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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 119035 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Settembre 29, 2011, 12:36:51 pm »

Politica

29/09/2011 - IL CASO

"Silvio, tieni duro o perderai la faccia"

La fronda incita il premier ad andare contro il ministro del Tesoro

"Ha già ceduto sulla cabina di regia e sui sei miliardi di tagli"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi è tentato di puntare su un terzo nome per la più alta poltrona di Bankitalia. Il mister «X» non è stato ancora individuato, ma autorevoli fonti governative spiegano che c’è il rischio concreto che Saccomanni e Grilli vengano bruciati. Come alternativa sono circolati i nomi di Guido Tabellini, rettore della Bocconi, e di Lorenzo Bini Smaghi che siede nel board della Bce, ma che a novembre dovrà lasciare l’incarico. La scelta non è stata fatta e non è detto che si farà. Anzi, a Palazzo Chigi brancolano nel buio.

Il premier non decide, impigliato nei veti incrociati e nelle sue contraddizioni (c’è chi racconta che martedì aveva promesso a Tremonti di puntare su Grilli). La partita per la nomina del nuovo governatore, per dirla con lo Spiegel-online, è diventata «un pericoloso combattimento di galli». Una lotta di potere con Tremonti che ha fatto crescere al massimo l’irritazione del Capo dello Stato. Napolitano a tutto voleva assistere tranne che a una vera e propria rissa politica dentro il governo, con la novità che ora anche la Lega è divisa. Bossi ha calato l’asso su Grilli (il candidato del ministro dell’Economia), mentre Maroni punta su Saccomanni. Ieri in Transatlantico, mentre si votava nervosamente sulla sfiducia a Romano, il ministro dell’Interno ha incrociato Tremonti e gli ha detto: «Sbaglio o ad agosto si era deciso che era meglio mandare uno indicato da Draghi?».

Per superare lo stallo il Cavaliere sta pensando a un terzo nome. Ma questo rappresenterebbe una sconfitta per lui, il Pdl e Gianni Letta che ha ingaggiato su questo terreno l’ennesimo scontro con il ministro dell’Economia. Il quale fa diffondere un sospetto: perché Draghi è andato prima al Quirinale e poi a Palazzo Chigi? Per caso è andato a perorare con Napolitano e Berlusconi la causa di Saccomanni? «Non è possibile che un esponente istituzionale di così alto livello si metta a fare il piazzista per un candidato interno della Banca d’Italia - dice Tremonti - Sarà a andato a parlare dei massimi sistemi economici, non di questioni cortile». Domande retoriche e considerazioni taglienti per dire che Draghi sta intervenendo a gamba tesa. Ma nel Pdl cresce la rivolta contro l’inquilino di Via XX Settembre. Il capogruppo Cicchitto ha ricordato che si tratta di questioni così delicate che vanno affrontate con «grande ponderazione, non mettendo in pista dei nomi (Grilli) che possono rappresentare non un fattore evolutivo per la Banca d’Italia ma involutivo». Il partito di Berlusconi considera la tenuta sul nome di Saccomanni come la linea del Piave. Spiegava ieri un ministro: «Se Berlusconi non tiene nemmeno su questo punto è la fine della sua credibilità. Molti di coloro che sono qui - aggiungeva il ministro indicando i deputati - non si sentiranno più garantiti. Già ha ceduto sulla cabina di regia e oggi ha pure firmato il Dpcm che taglia di 6 miliardi i fondi dei ministeri. A decidere dove tagliare è sempre lui, Tremonti». Non tutti però sono così pessimisti e spiegano che alla fine Berlusconi la spunterà su Saccomanni. Lo stesso sostegno di Bossi alla candidatura di Grilli è vista dai più ottimisti come un modo per avere in cambio da Tremonti il via libera ad alcuni provvedimenti per lo sviluppo e la crescita che non siano quelli già programmati da Tremonti a costo zero.

L’altro ieri sera, al vertice di Palazzo Grazioli con Bossi, è stato deciso di creare un gruppo di lavoro composto da esponenti del Pdl e della Lega che lavori in questa direzione. Per il Pdl sono già al lavoro i ministri Romani, Fitto e Brunetta. Quando e se verrà fuori qualcosa di concreto, ci sarà sempre l’ostacolo del ministro dell’Economia. «Ma questa volta - assicura uno dei più stretti collaboratori del premier - Tremonti non potrà dire questo sì, questo no. Il suo potere di veto è finito. Sono tanti i ministri che non sono più disposti a votare a scatola chiusa le decisioni prese a Via XX Settembre». Vedremo. Intanto quella che lo stesso Tremonti chiama «tregua operosa» sembra volgere a suo vantaggio. Berlusconi è tutto preso dalla guerra con i magistrati. E ieri alla Camera cresceva la certezza che si andrà al voto nel 2012. Sono in molti a prepararsi al diluvio, a organizzare le proprie truppe. Lo sta facendo anche il sottosegretario Crosetto che sta mettendo su l’associazione «Controcorrente».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422532/
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« Risposta #91 inserito:: Settembre 30, 2011, 03:38:00 pm »

Politica

30/09/2011 -

Bankitalia, Saccomanni resta in pole

Nel partito assedio a Tremonti. Ma c’è chi ipotizza una terna, con dentro Grilli e Bini Smaghi

AMEDEO LA MATTINA

Che il governatore della Banca d’Italia sarà, con molta probabilità, Saccomanni non si può ancora annunciare. Ma Berlusconi sa come finirà la partita, ne è consapevole. Chiede tempo. «E’ il segreto di Pulcinella», dicono alcuni autorevoli esponenti del Pdl che ieri sono andati a Palazzo Grazioli prima che iniziasse il vertice dei coordinatori e dei capigruppo della maggioranza. Il primo a spingere sul nome del direttore di Palazzo Koch è stato Angelino Alfano il quale si rende conto che questa partita è esiziale per l’autorevolezza e la credibilità del Cavaliere. «Non si può scherzare con il fuoco», ha incalzato il segretario del Pdl che teme anche una ricaduta sulla sua leadership e la tenuta di un partito in grande agitazione. Ieri se n’è andato Santo Versace, verso i lidi dell’Udc. Si parla di un’altra fuoriuscita imminente (ma non è confermata), quella dell’ex generale Gdf Speciale. Movimenti pure al Senato e nella pattuglia che alla Camera fa capo a Scajola. Tutte tensioni legate all’esito del braccio di ferro con Tremonti e alla possibilità di risalire la china dei consensi con misure popolari che compensino la stangata dell’ultima manovra economica. Non darla vinta a Tremonti è diventato lo spartiacque.

Il Cavaliere però non vuole forzature, ha bisogno di tempo (un ministro sostiene che si prenderà tutto il mese di ottobre per decidere su Bankitalia). Deve prima portare a casa la legge sulle intercettazioni, che la prossima settimana approda nell’aula di Montecitorio. Deve convincere Bossi a non appoggiare la candidatura di Grilli. E, soprattutto, ha la necessità di far decantare le tensioni col ministro dell’Economia. Impresa improbabile visto che la vicenda di Bankitalia è legata a doppio filo ai provvedimenti per la crescita e lo sviluppo. Raccontano che ieri nel prevertice di Palazzo Grazioli è stata consegnata al presidente del Consiglio una cartellina riservata contenente quelle che sono state battezzate le «tabelline tremontiane». Si tratterebbe di indiscrezioni sul decreto sviluppo che l’inquilino di via XX Settembre starebbe preparando («in assoluta autonomia e alla faccia della collegialità», dicono i berlusconiani). Sarebbero bozze fatte filtrare di soppiatto dal Tesoro il cui contenuto non piace al vertice del Pdl. E tutto questo mentre una commissione mista, composta da esponenti di partito e dei gruppi di maggioranza, dovrebbe elaborare proposte sulla stessa materia. L’uso del condizionale per descrivere tutto questo lavorio non è un caso, perché sono in molti nel Palazzo a non credono in grandi risultati. Far collimare le «tabelline tremontiane» coi desideri di Berlusconi sarà un rompicapo. E lo sfogatoio contro Tremonti a casa del premier è l’ulteriore prova che non c’è alcuna tregua. E’ stato pure ipotizzato che la lettera della Bce, pubblicata ieri dal «Corriere della Sera», sia stata data da Tremonti per infastidire Draghi e far capire chi è l’affamatore del popolo. Gli ambienti vicino al ministro dell’Economia invece puntano il dito proprio contro Draghi: è stato lui a dare la missiva al giornale. Come se non bastasse, a far infuriare i ministri è stato anche il Dpcm che taglia ai dicasteri oltre 6 miliardi. Provvedimento firmato dallo stesso Berlusconi, però. Ignazio La Russa lamenta la sforbiciata di 1,4 miliardi per la Difesa. «Una cifra che equivale a quasi metà del budget delle Forze Armate. Non volevamo tagli lineari. Vogliamo mantenere l’efficienza e la sicurezza dei nostri militari. Se non ci riuscissimo non varrebbe la pena di restare a dirigere questo ministero».

Insomma, una minaccia di dimissioni. Il cuore del problema rimane Bankitalia. Ieri sono circolate le ipotesi più eccentriche che sgomentano il capo dello Stato. Ad esempio che Berlusconi potrebbe portare in Consiglio dei ministri una terna di nomi (Saccomanni, Grilli e Bini Smaghi) per consentire una scelta «democratica» (o pilatesca), sapendo che la maggior parte dei ministri Pdl voterà per Saccomanni. «Sciocchezze», dice Cicchitto. Il premier sa che non potrà scegliere un nome sgradito al Consiglio superiore di via Nazionale, organo preposto a vigilare sull’autonomia di Bankitalia. «Non possiamo fare un nome che ci viene bocciato in quella sede», ha detto il Cavaliere. Però in quella sede il nome secco è Saccomanni. Eppure raccontano che quando due settimane fa è andato da Barroso, Berlusconi presentò il direttore generale del Tesoro Grilli come nuovo numero uno della Banca d’Italia.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422674/
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« Risposta #92 inserito:: Ottobre 01, 2011, 03:32:18 pm »

Politica

01/10/2011 - IL CASO

Il premier sconcertato "Attacco pesantissimo"

«Non riusciranno a farci rompere con gli alleati»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

E’ un attacco politico pesantissimo. Napolitano vuole rompere la nostra alleanza con la Lega, ma non possiamo permetterlo perché è probabile che andremo a elezioni nel 2012». Già prima dell’intervento del Capo dello Stato («a gamba tesa», dicono a Palazzo Grazioli) Berlusconi sapeva a che punto era arrivata la rabbia di Napolitano sulla politicizzazione della vicenda Bankitalia. La terna di nomi, il terzo candidato, vertici di maggioranza, votazioni in Consiglio dei ministri, lo scontro con Tremonti. E poi, la ciliegina sulla torta: Bossi che appoggia Grilli perché è di Milano. Roba dell’altro mondo, uno spettacolo indecoroso per il Colle.

Da qui la reazione che a Palazzo Chigi si aspettavano. Quello che non si aspettavano è il tono interventista, che a Berlusconi ricorda un po’ Cossiga e un po’ Scalfaro, pro-referendari, con tanto di riferimento ai collegi uninominali del Mattarellum e alle preferenze. Ma cosa c’è, oltre a tutto questo, dietro le parole di Napolitano? Il sospetto che si insinua nelle fibre berlusconiane è che il Capo dello Stato voglia far saltare il banco e che stia preparando un incidente con la Lega e una manovra per dare vita a un altro governo che faccia la legge elettorale. Meno cervellotico è un altro sospetto. Che il Presidente abbia mangiato la foglia dei ragionamenti che si fanno nella cerchia ristretta di Berlusconi. Se i referendum verranno ammessi, per evitare che si arrivi al voto che cambia il sistema elettorale, l’idea è puntare tutte le fiches sullo scioglimento del Parlamento.

Le urne si aprirebbero, sì, ma per le elezioni politiche, e con questa legge elettorale che spinge alle alleanze e consegna ai vertici dei partiti la nomina dei candidati grazie alle liste bloccate. Tenere la barra sul bipolarismo, ma l’accordo sulla legge elettorale è lontano, dentro la maggioranza e con l’opposizione. Se poi si andrà al voto politico nel 2012 il candidato sarebbe ancora una volta Berlusconi, che non ha intenzione di mollare sull’onda delle inchieste giudiziarie, cacciato e inseguito come Craxi. «Non scappo. Se perdo le elezioni almeno le perdo con onore». Insomma, ora il rischio elezioni anticipate nella primavera 2012 (a marzo?) diventa più concreto. Il referendum elettorale ha fatto irruzione nei già fragili equilibri politici della maggioranza come una palla da bowling tra i birilli. Si moltiplicano i problemi per il centrodestra.

La Confindustria che va all’attacco sul decreto sviluppo. Di quei cinque punti, spiegano a Palazzo Chigi, ne verranno accolti almeno due. Ma di patrimoniale non se ne parla. Forse qualcosa si farà sulle pensioni di anzianità e ci si concentra sulle dismissioni. La partita sulla Banca d’Italia non è risolta. E’ stata messa in circolazione l'idea dell’outsider che metta d’accordo Bossi e Tremonti, ma è Saccomanni in pole position. Tutte queste partite passano però per le preoccupazioni di Berlusconi sulle sue vicende giudiziarie. Vuole evitare assolutamente una condanna, spinge l’acceleratore sul provvedimento che limita la pubblicazione delle intercettazioni. Una corsa contro il tempo.

Ma il Cavaliere ha confidato amareggiato a chi lo ha sentito in questi giorni che comunque una condanna l’ha già subita. «La condanna più grande è di essere stato costretto ha buttare a mare 25 anni di lavoro». Berlusconi si riferisce a quel miliardo che ha dovuto spendere tra spese legali e il risarcimento all’editore di Repubblica De Benedetti. Il Cavaliere però è convinto di avere ancora molte frecce nel suo arco. E si sta preparando alle elezioni. Vorrebbe riesumare il logo di Forza Italia. Ha chiesto il parere agli ex An, che sono contrari. Ma l’impressione è che si vada in questa direzione. Forse vorrà dire qualcosa che in questi giorni sono comparsi dei manifesti del Pdl con lo slogan «per un’Italia più forte».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422830/
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« Risposta #93 inserito:: Ottobre 06, 2011, 04:51:56 pm »

Politica

06/10/2011 - RETROSCENA

Verso l’intesa degli ex Dc Pronti a far cadere il premier

Gli uomini di Pisanu e Scajola ormai vicinissimi a staccare la spina

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Siamo agli ultimi giorni di Pompei e questa volta non sarà facile evitare di finire sotto la lava».
A parlare nella più stretta riservatezza non è uno dei tanti parlamentari malpancisti che ieri affollavano Montecitorio per votare il giudice costituzionale. E’ un importante esponente del Pdl che spesso partecipa ai vertici di Palazzo Grazioli e riferisce a Berlusconi cosa si muove veramente tra Camera e Senato. Berlusconi potrebbe non mangiare il panettone. L’ipotesi di una crisi di governo prima di Natale (entro ottobre?) si fa sempre più concreta. La mano assassina dovrebbe arrivare dall’interno del Pdl, soprattutto da Pisanu e Scajola, pronti a staccarsi dalla casa madre e formare gruppi autonomi. L’operazione è in rapida costruzione. Bastano una decina di deputati per chiudere l’esperienza del governo Berlusconi.

Ma gli scajolani, che ieri sera erano in 15 ad una cena con l’ex ministro delle Attività produttive, assicurano che saranno molti di più a staccare la spina. Dall’incontro che si è svolto in un ristorante dentro la Galleria Alberto Sordi, in pieno centro, a pochi passi da Palazzo Chigi, dovrebbe venir fuori un documento molto critico con Berlusconi e pieno di richieste nei confronti di Alfano. Tante e onerose richieste al premier e al segretario del Pdl per farsi dire no e quindi giustificare la loro scissione. Le conseguenze si vedrebbero presto nelle aule parlamentari. Spiegava ieri Pisanu mentre lasciava la Camera, dopo aver visto Scajola e parlato con numerosi esponenti della maggioranza e dell’opposizione (a lungo con Veltroni): «Vede, a forza di gridare che il Re è nudo, alla fine il popolo accorre a vederlo. E’ evidente che la situazione può precipitare da un momento all’altro, molto prima di quanto si pensi».

I parlamentari della maggioranza, è stata la nostra osservazione, non sembrano però disposti a buttare giù Berlusconi e andare a casa. Pisanu, politico di lungo corso, ha abbozzato un sorriso: «Proprio perché temono che nel 2012 si andrà al voto, non staranno con le mani in mano e non sono più disposti a seguire il Re nudo». In effetti c’è un proliferare di iniziative centrifughe nel Pdl e Alfano ha una grande difficoltà a gestirle e inseguirle. La voce poi che Berlusconi possa farsi una sua lista di duri e puri moltiplica la confusione e il panico. Tra l’altro, per evitare il fuggi fuggi, il premier sta rinviando in continuazione la sua partecipazione a «Porta a Porta» dove dovrebbe (o meglio avrebbe dovuto) annunciare che non si ricandida più alla premiership. Ma torniamo alla scena del delitto, che non è stata ancora allestita del tutto.

Ma si fanno già delle ipotesi concrete. La prima è che lo scivolone del Cavaliere arrivi sul «Def» sul quale ieri la maggioranza è andata sotto in commissione. Quando il documento economico e finanziario arriverà in aula per l’approvazione definitiva potrebbe arrivare il colpo mortale. Tremonti è convinto che sarà questa l’occasione fatale dove si potrebbe scaricare tutta l’ira nei suoi confronti e dello stesso premier che non è in grado di tenere a bada il ministro dell’Economia. Il quale in questi giorni si lamenta del fatto di non avere un solo interlocutore con cui parlare di decreto sviluppo, mentre tutti i ministri lo chiamano per trattare e litigare, anche sui tagli ai dicasteri previsti dal Dpcm. Sarebbe però da irresponsabili mandare il governo a gambe all’aria proprio su un provvedimento che reggela manovra economica in un momento in cui l’Italia è nell’occhio del ciclone internazionale.

Allora diventa più probabile che l’agguato si verifichi su un voto di fiducia e il primo che potrebbe arrivare già dalla prossima settimana è quello sulle intercettazioni. Ieri si è consumata la rottura tra la maggioranza e il Terzo Polo, con le dimissioni della relatrice Giulia Bongiorno e la sua sostituzione con il pidiellino Enrico Costa. E’ Costa che considera molto probabile che il governo metta la fiducia sul provvedimento. Ma Berlusconi dovrà pensarci dieci volte prima di fare questo passo perché sa che si sta preparando un nuovo 14 dicembre. Lo scorso anno, quel giorno, la spallata cercata da Fini, fresco di rottura con il Pdl, non riuscì. Questa volta, al di là dell’occasione giusta per sferrare la pugnalata mortale, sarà difficile ripetere il flop anti-berlusconiano. Si stanno muovendo molte cose tra le file parlamentari del centrodestra. Gli ultimi giorni di Pompei, appunto.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/423532/
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« Risposta #94 inserito:: Ottobre 09, 2011, 06:11:46 pm »

Politica

09/10/2011 - CENTRODESTRA LE MANOVRE SUL DOPO BERLUSCONI

Ma ora Palazzo Grazioli non crede al bluff degli ex Dc

"Pisanu cerca lo strappo, Claudio sta solo trattando posti e rielezioni"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

«Si dice Pella e si legge Pisanu». Prima di partire per la Russia alla corte dello Zar Putin, Berlusconi aveva interpretato in questo modo il riferimento fatto nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica. Ieri Napolitano, a scanso di equivoci, ha colto l’occasione della sua visita a Cuneo per spiegare che il suo ricordo del governo di tregua formato nel 1953 da Giuseppe Pella aveva un valore puramente storico. Nessun riferimento all’attualità. Ma questa precisazione non ha convinto gli uomini del premier alle prese con la manovra Pisanu-Scajola. Anzi raccontano che il premier abbia un terribile sospetto, e cioè che Pisanu abbia garantito al capo dello Stato la caduta del governo in tempi brevi e la possibiltà di formare un esecutivo di transizione sostenuto da una robusta fronda del Pdl, dal Terzo Polo e dal Pd. Con lui a Palazzo Chigi? Appunto, «si dice Pella e si legge Pisanu».

Scajola sarebbe pronto a far parte di questa operazione, ma sono molti a Palazzo Grazioli, a cominciare dal padrone di casa, che non credono al pugnale dell’ex ministro delle Attività produttive. «Non arriverà a tanto. Sta solo trattando da vero democristiano: è una questione di posti e soprattutto di ricandidature alle prossime elezioni politiche. Tutto il resto, come il decreto sviluppo e il rilancio del Pdl, è fuffa. Ci penserà Alfano...».

Già, Alfano che nega l’esistenza di una fronda interna e riconosce a «soggetti importanti» di aver posto questioni che non possono essere sottovalutate: «La prossima settimana incontrerò Scajola». Forse martedì. Ma il segretario del Pdl ha le mani vuote e la pistola scarica, anche se fosse vero che l’esito positivo della trattativa è legato alla garanzia di ricandidare e rieleggere Scajola e i suoi amici. Angelino sa che questa leva, per la verità molto convincente, è nelle mani di due uomini nel partito: di Verdini e di Berlusconi.

Il primo è uno dei nemici giurati di Scajola e non sarà certo generoso (ognuno ha i suoi da piazzare). Il Cavaliere ha pochi posti a disposizione. Spiega un autorevole esponente del Pdl: «Se vanno così le cose, perdiamo almeno 80 deputati e Berlusconi deve mantenere troppe promesse fatte per tenere in piedi la maggioranza dopo l’uscita di Fini». Qualcun altro (scherzando?) aggiunge che dovrà pure sistemare molte ragazze che pretendono troppo in cambio da lui, «magari che parlano russo». Un riferimento velenoso al viaggio del Cavaliere in Russia per il compleanno di Putin (tornerà questa sera). Una trasferta considerata poco opportuna in certi ambienti del Pdl, visto che in Italia ci sono ben altre gatte da pelare.

Scajola allontana con sdegno le insinuazioni su una trattativa prosaica, di basso livello, fatta di posti e candidature. «Io parlo di grande scossa e c’è chi mette in giro queste falsità, meschinità. Quello che mi sta a cuore di più è il decreto sviluppo. Siamo sull’orlo del baratro e serve veramente un colpo di reni. Poi se lor signori non capiscono, allora significa che si rischia il naufragio». Tutto un bluff? Può darsi, ma per lui, come per molti non garantiti della maggioranza che sentono odore di elezioni anticipate, potrebbe prevalere il principio «primum vivere deinde philosophari». Del resto Scajola poteva diventare capogruppo o vicepresidente della Camera se Cicchitto o Lupi fossero diventati ministri. Ma niente: è stato tenuto fuori dalla porta con la scusa dei suoi guai giudiziari. «Come se gli altri invece fossero delle verginelle», osserva un amico di Scajola.

Verdini ha interpretato le parole pronunciate ieri a Saint-Vincent da Scajola come un passo indietro. E aggiunge: «Temo più l’incidente per la somma di tante piccole insoddisfazioni che la regia di un golpe che nessuno ha la forza di fare». Vedremo. Intanto sale la tensione per martedì quando alla Camera e al Senato arriverà la nota di variazione del documento economico e finanziario che dovrà essere votato. Tutti i parlamentari del Pdl sono stati precettati dai capigruppo Cicchitto e Gasparri. Annullate tutte le missioni di ministri e sottosegretari. «Se andiamo sotto sul Def andiamo tutti a casa», dice Cicchitto allarmato. Mercoledì poi riprende la discussione in aula sulle intercettazioni e anche su questo terreno il buio nella maggioranza è totale. La trattativa con l’Udc (si parla di un accordo con Vietti) è saltata e al governo non resterebbe altro che mettere la fiducia. Ma con questi chiari di luna e con Alfano che si presenterà a Scajola con le mani vuote, chi ha il coraggio di sfidare il destino?

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/423910/
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« Risposta #95 inserito:: Ottobre 26, 2011, 11:19:37 pm »

Politica

26/10/2011 - RETROSCENA

Il patto Silvio-Umberto: voto anticipato, in cambio il sì sui 67 anni

L'accordo nella notte dopo un vertice a palazzo Grazioli

E Bossi attacca Draghi: "Dalla Bce una fucilata al premier"

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

L’ ennesima giornata convulsa si chiude con una indiscrezione: Bossi accetta di alzare a quota 67 anni l’età per andare in pensione, Berlusconi apre alla possibilità di votare a marzo. Un’intesa segreta per sbloccare la situazione e scrivere una lettera che soddisfi Bruxelles senza spaccare la maggioranza. Prima di partire per Bruges, Napolitano ha atteso di leggere la missiva che Berlusconi manderà (dovrebbe mandare) stamane all’Unione europea. Il Capo dello Stato ha pure rinviato la partenza per la cittadina belga dove oggi parteciperà all’inaugurazione dell’anno accademico del Collegio d’Europa. Ha atteso invano: la missiva non era pronta, un accordo completo con Bossi non era stato ancora trovato. Qualcosa però Gianni Letta gliel’ha anticipato al telefono. Napolitano è partito preoccupato.

Intanto a Roma il premier ha continuato a limare il testo, lungo nell’esposizione e nelle rivendicazioni ma «sottile» nei contenuti. Almeno rispetto alle aspettative europee; in particolare sul versante delle pensioni sul quale la Lega non ha ceduto. Tra l’altro il Consiglio dei ministri non ha preso alcuna decisione e scadenze precise non ce sono. Bossi ha bloccato un accordo pieno. «Non hai capito - ha detto al presidente del Consiglio - che noi possiamo cedere all’infinito, dargli tutto quello che vogliono, ma non saranno mai contenti perché vogliono le tue dimissioni, quelle del nostro governo, per metterci un loro tecnico, Monti. Altro che Gianni Letta!».

Ecco perché Bossi ieri ha attaccato pubblicamente la lettera della Bce («scritta da un italiano», cioè Draghi) che a suo avviso sarebbe stata «una fucilata a Berlusconi». Ecco perché in privato Tremonti ha detto al premier «con questo accordicchio a Bruxelles non puoi andarci»: «Non hai capito che il problema sei tu». Per i berlusconiani il ministro dell’Economia è stato «brutale», ha cercato di giocare fino all’ultimo le sue carte. Sabato aveva presentato al presidente della Commissione europea Barroso un programma straordinario per il Mezzogiorno e questo a Roma è stato interpretato come il tentativo di accreditarsi come il successore di Berlusconi alla testa di un esecutivo tecnico.

Ma gli stessi ambienti berlusconiani spiegano il suo tentativo è fallito. E raccontano che Tremonti ha svolto un ruolo secondario nella stesura della lettera che stamane sarà inviata. Una lettera di orgoglionazionale, di rivendicazione di quanto è stato fatto. Si ricordano le due manovre di agosto e settembre, si rassicura sul pareggio di bilancio nel 2013. Quanto alle pensioni dovrebbe annunciare il graduale innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Nulla sulle pensioni di anzianità. A Palazzo Grazioli si è continuato a trattare su questo punto, ma Bossi è rimasto irremovibile. Insomma un compromesso al ribasso, un tentativo di superare la prova di Bruxelles.

«Un bluff», dice un ministro che avrebbe voluto sfidare la Lega con un intervento forte sulle pensioni. Il premier è consapevole del rischio che sta correndo, del pericolo che incombe da parte dei mercati. Come apriranno le borse giovedì, a quanto schizzerà lo spread tra i titoli italiani e i bund tedeschi se al vertice europeo la lettera light verrà bocciata? Berlusconi arriva al summit dicendo che nessuno può dare lezioni a un governo democraticamente eletto. «Alza la voce», gli ha consigliato Giuliano Ferrara. Per dare uno schiaffo a Sarkozy che lo ha deriso nella conferenza stampa di domenica scorsa i falchi gli hanno suggerito di non partecipare al vertice Ue. Cosa prontamente smentita dal portavoce Bonaiuti. Sarebbe devastante.

La giornata di ieri è stata intessuta di incontri, colloqui telefonici, un braccio di ferro continuo. Con il Cavaliere che ha cercato di forzate i ministri leghisti. Ha pure messo sul tavolo anche le sue dimissioni. «Se pensate che il problema sono io, faccio un passo indietro». I ministri e i capigruppo del Pdl hanno fatto quadrato attorno al premier, ma era chiaro che la mossa del Cavaliere era finalizzata a mettere paura al Carroccio. Un modo per dire «se volete allora beccatevi il governo tecnico». E su questo Bossi non ci sta. Non ci sta nemmeno Maroni che spesso viene dato in disaccordo con il leader leghista. Ieri il ministro dell’Interno ha chiacchierato a lungo con Bersani e il suo vice Enrico Letta.

Entrambi gli hanno fatto presente che la Lega rischia di rimanere sotto le macerie insieme a Berlusconi. Offrendo la possibilità di fare un governo Monti, escludendo di poter sostenerne uno guidato da Gianni Letta. «So perfettamente che un ciclo si è chiuso ma non sarò io a rompere con Bossi», è stata la risposta di Maroni. Rimane il problema di vedere se lo scambio Bossi-Berlusconi reggerà alla prova del tempo e se il governo riuscirà ad arrivare a gennaio.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426554/
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« Risposta #96 inserito:: Ottobre 28, 2011, 05:26:45 pm »

Economia

27/10/2011 - CRISI- RETROSCENA

Lettera all'Ue, l'ira di Tremonti: non potremo mantenere le promesse

Il ministro del Tesoro non avalla, un collega: l'ha fatto volutamente

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Fate voi. Non riusciremo a mantenere tutti questi impegni e poi quello che conta, più che il giudizio di Bruxelles, sarà la reazione dei mercati». Non ci ha messo la sua firma nella lettera che ieri Silvio Berlusconi ha portato al vertice europeo. Il ministro dell’Economia è rimasto ai margini della trattativa. «Volutamente», dice chi ci lavora accanto: se tutto dovesse precipitare Tremonti potrebbe sperare di essere il successore del Cavaliere per un governo di transizione. «Macché spiega un ministro che è stato parte attiva nella stesura della lettera - è fuori gioco. Si è messo alla finestra quando ha capito che non era lui a dirigere le danze. E infatti questa volta non è stato lui a definire la griglia di proposte che ci consente di superare l’esame in Europa».

Tremonti non ha sopportato che il ruolo principale nella stesura della missiva sia stato affidato a Romani e Brunetta, con la supervisione di Gianni Letta. Un problema di metodo e protagonismo, ma non è escluso che ci sia una questione di merito. Ad esempio sulle dismissioni e le privatizzazioni l’inquilino di via XX Settembre non avrebbe le stesse idee dei suoi colleghi; non è disponibile alla vendita di alcuni gioielli dello Stato, anche in parte, come Finmeccanica, Eni ed Enel. Aziende che fanno gola ai privati e che potremmo mettere sul mercato per recuperare le risorse necessarie a finanziare la crescita e lo sviluppo. Soldi che serviranno anche ad abbattere il debito pubblico. Per fare questo il governo affiderà l’elaborazione di un piano ad «una commissione ristretta di personalità di prestigio». Ed è quello che Tremonti ha sempre visto come fumo negli occhi. Comunque si tratta di un versante ancora incerto, un terreno scivoloso tutto da definire nel quale Tremonti non potrà essere escluso.

Rimane il fatto, ripetono alcuni ministri, che il responsabile dell’Economia questo giro non ha toccato palla. Martedì sera, quando si è recato a Palazzo Grazioli (dove è rimasto in tutto mezz’ora), la lettera era già stata scritta e si trattava di una bozza, mentre la versione finale con tutte le scadenze non l’ha mai vista. Ne ha preso atto. Del resto per tutta la gestione della vicenda si sarebbe messo sull’Aventino, irritando pure Umberto Bossi, che però continua a proteggerlo. Un atteggiamento che stupisce il premier: «Umberto è l’unico che ancora lo difende, tutti gli altri lo vorrebbero morto». Nessuno nella maggioranza ha più paura delle sue dimissioni, spiegano i berlusconiani. Tra l’altro, Tremonti non può più ergersi a unico interlocutore in Europa: il Cavaliere si sarebbe ripreso il ruolo che gli spetta, perché la lettera porta la sua firma e non quella del ministro dell’Economia.

Il punto però è come dare gambe alle promesse fatte ieri da Berlusconi a Bruxelles. Come trasformare in provvedimenti il «libro dei sogni» e poi farlo passare nelle aule del Parlamento dove l’odore di elezioni anticipate nel 2012 sta nuovamente mettendo in moto le frange legate a Scajola e Pisanu. Tutti attendono l’esito del vertice europeo, ma gli occhi sono puntati sulla reazione che avranno i mercati sull’Italia. Lo scenario del voto, con l’indiscrezione di un patto tra Bossi e Berlusconi per andare a votare il prossimo marzo, sta facendo fibrillare la maggioranza. Anche in un incontro ristretto che si è tenuto ieri nella sede del Pdl si è ragionato di questa eventualità. Il segretario Alfano ha riunito alcuni ministri e diversi parlamentari a lui vicini, quelli che vengono chiamati i «quarantenni» e che stanno preparando il ricambio generazionale in vista di urne aperte nella prossima primavera. Uno scenario che Alfano considera il più probabile. Nella Lega si parla addirittura di «black list», di maroniani da epurare in caso di voto. Gli estensori di questa lista sarebbero quelli del cerchio magico di Bossi, tra i quali il capogruppo Reguzzoni. Proprio tra lui e due deputati in odore di epurazione (Molteni e Rivolta) è andato in scena un alterco alla buvette di Montecitorio. La tensione è a fior di pelle e ieri alla Camera il governo è andato sotto diverse volte.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/426733/
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« Risposta #97 inserito:: Novembre 28, 2011, 09:02:13 am »

Politica

28/11/2011 - retroscena

Il Cavaliere vuole evitare la leadership di Casini

Rispolvera gli slogan sul comunismo per parlare a tutti i moderati

Amedeo La Mattina
Roma

Berlusconi non voleva andarci a Verona. Aveva già dato forfait sabato. Non aveva alcuna intenzione di intervenire al convegno dei Popolari Liberali di Giovanardi. Avrebbe preferito che parlasse solo il segretario del Pdl Alfano, per non oscurarlo. Ma alla fine si è fatto convincere per non dare un dispiacere al suo ex sottosegretario e anche cogliere l’occasione di una presa di distanze da una maggioranza politica indistinta. Non vuole confondersi innanzitutto con il Pd che ritorna a bollare come comunista, incapace di evolversi in senso socialdemocratico. Un’accusa che contiene dell’altro, non detto: un modo per mettere sottoscacco i centristi del Terzo polo, a cominciare dall’Udc di Casini che, abbattute le barriere tra centro, sinistra e destra, sta prendendo le misure delle future alleanze sul grado di sostegno al governo Monti. Esattamente ciò che il Cavaliere vuole evitare per non farsi relegare nel dimenticatoio e favorire una nuova Dc del Terzo Millennio in cui Alfano verrebbe inghiottito. Insieme a un bel pezzo di Pdl.

Ma la situazione finanziaria europea è su un crinale così pericoloso che dovrebbe sconsigliare riserve e tatticismi sull’azione di Monti. Invece Berlusconi ha dato l’impressione di voler aprire una lunga quanto prematura campagna elettorale. Ha toccato le corde di quella parte del suo partito che ha ancora il dente avvelenato per essere stata spinta fuori dai ministeri e si trova una Lega cannibale sulla schiena. Così il Cavaliere, non avendo una strategia ancora chiara e potendo solo ripetere che la colpa dello tsunami sull’euro non era sua, risfodera il vecchissimo cavallo di battaglia dei comunisti alle porte, del Pd mai diventato socialdemocratico.

Dal partito di Bersani nessuna risposta ufficiale. In via riservata i Democratici spiegano che le parole dell’ex premier sono quelle di un uomo sconfitto, che recita due parti in commedia. Si appresta a votare il pacchetto delle misure anti-crisi, sa che Monti durerà fino al 2013 perché provocare le elezioni anticipate sarebbe un disastro per lui, il ko definitivo. Deve però alzare la voce, distinguersi, evocare in maniera stanca vecchi repertori di una stagione sepolta. In questo modo, osservano a Largo del Nazareno, il Cavaliere pensa di tenere a bada chi nel suo partito lo spinge a elezioni in primavera. Ma c’è un’altra parte del Pdl, dai ciellini di Lupi e Formigoni a Scajola, Frattini ed ex Dc, che voglio andare avanti con Monti. E guardano all’Udc e al Terzo Polo come via d’uscita dal vecchio schema del centrodestra e dall’abbraccio con la Lega. Sono gli stessi che temono che Alfano non abbia le gambe per creare la riunificazione dei moderati sul modello Ppe.

Casini vorrebbe strappare il velo di ipocrisia che copre i rapporti tra le forze politiche che sostengono Monti. Fosse per lui i vertici della nuova maggioranza dovrebbero tenersi alla luce del sole, senza infilarsi nei sottopassaggi del Senato. L’ex presidente della Camera tuttavia non crede che Berlusconi stacchi la spina fintantoché i suoi interessi saranno salvaguardati. Del resto, è stato lo stesso Bossi a spiegare che l’ok del Cavaliere al nuovo governo è stato dettato dalla necessità di mettere a riparo le aziende Mediaset.

Ora il problema è tutto di Alfano. Quando i provvedimenti economici arriveranno in Parlamento dovrà tenere unito il suo partito. Se il Pdl si spaccherà, dovrà decidere da che parte buttarsi. Nel Pdl molti, da entrambe le fazioni, si chiedono se avrà birra nelle gambe per tenere la botta: o di rompere o di continuare a sostenere Monti, in ogni caso. Alfano va in quest’ultima direzione, su un terreno di responsabilità nazionale in cui può incontrare il Terzo Polo e costruire la nuova casa dei moderati. Più facile a dirsi che a farlo perché tutto passa attraverso il cerchio di fuoco della prova del governo Monti. Ancora una volta potrebbe essere Berlusconi a dire l’ultima parola e lo stesso Alfano è terrorizzato che possa essere Casini a prendersi la leadership del Ppe italiano.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/432028/
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« Risposta #98 inserito:: Novembre 28, 2011, 07:12:25 pm »

Politica

26/11/2011 - retroscena

Stallo sulla squadra in attesa del sì di Grilli

E nel Pdl critiche ad Alfano: «E’ troppo collaborativo»

Amedeo La Mattina
Roma

Ancora due settimane per le misure anti-crisi. Intanto il governo è impantanato sulla nomina dei sottosegretari e dei viceministri. Non c’è accordo su quanti ne spettano al Pdl, che in base alla sua forza parlamentare ne rivendica 12 e vorrebbe che Pd e Terzo Polo si spartissero gli altri 13. Monti ha stabilito che in tutto dovranno essere 25 quelli indicati dai partiti. Il premier si riserva per sé e per Passera 5 viceministri. Nomi che ballano, come quello del direttore generale del Tesoro Grilli che il premier vorrebbe a via XX Settembre, ma lui ancora non ha sciolto la riserva. Molte personalità contattate non sono disponibili a impegnarsi nell’esecutivo perché dovrebbero lasciare lauti stipendi. L’altro problema è il profilo che dovrebbe avere la nuova squadra montiana. Alfano ha chiesto che siano veramente tecnici, non ex parlamentari camuffati da tecnici. Potrebbero quindi saltare D’Andrea (Pd), D’Onofrio (Udc) e Martusciello (Pdl), che dovrebbero funzionare da raccordo con le forze politiche e le commissioni nella veste di sottosegretari ai Rapporti con il Parlamento. Ma il premier è intenzionato a non cedere: ha bisogno di figure di questo tipo.

Alfano è gravato dalla guerra di una parte del suo partito: viene accusato di essere troppo collaborativo con Monti (ieri in via dell’Umiltà ci sono state una serie di riunioni movimentate). Ma l’ex ministro della Giustizia ha le spalle coperte da Berlusconi, il quale continua a far ripetere che la tempesta finanziaria non era colpa sua e che i tecnici non sono il toccasana. Detto questo però non cede alle pressioni di chi nel Pdl vorrebbe andare a votare in primavera e chiede di rimanere legati alla Lega su una posizione critica nei confronti del governo Monti.

Insomma ce n’è abbastanza per far dire a Bersani che la situazione è critica, il premier è troppo lento nelle decisioni. Ma Monti non vuole correre, vuole procedere con prudenza e con i suoi tempi. Non è detto nemmeno che martedì prossimo ci sarà il Consiglio dei ministri per le nomine. Ma a preoccupare la «maggioranza che non c’è» sono le misure economiche. I frenetici contatti in corso tra Roma e l’Unione europea (unico vero referente di Monti secondo il metodo comunitario) hanno l’obiettivo di capire se le misure in cantiere siano sufficienti ad evitare il peggio. Se crolla l’Italia, crolla anche l’euro. Il premier dice la verità e non drammatizza. Ma l’effetto sulle forze politiche è quello di chi mette già le mani avanti: il pacchetto anti-crisi sarà prendere o lasciare. E’ quello che ha detto a Bersani, Casini e Alfano nelle telefonate e negli incontri fantasma a Palazzo Giustiniani. Ma ci vorrà del tempo prima che i provvedimenti economici vengano alla luce. Ed è questa la vera notizia.

Ci vorranno almeno due settimane, confida il super ministro Passera. Prima i singoli ministri dovranno fare le loro proposte, poi verranno messe sul tavolo di Monti che decide il timing. Il premier vuole prendersi tutto il tempo necessario per calibrare gli interventi. Potrebbe presentarsi al vertice europeo dell’8-9 dicembre senza aver ancora messo nero su bianco la sua ricetta economica. Ha un altro ritmo il nuovo presidente del Consiglio, che tuttavia deve fare i conti con i partiti. Che sono all’oscuro dei provvedimenti che intende mettere in campo il professore. Ma Bersani, Alfano, Casini, Fini e Rutelli vorrebbero un luogo dove confrontarsi (la fantomatica cabina di regia). «Il problema - spiega Denis Verdini - è che noi dobbiamo votare in Parlamento. E lì può succedere di tutto se non c’è un confronto preliminare. Senza si può aprire il vaso di Pandora».

Comunque, prima di tutto questo Monti deve definire la macchina del governo. La spinta prevalente è che sottosegretari e viceministri siano dei tecnici, ma quelli di rango guadagnano molto per accontentarsi di 60-100 mila euro lordi all’anno. Dicevamo di Grilli. Se lui dovesse dire di no, l’altro nomeè quello del direttore della Banca d’Italia Saccomanni, come vice del Tesoro. Come vice alle Finanze gira ancora il nome di Befera, direttore delle Agenzie delle entrate. Alle Comunicazioni c’è un problema politico perché Berlusconi non molla sul nome di Roberto Viola, segretario generale Agcom, mentre il Pd tiene duro su Nicola D’Angelo, anche lui dell’Agcom. In questo ministero come sottosegretario si fa il nome di Vincenzo ZenoZencovich, esperto in diritto delle comunicazioni. Al Welfare accanto alla Fornero potrebbe andare Michel Martone, giuslavorista della Luiss vicino a Sacconi.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/431765/
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« Risposta #99 inserito:: Dicembre 05, 2011, 10:59:33 am »

Politica

05/12/2011 -

Berlusconi: gli italiani ci rimpiangeranno

 
Alfano aggiunge: “Se non hanno toccato l’Irpef è merito nostro”

AMEDEO LA MATTINA
Roma

«Gli italiani ci rimpiangeranno». Berlusconi ha commentato con queste parole le notizie sulla manovra economica che ieri sono arrivate come una bomba. E’ semmai preoccupato dall’atteggiamento radicale che sta assumendo la Lega, ma il Cavaliere è convinto di poter recuperare, prima o poi, il rapporto con i suo amico Umberto. Intanto dal «Parlamento padano» di Vicenza Bossi e tutto lo stato maggiore leghista ha tuonato contro Monti, rilanciando vecchi slogan secessionisti. E questo mentre a Roma gli ex alleati del Pdl aspettavano con ansia di conoscere i provvedimenti del governo. La «stangata» è arrivata e non è certo il mancato intervento sull’Irpef a far tirare un sospiro di sollievo. Ora sono tutti lì a dire che sono riusciti a immettere un po’ di equità, ma non sarà facile far digerire ai loro elettori e parlamentari la stangata.

Berlusconi (ha seguito in diretta tv la conferenza stampa del premier Monti) ha appreso con soddisfazione questa novità che per il Pdl è una piccola vittoria. «Vuol dire - ha detto Angelino Alfano - che è passata la nostra impostazione per non colpire i soliti noti. Di questo sono contento. Domani leggeremo con attenzione tutto il testo». Una piccola vittoria e una piccola soddisfazione visto che dalla lettura del testo emerge un aumento complessivo della pressione fiscale. Non c’è la patrimoniale classica, che il Cavaliere ha detestato, ma c’è tutto il resto. Soprattutto una mazzata sulla casa, compresa la tassazione della prima casa, e un intervento pesante sulle pensioni.

«Adesso la luna di miele di Monti con l’opinione pubblica è finita», sottolinea l’ex ministro Romani. Una magra consolazione perchè il Pdl adesso dovrà votare una manovra che il capogruppo Cicchitto non esita a definire «lacrime e sangue». Ci saranno pochi margini per cambiarla in Parlamento, anzi quasi nulli visto che l’esecutivo si appresta a mettere la fiducia. Del resto, ammette Alfano, «noi abbiamo fatto una scelta di sostenere questo governo. Non c’è la possibilità di fare un intervento morbido. I bivio è tra una manovra pesante oggi o il rischio fallimento del Paese domani». Almeno, osserva il presidente dei senatori Gasparri, «siamo riusciti ad evitare l’aumento dell’Irpef, come avevamo chiesto noi nell’incontro con il premier».

Insomma il Pdl, che oggi pomeriggio riunirà il suo vertice dopo avere ascoltato Monti in Parlamento, si prepara a bere l’amaro calice e a rincorrere la Lega che cavalcherà sempre di più il malcontento popolare. Ma anche Berlusconi farà il suo gioco per non farsi mettere nell’angolo. Come dice Romani, la luna di miele che Monti ha goduto finora è finita e il Cavaliere anche ieri ha ripetuto un concetto che aveva confidato nei giorni scorsi.

Ecco, «gli italiani ci rimpiangeranno; gli umori dei cittadini sono mutevoli», ripete Berlusconi, il quale è convinto che questo consentirà di risalire la china del consenso. La preoccupazione però di fondo rimane perchè il rischio è che le misure di oggi non possano bastare. E tra qualche mese ce ne saranno di altre, proprio in piena campagna elettorale per le Amministrative.

Adesso Berlusconi ha invitato i suoi a non distinguersi, a votare compatti, affinchè non ci siano scossoni che possano compromettere l’immagine del Paese e il tentativo di portare l’Italia fuori dalla crisi. Ma cosa potrà succedere in futuro non è ancora chiaro. Se la situazione non dovesse migliorare il Pdl non esclude di poter valutare altri scenari, anche quello di non sostenere più Monti e andare al voto a giugno. E’ ancora tutto prematuro. Per il momento si tratta di far apparire la manovra come tutta farina del sacco dei tecnici. Un’operazione che tuttavia sarà difficile centrare, nascondendo le proprie responsabilità. Si cerca di valorizzare gli aspetti positivi, come ha fatto il presidente della Lombardia Formigoni: sono stati scongiurati i tagli alla sanità e al trasporto pubblico locale. «Sapevamo che la situazione economica è pesante e andava fronteggiata con provvedimenti di questo tipo». Più severo il giudizio dell’ex ministro Sacconi. «Un grande partito come il Pdl deve tenere comportamenti responsabili, ma turarsi il naso e votare non significa chiudere gli occhi sugli squilibri di questa manovra, tutta tasse, pensione e ben poca crescita».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/433040/
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« Risposta #100 inserito:: Dicembre 22, 2011, 12:42:36 pm »

Politica

22/12/2011 - LA CRISI GLI INCONTRI DEL PREMIER

Berlusconi avverte:"Basta tasse o si torna al voto"

OPINIONI Scandalo al Pirellone: super liquidazione all'arrestato 

Al governo ha chiesto una "cabina di regia" con Pdl, Pd e Udc


Amedeo La Mattina

Roma

Questa volta con la manovra è andata così e per questioni di urgenza l’abbiamo approvata ma a Monti ho detto che è la prima e l’ultima volta. Siamo sempre il sostegno più importante di questa maggioranza e il governo dovrà relazionarsi con noi prima di portare qualsiasi provvedimento in Parlamento». E se questo non accadrà gioco forza si andrà alle elezioni anticipate. Berlusconi rialza la testa, ma lo fa con i suoi parlamentari costretti a votare obtorto collo una manovra indigesta, nonostante sia stata un po’ addolcita. Sono i due partiti maggiori di questa strana maggioranza, Pd e Pdl, che cercano di uscire dallo stato di commissariamento in cui si sono trovati improvvisamente con la nascita del governo Monti. Anche Bersani, alle prese con una forte componente critica dentro il Pd e una Cgil sulle barricate in difesa dell’articolo 18, ha espresso lo stesso atteggiamento del Cavaliere all’incontro con il premier.

Per la verità nell’incontro a Palazzo Chigi con il Professore i due leader hanno usato toni molto soft. Anche perché il premier ha chiarito che se affonda il governo, affondano pure i partiti. Per cui i toni, appunto, non sono stati così ultimativi come Berlusconi ha fatto intendere ieri sera ai suoi senatori. Ma all’esterno e alle truppe bisogna dare la carica, rianimarli, tirali su e allora da oggi in poi il Pdl vuole essere consultato preventivamente. Il Cavaliere, che ieri ha incontrato Monti insieme a Gianni Letta (Alfano lo vedrà domani), sembra avere due facce e le gioca su più tavoli, con un occhio agli umori dell’opinione pubblica e un altro alla Lega sempre più lontana. Con Monti è stato molto più conviviale. Tra l’altro lo stesso premier è d’accordo sul fatto che adesso si dovrà discutere e concordare prima. E questo anche per quanto riguardo la riforma del mercato del lavoro.

Berlusconi allora parla di una «cabina di regia» tra il governo e una maggioranza che sostiene Monti a compartimenti stagni. Il Cavaliere, a differenza di buona parte del suo partito, sembra disponibile a quel patto alla luce del sole di cui parla Casini. E quindi ad allargare i compiti della «cabina di regia» anche al confronto diretto tra Pdl, Pd e Terzo Polo. Ma c’è lo stop netto di Bersani sui provvedimenti che l’esecutivo dovrà adottare, mentre sulle riforme costituzionali ed elettorale sarà possibile aprire un binario parallelo per far vedere che i partitisono vivi, capaci di rigenerarsi senza l’intervento dei tecnici. Anche di questo si è parlato ieri a Palazzo Chigi, trovando Monti concorde.

Il Cavaliere ieri si è presentato come l’azionista di maggioranza, e ha garantito che non sarà lui a staccare la spina. A Monti ha chiesto che tutti i provvedimenti dovranno essere concordati prima «in modo che possano arrivare in Parlamento con una accordo alle spalle e un iter più agevole». Il capogruppo del Pdl Cicchitto la spiega così: «Se non c’è una cabina di regia, la via d’uscita sono gli incontri bilaterali con il governo. Abbiamo votato il decreto “salva-Italia” in una situazione di emergenza, ma da oggi in poi non voteremo più a scatola chiusa, e se c’è un provvedimento che non ci convince ci terremo le mani libere».

Il doppio passo di Berlusconi non prevede limiti temporali al governo Monti. Ma non esclude un ritorno alle urne. A suo parere si potranno verificare alcune condizioni. La prima, che si riesca a fare un accordo con l’Udc; in quel caso questa alleanza vincerebbe sicuramente. La seconda: i sondaggi potrebbero dire che il Pdl vince anche da solo e questo è possibile se il governo continuasse con questa imposizione fiscale, mentre la sinistra e i sindacati continueranno sulla linea dello scontro. «Noi comunque siamo gli arbitri di questa situazione. Adesso però in Parlamento dobbiamo mantenere la più assoluta compattezza. Qualche deputato si è distinto sulla manovra perché noi siamo un partito liberale, ma la stampa di sinistra ne ha approfittato per dire che siamo divisi. Sono convinto - ha detto Berlusconi - che questo non accadrà più e solo compatti determineremo l’esito della situazione».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/435440/
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« Risposta #101 inserito:: Gennaio 03, 2012, 11:44:37 am »

Politica

03/01/2012 - LA CRISI LA BATTAGLIA POLITICA

Il Pdl avverte il Professore "Alla fine devi decidere con noi"

Il segretario del Pdl chiede al governo «maggiore concertazione» col partito prima di prendere decisioni che il Parlamento dovrà votare

Ma sulla questione del lavoro anche i democratici sono in fibrillazione

Amedeo La Mattina
Roma


Ieri Monti ha avuto primi contatti informali con i partiti. E’ sempre una corsa in salita e contro il tempo quella che impegnerà il premier in queste prime settimane del 2012 partito all’insegna dei sacrifici e dei rincari. Non sono solo i sindacati che vogliono condizionare le decisioni che il governo prenderà sul mercato del lavoro e sulla crescita. Anche le forze politiche chiedono di essere consultati per non essere esclusi dal negoziato e scavalcati dai sindacati.

Il Pdl lo chiede espressamente. «E’ ragionevole spiega il capogruppo Cicchitto - che il governo scambi le opinioni con le forze sociali; poi, in sede di decisione politica, il governo deve fare le sue scelte di intesa coi partiti che lo sostengono in Parlamento». Sì, perchè alla fine senatori e deputati dovranno votare quei provvedimenti che saranno adottati; e per loro potrebbero essere altri dolori quando dovranno spiegarli a un elettorato gravato dalle misure già entrate in vigore.

Ad avere i nervi scoperti sul tema lavoro è soprattutto il Pd che deve fare i conti con una Cgil sul piede di guerra. Così, Stefano Fassina, responsabile economia dei Democratici, avverte l’esecutivo a non commettere «errori nei delicati passaggi delle prossime settimane»; e ricorda proprio le parole pronunciate a fine anno dal presidente Napolitano, che «ha riportato il discorso sul lavoro alla realtà».

Sono i due partiti maggiori ad essere in fibrillazione, mentre il Terzo Polo chiede a Monti di tirare dritto, di non farsi legare le mani. «Il dovere del governo non è quello di concertare coi sindacati e di negoziare coi partiti. È quello di fare riforme - osserva Benedetto della Vedova, capogruppo del Fli - a partire da quelle relative al mercato del lavoro e alla liberalizzazioni, che incentivino l’investimento e l’attività economica».

Il premier, che ha trascorso il secondo giorno del 2012 a Palazzo Chigi insieme alla famiglia, ha poco tempo a sua disposizione. Il 20 gennaio è previsto il primo Consiglio dei ministri e il 23 dovrà partecipare alla riunione dell’Eurogruppo dove dovrà portare l’ulteriore lavoro fatto a casa. Monti ha comunque promesso ai leader di partito di incontrali e ascoltarli affinchè in Parlamento arrivino misure condivise: oltre agli auguri dei giorni scorsi, il professore ha sentiti telefonicamente alcuni loro anche ieri e sta già ragionando sulle cose da fare, a partire dalle liberalizzazioni. E sono arrivati subito gli altolà. «Su edicole, taxi e farmacie - ha avvertito l’ex ministro Carlo Giovanardi - sarà meglio che il governo Monti riponga nel cassetto le sue cattive intenzioni».

I partiti maggiori della strana maggioranza non arriveranno a staccare la spina, ma Berlusconi, Alfano e Bersani devono fare i conti con i loro mondi di riferimento e chiedono una terapia di crescita contro la recessione. Il Pd insiste sui lavoratori precari e sulle "emergenze" vissute da numerose aziende. L’ex ministro Damiano chiede un intervento forte per la crescita e sugli ammortizzatori sociali. Dal Pdl il vicecapogruppo al Senato Quagliariello ricorda che il governo ha varato una manovra su cui dice di avere «molti dubbi»: «L’abbiamo votato perchè è stata posta la fiducia. Ma la stabilizzazione non c’è stata. Lo dico con preoccupazione. Con lo spread sopra i 500 punti siamo ancora nella fase uno, altro che fase due! Ora serve una correzione profonda di questa manovra, mentre i partiti devono fare le riforme istituzionali». Nel partito di Berlusconi c’è chi, come Alessandra Mussolini, arriva a chiedere di sfiduciare il governo che «ci sta accompagnando alla recessione e alla disperazione».

Sarà un gennaio sicuramente complicato per Monti e tutte le forze politiche che, tra l’altro, attendono con un certo patema d’animo la decisione della Corte costituzionale che dovrà dire se il referendum sulla legge elettorale è ammissibili. L’11 gennaio la Consulta si riunirà in camera di consiglio. Ci vorranno alcuni giorni per una decisione, ma alla fine i partiti avranno un’altra grande grana da affrontare.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/436650/
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« Risposta #102 inserito:: Gennaio 18, 2012, 12:24:07 pm »

Politica

18/01/2012 - GOVERNO, MAGGIORANZA A RISCHIO

Berlusconi avvisa: "Due settimane decisive per Monti"

Alfano, Bersani e Casini: gli "azionisti" del governo Monti

Il Pdl chiede di ridiscutere alcune liberalizzazioni

Non c’è ancora intesa sulla mozione per l’Europa

AMEDEO LA MATTINA

Roma

Per Berlusconi le prossime due settimane saranno decisive. Monti dovrà recepire le proposte del Pdl, ammorbidire le liberalizzazioni, essere più cauto su certe categorie come tassisti e farmacisti. Non si tratta di un annuncio di smarcamento («saremo leali con il governo»), ma è il chiaro segno di una forte fibrillazione nel Pdl. Ieri sera a Palazzo Grazioli sono stati in molti a frenare sull’abbraccio con il Pd: il timore è che, voto dopo voto, la strana maggioranza diventi politica. Del resto, fino a poche settimane sembrava fantapolitica una mozione comune sulla giustizia. Ora è successo e si va verso una larga intesa sull’Europa. Berlusconi vorrebbe un riconoscimento esplicito del suo lavoro, ma nella mozione che verrà messa a punto domani dal ministro Moavero con i rappresentanti dei partiti non ci sarà. E per la verità non c’è nemmeno nel testo preparato da Frattini per il suo partito. Così come non ci saranno una serie di elementi che il Pd, ma anche il Pdl, vorrebbero inserire come l’obiettivo degli Eurobond, la trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza, l’esclusione di altre manovre.

Il governo chiede di avere le mani più libere e la definizione di un testo unitario con pochi dettagli e non troppo vincolante. Lo stesso strumento della mozione parlamentare non piace a Palazzo Chigi: il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giarda aveva suggerito ai gruppi di presentare un semplice ordine del giorno. Del resto lo stesso Monti non vuole andare allo scontro con la Merkel. «Non vogliamo creare problemi al Governo - spiega Sandro Gozi che per il Pd sta seguendo la trattativa - ma alcuni punti vanno fissati». «Sostegno ma anche indirizzo - afferma Osvaldo Napoli del Pdl - considerando l’assenza di una maggioranza politica precostituita». Ecco il punto, l’assenza di una maggioranza politica. Il capogruppo della Lega Reguzzoni sostiene che questa ci sia e ne risponderà ai propri elettori. No, replica l’ex ministro degli Esteri Frattini, «non è una maggioranza politica, ma una maggioranza salva Italia».

Sembra un gioco di parole. I due partiti maggiori cercano di esorcizzare quello che Casini, Fini e Rutelli, vogliono invece realizzare in questa legislatura e anche nella prossima. Per loro infatti è necessario trasformare un’alleanza occasionale in una coalizione politica. E la colazione di lunedì offerta da Monti a Bersani, Alfano e Casini può essere stata il primo passo per altre iniziative comuni alla luce del sole. Ma le resistenze dentro il Pd e il Pdl sono tante. Nel partito di Berlusconi sono in molti a temere che alla fine della fiera le liberalizzazioni danneggeranno più il loro elettorato di riferimento. «La vera liberalizzazione - dice l’ex ministro Gelmini - è la cancellazione dell’articolo 18, ma su questo punto il governo sembra fermarsi per non dispiacere il Pd e la Cgil». Paolo Romani afferma che se nella mozione sull’Europa non ci sarà alcun riconoscimento al governo Berlusconi significa che «stiamo scivolando pian piano verso la Grosse koalition e questo non può essere accettato».

Pdl ora dovrà pure ingaggiare il confronto sulla legge elettorale e sforzarsi di trovare un’intesa con il suo avversario principale, il Pd. Ma Berlusconi vuole trovare un accordo pure con la Lega (ieri ha visto Calderoli). Tutti sanno che si dovrà arrivare ad un compromesso. C’è chi spera che alla fine Berlusconi stacchi la spina in primavera e si vada a votare con il Porcellum. Il Cavaliere però si rende conto della gravità della situazione economica e poi ha interessi personali da tutelare (tra l’altro il 7 febbraio la Consulta si pronuncerà sul conflitto d’attribuzione relativo al processo Ruby).

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438741/
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« Risposta #103 inserito:: Febbraio 02, 2012, 10:41:11 am »

Politica

20/01/2012 - retroscena

Rischio imboscate del Pdl Napolitano copre il premier

«La protesta è giusta ma non deve superare certi limiti: l’occupazione delle piazze non può essere consentita a oltranza»

Luigi De Magistris, sindaco di Napoli.

Partito in picchiata. Verdini: tra un anno saremo al 15%


AMEDEO LA MATTINA
Roma

Monti è pronto a varare quella che Linda Lanzillotta, dopo l’incontro del Terzo Polo con il sottosegretario Catricalà, ha definito «la vera prima rivoluzione liberale in Italia: quella che doveva fare Berlusconi e non è stato in grado di fare». Ora però il governo dovrà attraversare il terreno minato del Parlamento dove le lobby delle professioni, avvocati e commercialisti in testa, sono forti, e agguerrite; proprio quelle lobby, oltre i tassisti, che trovano robuste sponde nel Pdl e che verranno colpite dalle liberalizzazioni. Non è un caso che ieri il segretario del Popolo delle libertà Alfano abbia avvertito il premier che «per liberalizzare non occorre uccidere le professioni». Con un avvertimento: «Il governo ha il dovere di presentare delle proposte e noi abbiamo il diritto-dovere di presentare le nostre. L’esecutivo propone, il Parlamento ratifica, ma senza un obbligo evangelico. Non siamo a caccia di pretesti per mettere in difficoltà Monti, né per farlo cadere, ma speriamo che il governo recepisca la nostra visione».

Al ministero per i Rapporti con il Parlamento spiegano che qualche ritocco si potrà sempre fare, ma di levare tasselli non sarà possibile. La sensazione netta è che Berlusconi e Alfano dovranno ancora una volta bere l’amaro calice, come è accaduto con il decreto «salva-Italia» fatto essenzialmente di tasse per stabilizzare il debito pubblico e votato dal Pdl, facendo perdere a questo partito una grande quantità di consensi. A Palazzo Grazioli in questi giorni sono arrivati sondaggi che lo danno al 22%, dallo stratosferico 37,4% del 2008: e ancora non vedono la fine della discesa, al punto che viene calcolata una perdita media dello 0,3% alla settimana. «Di questo passo tra un anno se ci va bene arriveremo al 15%», è sbottato Denis Verdini che insiste con il Cavaliere per staccare la fatidica spina al governo. E non è il solo, ma l’ex premier non può, non vuole e non ne ha la forza.

Che il terreno sia minato, Monti ne è consapevole, ma è determinato ad andare avanti e non crede che alla fine nel Pdl prevarrà la linea dei falchi. Ha le spalle coperte dal capo dello Stato al quale ieri il presidente del Consiglio è andato ad illustrare i provvedimenti che verranno varati oggi dal governo. «Ripristinando così - dicono nel Pd una prassi preberlusconiana, visto che è il capo dello Stato a dover firmare i decreti». Napolitano ha dato il via libera e pieno sostegno a Monti per l’attraversata del Parlamento. Ha gradito moltissimo che il premier si sia presentato al Quirinale con una serie di sottosegretari competenti in materia, coloro che scrivono le formulazioni tecnicogiuridiche. Il capo dello Stato ha ascoltato con attenzione e alla fine pare si sia alzato dalla poltrona soddisfatto.

Il presidente della Repubblica apprezza il lavoro che il premier sta facendo in Europa, il suo insistere sulla crescita e non solo sul rigore voluto dalla Merkel; e sul metodo comunitario di affrontare le questioni. Una tela diplomatica che in questi giorni è passata per Londra dove ha visto Cameron e ha rassicurato la City. E ieri è stato fatto un altro passaggio importante in vista dei prossimi appuntamenti europei, con l’incontro a Palazzo Chigi con il premier polacco Tusk.

Anche di questo scenario internazionale sembra che ieri si sia parlato al Quirinale. Per Napolitano la credibilità dell’Italia sui mercati e la stabilità del debito pubblico passa anche attraverso le liberalizzazioni: sono il secondo biglietto da visita che Monti potrà portare al vertice europeo del 30 gennaio. Potrà continuare a dire che gli italiani non chiedono niente alla Germania e a quei Paesi che ancora nutrono qualche dubbio sul nostro conto: noi pensiamo a fare i compiti a casa nostra, ma la Merkel dovrà cambiare rotta.

Ora però Monti dovrà affrontare il terreno minato del Parlamento italiano. A Palazzo Chigi, negli incontri che si sono svolti ieri con alcune delegazioni dei gruppi, il governo è apparso sereno, niente affatto preoccupato di fronte alle critiche che inevitabilmente pioveranno. Del resto, ha spiegato il sottosegretario Catricalà, le liberalizzazioni riguardano tutte le categorie professionali, tutti i settori economici. E’ una spinta alla modernizzazione, un cambio di passo anche culturale, un aiuto ai giovani. «E poi - ha sottolineato il sottosegretario - non stiamo facendo altro che applicare le indicazioni che ci vengono da Bruxelles».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/439018/
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« Risposta #104 inserito:: Febbraio 21, 2012, 12:19:52 pm »

Politica

20/02/2012 - il caso

La mossa di Silvio: campagna elettorale senza la mia faccia

Ipotesi "civica", ma mezzo partito fa muro

Amedeo La Mattina
Roma

Il Cavaliere non sarà presente alle amministrative. Niente comizi, niente campagna elettorale. E se questa scelta verrà mantenuta fino in fondo, se riuscirà a resistere alle richieste del territorio, sarà la prima volta in assoluto da quando è sceso nell’agone politico. Toccherà al segretario Angelino Alfano pedalare e assumersi fino in fondo la responsabilità dei risultati elettorali. Non ci sarà più la presenza «salvifica» di Berlusconi, come è accaduto in passato in molti casi. Oggi sono altri tempi, sembra passata un’era geologica e l’ex premier Berlusconi lo sa, se ne rende conto. Per questo non vuole metterci la faccia, sul voto di primavera, su una sconfitta annunciata. Ed è la logica conseguenza della volontà, che si fa sempre più diffusa nel Pdl, di interpretare l’appuntamento elettorale in chiave civica. Ma non sarà facile per Berlusconi convincere una buona parte del partito, che resiste a tuffarsi nelle amministrative sostenendo candidati non di partito, facendo pure scomparire il simbolo del Pdl.

A Palermo si pensa addirittura di sostenere il giovane Costa, che è stato scelto dal Terzo Polo per la corsa alla più alta carica di Palazzo delle Aquile. Miccichè e il suo Grande Sud sembrano sempre più decisi a partecipare a questa partita, che lascerebbe il Popolo della Libertà isolato. Ecco perché Alfano sta pensando di appoggiare Costa. Sarebbe un fatto eclatante. Ovviamente non sono tutti d’accordo, perché accodarsi ad una scelta altrui sarebbe umiliante. Gli altri, coloro che non vogliono farsi sfuggire il trentaquattrenne Costa, che si porta dietro un bel po’ di voti Pdl vicini al presidente dell’Ars Francesco Cascio, rispondono: pensate invece quanto sarebbe umiliante se il nostro candidato non riuscisse a passare al primo turno, dovendo assistere a un ballottaggio tra Pd e Terzo Polo.

I rompicapo del Pdl attraversano l’Italia da Nord a Sud. E’ in corso un duro braccio di ferro sulla strategia da adottare alle amministrative. Dietro le scelte di continuare ad esistere come Pdl e di cambiare pelle (e nome) c’è l’obiettivo di partecipare alle operazioni che dopo le amministrative partiranno. Il fantasma del Nuovo Partito su cui punta Casini agita i sogni di una parte dei berlusconiani, che presto potrebbero diventare ex berlusconiani. Sì, perché non sono pochi coloro che per le Politiche 2013 aspettano che passi il nuovo autobus con la scritta luminosa «Appello ai Moderati: tutti a bordo». Per non subire questa operazione (non si sa ancora chi dovrebbe guidarla, se ci sarà Monti, Passera o qualcun altro alla guida dell’autobus), Alfano saggiamente si sta attrezzando. E Berlusconi cerca di dargli, per quanto può, una mano. Ma alle amministrative la musica è diversa: lui non ci sarà.

Il braccio di ferro dentro il Pdl è duro. Ieri Giuliano Ferrara ha messo il dito nella piaga. Sulle colonne del «Giornale» ha definito i partiti in generale delle anime morte, realtà che sanno fare solo danni. «Non servono più. Il Pdl poi si è mangiato la leadership, ha condotto alla perdita della maggioranza alle Camere, è stato il luogo delle risse indiscernibili, di rinvii e intralci all’azione del governo». Ma non sono solo gli ex An, abituati a lavorare con maggiore organizzazione, a non volere perdere il simbolo del Pdl per strada. Anche alcuni ex ministri di origine Forza Italia considerano un suicidio presentare solo liste civiche. «Chi sta forzando su questa ipotesi - spiega uno di loro - non ha voti. Sono gli stessi che magari denunciano tesseramenti falsi perché di tessere ne hanno poche e hanno perso o si apprestano a perdere i congressi. Alfano deve avere il coraggio di ripartire anche dal 18-20%. E’ una pazzia scomparire nelle liste civiche».

Insomma Berlusconi, che oggi ha riunito amministratori e i vertici nazionali e locali del Pdl, dovrà trovare un compromesso difficile. In effetti pensare di correre a Palermo senza il simbolo, nella città che è stata una delle roccaforti del berlusconismo, sarebbe incredibile. E la stessa cosa potrebbe accadere a Verona. Il Cavaliere si è però convinto (i sondaggi glielo confermano) che ormai per gli italiani partito è uguale a sfiducia. Ma uno che di campagne elettorali nei comuni se ne intende, come Osvaldo Napoli, invita i dirigenti del suo partito a non impiccarsi alla disputa fra liste civiche e liste di partito. «Voglio dire, da amico di Berlusconi e di Alfano, che il voto amministrativo deve essere l’occasione non per presidiare il territorio mostrando le insegne del partito, oppure per mimetizzarci attraverso le liste civiche. Occorre un bagno di umiltà e di speranza che tutto il centrodestra deve fare fra i cittadini».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443174/
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