla galera. «Cazzate. Ci sono questioni personali. Chiedete a Casson». Già, Casson che avrebbe voluto andare lui alla presidenza della Giustizia: un ex magistrato che da tempo immemore litiga con l’ex magistrato Palma. Poi c’è la giornalista anticamorra Rosaria Capacchione, ora senatrice Pd: «Non potrei tornare a Napoli se voto l’amico di Cosentino».


da - http://www.lastampa.it/2013/05/08/italia/politica/e-i-democratici-meditano-il-grande-agguato-8UypYeS6VXgJZ8J5RO4tlI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. - (PRIMA I MEDIA DEVONO CONTROLLARE LE FONTI).
Inserito da: Admin - Giugno 09, 2013, 10:57:14 am
Esteri
09/06/2013

“Un sacrificio per la pace. Dopo il 2014 la missione sarà solo addestramento”


Il ministro della Difesa Mauro: “Attacco pianificato È stato un adulto a colpire i nostri e poi è fuggito”

Amedeo La Mattina
Roma


Ieri il ministro della Difesa Mario Mauro ha parlato con la mamma del militare rimasto ucciso in Afghanistan. Una telefonata difficile e toccante, «ma quella signora siciliana, nel suo profondissimo dolore, mi ha espresso un grado di consapevolezza e di amore per l’Italia che ha difficile riscontro in un Paese come il nostro sempre in procinto di autodenigrarsi e autodistruggersi. Non sono telefonate in cui il ministro della Difesa porta sollievo al dolore di una famiglia: al contrario, le parole di quella madre servono a me, devono servire a tutti noi, per capire cosa significa fare il proprio dovere. Lei, piangendo, mi ha ricordato quanto il figlio fosse orgoglioso di essere in Afghanistan. Anche il Parlamento, indipendentemente dalle posizioni politiche, deve dare il meglio di sé, stringersi attorno ai militari». 

 

Ministro, come sono andate le cose: si è parlato di un terrorista bambino che ha lanciato la bomba. 

«C’è un’indagine in corso. Vedo fiorire versioni non confermate e fantasiose. Appunto, è stato detto che a buttare la bomba sia stato un bambino. Questa è propaganda taleban. A noi risulta che sia stato un adulto. Così come escludo che l’attentatore fosse vestito da poliziotto o, peggio ancora, fosse un vero poliziotto. Abbiamo elementi che fanno pensare a una cosa bene organizzata con una macchina che avrebbe rallentato il nostro mezzo in prossimità di un bazar affollato. Una persona adulta ha buttato l’ordigno ed è scappata».

 

Rimane o tornare: rimane incomprensibile per una parte dell’opinione pubblica italiana l’utilità di rimanere in un Paese che siamo andati a pacificare senza riuscirci. 

«Sono gli afghani stessi a ritenere utile la collaborazione degli italiani perché ha consentito loro di valorizzare i diritti delle donne in una società segnata da violenza e dal dominio dei taleban. In secondo luogo l’Afghanistan è il classico teatro, pur a 10 mila km di distanza, che incide sulla nostra vita di tutti i giorni: è il crocevia del fenomeno terrorismo fondamentalista capace di scatenare su scala planetaria un conflitto. In terzo luogo, è offensivo vanificare il ruolo e il sacrificio dei nostri uomini a un passo dalla fine della missione internazionale. Comincerà dopo la missione che si chiama Resolute Support che apre la dimensione della cooperazione internazionale e della formazione del futuro esercito afghano». 

 

È un dato di fatto che la pacificazione in quel Paese non c’è, poi sorprende che anche Maurizio Gasparri, esponente del Pdl, dubiti che in luoghi come l’Afghanistan pace e democrazia riescano ad affermarsi. 

«I dubbi sono tutti legittimi, ma nel mio viaggio a Farah, Herat e Shindand ho capito quanto i nostri militari credono alla possibilità della pace. Si rendono conto che la pace lì è la cosa più desiderata. La pace ci può essere solo se c’è sicurezza, ma la sicurezza gli afghani da soli non sono in grado di garantirla. Per questo siamo chiamati noi a garantirla. Poi si può considerare in modo diverso la democrazia e si può pensare che la nostra democrazia vada esportare, ma è un modo di ragionare lontano dalla mia cultura. È la pace il bene prezioso che va garantito in tutte le latitudini possibili. È la precondizione per tutto il resto. Vorrei dire che ci sono aree del nostro Paese in cui la pace piena è legata anche a una mancanza di sicurezza. Per cui non possiamo meravigliarci di altre realtà lontane da noi». 

 

In un periodo di crisi e di difficoltà a reperire risorse, è proprio necessario acquistare gli F35 che ci costano 13 miliardi? 

«Noi siamo una Nazione che deve ottemperare dei doveri nell’onere della difesa. Dobbiamo garantire la nostra sovranità e la sicurezza dei cittadini. Per fare questo necessitiamo di forze armate efficienti: questi F35 servono a sostituire 256 aerei vecchi e obsoleti; i Tornado hanno più di 30 anni di vita e operatività: nessuno di noi si sentirebbe sicuro alla guida di un auto che ha più di 30 anni. Ricordiamoci che siamo in un’alleanza e all’Italia viene chiesto di essere efficiente anche se in alcuni settori particolari. Vorrei infine ricordare la riduzione degli F35 è stata già fatta, da 135 a 90, per cui questa valutazione di merito che ha tenuto conto della crisi economica». 

da - http://lastampa.it/2013/06/09/esteri/un-sacrificio-per-la-pace-dopo-il-la-missione-sar-solo-addestramento-llYc3gFoXKZorNvbk3lkDK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi: “Una violenza incredibile Resisterò alla ...
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2013, 12:09:32 am
Politica
25/06/2013

Berlusconi: “Una violenza incredibile Resisterò alla persecuzione”

Nella nota scritta di suo pugno Berlusconi attacca i giudici «talebani»

Udienza finita: giudici in camera di consiglio

L’ex premier: “Una sentenza scritta per eliminarmi dalla politica”

Nella nota ufficiale nessun riferimento alla tenuta del governo

Amedeo La Mattina
Roma

Ci ha riflettuto a lungo prima di scrivere la nota di commento della sentenza di Milano che lo ha condannato per il caso Ruby a 7 anni per concussione e prostituzione minorile. L’ha scritta di suo pugno e non ha voluto suggerimenti da parte di nessuno, tranne da sua figlia Marina, la quale ieri ha usato il lanciafiamme contro la magistratura che vuole far fuori politicamente suo padre. E quando il Cavaliere ha inviato il testo della nota al portavoce Paolo Bonaiuti, i dirigenti del Pdl hanno notato che qualcosa era veramente cambiato: non c’era nessun riferimento al governo, non c’era quel passaggio rassicurante che lui stesso aveva inserito dopo la sentenza della Consulta che non gli riconobbe il legittimo impedimento. In quell’occasione, appunto, Berlusconi disse in maniera esplicita che l’esecutivo è immune dalle sue vicende giudiziarie, separando le sentenze dal destino politico di Enrico Letta.

Le cose sono cambiate. Prima di dare la nota alle agenzie, a Bonaiuti, di fronte all’umore nerissimo del capo, non è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di ripetere lo stesso passaggio rassicurante, anche in vista dell’incontro di stasera con Letta. Lo stesso Alfano, che è il vicepremier, si è guardato bene di addolcire la nota del Cavaliere, al quale ha manifestato «la più profonda amarezza e l’immenso dolore di tutto il Popolo della Libertà per una sentenza contraria al comune senso di giustizia, al buon senso e peggiore di ogni peggiore aspettativa». Tranne poi spingere il piede sul freno: «L’ho invitato, a nome del nostro movimento politico, a tenere duro e ad andare avanti a difesa dei valori, degli ideali e dei programmi che milioni di italiani hanno visto incarnati in lui». 

Ed ecco la nota scritta tutta di suo pugno in cui Berlusconi dice di essere stato convinto fino all’ultimo di un’assoluzione «perché nei fatti non c’era davvero nessuna possibilità di condannarmi». E questo nonostante il suo avvocato Ghedini gli avesse detto che questa possibilità a Milano non si sarebbe mai verificata: anzi che la sentenza sarebbe stata più pesante delle richieste fatte dalla Boccassini. E così è stato, con il condannato in primo grado che ora definisce la sentenza «incredibile, di una violenza mai vista né sentita prima, per cercare di eliminarmi dalla vita politica di questo Paese». «Non è soltanto una pagina di malagiustizia - aggiunge l’ex premier - è un’offesa a tutti quegli italiani che hanno creduto in me e hanno avuto fiducia nel mio impegno per il Paese. Ma io, ancora una volta, intendo resistere a questa persecuzione perché sono assolutamente innocente e non voglio in nessun modo abbandonare la mia battaglia per fare dell’Italia un paese davvero libero e giusto». 

Ha ascoltato in tv le «signore talebane in toga» pronunciare l’«incredibile» sentenza, ed è rimasto tramortito, amareggiatissimo, sgomento. Non ha sopportato che questa macchia della prostituzione minorile sia stata pronunciata davanti a tanti giornalisti stranieri, che la notizia abbia fatto il giro del mondo in un batter di ciglia, campeggiando sui siti internazionali. Lo considera uno «sputtanamento»; «una umiliazione insopportabile che getta fango sulla mia vita personale e il mio onore». E tutto questo mentre sostiene un governo e chiede «una pacificazione che in molti non vogliono in Italia». «Vogliono vedere il mio cadavere passare, ma non avranno questa soddisfazione». 

Ora per Sandro Bondi è difficile che il governo possa continuare tranquillamente. Per Fabrizio Cicchitto siamo «al limite dell’eversione»: «Così la pacificazione salta, ma non per colpa nostra». «Letta - spiega Mariastella Gelmini - deve capire che siamo tutti sulla stessa barca e se salta Berlusconi salta tutto il resto». Ma il governo non è in discussione, dice Daniela Santanchè, le sentenza non hanno conseguenze su Palazzo Chigi. Ma poi la Santanchè, che ieri è andata a trovare Berlusconi ad Arcore, precisa che «Letta non sta facendo quello che deve fare e se continua così salta sulle questioni economiche. Letta vive se va in Europa a trattare e a dire che l’Italia non può rimanere crocifissa al parametro del 3%. Per fare la crescita dobbiamo sfondarlo».

La pensa così Berlusconi e oggi sarà questo il piatto forte dell’incontro con il premier. Ma la pensa così pure Alfano, che questa sera dovrebbe essere presente? E poi, si parlerà solo di economia? Il premier non vorrebbe discutere di altro, tuttavia il Cavaliere ha intenzione di essere chiaro fino in fondo. Gli dirà che è vitale per il governo un’assunzione di responsabilità collettiva contro la «malagiustizia». Palazzo Chigi non può rimanere a guardare.

da - http://lastampa.it/2013/06/25/italia/politica/berlusconi-una-violenza-incredibile-resister-alla-persecuzione-o4zWOvKg6h8VFsO7gxfhkJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alla vigilia dell’incontro con Letta il Pdl si aspetta un ...
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2013, 12:19:44 am
politica
25/06/2013

Alla vigilia dell’incontro con Letta il Pdl si aspetta un gesto dal Colle


Confermato l’incontro di stasera tra il premier e il Cavaliere, ma l’atmosfera è tesa e cresce il fronte degli intransigenti

Amedeo La Mattina
Roma

Fonti di Palazzo Chigi confermano l’incontro di stasera tra il premier Letta e il leader del Pdl Berlusconi. In casa Pdl invece si attende un vertice a Palazzo Grazioli con il Cavaliere e l’esito di questo vertice con lo stato maggiore del partito per sciogliere la riserva. Alla fine è molto probabile che l’incontro si faccia, ma questa attesa la dice lunga sul clima molto teso che si respira nella maggioranza dopo la sentenza di ieri che ha condannato Berlusconi a 7 anni sul caso Ruby. In ogni caso si annuncia difficile, aspro il colloquio tra Letta e Berlusconi, che non intende abbassare la guardia, non vuole farsi schiacciare fino all’interdizione dai pubblici uffici.

 

Sarà un’atmosfera tesa visto il biglietto da visita che ha presentato stamane il capo gruppo Brunetta il quale ha detto no a un rinvio dell’aumento dell’Iva di soli tre mesi. Non bastano pannicelli caldi, per cui via l’Imu e non semplici rimodulazioni. Non ci sono i soldi? Allora si dica all’Europa che l’Italia intende sforare il vincolo pil-debito del 3% e che quanto si spenderà in più verrà recuperato con un piano tagli della spesa pubblica. «I governi stanno in piedi se governano», avverte Brunetta, che in un’intervista a Radio Anch’io annuncia che sarebbe il caso di sostenere i referendum sulla giustizia dei Radicali. Ma soprattutto ricorda che le intercettazioni della procura di Palermo in cui veniva registrata una telefonata del capo dello Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia è stata distrutta: una reazione giusta ed è questo il modo di reagire a certa magistratura quando si subisce un torto. La stessa cosa bisogna fare con Berlusconi: reagire. E dovrebbero farlo tutti coloro che hanno a cuore questo governo, la pacificazione, la democrazia. In sostanza il Pdl lancia un messaggio al Quirinale perchè si intervenga in difesa del Cavaliere. Un messaggio che arriverà sul tavolo dell’incontro a Palazzo Chigi?

 

Certo, continuità delle istituzioni del governo, come ha detto oggi Napolitano, che non vuole sentir parlare di crisi dell’esecutivo a soli tre mesi dalla sua nascita. Ma Sandro Bondi ha replicato a brutto muso all’appello del presidente della Repubblica, paragonandolo a Ponzio Pilato. E lo fa proprio sul riferimento di Napolitano alle fibrillazioni provocate dalla politica. «Le fibrillazioni non derivano e non sono imputabili ai partiti, bensì alle decisioni della magistratura, che si è trasformata in un potere assoluto e irresponsabile, e che sovverte i principi di una sana democrazia. Queste cose bisognerebbe dirle chiaramente e apertamente, invece di assumere la posa del Ponzio Pilato di turno».

 

Ecco, viene tirato in ballo il capo dello Stato, per tanti versi lo stesso Letta e gli alleati del Pd che avrebbero dovuto dire qualche parolina di conforto a Berlusconi che tiene in piedi il governo. E invece niente. Così il colloquio di questa sera potrebbe andare ben oltre le vicende economiche, rispetto alle quali il premier intervenendo a Senato ha detto che «se l’Europa non riprende un cammino di crescita, nessuna decisione porterà a una vera svolta». Un modo per presentarsi in maniera forte a Bruxelles, ma Letta sa che i margini sono molto stretti, rinviando al 2014 per avere effetti concreti dell’uscita della procedura di infrazione, per avere maggiore possibilità di spesa. 

 

Il punto è che in ottobre arriverà la sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset e potrebbe passare in giudicato l’interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere. Rimarrà ad attendere fino ad allora? O si rende conto che la sua è una pistola scarica?

da - http://lastampa.it/2013/06/25/italia/politica/alla-vigilia-dellincontro-con-letta-il-pdl-si-aspetta-un-gesto-dal-colle-vs32uB1mMp0nlBjkSMERmL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Pdl, i “falchi” insidiano il governo
Inserito da: Admin - Giugno 30, 2013, 04:59:07 pm
politica
30/06/2013

Pdl, i “falchi” insidiano il governo

Berlusconi interviene per calmare le acque, ma da Bondi e Capezzone arrivano nuovi affondi

Amedeo La Mattina
Roma

Il Pd considera ambigui e insopportabili gli atteggiamenti del Pdl, partito di lotta e di governo. «Una doppia sceneggiatura - attacca Matteo Colaninno, responsabile Economia dei Democratici - di chi sta al governo con vicepremier e ministri di massimo rango e gioca a insinuare dubbi, criticare l’operato del governo e ad arrogarsi, nello stesso tempo, meriti del governo medesimo». 

 

Berlusconi, Alfano e gli altri, continua Colannino, stanno nel governo e ne rispondono insieme agli altri: «La piantino con questa doppia sceneggiatura poiché non consentiremo che questo atteggiamento, poco serio e anche un po’ patetico, continui». E invece continua perché al Cavaliere-Giano bifronte fa comodo che i falchi mordano e le colombe tengano in piedi l’esecutivo Letta, rispetto al quale non ha un’alternativa. 

 

I ministri si sono lamentati con l’ex premier dei continui attacchi di Brunetta, Santanché, Bondi, Capezzone, Verdini, arrivando perfino a minacciare le dimissioni. Se viene considerata inutile la nostra permanenza al governo, hanno detto l’altro giorno a Palazzo Grazioli, togliamo il disturbo. Il Cavaliere ha calmato i ministri, ha promesso loro di intervenire, ha chiamato Brunetta per chiedergli di moderare le sue parole, è andato in tv per dire che Palazzo Chigi può dormire sonni tranquilli. Ma viste le dichiarazioni rilasciate anche ieri da Bondi e Capezzone si ha l’impressione che il grande capo non riesca a controllare il partito, oppure ha fatto una falsa promessa ai suoi ministri. «Un certo trionfalismo nelle dichiarazioni di Letta dopo il vertice europeo - osserva Bondi - non si addice alla gravità della situazione. Le decisioni che sono state prese sono acqua fresca». «Condivido fino alle virgole la riflessione di Sandro Bondi - gli fa eco Capezzone - e temo anch’io che i nodi di fondo rimangano assolutamente irrisolti». 

 

L’epicentro del sisma è nella battaglia in corso dentro il Pdl, con l’obiettivo dei duri di impadronirsi della vecchio brand e fare le pulci ai ministri. Sembra però che Berlusconi non abbia deciso di far fuori Alfano dalla segreteria e dare più spazio alla Santanché, nella convinzione che un partito guidato dal tandem Santanché-Verdini non consentirebbe a Fi di avere quella capacità attrattiva nei confronti dei moderati. 

Quanto allo stesso Alfano, ha spiegato che il ritorno a Fi non è una minaccia per il Governo, che però «deve fare ciò che i cittadini si aspettano che faccia sull’economia». Gli attacchi che arrivano dal Pdl sono «normali fibrillazioni». Alfano rimane alle parole di Berlusconi, «parole chiare» di sostegno all’esecutivo che su Imu e Iva ha ottenuto due risultati concreti. «Ora serve fare altri due passi. Entro il 31 agosto bisogna eliminare l’Imu sulla prima casa e sono certo che l’obiettivo sarà raggiunto e poi evitare che l’aumento dell’Iva sia solo sospeso, ma abbia una sua durata». Il ritorno a Fi serve a ricreare «una grande alleanza dei moderati che possa tornare a vincere alle prossime elezioni». Nel frattempo «la cosa più importante è costruire una grande solidità del Pdl in vista del passaggio a Fi senza frammentazioni, lacerazioni ed emorragie». 

da - http://lastampa.it/2013/06/30/italia/politica/pdl-i-falchi-insidiano-il-governo-W70fXQIUcil6tQZHj4jzfK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi avvisa i suoi: non cadete nel tranello
Inserito da: Admin - Agosto 08, 2013, 04:41:58 pm
Politica
08/08/2013 - retroscena

Berlusconi avvisa i suoi: non cadete nel tranello


Partito in fibrillazione, ma il leader cerca di tenere a bada i falchi: evitare attacchi all’esecutivo o al Colle

Amedeo La Mattina

Roma

Chi attribuisce a Berlusconi decisioni in un senso o nell’altro è fuori strada. Silvio falco o Silvio colomba è il ritratto fatto dai falchi o dalle colombe. Da ambienti vicini alla famiglia emerge invece un Berlusconi ancora impegnato a elaborare il lutto della condanna in Cassazione. Preoccupato che, rotto questo tabù, ci sia un crescendo, un’accelerazione degli altri processi: quello Ruby, in particolare, per il quale il Cavaliere è stato condannato a 7 anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma anche l’accelerazione impressa ieri in Giunta sul nodo decadenza.

Dunque, spiegano gli stessi ambienti, questo è il momento di stargli vicino, di non assillarlo, di lasciarlo tranquillo. Ma nel partito la fibrillazione aumenta e le due anime si guardano in cagnesco in attesa che qualcosa succeda. Dai filogovernativi viene vista con sospetto la circolare di Verdini ai coordinatori regionali che chiama alla mobilitazione permanente a sostegno del capo, alla raccolta delle firme per i referendum radicali sulla giustizia, a tenersi pronti al ritorno a Forza Italia e magari ad elezioni anticipate. Il sospetto non riguarda i contenuti quanto il tentativo di esautorare il segretario Alfano che quella circolare avrebbe dovuto firmare. Un segnale che il clima nel partito sta peggiorando e che fa il paio con quello pessimo nella maggioranza. Con la complicità del Pd.

L’intervista di Epifani al Corriere della Sera («Berlusconi deve fare un passo indietro, prima di tutto viene la legalità») è vissuto nel Pdl, senza distinzione alcuna, come una molotov gettata in una polveriera. Per Santanchè le parole di Epifani potrebbero essere «la pietra tombale sulle larghe intese». Secondo Brunetta servono più che altro a sedare la «rissa» interna al suo partito, «lanciando un osso alle componenti giustizialiste ed estremiste insofferenti del governo Letta e desiderose di liberarsi al più presto da quel vincolo».

Casini non vede altro: le affermazioni di Epifani ballano pericolosamente tra l’esigenza di tenere unito il suo partito e la «destabilizzazione». «Il confine è molto sottile. Sono valutazioni che aveva già fatto dopo la condanna di Berlusconi, ma è stupefacente che vengano ripetute. E se verranno ripetute, l’effetto destabilizzante può portare a una crisi di governo irresponsabile. Nulla - osserva Casini - può essere ormai escluso». 

Ma Berlusconi, nonostante sia concentrato sulla sua condizione di condannato, consiglia calma alle sue truppe. Non vuole che si abbocchi alle provocazioni di Epifani e dei Democratici. Siamo al gioco del cerino: non dobbiamo essere noi a provocare la crisi, ma loro. Già gli affondi di Renzi alla festa democratica di Bosco Albergati contro Enrico Letta e il Pd dicono con chiarezza che il sisma può venire da quella parte politica. Occhi puntati, poi, sulla direzione dei Democratici alla quale oggi partecipa anche il presidente del Consiglio. 

Dunque, parlando di Berlusconi, non è proprio il caso di dire calma e gesso perché di calma ad Arcore in questi giorni ce n’è ben poca. Tuttavia il Cavaliere chiede a rapaci e colombe di non farsi passare il cerino. Non attaccare il governo, non infastidire soprattutto il capo dello Stato.
Per il momento. La linea il capogruppo Schifani l’ha indicata così: «Epifani sappia che il Pdl non abboccherà alle provocazioni. Ci stiamo interrogando su quale sia la volontà che lo spinge, ma non c’è dubbio che se la volontà è quella di provocare per farci saltare i nervi, perché lui non ha il coraggio di staccare la spina, noi non abboccheremo». Staremo a vedere quanto i nervi reggeranno all’ex premier. 

Gasparri teme che il Cavaliere possa uscirsene con un durissimo sfogo in pieno agosto e allo stesso segnala che il Pd sta gettando benzina sul fuoco anche sull’Imu. Gasparri fa riferimento alle dichiarazioni del responsabile economia Colaninno che esclude il superamento dell’imposta sulla casa: «Vuol dire che è questo il tema su cui il Pd vuole mandare tutto all’aria». 

da - http://lastampa.it/2013/08/08/italia/politica/berlusconi-avvisa-i-suoi-non-cadete-nel-tranello-reznHPjVPbdTdDvJJxmdyO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Trattato da criminale ma non voglio azioni scomposte”
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2013, 09:30:59 am
Politica

31/07/2013 - retroscena

“Trattato da criminale ma non voglio azioni scomposte”

Berlusconi a Palazzo Grazioli riceve solo “colombe” del Pdl

Amedeo La Mattina
Roma


Vent’anni, vent’anni di persecuzione giudiziaria e ora eccomi qui ad attendere un verdetto definitivo come un criminale. Vi rendete conto? E’ accusato di frode fiscale uno come me che nella vita ha pagato miliardi in tasse. Ma mi raccomando, niente comportamenti scomposti». Ci sono stati diversi momenti difficili e amari nella vita di Berlusconi, ma quelli che sta vivendo in queste ore lui li considera i peggiori. Tensione alle stelle, dita incrociate, umore altalenante, cupo pessimismo tra sprazzi di moderato ottimismo. C’è un lato umano e tutto personale che sta vivendo con tristezza il capo settantasettenne del centrodestra. Il quale non tiene conto solo delle ricadute politiche. Anzi. 

C’è una dimensione tutta umana e personale che oggi, forse il giorno della sentenza, vuole vivere con i suoi figli (è previsto l’arrivo di Marina). Già, «un fatto centrale della sua vita», dice Marcello Dell’Utri. Un fatto molto personale che ha voluto vivere quasi blindato a Palazzo Grazioli. Niente telefonate, tutto filtrato da Maria Rosaria Rossi che lo segue come un’ombra. Solo la fidanzata Francesca Pascale con lui. Un cordone sanitario per evitare che qualunque sua parola fuori posto possa essere riportata ai giornalisti. Non è un caso forse che a varcare le porte della sua abitazione privata a Roma siano state nel pomeriggio solo alcune colombe, il ministro della Difesa Lupi e il presidente dei senatori Pdl Schifani. Prima di loro sono andati a trovarlo il portavoce Paolo Bonaiuti e il gran visir Gianni Letta, custode stanco del moderatismo berlusconiano.
 
Falchi e rapaci invece tenuti alla larga per evitare qualunque scivolone, come quel colloquio di venerdì sera con il direttore di «Libero» Belpietro che l’indomani in prima pagina sparò le parole di sfida del Cavaliere ai giudici della Suprema Corte: non fuggo all’estero come fece Craxi, non accetterò di farmi affidare ai servizi sociali, se condannato vado in carcere...

Coppi voleva sbranarlo, il colloquio fu smentito, ma la frittata era fatta. Ecco, un’altra gaffe alla vigilia dell’arringa della difesa sarebbe imperdonabile. Insomma, comunicazioni ridotte perché anche una parola fuori posto potrebbe inficiare la strategia di Coppi. Sono andate solo le colombe Schifani e Lupi, per l’appunto. E non è un caso che sia stato mandato il ministro Lupi a Porta a Porta, un rappresentante di quel governo Letta che il Cavaliere non intende buttare giù.

Lo ha detto e lo ha ripetuto innumerevoli volte in questi giorni Berlusconi. «Ho trovato il presidente Berlusconi - ha raccontato Schifani - pacato. Grandissima compostezza, un uomo di Stato che sa quali sono le sue responsabilità nei confronti del Paese, al di là della sua vicenda personale». Certo l’arringa del Pg della Cassazione non fa ben sperare, ma non è considerata determinante per il giudizio della Corte. Questa la valutazione fatta da Berlusconi con Ghedini, che si è tenuto in costante collegamento telefonico con l’ex premier: dal Procuratore non ci poteva aspettare altro. Anche la richiesta di ridurre l’interdizione da 5 a 3 anni non ha sortito grandi entusiasmi.

Insomma, è ancora tutta da giocare la partita al Palazzaccio di Roma. E Berlusconi è diventato fatalista, descritto abbastanza sereno, in pace con se stesso. «Sono innocente e le carte lo dimostrano. Tutto quello che potevo e dovevo fare l’ho fatto». È chiaro che in queste ore nel suo ambiente si vuole dare un’immagine edulcorata dell’ex premier, quella di un uomo politico con la testa sulle spalle, che non spaccherà il mondo se condannato, checché ne dicano i descamisados del Pdl. Dimissioni di massa, palazzi del potere circondati, fiumi di berlusconiani inviperiti per le strade... La verità è che il grande capo non ha dato ancora alcuna indicazione su cosa fare dopo.

«Affidiamoci a santo Coppi - dice Fabrizio Cicchitto - se ci avessero pensato prima...». 

da - http://lastampa.it/2013/07/31/italia/politica/trattato-da-criminale-ma-non-voglio-azioni-scomposte-UjhMMuT7WHp4QjHlSFhQXK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. A caccia di più tempo per salvare il Cavaliere e la tenuta...
Inserito da: Admin - Settembre 09, 2013, 09:01:19 am
politica
08/09/2013

A caccia di più tempo per salvare il Cavaliere e la tenuta del governo

Sta cercando di prendere tempo nella speranza che si apra uno spiraglio per una soluzione politica che eviti la sua estromissione dal Senato

Con motivazioni diverse (e opposte) farebbe comodo al Pdl e al Quirinale


Amedeo La Mattina
ROMA


Tempo. Tutti i protagonisti di questa complicata vicenda hanno bisogno di tempo. Il fattore tempo è essenziale lungo l’asse della «trattativa» (questo il termine che usano, con significati opposti, falchi e colombe del Pdl) tra Arcore e Quirinale. Tempo per studiare nei minimi particolari, nei risvolti politici e giudiziari i tasselli del puzzle. Senza lasciare nulla al caso, con l’imperativo categorico di tenere in vita il governo Letta ed il sostegno delle larghe intese. 

 

Avventure, altre maggioranze pasticciate, precarie, stampelle imprevedibili non sono contemplate dal capo dello Stato, che ha bisogno di tempo per valutare se e come concedere la grazia (sempre che Berlusconi si decida a chiederla) o la commutazione della pena detentiva in pecuniaria. Un’ipotesi, quest’ultima, che in ambienti del Popolo della libertà considerano la più probabile e anche la migliore. A loro giudizio, avrebbe un riflesso diretto sulla pena accessoria dell’interdizione del Cavaliere. Il quale ha questa come principale preoccupazione: l’espulsione dall’agone politico, l’incandidabilità, l’ineleggibilità, la fine della sua avventura politica con lo spettro di Craxi. Non è un caso che nel ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo l’ex premier abbia sottolineato proprio questo aspetto squisitamente politico: la volontà di eliminare un avversario politico, il prevalere degli «obiettivi politici sulle ragioni del diritto». Evoca la volontà politica degli elettori e il fatto che lui è riconosciuto come il «leader incontrastato» del Pdl. Un’espressione usata da Napolitano nella dichiarazione del 13 agosto in seguito alla sentenza della Cassazione. Il presidente della Repubblica parlò, per l’appunto, di «leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza». 

 

Ecco allora il riconoscimento evocato da Arcore a Strasburgo; il fattore tempo che diventa determinate per i lavori della giunta che al Senato, da lunedì alle 15,30, dovrà aprire la pratica bollente della decadenza del «leader incontrastato». Il relatore Augello (Pdl) chiederà di prendere in considerazione il ricorso del Cavaliere a Strasburgo e la possibilità di un altro ricorso, questa volta alla Corte Costituzionale, sempre contro la legge Severino e quindi la decadenza.

Tempo, sì, ma quanto? La linea dei Democratici presenti nella Giunta è che ci vorranno anni, molti anni, prima che la Corte di Strasburgo si pronunci. Per il vicepresidente del Senato Gasparri e l’ex ministro Gelmini non è così: ci vogliono mesi. Proprio quelli che servono a Berlusconi per trovare con il Quirinale una soluzione di grazia. Mesi che servono anche a Napolitano per valutare e soppesare gli atteggiamento del Pdl e del suo «leader incontrastato» rispetto al governo. 

 

Certo, ora «il cerino è passato nella mani del Pd», osserva Gasparri; adesso il capogruppo Pdl al Senato Schifani si augura che nella riunione della giunta vengano «rispettati i tempi normali di lavoro», senza «accelerazioni scriteriate e irrazionali» per evitare uno scontro che sconvolga il governo. Certo, Berlusconi pensa di aver messo sotto scacco i Democratici, che nella giunta del Senato hanno l’onere della prova: devono dimostrare di essere responsabili. Ma in questo gioco pericoloso, fatto di mosse e bluff dei partiti, c’è un giocatore istituzionale che non usa trucchetti. Anche Napolitano ha però bisogno di tempo per verificare se il «leader incontrastato» terrà fede alle sue parole sul governo. E’ ovviamente il suo chiodo fisso: evitare di esporre l’Italia ai marosi economici, politici e finanziari, ora che il nostro Paese non è più un sorvegliato speciale.

 

Dunque, se si vuole evitare decadenze e ottenere qualche forma di grazia, innanzitutto il governo dovrà continuare a lavorare, fare la legge di stabilità e guardare avanti, verso il semestre italiano della Ue. Innanzitutto mettere la museruola ai falchi che non condividono affatto l’idea di prendere tempo. I condor non vedono soluzioni alternative allo staccare la spina all’esecutivo. Allungare il brodo è solo controproducente perchè si chiudono le finestre elettorali e il Pd ha il tempo per preparare altre maggioranze.
 

da - http://lastampa.it/2013/09/08/italia/politica/a-caccia-di-pi-tempo-per-salvare-il-cavaliere-e-la-tenuta-del-governo-2BaPALjNHkgXAEJxe30IfL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Se in aula Letta provoca il governo per noi è morto”
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2013, 05:09:37 pm
Politica
28/09/2013 - retroscena

“Se in aula Letta provoca il governo per noi è morto”

Berlusconi infuriato non risponde nemmeno a Napolitano

Amedeo La Mattina
Roma


Se non ci saranno «provocazioni» da parte di Enrico Letta, i senatori del Pdl/Forza Italia voteranno la fiducia. Ma Berlusconi sa che quelle «provocazioni», come le chiama lui, ci saranno. Tutto lascia presagire che siamo a un passo della crisi di governo e il fallimento del Consiglio dei ministri ha suonato la campana a morto. Il nocciolo del problema è cosa dirà il presidente del Consiglio a Palazzo Madama (molto probabilmente martedì prossimo). Da Palazzo Chigi fanno filtrare un elemento ben preciso: il premier chiederà di tenere distinta la decadenza del Cavaliere da senatore dall’azione dell’esecutivo. Due piani diversi che non devono essere confusi e sovrapposti in nessun modo. Dice il presidente del Consiglio, «non si può votare sì a questa mia impostazione e 48 ore dopo far dimettere i parlamentari del Pdl». 

 

Sentito il presidente del Consiglio, i senatori saranno chiamati a votare sì o no. Un voto che vale la fiducia o la fine della grande coalizione. È questo l’aut aut, avallato dal capo dello Stato, arrivato come un tuono a Palazzo Chigi. Ma Berlusconi non è disposto ad accettarlo. Vuole tenersi le mani libere. Per lui i due piani sono strettamente intrecciati: «Non si può lasciare licenza di uccidermi politicamente e poi venirmi a chiedere i voti per continuare l’esperienza delle larghe intese. Se poi non viene messa all’ordine del giorno la riforma della giustizia, allora significa che vogliono la mia resa incondizionata. In più in Consiglio dei ministri Saccomanni si presenta con altre tasse. Siamo alla follia. Una fucilazione continua - sostiene Berlusconi - voluta dal signore che siede al Quirinale».

 

Napolitano rimane nel mirino del Cavaliere. Non lo cita più nemmeno per nome, lo chiama «quello là, il primo a volermi finito». I rapporti si sono spezzati, ogni canale è chiuso. Ieri il capo dello Stato, stanco delle inconcludenti intermediazioni di Gianni Letta e delle colombe del Pdl, ha cercato di mettersi in contatto con Berlusconi, il quale però si è negato al telefono ripetutamente. Questo è ciò che raccontavano alcuni di coloro che ieri sono stati a lungo a Palazzo Grazioli dove si sono riuniti Schifani, Brunetta, Cicchitto, Verdini. Alfano ha fatto la spola tra Palazzo Chigi e la residenza romana del grande capo nel disperato tentativo di rimettere insieme i cocci della maggioranza. Al premier aveva anticipato che sarebbe stata messa sul tavolo del Consiglio dei ministri la riforma della giustizia. Letta gli ha replicato che per il Cavaliere parlare di giustizia significa ridurre tutto alle sue questioni giudiziarie. Altre scintille sull’Iva e le coperture. Per Alfano quello di Saccomanni è una presa per i fondelli, «un trucco inaccettabile». Franceschini, che ha partecipato all’incontro, ha fatto presente che è l’unico modo per evitare l’aumento dell’Iva e che le proposte presentate da Brunetta non stanno in piedi. Ma lo scontro più duro c’è stato quando Letta ha detto che le dimissioni dei parlamentari sono inaccettabili e devono rientrare. Il premier ha pure anticipato ad Alfano quello che intende chiarire al Senato tra pochi giorni, cioè che la decadenza di Berlusconi da senatore e il voto in giunta devono rimanere fuori dalle questioni di governo.

 

Alfano, colomba senza più penne per volare, ha replicato che un aut aut del genere non sarà mai accettato dal Cavaliere. A mediare con il nipote Enrico è arrivato a Palazzo Chigi pure lo zio Gianni, ma anche lui è ritornato a Palazzo Grazioli con le pive nel sacco. Il premier è determinato a non farsi logorare e al suo fianco c’è Napolitano. «Ecco, cosa bisogna aspettare ancora per capire che la maggioranza non esiste più?», si chiede Sandro Bondi. «In queste condizioni, prolungare l’agonia di questo governo e di questa legislatura non giova a nessuno tantomeno all’Italia. Questo Napolitano lo sa bene», osserva il coordinatore del Pdl. De profundis pure da un altro falco, Daniele Capezzone. «Se dopo cinque mesi il governo non è ancora in grado di trovare risparmi per 1 miliardo su una spesa pubblica di 800, allora forse sono davvero venute meno le ragioni che avevano portato alla sua nascita». Intanto il Pdl conferma la manifestazione di venerdì prossimo in piazza Farnese, nel giorno in cui la Giunta si esprimerà sulla decadenza di Berlusconi.

da - http://lastampa.it/2013/09/28/italia/politica/se-in-aula-letta-provoca-il-governo-per-noi-morto-oFERb6TBc2vUJSEVWT2MoL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Caos Pdl, Alfano tende la mano a Fitto
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2013, 05:19:49 pm
POLITICA

10/10/2013 - I PARTITI. TENSIONI E PROBLEMI

Caos Pdl, Alfano tende la mano a Fitto

Ma il capo dei “lealisti” lo attacca: “Dimostri di avere i voti, Berlusconi vale 10 milioni”


AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Oggi dovrebbe essere la volta buona. Sono due giorni che Berlusconi annuncia il suo arrivo a Roma e poi l’annulla. Il Cavaliere non ha voglia di occuparsi delle questioni del partito, gli viene la nausea, ha ben altro cui pensare: l’umiliante decadenza da senatore, l’indigeribile affido ai servizi sociali. Tra l’altro, non ha ancora deciso se eleggere residenza nella capitale o tenerla ad Arcore, dove dedicarsi al prossimo.
 
La scelta della residenza non è secondaria, anche per lo stesso Pdl. A Palazzo Grazioli, dopo avere assolto ai suoi obblighi di recupero sociale, sarebbe costretto a sorbirsi la processione degli esponenti del partito, ascoltare i lamenti dell’uno e dell’altro, tutti a cercare la sua mediazione e benedizione. Per quanto faticoso e scocciante, avrebbe un controllo maggiore del Pdl. Se invece dovesse tenere la residenza a Villa San Martino i rapporti diventerebbero più rarefatti e chi riuscirà a controllare il partito avrebbe più libertà di manovra.
 
Già, chi prenderà il comando? Per il momento sulla tolda non c’è Berlusconi, che oggi viene a Roma per spegnere il fuoco divampato con l’iniziativa di Fitto e dei cosiddetti lealisti. Incontrerà e ascolterà l’ex governatore pugliese che chiede l’azzeramento delle cariche di partito e le dimissioni di Alfano da segretario perché «un sedere può stare in una sola poltrona e non in tre», quella di segretario, vicepremier e ministro dell’Interno. Falchi un passo indietro, lealisti in prima fila, contestano ai ministeriali di aver tradito Berlusconi, di aver detto signorsì al Cavaliere e poi al Senato gli hanno fatto trovare 23 firme sulla mozione di fiducia al governo Letta. «Furbetti del quartierino» che vogliono portare il Pdl in dote a un’operazione neocentrista che faccia tabula rasa di Berlusconi. 
 
Fitto vorrebbe conquistare il partito e lasciare Alfano al governo, ma Berlusconi non può sconfessare il segretario. Significherebbe sconfessare tutti i ministri, i quali ieri si sono presentati nella sala stampa di Palazzo Chigi per rivendicare le cose fatte nel solco del programma Pdl. Per smentire di voler fare piccoli centri, ma un grande centrodestra con Berlusconi. Sentinelle antitasse e motore della riforma della giustizia. L’uno accanto all’altro Alfano, Lupi, Quagliariello, De Girolamo e Lorenzin, una sola squadra. «Non facciamo e non faremo polemiche - ha spiegato Alfano - non siamo qui per parlare di regole interne. Tutti insieme faremo le scelte più giuste. Andremo alla ricerca di punti di incontro per favorire l’unità di partito». Alfano sembra tendere la mano a Fitto. Ma Fitto non gli stringe la mano. Dice che il suo interlocutore è solo Berlusconi: «Nel Pdl ognuno di noi vale uno, mentre Berlusconi vale 10 milioni di voti. Alfano deve dimostrare di avere i voti. Voglio capire dalla sua viva voce se ha abdicato a favore di Alfano. Io non ci sto».
 

Di buttare a mare Angelino, Berlusconi non ci pensa proprio, ma usa Fitto per limitarne l’ascesa ed evitare il suo pensionamento. Forse oggi farà incontrare i due, chiederà loro di mettersi d’accordo, ma a questo punto Fitto non vuole la cogestione del partito, lo vuole tutto. Il Cavaliere lascerà che i contendenti si azzannino ancora un po’ e poi deciderà. Usa tutte le parti in campo. Ad esempio ieri alla conferenza stampa dei ministri ha mandato Maria Rosaria Rossi, la sua più stretta collaboratrice. E negli stessi minuti Sandro Bondi da Arcore scriveva di non comprendere il senso di una conferenza stampa dove non si fa cenno al «dramma» di Berlusconi. «La conferenza stampa rischia di apparire incomprensibile e perfino paradossale».

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/10/italia/politica/caos-pdl-alfano-tende-la-mano-a-fitto-HJgGEitfUpAVRKB34gRmHO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Nuova coalizione”: il progetto di Alfano incrocia Casini
Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2013, 11:26:28 pm
POLITICA
19/10/2013 - ALLEANZE

“Nuova coalizione”: il progetto di Alfano incrocia Casini

Il modello è la vecchia Casa delle libertà

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La rottura di Scelta civica, con le dimissioni dell’ex premier Mario Monti, apre il nuovo cantiere del centrodestra. Qualcuno nel Pdl ricorda la grande coalizione sul modello della Casa delle libertà che vinse le politiche del 2001. Un paragone forse azzardato. Intanto perché allora il sole attorno al quale giravano tutti gli altri pianeti politici era Berlusconi. Adesso il Cavaliere non ha più tutta quella luce ed energia, tuttavia ha una rendita elettorale che non può essere trascurata e senza la quale in questa parte del campo nessuno può uscire vincente dalle urne. Ecco perché Alfano dice di non essere interessato ai «centrini», a operazioni dal fiato corto, come ha dimostrato essere Scelta civica. 
Casini e Mauro hanno imparato la lezione e veleggiano insieme non verso il Pdl ma in direzione di un porto che si chiama Partito Popolare europeo. Messe da parte le velleità neocentriste, il leader dell’Udc e il ministro della Difesa sanno che non possono sbianchettare Berlusconi: devono averlo dalla loro parte. Non più come il sole della galassia Popolare e nemmeno come candidato premier. Del resto l’ex premier non potrà più candidarsi quando diventerà esecutiva l’interdizione dai pubblici uffici. La Corte d’appello di Milano presto dovrà ridurre gli anni di interdizione in seguito alla decisione della Cassazione. A quel punto la decadenza di Berlusconi da senatore sarà un atto dovuto per Palazzo Madama. Non si parlerà più di voto palese o segreto in aula, la giunta che ha lavorato in questi mesi tra polemiche infuocate dovrà fermare i suoi lavori. Lavori che intanto sono stati rinviati di alcune settimane. Non a caso. A quel punto il Cavaliere non potrà più accusare il Pd e dire che non si può stare nella stessa maggioranza con i pugnalatori. 
Il piano per tenere in piedi il governo Letta e neutralizzare i falchi del Pdl e del Pd è composto anche da questo fondamentale passaggio. Se poi Berlusconi non si darà pace, allora sarà rottura nel Pdl, proprio come stava per accadere il 2 ottobre sul voto di fiducia. È vero che tra i protagonisti del nuovo centrodestra versione Ppe si nutrono ancora dubbi sulla determinazione di Alfano. Ma come dice il ministro D’alia, Udc, «Angelino non può rimanere in mezzo al guado dopo quello che ha fatto il 2 ottobre al Senato». «Rimane il fatto - osserva il senatore Paolo Naccarato - che Letta una maggioranza ce l’ha comunque a Palazzo Madama, con o senza Berlusconi. È il punto di forza di Alfano». 
Alfano però non vuole imbarcarsi in operazioni minoritarie. E non vuole perdere per strada il Cavaliere o, peggio, averlo contro. Vuole convincerlo che ricostruire una sorta di nuova Casa delle libertà con Casini e Mauro è l’unica strada per vincere le prossime elezioni. Quando ci saranno. La condizione è governare almeno fino al 2015. Le sue parole di ieri poi hanno tagliato le unghie a lealisti e falchi del Pdl. «Grazie al lavoro di Berlusconi stiamo costruendo un grande centrodestra, che sarà in grado di vincere contro le sinistre. Insieme al presidente Berlusconi lavoriamo per rafforzare il bipolarismo. Non siamo per formare nessun centrino, ma un grande centrodestra innovando in Italia e in Europa. Abbiamo un progetto e una bussola: costruire un grande centrodestra, da opporre alla sinistra, e vincere le elezioni». In questo percorso ci sono molte cose non dette. Ad esempio Mauro e Casini sono convinti che le larghe intese non finiranno in questa legislatura. E che quindi il bipolarismo di stampo popolare e socialista dovrà avere ancora delle eccezioni. Ma questo è lo scenario futuro. Adesso si converge tutti verso una direzione e il primo banco di prova del nuovo centrodestra saranno le elezioni europee. Lista unica o liste separate ma sotto l’ombrello del Ppe? 

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/19/italia/politica/nuova-coalizioneil-progetto-di-alfano-incrocia-casini-a83RRqiJkdnrMj2V2eDaTM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ma Angelino resiste: “Il partito è diviso. ...
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2013, 06:14:06 pm
Italia
01/11/2013

Ma Angelino resiste: “Il partito è diviso. Non comandi solo tu”

L’ex premier punta a spaccare il fronte dei dissidenti

Amedeo La Mattina

ROMA

Nel giorno del suo compleanno (ieri ha compiuto 43 anni) Alfano ha tentato l’ultima disperata mediazione con Berlusconi. Ieri sera ha varcato ancora una volta il portone di Palazzo Grazioli per ribadire al Cavaliere che la decadenza da senatore non deve portare alla crisi di governo. E che Forza Italia deve rinascere su un patto chiaro, un patto che vede al comando la diarchia Berlusconi-Alfano. 

Ormai ci sono due componenti del partito: «Una si riconosce in te, un’altra si riconosce in me. La convivenza si può reggere su una regola statutaria che garantisce entrambi. Non ci può essere un potere totale di una delle due componenti, anche perché non è vero che la stragrande maggioranza del Consiglio nazionale sta solo da una parte. In ogni caso non intendo firmare il documento votato dall’ufficio di presidenza». Documento che ha segna il ritorno a Forza Italia attraverso l’azzeramento di tutte le cariche del partito, a cominciare da quella del segretario, come aveva chiesto Fitto insieme a falchi e lealisti. 

Ma Berlusconi vuole che Alfano firmi quel documento. Un ultimo appello prima della rottura definitiva. Un appello che ieri sera l’ex premier ha fatto al suo ex delfino per non dividere il partito e regalare un vantaggio alla sinistra che «mi sta pugnalando e sbattendo fuori dal Parlamento». Raccontano di ponti d’oro ad Angelino: l’assicurazione che sarà lui il candidato premier del centrodestra e l’uomo forte della nuova Forza Italia. Racconti che non corrispondono a quanto Berlusconi ha veramente detto al suo interlocutore. In ogni caso si tratterebbero di promesse alle quali Alfano non crede più. Il vicepremier vuole sentire altro: una parola definitiva sulla tenuta del governo, cosa che l’ex premier non promette. Anzi, pensa di passare all’opposizione un minuto dopo il voto sulla decadenza. 

Ieri Berlusconi ha rilanciato sulla legge di stabilità. Vuole una modifica profonda di alcune parti, soprattutto per quanto riguarda le tasse sulla casa. «Se la risposta di Palazzo Chigi sarà soddisfacente, allora continueremo a sostenere il governo», ha detto Berlusconi, senza però spiegare come è possibile conciliare questo aspetto con il problema della decadenza. Alfano ha lavorato molto sul fronte della legge di stabilità. In oltre due ore di vertice a Palazzo Chigi con Letta e Saccomanni ha cercato di trovare una soluzione sulla service tax che possa andare bene al Cavaliere. Il premier e il ministro dell’Economa vogliono aiutare il vicepremier, cercano di non offrire il fianco agli attacchi dei falchi, ma le modifiche alla legge di stabilità non saranno tali da accontentare il leader del Pdl. La verità è che Berlusconi sa benissimo che non può ottenere ciò che vuole. Sa altrettanto bene che la dead line per lui rimane la decadenza. E su questa trincea che aspetta tutti e continua a chiedere ad Alfano il massimo del sacrificio e di lealtà: le dimissioni da ministro, anche se gli altri ministri non dovessero farlo. 

Ecco allora qual è la vera operazione che l’ex premier sta tentando: spaccare il fronte dei dissidenti, spezzare il filo che lega Angelino al resto dei governativi duri e puri, convincerlo di non seguire la linea di Quagliariello e Cicchitto. Firmare il documento votato dall’ufficio di presidenza e il passaggio a una Forza Italia d’opposizione è un modo per metterlo con le spalle al muro. Il comunicato di ieri in cui il Cavaliere invoca l’unità serve a tentare di sfilare la sua giovane promessa alla fronda interna, assorbire una parte dei senatori Pdl che il 2 ottobre hanno firmato la mozione di fiducia a Letta. Infatti il punto è questo: questi senatori, che tra l’altro crescono di giorni in giorno, terranno botta? Tutto dipende dalle garanzie che Alfano dà sulla durata del governo fino al 2015. Garanzie che dipendono da cosa farà Renzi: se dovesse puntare alle urne, riuscendo nell’impresa, coloro che seguiranno Alfano si troverebbero bruciati. È l’atroce dubbio che Berlusconi ha instillando nella mente dello stesso Alfano. E che fa dire a Gasparri «ma chi glielo fa fare ad Angelino di seguire i professionisti del nulla? Ha 43 anni, ha una vita davanti. Se la legge di stabilità non viene migliorata lui si troverà ad avere spaccato il partito, scontentato i nostri elettori e perso l’occasione di rientrare alla grande in Forza Italia».

Da - http://lastampa.it/2013/11/01/italia/politica/ma-angelino-resiste-il-partito-diviso-non-comandi-solo-tu-s9rY4uaKdUgovcMxfTeXxH/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E Alfano gela il Cavaliere “Col voto anticipato vince Renzi”
Inserito da: Admin - Novembre 03, 2013, 07:05:09 pm
Politica
31/10/2013 - retroscena

E Alfano gela il Cavaliere “Col voto anticipato vince Renzi”

Sì al voto palese sulla decadenza di Berlusconi

“Non possiamo regalare le elezioni alla sinistra, noi saremmo divisi e senza un leader”

Amedeo La Mattina
ROMA

Il conto alla rovescia è cominciato. Berlusconi attende il voto sulla decadenza da senatore per rompere la grande coalizione e passare all’opposizione dove crede di essere più tutelato.

È la vecchia tesi dell’avvocato Ghedini («voglio vedere se hanno il coraggio di arrestare il capo dell’opposizione») che ha fatto breccia nel Cavaliere. Il quale sta maturato la convinzione di non essere più in grado di far cadere il governo e ottenere le elezioni anticipate. 

L’ex premier ha messo in conto la scissione, anche se spera che alla fine Alfano ritorni sui suoi passi. Una speranza ormai ridotta al lumicino perchè il vicepremier non ha alcuna intenzione di seguire il suo ex padre politico all’opposizione, chiudendosi in una ridotta affollata di falchi, senza un ruolo di guida della nuova Forza Italia e la prospettiva di non essere il candidato premier del centrodestra. 

Martedì sera a cena Alfano ha avuto la conferma di questo scenario da incubo. E di fronte a Berlusconi che insisteva per lo strappo e l’uscita dal governo («non si può rimanere accanto a chi mi sta pugnalando, a cominciare da Napolitano che è il traditore numero uno»), il ministro dell’Interno ha puntato i piedi. «Mi rendo conto che sarebbe un boccone amarissimo, ma non possiamo regalare alla sinistra il voto anticipato. Loro con Renzi avrebbero la vittoria in tasca mentre noi ci troveremmo divisi, sfibrati, accusati di tutti i mali del mondo, e senza un candidato premier perché tu non puoi candidarti».

È quello che stanno ripetendo in queste ore i governativi, da Quagliariello a Cicchitto e Sacconi: non cadere nella trappola del Pd. «Il gioco del partito trasversale - spiega il ministro per le Riforme - è quello di portare il paese a elezioni, a febbraio-marzo, perché crede che in quel caso, con un centrodestra senza il suo leader, la sinistra di Renzi possa vincere facile. Non credo che tutto il Pd sia di questo avviso, ma una parte del Pd sì». Dunque, nervi saldi, non perdere lucidità, dice Quagliariello, avvertendo che in giunta si è formata una maggioranza anomala che avrebbe la possibilità anche di mettersi d’accordo per una legge elettorale contro il Pdl. «Facendo cadere il governo non si farebbe il gioco del centrodestra. Si creerebbe una maggioranza a noi ostile, si farebbe una legge elettorale contro il Pdl. E noi saremmo senza leader». 

 

Il conto alla rovescia della scissione filogovernativa e del passaggio all’opposizione di Berlusconi è iniziato. Due, tre settimane, forse un mese, tranne se al Senato non ci sia un’accelerazione, come sospetta Berlusconi. Comunque, quando arriverà l’ora fatale, il Cavaliere chiuderà i giochi. I falchi vorrebbero chiuderli il prima possibile, segnando la rottura già nel passaggio della legge di stabilità. Una manovra economica che non piace, difficilmente modificabile in Parlamento in base ai desiderata di Brunetta. Il capogruppo del Pdl ne ha preso atto durante il colloquio di ieri a Palazzo Chigi con il premier Letta, che ha rifiutato di convocare la cabina di regia per discutere di come cambiare le misure economiche. 

Il presidente del Consiglio è apparso sicuro di sè, non ha lasciato trasparire preoccupazioni. I suoi collaboratori dicono che si fida di Alfano e della tenuta di quei 30 senatori che non seguiranno le indicazioni di Berlusconi. Ma il Cavaliere proverà a spezzare questo gruppo di senatori «ribelli» e per fare questo ha bisogno di tempo. Per questo vuole rinviare tutto a dopo l’approvazione della legge di stabilità, al momento in cui al Senato verrà votata la sua decadenza. 

Spera che intanto Alfano faccia marcia indietro, che lo stesso Schifani rimanga al suo posto, quello di capogruppo del Pdl che diventerà Forza Italia. Se entrambi rimangono al suo fianco, quei 30 senatori potrebbero diventare 15, e a quel punto Letta non avrebbe più la maggioranza a Palazzo Madama. Ecco perchè Fitto, uscendo da Palazzo Grazioli dopo un colloquio con il Cavaliere, insiste nel dire «Angelino deve decidersi».

Sembra che Angelino una decisione l’abbia presa, anche se Paolo Bonaiuti invita alla massima prudenza. Più difficile recuperare i rapporti con alcuni ministri, Quagliariello in testa, mentre su Alfano c’è ancora una flebile speranza. Talmente flebile che gli stessi rapporti umani e personali tra Silvio e Angelino non sono più quelli di prima, quelli del leader indiscusso e del giovane delfino.

Da - http://lastampa.it/2013/10/31/italia/politica/e-alfano-gela-il-cavaliere-col-voto-anticipato-vince-renzi-Mwv8L4hnpSXUo1neuoKY1I/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. I dolori del giovane Alfano “Al Consiglio si rischierebbe...
Inserito da: Admin - Novembre 13, 2013, 04:09:04 pm
Politica
12/11/2013 - il caso

I dolori del giovane Alfano  “Al Consiglio si rischierebbe un Fini-bis”

Osteggiato dai falchi del Pdl, il vicepremier ha davanti giornate durissime

Amedeo La Mattina
Roma

«Se c’è qualcuno che preferisce la poltrona di ministro, pensando di essere diventato capace e di essere il più bravo, sabato si sveglierà e sarà un incubo». Così parlò la pitonessa Daniela Santanchè. Lei non vede l’ora che i «poltronisti» tolgano il disturbo e lascino la rinata Forza Italia per poter veleggiare nello splendido isolamento di un’opposizione dura e pura dove dovranno contendere a Grillo e ai pentastellati il monopolio insurrezionale. 

Sarà un sabato sanguinoso quello che si annuncia: un Consiglio nazionale dove la guardia imperiale con il simbolo dei falchi monterà la guardia armata attorno al leader indiscusso e indiscutibile, mentre i «traditori» dovranno giustificarsi, piegarsi, tentare di spiegare perchè il governo deve vivere. Nonostante la decadenza. Per questo molto probabilmente Alfano e amici non andranno, non metteranno piede ne palazzo dei Congressi dell’Eur. Una location diversa da quella di via della Conciliazione dove Fini si alzò con il dito affilato puntato contro il Cavaliere e pronunciò l’epico «che fai mi cacci?». Il dito gli fu tagliato: bastò una riunione dell’ufficio di presidenza per mettere alla porta uno dei due fondatori del Popolo della libertà, senza che il gruppo storico di An battesse ciglio.
 
Ora Alfano non vuole ritrovarsi dentro la stessa scena, nell’incubo evocato da Daniela. L’ex delfino non può e non vuole ritrovarsi nelle stesse condizioni di Fini, in questo sabato di sangue. Meglio dare forfait, ma come Fini potrebbe ritrovarsi una volta fuori dal partito, lontano dal suo padre politico. Lo spettro di Fini è quello che ha evocato lo stesso Berlusconi nel fine settimana: questo è il destino che aspetterebbe coloro che si allontano dalla casa del padre. E Alfano questo rischio ce l’ha presente e non lo esclude del tutto. Anche se molti gli dicono che le condizioni politiche e storiche sono cambiate, che non verrà commesso l’errore di fare un centro tendente a sinistra. No, noi faremo il nuovo centrodestra, avremo «piedi, cuore e testa nel centrodestra», dicono i teorici della scissione. 

Ma Alfano qualche dubbio ce l’ha. I dolori del giovane Angelino sono molteplici. E’ addolorato che Berlusconi non lo ascolti, che invece dia retta a Fitto e Verdini, «persone che non gli vogliono bene come gliene voglio io». Lasciare la casa del padre è sempre doloroso, ancora di più il parricidio, ma ormai il giovane Angelino ha bruciato i vascelli alle spalle. 

Da - http://www.lastampa.it/2013/11/12/italia/politica/i-dolori-del-giovane-alfano-rauhtedgh8FK5tC6pmz7FK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. E adesso Alfano teme gli assalti anche dal Pd di Renzi ...
Inserito da: Admin - Novembre 29, 2013, 07:18:34 pm
politica
29/11/2013 - retroscena

E adesso Alfano teme gli assalti anche dal Pd di Renzi
Alfano incalza: la vita del governo dipende da noi

Amedeo La Mattina
ROMA

Per capire che aria tira nel Nuovo Centrodestra e quanto si sono deteriorati i rapporti con Forza Italia, basta ciò che è successo ieri mattina nella sala Koch del Senato. 

I ministri Lupi, Quagliariello, Lorenzin e De Girolamo (Alfano non è ancora arrivato) stanno spiegando i risultati ottenuti con la legge di stabilità. «Il lavoro fatto chiarisce bene cosa significa difendere gli elettori del centrodestra», chiosa il ministro delle Riforme. Atmosfera istituzionale, slide esplicativi, i capigruppo Sacconi e Costa seduti tra i giornalisti, un grido irrompe dal fondo della sala. «Buffoni, buffoni». È Alessandra Mussolini che urla e se ne va. I ministri si guardano sbigottiti, «andiamo avanti», dice Lupi, «ecco una esemplificazione weberiana del tipo di confronto che vogliono gli altri», nota Quagliariello, «la Mussolini riscopre il suo passato di donna di spettacolo», liquida Formigoni. 

Rotti gli ormeggi per navigare nel mare aperto delle incognite politiche, il nuovo partito di Alfano si trova in una tenaglia. Forza Italia non perde occasione per sparare addosso ai cugini che sono rimasti accanto al boia di Berlusconi, approvando pure una legge di stabilità che tradisce le promesse elettorali. «Prigionieri di Letta, cespugli del Pdl», distillano veleno da quella parte. «Alfano è già all’angolo, verrà affettato come un salame», profetizza Brunetta. 

Dal 9 dicembre Alfano dovrà vedersela con il nuovo segretario del Pd Matteo Renzi. Questo l’altro braccio della tenaglia: il sindaco di Firenze, che annuncia di voler ridiscutere il patto di governo, ora che le larghe intese si sono ristrette. Alfano mostra i muscoli, fa la faccia dura, dice di non avere paura del confronto, della verifica programmatica. È convinto di partire da una posizione «privilegiata» grazie ai numeri parlamentari e ai consensi che il Nuovo Centrodestra riscontra nei sondaggi. «Noi non saremo subalterni a nessuno. Noi abbiamo parlamentari sufficienti per tenere in vita il governo, ma anche viceversa». 

Insomma, il Pd avrà pure 300 deputati, ma i 30 senatori del Nuovo Centrodestra hanno in mano la golden share della maggioranza. Se poi Renzi vuole far cadere il Governo presieduto da un esponente del Pd, si accodi. «Io spero - avverte Alfano - che il conto della vicenda congressuale del Pd non ricada sull’Italia e non lo paghino gli italiani». Schifani non crede che Renzi commetterà un errore del genere. «E poi sia chiaro - precisa l’ex presidente del Senato - il nostro principale interlocutore è il premier Letta. Sarà lui a mediare». 

 

Il Nuovo Centrodestra deve attrezzarsi a reggere su più fronti per non rimanere schiacciato tra quelli che Alfano definisce «i partiti della crisi e del buio, e sono tanti, mentre gli italiani soffrono la situazione economica». 

È costretto a guardare avanti, a credere di avere anche il «privilegio» del consenso elettorale tanto necessario a Berlusconi. «Il futuro centrodestra siamo noi, con noi i moderati possono vincere». 

Non gli sarà facile sfuggire alla tenaglia del Pd a trazione Renzi e di Forza Italia versione opposizione che minaccia di non votare le riforme costituzionali. L’unico modo è prepararsi a una verifica di governo con idee di centrodestra. Dopo l’approvazione della legge di stabilità e il congresso del Pd, Alfano proporrà un nuovo contratto agli italiani. Il «Contratto per l’Italia 2014». Sabato a Milano il primo appuntamento per cominciare a scriverlo. 

Da – lastampa.it


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Grillini e Forza Italia contro il governo Ma quanti RIELETTI?
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2013, 11:40:31 pm
politica
05/12/2013

Grillini e Forza Italia contro il governo Ma quanti sarebbero rieletti?

Gasparri chiede di cominciare subito a discutere di riforme costituzionali per superare il bicameralismo e ridurre il numero dei parlamentari.


Ma Berlusconi aspetta di capire cosa farà Renzi

Amedeo La Mattina
Roma

Tutti delegittimati e abusivi, tutti a casa, tuonano i grillini ed escono dall’aula. Sono 148 i deputati abusivi della sinistra, scrive Renato Brunetta, e sono quelli del Pd arrivati alla Camera grazie al premio di maggioranza giudicato illegittimo dalla Corte Costitizionale. Tutti decaduti, come Berlusconi, si vendica Daniela Santanché.

Il Movimento 5 Stelle e Forza Italia vanno alla carica della maggioranza e del governo a testa bassa. Due opposizioni che hanno l’obiettivo di far saltare il banco della politica e portare gli italiani al voto prima possibile. Due opposizioni che si somigliano sempre di più nell’intento di delegittimare questo Parlamento, che si sommano nella pratica ostruzionistica su ogni provvedimento che transita per l’aula di Camera e Senato. 

Il Pd parla di populismi che si uniscono. Fabrizio Cicchitto del Nuovo Centrodestra è dispiaciuto della sponda che Forza Italia sta dando ai pentastellati in questa opera demolitrice. Sicuramente c’è un’eterogenesi dei fini che fa il gioco dei grillini che non hanno tra le proprie corde grandi prospettive di governo, ma non è chiaro fino a che punto possa giovare ai berlusconiani. Il partito di Berlusconi non ha interesse a tornare alle urne con quel che resta del Porcellum disossato, ovvero un sistema proporzionale con le preferenze. Quanti, degli attuali parlamentari, verrebbero rieletti con le preferenze? Allora lunga vita a Letta? Forse non è un caso che un esponente di primo piano di Forza Italia come Maurizio Gasparri chiede di cominciare subito a discutere di riforme costituzionali per superare il bicameralismo e ridurre il numero dei parlamentari. Una vota chiarito che Parlamento ne uscirà fuori, osserva Gasparri, si potrà scrivere la nuova legge elettorale ad hoc. Insomma, in Forza Italia non tutti dicono «siamo tutti decaduti» e vogliono confondersi con i grillini. Il problema è che Berlusconi non ha idea di che legge elettorale vuole. Aspetta di capire cosa farà Renzi. 

Da - http://lastampa.it/2013/12/05/italia/politica/grillini-e-forza-italia-contro-il-governo-ma-quanti-sarebbero-rieletti-vx53vE1SsFFMBkzbMZoA3N/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Renzi in rotta di collisione con il tandem Letta-Alfano
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2013, 10:58:05 pm
Politica
06/12/2013
Renzi in rotta di collisione con il tandem Letta-Alfano

Strategie contrapposte, sul maggioritario all’orizzonte un asse Pd-Berlusconi

Amedeo La Mattina
Roma

La sentenza della Corte Costituzionale è destinata a produrre una serie di effetti dirompenti che non è facile calcolare oggi. Ma c’è un rischio che è possibile mettere già in conto e riguarda le mosse di Renzi e Berlusconi. Per quanto paradossale possa sembrare, i due potrebbero avere un interesse comune non collimante con quello del premier Letta e del suo vice Alfano. Il sindaco di Firenze, che sarà incoronato segretario del Pd alle primarie di domenica prossima, in un primo momento cercherà una «sponda maggioritaria» tra gli alleati di governo. Poi, se non la troverà, guarderà fuori questo perimetro. Cercherà un interlocutore per votare in Parlamento una legge elettorale bipolare che consenta di conoscere la sera stessa delle elezioni il vincitore e chi governerà. Un obiettivo che il ministro per le Riforme Quagliariello considera «un’illusione» perché «la certezza non si può avere finché saremo in un sistema parlamentare». Invece è esattamente quello che chiede Renzi. 

Certamente non vorrà andare a votare con ciò che resta del Porcellum dopo la mannaia della Consulta, cioè un proporzionale puro che favorirebbe la frammentazione, perpetuando in eterno le larghe intese. Il sindaco di Firenze pensa che è proprio quello che vorrebbe Alfano (solo lui?) per sganciarsi da Berlusconi, per non essere costretto ad allearsi con Forza Italia. Dice Francesco Clementi, costituzionalista di fiducia di Renzi, uno dei saggi nominati dal capo dello Stato: «Quagliariello sostiene che conoscere la sera stessa delle elezioni chi governerà è un’illusione. Ecco, è un modo per dire che a decidere devono essere i partiti dopo il voto e non i cittadini prima del voto. Ho l’impressione che l’unico a essere interessato a una legge maggioritaria e governante sia Renzi. Al momento, non saprei dire degli altri attori della politica». 

Gli altri attori della politica stanno al governo e all’opposizione. Al governo Letta e Alfano pensano di procedere entro Natale con una proposta precisa di riforma istituzionale: fine del bicameralismo perfetto e riduzione del numero dei parlamentari. Solo dopo si potrà parlare di quale legge elettorale scrivere. «In genere prima di iniziare una partita - spiega Quagliariello - si stabilisce quali sono le squadre che giocano e in quale campo si gioca». Renzi ha un’idea diversa. Non crede ai due tempi, vuole sapere subito dove si a parare con la legge elettorale. Ed è convinto che alla fine si farà come vuole lui, perché in Parlamento «ci sono gruppi che hanno una fifa matta di tornare alle elezioni». Tra questi è convinto ci sia il Nuovo Centrodestra di Alfano e Quagliariello che sarebbe triturato da Berlusconi. E allora avanti con la discussione sul nuovo sistema elettorale, che si faccia alla Camera dove, osserva Renzi, «c’è la possibilità di fare una legge che permetta a chi vince di governare come succede per i sindaci». Alla Camera, non a caso, dove si possono incontrare i bipolaristi maggioritari che ci sono nel Pd e all’opposizione, senza escludere Berlusconi e Grillo. Al Senato invece il Nuovo Centrodestra di Alfano e i Popolari di Mauro e Casini richiuderebbero le riforme nel perimetro della maggioranza che sostiene il governo. 

No, per i renziani la politica dei due tempi (prima le riforme istituzionali, poi quella elettorale) nasconde una trappola, è pretestuosa, perfino ipocrita. «Il rischio è che alla fine non si faccia né l’uno né l’altro», osserva Clementi. In questo clima politico è difficile capire con chi fare le riforme: con le sole forze della maggioranza o aprendo al resto del Parlamento? Così ragionano i renziani che sottolineano tutta la carica dirompente della sentenza della Consulta. Ne è consapevole, dal suo punto di vista, pure Berlusconi: «La Corte ha blindato l’esecutivo e con il ritorno al proporzionale ci fa ripiombare nella Prima Repubblica». Ma Forza Italia, dice il voce capogruppo del Senato Anna Maria Bernini, «impedirà questo tentativo di restaurazione». 

Ma cosa conviene fare al Cavaliere. Intanto mettere zizzania nella tra le fila della coalizione di governo, evitare che venga fatta una legge elettorale che aiuta i piccoli partiti e non i due maggiori, Pd e Forza Italia. Tenderà la mano a Renzi? Adesso non si muove, attende di vedere come si muoverà il prossimo segretario del Pd le cui intenzioni, dopo la sentenza della Consulta, non sembrano più collimare con quelli di Letta e Alfano.

DA - http://lastampa.it/2013/12/06/italia/politica/renzi-in-rotta-di-collisione-con-il-tandem-lettaalfano-TfR2mbt9jtfbNpzCmkl1CK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Aria nuova in Forza Italia” Il Cavaliere sceglie Toti ????
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2014, 11:32:42 am
Politica
07/01/2014 - retroscena

“Aria nuova in Forza Italia” Il Cavaliere sceglie Toti Sarà il suo rottamatore
Il direttore pronto a lasciare il Tg4 per rinnovare il partito
Giovanni Toti classe 1968 è direttore del Tg4 e di Studio Aperto

Amedeo La Mattina
Roma

È una specie di sogno americano in salsa italiana, anzi berlusconiana quello che sta vivendo Giovanni Toti, entrato nel 1996 come stagista nello Studio Aperto di Paolo Liguori e ora ospite fisso nel villone di Arcore. Ospite di rango politico, ormai. Toti, classe 1968, non è più solo il direttore del Tg4 e del telegiornale di Italia 1 che Berlusconi consulta per qualche dritta sulla comunicazione. 

È diventato l’occhio esterno al partito impantanato nelle lotte tribale. Da lui il grande capo di Forza Italia si aspetta freschezza, un giudizio distaccato dalle contese intestine, il valore aggiunto del volto nuovo da gettare tra le gambe svelte di Renzi. 

Berlusconi pensa che Toti abbia quel «quid» che aveva negato ad Alfano, ma molti nel partito scommettono che Giovanni non andrà avanti. «Il Cavaliere è fatto così: ti porta alle stelle e poi ti getta nella polvere, vedi Alfano», sputano veleno coloro che in questo momento muoiono di gelosia per questo «parvenu» della politica che sta entrando nella stanza principale di San Lorenzo in Lucina. Berlusconi lo vuole coordinatore unico oppure vicepresidente di Forza Italia. Ma dovrà passare sul cadavere di una nutrita schiera di nemici e sul battagliero Verdini. 

«Ma no - minimizza Toti con gli amici - io e Denis siamo toscani, insieme ci facciamo grandi risate. Lui è un vero uomo macchina, si troverà un accordo. Ma è logico che chi prima remava in prima fila, dovrà remare in seconda, terza o quarta fila. Se tutti rimangono aggrappati alla zattera e vogliono mettersi a timone, alla fine si va tutti a fondo. Berlusconi troverà il mix giusto». Linguaggio da rottamatore gentile. «Bisognerà lavorare di fioretto non di sciabola. È ovvio, ognuno tende a preservare la propria catena di comando - ragiona Toti con chi gli sta più vicino - ma Forza Italia deve profumare di nuovo, deve tornare a essere competitiva». 

È quello che sta cercando di fare con difficoltà Berlusconi, spiazzato dalla carica innovativa di Renzi. La comunicazione è sempre stata il suo pallino. Nuovi linguaggi politici, stili e modo di stare in tv. Renzi ormai fa da battistrada. Per il Cavaliere la ribalta di un personaggio come Toti, che viene da fuori dalla politica, è funzionale a rimanere a galla e competere. Così il doppio direttore dei tg Mediaset è sempre presente a Villa San Martino, stimatissimo da Marina e Confalonieri, un grande feeling con Piersilvio. Ha detto a Berlusconi di essere pronto al salto nella primissima fila di «Forza Italia veramente rinnovata, che abbia un profilo moderato, non quello dei falchi». 

«Visto, si è già montato la testa», schiumano coloro che già si vedono nella sala macchina del vapore berlusconiano, sporchi di grasso e olio. Mentre il giornalista venuto da Viareggio, che non ha mai militato in un partito, non ha fatto la gavetta nel territorio e si è intrufolato nel cuore del capo con gli abiti impeccabili e gli orologi Patek Philippe, starà sul castello di comando. E osa sfidare Verdini e Renzi.

Renzi, Verdini, Toti: è una sfida interna ed esterna tutta toscana. Denis e Matteo si parlano e ragionano di legge elettorale modello spagnolo. A Giovanni, che già si è calato perfettamente nella partita politica, non piace. Vuole una legge elettorale che favorisca le alleanze con i Fratelli d’Italia, la Lega e il Nuovo Centrodestra di Alfano. Con il quale Toti sembra abbia un ottimo rapporto. Verdini, i falchi e un bel pezzo dei cosiddetti «lealisti» come Fitto, non hanno intenzione di riaccogliere Alfano. Toti scuote la testa, ricorda che il Cavaliere è sempre stato il federatore dei moderati. «Non mi interessa entrare in un partito di testimonianza con il lutto al braccio. Entro per vincere e ci vuole una grande coalizione di centrodestra». 

Da - http://lastampa.it/2014/01/07/italia/politica/aria-nuova-in-forza-italia-il-cavaliere-sceglie-toti-sar-il-suo-rottamatore-6AOxUS5uHtAaXROos3SwEM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Lo scatto di Alfano e la rabbia nel Ncd Ci eravamo stufati..
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2014, 04:37:33 pm
politica
15/01/2014

Lo scatto di Alfano e la rabbia nel Ncd “Ci eravamo stufati delle barzellette, non ci sorbiremo le smorfie di Renzi”
Il vicepremier non è più disposto ad apparire come l’ultimo dei mohicani che difende il governo Letta mentre il segretario del Pd continua a fare lo spaccone: “E’ ora di venire allo scoperto su tutto, dal rimpasto alla legge elettorale”


Amedeo La Mattina
Roma

Reagire duramente, colpo su colpo. Alfano non ci sta a fare da punchball di Renzi, di prendere cazzotti e calci ogni giorno da tutte le parti. Non è più disposto ad apparire l’ultimo dei mohicani che difende il governo Letta mentre il segretario del Pd continua a fare lo spaccone. ”Non siamo nati - ragiona Alfano - per fare un partitino-stampella a un esecutivo che non viene riconosciuto dalla forza che esprime il presidente del Consiglio”. 

Il contrattacco del vicepremier è stato messo a fuoco ieri sera durante una serie di riunioni organizzative del Nuovo Centrodestra. C’erano Lupi, Quagliariello, Schifani, Cicchitto e molti nuovi coordinatori regionali. Si è discusso degli attacchi che certi giornali considerati filorenziani (La Repubblica) hanno sferrato contro il ministro De Girolamo e ora contro lo stesso Alfano. Nel Nuovo Centrodestra c’è la netta sensazione che ambienti giornalistici (compresa Sky) e finanziari spingano per le elezioni a maggio al fine di portare Renzi a Palazzo Chigi. Ambienti trasversali, e non solo politici, che avrebbero riscoperto ”l’uomo della Provvidenza”, dopo aver criticato per 20 anni Berlusconi, uomo solo al comando. ”Ma noi che ci eravamo stufati delle barzellette, non possiamo ora sorbirci le smorfiette di Renzi”, dice caustico l’onorevole Pizzolante. 

Per Alfano, se vogliono portarci al voto, facciano pure, ma con il sistema elettorale che rimane dopo la sentenza della Corte Costituzionale, cioè il proporzionale puro. Il Nuovo Centrodestra è convinto di avere consolidato il 7% dei consensi, con una potenzialità che arriva al 23-30%. Forse è un po’ troppo, un eccesso di potenzialità, tuttavia il partito di Alfano ci crede ed è disposto a giocarsi il tutto per tutto, sia correndo da solo sia tornando ad allearsi con Berlusconi. 

Non sono però le elezioni che vogliono gli ex berlusconiani. Vogliono un patto per governare nel 2014, con una premessa chiara: rispetto reciproco e non battute e smorfiette del ”nuovo uomo della Provvidenza” per il quale la sinistra si è convertita sulla via di Damasco . Renzi venga allo scoperto su tutto, dice Alfano, anche sul rimpasto e la riforma elettorale. I contatti con Forza Italia e Verdini hanno fatto suonare l’allarme dentro il Nuovo Centrodestra. Il leader del Pd non faccia finta di proporre tre ipotesi di legge elettorale: ne scelga una e una sola, quella dei sindaci. La verità, dicono gli alfaniani, è che Renzi non sceglie perché nel suo partito le posizioni sono tante e diverse. E cosa fa? Scarica sugli altri la responsabilità del logoramento. Ma ora basta: il Nuovo Centrodestra non farà da punchball. 

Da - http://lastampa.it/2014/01/15/italia/politica/lo-scatto-di-alfano-renzi-la-rabbia-nel-ncd-ci-eravamo-stufati-delle-barzellette-non-ci-sorbiremo-le-smorfie-di-yejS9j4vnVQev9AhMMtoAP/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Renzi vuole portare il fedelissimo Gutgeld a Palazzo Chigi
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2014, 05:27:02 pm
Politica
26/02/2014 - governo i primi passi
Renzi vuole portare il fedelissimo Gutgeld a Palazzo Chigi
Malumori nei partiti, tempi più lunghi per i sottosegretari

IL COMMENTO
Amedeo La Mattina
ROMA

Rivendicazioni regionali, compensazioni tra varie anime del Pd, mal di pancia dei senatori Ncd i cui voti valgono come l’oro. Quindi si dilatano i tempi per viceministri e sottosegretari, ma al massimo domani il Consiglio dei ministri nominerà la squadra che consentirà a Renzi di cominciare a lavorare a pieno ritmo.

Il premier non vuole superare quota 50, come in molti gli consigliavano anche tra i suoi più stretti collaboratori: le commissioni parlamentari da seguire sono tante e se si vuole marciare speditamente occorre tenere una marcatura molto stretta. Renzi però vuole un numero contenuto di viceministri e sottosegretari, uno in meno di quello del governo Letta. Dovrebbero essere dunque 46 in tutto, ma dovranno essere figure di esperienza a sostegno di ministri alle prime armi. Così a Palazzo Chigi un ruolo chiave è sempre stato quello del sottosegretario ai servizi segreti. In corsa sembrava ci fosse anche il renziano trentenne Luca Lotti, ma più facilmente si tornerà all’usato sicuro, cioè a Marco Minniti, ormai un decano all’intelligence.

Un’altra poltrona molto importante a Palazzo Chigi è quella del responsabile del Dipartimento economico, perché sarà quella la cabina di regia delle politiche del nuovo governo. Lì dovrebbe andare Yoram Gutgeld, storico consigliere economico del premier. Per restare sul terreno in cui Renzi si gioca tutto, si pensa di portare a quattro i collaboratori diretti di Pier Carlo Padoan (Casero, Baretta, Giorgietti, Morando, anche se le quotazione di quest’ultimo sono in calo). All’Economia potrebbe approdare Bruno Tabacci, ma l’esponente del Centro Democratico aspira a fare il viceministro e allora è più facile che vada allo Sviluppo economico. In questo dicastero dovrebbero rimanere il tecnico Claudio De Vincenti e Simona Vicari (Ncd). A proposito del Nuovo Centrodestra, oltre a Casero, potrebbe ottenere un secondo viceministro: se la stanno giocando Enrico Costa alla Giustizia e Giuseppe Castiglione all’Agricoltura.

La parte del leone tocca al Pd: tra viceministri e sottosegretari ne avrà 25 divisi tra renziani, sinistra interna, bersaniani, dalemiani e Area Dem, quella che tradizionalmente fa capo a Veltroni, il quale per la verità se ne sta molto alla larga delle questioni di governo. I Popolari per l’Italia avrebbero diritto a un viceministro dopo che Mario Mauro ha perso la guida della Difesa. L’attuale sottosegretario agli Esteri Mario Giro è in predicato per questa carica agli Esteri (dove Lapo Pistelli viene confermato viceministro). Dei Popolari per l’Italia potrebbe entrare nel governo, al Lavoro o all’Istruzione, l’ex presidente delle Acli Andrea Olivero. Oppure lo stesso Mario Mauro, ovviamente non più come ministro ma in un ruolo centrale rispetto all’Europa. Allora si parla della delega presso la presidenza del Consiglio degli Affari europei (ma qui ha la concorrenza del renziano Sandro Gozi) o della coesione territoriale, un posto nevralgico da dove si gestisce il fiume di miliardi dei fondi europei. Un posto talmente importante (è girato anche il nome di Emanuele Fiano, area Dem) e che difficilmente il premier non terrà sotto il suo diretto controllo. Nella pancia della presidenza del Consiglio sono rimaste alcune deleghe che prima facevano capo a un ministero e che verranno assegnate ad altri renziani come Lotti, Righetti e Rughetti. E non si esclude un rientro della Kyenge, sempre con la delega all’integrazione. Si apre una porta anche al socialista Nencini che potrebbe affiancare Franceschini alla Cultura. Per questa carica si fa pure il nome di Antonello Giacomelli, uno dei fedelissimi di Dario. Ai rapporti con il Parlamento per dare una mano all’inesperta Boschi potrebbe arrivare il Pd Bressa o tornare D’Andrea. 

DA - http://lastampa.it/2014/02/26/italia/politica/renzi-vuole-portare-il-fedelissimo-gutgeld-a-palazzo-chigi-7U89w0vvcQ6Q8H1IfsJtuI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Legge elettorale, parte del Pd prepara l’alternativa ...
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2014, 06:01:12 pm
Legge elettorale, parte del Pd prepara l’alternativa all’Italicum
Proposta per alzare la soglia per il premio al 40% e addio alle liste bloccate


Al Senato si sta muovendo un’operazione che, se portata fino in fondo, potrebbe scombinare i piani della riforma elettorale e del bicameralismo. Un’iniziativa di una trentina di senatori del Pd che ha tutte le caratteristiche per essere condivisa da altri colleghi della maggioranza (c’è da scommettere che interesserà pure l’opposizione).

Si tratta di evitare la trasformazione di Palazzo Madama in una Camera delle autonomie composta da esponenti degli enti locali, sindaci innanzitutto, e rappresentanti del mondo culturale. «Via i senatori eletti, via i loro stipendi» è il mantra del premier che ieri nel suo discorso per la fiducia si è augurato di essere «l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere a quest’aula la fiducia». 

«Sono consapevole del rischio di fare questa affermazione di fronte a senatori che non meritano il ruolo di ultimi senatori, ma lo sta chiedendo il Paese, lo sta chiedendo l’Italia», ha detto Renzi. Sembrava avvertire i capponi di tenersi pronti alla loro cottura nel forno. Le resistenze si faranno sentire, ma l’iniziativa di un gruppo di senatori Democratici, che verrà alla luce nei prossimi giorni, «vuole essere propositiva, non un ostacolo al superamento sacrosanto del bicameralismo perfetto», spiega il senatore Francesco Russo, un lettiano doc. «Siamo d’accordo che il nuovo Senato non sia composto da eletti e non esprime la fiducia al governo - precisa Russo - ma ci vuole più consapevolezza nella trasformazione di un tassello così importante delle nostre istituzioni. Il nostro modello è quello del Bundesrat tedesco: i componenti non sono eletti ma vengono designati dai i governi federali che in Italia sarebbero le Regioni».

Russo parla anche di modifiche alla riforma elettorale, a quell’Italicum concordato da Renzi e Berlusconi. «Modifiche necessarie a eliminare profili di incostituzionalità come la soglia del 37% per ottenere il premio di maggioranza. Dovrebbe essere portato al 40%. Un altro problema sono le liste bloccate. Stiamo pensando a varie ipotesi per evitare che a decidere siano le segreterie dei partiti: le preferenze, i piccoli collegi o le primarie obbligatorie». Il lettiano Russo racconta di un malumore diffuso e trasversale nel gruppo del Pd che si è riunito ieri mattina prima che iniziasse la discussione sulla fiducia. Si dirà che gli amici di Letta come quelli di Bersani e di D’Alema hanno il dente avvelenato. Sta di fatto che rimangono molte incognite. Ad esempio non è sembrato chiaro se reggerà l’intesa Renzi-Berlusconi o se invece verrà scavalcata dall’accordo di maggioranza, con Alfano in particolare. Ovvero che la nuova legge elettorale verrà applicata solo per la Camera. La conseguenza sarebbe che dovrà necessariamente essere approvata la riforma del Senato e superato il bicameralismo. 

Verdini ieri a Palazzo Madama assicurava i senatori di Forza Italia che l’intesa con il premier regge, eccome: la nuova legge elettorale verrà approvata e sarà pronta in caso di elezioni, di interruzione anticipata della legislatura. Con buona pace di Alfano, secondo Berlusconi e Verdini, che invece pensa di avere firmato una polizza sulla vita. Per la verità le parole in aula di Renzi sembrano andare verso l’intesa con il Nuovo Centrodestra. Ha detto che «politicamente esiste un legame netto» tra riforme costituzionali (Senato e titolo V) ed elettorale. «Sono 3 parti della stessa cosa». Per Renzi «l’Italicum è pronto per essere discusso alla Camera. Venga approvata la prossima settimana. Non si perda tempo. Se avessimo avuto l’Italicum alle scorse elezioni ci sarebbe stato il ballottaggio tra Bersani e Berlusconi e avremmo avuto un vincitore sicuro». Ecco, il premier è una priorità, «una prima parziale risposta all’esigenza di evitare che la politica perda ulteriormente la faccia».

Berlusconi attraverso Verdini ha chiesto al premier di chiarire in sede di replica, di confermare che la legge elettorale non deve essere pensata solo per la Camera, in attesa delle riforme costituzionali. Renzi non l’ha fatto. Ha ribadito che il pacchetto delle riforme è unico. «E’ l’unico vero modo per rispettare la straordinaria figura di Napolitano». 

AMEDEO LA MATTINA

Da - http://lastampa.it/2014/02/25/italia/politica/legge-elettorale-parte-del-pd-prepara-lalternativa-allitalicum-ThzojMHETmtHB3AtzGKN4M/premium.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alfano dalla Merkel prima di Renzi
Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2014, 06:11:30 pm
Articolo tratto dall'edizione in edicola il giorno 26/02/2014.

Alfano dalla Merkel prima di Renzi
Il leader del Ncd in tour per accreditarsi con il Ppe. Oggi pomeriggio il faccia a faccia

Prima di Matteo Renzi, che sarà a Berlino il 17 marzo per il vertice italo-tedesco, ad incontrare Angela Merkel sarà Angelino Alfano. Oggi il leader del Nuovo Centrodestra prima vedrà il suo omologo Thomas De Maiziere sulla lotta al crimine organizzato e sulla questione migratoria in vista del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. Nel pomeriggio l’appuntamento clou: alle 14 presso la sede della Cdu ad aspettarlo ci sarà la Cancelliera della Germania.

Un incontro tutto politico che vale un tesoro per Alfano che si sta accreditando presso il vertice del Ppe, rubando il posto a Silvio Berlusconi. Forza Italia sorride di questi tentativi dell’ex delfino del Cavaliere. I berlusconiani ricordano che sono e saranno loro la seconda componente del gruppo Popolare all’Europarlamento: alle elezioni europee questo sarà lampante. Intanto Alfano ruba la scena al suo ex leader che non può andare all’estero perchè gli è stato ritirato il passaporto dopo la condanna per frode fiscale. Berlusconi vorrebbe andare al congresso Ppe di Dublino, che si svolgerà il 6-7 marzo, ma non può. Ci andranno invece Casini e Alfano, che oggi parlerà proprio dei temi che sono all’ordine del giorno a Dublino: campagna elettorale europea, programma dei Popolari e, soprattutto, candidatura alla presidenza della Commissione Ue (Junker o Barnier).

Le indicazioni della Merkel saranno decisive per Alfano e per una nuova formazione come Ncd che ha l’ambizione di rappresentare il perno dei Popolari in Italia. E si prepara alla nascita di una lista comune e unitaria con l’Udc di Cesa e Casini e con i Popolari per l’Italia di Mario Mauro.

Su questa idea di mettere insieme tutte le formazioni politiche sotto la stessa bandiera del Ppe (il simbolo e il nome sono ancora da stabilire) c’è stato un dibattito dentro il Nuovo Centrodestra. Lupi avrebbe preferito correre da solo per far conoscere meglio e di più Ncd. Sembra però che sia prevalsa l’altra opzione, quella di riunire tutti i Popolari italiani. C’è chi maligna e dice che Alfano e amici hanno paura di non raggiungere lo sbarramento del 4%. Rimane il fatto che l’operazione sta camminando e non è escluso che Alfano intenda parlarne alla Merkel.
 
Comunque, il ministro dell’Interno oggi si prende un importante palcoscenico a Berlino dove la Cancelliera sta portando avanti una serie di colloqui con gli esponenti Popolari dei vari Paesi per concordare il nome del candidato da sostenere alle Europee. Sarà scontato che il nome della Merkel avrà la meglio. E se dovesse prevalere l’accordo franco-tedesco il nome sarà quello del francese Barnier che dovrà vedersela con il socialdemocratico tedesco Martin Schulz.

Rimane l’operazione di Alfano, che approfitta del momento di «clausura forzata» di Berlusconi. «Noi - spiega l’europarlamentare Ncd Antonio Cancian - siamo il partito più vicino alla Merkel e al Ppe rispetto a Fi che ha una posizione antigermanica. L’Europa non fa va avanti con le contrapposizioni, con le tesi sui complotti, le critiche all’euro. Non si tratta di prendere ordini dalla Merkel di avere un’idea moderata dell’Europa e la convinzione - aggiunge Cancian - che solo con le alleanze tra paesi sia possibile camminare verso l’obiettivo di un’Unione più comunitaria e meno egoista».

Amedeo La Mattina

Da - http://lastampa.it/2014/02/26/italia/politica/alfano-dalla-merkel-prima-di-renzi-9bNCDeG6ZzgKjJ8Pt23AAK/premium.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi sarà in lista alle elezioni europee di maggio
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2014, 08:07:08 am
Politica
14/03/2014

Toti: “Berlusconi sarà in lista alle elezioni europee di maggio”
“Rappresenta milioni di italiani, sarebbe grave se glielo impedissero”

Amedeo La Mattina
ROMA

Prima di diventare il consigliere politico di Silvio Berlusconi, Giovanni Toti ha fatto il giornalista, il direttore di testate televisive Mediaset e da esperto della comunicazione politica ritiene che Matteo Renzi sia bravo, ma il Cavaliere è di un altro livello. Una spanna sopra. «Berlusconi era più bravo come presidente del Consiglio perché riusciva a coniugare la capacità di parlare direttamente alla gente e il profilo istituzionale. Renzi invece ha in qualche modo profanato la sacralità di Palazzo Chigi. Berlusconi rimane un fuoriclasse ancora oggi perché dietro le sue parole c’è la credibilità del suo passato imprenditoriale e del leader politico votato da milioni di italiani e di moderati. Renzi è stato molto efficace nella conferenza stampa, ma non aveva autorevolezza istituzionale. Mi sembrava il candidato alle primarie. Aveva toni da campagna elettorale. Del resto lo ha detto lui stesso che avrebbe voluto ridurre le tasse ad aprile, prima del voto per le Europee. La vostra Jena ha scritto “a Palazzo Chigi la conferenza stampa del premier Wanna Marchi”. Ecco, non vorrei che Renzi abbia abbassato il tono complessivo di quella che rimane la quarta carica dello Stato».

Forse Berlusconi teme che Renzi faccia quello che ha promesso e abbia successo alle Europee, attirando una buona parte degli elettori moderati. 

«Non credo che ciò avverrà. Forza Italia andrà molto bene. Ci sono tutte le condizioni per una grande affermazione. Abbiamo un buon programma, ottimi candidati, un grande entusiasmo attorno ai club e la determinazione di Berlusconi a candidarsi e guidare le liste di Forza Italia».

Quindi si candida anche se non è candidabile? 

«Certo che si candida. Berlusconi ha guidato Forza Italia in tutte le elezioni. Ritengo che lo farà anche questa volta. L’Europa sta vivendo una fase di grandi cambiamenti e tutte le delegazioni nazionali dovranno portare il loro contributo. Il Cavaliere porterà quello dei moderati italiani. Riterrei una grave lesione al diritto di rappresentare i moderati italiani se Berlusconi non potrà candidarsi. Se qualcuno dovesse impedirlo si assumerebbe una grave responsabilità davanti a milioni di italiani». 

 Torniamo a Renzi. Potrebbe fare quello che Berlusconi ha sempre promesso ma non ha mai fatto, abbassare le tasse. Se ci riesce, voterete il provvedimento? 

«Intanto siamo agli annunci e mancano coperture certe senza le quali tutto il castello di Renzi cade. E poi non è vero che Berlusconi non abbia abbassato le tasse. Lo ha fatto tra il 2001 e il 2006 e ha pure alzato le pensioni minime. Se Renzi ci riuscirà noi applaudiremo. La nostra è un’opposizione responsabile, non distruttiva. Il nostro approccio è lo stesso di quello che abbiamo per le riforme: valutare con attenzione il merito, sfidare a fare meglio. Vediamo se Renzi ha coraggio di affrontare questa sfida».

Quindi potreste votare alcuni provvedimenti economici del governo? 

«Se ci sono le coperture, se il bilancio dello Stato non verrà squassato, perché non dovremo votare la riduzione della pressione fiscale che fa parte del nostro dna? Il punto è che non ci sono le coperture certe per fare tutto quello che ha promesso Renzi, anche per quanto riguarda il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Non si è capito come verrà usata la Cassa depositi e prestiti. Non so quanto la Ragioneria dello Stato e il ministro dell’Economia Padoan siano d’accordo sull’uso di quel margine di deficit che va dal 2,6% del Pil a 3%. Sui risparmi della spending review Cottarelli parla di 3 miliardi, Renzi di 7 miliardi. Insomma, c’è molta confusione». 

Alla fine anche su questo terreno, come sulle riforme, prevarranno gli amorosi sensi tra Renzi e Berlusconi? È pronto il «soccorso azzurro»? 

«Non esiste alcun “soccorso azzurro”. Il governo ha una sua maggioranza alla quale noi non partecipiamo. Fi resta all’opposizione ma se c’è un provvedimento buono è giusto dare un contributo per migliorarlo. Renzi ha la sua maggioranza. Spero per lui che sia solida». 

Alfano e le «sentinelle antitasse» di Ncd esultano. 

«Le sentinelle si sono addormentate sul posto di guarda in molte occasioni. Meglio che organizzino turni di guardia più efficienti».

Da - http://www.lastampa.it/2014/03/14/italia/politica/toti-berlusconi-sar-in-lista-alle-elezioni-europee-di-maggio-IlB9h0WssgqopUTDJaSv9L/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Tutti i crucci di Berlusconi, che immagina...
Inserito da: Admin - Aprile 10, 2014, 06:34:46 pm
Politica
09/04/2014

Il Cav e l’amaro viale del tramonto
Tutti i crucci di Berlusconi, che immagina le ironie dei nemici sulla “condanna” ad assistere anziani e disabili presso strutture specializzate

Amedeo La Mattina
Roma

Ora spunta l’ipotesi dei servizi sociali presso una struttura di assistenza per anziani e disabili. E già per Silvio Berlusconi è qualcosa di meglio che gli arresti domiciliari, ma l’ex Cavaliere non si fida dei magistrati di sorveglianza che domani a Milano apriranno l’«udienza» per decidere. Non si fida mai dei giudici e fino alla fine teme il peggio. Dice il capogruppo Paolo Romani: «Risulta che tra quei magistrati ce n’è una molto vicina alla Boccassini e il parere della procura è arresti domiciliari». 

E poi, anche se fosse venisse spedito ai servizi sociali, per Berlusconi non sarebbe comunque una cosa piacevole. 

L’ex premier già immagina i frizzi e i lazzi sulla «condanna» ad assistere anziani e disabili, lui che viene descritto come un anziano leader sul viale del tramonto, in questi giorni pure zoppicante e deambulante con le stampelle. Insomma un po’ disabile pure lui. Immagina pure le telecamere che immortalano il suo arrivo dai vecchietti, accompagnato dalla senatrice Maria Rosaria Rossi che nell’immaginario mediatico passa per la badante in seconda, dopo la titolare fidanzata Francesca Pascale. Immagina con orrore cosa potrebbero scrivere certi giornali che lo odiano e lo mettono sempre alla berlina. Un incubo per l’ex Cavaliere che ha sempre cercato di apparire vitale, attivo, giovanile, proiettato verso i cento e passa anni.

Ma non è solo l’immagine che ne verrebbe fuori a farlo inorridire. Di più c’è l’idea stessa dell’affido ai servizi sociali per redimersi, fare penitenza, ravvedersi di una colpa che Berlusconi non ammetterà mai neanche davanti a Dio. Lui, che si pensa statista, l’unico e vero leader dei moderati italiani, che è riuscito a far stringere la mano a Pratica di Mare ai due potenti del mondo Bush e Putin, che ha cambiato i connotati alla politica e alla televisione italiana, creando un impero industriale e ricchezza. «E’ questo il suo vero cruccio, il boccone amaro che non riesce a mandare giù», spiegano tutti quelli che ci parlano.

Ravvedersi? E di cosa? Come possono dei «funzionari dello Stato» chiedergli una cosa del genere? Allora per gli avvocati Ghedini e Coppi è meglio che domani Berlusconi se ne stia a casa a curarsi l’infiammazione al ginocchio. Se davanti ai magistrati l’ex Cavaliere cominciasse a parlare a ruota libera e dire quello che pensa veramente, sarebbe un disastro. E gli arresti domiciliari sarebbero la conclusione più drammatica per un uomo politico che non potrebbe fare campagna elettorale, condannando Forza Italia a un umiliante terzo posto dopo il Pd e 5 Stelle sotto il 20%. Sarebbe la fine politica di un partito e forse di tutto il centrodestra. Sì, perché il rischio che il centrodestra nel suo complesso scompaia c’è, serpeggia tra i protagonisti di quest’area politica e lo intravedono anche i politologi. 

Ieri, ad un convegno della fondazione Rel di Fabrizio Cicchitto proprio sulle prospettive del centrodestra, il politologo Orsina ha fatto questa ipotesi: la scomparsa del centrodestra come area politica organizzata. La scomparsa tra le rovine della carriera politica di Berlusconi, le divisioni in partiti e partitini (Fi, Ncd, Fratelli d’Italia, Lega). In sala è calato il silenzio, un brivido gelido è salito lungo la schiena di Schifani, Cicchitto (Quagliariello intanto era andato via) e di Paolo Romani, unico rappresentante del partito berlusconiano. Il moderato capogruppo al Senato di Fi, uno dei pochi che cerca il dialogo con i cugini separati di Ncd, si è passato una mano tra i capelli, ha pulito le lenti dei suoi occhiali e ha detto: «Dobbiamo pensare a una federazione, dobbiamo restare uniti perché, noi all’opposizione e voi al governo, siamo deboli, molto deboli. Renzi sta sfondando tra gli elettori di centro ma anche di centrodestra». 

DA - http://lastampa.it/2014/04/09/italia/politica/il-cav-e-lamaro-viale-del-tramonto-wiikgTuIc7xwmrECdZOx7K/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Emorragia di voti verso Grillo La paura del Cav di arrivare..
Inserito da: Admin - Maggio 01, 2014, 07:43:26 pm
Politica
29/04/2014

Emorragia di voti verso Grillo
La paura del Cav di arrivare terzo
Il consigliere politico di Berlusconi Giovanni Toti ha parlato di “sindrome G”, ovvero il pericolo rappresentato dal M5S per la democrazia italiana: “Si prepara a mandare a Strasburgo degli urlatori senza programmi, che vogliano solo distruggere”

Amedeo La Mattina
Roma

Per Giovanni Toti esiste una” sindrome G”. G come Grillo. Il consigliere politico di Berlusconi spiega che questa sindrome mette in pericolo la democrazia italiana. «E’ chiaro che il sistema politico non può funzionare se il 50% degli italiani nei sondaggi dichiara che non andrà a votare e un altro 25% si recherà alle urne per votare il Movimento 5 Stelle. Con Grillo - dice Toti - siamo passati dalla conventio ad excludendum dal potere che una volta riguardava i comuni italiani alla conventio ad (auto)excludendum di un movimento che si rifiuta in ogni modo di partecipare alla soluzione dei problemi. Ha mandato in Parlamento e si prepara a mandare a Strasburgo degli urlatori senza programmi, che vogliano solo distruggere». 

Ecco perchè a “Mattina Cinque” Berlusconi ha attaccato soprattutto Grillo paragonandolo a Hitler. «Gli italiani - ha avvertito l’ex premier - devono imparare ad avere paura di lui. Organizza la sua setta come faceva Robespierre. Grillo mi ricorda Lenin. Grillo è il prototipo di questi signori, Hitler compreso». Il leader di Forza Italia ha nel mirino tanti nemici e avversari. La Germania e la Merkel, certamente, perché la politica contro l’austerità e l’euro è un terreno elettorale fertile in Italia. E’ utile alla rimonta anche qualche buffetto a Renzi «simpatico tassatore», ma che in fondo potrebbe stare anche in Forza Italia. Altrettanto utili lo sono gli attacchi al capo dello Stato, che non gli ha concesso la grazia e avrebbe manovrato con Fini e altri per disarcionarlo da Palazzo Chigi nel 2011: pure questo, a giudizio di Berlusconi, farebbe presa sull’elettorato di centrodestra in fuga. Ma la vera bestia nera è Grillo, il terzo incomodo, il comico diventato politico con molti pensieri e tante parole che hanno caratterizzato l’era berlusconiana e che ora riempiono le piazze e le urne di 5 Stelle. Forza Italia è in affanno di consensi su questo lato e rischia di rimanere indietro, terzo tra i partiti italiani cannibalizzato da Beppe che fa opposizione dura e senza compromessi. E ciò mentre Berlusconi deve rincorrere Renzi sulle riforme costituzionali, ammettere che il giovane premier gli ricorda se stesso quando era pieno di energia e prometteva la rivoluzione liberale (mai realizzata). 

Alla fine Silvio si tiene per mano con Matteo e Beppe li infilza, dice che l’uno ha bisogno dell’altro per sopravvivere. Lasciandosi le mani libere da ogni responsabilità politica. La “Sindrome G”, appunto: quel terzo di elettori che votano per Grillo-Hitler-Lenin-Robespierre, e che considera le manovre politiche «giochi sporchi». Forse più che la “Sindrome G” si dovrebbe parlare di “Sindrome del terzo”, come la chiama il politologo Alessandro Campi: il terrore dell’ex Cavaliere rampante di finire in coda ai consensi, terzo sotto il 20%. Sarebbe la sua fine politica. 

Da - http://lastampa.it/2014/04/29/italia/politica/emorragia-di-voti-verso-grillo-la-paura-del-cav-di-arrivare-terzo-5cQK8tIFPBchfE3ShqWimJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Berlusconi e il fascino delle primarie
Inserito da: Admin - Maggio 06, 2014, 04:46:24 pm
Politica
06/05/2014 - analisi

Berlusconi e il fascino delle primarie
Il Cavaliere e la successione in FI: «Serve un leader che piaccia agli elettori»

Amedeo La Mattina
Roma

La «sindrome Grillo» terrorizza Berlusconi. L’ex Cavaliere immagina cosa potrà accadere dopo le elezioni europee se colui che vorrebbe diventare «il dittatore d’Italia» farà incetta di voti in libera uscita da Forza Italia. Se, in sostanza, il Movimento 5 Stelle dovesse fare il botto, sarebbe inevitabile «stare tutti insieme». Berlusconi lo dice a Radio Anch’io, legando questa ipotesi eclatante a quello che potrà succedere nell’economia e alla condivisione da parte di Renzi delle riforme richieste da Forza Italia. E’ chiaro però che per Silvio Berlusconi il punto vero sia il «grande pericolo» che rappresenta il comico genovese: il detonatore anti-sistema che potrebbe azionare all’indomani del 25 maggio. 

Se Grillo dovesse umiliare il partito berlusconiano e tallonare da vicino il Pd, il quadro politico cambierebbe. Si potrebbe verificare in Italia quello che sembra già scritto a Bruxelles e a Strasburgo: l’alleanza tra Socialisti e Popolari, l’union sacrée per costruire una diga contro la vandea populista e anti-europea.

Uno scenario interno e continentale apocalittico e poco augurabile, ma che Berlusconi prende in considerazione, prefigurando il ritorno in maggioranza (se non addirittura al governo), questa volta con Matteo Renzi, dopo aver sbattuto la porta in faccia a Enrico Letta. Bisognerà vedere quanto reggerà il suo partito a questa tentazione o necessità politica. Un partito certo con ancora un leader, ma avanti negli anni, ai servizi sociali e non candidabile alla premiership. Una Forza Italia che, a detta dello stesso Berlusconi, non ha un nuovo leader spendibile.

«I leader - ha ammesso questa mattina sempre a Radio Anch’io - non si allevano in batteria come i polli, devono far innamorare la gente che se li sceglie». Marina? Chissà? Il padre ha ribadito che lo ha sconsigliato sia a Marina sia a Barbara. «Sarebbe un bene - ha precisato Berlusconi - se Fi avesse disponibile un leader nuovo che fosse accettato come tale dai nostri elettori e dalla classe media italiana». In ogni caso dovrà essere legittimato dal popolo. Giovanni Toti dice che se verrà scelto dal grande capo ci sarà poco da discutere dentro il partito. Il discorso cambierebbe quando bisognerà comporre, meglio ricomporre l’alleanza di centrodestra con Ncd, Fratelli d’Italia e Lega. In quel caso la scelta del candidato comune verrà fatta con le primarie. Berlusconi ha detto di sì, ha detto che sono «assolutamente necessarie». 

Una grande apertura, ma l’aveva fatta pure quando le primarie gliele aveva chieste l’allora segretario del Pdl Angelino Alfano. Non se ne fece niente e poi, attraverso altre vicende, si arrivò alla scissione. 

Da - http://lastampa.it/2014/05/06/italia/politica/berlusconi-e-il-fascino-delle-primarie-9XM9zM8miA5lrMxMLkm78O/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alfano minaccia l’Europa “Li lasceremo andare tutti”
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2014, 10:40:53 am
Cronache
13/05/2014 - il caso

Alfano minaccia l’Europa “Li lasceremo andare tutti”
Il ministro dell’Interno: “Non ci aiutate né a raccogliere i morti né a soccorrere i vivi”

Amedeo La Mattina
ROMA

Di fronte all’ennesima ecatombe del mare, Angelino Alfano reagisce con un avvertimento affilato a quei Paesi europei che girano la testa dall’altra parte, lasciando all’Italia tutti i costi, anche umani, di Mare Nostrum. «L’Unione europea ci ha lasciati soli. L’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici. Tutti gli immigrati ai quali verrà riconosciuto il diritto d’asilo andranno in Europa dove e quando vogliono. Li lasceremo liberi di partire e raggiungere le loro mete. A buon intenditore...». Il ministro dell’Interno non chiama in causa direttamente i governi del centro e nord Europa, Germania in testa, che impediscono con veti e indifferenza di passare sotto l’egida comunitaria le competenze sull’immigrazione e sul controllo delle frontiere. 

Alfano accusa formalmente Bruxelles che se ne lava le mani e fa finta di non sapere che le coste italiane sono la frontiera sud del Vecchio Continente. Ma nella sostanza manda un messaggio durissimo a quei Paesi che sono considerati la terra promessa del fiume impetuoso che sale dall’Africa. Allora a «buon intenditore...». «Noi raccogliamo i morti e soccorriamo i vivi. Non ci aiutano a raccogliere i morti e allora si facciano carico di accogliere i vivi». E invece non fanno né l’uno né l’altro.

Viene in soccorso, solo a parole, il commissario agli Esteri Cecilia Malmstrom che di fatto dà ragione al nostro ministro dell’Interno quando chiede a «tutti gli Stati membri di dimostrare solidarietà e di discutere nel prossimo Consiglio Interni come si può contribuire ad affrontare le sfide nel Mediterraneo». Bene, commenta Alfano, perchè deve essere chiaro che l’Italia per «la stragrande maggioranza degli immigrati è solo un disperato approdo di transito». 

È uno strappo quello del responsabile del Viminale che deve pure sopportare di essere trascinato sul banco degli imputati dalla Lega e dai fratelli coltelli di Forza Italia i quali sono arrivati a chiederne la testa. Intanto Giovanni Toti twitta: «Centinaia di sbarchi ogni notte. Mantenere un immigrato clandestino costa più di una pensione minima. Ma Alfano che fa?». I candidati alle Europee di Fi Simone Furlan e Paolo Gottarelli sono andati sotto la prefettura di Bologna per contestare il governo e dire che con Mare Nostrum l’esecutivo sta facendo politiche di sinistra, favorendo l’immigrazione e spendendo risorse economiche che potrebbero essere utilizzate per i cittadini italiani. «Alfano - sostiene Furlan, ideatore dell’Esercito di Silvio - è inadeguato: dovrebbe dimettersi». Ad attaccare Alfano è anche il coordinatore siciliano di Forza Italia, il senatore Vincenzo Gibiino che parla di «fallimento dell’operazione Mare Nostrum e di incapacità del ministro dell’Interno nel gestire una situazione tanto delicata».


Siamo in piena campagna elettorale per le Europee e ognuno sfrutta qualunque cosa per attrarre consensi. Ma sulle tragedie umane, osserva Alfano, è inaccettabile la strumentalizzazione. «A chi ci attacca perché facciamo il soccorso ed evitiamo i morti, noi chiediamo, di fronte a questi altri morti, di passarsi una mano sulla coscienza». È uno scandalo, si arrabbia la portavoce di Ncd Barbara Saltamartini, che tutto venga ridotto a interessi elettorali: «Di fronte a ciò è accaduto, cosa risponde la coscienza di Giovanni Toti? Se la prende con Alfano. Vergogna! Cosa non si fa per un voto in più». Rimane il problema dell’Italia lasciata sola. Sarà uno dei cavalli di battaglia di Renzi e Alfano durante il semestre europeo a guida italiana. «Non c’è dubbio - spiega il sottosegretario Filippo Bubbico - che porremo con molta forza la questione. L’Unione europea deve dimostrare di essere una comunità e non una sommatoria di Stati, altrimenti non avrebbe senso. I sacrifici che stiamo facendo con Mare Nostrum però ci legittimano a reclamare una maggiore cooperazione e pretendere che Frontex sia un’agenzia più presente». 

Da - http://lastampa.it/2014/05/13/italia/cronache/alfano-minaccia-leuropa-li-lasceremo-andare-tutti-E973RCTKGhUsLFlFPYrntL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Yara, la fuga di notizie. Alfano si arrampica sui vetri.
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2014, 08:13:49 am
Politica
17/06/2014

Yara, la fuga di notizie è un caso
Botta e risposta Alfano-Procura
Il Procuratore Dettori: volevamo mantenere il riserbo sul fermo.
Il ministro dell’Interno: «Si chieda chi ha diffuso tutti i dettagli»

Amedeo La Mattina
Roma

Non si ricordano molti altri casi in cui un procuratore della Repubblica bacchetti il ministro dell’Interno. E’ successo oggi: il procuratore di Bergamo Francesco Dettori ha detto chiaro e tondo che il suo ufficio avrebbe voluto «mantenere il riserbo» sul fermo di Massimo Giuseppe Bossetti ritenuto l’assassino di Yara Gambisario. Anche perchè «esiste in Costituzione la presunzione di innocenza», ha precisato il titolare dell’inchiesta che si è sentito scavalcato.

«Io non ho dato alcun dettaglio», replica Alfano. Piuttosto la Procura di Bergamo «dovrebbe chiedersi chi ha inondato i mass media di una quantità infinita di informazioni e dettagli», ribatte il ministro dell’Interno, aggiungendo che «l’opinione pubblica aveva comunque diritto di sapere». «In un giorno di grandi successi occorre evitare polemiche e non sarò io ad alimentarle», dice Alfano.

«Non credo che il procuratore ce l’avesse con me, in quanto non ho dato nessun dettaglio - ribadisce il ministro - piuttosto si dovrebbe chiedere chi ha inondato i mass media di una quantità infinita di informazioni e dettagli. E certamente non è stato il governo».

Ma quello del Procuratore resta un colpo di clava in testa al responsabile del Viminale, un cortocircuito tra magistratura e potere esecutivo. Ma perchè Alfano lo ha fatto? Perché ha sentito l’impellente bisogno di anticipare quello che gli organi competenti sono autorizzati a fare? Le spiegazioni possono essere diverse e quelle dei politici sono le più velenose. Dicono che il ministro dell’Interno viva male la sua situazione, relegato in un cono d’ombra dentro il governo, schiacciato dal Moloch renziano. Non emerge come ministro e come leader del Nuovo Centrodestra. Dentro il suo partito, sostengono gli appassionati del gossip politico taglia e cuci, la sua leadership è appannata dopo il deludente risultato elettorale delle Europee. L’altro ministro Ncd, Maurizio Lupi, ancora non ha deciso se rimanere al suo posto o volare a Strasburgo per onorare i voti ricevuti come eurodeputato. Gira voce che in autunno Renzi voglia fare un «ritocchino» alla squadra di governo e il partito di Alfano potrebbe perdere un posto.

 Anche Beppe Grillo non risparmia critiche al ministro. «Alfano l’ha fatta grossa. Siamo letteralmente senza parole. È gravissimo quello che è successo», scrive il leader del Movimento 5 Stelle su Facebook. Insomma, sull’anticipazione dell’arresto si fanno tante ipotesi, forse eccessive. Magari rimane l’esigenza di visibilità da parte di un ministro che deve compensare difficoltà crescenti: non solo politiche, ma anche quelle di gestione del fenomeno migratorio che sta diventando sempre più drammatico e imbarazzante. Il problema è di tutto il governo, ma il Viminale è in prima linea in questa storia. Non basta minacciare l’Europa, anche perchè in questo momento a Bruxelles non c’è nessuno ad ascoltarci (le cariche sono tutte da rinnovare e gli altri Paesi ci guardano indifferenti). 

Da - http://www.lastampa.it/2014/06/17/italia/politica/alfano-strategie-di-resistenza-alleffettorenzi-8WdrEQKCDhCVGeMpRCogWM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Salvini “Chi prende mazzette deve essere arrestato...
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2014, 10:41:59 pm
Politica
23/06/2014 - intervista

Salvini “Chi prende mazzette deve essere arrestato. Punto e basta”
Il segretario della Lega: per il resto le guarentigie devono restare solo per quanto riguarda le attività legislative dei senatori

Amedeo La Mattina
ROMA

Matteo Salvini dice di essere d’accordo con Roberto Calderoli: l’immunità parlamentare deve valere per tutti, deputati e senatori, oppure non va riconosciuta a nessuno. «Mi sembra logico che non ci possano essere legislatori di serie A perchè siedono alla Camera e legislatori di serie B perché compongono il Senato». Ma il segretario della Lega ha più di una perplessità e precisa: l’immunità non può valere per i comportamenti illeciti commessi dai sindaci e dai consiglieri regionali durante il loro mandato di amministratori. 

Lei quindi non condivide l’emendamento che porta la firma di Calderoli e Finocchiaro e che sembra sia stata avallata dal governo? 

«Non ho letto l’emendamento che ha sollevato tanto clamore e polemiche. Chiederò delucidazioni a Calderoli, ma dico subito che se l’immunità viene estesa senza limiti non mi piace. Detto questo, in linea di principio io sono a favore a una tutela del parlamentare. Non siamo più la Lega che agita il cappio in aula. In questi 20 anni ho visto troppi nostri sindaci e assessori comunali arrestati e poi rilasciati perché è emerso che non c’era nulla a loro carico. Ma intanto sono stati rovinati e messi alla gogna e nel tritacarne mediatico».

Dunque immunità sì ma entro certi limiti. 
«Il principio è sacrosanto ma ho visto molti amministratori rovinati da magistrati che non rispondono mai dei loro errori. Per questo io sono favorevole alla responsabilità civile dei magistrati. Invece a chi ruba un solo euro gli deve essere impedito per tutta la vita di fare politica, anche di fare l’amministratore di condominio».

La Lega però è sempre stata contro l’immunità. 
«Sì è vero, la Lega è sempre stata contro l’immunità, ma l’esperienza ci deve insegnare qualcosa».

 Il problema è la magistratura? 
«I problemi in Italia sono mille ma se la magistratura non fosse ideologizzata sarebbe un conto ma a non è così. Lo scontro nella procura di Milano è terribile: il procuratore che accusa un suo pm di insabbiare è incredibile. Cosa deve pensare un cittadino comune? Comunque, per tornare all’immunità e a scanso di equivoci, io la terrei ovviamente solo per fatti riconducibile all’attività legislativa e politica del senatore che è anche sindaco o consigliere regionale. Ma se per esempio arriva il sindaco di Venezia, non può avere l’immunità per quello che ha fatto. Il modello deve essere quello che esiste a Bruxelles per gli eurodeputati. Se piglio una mazzetta devo essere arrestato, punto e basta, anche se mi mandano a Palazzo Madama». 

La Lega ha avuto un ruolo importante nella stesura degli emendamenti della riforma costituzionale, ma Renzi ha cercato disconoscere il lavoro fatto da Calderoli insieme alla presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro. Che ne dice? 

«C’è chi compra casa a sua insaputa e chi presenta emendamenti senza saperlo. Se il governo e il ministro Boschi credono veramente nel riforme vadano avanti. Se cambiano idea ogni 24 ore è un problema loro. Comunque non credo che sull’immunità passa il successo delle riforme. A noi stanno cuore i costi standard, i poteri delle Regioni e delle autonomie».

Calderoli sostiene che alla fine Berlusconi si sfilerà dalle riforme. Secondo lei come andrà a finire? 
«Fossi in Berlusconi penserei di non votare la legge elettorale sciagurata e pessima che è stata chiamata Italicum. A posto suo non farei più favori a Renzi, anche perchè lo stanno trattando come il peggiore dei delinquenti. In molti vogliono fargli fare una fine ingloriosa». 

Difende Berlusconi perché prima o poi dovrete ricostruire l’alleanza di centrodestra? 
«Non è questo il punto. Vedo che infieriscono su Berlusconi. Ritengo inutile aprire sempre nuovi processi».

Il capo dello Stato dovrebbe concedergli la grazia? 
«Non lo so, non sta a me decidere una cosa del genere, ma io ci metterei una pietra sopra e buona notte. La verità è che in Italia è arrivato il momento di fare la riforma della giustizia: spero che sia in testa all’agenda di governo. Ora si può fare perchè non c’è più l’alibi di Berlusconi». 

Da - http://lastampa.it/2014/06/23/italia/politica/salvini-chi-prende-mazzette-deve-essere-arrestato-punto-e-basta-JVtOkR4EID9vvHi6WaRSxM/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alfano: “Cambiamo l’Italicum poi dialoghiamo con Forza Italia
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2014, 11:14:33 am
Politica
26/07/2014

Alfano: “Cambiamo l’Italicum poi dialoghiamo con Forza Italia”
Restano i nervi tesi e musi lunghi nella “gamba destra” del governo
Oggi a Roma la prima assemblea nazionale del Nuovo centrodestra

Amedeo La Mattina
ROMA

Ci saranno molti musi lunghi alla Sala Novecento dell’Eur. L’entusiasmo e le risate delle prime uscite pubbliche del Nuovo Centrodestra hanno lasciato il posto a sguardi in cagnesco e divisioni su come e se riprendere il rapporto con Berlusconi. Bisognerà vedere se oggi all’Assemblea nazionale di Ncd (400 i delegati) questi sentimenti e contrasti emergeranno plasticamente oppure si farà finta di nulla. Una cosa però è sicura ed è la sfida che verrà lanciata a Berlusconi sulla riforma elettorale (l’Italicum e le soglie di sbarramento dovranno cambiare se si vuole ricostruire il centrodestra). 

Il capofila della tendenza Silvio è Lupi, insieme a De Girolamo e Saltamartini. I maligni dicono che il ministro per le Infrastrutture vuole la rimpatriata con i fratelli separati perché punta a candidarsi a sindaco di Milano, tra due anni, sostenuto da tutto il centrodestra. Più semplicemente Lupi ritiene che solo nel campo alternativo a Renzi potrà nascere qualcosa di nuovo nei prossimi mesi e anni. A cominciare dalle prossime regionali di novembre in Calabria ed Emilia Romagna. 

Ecco, proprio sulle prospettive di alleanze a livello locale si è verificato un incidente con il coordinatore del partito Quagliariello l’altra sera all’assemblea dei deputati. L’ex ministro delle Riforme stava rispondendo a una domanda dell’onorevole Raffaele Calabrò che chiedeva delucidazioni proprio sulle alleanze alle regionali e alle comunali. Quagliariello ha spiegato che saranno prevalentemente alternative alla sinistra ma si potranno verificare «casi eccezionali» in cui si renderà necessaria un’intesa con il Pd: come del resto è da considerare eccezionale la maggioranza di governo a Roma. Lupi è arrivato alla fine della riunione e qualcuno gli ha riferito che stava passando la linea delle alleanze a geometria variabile, scartando fin da adesso i recupero dei rapporti sistematici con Forza Italia. «Se le cose stanno così - ha detto il ministro - allora significa che sono in minoranza». 

Si era pure sparsa la voce che Lupi non sarebbe andato all’Assemblea nazione. Invece ci sarà. C’è stato un chiarimento con Quagliariello: l’obiettivo per tutti rimanere la rifondazione del centrodestra, partendo però dalla Costituente Popolare con l’Udc di Casini e Cesa, i Popolari per l’Italia di Mario Mauro e un pezzo di Scelta civica. Presto verranno formati i gruppi parlamentari unici con queste forze politiche (95 tra deputati e senatori) che faranno sentire la propria voce nella maggioranza. 

A tenere unite le varie anime di Ncd è Angelino Alfano: non ci sarà il ritorno all’ovile e nemmeno una federazione con Fi. «Non ci faremo dividere, non si faremo uccidere da nessuno», dice il ministro dell’Interno che oggi metterà a fuoco il profilo che dovrà avere la Costituente Popolare. Maggiore incidenza su alcune battaglie (alleggerimento del fisco per famiglia, lotta alla burocrazia, maggiore impegno per crescita, riforma della giustizia». Rivendicherà quello che è stato fatto dal governo grazie alla presenza di Ncd e la necessità di portare a casa la riforma costituzionale. Dunque nelle intenzioni di Alfano c’è un maggiore protagonismo nella maggioranza e nel governo perchè è l’unico modo per crescere di visibilità e identità. Ma il punto centrale è la riforma elettorale. E questa è la cartina di tornasole per il dialogo con Berlusconi. La soglia di sbarramento deve essere unica (4%) per tutti i partiti, coalizzati e non. 

Ma le ambiguità dentro Ncd non sono risolte. Gli «antiberlusconiani» sostengono di sì. «All’assemblea diremo - spiega Formigoni - che siamo un partito autonomo, che andiamo per la nostra strada perché la vecchia casa delle libertà è una casa diroccata». La pensano così Quagliariello, Lorenzin, Cicchitto e lo stesso Alfano che però si tiene formalmente sopra le parti. Lupi, De Girolamo e Saltamartini non sono d’accordo e oggi qualcosa diranno. 

Da - http://www.lastampa.it/2014/07/26/italia/politica/alfano-cambiamo-litalicum-poi-dialoghiamo-con-forza-italia-actG7xZLwKQ1IXcyyuXkQN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Lettera del premier ai senatori: da voi dipende il futuro
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2014, 11:10:52 pm
Politica
29/07/2014
Italicum, tensione Renzi-Berlusconi
Lettera del premier ai senatori: da voi dipende il futuro

Amedeo La Mattina
ROMA

Sherpa (Verdini e Guerini) al lavoro sulla legge elettorale mentre i senatori della maggioranza, che oggi riprendono a votare la riforma, hanno trovato nella loro casella postale una lettera di Renzi. Li ringrazia per l’impegno che li attende con votazioni notturne per superare l’ostruzionismo degli emendamenti (migliaia): tra questi anche «emendamenti burla che costringono a perdere tempo». Secondo il premier è «triste e umiliante trascorrere il vostro tempo prezioso a discutere argomenti assurdi, come il cambio del nome della Camera in Gilda dei deputati». Ma bisogna andare avanti per rendere la politica e l’Italia credibile. Ma poi c’è un passaggio chiave che non è piaciuto a Berlusconi, quello in cui Renzi assicura che verrà ridiscusso l’Italicum sulle preferenze, le soglie e il voto di genere. 

Renzi blandisce i senatori della maggioranza e parla anche ai senatori delle opposizioni. È un modo per svelenire il clima e ammorbidire la minoranza interna del Pd. Tende una mano agli alleati di Ncd e Udc ma soprattutto a Sel che è firmataria della montagna di emendamenti: è questo il problema principale. Da qualche giorno si aperto un canale di dialogo tra Renzi, il ministro Boschi e il capofila degli oppositori del Pd Chiti che potrebbe accettare di diminuire il numero degli emendamenti. Ma resta lo scoglio di Sel e M5S. Il governo accetta di arrivare alle dichiarazioni di voto entro l’8 agosto e rinviare il voto finale al 2 settembre. «Vogliamo portare a casa le riforme - sottolinea Renzi - e non segnare il punto, ma loro devono ritirare gli emendamenti. Se vogliono una settimana in più gliela diamo. Se vogliono bloccare tutto, diciamo no. Gli ostruzionisti si sono messi in un cul de sac: hanno tutta Italia contro». Parallelamente prosegue l’ammorbidimento sull’Italicum con quel passaggio della lettera di Renzi che tuttavia non sembra abbia fatto recedere gli oppositori più duri, i quali prima vogliono vedere cammello. «Non c’è nessuna trattativa in corso, i nostri emendamenti restano», dice Loredana De Petris, capogruppo Sel. Le minoranze Pd sostengono invece che le parole di Renzi sono chiare e positive. Applausi da parte di Ncd. Quagliariello vede nella mossa del premier un’iniziativa politica che va incontro alle richieste di Ncd. Eppure non sembra aver sortito granché la missiva del premier (almeno finora). Un risultato lo ha avuto sicuramente: irritare molto il Cavaliere, che sarebbe dovuto venire oggi a Roma per incontrare il contraente del Patto del Nazareno. E in quel patto le preferenze non ci sono. 

C’erano le soglie di sbarramento ma non era state quantificate e allora forse si potranno abbassare. È successo però che in questi giorni Alfano non ha raccolto l’appello di Berlusconi a riprendere il dialogo per la ricostruzione del centrosinistra: la mano tesa dell’ex premier è stata morsa e il proprietario della mano si è offeso. Con la conseguenza di un forte irrigidimento. Sulle preferenze il leader di Fi non intendere cedere (con le liste bloccate può decidere chi candidare). 

 Berlusconi, indisposto per un’influenza virale, è rimasto bloccato ad Arcore. Intanto si è rimesso in moto Verdini. Avrebbe sentito al telefono il vicesegretario del Pd Guerini. Alcuni rumor dicono che una telefonata ci sia stata tra lo stesso Renzi e Berlusconi, il quale di preferenze non vuol sentir parlare. «D’estate si parla di sogliole e non di soglie», ironizza Giovanni Toti. Il capogruppo Paolo Romani ricorda che le preferenze non fanno parte del Patto del Nazareno: «Piacciono ai professionisti della politica». Sul resto si può discutere, ma ogni cambiamento dell’Italicum per Romani deve passare dalla scrivania del Cavaliere. 

Da  - http://lastampa.it/2014/07/29/italia/politica/lettera-di-renzi-ai-senatori-da-voi-dipende-il-futuro-Wb0GM3gSjqQLATdvTMuBpJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Forza Italia nel caos, il Patto del Nazareno in bilico
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2014, 05:24:07 pm
Forza Italia nel caos, il Patto del Nazareno in bilico
Berlusconi non vuole rinunciare all’accordo con Renzi, ma ora i gruppi parlamentari sono incontrollabili
25/11/2014

Amedeo La Mattina
Roma

Il terremoto delle regionali sta facendo molti cadaveri politici a destra, in Forza Italia innanzitutto. Presto una croce sopra potrebbe essere messa anche sul Patto del Nazareno, su quell’accordo che sembrava l’architrave del rapporto privilegiato tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ma adesso rischia di crollare a causa del sisma. Il Cavaliere, dilaniato dai morsi di Matteo Salvini e dal buon risultato in Calabria del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano (ha superato lo sbarramento dell’8%), sostiene che il Patto per le riforme reggerà. Certo, ci sarà un indurimento, una trattativa a schiena dritta, il no al premio di maggioranza alla lista, ma il leader di Fi non vuole arroccarsi su un Aventino. In cima ai suoi pensieri non è tanto il merito delle riforme, quanto ciò che vi ruota attorno, a cominciare dal Quirinale, dalla scelta del prossimo presidente della Repubblica. Non può permettersi di rimare fuori dal big game politico-istituzionale che si giocherà a gennaio. È questo il concetto che l’ex premier ripete come un mantra ai suoi collaboratori. 

Quindi barra ferma sul Nazareno, ma solo sulla carta perché il voto di domenica scorsa ha avuto l’effetto di una bomba esplosa dentro il partito. 

Non è un caso che il premier, sentendo una forte puzza di bruciato, abbia subito messo le mani avanti. «Se fossi in Fi considererei che il percorso delle riforme paga anche in termini elettorali e dà segnali di fiducia al Paese. Ma io non sono preoccupato che qualcuno si tiri indietro perché, anche se lo fanno, noi andiamo avanti comunque per cambiare l’Italia. Chi si impegna in modo coerente vince, mentre per chi tentenna come Fi e M5S non è un grande risultato».

Per la verità non si è visto questo grande risultato elettorale di Berlusconi nonostante sia andato in diverse occasioni in soccorso di Renzi. Anzi, la confusione di messaggi al suo elettorato lo sta penalizzando molto. Lo stesso capogruppo di Fi Renato Brunetta è chiaro in tal senso: «Il primo punto di revisione che dobbiamo fare riguarda il Patto del Nazareno e la differenza tra la leale disposizione del presidente Berlusconi e quella che si sta sempre più dimostrando l’intenzione egemonica del presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi».

Che il Patto del Nazareno sia morto è la sensazione che hanno in molti, anche perché sarà difficile per Berlusconi controllare i suoi gruppi parlamentari. Sarà difficile tenere uniti in particolare i suoi senatori, una parte dei quali da tempo manifesta totale contrarietà alle effusioni politiche tra toscani, tra Denis Verdini e Luca Lotti, braccio destro di Renzi.

Augusto Minzolini, che è sempre stato una delle spie di questo malumore e non può essere accusato di tradimento, chiede a Berlusconi di cambiare linea politica e gruppo dirigente perché «in politica si ha una ragione d’essere non per i patti stipulati, ma per quelli che intercorrono con i propri elettori».

Renzi ora non può che attendere di capire cosa accadrà dentro Fi. Berlusconi è seriamente sotto scacco che potrebbe rivelarsi matto. Salvini ha già messo in cassaforte una buona quota di azioni per la sua Opa sul centrodestra e tenta di imporsi come la vera e unica alternativa a Renzi. «Non si può soccorrere il governo – avverte il capo leghista - appoggiando pseudo riforme che sono un danno per il Paese». Alfano accende l’allarme rosso e ricorda al Cavaliere che Salvini fa bene solo a se stesso, divora voti ma condanna il centrodestra alla sconfitta. Qualcosa del genere lo dice pure Brunetta quando parla di «Matteo contro Matteo, un pericolo per la democrazia perché Salvini leader consegnerebbe la vittoria a Renzi».

Insomma il Patto del Nazareno sta per essere archiviato. Ne è convinto anche Gaetano Quagliariello: «È pressoché impossibile che rimanga in piedi. Berlusconi non controlla più niente, figuriamoci i suoi gruppi parlamentari».

Da - http://www.lastampa.it/2014/11/25/italia/politica/forza-italia-nel-caos-il-patto-del-nazareno-in-bilico-6znhdedpcRjxyZA8UwDiWO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Col voto al Senato, nasce il Partito della Nazione
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2015, 10:49:33 am
Col voto al Senato, nasce il Partito della Nazione
Comprende il Pd renziano, i centristi di Area popolare (Ncd-Udc) e il grosso di Forza Italia. Un partitone che potrebbe definitivamente trasformarsi in una nuova maggioranza se dovesse tenere alla prova massima del Quirinale, eleggendo un candidato comune

21/01/2015
Amedeo La Mattina

Il voto di stamane al Senato sulla legge elettorale mette il timbro politica sul patto del Nazareno che tiene sull’asticella dei 170 voti. Respinti i due insidiosi emendamenti di Gotor e della sinistra PD, mentre passa l’emendamento di Esposito che conferma la linea Renzi sul voto alla lista e i capolista bloccati. In questo modo sono saltati 35 mila emendati dell’opposizione, quasi tutti presentati dal senatore Calderoli che, ironia della sorte, ha annunciato questa strage di emendamenti proprio mentre presiedeva l’aula del Senato.

Con il voto di oggi di fatto nasce il Partito della Nazione che comprende il Pd renziano, i centristi di Area popolare (Ncd-Udc) e il grosso di Forza Italia. Un partitone che potrebbe definitivamente trasformarsi in una nuova maggioranza se dovesse tenere alla prova massima del Quirinale, eleggendo un candidato comune (i papabili sono Amato, Finocchiaro e Mattarella). “Non è escluso un cambio di scenario Politico anche nel centrodestra - dice Lorenzo Cesa dell’Udc uscendo dal Senato - che in prospettiva potrebbe unirsi dentro la stessa lista come avviene in Francia con l’Ump”. Tutto è in rapida trasformazione con possibili scomposizione a sinistra e ricomposizione al centro. C’è una fortissima pressione a livello europeo affinché i vari partiti di centrodestra si rimettono insieme e governino questo passaggio anche economico”.

Intanto avanza il Partito della Nazione di Renzi e Berlusconi che adesso, prima di pensare a nuovi governi per arrivare fino alla fine della legislatura, troverà il battesimo di fuoco del Quirinale.

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/21/italia/politica/col-voto-al-senato-nasce-il-partito-della-nazione-nVZbMSnIzgIp79t9mtwQ8M/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Mattarella, l’ex Dc tutto d’un pezzo
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2015, 05:05:10 pm
Mattarella, l’ex Dc tutto d’un pezzo
Più volte ministro, fu vicepremier di D’Alema. Non ha mai aderito ufficialmente al Pd, ma tutti i suoi amici lo hanno fatto. Definì l’ingresso di FI nel Ppe «un incubo irrazionale»
Sergio Mattarella è nato a Palermo nel 1941

29/01/2015
Amedeo La Mattina
Roma

Se venisse eletto, Sergio Mattarella sarebbe il primo presidente della Repubblica siciliano. Nato a Palermo nel 1941, il candidato al Quirinale da Matteo Renzi è una persona tutta d’un pezzo. Cattolico, riservato, prudente, capace però di battute taglienti ma pronunciate sempre con garbo e sottovoce. Quando prende una decisione è difficile fargli cambiare idea. Nel 1990 si dimise da ministro della Pubblica Istruzione perchè Andreotti aveva imposto la fiducia sulla legge Mammì, il cadeau di Craxi alle reti tv di Berlusconi: Mattarella fu il più convinto sostenitore della rottura, a differenza degli altri quattro ministri della sinistra Dc. Se lo ricorda bene Calogero Mannino, anche lui allora dimissionario ma con meno convinzione, che qualche giorno fa alla Camera aveva detto: «Renzi, se è intelligente e lo è, dovrebbe puntare su Sergio: ne apprezzerà molto i suoi silenzi».

Mattarella è stato parlamentare dal 1983 al 2008, attraversando le epoche politiche della Dc, poi quella del Ppi e della Margherita. Oggi è giudice costituzionale di nomina parlamentare. Non mette piede nel Transatlantico di Montecitorio e in una sede di partito da sette anni. Non ha mai aderito ufficialmente al Pd, ma tutti i suoi amici di partito ed ex Dc lo hanno fatto. E’ stato ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo De Mita, della Difesa nel governo D’Alema (fu lui ad abolire la naja, il servizio militare obbligatorio). Nel 1993 ha dato il nome al primo sistema elettorale maggioritario (ribattezzato dal prof. Sartori “Mattarellum”). Ha partecipato alla fondazione del Partito Popolari italiano di cui è stato capogruppo e fiero avversario della candidatura di Rocco Buttiglione alla segretaria del partito, in sostituzione del dimissionario Martinazzoli. Ha sempre avversato la deriva a destra degli ex Dc e quando Forza Italia chiese l’ingresso nel Ppe disse «è un incubo irrazionale».

Mattarella è stato segnato profondamente dalla tragedia del fratello Piersanti, presidente della Regione siciliana, ucciso dalla mafia nel 1980. Il fratello maggiore morì tra le sue braccia: in quel momento decise di continuare la storia politica di Piesanti che non si era piegato a Cosa Nostra. Aderisce alla Dc seguendo Zaccagnini e ammirando Moro. Si lega a De Mita che lo manda in Sicilia per togliere la Dc dalle mani degli andreottiani Lima e Ciancimino. Per tagliare le unghie degli appalti mafiosi e la commistione mafia-politica, scelse un giovane docente universitario, Leoluca Orlando, uno dei principali collaboratori di Piersanti. Ha attraversato Tangentopoli e il crollo della Dc intonso: gli imputarono alcuni buoni di benzina che gli avrebbe regalato un costruttore siciliano per la campagna elettorale, ma ne uscì pulito con l’assoluzione «il fatto non sussiste». 

Da - http://www.lastampa.it/2015/01/29/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2015/mattarella-lex-dc-tutto-dun-pezzo-3KRMcprTqmmw1xd2420rzJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Ultimatum di Berlusconi a Fitto: una settimana di tempo per..
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2015, 08:02:07 am
Ultimatum di Berlusconi a Fitto: una settimana di tempo per riallinearsi o è fuori dal partito
Il leader di Forza Italia si assume tutta responsabilità del nuovo corso di opposizione a 360 gradi. E assicura: “Non consegnerò il centrodestra alla Lega”

11/02/2015
Amedeo La Mattina
Roma

Verdini seduto come un gattone in ultima fila. Pochi i suoi parlamentari amici presenti all’assemblea di Forza Italia. Gli amici di Fitto invece assenti («abbiamo altro da fare..., dicono mentre si aggirano per il Transatlantico di Montecitorio»). Del resto Berlusconi con lui è molto chiaro: ha ancora una settimana di tempo per allinearsi o è fuori dal partito. Il Cav spiega poi che la piroetta sul Patto del Nazareno dopo oltre un anno di trasfusioni di sangue a Renzi sulle riforme e non solo. Il Cav arriva nella saletta dei gruppi alla Camera e cerca di convincere i presenti che la rottura l’ha voluta il premier, «il dittatorello fiorentino», che ha tradito con la candidatura di Mattarella al Quirinale. C’è scetticismo in sala, soprattutto sul pendolo tra Matteo Renzi a Matteo Salvini. Il leader di Fi lo sa che il problema è la Lega, l’alleanza che potrebbe schiacciare il partito su un Carroccio con il vento in poppa. E infatti Berlusconi dedica all’argomento gran parte del suo intervento.

«Non consegneremo le chiavi del centrodestra a Salvini - dice l’ex premier - anche se la Lega è un importante alleato e spero possa esserlo anche per il futuro». Non accetterà i diktat di Salvini sulle alleanze: se bisogna camminare insieme a Ncd in Campania per le regionali, si farà. Anche perchè in quella Regione senza i voti di Alfano l’unico governatore rimasto al Cav, Stefano Caldoro, è destinato a perdere, consentendo al Pd di fare quasi cappotto. Resterebbero solo due Regioni fuori dal bottino Dem, la Lombardia e il Veneto, dove governa la Lega. Fi fuori da tutto se perde anche sotto il Vesuvio. Allora Berlusconi avverte Salvini che non può lanciare diktat: «Non li accettiamo né sui nomi né sugli alleati, né in Campania».

Berlusconi si assume tutta responsabilità del nuovo corso di opposizione a 360 gradi. Dice di avere creduto al dialogo con Renzi per perseguire un «risultato nobile», quello delle riforme. «Ma oggi si apre una fase nuova». E i sondaggi della Ghisleri (Euromedia) cominciano a dare una piccola speranza al Cav. Decimali, eppur si muove l’asticella degli azzurri: l’elettorato azzurro apprezza la rottura del Patto del Nazareno. Le percentuali sono lontanissimi dai fasti sopra il 30%. Fi, nel migliore dei casi, è poco sopra o appaiata alla Lega. Ora però Berlusconi promette una grande rimonta, come tante altre volte nel passato. E altre in effetti c’è riuscito. Ce la farà anche adesso alla soglia degli 80 anni e con un partito in ginocchio, diviso e sbranato dalle guerre intestine? 

Lui dice che si può fare anche questa volta e la nuova grande marcia inizierà il 9 marzo quando finirà il servizio sociale. «Dal 9 marzo sarò di nuovo pienamente in campo: si apre una fase nuova in cui tutti devono e possono partecipare». Un’ultima stoccata per Raffaele Fitto: «Se deciderà di correre da solo rischia l’1 per cento di consensi». E un ultimatum: ha ancora una settimana di tempo per allinearsi o è fuori dal partito. 

Da - http://www.lastampa.it/2015/02/11/italia/politica/berlusconi-non-consegner-il-centrodestra-a-salvini-b5HjxOo9YFUMGkNDAyXXeP/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La partita vera si giocherà tra Salvini, Meloni e Berlusconi
Inserito da: Arlecchino - Novembre 11, 2015, 06:16:54 pm
I sondaggi bocciano l’ipotesi del “papa straniero” come leader del centrodestra
La partita vera si giocherà tra Salvini, Meloni e Berlusconi

11/11/2015
Amedeo La Mattina
ROMA

L’unica cosa certa è che nel centrodestra non ci sia spazio per un «Papa straniero», come invece auspica Berlusconi. Ovvero per un personaggio estraneo ai partiti, che salti fuori dalla società civile e si metta a capo di questo schieramento. Per essere più chiari, i sondaggisti escludono che uno come Diego Della Valle o Corrado Passera possa guadagnare un ruolo di leadership. Stesso discorso per i governatori Maroni e Zaia. Dice Roberto Weber di Ixè: «Maroni è datato e Zaia, pur bravo e moderno, rimane un leader regionale». Nicola Piepoli ha testato alcune volte l’ex ad di Intesa-San Paolo ed «è irrilevante in termini di consenso». «Vale pure per Della Valle: fuori concorso. Sono personalità virtuali». Meno apocalittico è invece Antonio Noto (Ipr Marketing). «Sono leader potenziali, attorno a loro tutto è da costruire. Della Valle, tirato dalla giacchetta da pezzi di ex Forza Italia, è ancora percepito come un imprenditore puro, mentre Passera tra qualche anno potrebbe venir fuori, ma non certo alla testa di questo centrodestra oggi più spostato su posizioni radicali espresse da Salvini e Meloni». 

Secondo Piepoli c’è poco da girarci intorno: in questo versante politico tutto il gioco è nelle mani di Berlusconi e Salvini, con quest’ultimo in prima fila. «È vero che il capo leghista non è in grado di sfondare tra i moderati e al Sud, ma oggi il nostro indicatore di fiducia lo dà al 26%, in crescita di un punto, contro il 15% del Cavaliere». 

E Giorgia Meloni? Non è messa per niente male. Ha avuto una crescita costante nell’ultimo anno sia come partito (Fratelli d’Italia) sia personale. Addirittura scavalca Berlusconi secondo i dati di novembre dell’Istituto Demopolis guidato da Pietro Vento: la fiducia degli italiani nei leader di centrodestra vede al primo posto Salvini con il 31%, poi Meloni al 23%, infine Berlusconi al 20%. Nei sondaggi di Antonio Noto il segretario del Carroccio rimane in testa tra gli elettori di centrodestra (54%), staccando di molte punti l’ex premier (21%) e la leader di Fdi (18%). 

Si tratta di fotografie scattate in questo momento, magari influenzate dalla manifestazione leghista di Bologna. Mancano ancora due anni alle elezioni politiche, prima che si definiscano i rapporti di forza e le candidature alla premiership. E non sempre i sondaggi hanno centrato i veri umori degli elettori che si trasformano in voti veri nelle urne. Berlusconi sostiene di essere rimasto indietro perché è stato costretto per tre anni al silenzio e ai servizi sociali. È convinto che adesso il suo ritorno in pista porterà Forza Italia al 20% (oggi Weber la inchioda al 9%) e anche la fiducia sulla sua persona schizzerà in alto. Non pensa però che possa essere lui il frontman. Si vuole ritagliare il ruolo del padre nobile ancora capace di tenere insieme il centrodestra. «Comunque senza di me e Forza Italia - ripete sempre - Salvini e Meloni rappresenterebbero solo la Destra». In più, aggiunge Noto, il punto debole di Salvini è il Sud: «Per quanto possa fare, rimane percepito come il leghista anti-meridionale». 

Da - http://www.lastampa.it/2015/11/11/italia/politica/i-sondaggi-del-centrodestra-bocciano-la-suggestione-del-papa-straniero-S0QV1iJIPabZ9OrRP5YzKN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Confalonieri su Renzi: “È bravo, non intralcia i...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 16, 2016, 05:36:44 pm
Confalonieri su Renzi: “È bravo, non intralcia i protagonisti dell’economia”
Il presidente di Mediaset sulla fusione tra Repubblica, Stampa, Secolo XIX: «Dovrebbe essere nulla».
Elkann: operazione in accordo con tutte le autorità


ANSA
15/04/2016
Amedeo La Mattina

All’ambasciata britannica il presidente di Mediaset Felice Confalonieri parla di tutto. Anche di Silvio Berlusconi. Punge la Rai, critica la fusione tra il Gruppo editoriale l’Espresso e la Itedi (editrice della Stampa e del Secolo XIX), approva il tentativo di scalata della Rcs da parte di Urbano Cairo e giudica Matteo Renzi un buon premier. «È bravo, sta facendo bene: di fronte a tutte queste operazioni, compresa la nostra con Vivendi lascia fare, non intralcia i protagonisti dell’economia».

Confalonieri ha appena finito di presentare, insieme all’ambasciatore britannico, Christopher Prentice, la settimana di programmazione dedicata a William Shakespeare sul canale tematico Iris (dal 17 al 23 aprile) a 400 anni dalla scomparsa del più noto drammaturgo al mondo. Spiega che è un tipo di operazione che il servizio pubblico della Rai non fa più («l’ultima volta è stato fatto da Enzo Siciliano negli anni Novanta» e che con Iris può arrivare a 300-400 mila persone. «E’ un modo di fare cultura e di gettare semi in una certa opinione pubblica. È un bene coltivare cittadini più colti e migliori». Marco Paolini (direttore del palinsesto Mediaset) e Marco Costa (direttore Iris) spiegano che la programmazione shakespeariana è un «evento straordinario, unico in Europa». Poi l’attore Francesco Pannofino recita alcuni passi di Shakespeare. Ma il mattatore della mattinata è Confalonieri. 

Si ferma a parlare con vari giornalisti, attorno a lui si formano diversi capannelli, disquisisce di opera, teatro e di Arthur Rubinstein, scherza con chi gli fa notare che sarebbe un ottimo critico musicale («non credo, ma vi prometto che a 90 anni farò un concerto al pianoforte di Chopin e Beethoven»). Non parla dell’alleanza Mediaset-Vivendi, ma poi atterra sulle strategie industriali nel settore editoriale. Secondo Confalonieri con la fusione tra Repubblica, Stampa, Secolo XIX e quotidiani locali Finegil il nuovo gruppo «va al 23% del mercato, quindi il contratto dovrebbe essere nullo». «Non si tratta di una questione di antitrust, come per Mondadori e Rizzoli, qui è la legge dell’editoria che fissa un tetto del 20% del mercato come tirature, ma non ha detto niente nessuno, c’è la libertà di stampa...» ha aggiunto Confalonieri. Ne ha mai parlato con Carlo De Benedetti? «Non ci parlo», è stata la risposta del presidente dei Mediaset. 

 

Il presidente di Exor e Fca, John Elkann, a distanza replica: «Non commento. Abbiamo annunciato l’intenzione di avviare la fusione in accordo con tutte le autorità. Il processo ha la durata di un anno». Viene comunque fatto sapere che saranno firmati entro la fine di giugno gli accordi definitivi tra Repubblica e Stampa: dopo la sigla, l’operazione sarà notificata alle Autorità e in quel momento le testate del nuovo gruppo non supereranno la soglia del 20% della tiratura nazionale. 

Confalonieri si sofferma pure sull’Opa di Urbano Cairo su Rcs. Dice che «è una buona cosa. Ho un’ottima considerazione di lui: è un imprenditore e ha una bella esperienza. Nel suo track record c’è anche che ha messo a posto una tv che andava maluccio. Sa fare l’editore ed è indipendente, anche se ultimamente è andato un po’ a sinistra con i suoi programmi». In ogni caso, secondo Confalonieri, Cairo in Rcs «può fare un eccellente lavoro». «Glielo auguro. Inoltre è giovane abbastanza per vedere la tecnologia applicata all’editoria. Credo sia una buona cosa». 

Durante e dopo il buffet gli facciamo alcune domande su Renzi, Berlusconi e la scomparsa di Casaleggio. Confalonieri, prima di salutare l’ambasciatore Prentice al quale chiede lumi su come andrà a finire il referendum su Brexit, riconosce che il premier è «bravo, lascia fare». È quello che una volta diceva pure il suo amico Berlusconi, che oggi è all’opposizione ma si è allontanato dalla politica. «Lo hanno costretto (i magistrati ndr) ad allontanarsi, ma lui c’è, è uno che non molla facilmente, bisogna vedere cosa fanno gli altri attori della politica». Quanto alla scomparsa di Casaleggio, il presidente Mediaset dice di non averlo mai conosciuto. «Mi sembrava una persona particolare, ma di spessore. Per i 5 Stelle è una grande perdita. Vedremo l’effetto che avrà questa perdita».
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/04/15/economia/confalonieri-su-renzi-bravo-non-intralcia-i-protagonisti-delleconomia-7kj5MljoEd3xM4OLlyLRHK/pagina.html



Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Penati: “Troppi innocenti in carcere. Se il magistrato...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 26, 2016, 09:41:45 am
Penati: “Troppi innocenti in carcere. Se il magistrato sbaglia, deve pagare”
Parla l’ex presidente della Provincia di Milano, assolto dopo 4 anni e mezzo d’indagine: “Il pm che mi rovinò la vita sta per essere promosso. Nel Pd ambiguità giustizialiste”

ANSA
Penati era il braccio destro di Pierluigi Bersani ai vertici del Pd

25/04/2016
Amedeo La Mattina
Roma

«Aspetti che sto guidando: in macchina non posso godere troppo per i dati che mi sta dando. Tra mezz’ora scendo dalla macchina e parliamo: ho tante cose da dire». Mezz’ora dopo eccolo che si sfoga Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, nonché braccio destro di Pierluigi Bersani ai vertici del Pd, assolto nel dicembre 2015 da tutte le imputazioni, «perché il fatto non sussiste». Dopo quattro anni e mezzo di indagine e tre di processo (difeso dall’avvocato Matteo Calori) sono crollate le accuse dell’inchiesta della procura di Monza sul «Sistema Sesto». Ora Penati insegna italiano ai migranti minorenni della comunità S. Francesco di Milano. «Tra un anno vado in pensione, resto come volontario». 

Che ne pensa di questi dati che La Stampa ha pubblicato? 
«Non li conoscevo, ma non mi stupiscono. Immaginavo che la situazione fosse questa. Ho passato quasi cinque anni dentro un incubo. Tutto è cominciato il 20 luglio del 2011 quando i carabinieri bussano alla mia porta. Vengo a conoscenza delle indagini a mio carico solo in quel momento. Venni definito dalla procura di Monza “delinquente abituale”. Quando lo vidi scritto in prima pagina sul Corriere della Sera non potevo crederci. Ma lei lo sa come si può sentire una persona onesta? E sa perché io lo sarei stato?».

Ce lo racconti. 
«Con un grande atto di scorrettezza, la procura mi tese una trappola: aveva mandato l’imprenditore Pasini con un registratore nascosto per incastrami. Io allora ero vicepresidente di minoranza al Consiglio regionale della Lombardia. Avevo fretta di rientrare in aula e ci mettemmo a passeggiare sul marciapiede avanti e indietro velocemente. La registrazione fallì e la procura stabilì che ero “delinquente abituale” perchè sarei riuscito a impedire la registrazione. La conclusione è stata che non sono stati trovati i soldi che cercavano nel mio conto corrente e la mia documentazione, come hanno stabilito i giudici, ha smontato la tesi dell’accusa. Io, grazie a questi giudici, oggi posso dire di avere fiducia nella giustizia: il problema sono certi procuratori. Per questo sono favorevole alla separazione della carriere.».
Lei però in carcere non c’è stato. 

«Sì, grazie al gip che ha negato l’arresto alla procura. C’è un eccesso di carcerazione preventiva e una totale deresponsabilizzazione dei magistrati che sbagliano. Perché un chirurgo che sbaglia paga e un magistrato no? In magistratura chi sbaglia non solo non viene punito ma fa carriera. È il caso del mio accusatore, il procuratore aggiunto di Monza Walter Mapelli, che è in procinto di diventare capo della procura di Bergamo».

Renzi ha ragione nel dire che abbiamo vissuto una barbarie giustizialista? 
«Sarei più cauto e lascio a lui la parola barbarie, ma giustizialismo sì. Renzi ha ragione: un’accusa equivale a una condanna. Ma è che la giustizia viene sempre intestata ai pm: sono loro che fanno notizia grazie all’uso dei media e dei giornalisti».

E Davigo? 
«È una persona di spessore e valore, ma quello che mi stupisce non è quello che ha detto, lo ha sempre detto: mi stupisce che sia stato eletto al vertice dell’Anm. Non è più l’illustre magistrato ma il rappresentante di una categoria».

È ripartito l’attacco alla politica, come qualcuno sostiene? 
«C’è una parte della politica che utilizza una certa magistratura contro la maggioranza, come ai tempi di Mani pulite. Oggi sono soprattutto i 5 Stelle a cavalcare le inchieste. La politica è debole. Renzi sta reagendo bene, dicendo che bisogna rispettare l’autonomia della politica. Ma dentro il Pd c’è ancora ambiguità. Per esempio quando sento il capolista a Milano Maiorino dire che Davigo è stato sopra le righe ma non bisogna prendersela con lui, basta che non si rubi. Che vuol dire? ... Che non si vuole dispiacere il populismo giustizialista».

 Come ci sente ad essere definito «delinquente» e poi assolto da tutto? 
«Quando sei assolto una gioia infinita, ma quando sei dentro al tunnel pensi a cose strane. Guardi io non ho pensato mai al suicidio, ma sono arrivato a capire perfettamente le ragioni di chi si è tolto la vita».

Anche il suo Pd lo condannò e allora segretario era Bersani. 
«Il Pd mi condannò, mi espulse sulla base di un avviso di garanzia e si costituì parte civile. Poi si ritirò dal processo quando cominciò a capire che ero pulito. Bersani era il bersaglio. Il partito non ha retto l’urto mediatico-giudiziario e Pierluigi, che ha sempre creduto nella mia innocenza, non ha potuto arginare l’ipocrisia del Pd. È stata un’amarezza indicibile». 

 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/04/25/italia/politica/penati-troppi-innocenti-in-carcere-se-il-magistrato-sbaglia-deve-pagare-sKorIdX6PaBuSWLezjC2EI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Ghisleri: in questo momento altissima la quota di voti incerti
Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2016, 12:20:07 pm
Ghisleri: in questo momento altissima la quota di voti incerti
Le città verso il voto. Il 60% non vede un futuro politico decifrabile
Ghisleri. «Per convincere gli indecisi, i candidati devono fare un colpo di teatro in questi ultimi giorni di campagna elettorale»

31/05/2016
Amedeo La Mattina
Roma

Alessandra Ghisleri riscontra nei suoi sondaggi una grande quantità di elettori indecisi e incerti per le amministrative del 5 giugno. Incertezza che rende l’esito delle urne molto aleatorio. «Al ballottaggio sarà tutto più chiaro perché le proposte saranno maggiormente definite. Al primo turno invece molti candidati sono simili. Per districarsi nella scelta, su Internet ci sono addirittura delle applicazioni che ti aiutano a capire chi è il candidato al quale ti senti più vicino». La direttrice di Euromedia Research non può dare dati e percentuali dei sondaggi. La legge lo proibisce. Ma per far capire il clima in cui si svolgono le elezioni, spiega che «il 60% degli italiani vede il futuro non programmabile».

A Milano sembra che ci sia un testa a testa tra Sala e Parisi. Del resto sono i due candidati che si assomigliano di più. Nelle altre città c’è invece una varietà più marcata. Questo serve a prosciugare l’area degli indecisi e portarli ai seggi elettorali? 

«Per convincere gli indecisi, i candidati devono tirare fuori dal cilindro il classico coniglio, spiazzare, fare un colpo di teatro in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Questo è determinante. I confronti televisivi in cui metti sullo stesso palco i competitori delle singole città può aiutare molto: le differenze potrebbero emergere plasticamente».

Quali sono i temi più caratterizzanti? Se ce ne sono 
«L’immigrazione e l’integrazione. Per il resto le proposte sono tutte uguali: più sicurezza, meno tasse, più case popolari, meno inquinamento. Tutti parlano di periferie e di risanamento urbanistico. Se prendi un programma o un manifesto elettorale, levi la faccia e il nome del candidato, puoi farlo girare da Nord a Sud e andrebbe bene lo stesso. Quello che cambia può essere la credibilità di chi propone certe soluzioni. Ad esempio a Napoli De Magistris viene dato per favorito perché è già sindaco e gli elettori possono misurare la sua credibilità per le cose che ha già fatto o non ha fatto. Lo stesso a Torino. Nelle altre città, quelle più importanti come Roma e Milano, i candidati sono delle novità da mettere alla prova».

 Eppure proprio a Roma e a Milano ci sono due realtà politiche molto diverse. Lo stesso centrodestra è diviso e presenta baricentri opposti: più di destra nella capitale, più moderato nel capoluogo lombardo. A Roma poi tra i candidati più favoriti ci sono due donne molto caratterizzate politicamente, Virginia Raggi e Giorgia Meloni. 

«Sì è vero, ogni città ha alcune specificità e la sua storia, che dipende anche da come si è conclusa l’amministrazione precedente. Eppure nemmeno Raggi e Meloni hanno una proposta così forte e distintiva da consentire di svettare sull’altra. Idem per Roberto Giachetti. Ciò che ha distinto maggiormente la campagna elettorale è stato il tema dell’immigrazione. Un tema che potrebbe fare la differenza, anche in altre occasioni elettorali, compreso quella delle politiche. Ed è un tema che ha utilizzato e contraddistinto di più Meloni a Roma e Salvini come capolista della Lega a Milano. Vediamo in queste ultime battute di campagna elettorali chi saprà fare il coup de theatre. C’è un dato generale che bisogna avere in mente per capire la caratteristica di queste amministrative».

Un dato generale da Nord a Sud? 
«Sì, è un dato negativo che riscontriamo sempre nei sondaggi e che alimenta quella indecisione di cui parlavano all’inizio. Si tratta dello scetticismo, un sentimento che attraversa trasversalmente gli schieramenti. Gli elettori tendono a non credere più alle promesse. Se poi vengono dai partiti è ancora peggio. Non è un caso che in 18 città il 63% dei candidati si presenta con liste civiche. I cittadini si sentono lontano dai partiti e questo spiega la grande proliferare di liste civiche dietro le quali, in molti casi, si nascondono le classiche forze politiche».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2016/05/31/italia/speciali/elezioni/2016/amministrative/ghisleri-in-questo-momento-altissima-la-quota-di-voti-incerti-RTaAYrJf1A8oPs6heUpi9J/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Alfano: “Un partito dei moderati contro le sirene ...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 02, 2016, 04:59:42 pm
Alfano: “Un partito dei moderati contro le sirene Salvini, Pd e M5S”
Il presidente del Nuovo Centrodestra: «A settembre ci sarà un’assembla nazionale.
Il tentativo di aggregazione di Parisi può avere successo, ma servono le primarie»


01/08/2016
AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Angelino Alfano sta lavorando a un’assemblea nazionale per dare vita al nuovo soggetto politico dei moderati. «Si farà a settembre. Vogliamo costruire un nuovo soggetto che dia rappresentanza a milioni di italiani. Stiamo lavorando con tanti movimenti territoriali. Non sarà un’aggregazione di sigle e gruppi dirigenti. Ci rivolgeremo ai quegli elettori di centrodestra che non vogliono andare dietro Salvini e Casapound. E che non si rassegnano a una sfida elettorale che veda protagonisti solo Pd e 5 Stelle». 
 
Sarete più chiari sulle alleanze? Il suo partito è diviso tra chi guarda a Berlusconi e chi a Renzi. Schifani si è dimesso da capogruppo chiedendo di passare all’appoggio esterno. Lupi guarda a Parisi e sostiene che Fi è tornata ad essere il perno dei moderati. Lo pensa anche lei? 
«Il tentativo di Parisi può avere un buon esito se sarà consacrato dalle primarie e se metterà i lepenisti in condizione di non nuocere. Lupi ha sempre avuto uno sguardo rivolto in quella direzione e altri amici fondatori del nostro partito, come Lorenzin e Cicchitto, hanno sempre manifestato maggiore perplessità. Il mio compito è stato e sarà di tenere tutti uniti su una linea chiara e condivisa: vinciamo il referendum in autunno e nel frattempo lanciamo il nuovo movimento che aggreghi i moderati che non accettano la leadership di Salvini e non intendono aderire al Pd. Dopo il referendum faremo il tagliando per darci la nuova rotta. Non è questo il momento di parlare di alleanze».
 
Il governo non gode di un ampio consenso. Il nodo rimane l’economia. Renzi garantisce che non ci sarà una manovra correttiva ma sostiene che i governi Letta e Monti hanno «disseminato di clausole di salvaguardia le vecchie finanziarie». Condivide? 
«Noi, non solo non faremo manovra correttiva, ma troveremo lo spazio per dare fiato all’economia. Siamo il governo che ha fatto passare il Pil da segno meno a segno più e che ha costruito le basi perchè il sud crescesse. Tutto questo non è accaduto per caso ma perchè abbiamo fatto le riforme liberali a cominciare dall’articolo 18 e dal sostegno per le nuove assunzioni. È vero, sono state inserite numerose clausole di salvaguardia che però non abbia utilizzato, anzi le abbiamo scongiurate. Quando furono introdotte servivano come paracadute che non fu e non è necessario aprire».
 
Se vince il Sì al referendum si voterà con l’Italicum e sarete costretti ad entrare o in una lista di destra o in una lista di sinistra. Se vince il No bisognerà fare una nuova legge elettorale con un governo di unità nazionale. Forse a voi converrebbe che vincesse il No. 
«Non scherziamo con le cose serie. Siamo impegnatissimi per il Sì che rappresenta per noi il compimento di una missione. Ora che questa missione si sta realizzando, secondo lei dovremmo tifare per la nostra sconfitta? Se vince il Sì saremo dalla parte dei vincitori e questo ci darà uno status politico straordinariamente importante. Se vince il No ne prederemo atto, ma il nostro lavoro per il Sì sarà effettivo in tutte le province d’Italia. Martedì parte l’iniziativa dei comitati per il Sì di tutti coloro che sostengono il governo pur non essendo del Pd».
 
Quali sono le sue proposte per modificare l’Italicum? 
«Lo abbiamo votato e non lo rinneghiamo. Siccome non è mai stato applicato, suggeriamo che si attribuisca il premio alla coalizione e non al singolo partito. Ma l’Italicum non ci spaventa: abbiamo dimostrato alle europee, alle regionali e alle amministrative di valere più di 1 milione di voti. Ricordo che elezioni in Italia si possono perdere per 24 mila voti. Consigliamo a Renzi di eliminare pure il doppio turno: con il tripolarismo il ballottaggio non garantisce omogeneità di programma ma solo l’unione di tutti coloro che sono contro il governo».
 
Sarebbe una legge fatta per impedire ai 5 Stelle di andare al governo. 
«Chi ha detto che al ballottaggio andrebbero Pd e 5 Stelle? A Milano i grillini non ci sono riusciti. Perché esclude in partenza una sfida tra Pd e una coalizione di moderati? La riaggregazione dei moderati, che può essere fatta anche con Parisi e Fi, potrebbe cambiare l’ordine delle cose. Si potrebbe realizzare come in Francia una sfida fra area socialista e area che aderisce al Ppe. In Francia si può verificare proprio questo scenario nonostante Le Pen al 25%, altro che Lega. L’unità dei moderati svuoterebbe il partito di Salvini, farebbe ritornare al voto molti elettori moderati delusi e riporterebbe a casa un po’ di elettori che hanno votato 5 Stelle nonostante fossero di centrodestra».
 
Lei parla di moderati, ma chi sono e quanti sono in Italia? 
«Secondo vari sondaggi vi è almeno il 40% di italiani che si autodefinisce moderato. Sono ancora molti milioni. Moderati significa essere pragmatici, non ideologici. I moderati sono quelli che si contrappongono, con soluzioni concrete, a coloro che sanno solo urlare»

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2016/08/01/italia/cronache/alfano-un-partito-dei-moderati-contro-le-sirene-salvini-pd-e-ms-r0I10BV4PK0zg2QiiVWzpK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Renzi accelera su banche e Mps: “Soluzione prima del ...
Inserito da: Arlecchino - Settembre 07, 2016, 11:28:04 am
Renzi accelera su banche e Mps: “Soluzione prima del referendum”
Il premier: in Italia troppi bancari, entro dieci anni saranno più che dimezzati


03/09/2016
Amedeo La Mattina, Gianluca Paolucci
Inviati a Cernobbio (Como)

Vuole mettere in sicurezza la “grande malata” del sistema bancario italiano, Monte dei Paschi entro l’anno. Un concetto espresso dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e ribadito sempre da Cernobbio dal premier Matteo Renzi. Che poi, a margine, chiarisce meglio il concetto: «Quando dico entro l’anno mi riferisco ad una scadenza precisa: prima del referendum» sulla riforma costituzionale, previsto a fine novembre. Se vince il no, spiega il premier, si apre una stagione di instabilità, il quadro politico cambia gli investitori privati non investirebbero. Con forti rischi per l’intero sistema. «Ma non credo cambi il quadro perché vincerò il referendum», precisa poi.

I prestiti difficili 
Il tema bancario ha tenuto banco nella prima giornata del Workshop Ambrosetti. Padoan, nella parte riservata del suo intervento, ha voluto «dissipare i dubbi e le percezioni sbagliate», riferiscono alcuni partecipanti. Se c’è un problema, ha chiarito il ministro, è limitato ad alcuni istituti, in pratica uno solo. Ovvero proprio Mps. Il tema dei prestiti “difficili” in pancia alle banche italiane, sempre secondo Padoan, va ridimensionato. Sento fare la cifra di 360 miliardi, ha ribadito il ministro, ma dobbiamo scendere di parecchio, la cifra reale è molto più piccola.

Troppi dipendenti e filiali 
Anche Renzi ha voluto ribadire la solidità del sistema bancario, aggiungendo però l’argomento della necessità di una sua profonda ristrutturazione. Troppe banche («devono aggregarsi»), troppe poltrone e filiali e anche troppi dipendenti. Il problema, ha detto premier secondo quanto riferito, è che il numero di 328 mila bancari (tanti sono i dipendenti delle banche italiane) è sproporzionato. Secondo il premier, il mondo è cambiato anche nei servizi finanziari ed usa un’immagine familiare per descriverlo, portando ad esempio sua moglie che se prima si recava in filiale oggi fa tutto dallo smartphone. E da qui a 10 anni ci saranno 150 mila, 200 mila bancari.

«C’è stata una grande sottovalutazione a mio avviso negli anni scorsi della questione bancaria - ha detto Renzi nel suo intervento - non tanto e non solo da parte della politica ma anche da una parte del gruppo dirigente del paese nel quale inserisco i politici, ma anche altri settori, l’università, l’accademia, i professori, i banchieri, gli imprenditori, i giornalisti». Per quanto concerne i politici, secondo il premier, «hanno pensato di avere un impatto sulle banche mentre l’Europa si orientava verso un altro modello: ogni riferimento a Montepaschi e alle banche popolari è puramente voluto». Ma, ha aggiunto Renzi, «siamo intervenuti per garantire delle regole corrette, ora ci sono le condizioni per affrontare l’argomento in maniera definitiva».

L’operazione Siena 
Il tema più caldo è però quello di Mps, che ha annunciato di liberarsi di tutti i suoi crediti dubbi (sofferenze) per un controvalore di oltre 27 miliardi, con un rafforzamento patrimoniale da circa 5 miliardi di euro. Un’operazione «complessa» quella sul Monte di cui però si è detto sicuro del successo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan che ha escluso l’eventualità di un piano B, circolata nelle settimane scorse sulla stampa. 

Da sempre indicato come vicino al premier e attento per dovere professionale ai temi bancari, non ha mancato di far arrivare il proprio commento Positivo alle parole del premier.

Il fondo Algebris 
L’Italia, ha detto il fondatore del fondo Algebris, era «tra gli ultimi della classe, abbiamo iniziato a fare le riforme e siamo tornati ad essere nel gruppo». Il giudizio, ha aggiunto Serra, lo ha dato la platea «con un applauso scrosciante di oltre 2 minuti».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/09/03/economia/renzi-accelera-su-banche-e-mps-soluzione-prima-del-referendum-gwqEl9P6KR4MeYaAu3r0dI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “La manovra è in ritardo”, tempesta alla Camera
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 25, 2016, 05:47:23 pm
“La manovra è in ritardo”, tempesta alla Camera
Montecitorio: sorpresa e delusione. Mattarella firma il decreto. Le opposizioni: una forzatura inserire alcune norme sul Fisco

23/10/2016
Amedeo La Mattina
Roma

Si annunciano giorni molto burrascosi alla Camera. Non solo l’opposizione, ma anche una parte del Pd considera una forzatura quella del governo di avere inserito nel decreto fiscale alcune norme, come la chiusura di Equitalia e rottamazione delle cartelle esattoriali, che dovrebbero essere contenute nella legge di bilancio. Non è un tecnicismo per addetti ai lavori. I risvolti sono finanziari e anche politici, con una ricaduta sul referendum costituzionale. 

Il decreto prevede sia misure relative al 2016 che interventi i cui effetti ricadranno sulla manovra triennale 2017-19. È chiaro, spiegano pure fonti della maggioranza, che rottamare oggi le cartelle esattoriali per decreto, e quindi con valore esecutivo di legge, accarezza chi ha problemi con il Fisco e il 4 dicembre si troverà dentro una cabina a segnare una croce sul Sì o sul No. E questo, osservano i 5 Stelle e nel centrodestra, va ad aggiungersi alle altre misure e bonus elettorali. Ma in questo caso c’è un problema in più. La riforma di bilancio è stata votata dall’80% di deputati e senatori. Un accordo a larghissima maggioranza (cosa più unica che rara in Parlamento). Tra l’altro, vista la novità rispetto agli anni passati, erano stati dati più giorni al governo per presentare la legge di bilancio. Il termine scadeva il 20 ottobre e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi non l’ha presentata. 

Le reazioni 
Sentendo la bufera che gli sta arrivando addosso, la presidente della Camera Laura Boldrini ha messo le mani avanti e ha fatto filtrare la sua «sorpresa e delusione» per la tempistica dell’approdo della legge di bilancio a Montecitorio. Viene precisato che la legge, nella sua nuova definizione, dovrebbe sempre rispettare i tempi previsti. Si sperava in un esordio più puntuale. L’auspicio della presidenza della Camera è che il ritardo non si protragga ulteriormente. Dai collaboratori del ministro Boschi nessun commento alla reazione della Boldrini. Da Palazzo Chigi altrettanto fanno finta di niente. Intanto ieri il presidente della Repubblica ha firmato il decreto fiscale, passando la parola a Montecitorio. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta aveva chiesto a Mattarella di non firmarlo e di rispedirlo al mittente. «Va salvaguardato il Parlamento. Basta con queste insopportabili violenze da parte del governo Renzi». Brunetta assicura che «il Parlamento rispedirà al mittente «la violenza incostituzionale di Renzi-Padoan». Ha pure spiegato che la grande accelerazione delle ultime ore pare sia stata imposta dal fatto che, «dopo gli irresponsabili annunci di Renzi sulla chiusura di Equitalia e sulla rottamazione delle cartelle esattoriali, nell’ultima settimana ci sia stato un calo spaventoso e senza precedenti nella riscossione delle tasse e dei tributi: un collasso del gettito fiscale». Ed ecco l’avvertimento di Brunetta che preoccupa la Boldrini. «Nella discussione parlamentare non sarà possibile analizzare il bilancio prossimo triennale prima che si capisca a quanto ammontano gli effetti finali del decreto fiscale». 

Il dibattito in Parlamento 
Il pericolo è che si allunghino all’infinito i tempi del dibattito parlamentare, moltiplicando i rischi di imboscata. E a Brunetta che parla di «roba da dittature sudamericane e di attentato alla Costituzione», fa eco la Sinistra italiana. Secondo Arturo Scotto la legge di bilancio arriverà alla Camera non prima di mercoledì, oltre quanto stabilito dalle norme votate tre mesi fa. «Non si permetta il governo di imporre una tabella di marcia incompatibile con i diritti delle opposizioni». E poi, aggiunge Scotto, «Equitalia non chiude, cambia solo nome. Un po’ come nel film di Checco Zalone con le province che si trasformano in città metropolitana». Anche la sinistra Pd storce il naso ma finora non ha parlato. Il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia dice che «le regole vanno rispettate, a maggior ragioni se sono state votate da maggioranza e opposizione». E si riferisce al fatto che nel decreto fiscale non possono essere inserite misure che hanno impatto per il triennio 2016-19. Ora tutto questo esploderà nella mani della Boldrini.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/10/23/economia/la-manovra-in-ritardo-tempesta-alla-camera-pqsChBoWyPEgHAEYyCLubN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Renzi detta la linea: “Il governo non ha agenda, il Jobs ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2016, 03:06:00 pm
Renzi detta la linea: “Il governo non ha agenda, il Jobs Act è intoccabile”
Nel Pd la tentazione di cambiare la riforma del lavoro, ma l’ex premier: non si può dire “abbiamo scherzato”

Pubblicato il 15/12/2016
AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Il Jobs Act non si tocca. Reintrodurre l’articolo 18 sarebbe come dire “ragazzi abbiamo scherzato”. Il giorno dopo arriverebbe un downgrading per l’Italia dalle agenzie di rating». Matteo Renzi mette uno stop ad ogni ipotesi di rivedere la legge che è stata una delle bandiere dei suoi oltre mille giorni di governo. Una revisione che potrebbe disinnescare la bomba ad orologeria del referendum chiesto dalla Cgil con 3,3 milioni di firme raccolte e sul quale l’11 gennaio si pronuncerà la Corte Costituzionale. Nessuno però dubita che ci sarà il via libera della Consulta, dopo quello della Cassazione. 
 
Per Renzi si tratterebbe di andare incontro ad una seconda prova referendaria alla testa di un nuovo fronte che questa volta sarebbe del No all’abrogazione del Jobs Act. Il rischio sarebbe di una seconda sconfitta nell’arco di pochi mesi dopo quella del referendum costituzionale. Una catastrofe che renderebbe velleitaria ogni ipotesi di rivincita alle elezioni politiche. Certo, confida Luca Lotti, si potrebbe adottare il «modello trivelle» quando a quel referendum Renzi puntò tutto sull’astensione, facendo mancare il quorum. Con l’aria che tira, un’operazione ad altissimo rischio. Ci sarebbe l’altra strada che viene accarezzata una parte del Pd (sicuramente dalla sinistra Dem) ovvero provare a modificare il Jobs Act, svuotandolo. Facile farlo per i voucher, molto più difficile per l’articolo 18. In ogni caso sarebbe una sconfessione di un architrave del renzismo. E infatti da Pontassieve l’ex premier dice no ad una marcia indietro.
 
Dario Franceschini, che vorrebbe allungare al massimo la vita governo Gentiloni, non crede che l’obiettivo di Renzi sia di andare a elezioni entro giugno anche per evitare il referendum. Obiettivo che invece viene confermato dallo stesso ex premier, sfidando centinaia di deputati e senatori di prima nomina che vorrebbero arrivare quantomeno a settembre per traguardare quei fatidici 4 anni, 6 mesi e 1 giorno che farebbero maturare loro il diritto all’indennità pensionistica. Ma al di là di questi aspetti «prosaici», c’è un punto politico: Renzi ha fretta. «Sapevo che il referendum ci sarebbe caduto addosso - ha ricordato ai suoi colonnelli rimasti a Roma - e ora andare al voto è ancora più necessario». Del resto, è il suo ragionamento, qual è l’agenda del governo Gentiloni? «Un po’ di roba, ma non c’è un’agenda impegnativa», ha detto ai suoi più stretti collaboratori che lo hanno sentito al telefono in queste ore. 
 
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha confessato che se si vota prima del referendum il problema viene risolto. Poi ha fatto una goffa retromarcia. E nel primo Consiglio dei ministri dopo la fiducia del Parlamento ha ammesso di avere fatto «una scivolata personale». Ma intanto la frittata è stata fatta. In ogni caso Poletti ha detto quello che pensa Renzi. «Ha ragione Poletti, ma gli è sfuggita», ha commentato al telefono con i vertici del Pd. L’ex premier non vuole farsi inchiodare da coloro che puntano al vitalizio ed essere crocifisso da Grillo e Salvini: avrebbero un’altra lancia velenosa da scagliargli addosso. 
 
Il leader Pd pensa invece a rimettersi in moto al più presto. In questi giorni va a fare la spesa, porta i figli a scuola, ha il tempo di farsi una corsa, ma sta pure scrivendo quella che lui definisce una «relazione corposa» per l’assemblea nazionale del Pd che si svolgerà domenica prossima. Una relazione per rilanciare la sua azione politica in vista del congresso e la sua ricandidatura alla segreteria. Un discorso duro per mettere con le spalle al muro la sinistra dem. Altro, dicono i suoi colonnelli, che fare marcia indietro o impelagarsi nelle beghe romane dalle quali vuole tenersi lontano. Eppure non smette di alimentare la suspence sulle sue vere intenzione. Mollare la politica e prendersi un periodo di riposo? Racconta di ricevere offerte di lavoro milionarie anche da parte di aziende private. E a 41 anni la tentazione di ricominciare un’altra vita, da un’altra parte è forte. C’è una cosa che non riesce a mandare giù: non gli viene riconosciuto da diversi osservatori il merito di avere fatto del bene al nostro Paese.
 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/15/italia/politica/renzi-detta-la-linea-il-governo-non-ha-agenda-il-jobs-act-intoccabile-KIxSmeQLOrnnFuw6q8fqFP/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Perché il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 19, 2016, 04:04:36 pm

Perché il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia
Una parte del partito vuole convincere Berlusconi a sostenere la proposta di Renzi

Pubblicato il 19/12/2016 Ultima modifica il 19/12/2016 alle ore 11:57
Amedeo La Mattina
Roma

La proposta lanciata da Renzi di recuperare il Mattarellum è un’esca velenosa per Forza Italia. A rispondere sì finora sono stati Salvini e Meloni: a loro conviene tenere in vita l’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali (il Mattarellum ne prevede fino al 75%, il resto è proporzionale). È l’idea di una coalizione di destra-centro con a capo il leader della Lega, che in questo modo potrebbe eleggere parlamentari anche al Sud dove i voti per il Carroccio scarseggiano. Voti ai suoi candidati nei collegi uninominali che dovrebbero venire da Forza Italia. Ecco perché Berlusconi e una parte del suo partito, quella del Sud, sono contro il Mattarellum.

Il Cavaliere, che è nato politicamente maggioritario, ora si è convertito alle virtù del proporzionale. È solo un modo per tenersi le mani libere e non dare a Salvini la chance di scalare il centrodestra (e non dare i voti azzurri, pochi o molti che siano, ai candidati leghisti o fratelli d’Italia. Mani libere per poter magari dopo il voto sostenere un governo delle larghe intese con il Pd ed evitare che a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle. Quei 5 Stelle che sono stati gli unici a non difendere Mediaset da Vivendi, anzi a sostenere che non sarebbe un problema se l’azienda del Biscione venisse sbranata dai francesi. Dunque tutto per bloccarli.

Il punto è che c’è una parte di Forza Italia che vuole convincere Berlusconi a sostenere il Mattarellum. È vorrebbero convincerlo con l’allargamento della quota proporzionale fino al 50%. In questo modo si salverebbe la colazione nei collegi uninominali ma allo stesso tempo ogni partito avrebbe la possibilità di eleggersi i suoi esponenti nell’ampia parte proporzionale. 

A lavorare a questa ipotesi sono il capogruppo Romani è il governatore ligure Toti, con il sostegno di tutti i parlamentari azzurri del Nord. Ed è facile capire il perchè: sono loro che ne avrebbero un vantaggio in quei colleghi dove la Lega è forte e nel Nord lo è in Lombardia e Veneto. Discorso opposto invece per i parlamentari del Sud che sarebbero costretti a ricambiare offrendo il loro sangue elettorale e di consensi. È infatti sono sul piede di guerra e spingono sul pedale del proporzionale, sperando che Berlusconi tenga ferma la sua posizione.

 

Ma le posizioni di Berlusconi cambiano con grande rapidità e in relazione alle convenienze del momento. A parte il fatto che il Cavaliere adesso ha ben altro e di più importante cui pensare come la vicenda della scalata di Vivandi a Mediaset. Il punto è che c’è una guerra in atto tra i parlamentari del Sud contro quelli del Nord che vogliono come Salvini e Meloni il Mattarellum. In attesa che il capo ci metta un po’ la testa e capisca che allargando la quota proporzionale e tenendo i collegi per l’alleanza si salverebbe capra e cavoli. 

Renzi sa bene quale sia il problema nel centrodestra e sta giocando la carta Mattarellum per compattare il Pd e mettere alla prova il centrodestra, a cominciare da Berlusconi che fa finta di volere le elezioni anticipate. Già avere dalla sua parte Lega e Fdi è un buon risultato. Ora aspetta Berlusconi. Resterebbero fuori i 5 Stelle alle prese con il caos di Roma.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/19/italia/politica/perch-il-mattarellum-unesca-velenosa-per-forza-italia-FfX0AuyLq7r5lusCEQl7uO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Perché il centrodestra è a rischio estinzione
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 18, 2017, 06:02:00 pm
Perché il centrodestra è a rischio estinzione
Non c’è ancora accordo sulle primarie. E continua lo scontro tra Berlusconi e Salvini

Pubblicato il 13/01/2017
Ultima modifica il 13/01/2017 alle ore 12:05
AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Il centrodestra in via di estinzione come un mammut. Forse potrà sopravvivere a livello locale: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia dovrebbero presentarsi in coalizione alle elezioni amministrative di primavera dove si voterà in quattro Comuni capoluogo e ventidue capoluogo di Provincia. Alle politiche si preannuncia un disastro. Se non ci saranno le primarie per decidere chi guiderà la locomotiva o se non sarà Matteo Salvini a fare il capo macchinista, i «sovranisti» che guardano alla Le Pen andranno per conto loro. E a loro si accoderanno gli ex Msi-An-Destra sociale Alemanno e Storace. 

Lo scontro Salvini-Berlusconi 
La situazione interna al centrodestra è andata ben oltre le sole questioni politiche. E finché le divergenze riguardavano la legge elettorale e perfino la leadership del centrodestra, Silvio Berlusconi ha fatto quasi finta di niente. «Fatelo parlare, non polemizzate con Salvini, da solo non va da nessuna parte», è l’indicazione che dà ai suoi colonnelli. Il Cavaliere invece serra nervosamente la mascella e socchiude gli occhi come un alligatore quando il rumoroso capo della Lega tocca i fili dell’altra tensione, quelli della scalata a Mediaset da parte di Vivandi. Ed è proprio quello che ha fatto Salvini. «Non sarebbe uno scandalo se i francesi dovessero comprare Mediaset che non è un’azienda strategica per il Paese». Tra l’altro, sostiene Matteo, i quattrini di Bollorè potrebbero far comodo a Berlusconi che così risolverebbe i suoi problemi con i figli. Apriti cielo! Problemi tra il patriarca e i cinque figli?
 
La strana alleanza tra i due Matteo 
«Come si permette, come osa mettere il becco nelle nostre cose di famiglia», hanno gridato all’unisono Marina e Piersilvio, mettendo il padre ancora di più di cattivo umore. Sembra che il Cavaliere abbia perso le staffe e usato nei confronti di Matteo alcuni epiteti irriferibili. Ma intanto Salvini continua a lavorare alla sua Opa del centrodestra e spinge in tutti i modi per elezioni anticipate, facendo da sponda a Matteo Renzi. I due Matteo si sono sentiti al telefono un paio di volte tra durante le festività natalizie e sembra che il loro cellulari siano squillati pure ieri. Entrambi puntano a un Mattarellum reso più proporzionale e ad accelerare verso le urne. «Io e Renzi abbiamo un interesse comune, anche generazionale: se non si vota entro giugno saremo rosolati», è il ragionamento di Salvini che attribuisce a Berlusconi, Mattarella e la sinistra Dc guidata da Franceschini l’obiettivo di mantenere lo status quo. 
 Le bordate della Lega a Forza Italia 
Al Cavaliere che attende la sentenza di Strasburgo (tra luglio e settembre) per essere riabilitato e ricandidarsi, Salvini non risparmia più nulla. Non perde occasione per bombardare Arcore da tutti i lati. Dice che il Cavaliere «inciucia», che parla bene di Gentiloni e Mattarella, vota il salva-banche («20 miliardi regalati»). «Oggi siamo lontanissimo, non è il Berlusconi che ricordavo». Tajani, in pole position per la presidenza dell’Europarlamento. è «un servo di Bruxelles». «Se Berlusconi non condivide il nostro programma per uscire dall’euro e controllare i confini, un’alleanza è impossibile».
 
Silvio alla ricerca di un leader 
Il centrodestra è in coma e solo un miracolo potrà farlo tornare a vivere come una volta. Solo che Berlusconi vorrebbe il sistema proporzionale per tenersi le mani libere e fare la grande coalizione dopo il voto politico. Cambio generazionale? Candidatura alla premiership del centrodestra? Il Cavaliere non ha mai cambiato idea su Salvini e Meloni e ripete quello che aveva detto in occasione della rottura nelle comunali di Roma: «Quei due non sarebbero in grado di amministrare un condominio». Tagliente il giudizio di Salvini su Berlusconi: «Ormai inciucia per avere protezioni molto in alto, non solo al Quirinale, ma anche da Mario Draghi. È lui ormai il nuovo punto di riferimento in Europa per tenere in piedi il governo oggi e per evitare che in futuro a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle o un centrodestra rinnovato dalle fondamenta, con un programma che non fa sconti all’Europa».

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/01/13/italia/politica/perch-il-centrodestra-a-rischio-estinzione-TJISdyJIjZpBBSioOqvD6H/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Emiliano: “Con banche e finanza ci siamo dimenticati di ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 07, 2017, 03:58:30 pm
Emiliano: “Con banche e finanza ci siamo dimenticati di chi è rimasto escluso”
Il governatore della Puglia: l’Europa non è la causa di tutti i mali

Pubblicato il 07/02/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Michele Emiliano ritiene possibile scrivere una programma di sinistra che riesca a contrastare e battere i populisti. «È doveroso. È arrivato il momento farlo. Non possiamo lasciare chi soffre, chi è stato impoverito dalla crisi economica e dalle tasse alla mercé degli oratori di piazza, degli arruffapopoli. Dobbiamo essere vicini alle persone, difendere chi non conta nulla, dedicarci ai luoghi di sofferenza».
 
Il rischio non è di contrapporre un populismo di sinistra a quello di destra? 
«Esiste pure un populismo intelligente, concreto, non velleitario che una volta esprimevano partiti come il Pci e la Dc. Le loro sezioni erano luoghi dove non si facevano solo le liste elettorali. Si studiava, si insegnava a leggere a scrivere a chi non poteva andare a scuola, si discuteva e si faceva solidarietà. È ovvio che questo mondo non può tornare, ma è necessario ricostruire il senso di una comunità politica».
 
Comunità che il Pd non è più? 
«Peggio: è diventato il partito dei banchieri, dei finanzieri, dell’establishment. Un partito interessato solo ai potenti e non al popolo. Il governo Renzi ha usufruito di una grande flessibilità dall’Europa ma non ha saputo utilizzarla per invertire il ciclo economico». 
 
Ci dica cosa farebbe concretamente. Sul lavoro. 
«Intanto bisognerebbe riagganciare la formazione scolastica ad un percorso che porti alla certezza del lavoro. Lo Stato dovrebbe stringere accordi con le imprese affinché queste assumano almeno i più meritevoli. È quello che fanno le università private con le aziende».
 
Riduzione della pressione fiscale: cavallo di battaglia della destra e dei populismi di oggi. Anche la sinistra deve cavalcare questo tema? 
«Non c’è dubbio. Chi lo ha detto che sia un tema dei populisti e della destra? Attenzione però agli slogan e far finta che non ci sia un problema di debito pubblico. Si può abbassare la pressione fiscale riducendo i costi della Pubblica amministrazione. Vanno garantiti i diritti essenziali come la salute, la giustizia, la formazione, la sicurezza, ma se una multinazionale deve dirimere una complessa procedura, ad esempio di verifica ambientale, perché non dovrebbe pagare di tasca propria il servizio che gli offre la Pubblica amministrazione? Sarebbe stato possibile trovare molte risorse per ridurre l’Irpef e le tasse alle imprese, se Cottarelli con la sua coraggiosa spending review non fosse stato impacchettato e spedito a casa».
 
Le piace il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle? 
«Sono d’accordo con il reddito di cittadinanza solo per i casi di povertà assoluta. Semmai bisognerebbe evitare che le famiglie cadano in stato di povertà o di precarietà a causa di una situazione debitoria. Ad esempio, di fronte a chi è in difficoltà a pagare il mutuo e non ce la fa più, il Comune, la Regione o lo Stato dovrebbero subentrare nel rapporto debitorio con la banca, diventare proprietario della casa dove quella famiglia in difficoltà potrà continuare a vivere. E magari in futuro riscattarla. Il Pd invece ha fatto una legge che accelera la procedura di vendita dell’immobile per chi è moroso».
 
Lei presuppone uno Stato pieno di soldi. 
«No, penso ad uno Stato che non faccia pagare le tasse solo ai lavoratori dipendenti e che compri beni e servizi agli stessi costi di un privato».
 
Immagino che lei ritornerebbe all’articolo 18 sui licenziamenti modificato dal Jobs act? 
«Sarebbe cosa sacrosanta ripristinarlo ed estenderlo a tutte le aziende. Non si può distruggere la vita di una persona, licenziandola senza giusta causa e dandole una manciata di soldi».
 
L’Europa è il focus di tutti i populismi. Hanno ragione a criticarla? 
«L’Europa, da meravigliosa costruzione di pace e benessere, sembra diventata origine di ogni nefandezza. Si rischia il sonno della ragione che in passato ha portato ai totalitarismi e alle guerre. Ecco perché deve tornare a parlare e difendere i popoli e non le banche e i finanzieri».
 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/02/07/italia/politica/emiliano-con-banche-e-finanza-ci-siamo-dimenticati-di-chi-rimasto-escluso-thNz3Ray8yuuF9aZWEmmeJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Emiliano: “È Matteo a volere questa rottura. Ma per lui ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 26, 2017, 12:25:43 am

Emiliano: “È Matteo a volere questa rottura. Ma per lui sarà una catastrofe”
Il governatore pugliese dopo la telefonata con l’ex premier: “Non mi rassegno”

Pubblicato il 18/02/2017
Ultima modifica il 18/02/2017 alle ore 07:08

Amedeo La Mattina
ROMA

Se Renzi non accetta la mia proposta significa che la rottura la vuole lui. Ma non posso credere che lui voglia veramente questo. Non ci posso credere e non lo voglio credere. Non mi rassegno. Io aspetterò fino all’ultimo secondo utile per evitare la scissione. Capisco che Matteo si trovi in un momento di confusione, che sia arrabbiato, ma per lui è arrivato il momento di essere lucido e di fermare la macchina del congresso, aprendo una discussione con la base del partito sulle questioni del lavoro, dell’ambiente, della scuola, della decarbonizzazione dell’Ilva...». Michele Emiliano sta viaggiando in auto da Lecce a Bari. La sua voce è carica di tensione e preoccupazione. Si rende conto che mancano poche ore per evitare il divorzio. Dice di non avere avuta ancora una risposta positiva dopo la telefonata di Renzi ricevuta attorno alle 13 mentre si trovava nel suo ufficio alla Regione.

In mattinata il governatore pugliese aveva postato sul suo profilo Facebook il video in cui Delrio, senza sapere di essere ascoltato e registrato, raccontava che Renzi non ha fatto una telefonata per evitare che la diga crolli. E poi Emiliano aveva scritto e postato: «Visto che Renzi non chiama nessuno, per evitare la scissione lo chiamo io». E invece ha chiamato Matteo. Telefonata lunga dai toni vivaci. Hanno ripercorso tutto quello che è accaduto, ognuno ha espresso il suo punto di vista. Renzi ha il dente avvelenato con la sinistra dem: è convinto che Bersani e compagni hanno il solo obiettivo di farlo fuori, di consumarlo a fuoco lento, rilanciando sempre con una nuova proposta. Emiliano gli ha proposto di rinviare il congresso a dopo le amministrative, gli ha consigliato di non avere fretta, di dare più tempo a chi vuole preparare un programma e un candidato alla segretaria alternativi. «Intanto facciamo insieme la campagna elettorale delle amministrative e una conferenza programmatica in cui confrontare le proposte politiche. Visto che anche tu dici che a giugno non si vota, che fretta c’è di fare il congresso di corsa?», ha chiesto il governatore a Renzi.

 Ma Renzi non si fida, vuole blindarsi, è convinto che Bersani e la sinistra dem abbiano già deciso la scissione. Soprattutto D’Alema che anzi la considera «un nuovo inizio». «D’Alema - dice Emiliano - l’ha già messa in conto ed è irritato dalle iniziative pacificatrici come la mia. Io invece considero la scissione una sciagura e farò di tutto per evitarla. Se Matteo accetta la mia proposta, io non seguirò nessuno fuori del Pd».

Emiliano per tutta la giornata ha atteso una buona notizia. È rimasto in contatto con Franceschini e Delrio. La giornata si è chiusa con poche speranze. C’è ancora tutto oggi per un colpo di scena che possa evitare il precipizio. 

«Mi sono impegnato ad evitare la scissione. Per Renzi sarebbe una catastrofe. Passerà alla storia come il segretario che non è riuscito a tenere unito il partito. Come se ad un sindaco gli venissero levati alcuni quartieri della sua città e rimanesse solo nel centro storico. In un partito non bisogna stravincere, piallando gli avversari. Il suo più grande fallimento sarebbe vincere il congresso ad aprile e poi perdere le elezioni. Sarebbe la sua rovina. Non ne vale la pena per tre mesi in più».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/02/18/italia/politica/emiliano-matteo-a-volere-questa-rottura-ma-per-lui-sar-una-catastrofe-J38AmHnC8p2MUUhIdtejpI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Oggi Alfano dà vita ad Alternativa popolare
Inserito da: Arlecchino - Marzo 20, 2017, 10:35:41 am
Oggi Alfano dà vita ad Alternativa popolare
Il partito è sempre lo stesso, non ci sono nuovi arrivi, il leader è sempre Alfano, ma il cambiamento del nome vuole essere una cesura con il passato
Pubblicato il 18/03/2017

AMEDEO LAMATTINA
Era da tempo che Angelino Alfano pensava di cambiare nome al suo partito per adeguarsi ai nuovi tempi politici. Deve rimettersi in gioco dopo l’esperienza di governo con il Pd di Renzi e soprattutto prendere le distanze dal vecchio centrodestra dove è cresciuta la stella dei sovranisti Salvini e Meloni. E nell’incertezza di Berlusconi che vorrebbe rifare la vecchia Casa delle Libertà, il ministro degli Esteri ha deciso di fare intanto un passo oltre i vecchi steccati, cancellando il Nuovo centrodestra, che nacque dal distacco da Forza Italia, e fa nascere Alternativa popolare. Questo il nuovo nome che debutterà oggi a Roma.

Il partito è sempre lo stesso, non ci sono nuovi arrivi, il leader è sempre Alfano, ma il cambiamento del nome vuole essere una cesura con il passato per mettersi sotto il vento del centrosinistra. Oppure di un nuovo centro nel caso in cui Berlusconi si staccasse dalla Lega e dai Fratelli d’Italia per virare nell’area più moderata. Ipotesi più difficile visto che i numeri dei sondaggi danno il centrodestra unito attorno al 30% e quindi molto competitivo: sarà difficile che non si mettano insieme. Allora c’è l’altra opzione, quella di un centrosinistra su cui puntano in molti tra i Democratici per evitare che vincano i 5 Stelle.
 
È chiaro che Alfano non può presentarsi all’appuntamento politico con il vecchio nome Nuovo centrodestra. Alternativa popolare è un’altra cosa, una nuova scelta di campo. «Ncd si evolve in nuovo soggetto politico - spiega l’ex ministro dell’Interno - che ne supera la denominazione ma che si conferma nella sua collocazione politica. Questo perchè in Italia è sorta essenzialmente una nuova destra che non intendo criticare ma che non ha nulla a che vedere con la ’D’ di quel centrodestra in cui abbiamo vissuto e abbiamo creduto in questi anni». 
 
Fabrizio Cicchitto spiega che molto probabilmente Alternativa popolare andrà alle elezioni da sola o con altre forze di centro, «ma non con il centrodestra e nemmeno con centrosinistra: questa è una novità. Ci auguriamo di intercettare il consenso degli italiani che non si riconoscono nei due schieramenti di centrodestra e centrosinistra». 
 
I compagni di strada non sono molti. L’Udc di Lorenzo Cesa ha virato verso Berlusconi. Raffaele Fitto è più vicino a Salvini. Chi invece potrà essere della partita centrista sono l’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, che controlla un pacchetto di voti in Sicilia attraverso Giampiero D’Alia, di Verona Flavio Tosi e Stefano Parisi. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/03/18/italia/politica/oggi-alfano-d-vita-ad-alternativa-popolare-8ixvJNzjsLsKn6UuS7LFVJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Manovra correttiva: rispunta l’aumento sulle accise di...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 22, 2017, 12:41:27 pm

Manovra correttiva: rispunta l’aumento sulle accise di tabacchi e carburanti
Nel decreto di Gentiloni e Padoan niente tagli alla spesa pubblica

Pubblicato il 17/03/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia, lo ha anticipato l’altra sera in commissione Ambiente della Camera: il governo intende inserire per decreto nella manovra correttiva alcune misure per la crescita. Un’anticipazione rispetto a quelle che ci saranno ad ottobre nella legge di stabilità. Adesso un antipasto, con un occhio particolare alla fiscalità di vantaggio per tutte le zone interessate al terremoto. Quello che però De Micheli non ha detto nella commissione presieduta da Ermete Realacci è che nello stesso decreto verrà previsto l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti. Non sembra che ci sia invece un taglio alla spesa pubblica. La decisione è stata presa nei giorni scorsi dal premier Paolo Gentiloni e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che si sono visti ieri a Palazzo Chigi per mettere a punto il Def. 

Renzi dovrà dunque farsene una ragione: il rientro di 3,4 miliardi entro il 10 aprile, chiesto da Bruxelles per correggere i conti ed evitare la procedura d’infrazione, verrà fatto anche con l’aumento delle accise. E questo nonostante 37 deputati renziani, in un atto di indirizzo al governo, avevano precisato che le risorse per correggere i conti pubblici avrebbero dovuto essere reperite «unicamente dal taglio alla spesa pubblica improduttiva e dalla lotta all’evasione fiscale». Lo stesso Renzi, più volte pubblicamente, aveva posto dei paletti al Tesoro: nessun aumento delle tasse, nemmeno delle accise. «Non possiamo spremere ulteriormente i cittadini. Il tema di non aumentare le tasse - aveva detto nella Direzione del Pd a febbraio - è un principio di serietà nei confronti dei cittadini».
 
L’ex premier deve vincere il congresso e poi affrontare una lunga campagna elettorale che lo porterà al voto nel 2018, se nel frattempo non succederà qualcosa che faccia precipitare verso elezioni anticipate. Una volata, quella dell’ex premier, che non prevede aumenti di tasse di alcun genere, accise comprese: «Sarebbe un errore politico». Ma a via XX Settembre non trovano una soluzione migliore per reperire una parte delle risorse necessarie per centrare l’obiettivo che ci viene chiesto da Bruxelles. Ma allo stesso tempo Padoan anticipa, rispetto alla legge di stabilità, alcune misure di crescita che sono necessarie anche per abbattere il debito pubblico: quel macigno che non consente di liberare risorse da destinare agli investimenti. È il problema dei problemi che tutti i governi hanno dovuto affrontare, senza mai risolverlo, e che ieri Piero Fassino nell’intervista alla Stampa ha posto a Gentiloni come prioritario. Il punto è che l’ex sindaco di Torino, tra le possibili soluzioni, indicava le privatizzazioni, mentre nel Pd c’è una componente robusta che non le vuole. Nella stessa Direzione del partito dello scorso mese Matteo Orfini aveva detto che non si può ricominciare con «la stagione delle privatizzazioni: serve al contrario una grande strategia di investimenti pubblici». Anche il ministro Graziano Delrio ha bloccato ogni ipotesi di vendita di asset pubblici, in particolare delle Ferrovie dello stato: «Ho dei problemi a privatizzare le Frecce con dentro il trasporto pubblico regionale». Quel giorno ad ascoltarli in platea c’era proprio Padoan. 
 
Gli scissionisti demoprogressisti si godono lo spettacolo e il senatore Miguel Gotor parla di «braccio di ferro tra il partito di Gentiloni-Padoan e quello di Renzi che vuole una manovra elettorale: questo è visibile su molte questioni, compresa quella delle privatizzazioni». Se ora arriva pure l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti non sarà una passeggiata approvare in Parlamento il decreto che serve alla manovra correttiva.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/03/17/economia/manovra-correttiva-spunta-laumento-sulle-accise-di-tabacchi-e-carburanti-taTGD6wcM4tGHg52Rx3RFO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “La Russia minaccia le nostre democrazie”
Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 04:59:02 pm
“La Russia minaccia le nostre democrazie”
Documento del Ppe: supporto continuo a forze anti-europee. Alfano: dibattito aperto. Interrogazione del Pd al ministro degli Esteri sui timori Usa sui rapporti Mosca-M5S
Il congresso del Partito popolare europeo a Malta ha riunito i leader moderati del vecchio continente
Pubblicato il 31/03/2017

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A LA VALLETTA (MALTA)

È grande l’allarme nel Partito Popolare europeo per il tentativo di Putin di condizionare la politica e le elezioni nel Vecchio Continente. E ha voluto metterlo nero su bianco in una delle risoluzioni votate mercoledì dal congresso del Ppe. Il capitolo si intitola «la disinformazione della Russia mina la democrazia occidentale». Un atto d’accusa violentissimo. «Gli Stati membri dell’Ue si trovano attualmente dinanzi ad una minaccia senza precedenti. Propaganda, campagne di disinformazione e supporto continuo a forze politiche anti-europee da parte della Russia minano il progetto europeo, la cooperazione transatlantica e le democrazie occidentali. Questa crisi - si legge nella risoluzione - ha raggiunto un livello allarmante». Il Ppe considera inaccettabili «la cyber-minaccia rappresentata dalla Russia che supera di gran lunga quella cinese». Viene ricordata l’annessione della Crimea, «la guerra ibrida contro l’Ucraina, l’invasione della Georgia e le campagne russe contro i Paesi baltici».

Sono quasi tre pagine fitte di accuse a Putin e in cui viene sottolineata la necessità di un lavoro di controinformazione che deve coinvolgere i media europei e la stessa Nato. Non vengono citati i partiti sostenuti da Mosca e non viene neppure scritto che sono finanziati, piuttosto è dato per scontato. Ma quando vai a chiedere ad alcuni congressisti del Ppe e a certi leader un commento svicolano. Come ha fatto il premier ungherese Orban. «Russia? Non ho letto la risoluzione, sorry». Per non parlare di Berlusconi che non sapeva come aveva votato la delegazione di Forza Italia. Forse contro, forse astenuta, sicuramente contro le sanzioni alla Russia. Quello che invece è successo è che gli azzurri qui al congresso Ppe non hanno nemmeno partecipato alle votazioni per lavarsene le mani. Sembra che Tajani, presidente del parlamento europeo, l’abbia presa male.
 
E Berlusconi che ne pensa del sostegno dell’amico Vladimir ai 5 Stelle? «Conosco personalmente Putin ed escludo che interferisca e sostenga populisti. Escludo che sia questa la realtà». Berlusconi non tradisce imbarazzo di fronte alla domanda sulle manovre di Mosca per destabilizzare alcuni paesi europei. Difende lo zar del Cremlino e si rammarica che sia tornato il clima di un’altra epoca. «Io ho l’orgoglio di avere posto termine alla guerra fredda nel 2002, facendo stringere la mano a Putin e Bush a Pratica di Mare. Sarebbe assurdo ricominciare». 
 
Intanto in Italia la capogruppo Pd in commissione Esteri, Lia Quartapelle, presenta un’interrogazione ai ministri degli Esteri e dell’Interno chiedendo lumi sul piano di destabilizzazione da parte russa e chiede che le prossime elezioni si svolgano in maniera serena. «Esiste il forte sospetto - scrive Quartapelle - che alcune campagne elettorali siano state finanziate con soldi russi. Nel 2014, la vittoria di Marine Le Pen fu accompagnata, come denunciato dal premier Valls, da un prestito di 9 milioni di euro da parte della First Czech Russian Bank, a cui sarebbero dovuti seguire altri 27 milioni per le presidenziali». Un altro deputato del Pd Andrea Romano è convinto che Mosca finanzi i 5 Stelle: «Bisognerebbe indagare, ma sono certi i rapporti tra hacker russi e attivisti grillini».
 
Una risposta c’è l’ha data il ministro degli Esteri Angelino Alfano presente anche lui a Malta. «Si tratta di vicende sulle quali anche il Parlamento europeo ha acceso i fari con atti parlamentari. Ma al momento non ci sono riscontri e prove. È chiaro però che è una vicenda sulla quale si è aperto già un dibattito».
 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/03/31/italia/politica/la-russia-minaccia-le-nostre-democrazie-xvs4AQMS0ZdVzDLT4tfJJJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Tutti pronti (a parole) a tagliare le tasse
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2017, 12:14:37 pm
Tutti pronti (a parole) a tagliare le tasse
Sull'onda di Trump, parte la corsa a promettere riforme fiscali. Nel Def c’è l’impegno a intervenire sul reddito.
I candidati alle primarie del Pd si dividono sulla patrimoniale. Ecco come i partiti mettono a punto le loro ricette

Pubblicato il 28/04/2017 - Ultima modifica il 28/04/2017 alle ore 07:31

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La battaglia elettorale prossima ventura sarà combattuta soprattutto su due argomenti: immigrazione e tasse. Sul fisco c’è una tendenza mondiale alla riduzione. Trump l’aveva promesso e in questi giorni ha annunciato (ancora è un annuncio) l’introduzione della flat tax al 15% per le aziende. In Francia il rush finale del ballottaggio è giocato tra Macron, che promette una sforbiciata della tassazione sulle imprese dal 33,3 al 25% e dei contributi sociali, e Le Pen che intende privilegiare una riduzione delle imposte sulle persone fisiche nelle fasce basse. 

E in Italia? Mercoledì alla Camera la maggioranza ha dato via libera al Def con una serie di raccomandazioni: a cominciare dall’impegno del governo a rivedere al ribasso l’Irpef. Impegni tanto generici quanto cavalcati da tutte le forze politiche da molti anni a questa parte. La rivoluzione fiscale è rimasta scritta nel contratto con gli italiani che Berlusconi firmò in tv nel 2001. Si è arrivati al bonus degli 80 euro che Renzi definisce «la più grande redistribuzione del reddito mai fatta in Italia. L’ha ripetuto l’altra sera su Sky durante il confronto sulle primarie. Emiliano ha bocciato la politica del governo Renzi tutta basata sui bonus: «Si è rivelata fallimentare». Orlando ha fatto un distinguo: «Bene gli 80 euro, ma è stato un errore chiederli indietro ad alcune fasce di contribuenti». I due sfidanti spingono sulla web tax e non escludono una sorta di patrimoniale: un contributo a chi guadagna cifre importanti. Renzi è invece contrario all’una e all’altra ipotesi. 
 
PD - PIÙ SOLDI ALLE FAMIGLIE CON TRE SOGLIE IRPEF 
Renzi pensa all’abbattimento delle tasse con tre sole aliquote Irpef. Il suo governo e l’attuale esecutivo hanno aiutato le imprese, ma oggi la vera questione è mettere più soldi in tasca alle famiglie. L’operazione degli 80 euro va ampliata tenendo conto del numero dei figli. Patrimoniale? No. Renzi sostiene che la vera patrimoniale è fare pagare le tasse a chi non le paga, cioè agli evasori. Ad una forma di patrimoniale pensa invece lo sfidante alle primarie Orlando, che parla in particolare di contributo di solidarietà dell’1% per chi ha ricchezze e redditi elevati. In particolare, sostiene il ministro della Giustizia, tutto quello che si ottiene dalla lotta all’evasione fiscale non deve essere destinata alla riduzione del debito pubblico ma ad abbassare Irpef dei redditi più bassi. Anche Emiliano insiste sul recupero della tassazione sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari. Propone la web tax sulle multinazionali che operano in rete e la riduzione dell’aliquota più bassa Irpef dal 23 al 20%.
 
M5S - DAI GRILLINI POCO SU IRPEF MA ABOLIZIONE DELL’IRAP 
Per il M5S la priorità è l’Irap, l’imposta sulle attività produttive. In tema di tasse i grillini hanno le idee chiare per quanto riguarda le imprese, meno sull’Irpef. Nel senso che non esiste ancora un disegno organico ma è in corso un ragionamento su scaglioni e aliquote. L’idea è di andare a sgravare i redditi medio-bassi, concentrandosi in particolare sui medi, quelli fino ai 55 mila euro - la stragrande maggioranza degli italiani - e che comprendono due scaglioni, il 27% e il 38%. Un salto che è troppo netto, e che, secondo il M5S, avrebbe bisogno di maggiore progressività. Ma per adesso è una discussione in itinere, anche perché insistere sul taglio all’Irpef rischierebbe di oscurare la proposta regina del M5S: il reddito di cittadinanza. Diverso il discorso sull’Irap. Il progetto sarebbe di recuperare il vecchio sogno di Silvio Berlusconi, di abolizione totale. Ma per adesso c’è la proposta del deputato Mattia Fantinati: abolizione per le microimprese, che hanno fino a 10 dipendenti.
 
FORZA ITALIA - ALL’INIZIO DUE ALIQUOTE POI FLAT TAX AL 22% 
Anche Berlusconi come Salvini pensa alla flat tax, ma non del 15%. Troppo bassa. Forza Italia pensa ad una percentuale di tassazione Irpef in una sola aliquota del 20-22%. Brunetta è convinto che alla fine sarà possibile mettersi d’accordo con la Lega. Il passaggio alla flat tax non potrà avvenire subito: l’arco temporale è almeno una legislatura perché bisogna prima di tutto creare le disponibilità finanziarie per un’operazione così radicale. E questo è possibile farlo attaccando il debito pubblico, con privatizzazioni e liberalizzazioni, e attraverso una politica rigorosa di spending review. Mano a mano che si liberano risorse è possibile far partire la tanto attesa riforma del fisco in Italia. Partendo dalla riduzione a due aliquote Irpef, per arrivare alla sola aliquota del 20-22%. L’obiettivo di legislatura, precisa Brunetta, è quello di portare la pressione fiscale complessiva, tra tasse e contributi, al di sotto del 40%. 
 
LEGA - TASSAZIONE SECCA AL 15%. OPERAZIONE SU EQUITALIA 
Il cavallo di battaglia di Salvini è la flat tax al 15% sia per le aziende sia per le persone fisiche. In questo la Lega è in sintonia con il presidente americano Trump, che però limita la flat tax alle sole imprese. I leghisti hanno anticipato questa proposta fiscale in tempi non sospetti. Da tempo ne parla Armando Siri, consigliere di Salvini, che spiega come sarebbe possibile compensare i buchi nelle casse dello Stato di una riduzione così imponente. Si tratterebbe di fare un’operazione di «saldo e stralcio» di tutte le posizioni di Equitalia. L’introduzione di una tassazione al 15% non verrebbe fatta subito, ma gradualmente. E non sarebbe, secondo il Carroccio, in contrasto con la progressività prevista dalla nostra Costituzione. Sarebbe vantaggiosa per il cittadino «strozzato dalle tasse». Sarebbe inoltre uno stimolo enorme alla domanda e ai consumi. Porterebbe ad aumentare il Pil, a fare emergere il sommerso e ad attrarre investitori stranieri.
 
ARTICOLO 1 - COLPIRE LE GRANDI RICCHEZZE E SANARE L’EVASIONE FISCALE 
I Democratici e Progressisti di Articolo 1 evitano di parlare di patrimoniale, di tassazione delle grandi ricchezze. Anche se tra di loro c’è chi non la esclude, preferendo però definirla un contributo di solidarietà da parte di chi ha di più. Su una cosa però sono tutti d’accordo: in Italia c’è troppa evasione fiscale, soprattutto dell’Iva che arriverebbe fino a 40 miliardi di euro. Ecco, per gli ex Pd deve essere aggredita questa montagna di risorse sottratte allo Stato e alla collettività per iniziare a ridurre effettivamente l’Irpef. Partendo dagli scaglioni più bassi per salire fino al ceto medio impoverito in questi anni. Un’operazione graduale che tenga sempre d’occhio il debito pubblico. Non è con i regali alle imprese, dalla riduzione dell’Ires ai super-ammortamenti, che si crea lavoro e maggiore benessere. Non è togliendo l’Imu sulle prime case ai ricchi che si redistribuisce ricchezza. La via maestra sono gli investimenti e un’effettiva progressività della tassazione: chi ha di più deve pagare di più.
 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/04/28/italia/politica/tutti-pronti-a-parole-a-tagliare-le-tasse-vLx5aI2poK0ObI9gsEIPrO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Mossa in chiave anti Renzi. L’offerta di D’Alema: lista con..
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2017, 12:18:01 pm
Dietro lo stesso striscione una sinistra pronta a unirsi
Mossa in chiave anti Renzi. L’offerta di D’Alema: lista con Pisapia
I leader dietro lo stesso striscione ieri a Milano per la festa del 25 Aprile


Pubblicato il 26/04/2017 - Ultima modifica il 26/04/2017 alle ore 01:31

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

È ancora tutto da costruire, ma a sinistra del Pd si accelera sul progetto di unire le forze in una lista unica. Una corsa contro il tempo per non farsi trovare impreparati quando Renzi schiaccerà il tasto “fine legislatura”. «Ma non chiamatela lista Mélenchon», dice Roberto Speranza. «Sarebbe un progetto troppo stretto - spiega il coordinatore dei Democratici Progressisti - e poi la Francia non è l’Italia. Mélenchon ha posizioni con venature nazionaliste e anti-europee. Anche noi critichiamo le politiche neo-liberiste ma siamo europeisti convinti. Noi vogliamo creare un’area larga progressista e di governo, non di semplice testimonianza». 

La prima saldatura dovrà essere fatta con l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e il suo Campo progressista. E non è un caso che ieri nel capoluogo lombardo, alla manifestazione dell’Anpi per il 25 Aprile, fossero tutti insieme dietro lo stesso striscione. C’erano i leader di Articolo 1 - Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, Enrico Rossi, Roberto Speranza - l’ex Sel Arturo Scotto e il capogruppo Francesco Laforgia. 
 
Accelerare e unire se possibile anche Sinistra italiana. Come ha precisato D’Alema l’altro giorno in un’intervista all’Huffington Post, ricordando la lezione francese che impone l’unità. «La sinistra, anche in Italia, deve prospettare una svolta rispetto alle politiche neo-liberiste, altrimenti si disperde. Nell’esperienza italiana questo può voler dire che a sinistra del Pd non c’è spazio per tre, quattro liste. Sarebbe un suicidio collettivo». L’ex premier auspica una fase costituente che porti a «un movimento unico, aperto e plurale che unisca Articolo 1, Sinistra italiana, Campo progressista». In Italia, nonostante non ci sia un sistema elettorale con il doppio turno, «si può prospettare uno scenario analogo, con una forza neocentrista come il Pd di Renzi al 23% come Macron, e una forza alla sua sinistra che abbia una consistenza tale da consentirle di esercitare un peso effettivo nella vita politica italiana». D’Alema non lo dice ma pensa almeno all’8% . Ma bisogna fare presto.
 
Dalle parti di Mdp sono convinti che, dopo avere vinto le primarie, Renzi vorrà portare il Paese a elezioni in autunno. A quel punto non saranno certo gli scissionisti a proteggere e sostenere il governo Gentiloni proprio mentre il neosegretario del Pd comincerà la sua campagna elettorale. I demoprogressisti incalzeranno l’esecutivo sulla manovra economica, cominceranno a prendere le distanze sulle misure economiche e sociali, chiederanno una svolta. I fuoriusciti da Sel come Arturo Scotto vorrebbero un atteggiamento persino più duro, arrivando a chiedere le dimissioni di Gentiloni. 
 
Tutto però dipende dall'accelerazione che vorrà imprimere Renzi alla fine anticipata della legislatura. In ogni caso, l’area a sinistra del Pd non vuole farsi trovare in mezzo a guado. Lista unica e schema di gioco da mettere in campo: Renzi dice che si vince al centro, dunque si apre un ampio spazio progressista con Pisapia. E forse con Sinistra italiana, pronta all’operazione. «Oggi più che mai è necessaria una sinistra forte per contrastare la destra e il neo-liberista Renzi», dice Nicola Fratoianni. Purché siano chiare le premesse di merito: politiche a sostegno del reddito, riduzione dell’orario di lavoro, politiche di investimento. Fratoianni è disposto a dimenticare il passato di D’Alema, i contrasti sulla politica economica dei governi dell’Ulivo e dell’Unione. «Oggi - spiega - conta discutere cosa serve al Paese. Articolo 1 ha detto che occorre un cambio di rotta con una certa dose di radicalità. Io dico una buona dose di radicalità». 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/04/26/italia/politica/dietro-lo-stesso-striscione-una-sinistra-pronta-a-unirsi-BKOBYggaiQDlD1fkEIH8oI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Parisi: “Se Berlusconi porta la sua dote a Salvini dà la ...
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2017, 10:41:57 am
Parisi: “Se Berlusconi porta la sua dote a Salvini dà la vittoria a Grillo”

Il fondatore di Energie per l’Italia: «Dobbiamo dire che siamo pro Ue»


Pubblicato il 04/05/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Stefano Parisi teme che alla fine Berlusconi porti i suoi voti a Salvini, con il risultato di un centrodestra che resterà fuori dal bipolarismo Pd-5 Stelle. «Così la vittoria di Grillo è assicurata».

Cosa dovrebbe fare il Cavaliere? 
«Occorre rivitalizzare l’area che c’è tra il Pd e i 5 Stelle, fare scelte chiare, liberali, soprattutto in campo economico. Bisogna dire ad esempio che l’Alitalia è un’azienda decotta, che andrebbe chiusa e non darle 600 milioni dei contribuenti. Noi di Energie per l’Italia stiamo rivitalizzando questa area con una costituente che non è l’aggregazione della diaspora di Fi. Vogliamo recuperare quella parte di elettori che non vota più per il centrodestra. Non sono contrario alle primarie ma serve una legge per farle credibili. Abbiamo presentato una proposta di legge di due righe che si può approvare in poche settimane. Ma dal centrodestra nessun segnale».
 
Il Cavaliere pensa che sarà sempre lui la guida moderata del centrodestra. 
«La politica deve essere rigenerata. Spero che non porti la sua dote di voti in un listone guidato dalla Lega. Sarebbe un listone perdente. Berlusconi deve scegliere un’alleanza popolare che dia un taglio netto con le politiche renziane e prenda le distanze dai cosiddetti “sovranisti”. In un sistema proporzionale quest’area raccoglierebbe un consenso di gran lunga superiore al peso elettorale di Salvini e Meloni. Ma bisogna dire con nettezza che stiamo dentro l’Europa e che non usciamo dall’euro. Bisogna uscire dall’ambiguità. Il nostro popolo non capisce. È disorientato».
 
Energia per l’Italia non è rilevata dai sondaggi. Se la nuova legge elettorale dovesse introdurre la soglia di sbarramento al 5% come farete ad entrare in Parlamento? 
«Io sono convinto che possiamo raggiungere tra 8 e il 10%. Stiamo aggregando liste civiche, realtà locali, consensi che da anni hanno abbandonato il centrodestra. Bisogna candidare persone competenti e credibili, avere programmi nuovi, non moderati, ma di radicale rinnovamento liberale».

 
Quindi è favorevole ad una soglia del 5%? 
«Sì. Noi abbiamo sempre proposto il sistema proporzionale tedesco che prevede anche la sfiducia costruttiva e non il premio di maggioranza».
 
In Francia chi voterebbe? 
«Mi piaceva Fillon, ma voterei Macron. La vittoria della Le Pen sarebbe una grave danno per la Francia ma anche per l’Italia. L’uscita di Parigi dall’euro sarebbe un guaio per noi, basti pensare che gran parte delle grandi aziende italiane sono nella sfera di influenza francese o partecipate dai francesi. Tanto per fare alcuni esempi: Telecom, Generali, Unicredit. La stessa Mediaset ne risentirebbe molto».
 
Lei in Sicilia sostiene la candidatura di Nello Musumeci insieme a Salvini e Meloni. Fi è contraria. Lei così si contraddice. 
«In Sicilia c’è un sistema maggioritario e si elegge il presidente della Regione. Il Pd è ai minimi termini dopo la disastrosa esperienza di Crocetta. Se il centrodestra non si mette insieme, M5S avrà davanti un’autostrada e se vincono in Sicilia…».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/05/04/italia/politica/parisi-se-berlusconi-porta-la-sua-dote-a-salvini-d-la-vittoria-a-grillo-R8slvqPULBRwbXPZ8L99yM/pagina.html



Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Piano di Renzi dalla Sicilia a Roma. “Così ribalteremo i...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 16, 2017, 08:58:59 am
Piano di Renzi dalla Sicilia a Roma. “Così ribalteremo i pronostici”
Si lavora a una coalizione che va da Ap alla sinistra.
Ma non c’è ancora un candidato.
Il sindaco Orlando mette il veto su D’Alia e lancia il rettore dell’Università Micari

Pubblicato il 10/08/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Matteo Renzi parte per le vacanze soddisfatto. I dati dell’economia sono positivi, secondo l’Istat. La tensione tra i ministri Delrio e Minniti è rientrata anche grazie al suo intervento. L’alleanza in Sicilia con Alfano è in dirittura d’arrivo. Le vendite del suo libro Avanti vanno a gonfie vele (primo in classifica nella saggistica). Tuttavia ha davanti un autunno pieno di incognite e attorno tanti nemici, anche dentro il partito, pronti a fargli la pelle se le elezioni regionali nell’isola dovessero andare male. Quando è andato a Palermo, la scorsa settimana, Renzi ha messo le mani avanti affermando che non si rifà certo il congresso del Pd e non si cambia il segretario se si perde in Sicilia. Sarebbe un suicidio a pochi mesi dalle politiche del 2018, ma lui a quel voto ci arriverebbe ammaccato e in condizioni di debolezza. Certamente non farebbe le liste elettorali come vorrebbe. 

Nonostante l’intesa con Alternativa popolare, Renzi è molto prudente sul risultato siciliano. Non dà nulla per scontato e ricorre alla vecchia schedina di calcio: «È una partita da 1X2». A questa partita non vuole dare valenza nazionale. Eppure ce l’ha e il leader dem ne è ben cosciente. Non è un caso che abbia dato un mandato politico ben preciso a Graziano Delrio e Lorenzo Guerini: l’intesa non è solo locale e così ha sbloccato l’impasse. Per eleggere i senatori la coalizione Pd-Ap verrà estesa a tutte le Regioni. La Sicilia è solo il primo tempo della partita nel quale segnare un punto a favore di Renzi per non essere messo in discussione e per scendere in campo nel 2018 in vantaggio rispetto agli avversari interni e alla sua sinistra.
 
In Sicilia però sia Mdp che Sinistra italiana faranno parte della coalizione che sfiderà i 5 Stelle e il centrodestra. È molto probabile che andranno a comporre la «Lista dei Territori» a forte impronta civica: amministratori, sindaci, esponenti delle associazioni e, appunto, candidati bersaniani e vendoliani. A questa lista sta lavorando Leoluca Orlando, rieletto proprio con una coalizione che va da Ap a Sinistra italiana. Vengono dal sindaco di Palermo i maggiori problemi ad accettare una candidatura a governatore indicata dai centristi. 
 
Orlando spinge per il rettore dell’Università palermitana Fabrizio Micari, un nome fuori dai giochi dei partiti. Pone il veto su candidature dal profilo tutto politico, soprattutto se centrista come Gianpiero D’Alia, e sul nome dell’eurodeputata del Pd Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso dalla mafia eletta a Strasburgo con oltre 130 mila preferenze. Sconta il fatto di essere stata assessore della giunta di Raffaele Lombardo.
 
Insomma, sulla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans anche il centrosinistra ha diverse difficoltà a scegliere. Ma il punto sempre più certo è che Alfano ha voltato le spalle al centrodestra e punta alla costruzione di un’area moderata alleata con il Pd. Deve far passare questa scelta, che non è solo locale, nel partito, da Milano a Palermo. Fa girare la voce che non c’è ancora una decisione definitiva, ma le parole del suo coordinatore siciliano e uomo forte nell’isola Giuseppe Castiglione sono chiare. «Il dialogo con il Pd c’è, va avanti, è positivo. E ribadiamo la nostra richiesta di una candidatura centrista alla presidenza della Regione. Le elezioni in Sicilia - ha sottolineato Castiglione - sono chiaramente di carattere locale, ma a pochi mesi dalle politiche, con il Pd stiamo chiaramente facendo una riflessione per costruire un percorso anche a livello nazionale». 
 
La strada sembra ormai segnata. Anche dentro Ap i tasselli stanno andando a posto. Due giorni fa Castiglione ha riunito il gruppo parlamentare dell’Ars e nessuno ha sollevato problemi. C’è stato un via libera quasi unanime. L’annuncio dopo ferragosto.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/08/10/italia/politica/piano-di-renzi-dalla-sicilia-a-roma-cos-ribalteremo-i-pronostici-fcYox5HlRYhTrxkZ7kC7LL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Referendum, rischio boom della Lega. E Berlusconi mette la...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 09, 2017, 05:07:01 pm
Referendum, rischio boom della Lega. E Berlusconi mette la sordina
Una vittoria farebbe crescere le richieste elettorali di Salvini
Roberto Maroni punta a superare il 50%, anche se in Lombardia non è previsto il quorum, a differenza del Veneto dove è necessaria la maggioranza degli aventi diritto. A Silvio Berlusconi sembra «una spesa inutile, una perdita di tempo»

Pubblicato il 06/10/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Anche a Silvio Berlusconi sembra «una spesa inutile, una perdita di tempo». Non lo dirà pubblicamente. Nelle ultime ore però lo ha confidato. Ha dato ragione a quei collaboratori e consiglieri che temono un risultato eclatante dei referendum sull’autonomia del 22 ottobre. Cominciano a crescere i dubbi ad Arcore per l’effetto che potrebbe avere la consultazione se le percentuali di affluenza andranno oltre le previsioni, centrando una netta vittoria dei Sì. Roberto Maroni punta a superare il 50%, anche se in Lombardia non è previsto il quorum, a differenza del Veneto dove è necessaria la maggioranza degli aventi diritto. Luca Zaia sta lavorando per il colpaccio: il 70% dei veneti alle urne e un formidabile mandato per trattare con Roma. Alla fine chi si intesterà la vittoria? La Lega, ovviamente, che batterà cassa non solo nella capitale ma anche nel centrodestra. 

Nelle regioni del Nord i leghisti farebbero l’asso pigliatutto o quasi dei collegi uninominali. Sempre che passi il Rosatellum. Ma inoltre si presenterebbero alle regionali, sempre nel 2018, con una notevole posizione di forza.
 
«Ecco - spiegano allarmati gli azzurri - a noi non conviene che i referendum passino alla grande. Va bene che vincano i Sì, ma una stravittoria ci penalizzerebbe». Si fanno già i calcoli. In Veneto ad esempio su 18 collegi a Forza Italia ne toccherebbero al massimo 3. Andrebbe meglio in Lombardia dove il partito è più forte nel territorio, ma nessuno ad Arcore si fa grandi illusioni. Il nuovo sistema elettorale inoltre sarebbe «un suicidio» sotto il Tevere, ma Berlusconi su questo tema, per il momento, non ascolta i catastrofisti: vuole evitare una legge con le preferenze e avere nella parte proporzionale le liste bloccate che gli consentono di decidere i candidati.
 
Il Cavaliere è in un vicolo cieco, stretto tra referendum sull’autonomia e riforma elettorale. Sul primo ha promesso a Maroni di sostenerlo, ma non ci metterà la faccia. Berlusconi non vuole risvegliare antichi istinti secessionisti padani, proprio in coincidenza con quanto sta accadendo in Catalogna. Nella sua agenda non sono segnati appuntamenti, iniziative pubbliche. Molto dipenderà dai rapporti con la Lega, da come andrà il vertice con Salvini. Parleranno certo di programmi, ma è chiaro che la vera posta in gioco è la leadership e il numero dei collegi da dividersi. Non è un caso che Giorgia Meloni, avendo capito il gioco di Silvio e Matteo, abbia sparato ad alzo zero sia sul referendum sia sul Rosatellum. Facendo infuriare Maroni che è arrivato a mettere in discussione la prosecuzione dell’alleanza con i Fratelli d’Italia alle prossime regionali lombarde.
 
È vero che un ottimo risultato referendario rafforzerebbe Maroni, che mantiene con il Cavaliere un solido rapporto e contrasta le «velleità» da premier di Salvini. Ma il segretario della Lega rimane Matteo e con lui Berlusconi dovrà sempre fare i conti. E allora il leader di Forza Italia non ha l’interesse che il successo delle due consultazioni per l’autonomia se li intesti la Lega in quanto tale. Tra l’altro ha visto alcuni sondaggi nei quali emerge che una grande maggioranza di elettori, in particolare nelle Regioni del Centro e del Sud, è contraria a questi referendum. E il consenso di Forza Italia è concentrato in queste Regioni.
 
C’è poi un altro elemento che sta valutando l’ex premier: gli è arrivata voce che la prossima settimana o pochi giorni prima che si aprano le urne referendarie del Nord, il governo concederà parte di quella autonomia che ha chiesto pure l’Emilia Romagna, senza avere chiamato al voto i suoi elettori. Un modo per depotenziare al massimo l’iniziativa leghista.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/10/06/italia/politica/referendum-rischio-boom-della-lega-e-berlusconi-mette-la-sordina-SuZbCvDFBgPuWFO3RNXVJK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Uno schiaffo ai governatori leghisti. Berlusconi snobba il re
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 12, 2017, 06:04:58 pm
Uno schiaffo ai governatori leghisti. Berlusconi snobba il referendum
Maroni insiste e cerca di convincerlo, ma il Cavaliere non sarà in piazza.
Nel giorno della manifestazione a Milano, kermesse di Forza Italia in Campania
Maroni annuncia che telefonerà ad Arcore per far cambiare idea a Berlusconi

Pubblicato il 10/10/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Non è chiaro a che titolo Roberto Maroni chiederà a Silvio Berlusconi di partecipare sabato prossimo alla manifestazione organizzata da Forza Italia a sostegno del referendum per l’autonomia. Ha però annunciato che telefonerà ad Arcore e, paradossalmente, lo «inviterà» ad andare ad un’iniziativa del partito dello stesso Berlusconi. «Sarebbe un bel segnale. So che è molto occupato, però ora non ha da fare con il Milan e magari un’oretta la trova», dice Maroni con una punta di sarcasmo che tradisce nervosismo sulla riuscita della consultazione. Non tanto sulla vittoria dei Sì, che sembra scontata, ma sull’affluenza alle urne: percentuali che faranno la differenza sulla forza che avrà il governatore quando dovrà trattare con Roma. 
 
Roberto ha bisogno di Silvio, del suo appello al voto. Ma l’ex premier non sarà a Milano: ha confermato la sua presenza a Ischia dove questo fine settimana si riunirà tutta la Forza Italia del Sud. Una sorta di stati generali voluta dal coordinamento campano. È vero che il leader azzurro sarà già da quelle parti. Venerdì andrà a Ravello per fare da testimone di nozze alla sorella della sua compagna Francesca Pascale (anche lei testimone). Una cinquantina di invitati, per lo più amici e parenti di Carlo Pasquale Gargiulo e Marianna Pascale, nel prestigioso hotel Caruso. Tutti lì si aspettano che il Cavaliere canti, accompagnato da Mariano Apicella. Sabato mattina lascerà la Costiera Amalfitana per sbarcare a Ischia, visitare la zona terremotata e poi nel pomeriggio parlare a quel partito del Sud che gli ha sempre dato grandi soddisfazioni.
 
«Altro che andare a Milano per dare una mano a Maroni», spifferano gli azzurri meridionali. I quali ci tengono a ricordare che i voti Forza Italia ce l’ha soprattutto nelle Regioni del Sud. In Sicilia, dove sono sicuri di vincere con Nello Musumeci. In Campania, in Puglia e in Calabria, dove Fi viaggerebbe su percentuali tra il 18 e il 20%. «Quanto ha invece Forza Italia in Liguria e nella stessa Lombardia? Attorno o sotto il 15%. In alcuni casi ben al di sotto del 10% come in Veneto e in Piemonte». Questo dicono e ricordano i “sudisti azzurri”.
 
Lo ricordano in particolare a Giovanni Toti e a Paolo Romani che nei giorni scorsi avevano sostenuto che al Sud Fi sia in caduta libera. Il governatore ligure aveva pure fatto riferimento ai sonori schiaffoni che Mara Carfagna e il coordinatore regionale Domenico De Siano avevano preso alle amministrative delle loro città, Salerno e Napoli. Che venga Berlusconi per loro è grande motivo di orgoglio. Soddisfazione doppia che il Cavaliere non vada a Milano per aiutare Maroni e la Lega che, in caso di forte affermazione del referendum, farebbero la voce grossa quando si tratterà di decidere gli equilibri nel centrodestra alle elezioni regionali e l’assegnazione dei collegi uninominali. Sempre che il Rosatellum riuscirà a passare le forche caudine del Parlamento. Maroni però preme, lo vuole al suo fianco. Salvini è più tiepido. Anche il leader leghista vorrebbe più autonomia per Lombardia e Veneto: non vuole però rafforzare troppo Maroni che è il suo vero avversario nel partito. Tra l’altro, l’incontro tra il Cavaliere e Salvini non dovrebbe tenersi questa settimana: il segretario del Carroccio attende prima l’approvazione del Rosatellum.
 
Cosa farà Berlusconi? In queste ore dovrà prenderà una decisione. Sabato manderà un messaggio alla manifestazione di Milano nel giorno in cui è a Ischia? Quanto si esporrà? Cercherà di sicuro di allontanare ogni accostamento con la Catalogna. Il Ppe ha le antenne alzate e a Ischia ci sarà pure il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2017/10/10/italia/politica/uno-schiaffo-ai-governatori-leghisti-berlusconi-snobba-il-referendum-jkpRPcMmTJqBc1OuXha7HN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. L’asse tra CasaPound e Salvini imbarazza Berlusconi e alleati
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 27, 2018, 05:41:56 pm
L’asse tra CasaPound e Salvini imbarazza Berlusconi e alleati
I neofascisti: pronti a sostenere un governo con lui premier. Il leghista apre

Pubblicato il 27/02/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

CasaPound tifa per un governo «sovranista» a guida leghista. «Se ci porta fuori dall’euro e dall’Unione Europea e blocca l’immigrazione, siamo pronti a sostenerlo. Dovrebbe essere un governo che non ha Tajani premier e Brunetta all’economia, ma Salvini premier e un Bagnai all’economia», precisa Simone Di Stefano. Intanto per sostenere un esecutivo di questa natura CasaPound dovrebbe eleggere qualche parlamentare e non sembra che il movimento che rivendica la sua identità fascista sia in grado di superare lo sbarramento del 3%. Ma quello che conta è il messaggio che il destinatario non disdegna per niente. Il leader leghista lascia la porta aperta. «Mi occupo di Lega e di centrodestra, lavoro perché gli italiani scelgano un governo di centrodestra a guida leghista. Tutto quello che accade fuori non mi interessa. Non vedo l’ora di essere messo alla prova, poi dal 5 marzo incontrerò tutti». Gli interessa far capire ad un potenziale elettore di CasaPound che, se non vuole sprecare il suo voto, c’è la Lega nazionale. 

Non è chiara la convenienza dell’endorsement fatta da Di Stefano, che guida una sua lista non coalizzata al centrodestra. Si tratta però di un riavvicinamento. Con le bandiere della tartaruga, CasaPound partecipò alla prima manifestazione del Carroccio a Roma, in Piazza del Popolo, il 28 febbraio del 2015. Durò poco la liaison: a novembre dello stesso anno i neofascisti non andarono alla manifestazione di Bologna, voluta da Salvini, sul cui palco salirono Berlusconi e Meloni. 

Adesso il riavvicinamento che imbarazza Forza Italia. «I gruppi di estrema destra - spiega Maria Stella Gelmini - sono lontani dalla nostra cultura. Noi guardiamo ai moderati, agli indecisi». In privato gli azzurri dicono che quelli di Matteo sono giochi elettorali: cerca di imbarcare dalla destra cattolica (a Milano ha giurato sulla Costituzione e il Vangelo con un rosario in mano) a quella neofascista . «Non ci sarà un governo sovranista guidato da Salvini, per cui i camerati di CasaPound si mettano il cuore in pace», sostiene uno dei più stretti collaboratori del Cavaliere. 

Gli azzurri non lo dicono, ma alla fine se questi «giochi elettorali» dovessero servire a vincere qualche collegio in più, soprattutto al centro e al sud dove si gioca l’esito elettorale, allora ben vengano. I più infastiditi sono quelli di Fratelli d’Italia. Meloni si è sempre tenuta alla larga da CasaPound che rappresenta un concorrente. Ancora peggio se una parte di quei voti di estrema destra andassero alla Lega che fa di tutto per caratterizzarsi come la nuova e vera destra italiana. Fratelli d’Italia poi non vuole che si continui a parlare di fascismo e antifascismo. E di essere schiacciato su posizioni di destra radicale. «I problemi veri e seri - dice Fabio Rampelli - sono altri». Chi prende con forza le distanze è Noi con l’Italia che ha ingaggiato una battaglia interna al centrodestra contro Salvini premier. «Chiusura netta senza sé e senza ma. Il centrodestra moderato e liberale - afferma Raffaele Fitto - non può dialogare né oggi né in futuro con forze politiche distanti e distinte totalmente da noi come CasaPound». 

Gli altri partiti parlano di «corrispondenza di amorosi sensi fra destra fascista e Lega sovranista» (il ministro della Giustizia Andrea Orlando). Un ex alleato come Fabrizio Cicchitto mette in evidenza «la bella compagnia nel centrodestra e la pericolosa copertura che Berlusconi sta dando a Salvini». Michele Anzaldi del Pd dice che «un governo Salvini-CasaPound è uno scenario da film horror: voti Berlusconi e ti trovi Casapound». 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2018/02/27/italia/speciali/elezioni/2018/politiche/lasse-tra-casapound-e-salvini-imbarazza-berlusconi-e-alleati-XBR8NhXZOgRNkYta9oWPUP/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. MATTEO SALVINI Una sola mano da giocare senza assi, ...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 05, 2018, 12:12:49 am
MATTEO SALVINI 

Una sola mano da giocare senza assi, vincere o diventare un comprimario 

(Di Amedeo La Mattina) 

I rivoluzionari, una volta al governo, si calmano. Diventano più pragmatici, fanno i conti con i numeri (quelli parlamentari e del bilancio pubblico) e gli alleati che non la pensano allo stesso modo. Potrebbe succedere pure a Matteo Salvini, che dice di voler fare la rivoluzione perché «quando prometti certe cose, guardando le persone negli occhi, senti una responsabilità enorme». Al governo, ancora di più se nel ruolo di premier, si gioca tutta la popolarità accumulata in questi anni nei quali ha sostituito il verde padano con il blu nazionalpopulista, il Dio Po e i riti pagani di Umberto Bossi con il Vangelo e il rosario. I «terroni» si sono un po’ convertiti e dovrebbero spingere Matteo verso le alte vette a due cifre per scavalcare Berlusconi e rispedire a Strasburgo il moderato europeista Antonio Tajani. Se non riuscisse nel sorpasso, diventerebbe un comprimario. Per far valere le sue posizioni sovraniste dovrebbe sommare i suoi seggi a quelli di Fratelli d’Italia, bilanciando l’asse dei moderati Forza Italia-Noi con l’Italia. Ma Giorgia ha il dente avvelenato con Matteo e non è disposta a spalancargli le porte della destra nazionale. 

Si gioca tutto Salvini nelle urne, da Milano a Trapani. Ha scommesso tutte le sue fiches su un solo colore nella roulette della politica. Lo dice lui stesso che ha una sola mano da giocare. «Gli italiani non mi darebbero una seconda occasione se fallissi». Se fallisse l’operazione Lega nazionale, se dovesse acconciarsi a una maggioranza e a un governo a trazione forzista, che guarda più alla Merkel che all’ungherese Orban, la pagarebbe a caro prezzo. La fila è lunga. Ad aspettarlo sulla riva del fiume sono in tanti. A cominciare da Roberto Maroni, che da domani è libero da impegni al Pirellone. 

Ma a fargliela pagare per le promesse non mantenute saranno gli elettori, soprattutto quelli meridionali che hanno cominciato a fidarsi del milanese che è andato a casa loro a promettere tasse al 15%, la protezione delle arance e dell’olio made in Italy dai prodotti nordafricani. E tanti rimpatri, a migliaia ogni mese. Petto in fuori, ha pure aggiunto che se Bruxelles dovesse mandargli una lettera con i compiti da fare a casa (come quella che arrivò a Berlusconi nel 2011), la butterebbe nel «bidone della carta da riciclare». I dubbi che possa farlo non mancano. 
Salvini si è imposto nel panorama politico italiano. Dalla notte delle scope dei Barbari sognanti che servirono a Maroni per far dimenticare lo scandalo Bossi-Belsito, la Lega di Salvini ha guadagnato più di dieci punti e la cavalcata continua. Ma sul tavolo della corsa al potere c’è un’infinità di promesse che da sola la Lega non può mantenere.

SILVIO BERLUSCONI 
Stanco e criticato dai suoi alleati, l’ex Cav teme il boom della Lega 
(Di Marcello Sorgi) 
Non è più lui. È stanco. Non sa più incantare il Paese. Ha fatto una campagna elettorale ripetitiva. Non ha saputo estrarre il coniglio dal cilindro come in tutte le campagne precedenti. Sembrava un disco rotto, sempre e solo «flat tax». Il contratto con gli italiani firmato per la seconda volta a Porta a porta s’è risolto in un’inutile parodia della geniale trovata di diciassette anni fa. È andato a rimorchio degli alleati, che, si vede, con lui non hanno alcun feeling e sono fin troppo più giovani di lui.

Il florilegio delle critiche - alcune delle quali indubbiamente motivate - è arrivato all’orecchio del vecchio Silvio. Qualche preoccupazione, inutile nasconderlo, ce l’ha anche lui: il timore che alla fine i 5 stelle prevalgano, che il crollo del Pd vada a ingrossare la lista di Di Maio, di ritrovarsi condizionato da un successo di Salvini e Meloni superiore alle aspettative, o che il Quirinale, in mancanza di una chiara maggioranza di centrodestra, che risulta ancora difficile da raggiungere, scelga altre strade. Queste idee frullano per la testa dell’ex Cavaliere, che ha scelto di trascorrere la vigilia del voto a Napoli, dove sempre gli è stata tributata un’accoglienza trionfale.

 Eppure basterà solo che stanotte il centrodestra si confermi primo come numero di voti, con un sensibile distacco sui pentastellati, e che Forza Italia superi, anche di poco, la Lega, per fargli cambiare umore. Silvio Berlusconi si era accostato alla settima campagna elettorale della sua ormai lunga vita politica con nelle vele il vento della vittoria alle regionali siciliane, ciò che gli aveva fatto immaginare possibile, anche se non garantito, la replica del risultato su scala nazionale. Di qui la sua testarda volontà di rimettere in piedi la coalizione - che non si può più definire «berlusconiana», ma di cui rimane tuttavia federatore -, anche con alleati che non fanno mistero di non riconoscere più la sua leadership, e puntano apertamente a disarcionarlo. 

Il florilegio di punzecchiature e vere e proprie polemiche con Salvini e Meloni, il dichiarato dissenso sull’Europa, specie quando, negli ultimi giorni, dopo il viaggio di Meloni a Budapest e l’incontro con Orbán, anche il leader leghista ha rispolverato gli slogan anti-euro, la scelta del presidente dell’Europarlamento Tajani come candidato-premier, hanno riaperto il solco delle divisioni interne al centrodestra. E nessuno è in grado di prevedere cosa succederebbe dopo il voto, se Berlusconi, in mancanza di una maggioranza parlamentare, dovesse strizzare l’occhio a Renzi. Il rischio vero è che non ci siano i numeri neanche per un governo di larghe intese e Salvini e Meloni, d’intesa con Di Maio, puntino a un ritorno alle urne.

 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Salvini troppo spregiudicato In Forza Italia scatta l’allarme.
Inserito da: Arlecchino - Marzo 19, 2018, 11:08:34 am
“Salvini troppo spregiudicato”. In Forza Italia scatta l’allarme
I timori di Gianni Letta: così rischiamo un esodo verso il Carroccio
Il leader della Lega è in tour per l’Italia per ringraziare gli elettori della Lega
Pubblicato il 17/03/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Il termine più gettonato dentro Forza Italia per definire Salvini è «spregiudicato». Berlusconi conosce bene la logica che in politica guida i vincitori: non si fanno prigionieri, si impone la linea. E si rende conto di quanto il leader leghista sia tentato di assegnarsi il primo round post-elettorale, quello delle presidenze di Camera e Senato. Avendo già dato per scontato che Montecitorio vada a M5S, Salvini non intende cedere il più alto scranno di Palazzo Madama a Paolo Romani. Di lui non si fida. Ritiene che se diventasse la seconda carica dello Stato, avrebbe un peso rilevante nel secondo round quando si dovranno trovare una maggioranza e formare il governo. 

Cosa succederebbe infatti se Salvini non riuscisse nel suo intento e fosse costretto a passare la mano ad un altro? Romani, nella veste di presidente del Senato, sarebbe un protagonista istituzionale che potrebbe rendere la vita particolarmente difficile ad eventuali accordi governativi Lega-M5S. Salvini avrebbe un problema a far eleggere Roberto Calderoli alla presidenza del Senato perché non è un suo fedelissimo. È ciò che sostengono i berlusconiani e in parte dicono la verità, ma il leader leghista potrebbe puntare per quella carica sulla neo-senatrice Giulia Bongiorno. «Sarebbe un pugno in un occhio a Berlusconi», precisano ad Arcore.

Salvini minimizza l’agitazione forzista, assicura che con Berlusconi c’è «totale sintonia». «Come leader del centrodestra parlo e mi muovo a nome di tutti gli alleati. Con loro stiamo lavorando alla squadra e al programma di governo mentre vedo che il Pd litiga e i 5 Stelle non si capisce cosa vogliano fare». Per la verità dentro Fi è scattato l’allarme rosso. Molti temono che l’ex Cavaliere non riesca più a contenere lo «spregiudicato Matteo», non abbia la forza di vincere la battaglia del Senato. «Se questo accadrà, saremo travolti e comincerà un esodo verso la Lega, soprattutto nelle Regioni del Sud. Forza Italia diventerà un esercito in rotta». Sembra che questo sia il concetto che Gianni Letta abbia spiegato a Berlusconi in persona in maniera meno pacata del solito. Addirittura orecchie sensibili raccontano di averlo sentito urlare (cosa che ha dell’incredibile), mentre parlava al telefono, per la sua esclusione dal vertice del centrodestra martedì scorso. 

In effetti Gianni Letta non era stato nemmeno invitato. Accanto al grande capo c’erano solo Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli nei confronti dei quali serpeggiano i malumori dei colonnelli. Il problema è che a pensarla come Letta ci sono pure due amici storici del leader azzurro come Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. È un vasto fronte che ritiene già il primo round delle presidenze di Camera e Senato la trincea in cui resistere all’avanzata leghista. «Se la Lega aspira alla designazione di Salvini come presidente del Consiglio, allora la presidenza del Senato spetta a Fi. Non può un solo partito monopolizzare tutto», precisa Maurizio Gasparri. «Anche perché - aggiunge Osvaldo Napoli - una cosa è vincere con il 17%, un’altra è volere stravincere umiliando il 14% di Fi. Se si rompe la coalizione è un male per tutti». 

Tra martedì e mercoledì ci dovrebbe essere un altro incontro tra l’ex Cavaliere e Salvini. «Sarà l’occasione - sostengono ad Arcore - per reagire con forza». Il leader leghista, per la verità, non sembra per niente «terrorizzato» da questa reazione, anzi afferma che sono tutte paure di chi vorrebbe un’interlocuzione privilegiata con il Pd. E per evitare doppi giochi, chiede che al Quirinale per le consultazioni vada una sola delegazione del centrodestra. È un modo per evitare che con Berlusconi e Meloni si decida una linea e poi nello Studio della Vetrata, davanti al Capo dello Stato, si parli un’altra lingua. Proposta respinta al mittente. Fratelli d’Italia e Forza Italia andranno con la loro delegazione e i loro capigruppo. Con una piccola ma significativa premessa: con l’arrivo dei senatori eletti con di Noi con l’Italia, il gruppo di Fi raggiunge quota 63. Sarebbe il secondo gruppo del centrodestra, scavalcando la Lega. E siamo solo all’inizio.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/03/17/italia/politica/salvini-troppo-spregiudicato-in-forza-italia-scatta-lallarme-PtZ8YX41ZFQM5fPpB123HK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA Salvini e il patto con Di Maio: braccio di ferro sulla premier
Inserito da: Arlecchino - Marzo 25, 2018, 06:08:28 pm
Salvini e il patto con Di Maio: braccio di ferro sulla premiership.

E spunta l’ipotesi di un terzo nome

Berlusconi stretto in un angolo: «Perché Luigi non mi chiama?».

Pubblicato il 21/03/2018

Amedeo La Mattina, Ilario Lombardo
Roma

Chissà se nei colloqui quotidiani con Silvio Berlusconi il leader della Lega gli ha spiegato tutti i suoi piani per trovare una maggioranza di governo. Compresi i piani B e C. Una cosa è certa: Matteo Salvini ripete come un mantra che «senza i 5 Stelle sarà difficile trovare una soluzione» al rompicapo post-elettorale. L’intesa deve passare per forza «dall’altro vincitore» che si chiama Luigi Di Maio. Il capo del Carroccio non sta facendo il doppio gioco, non intende cercare un accordo solitario e rompere con il centrodestra. In questa fase, Salvini lavora al piano A. E’ impegnato a trovare una maggioranza di governo insieme con Berlusconi e Giorgia Meloni. Oggi i tre leader si vedranno a Roma, per chiudere sulle presidenze di Camera e Senato. Ma è inevitabile che si parlerà pure di cosa fare dopo. 

Ecco, appunto: c’è un dopo, se il piano A dovesse fallire. «L’interlocutore del centrodestra - sostiene Salvini con i suoi consiglieri - è Di Maio». Il leghista proverà prima a muovere l’intera coalizione, cercherà un mandato, andrà a verificare se c’è una maggioranza, provocando Di Maio con le sue stesse argomentazioni. Chiederà il sostegno al M5S, richiamandoli al «senso di responsabilità», consapevole di poter fallire. È al limite dell’impossibile che i grillini possano votare un governo di destra, dove uno dei protagonisti è ancora Berlusconi, «il condannato», considerato nel Movimento il «male assoluto».

Ma questo è solo il primo round. Successivamente scatterebbe il piano B. Salvini ammetterà l’impossibilità di formare una maggioranza e lascerà spazio a Di Maio. «Toccherà a lui provarci» spiega. Entrambi sanno già che potrebbe andare così. In quel caso proveranno a sedersi attorno a un tavolo per scrivere programma e lista dei ministri. Sarebbe un governo fortissimo nei numeri ma complicato da comporre per le differenze programmatiche (difficile mettere insieme reddito di cittadinanza e flat tax al 15%), ma non impossibile. «Niente è impossibile», ripete Salvini, per nulla indifferente alle sirene dei 5 Stelle. Di Maio cercherebbe una maggioranza, avendo in tasca il patto con Salvini che, dopo il suo tentativo andato a vuoto, potrà disimpegnarsi dagli alleati in nome della responsabilità. Un’ipotesi sdoganata ieri anche dal leghista Giancarlo Giorgetti a Porta a Porta: «Se si trovano punti su cui concordare può essere una soluzione».

L’unico scoglio, che sia il leghista sia il grillino hanno ben presente, è la premiership. Chi farà il presidente del Consiglio? Salvini ha già detto che è «pronto a fare un passo indietro». Ma per lui è più facile, ha preso il 17% dei voti. Più complicata la rinuncia di Di Maio, forte del suo 32% e della disponibilità a sacrificare i ministri di peso. «Su Luigi premier non si cede» dicono nello staff. Nessun veto su Salvini ministro dell’Interno, ma è solo il premier che darà una garanzia politica ai 5 Stelle.

Dovesse saltare l’intesa, si arriverebbe alla terza ipotesi per sfinimento: un governo guidato da una personalità indicata dal presidente della Repubblica gradito a leghisti e grillini, che comunque manterrebbero le quote di maggioranza dell’esecutivo. Il premier sarebbe un traghettatore verso il nuovo voto. Ma come si sa, un governo può nascere istituzionale (e di breve durata) e poi diventare politico. «Niente robe alle Monti, però», avverte Salvini, trovando d’accordo Di Maio, convinto ormai che non convenga più tornare alle elezioni.

Davanti alle nozze grillo-leghiste, Fratelli d’Italia andrebbe all’opposizione. Forse pure Fi, ma c’è chi scommette che, pur di non misurarsi con una nuova gara elettorale a rischio per gli azzurri, Berlusconi potrebbe dar prova della sua adattabilità da manager. E in tal senso le ultime indiscrezioni sono sorprendenti. L’ex premier avrebbe ammesso con l’alleato leghista di avere sbagliato campagna elettorale, tutta impostata sui grillini che «non hanno mai lavorato, né hanno mai fatto una dichiarazione dei redditi». Ha capito di aver infilato due dita negli occhi ai giovani del Sud e a chi, nonostante una laurea, non trova un’occupazione. Di fronte allo stupore di tutti, e per primo di Salvini, il mago della comunicazione e della propaganda Berlusconi ha ammesso i suoi errori. Di più. Ha seguito Di Maio in tv e di fronte a Meloni si è sbilanciato in apprezzamenti: «Ha solo 31 anni ma è proprio bravo». Un complimento che è arrivato all’orecchio dello stesso leader grillino. Chi nel centrodestra conosce il fiuto di Berlusconi e la sua spregiudicatezza, crede però ci sia una precisa intenzione in queste confessioni, magari fatte uscire ad arte per aprire un impensabile canale di dialogo con i 5 Stelle. Quando un noto colonnello forzista ha consigliato a Di Maio di chiamare l’ex Cavaliere, il grillino è rimasto muto. Una telefonata che Berlusconi vorrebbe ricevere per un semplice motivo: «Sono io il leader di Forza Italia». Una telefonata che però, a sentire lo staff M5S, è impossibile. «Mai con Berlusconi», «noi con lo psiconano? (il nomignolo affibbiatogli da Grillo, ndr) Tutto ha un limite. Per molti di noi il M5S è nato proprio contro di lui». 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/03/21/italia/politica/salvini-e-il-patto-con-di-maio-braccio-di-ferro-sulla-premiership-e-spunta-lipotesi-di-un-terzo-nome-XVTaRY4jZp1VB8YOXMbdVN/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Fontana: sanzioni a Mosca da abolire ci sono costate un ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 17, 2018, 08:47:07 pm
Fontana: sanzioni a Mosca da abolire ci sono costate un miliardo all'anno
Il vicesegretario leghista: “Volker sembra l’inviato di Obama, non di Trump”
Pubblicato il 17/04/2018 - Ultima modifica il 17/04/2018 alle ore 07:27

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Nell’intervista che avete pubblicato sembra che Kurt Volker sia l’inviato in Ucraina di Obama e non di Trump». Lorenzo Fontana, vicepresidente della Camera e vicesegretario della Lega, è uno dei più stretti collaboratori di Matteo Salvini con il quale ha condiviso per molti anni i banchi del Parlamento europeo. È convinto che sulle sanzioni alla Russia stia crescendo la consapevolezza della loro inutilità.

Salvini le cancellerebbe subito una volta al governo. L’Italia però non potrebbe farlo da sola. Sono misure europee, come ricorda Volker. 
«È una decisione da prendere sul tavolo europeo, ma bisogna andarci convinti, determinati. È maturata la convinzione che le sanzioni non abbiano portato a nulla. Hanno però danneggiato le nostre imprese, ci sono costate circa un miliardo di euro all’anno. Queste sono le gravi conseguenze, non quelle che paventa Volker. Dobbiamo semmai chiederci se lo stesso danno economico ha pesato su altri Paesi europei che sono contrari a cancellare le sanzioni alla Russia. L’Italia deve farsi sentire, alzare la voce».

È questo il modo per risolvere il problema? L’Italia non rischia di essere isolata? 
«Alzare la voce non significa fare i gradassi. Si tratta di far capire che l’Italia ha degli interessi da difendere. Ma, scusate, Trump giustamente dice “America first” e noi della Lega diciamo” Prima gli italiani”. Ora non capisco per quale America stia parlando Volker: è ancora quella di Obama? Le sue parole mi sorprendono. Il presidente degli Stati Uniti ha, su molte questioni, le nostre stesse posizioni, dall’immigrazione al nazionalismo identitario: è quello che Volker critica». 

Già, Volker sostiene che la Russia stia cercando di destabilizzare l’Europa, di indebolire l’Occidente, favorendo «movimenti anti immigrazione», gruppi di estrema destra e di estrema sinistra o nazionalisti. Non lo dice, ma sembra inserire nella lista dei cattivi pure la Lega, sospettata di essere finanziata da Mosca. 
«Guardi, io lo so bene come abbiamo fatto la campagna elettorale: quasi senza un euro. Ho pure seguito la campagna americana e ho visto che Trump voleva avvicinarsi alla Russia e oggi è accusato di essere stato aiutato dalla Russia. È la stessa accusa che viene fatta ai movimenti nazionalisti europei. Volker e molti altri dicono che Mosca stia tentando di destabilizzare l’Occidente ma faccio una domanda retorica: non ci sono altre potenze mondiali che cercano di fare la cosa contraria? La Cina e gli stessi Stati Uniti non fanno politiche di destabilizzazione in altri scenari politici del mondo? Non si tratta di essere amici di Trump o di Putin, ma la cosa più sensata è che tra loro ci sia dialogo. L’Italia e l’Europa dovrebbe essere la cerniera tra Usa e Russia».

L’accusa è: la Russia non ha rispettato gli accordi di Minsk. Non pensa che occorra ristabilire la sovranità dell’Ucraina. 
«Bisognerebbe dire bene come stanno le cose. Sappiamo che in Ucraina c’è stato un mezzo colpo di stato in un territorio con forte presenza russa. Se ci fosse un referendum vorrei vedere come andrebbe a finire. È necessario invece un tavolo di concertazione diplomatica per una riappacificazione. Da questo punto di vista la stretta di mano a Pratica di Mare è stato il punto più alto del governo Berlusconi. Poi se vogliamo dirla tutta, in questa vicenda ci sono interessi economici legati al gas russo. Anche noi siamo d’accordo che non deve essere l’unica fonte di approvvigionamento energetico dell’Europa, ma non si può far finta che il contrasto sia solo una questione politica o di diritti umani».

Lei non pensa che uno dei problemi che rende difficile l’ingresso di Salvini a Palazzo Chigi sia proprio la posizione sulla Russia e sulla guerra in Siria? 
«Non credo che questo abbia portato allo stallo di questi giorni. Non so che governo sarà possibile fare ma alcune cose sono chiare. Se siamo partner e alleati in Europa dobbiamo esserlo alla pari. Per troppo tempo abbiamo subito nelle istituzioni europee la sudditanza di Germania e Francia. In Europa le nostre posizioni si stanno diffondendo. I movimenti identitari stanno crescendo e lo vedremo l’anno prossimo alle europee: se riusciremo a formare un’alleanza, saremo se non il primo il secondo gruppo a Strasburgo. È lo stesso filone politico che ha fatto vincere Trump negli Stati Uniti, Salvini in Italia». 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/04/17/italia/politica/fontana-sanzioni-a-mosca-da-abolire-ci-sono-costate-un-miliardo-allanno-scdksiDeflmv7AdLp0mmQJ/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il centrodestra si divide alle consultazioni con Casellati...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 19, 2018, 01:46:50 pm
Il centrodestra si divide alle consultazioni con Casellati, i veti mettono già a rischio l’esplorazione

Pubblicato il 18/04/2018 - Ultima modifica il 18/04/2018 alle ore 18:49

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Questa volta il centrodestra si presenta diviso alle consultazioni con Elisabetta Alberti Casellati, incaricata dal capo dello Stato di esplorare se esistono le condizioni per una maggioranza M5S-centrodestra. Giovedì scorso invece Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si erano presentati al Quirinale con una delegazione unitaria.

Il leader della Lega aveva letto una dichiarazione che riassumeva la posizione comune della coalizione. Oggi invece a Palazzo Giustiani sono andati in ordine sparso, nonostante la presidente del Senato sia l’esponente istituzionale espressione del centrodestra. Tra l’altro la delegazione del Carroccio è composta dai soli capigruppo Giorgetti e Centinaio, mentre Salvini ha dato forfait. Ha detto che aveva un aereo per Catania dove è andato per esprimere la sua solidarietà ai 100 lavoratori dell’ipermercato Auchan che rischiano il posto di lavoro e dormono in azienda da 15 giorni.

L’appuntamento era stato preso da giorni, ma l’assenza di Salvini all’incontro con la Casellati ha sollevato una serie di supposizioni, tra quali quella di essere arrabbiato con il capo dello Stato che ha limitato l’incarico della presidente del Senato a 48 ore. Infatti dovrà riferire già venerdì al presidente della Repubblica. L’altra ipotesi è che inutile ritiene questo giro di consultazioni se il capo dei 5 Stelle continua a impuntarsi a voler fare il premier e mettere veti a Berlusconi. E a proposito dell’ex Cavaliere, che invece è andato al colloquio a Palazzo Giustiani con le capogruppo Gelmini e Bernini, Salvini continua a osservare che dovrebbe smettere di porre veti ai 5 Stelle. Sono i veti contrapposti quelli di Di Maio e Berlusconi, sostiene il leader del Carroccio, che stanno impedendo di dare al Paese un governo.

Berlusconi invece non ci sta ad essere tagliato fuori da ogni tipo gioco politico. E fa presente di non essere disposto a fare un passo di lato per consentire l’accordo Lega-M5S. Andare insieme alle consultazioni della Casellati in fondo avrebbe avuto il significato di replicare la finta unità del centrodestra. Cosa che Di Maio ha avuto con facile gioco a evidenziare. 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/04/18/italia/il-centrodestra-si-divide-alle-consultazioni-con-casellati-i-veti-mettono-gi-a-rischio-lesplorazione-CzjSfi8VjPdZ5fNWeSfecO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Accordo con i 5 Stelle senza Fi”, così Salvini scaricherà...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 27, 2018, 12:26:19 pm
“Accordo con i 5 Stelle senza Fi”, così Salvini scaricherà Berlusconi
Ma il leader leghista: mi presento alle elezioni con una squadra e vado avanti con quella squadra
Salvini è convinto che il voto del Friuli Venezia Giulia sarà determinante e che registrerà il sorpasso della Lega su Forza Italia
Pubblicato il 27/04/2018 - Ultima modifica il 27/04/2018 alle ore 10:31

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Luigi Di Maio continua a dire che il forno della Lega è chiuso e aspetta, come ha promesso al Capo dello Stato, che la prossima settimana la direzione del Pd si pronunci. Ma cosa farà il leader dei 5 Stelle quando Matteo Salvini annuncerà di essere disponibile a un accordo di governo senza Silvio Berlusconi? L’annuncio verrà fatto subito dopo le elezioni in Friuli Venezia Giulia, quindi tra lunedì o martedì, prima della riunione dei Democratici fissata per il 3 maggio. Nessuno scommette un euro sul via libera di Matteo Renzi: in casa leghista ci si prepara alla svolta e alla rottura con Forza Italia. Il conto alla rovescia è iniziato. «Si apre una fase nuova», spiega Salvini che critica il Presidente della Repubblica per il tempo concesso al «surreale» dialogo M5S-Pd. «Una perdita di tempo per consentire un raccapricciante esecutivo alla faccia del voto degli italiani». 

La svolta di Salvini è maturata negli ultimi giorni quando è stata sempre più chiara l’intenzione di Berlusconi di boicottare ogni possibile intesa con i pentastellati e di lavorare «per un altro, ennesimo inciucio con il Pd». Senza escludere, da parte dell’ex Cavaliere, l’ipotesi del governissimo o di esecutivo del presidente che sarebbe «un altro esperimento dei tecnici sulla pelle degli italiani». Questa è la convinzione del segretario della Lega, che è consapevole di non godere della benevolenza del Capo dello Stato. Sa che mai gli darebbe l’incarico come premier del centrodestra per cercarsi i voti che gli mancano in Parlamento. Ma al Quirinale, dice Salvini, dovranno farsene una ragione se fallirà, come è probabile, il tentativo di scongelare Renzi e tornerà in primo piano la possibilità di costruire una maggioranza M5S-Lega. E questa volta Salvini non aspetterà la disponibilità di Berlusconi nei confronti dei grillini, ai quali farebbe pulire i cessi di Mediaset o paragonati a Hitler. Sono numerose le voci che danno credito a questa possibilità, anche se stamen Salvini esprime un’opinione di senso differente: «Non vedo perché dovrei cambiare idea ogni quarto d’ora: non faccio come Renzi o Di Maio. Mi presento alle elezioni con una squadra e vado avanti con quella squadra». 

Ora voce agli elettori del Friuli Venezia Giulia che, secondo il leader del Carroccio, plebisciteranno con percentuali quasi bulgare il suo ex capogruppo Massimiliano Fedriga. Soprattutto regaleranno alla Lega il sorpasso ai danni di Forza Italia. Sorpasso che Berlusconi teme come la peste. E infatti si è tuffato da giorni nella campagna elettorale delle regionali. Non è un caso che ieri abbia ricordato il «risultato molto basso» di Forza Italia alle politiche del 4 marzo. «Abbiamo un distacco troppo forte dalla Lega. Di questo Salvini potrebbe approfittarsi se rimanesse un distacco così grande per imporci le sue visioni», ha detto l’ex premier, invitando i friulani a votare per gli azzurri alle regionali di domenica. Poi a Trieste è tornato alla sua visione della coalizione a guida moderata, con Forza Italia «unico argine italiano al populismo, interno al centrodestra (leggi la Lega, ndr) e al populismo rappresentato dai 5 Stelle». 

 
Le distanze crescono nel centrodestra. Anche le valutazioni delle mosse del Presidente della Repubblica sono diametralmente opposte. Intanto vengono sondate in maniera informale le basi parlamentari e il responso è univoco. Giancarlo Giorgetti racconta delle conversazioni tra deputati e senatori della Lega e del Movimento 5 Stelle. «Mi dicono che la stragrande maggioranza dei grillini vuole fare il governo con noi. E noi un governo al Paese dobbiamo darlo, non possiamo rimanere senza ancora per settimane». Gli italiani, aggiunge Salvini, sono «ostaggio dei litigi del Pd e delle ambizioni di potere dei 5 stelle». Ma non chiude la porta in faccia nemmeno all’ambizione di potere di Luigi Di Maio. Sì, perché il leader leghista ora è disposto pure a concedere a Di Maio la presidenza del Consiglio in cambio di forti punti programmatici e ministeri pesanti. Circola pure l’idea di una «staffetta» tra Salvini e Di Maio durante la legislatura. Idea già bocciata dal capo grillino quando era ancora aperto il primo forno. Un’altra ipotesi è che Salvini rimanga fuori dal governo e continui a fare quello che finora ha fatto meglio: il leader di partito, pungolando dall’esterno l’esecutivo. 

Matteo ha messo in conto l’ira di Berlusconi e la retromarcia di Di Maio. Il suo annuncio di voler fare un governo con i grillini sarà accompagnato da un appello a seguirlo in un nuovo rassemblement politico. Nella Lega sono convinti che molti azzurri hanno già la valigia in mano.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/04/27/italia/accordo-con-i-stelle-senza-fi-cos-salvini-scaricher-berlusconi-bYPeAlerOSmnqUqamwpWtI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Lega e M5S, dopo il contratto di governo quello di desistenza
Inserito da: Arlecchino - Giugno 10, 2018, 12:44:31 pm

Lega e M5S, dopo il contratto di governo quello di desistenza: non oscuriamoci i ministri
Nei dicasteri affidati a un partito, l’altro avrà i sottosegretari: che però non si sovrapporranno al titolare. Sconfinamenti autorizzati solo per i tecnici

Pubblicato il 09/06/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Mai rubarsi la scena, mai invadere le competenze degli altri. E se questo vale per i due leader della maggioranza al governo, a maggior ragione deve valere per i singoli ministri leghisti e pentastellati. Un esempio concreto di questo metodo concordato si è avuto giovedì scorso, quando Matteo Salvini è arrivato all’Assemblea generale della Confcommercio senza dire una parola e ha poi lasciato l’Auditorium di via della Conciliazione muto come un pesce, evitando taccuini e microfoni. Cosa insolita per il capo del Carroccio, che coglie tutte le occasioni per dire la sua. Invece l’altro ieri si è seduto in prima fila ad ascoltare l’intervento di Luigi Di Maio al debutto nella veste di super-ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, ha preso qualche appunto, ha applaudito e poi via.

Anche se una traccia della sua presenza tra gli operatori del commercio alla fine l’ha voluta lasciare sotto forma di tweet: «Qui a Confcommercio, con chi produce e resiste! Commercianti, partite Iva e imprese hanno bisogno di pace fiscale, flat tax, eliminazione di spesometri, redditometri, studi di settore e burocrazia, questo sarà il nostro impegno di governo». Insomma, non poteva passare del tutto sotto silenzio la sua presenza. Del resto, in quella sala c’era l’elettorato che è stato tradizionalmente fedele al centrodestra e ha sempre riservato standing ovation all’amico Silvio Berlusconi. Ora, a rappresentarli al governo è Salvini, anche con la difesa del Made in Italy attraverso il ministero dell’Agricoltura e del Turismo, affidato al leghista Gianmarco Centinaio. Ma gli applausi li ha lasciati a Di Maio, quando è stato l’alleato a parlare.
 
Quanto durerà l’accordo a non rubarsi la scena lo vedremo nel tempo. Intanto al fischio d’inizio gli ambiti d’influenza vanno tenuti ben separati: c’è un patto di desistenza tra i due diarchi del governo giallo-verde, un’intesa a non sovrapporsi, a non farsi ombra, a non esporsi su questioni e vicende che coinvolgono e coinvolgeranno sempre di più i rispettivi ministeri. Non è un caso che Salvini abbia voluto la responsabilità del Viminale per cavalcare il suo cavallo di battaglia, che è sempre stato lo stop all’immigrazione e la sicurezza. E che Di Maio si sia intestato i dicasteri da cui passerà l’elaborazione del reddito di cittadinanza. Ci sarebbe un patto pure su come dovranno funzionare i meccanismi in tutti gli altri ministeri.

I sottosegretari espressione di un partito non avranno competenze tali da disturbare il manovratore, ovvero il ministro dell’altro partito. Gli stessi viceministri avranno deleghe non sovrapponibili al responsabile di quel dicastero. Quasi compartimenti stagni.

 

Sconfinamenti invece sono autorizzati nei ministeri a guida tecnica: all’Economia, agli Affari Esteri, alla Difesa. A via XX Settembre in particolare i collaboratori di Giovanni Tria dovranno essere molto presenti e avere competenze decisive per realizzare la flat tax sulla quale punta molto la Lega. Sarà necessario un viceministro ferrato in materia finanziaria, in grado di indirizzare le mosse del professore. E molti segnali fanno capire che Tria non avrebbe intenzione di ridurre la pressione fiscale facendo ricorso a qualunque mezzo, compreso l’extra gettito. Ma il problema di come saranno capaci di muoversi i ministri tecnici non riguarda solo l’Economia.

In quelle stanze saranno necessari dei guardiani del «contratto» sottoscritto da Salvini e Di Maio. Quel contratto ai quali tutti dovranno attenersi per evitare deragliamenti. Compreso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che magari, cammin facendo, sentirà la necessità di «emanciparsi» dai due leader della maggioranza, scontentando le basi elettorali della Lega e del Movimento 5 Stelle.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/06/09/italia/lega-e-ms-dopo-il-contratto-di-governo-quello-di-desistenza-non-oscuriamoci-i-ministri-LZswDrgFXmLPu7b4im1LAL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Salvini sfida il Ppe: “Trasformo la Lega in una forza europea
Inserito da: Arlecchino - Luglio 01, 2018, 08:38:31 pm

Salvini sfida il Ppe: “Trasformo la Lega in una forza europea. Cresceremo ancora”
Oggi il raduno annuale, aumenta la distanza da Forza Italia: «I Popolari hanno governato male fra troika e precariato»

Pubblicato il 01/07/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Sul pratone di Pontida Matteo Salvini aspetta più di 60 mila persone provenienti da tutte le regioni in cui la Lega sta dilagando a macchia d’olio. Un partito totalmente diverso da quello dell’era Bossi, una forza politica che sta giocando la sua scommessa al governo con l’ambizione di tenere unite le diversità territoriali ed economiche in progetto politico nazionale. «Con noi l’Italia è tornata protagonista in Europa. C’è ancora molto lavoro da fare - è il ragionamento del ministro dell’Interno - ma siamo partiti con il piede giusto. Sull’immigrazione abbiamo già cambiato passo, ora ci facciamo rispettare, abbiamo buttato una pietra in uno stagno. Sull’economia abbiamo bisogno di più tempo. Non abbiamo la bacchetta magica. Abbiamo bisogno di lavorare per una legislatura». Il vicepremier dovrà giustificare il rinvio dei suoi cavalli di battaglia elettorale, come la flat tax e la cancellazione della Fornero. La prudenza del ministro dell’Economia Giovanni Tria rischia di produrre tossine nell’esecutivo giallo-verde. Le posizioni «a titolo personale» del presidente della Camera Roberto Fico sulla necessità di non chiudere i porti costringono Luigi Di Maio a correre ai ripari, prendendo le distanze dal compagno di partito. Saranno tante le incognite che aleggeranno oggi a Pontida, ma Salvini potrà far credere che a Bruxelles la sua voce grossa fa paura, saprà sventolare sondaggi che danno la Lega oltre il 31%. Non solo sondaggi: il vicepremier potrà vantare le vittorie elettorali alle regionali, come in Friuli, nelle città rosse come Terni, Pisa, Siena. Ieri sera aggirandosi ha detto che in questo primo mese di governo «la Lega non parla ma fa». Adesso però «arrivano sfide importanti sull’economia, sulle tasse e sul lavoro». È comunque «un’onda destinata a crescere», addirittura con un partito che travalica i confini italiani.

LEGGI ANCHE Salvini dà la priorità ai migranti, la flat tax può attendere il 2020 

Lega internazionale
Salvini guarda alle elezioni europee del 2019 dove si presenterà collegato alle altre liste sovraniste e populiste. Quella che si ripresenta a Pontida, «è una Lega che unisce e che cresce». «Il mio obiettivo è di trasformarci anche in una forza europea, in una forza internazionale, che superi i confini regionali, nazionali e porti libertà, lavoro e sicurezza a tutti i popoli europei». La grandeur salviniana non comprende Forza Italia, perché a livello europeo bisogna scegliere con chi stare. E Silvio Berlusconi ha sempre scelto il Ppe, quel partito che a giudizio di Salvini ha «mal governato questa Europa per decenni, l’Europa del precariato, dei disastri bancari, della troika e dell’immigrazione fuori controllo».

Pontida nazionale di governo
Ci sarà il nuovo sistema di potere leghista. Ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni parlamentari, nuovi sindaci e amministratori che parlano dialetti diversi e tutti governatori del centrodestra, non solo quelli della Lega (il ligure Giovanni Toti e il siciliano Nello Musumeci). «È una Pontida - spiega il viceministro ligure Edoardo Rixi - che si apre a tutto il Paese e rappresenta un’Italia che nelle sue diversità è capace di resistere a quelle potenze che non ci amano. Finora siamo stati identificati come un popolo di spreconi e arruffoni. Ora stiamo dimostrando che siamo in grado parlare con la schiena dritta con tutti». Da Bruxelles molte promesse pochi fatti, ancora. Salvini però assicura che arriveranno, anche sul piano delle questioni economiche. Rixi spiega che nessuno ha la bacchetta magica, ma già nella legge di bilancio per 2019 verranno avviati le promesse contenute nel programma: «Finora abbiamo dimostrato di essere determinati nel mantenere le promesse».

LEGGI ANCHE “Il censimento dei rom è pericoloso”: il parlamento spagnolo unito contro Salvini 

Questo è il governo del cambiamento, aggiunge il sottosegretario Armando Siri, «ma deve essere anche del coraggio e non della timidezza». Dare seguito ai progetti economici sarà la prova del nove di questo esperimento giallo-verde. «Sarà molto importante ottenere lo scorporo degli investimenti, per le infrastrutture in particolare, dal rapporto deficit-pil». Per Siri è necessario chiedere all’Europa maggiore flessibilità di spesa, con la stessa forza che si sta affrontando il dossier immigrazione, per realizzare la flat tax. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/07/01/italia/salvini-sfida-il-ppe-trasformo-la-lega-in-una-forza-europea-cresceremo-ancora-CdeaQOcurAoeGqOAMOPrHK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Salvini sfida il Ppe: Trasformo la Lega in una forza europea
Inserito da: Arlecchino - Luglio 04, 2018, 06:07:01 pm
Matteo Salvini
Salvini sfida il Ppe: “Trasformo la Lega in una forza europea. Cresceremo ancora”
Oggi il raduno annuale, aumenta la distanza da Forza Italia: «I Popolari hanno governato male fra troika e precariato»

Pubblicato il 01/07/2018
Amedeo La Mattina
Roma

Sul pratone di Pontida Matteo Salvini aspetta più di 60 mila persone provenienti da tutte le regioni in cui la Lega sta dilagando a macchia d’olio. Un partito totalmente diverso da quello dell’era Bossi, una forza politica che sta giocando la sua scommessa al governo con l’ambizione di tenere unite le diversità territoriali ed economiche in progetto politico nazionale. «Con noi l’Italia è tornata protagonista in Europa. C’è ancora molto lavoro da fare - è il ragionamento del ministro dell’Interno - ma siamo partiti con il piede giusto. Sull’immigrazione abbiamo già cambiato passo, ora ci facciamo rispettare, abbiamo buttato una pietra in uno stagno. Sull’economia abbiamo bisogno di più tempo. Non abbiamo la bacchetta magica. Abbiamo bisogno di lavorare per una legislatura». Il vicepremier dovrà giustificare il rinvio dei suoi cavalli di battaglia elettorale, come la flat tax e la cancellazione della Fornero. La prudenza del ministro dell’Economia Giovanni Tria rischia di produrre tossine nell’esecutivo giallo-verde. Le posizioni «a titolo personale» del presidente della Camera Roberto Fico sulla necessità di non chiudere i porti costringono Luigi Di Maio a correre ai ripari, prendendo le distanze dal compagno di partito. Saranno tante le incognite che aleggeranno oggi a Pontida, ma Salvini potrà far credere che a Bruxelles la sua voce grossa fa paura, saprà sventolare sondaggi che danno la Lega oltre il 31%. Non solo sondaggi: il vicepremier potrà vantare le vittorie elettorali alle regionali, come in Friuli, nelle città rosse come Terni, Pisa, Siena. Ieri sera aggirandosi ha detto che in questo primo mese di governo «la Lega non parla ma fa». Adesso però «arrivano sfide importanti sull’economia, sulle tasse e sul lavoro». È comunque «un’onda destinata a crescere», addirittura con un partito che travalica i confini italiani.

LEGGI ANCHE Salvini dà la priorità ai migranti, la flat tax può attendere il 2020 
 
Lega internazionale
Salvini guarda alle elezioni europee del 2019 dove si presenterà collegato alle altre liste sovraniste e populiste. Quella che si ripresenta a Pontida, «è una Lega che unisce e che cresce». «Il mio obiettivo è di trasformarci anche in una forza europea, in una forza internazionale, che superi i confini regionali, nazionali e porti libertà, lavoro e sicurezza a tutti i popoli europei». La grandeur salviniana non comprende Forza Italia, perché a livello europeo bisogna scegliere con chi stare. E Silvio Berlusconi ha sempre scelto il Ppe, quel partito che a giudizio di Salvini ha «mal governato questa Europa per decenni, l’Europa del precariato, dei disastri bancari, della troika e dell’immigrazione fuori controllo».

 
Pontida nazionale di governo
Ci sarà il nuovo sistema di potere leghista. Ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni parlamentari, nuovi sindaci e amministratori che parlano dialetti diversi e tutti governatori del centrodestra, non solo quelli della Lega (il ligure Giovanni Toti e il siciliano Nello Musumeci). «È una Pontida - spiega il viceministro ligure Edoardo Rixi - che si apre a tutto il Paese e rappresenta un’Italia che nelle sue diversità è capace di resistere a quelle potenze che non ci amano. Finora siamo stati identificati come un popolo di spreconi e arruffoni. Ora stiamo dimostrando che siamo in grado parlare con la schiena dritta con tutti». Da Bruxelles molte promesse pochi fatti, ancora. Salvini però assicura che arriveranno, anche sul piano delle questioni economiche. Rixi spiega che nessuno ha la bacchetta magica, ma già nella legge di bilancio per 2019 verranno avviati le promesse contenute nel programma: «Finora abbiamo dimostrato di essere determinati nel mantenere le promesse».

Questo è il governo del cambiamento, aggiunge il sottosegretario Armando Siri, «ma deve essere anche del coraggio e non della timidezza». Dare seguito ai progetti economici sarà la prova del nove di questo esperimento giallo-verde. «Sarà molto importante ottenere lo scorporo degli investimenti, per le infrastrutture in particolare, dal rapporto deficit-pil». Per Siri è necessario chiedere all’Europa maggiore flessibilità di spesa, con la stessa forza che si sta affrontando il dossier immigrazione, per realizzare la flat tax. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/07/01/italia/salvini-sfida-il-ppe-trasformo-la-lega-in-una-forza-europea-cresceremo-ancora-CdeaQOcurAoeGqOAMOPrHK/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. “Così chiuderemo le frontiere esterne”.
Inserito da: Arlecchino - Luglio 10, 2018, 11:11:29 am
“Così chiuderemo le frontiere esterne”.

Il piano di Salvini per Innsbruck
Il ministro punta a modificare la missione Sophia. Ma il summit decisivo sarà a settembre in Libia

Giovedì il ministro dell’Interno Matteo Salvini sarà a Innsbruck

Pubblicato il 10/07/2018 - Ultima modifica il 10/07/2018 alle ore 07:28

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Matteo Salvini vuole arrivare a Innsbruck senza divisioni nel governo, dopo avere assorbito il dissenso del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che aveva rivendicato la competenza sua e della Farnesina, sulla missione europea a guida italiana (Eunavformed-Sophia) presente nel Mediterraneo. Il ministro dell’Interno aveva minacciato di chiudere i porti anche alle navi che operano all’interno di questo tipo di accordo internazionale in seguito all’attracco a Messina di una nave militare irlandese con a bordo 106 naufraghi. Aveva inoltre annunciato che avrebbe chiesto ai suoi colleghi il superamento di Eunavformed al vertice di Innsbruck. Ipotesi rientrata perché è una questione che riguarda il Consiglio europeo. Allora Salvini spiega che il «governo lavora e agisce con una sola voce». Quello che conta è il contrasto del traffico di esseri umani. Alla fine a decidere è lui, insieme al premier Giuseppe Conte e all’alleato 5 Stelle Luigi Di Maio: a Palazzo Chigi il ministro della Difesa - ha sottolineato - non era presente «nemmeno in spirito». 

L’incontro con il presidente del Consiglio e l’altro vicepremier è servito a consolidare una strategia che l’Italia sta giocando su diversi scacchieri. Questa strategia punta a modificare la missione Sophia per evitare che sempre e comunque le navi sbarchino in Italia. Questo è stato deciso a Palazzo Chigi, ma non significa che l’Italia esca dall’accordo che consente al nostro Paese di investigare su tutto ciò che si muove nel Mediterraneo, dal traffico di essere umani a quello del petrolio, di armi fino al terrorismo. Ecco perché Salvini ha confermato le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi dopo l’incontro con il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni unite per la Libia, Ghassan Salamè. «Noi - ha spiega Salvini - non ci sfiliamo da niente. Chiediamo soltanto che cambino le regole. Le navi delle missioni internazionali non devono arrivare tutte in Italia». 

Poi c’è l’appuntamento di Innsbruck dove il ministro dell’Interno avrà dei bilaterali con il collega tedesco Horst Seehofer e, su richiesta di Parigi, con quello francese Gerard Collomb. Il problema è che gli «amici» sovranisti che il vicepremier leghista incontrerà singolarmente l’11 luglio e l’indomani in plenaria, soprattutto tedeschi e austriaci, vorrebbero che l’Italia si riprendesse i migranti passati per l’Italia e poi fuggiti negli altri Paesi. Salvini invece vuole prima sapere quante risorse, mezzi e uomini l’Europa metterà per controllare le frontiere esterne. 

La seconda parte della strategia italiana gira attorno alla conferenza che si svolgerà a settembre a Tripoli. Ne hanno parlato pochi giorni fa Salvini e il vicepremier libico Maitig. Negli stessi giorni lo stesso ha fatto a Tripoli il ministro Moavero con il presidente Sarraj. A questa conferenza stanno pensando di invitare la Tunisia, l’Algeria, l’Egitto, il Ciad, il Niger e il Mali. Non è chiaro se verrà invitata la Francia. L’Italia si fa portavoce di un’iniziativa europea per coinvolgere tutti questi Paesi africani nella gestione dell’immigrazione. L’obiettivo è rendere forte il rapporto tra Tripoli e Roma, come ai tempi degli accordi tra Berlusconi e Gheddafi. Con ricadute in termini di investimenti dell’ordine di 250 milioni all’anno che i libici dovrebbero usare per acquistare beni e servizi italiani. 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2018/07/10/italia/cos-chiuderemo-le-frontiere-esterne-il-piano-di-salvini-per-innsbruck-GlYlC4lcM0OX8aerDFIDSL/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. La nave Diciotti della Guardia costiera trasporta 67 migranti
Inserito da: Arlecchino - Luglio 12, 2018, 07:40:20 pm
La nave Diciotti della Guardia costiera trasporta 67 migranti
Dall'Austria Salvini insiste: “Non autorizzo a sbarcare”
Il ministro dell’Interno da Innsbruck chiama il Viminale: «Quanti ne abbiamo beccati?»

Pubblicato il 12/07/2018 - Ultima modifica il 12/07/2018 alle ore 16:04

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A INNSBRUCK

«Io non voglio farmi prendere in giro. Finché non c’è chiarezza su quanto accaduto io non autorizzo nessuno a scendere dalla Diciotti: se qualcuno lo fa al mio posto se ne assumerà la responsabilità». Tiene la linea dura ministro Matteo Salvini sui migranti che secondo le ricostruzioni avrebbero minacciato l’equipaggio del rimorchiatore Vos Thalassa che domenica, dopo averli soccorsi in mare, era pronto a consegnare 67 persone alle motovedette libiche. Alla fine sono stati trasferiti sulla nave della Guardia costiera Diciotti che li ha condotti al porto di Trapani: «O hanno mentito gli armatori denunciando aggressioni che non ci sono state e allora devono pagare o l’aggressione c’è stata e allora i responsabili devono andare in galera».

Il ministro dell’Interno ha liquidato il problema della necessità di un provvedimento della procura: «Basta una telefonata alla magistratura di Trapani» 

RETROSCENA Un patto Roma-Berlino per premere su Macron: “Riceva più migranti” 

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini questa mattina ha chiamato il Viminale per informarsi sull’individuazione dei migranti a bordo della nave Diciotti. «Quanti ne hanno beccati?», ha chiesto stamane alle 8,30 al suo interlocutore del Viminale mentre a piedi dall’hotel dove ha incontrato i suoi colleghi tedesco e austriaco si stava recando al centro congressi per la plenaria dei ministri europei dell’Interno. Poi ha aggiunto: «Guarda che io insisterò sul fatto che questi devono scendere dalla nave in manette». E gli è stato spiegato che ne sono stati individuati già due e altri quattro sono in fase di identificazione. 

Sembra che il suo interlocutore gli abbia fatto notare che per arrestarli è necessario un provvedimento della magistratura e Salvini ha liquidato così il problema: «Basta una telefonata alla magistratura di Trapani delle forze dell’ordine che hanno identificato i violenti e i dirottatori».

Dopo l’incontro con l’omologo tedesco Horst Seehofer e l’austriaco Hebert Kickl, il ministro è molto soddisfatto. Dice che finalmente le idee italiane stanno diventando quelle europee, quantomeno di molti Paesi europei. «Ora bisogna capire cosa vuole fare la Francia», osserva. Poi sorride quando parla dell’asse Italia-Germania-Austria. Ma è stato lo stesso padrone di casa austriaco a parlarne in questi termini. Anzi, Kickl ha usato un’espressione ancora diversa parlando di «cooperazione dei volenterosi che diventa di quelli che fanno». Di quelli, ha aggiunto Seehofer, che sono d’accordo nell’introdurre «un nuovo ordine nelle politiche sull’immigrazione». Proteggere le frontiere esterne, innanzitutto. «Con Salvini - ha detto Seehofer - siamo d’accordo che i piccoli problemi tra singoli Stati europei, cioè i movimenti di migranti che passano da un Paese all’altro, possono essere risolti se risolviamo il problema più grande dell’immigrazione esterna».

Salvini ha aggiunto di sperare che Italia, Germania e Austria siano «il nucleo di impulso europeo per dare ospitalità a chi scappa dalle guerre ma che riporti indietro chi dalla guerra invece non scappa».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/07/12/italia/dallaustria-salvini-insiste-quei-migranti-devono-scendere-in-manette-coCGFL0QULi6vfBIFvLMLO/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Foa non ha i voti, Viale Mazzini in bilico.
Inserito da: Arlecchino - Luglio 29, 2018, 08:38:34 pm
Foa non ha i voti, Viale Mazzini in bilico.
Salvini avverte Fi: alleanza al capolinea
Rottura a un passo nel centrodestra.
Appello del Pd agli azzurri: blocchiamo la nomina in vigilanza

Pubblicato il 29/07/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La nomina di Marcello Foa nel cda Rai e la sua indicazione per la presidenza di viale Mazzini sta assumendo la portata di un pesante scontro politico, non solo tra tutta l’opposizione e la maggioranza giallo-verde. A spezzarsi potrebbero essere gli ultimi residui legami tra Lega e Forza Italia. Silvio Berlusconi è furioso con Matteo Salvini per la scelta di un ruolo apicale, che dovrebbe essere di garanzia, senza essere stato consultato: nessuna telefonata diretta, nemmeno una consultazione con gli esponenti azzurri in commissione Vigilanza Rai. Non ci sono stati ambasciatori al lavoro e infine una scelta, quella leghista, di un personaggio così caratterizzato politicamente e culturalmente, lontano da tempo dal mondo berlusconiano. 

Ma anche Salvini è irritato con il Cavaliere per il fuoco incrociato dei suoi ormai ex alleati del centrodestra. Compresi i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Le stesse parole di Berlusconi nell’intervista che pubblichiamo oggi sono un messaggio che non lascia molto spazio alle interpretazioni: molto difficilmente in commissione Vigilanza gli azzurri voteranno Foa per la presidenza. 

La reazione di Salvini che filtra da ambienti della Lega è durissima e attribuisce a Berlusconi un ipotetico e clamoroso cambio di passo politico. Il ministro dell’Interno sostiene di aver scelto le persone migliori, indipendenti e brave. Conferma di non aver fatto questa scelta senza avere sentito Berlusconi. Poi avverte che, se Forza Italia decidesse di votare contro Foa, quindi insieme al Pd, sarebbe chiaro che la prossima alleanza Forza Italia la farà con il Pd. Una deduzione ardita, un avvertimento dai mille risvolti. Cosa intende Salvini per prossima alleanza? Quella per le regionali d’autunno e della primavera 2019? Oppure è un avvertimento generale che vale per il futuro del centrodestra? 

Il vicepremier leghista in queste settimane ha accumulato una buona dose di rabbia nei confronti degli ex alleati. Non ha digerito gli attacchi al governo a prescindere dal merito, l’accusa alla Lega di far passare provvedimenti che le danneggiamo le imprese come il decreto Dignità, di soffiare sul fuoco delle polemiche che arrivano dalle organizzazioni confindustriali territoriali, a cominciare da quelle venete. Fi infatti ha organizzato cento manifestazioni in giro per l’Italia proprio sui «disastri» del governo giallo-verde, iniziando proprio dal Veneto: domani, a Mestre, Antonio Tajani terrà una conferenza stampa per illustrare l’azione parlamentare contro il decreto Dignità. 

In Parlamento in diverse occasione i berlusconiani si trovano a votare insieme al Pd. Sembra questa la prospettiva che si sta preparando in commissione Vigilanza: un’asse contro l’elezione di Foa alla presidenza della Rai. L’appello del segretario dem Maurizio Martina va in questa direzione: «Tutte le opposizioni devono reagire a questa forzatura». Se effettivamente si dovesse saldare tutta l’opposizione, Foa non avrebbe alcuna possibilità di farcela, come conferma Giorgio Mulè, tra i forzisti che siedono in commissione dove mercoledì si voterà. Foa deve ottenere la maggioranza di due terzi dei componenti della Vigilanza ovvero 27 su 40 voti. M5S e Lega ne hanno solo 21: sono necessari quindi i 7 voti di Fi. Nella Lega pensano che Fi voglia trattare altre nomine, dentro e fuori la Rai: alzare la posta per ottenere ruoli strategici a viale Mazzini ora che arriverà l’infornata di nuovi direttori e vicedirettori di rete e delle testate giornalistiche. 

 Licenza Creative Commons

Da - http://www.lastampa.it/2018/07/29/italia/foa-non-ha-i-voti-viale-mazzini-in-bilico-salvini-avverte-fi-alleanza-al-capolinea-bqIUffrgFT9YC7dHZ2DFHI/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Salvini-Le Pen e il Fronte delle libertà: “Saremo le bestie..
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 10, 2018, 12:25:47 pm
Salvini-Le Pen e il Fronte delle libertà: “Saremo le bestie nere dei partiti storici”
La leader della destra francese a Roma con il ministro dell’Interno.
L’obiettivo è allargare il gruppo sovranista e rivedere gli equilibri a Bruxelles
ANSA
Matteo Salvini e Marine Le Pen si sono incontrati ieri a Roma nella sede del sindacato Ugl. Poi i due sono andati a pranzo in un ristorante del centro
Pubblicato il 09/10/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Matteo Salvini tesse la tela del network sovranista, puntando ad allargare il perimetro che oggi nel Parlamento europeo è rappresentato dal gruppo «Europa delle Nazioni e della Libertà». In prima fila a lavorare a questo progetto è Lorenzo Fontana, per nove anni europarlamentare e oggi ministro per la Famiglia: anche ieri ha avuto numerosi incontri a Bruxelles. Il gruppo di cui fa parte la Lega è stato annunciato nel giugno 2015 da Marine Le Pen, l’ispiratrice ante marcia che adesso è pronta ad aprire le porte ai nuovi movimenti identitari cresciuti in maniera esponenziale in questi anni. Di questo in particolare hanno parlato Salvini e la leader del Rassemblement National francese: ampliare i confini della forza d’urto populista per centrare l’obiettivo di una grande affermazione elettorale alle elezioni europee di maggio 2019. I due sono stati protagonisti nella mattina di un incontro organizzato dal segretario dell’Ugl Paolo Capone nelle sede nazionale di via delle Botteghe Oscure. Ma per discutere di come muoversi in Europa sono andati a pranzo insieme a Casa Bleve, un elegante ristorante vicino al Senato. 

Entrambi vogliono spalancare le porte al premier ungherese Viktor Orban, ma gli occhi sono puntati sugli scandinavi, soprattutto su Jimmie Akesson, il leader dei Democratici Svedesi fresco di un successo elettorale che ha mandato in tilt l’esperienza, lunga cento anni, del governo socialdemocratico. Sul giovane e fotogenico Akesson è rivolta l’attenzione per la ricerca del candidato comune alla presidenza della futura Commissione Ue che sarà il frutto del voto del 2019. «Sarà la bestia nera dei partiti storici, del Ppe e dei Socialisti», ha spiegato Salvini al termine del pranzo. 

L’agenda sociale 
Non è stato fatto nessun nome. Non potrà essere la stessa Le Pen, secondo i leghisti, perché troppo divisiva. Ad oggi non è nemmeno Salvini, che vuole rimanere in Italia per portare a termine l’esperienza del governo giallo-verde. Tuttavia non è detta l’ultima parola. I giochi sono tutti ancora da fare per l’individuazione del cosiddetto Spitzenkandidat da contrapporre a quello dei Popolari e dei Socialisti. Potrebbe accadere che a chiedere a Salvini di mettersi in gioco saranno tutti gli attori di quella che lui stesso ha chiamato «fronte della libertà», «un progetto comune per i prossimi 30 anni e anche candidati comuni in ruoli delicati». Al vertice della Commissione Ue, appunto. Un fronte che secondo il leader leghista addirittura dovrebbe raccoglie l’eredità della sinistra sui temi sociali visto che «nelle sedi del Pd e dei socialisti europei si vedono solo banchieri e non più operai». 

Le Pen ha spiegato che non ci sarà però una lista unica. «Siamo dei paladini delle Nazioni, ma poi lavoreremo per creare un parlamento dell’Ue in cui esista l’alternanza. Non possiamo pensare che Ppe e Pse impongano loro i rappresentanti. Una alternanza nel rispetto delle identità della nazioni», ha precisato la francese che non ha avuto parole di simpatia nei confronti di Steve Bannon. L’ex consigliere di Trump ha creato una fondazione per aiutare l’esplosione in Europa della «rivoluzione sovranista e populista». A questa fondazione «The Moviment» hanno aderito sia Salvini che Giorgia Meloni. Madame Le Pen ha però messo le mani avanti, esprimendo tutto la sua cultura francese: «Cerchiamo di essere chiari, Steve Bannon non è un cittadino europeo, ma americano, ha suggerito un fondazione, per fare analisi, tutto questo va benissimo, ma sia chiaro che la forza politica che uscirà da maggio siamo noi. Siamo noi che siamo estremamente attaccati alla nostra libertà e sovranismo, che mira veramente a salvare l’Europa. Noi siamo gli unici che possiamo farlo, non gli euroburocrati al servizio del mondialismo selvaggio. Vogliamo restituire il potere al popolo». 

Le battute su Saviano 
Con la Le Pen a fianco Salvini fa venire l’orticaria a Emmanuel Macron al quale ha scagliato una frecciata velenosa a proposito dell’incontro all’Eliseo tra il presidente francese e Roberto Saviano. «Che tristezza... Chi si somiglia, si piglia. Spero non abbiano fatto un selfie svestiti come usa fare Macron...». 

 Licenza Creative Commons

Da - http://www.lastampa.it/2018/10/09/esteri/salvinile-pen-e-il-fronte-delle-libert-saremo-le-bestie-nere-dei-partiti-storici-Yo1e3jL7pakouIQz4JxM6H/pagina.html


Titolo: AMEDEO LA MATTINA. Il piano Sud di Salvini: sfondare il muro del 20%e governare
Inserito da: Arlecchino - Novembre 18, 2018, 11:14:29 pm
Il piano Sud di Salvini: sfondare il muro del 20%e governare senza alleati

La prima tappa sono le elezioni regionali in Sardegna a febbraio. E alle europee di maggio i leghisti si aspettano il grande boom

Pubblicato il 17/11/2018

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ottenere il 51 per cento dei voti è stato sempre il sogno proibito di Silvio Berlusconi. Lo diceva sempre anche quando Forza Italia veleggiava ben oltre il 30 per cento nei momenti difficili dell’alleanza con Gianfranco Fini e Umberto Bossi. Oggi il Cavaliere è in disarmo, cannibalizzato da Matteo Salvini che accarezza (pure lui) quel sogno di non dovere fare i conti con nessuno. Libero di governare senza il vecchio centrodestra, che ha ormai riposto nell'armadio dei nonni, e senza i 5 Stelle con i quali sta verificando giorno dopo giorno le incompatibilità. Ma ha bisogno di tempo, di alcuni anni, per far crescere in maniera esponenziale (fino a conquistare una maggioranza autonoma) la sua Lega nazionale e nazionalista nata nelle urne del 4 marzo, sui social, su Facebook a sua immagine e somiglianza al punto da potersi permettere di prescindere dall’originaria Lega Nord, da «rito ambrosiano» di cui parla Roberto Maroni nel suo libro.

Prescindere perfino da quei ceti produttivi del Nord, artigiani, piccole e medie imprese, che tra Lombardia e Veneto sono la spina dorsale dell’elettorato leghista che critica il reddito di cittadinanza e tutto ciò che viene sacrificato sull’altare dell’intesa giallo-verde. Ma Salvini «tira dritto» perchè anche al nord una cosa sono le centinaia di imprenditori, altra i milioni di elettori che continuano a votare la «Nuova Lega». Con la promessa che in un futuro luminoso il sogno si avveri, quello di un esecutivo con le mani libere, sicuritario, nazionalista e protezionista, vera flat tax modello Trump e Orban. Ma il vicepremier leghista deve aggiungere alle cifre attorno e oltre il 40 per cento del nord i voti delle prossime conquiste in Toscana e in Emilia Romagna. E soprattutto sfondare giù a Roma e nel Sud. «Mi fanno leggere dei sondaggi - dice Salvini agitando in aria il cellulare - che nel Meridione ci danno tra il 20 e il 22 per cento, ma io non ci voglio credere, non mi illudo».

Non ci crede ma ci spera, cominciando a vincere alle Regionali in Sardegna che a febbraio apriranno le grandi danze elettorali del 2019 che culmineranno alle europee dove si aspetta il grande boom. Il candidato sardo è il senatore Christian Solinas, segretario del Partito sardo d’Azione che ha stretto un patto con la Lega già alle politiche. Conquistare la Sardegna è il primo passo per vincere nella circoscrizione Isole alle europee. Essendo l’altra isola la Sicilia, il granaio di voti dei 5 Stelle che alle politiche hanno vinto in tutti i collegi. Uno strike che difficilmente si ripeterà. In Trinacria si avvertono molti smottamenti verso Salvini che lì ha mandato un suo fedelissimo, il sottosegretario all’Interno Stefano Candiani. Il quale il mese scorso a Palermo ha avvisato il sindaco Leoluca Orlando: «La città merita di più, non ha una prospettiva e noi siamo qui per dargliela».

Oltre lo stretto, in Calabria Salvini ha messo in mano il partito al trentacinquenne Domenico Furgiuele, che a quattordici anni è entrato in una sezione di An, e ora è uno dei due parlamentari leghisti: l’altro è proprio Matteo Salvini, eletto al Senato a Rosarno, il paese in provincia di Reggio Calabria intossicato dalle ’ndrine. Qui il 4 marzo, la Lega ha raccolto il 13 per cento, cinque anni fa l’asticella si era fermata allo 0,25. «Non continuiamo però con questa stucchevole storia dei voti mafiosi - dice Furgiuele - perchè significa non comprendere cosa si aspetta la gente comune da un leader come Salvini. Vorrei ricordare che in Calabria su 30 collegi 18 sono stati vinti dai 5 Stelle. Ma io non direi mai che M5S ha vinto grazie ai voti delle cosche». Una particolare cura il leader leghista la sta dedicando, anche come ministro dell’Interno, alla Campania dove il Carroccio di nuovo conio attrae astenuti e pezzi interi del vecchio centrodestra, anche elettori che votavano potenti come Nicola Cosentino.

Il coordinatore regionale è Gianluca Cantalamessa, eletto alla Camera, orgoglioso dei 4 mila iscritti, delle 50 sedi, dei 200 amministratori locali, 6 sindaci. All’ombra del Vesuvio, che una volta i leghisti del nord sollecitavano a eruttare e sommergere con la lava i napoletani (sembra un’era geologica fa), è stata eletta Pina Castiello, sottosegretario per il Sud che sembra abbia ispirato Salvini sui termovalorizzatori che tanto hanno fatto arrabbiare i 5 Stelle.

 Licenza Creative Commons

Da - https://www.lastampa.it/2018/11/17/italia/il-piano-sud-di-salvini-sfondare-il-muro-del-e-governare-senza-alleati-3Nnl5eakl8VgmXsaujCXCO/pagina.html


Titolo: A. LA MATTINA. Bersani: “Non si capisce chi comanda nei Cinque Stelle...
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2019, 11:17:19 am
Bersani: “Non si capisce chi comanda nei Cinque Stelle. Grillo fatti sentire”
L’ex segretario dem: «Avanti a oltranza con il governo. Un matto chi vuol farlo cadere»

Amedeo La Mattina
16 NOVEMBRE 2019
Roma. «Chi pensa solo per un secondo di far cadere il governo è un matto. Io sono per tenerlo in piedi ad oltranza. Nessuno sano di mente può essere rassegnato di fronte a una destra che vuole un’Italia più povera e autoritaria». Pierluigi Bersani si aggira per l’Hotel Radisson tra saluti e strette di mano, mentre in sala i “compagni” di Articolo Uno si pongono cento domande e provano a dare una risposta al significato di questa esperienza di governo con il loro leader, Roberto Speranza, a capo del ministero della Salute. Un dicastero che lo stesso Speranza definisce «il più sociale» di tutti, perché da lì passano competenze che entrano nella vita concreta delle famiglie.

Bersani è atteso al microfono. Una “compagna” gli dice che finalmente è possibile sentirlo dal vivo, qui all’assemblea nazionale di Articolo Uno, «e non solo in televisione». L’ex segretario del Pd dice che «la sinistra è a un bivio della storia», che ascoltare la piazza delle sardine a Bologna è molto più di una questione organizzativa, di una rifondazione, di «una prospettiva futura di un nuovo partito» che rimette insieme quello che «le politiche neoliberiste e suicide» di Renzi hanno diviso.

Certe volte sembra che il problema sia Matteo Renzi più che Matteo Salvini. Renzi non è comunque nel vostro campo contro la Lega e la destra? Bersani arriccia il naso e si fa una risata. «Per me Renzi con la sinistra non c’entra proprio nulla. Quello per me sta dall’altra parte. Chiaro? Ad essere più pericoloso è Salvini: da una parte abbiamo una destra forte e aggressiva, dall’altra un’armata Brancaleone. Ecco perché diventa vitale rifondare la sinistra, con una federazione o in qualunque altro modo, ma avendo la consapevolezza del rischio che corre l’Italia se dovesse prevalere una politica nazionalista e identitaria.  L’Italia da sempre importa dall’estero materie prime che non ha e le trasforma in prodotti da vendere all’estero. Se dovesse prevalere la politica dei dazi e della chiusura sovranista a pagarne le conseguenze saranno i lavoratori italiani e tutta l’economia italiana. Questo è un discorso che riguarda anche i 5 stelle, anche loro dovrebbero darsi una mossa».

Per la verità non si capisce chi comandi dentro M5S. «Esatto, non si capisce, loro dovrebbero dotarsi di un modo nuovo di prendere le decisioni, abbandonando modalità clandestine e subliminali. Caro Grillo, ci puoi pensare solo tu. Parla, fatti sentire». Non pensa che questo governo che si fonda sulla paura di Salvini non abbia vita lunga? «E infatti bisogna crederci, fare le cose giuste e molte abbiamo cominciato a farle. Roberto (Speranza ndr) sta lavorando benissimo sulla sanità, noi siamo gli unici che non rompiamo i coglioni, ma bisogna crederci. Invece vedo in giro rassegnazione, si aspettano gli errori di Salvini, si gioca in difesa. L’altro giorno ho letto in prima pagina su un quotidiano “La piazza che resiste”, ma resiste a cosa? Mica Salvini ha già vinto».

L’Emilia Romagna non può che essere in cima ai pensieri di Bersani. Dice che la situazione è in bilico, ma la strategia della Lega a suo avviso alla fine non pagherà. Non pagherà in quella Regione, come potrebbe accadere in altre, per il ciclone Salvini e la sua sovraesposizione che mette in ombra la candidata Lucia Borgonzoni. «Dobbiamo far emergere l’idea di Emilia-Romagna, quella che è stata, quella che ancora oggi è e sarà in termini di servizi, solidarietà, tolleranza. Certo, se avessimo difeso l’operaio dai licenziamenti, credo che oggi avrebbe meno problemi con i migranti, sarebbe più sereno. E invece che ha fatto il governo del Pd? Ha messo il Jobs act. Un capolavoro. Anche Bonaccini, che ora fa la battaglia contro le tasse sulla plastica, se avesse detto qualcosa contro il Jobs Act e certe politiche neoliberiste sarebbe stato utile anche a lui, oggi. Detto questo, noi ci batteremo pancia a terra per vincere».

Per rimanere nella sua Regione: crede che Salvini stia sbagliando campagna elettorale? Bersani si accalora. «Ma secondo voi deve venire Zaia dal Veneto o Fontana dalla Lombardia per insegnare agli emiliani romagnoli come si amministrano la sanità, i servizi pubblici, o come si aiutano le aziende a crescere e fare sistema? Siamo stati noi a importare in Italia gli asili nido dalla Svezia. Ma per favore, siamo seri. Se fosse vivo Guazzaloca (l’ex sindaco di Bologna voluto dal centrodestra) avrebbe mandato a sbattere Salvini, Zaia e Fontana in dialetto bolognese, quello verace».

Bersani ha ancora un briciolo di ottimismo a condizione che tutti si diano   «una mossa» e non pensino di rigenerare la sinistra all’ombra di «una destra illiberale, non fascista, che è capace di durare e mettersi il doppio petto». «È la stessa destra che mi rincorreva per strada quando da ministro dell’Industria ho introdotto la portabilità dei mutui».

Da - https://www.ilsecoloxix.it/


Titolo: Salvini mette all'angolo Di Maio: non puoi stare con il dittatore rosso
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2019, 11:19:39 am
Salvini mette all'angolo Di Maio: non puoi stare con il dittatore rosso

Scontro nel vertice a Palazzo Chigi.
Per il leghista troppo morbida anche la posizione Ue
Pubblicato il 28/01/2019

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
«Problemi loro, non del governo». Matteo Salvini sta prendendo le misure di Alessandro Di Battista, il front man dei 5 Stelle tornato dalle Americhe come Garibaldi per aiutare Luigi Di Maio, «amico fraterno», nella remuntada alle europee di maggio. Ma il leader leghista ha avvertito il vicepremier grillino, che fintantoché i problemi sono tutti interni al M5S, legati a dinamiche per ruoli e sensibilità diverse come quelle che esprime anche il presidente della Camera Roberto Fico, allora si va avanti. Attenzione a non farli diventare questioni di governo perché se si spezzasse il filo tra i due vicepremier ci sarebbe il cortocircuito e la fine dell’esperienza giallo verde. La stessa vicenda del Venezuela non può essere affrontata con le parole “terzomondiste” del Guevara grillino. Già la posizione presa dall’Unione europea a Salvini sembra troppo morbida e quella del premier Giuseppe Conte titubante, «poco coraggiosa».

Quattro giorni fa, quando i fatti di Caracas cominciavano ad impegnare l’agenda internazionale, c’è stato un vertice a Palazzo Chigi al quale hanno partecipato Conte e i suoi due vice. È stato Salvini a chiedere di prendere subito una posizione chiara e diretta contro Maduro, il «dittatore rosso», schierandosi con Washington. «Luigi, con chi stai?», ha chiesto a Di Maio, ben sapendo che dentro i 5 Stelle non mancano, anche su questo terreno, i problemi. «Ma a me delle loro fibrillazioni non interessa nulla: a me interessa continuare ad avere un buon rapporto con Di Maio», ripete sempre il capo del Carroccio ai colonnelli del suo partito. In quel vertice si è parlato di tante altre cose, della Tav ad esempio, ed è stata l’occasione in cui il leghista ha anticipato che avrebbe fatto dichiarazioni a favore della realizzazione della Lione-Torino, fregandosene delle analisi costi-benefici del ministro Toninelli. Per inciso: in quelle analisi tra i costi si parla di 8 miliardi di Iva, cosa che i leghisti definiscono fuori dal mondo. Ma tornando al Venezuela, e alla domanda «Luigi, con chi stai?», il sottinteso era: stai con Di Battista e il «dittatore rosso» di Caracas.

Sostieni il giornalismo di qualità
La risposta del ministro del Lavoro è stata un né, né. Insomma non sapeva che pesci prendere. Per certi versi, ha detto Di Maio, Alessandro non ha torto quando dice che in Venezuela c’è il rischio di una guerra civile perché una parte dei venezuelani tifa per Maduro. E che quindi bisogna essere cauti nel lanciare ultimatum e dare l’impressione di stare dalla parte di Guaidó. Ma alla fine il governo si è trovato di fronte all’ultimatum di Bruxelles, sulla scia di Francia, Germania e Spagna, ed è rimasto un passetto indietro, un po’ defilato. Una soluzione che a Salvini non è piaciuta. L’importante è che non passi la logica di Di Battista. E ancora più importante per lui è che si sappia qual è la sua posizione. Questa volta non dalla parte della Russia di Putin, ma schierato con l’America di Donald Trump che spera di incontrare a fine mese a Washington.

L’occasione sarà il Cpac, il Conservative Political Action Conference, la conferenza annuale dei conservatori americani alla quale parteciperà il capo della Casa Bianca. Salvini ha già ricevuto l’invito attraverso Rudolph Giuliani, stretto collaboratore del presidente americano, dopo un incontro con il sottosegretario italiano agli Esteri Guglielmo Picchi. Al forum dei conservatori, che si svolgerà tra il 27 febbraio e il 2 marzo, è previsto l’intervento del leader della Lega: nei piani del Carroccio sarà già la consacrazione di Salvini in quel mondo, in ambienti politici statunitensi che contano davvero. Ma una stretta di mano e una photo opportunity con Trump sarebbe una chance mediatica eccezionale. I collaboratori del vicepremier ci stanno lavorando con gli amici americani. Intanto sul Venezuela e non solo non ci sono dubbi da che parte stare mentre i 5 Stelle sono sempre in bilico tra logiche di lotta e di governo.

 Licenza Creative Commons

Da - https://www.lastampa.it/2019/01/28/italia/salvini-mette-allangolo-di-maio-non-puoi-stare-con-il-dittatore-rosso-l