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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 119191 volte)
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« inserito:: Gennaio 11, 2008, 10:07:28 am »

11/1/2008 (6:44) - IL RETROSCENA

I "nanetti" accerchiano Veltroni
 
Fabio Mussi, leader di Sd e Franco Giordano, segretario del Prc

Legge elettorale, i piccoli ottengono minivertice. Scintille Prodi-Walter

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Quando si sono messi tutti seduti, il vertice di maggioranza sembrava un convegno: undici delegazioni, ognuna con il suo segretario e due capigruppo, più mezzo governo. L’immagine plastica della frammentazione del centrosinistra che ha fatto dire a Veltroni con tono sarcastico: «Erano sei anni che non partecipavo a una riunione come questa e vedo che il tavolo si è allungato e il numero dei partiti è aumentato...». «Per la verità - gli ha replicato ironico Franco Giordano - quattro dei nuovi partiti che sono qua li hai generati tu facendo il Pd».

Sorrisetto malizioso degli scissionisti Mussi e Dini. Boselli che sta facendo la costituente socialista con l’ex Ds Angius non ha mosso un muscolo. Ha fatto finta di niente l’altro scissionista Manzione, che si è presentato a Palazzo Chigi con la casacca dell’Unione dei democratici, insieme a Bruno De Vita, segretario dei Consumatori uniti. Il quale De Vita si è messo discettare a lungo di economia al punto che il capogruppo alla Camera del Pdci Sgobio ha sussurrato all’orecchio del presidente dei deputati Democratici Soro: «Comincio a pensare che avete ragione voi che volete eliminare i “nanetti”», ha concluso con autoironia Sgobio.

Sono stati proprio i «nanetti» a dare battaglia sulla legge elettorale, nonostante non fosse all’ordine del giorno, chiedendo che la maggioranza assumesse una posizione unitaria prima di approvare la bozza Bianco come testo base. Veltroni si è opposto a una soluzione del genere. «Non è questo - ha detto Veltroni - il metodo giusto. Se vogliamo trovare una maggioranza ampia in Parlamento per le riforme, bisogna discutere con l’opposizione. Se ci blindiamo salta tutto». Alla fine, dopo un lungo braccio di ferro, Prodi ha suggerito di riunire i capigruppo. Infatti la riunione si farà martedì prossimo e parteciperà per il governo il ministro per il riforme Chiti. Per i piccoli è già qualcosa ma il segretario del Pd ha avvertito che sarà difficile trovare «una condivisione al 100% di tutto il centrosinistra».

Ma c’è stata anche un’altra questione che ha molto irritato Veltroni. Nella sua introduzione Prodi ha indicato gli impegni per il futuro, e oltre all’aumento del potere d’acquisto, ha citato le riforme istituzionali, la legge elettorale, il conflitto di interessi e la riforma della Rai. Ecco, questi ultimi due argomenti per Veltroni, messi sul tavolo adesso sono una «zeppa» al dialogo con Berlusconi. A quanto riferiscono i bertinottiani, ne ha parlato con Giordano e anche il segretario del Prc condivide l’irritazione del sindaco di Roma: ora che la trattativa con il Cavaliere è in zona Cesarini, Prodi cerca di mettere i bastoni tra le ruote. Ma questo malumore è stato volutamente tenuto fuori dal salone di Palazzo Chigi. Uno scontro c’è stato invece sulla necessità posta dai piccoli di «blindare» la maggioranza sulla legge elettorale.

È stato Boselli a chiedere di affrontare il tema. Prodi ha cercato di stopparlo dicendo che si sarebbe parlato solo di economia. Si è subito unito il fronte di quelli che temono di essere falcidiati: Mastella, Di Pietro, Pecoraro Scanio hanno insistito. Mentre Mussi ha detto: «Vorrei evitare che abbiamo iniziato a parlare di salari e finiamo per litigare sulla legge elettorale». Per la Finocchiaro i tempi sono stretti e se si vuole evitare il referendum bisogna subito approvare la bozza Bianco. «No - ha replicato Fabris dell’Udeur - non possiamo andare avanti se prima non risolviamo questo problema. I due argomenti si tengono insieme». «Allora facciamo due tavoli, pensiamoci in un altro momento», ha proposto Mussi. Alla pausa panino Di Pietro si è avvicinato a Mastella e gli ha detto: «Questi ci vogliono fregare». «Finalmente te ne sei accorto - gli ha risposto il ministro della Giustizia - tu che hai sempre detto di essere disposto a sacrificarti per semplificare il quadro politico».

Di Pietro e Mastella si riuniscono in una saletta e vengono raggiunti da Boselli e Pecoraro Scanio. Decidono di non demordere: non si esce dal vertice se non si strappa un incontro di maggioranza prima del voto sulla bozza Bianco. Così, alla ripresa del vertice, i «nanetti» tornano alla carica e interviene Veltroni che ribadisce la logica secondo cui le riforme si fanno con l’opposizione. Prodi suggerisce di far incontrare solo i capigruppo, senza il coinvolgimento del governo («potrebbe sembrare un’indebita pressione sulla Consulta).

da lastampa
« Ultima modifica: Febbraio 20, 2010, 11:53:22 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 10, 2008, 10:16:49 am »

10/11/2008 (8:26) - IL CASO

La bicamerale resta al palo
 
Forza Italia tira il freno e An si divide.

Berlusconi insospettito dalle mosse di Fini

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Nel centrodestra ora tutti si chiedono cosa c’è dietro la mossa di Fini, che ha proposto, insieme a D’Alema, una commissione bicamerale per il federalismo fiscale. La risposta che va per la maggiore non si ferma al dato tecnico (è utile o non è utile?), ma allunga lo sguardo ai progetti politici del presidente della Camera e dell’ex premier: entrambi si tengono la mano e si candidano alla leadership dei rispettivi schieramenti.

Il più diffidente è il premier, che mette in fila tutti gli smarcamenti di Fini. Ha criticato il governo per l’eccessivo uso dei decreti. Ha sostenuto che prima vengono le riforme costituzionali e poi il nuovo regolamento parlamentare, al quale invece Berlusconi tiene tantissimo per rendere più veloci l’iter delle leggi. Era pronto a concedere il voto segreto sulla nuova legge elettorale europea, costringendo il Cavaliere a ritirarla. E’ di questi ultimi giorni poi la polemica sulla Finanziaria arrivata in aula senza che sia stato discusso un solo emendamento: Berlusconi ha minacciato di mettere la fiducia e Fini ha replicato che sarebbe «politicamente deprecabile». Ora c’è questo asse con D’Alema riemerso con forza l’altro giorno al convegno promosso ad Asolo dalle Fondazione finiana FareFuturo e da quella dalemiana Italianieuropei.

Questa lettura «maliziosa» delle sue mosse fa sorridere il presidente della Camera. «Ma per carità... Intanto non è stata proposta nessuna Bicamerale come quella di D’Alema del 2001, ma un percorso per agevolare l’approvazione del federalismo tanto caro alla Lega. Il rischio - secondo Fini - è che i decreti attuativi del federalismo fiscale si arenino nel passaggio attraverso dodici commissioni, sei alla Camera e sei al Senato». «È un modo per dare una mano al governo», conferma l’ex presidente della Camera Violante. Si tratta semplicemente di una proposta «tecnica», spiegano i collaboratori di Fini: è piuttosto strano che tutti si siano messi paura nel sentire parlare di «bicamerale» e non hanno invece tenuto conto dell’altro tema «veramente politico» rilanciato ad Asolo, cioè la bozza Violante. Per la verità Bossi questo altro tema non se l’è fatto sfuggire e ha subito detto che questa bozza sulle riforme costituzionali è già «superata». E in questa direzione ieri il vicecapogruppo del Pdl al Senato Quagliariello ha annunciato che verrà varata nei prossimi giorni «una nuova proposta» su federalismo e riforme.

Comunque, aggiungono ai piani alti di Palazzo Montecitorio, ci sarà un emendamento ispirato da D’Alema per istituire una commissione bicamerale: se verrà bocciato «amen e auguri a chi dovrà affrontare le forche caudine delle dodici commissioni parlamentari». A sparare contro la proposta Fini-D’Alema sono in tanti nella maggioranza, a partire dal ministro Brunetta: «C’è già una bicamerale che riguarda le Regioni. Non vedo la necessità di altri organismi». Per il deputato Pdl Osvaldo Napoli «il federalismo può essere discusso nelle sedi parlamentari proprie: una Bicamerale avrebbe senso per elaborare i principi della riforma, ma questo lavoro, grazie a Calderoli, è stato fatto con i Comuni e le Regioni».

Un mezzo stop arriva anche dal capogruppo Pdl del Senato Gasparri, esponente di An: «Ben venga tutto ciò che accelera e semplifica le decisioni. Gli organismi esistenti possono essere rafforzati, più che duplicati». Un altro esponente di An, Italo Bocchino, è invece d’accordo con la proposta di Fini e D’Alema: «Non deve destare scandalo l’idea di affidare il delicato compito ad una commissione ad hoc, che eviti la palude dell’esame da parte di numerosi organismi». «Avremo tempo per pensarci», ha dribblato La Russa occupato con le celebrazioni del 4 Novembre. Ma la priorità non è il federalismo fiscale: «Con tutto il rispetto per la Lega - ha osservato Casini - bisognerebbe pensare a dare ossigeno alle famiglie che non arrivano alla fine del mese».

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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 05, 2008, 09:49:27 am »

5/12/2008 (7:39) - GUERRA TRA I DEMOCRATICI

D'Alema: lo direi se non volessi Walter
 
 
«Ma ci sono nodi veri, semplicistico accusare complotti»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


L’ultima puntata dell’antica lotta tra Veltroni e D’Alema è di ieri. Ma a complicare tutto nel Pd ci sono i casi giudiziari di Napoli e Firenze, con Veltroni che si aspetta le dimissioni di Bassolino. Ma cominciamo dall’ultima puntata che nasce dal lamento di un dalemiano alla «Stampa» dell’altro giorno. Un «anonimo» parlava di Veltroni come di un segretario-dittatore che sottobanco tratta con Berlusconi sulle nomine Rai e la legge elettorale europea. Veltroni non sopporta più questo logoramento continuo proprio mentre l’attacco a Berlusconi, a suo parere, sta cominciando a dare i primi frutti. Così, in un’intervista a «Repubblica», dice «basta ai veleni e agli attacchi anonimi». Chi vuole un nuovo leader esca allo scoperto e alla direzione del 19 dicembre sollevi il problema.

«Sono pronto a mettermi in gioco. Ma se nessuno pensa che il nostro problema sia la leadership, allora chiedo a tutti il massimo della coerenza». Metodi dittatoriali? «Se ho un difetto è quello di essere troppo tollerante». Non fa nessun nome, Veltroni, ma tra i veltroniani l’indice è puntato contro il senatore Nicola Latorre. La risposta di D’Alema è a doppio taglio. L’ex premier dice che la sfida di Veltroni non è rivolta a lui: «Il giorno in cui ritenessi che deve lasciare la guida del Pd, lo direi a lui direttamente e poi in pubblico». Prima getta acqua sul fuoco. Precisa di non volere «insidiare» il segretario o una conta interna. Dopodiché chiede di affrontare i «problemi seri», non esorcizzandoli o «dando la colpa a oscuri complotti». Sarebbe una risposta «semplicistica»: ci sono anche «nodi reali», a cominciare dalla costruzione del partito, dalle regole e dal governo dei conflitti in periferia, compresi quelli di «costume».

Ecco, più che una conta temuta, gli avversari di Veltroni vogliono un confronto politico. Rutelli confida in una relazione del segretario «alta e concreta, e il partito gli conferirà sostegno e fiducia». Ma Veltroni alla Direzione vuole anche una sorta di voto di fiducia nei suoi confronti. Non vuole continuare a fare, per usare la metafora di Arturo Parisi, il «giovane supplente che ognuno di noi ha incontrato nella sua vita di studente: più grida “basta” e più alimenta il caos». Per Parisi è il momento di «resettare», come se il Pd fosse un computer: spegnere e riaccendere. In altre parole, Veltroni si dimetta e convochi l’assemblea costituente, che «è l’unico organo veramente eletto: solo in questa sede è possibile l’unica conta democratica». Ma Parisi non dimentica che nel «disfacimento» del Pd un ruolo importante ce l’hanno le vicende giudiziarie di Firenze e Napoli.

«Senza dimenticare Roma che ci possiamo trovare nella calza della Befana», aggiunge l’ex ministro della Difesa. Veltroni dice che c’è una questione morale nella vita politica italiana e ammette che «il Pd non è al riparo». La prossima settimana Veltroni incontrerà la Iervolino e Bassolino. Al quartier generale del Pd spiegano che non verranno chieste le dimissioni del sindaco e del governatore. Certo, aggiungono alti esponenti della segreteria, sarebbe un grande servizio al partito, se le dimissioni arrivassero spontanee. Bassolino non aveva detto che finita l’emergenza rifiuti si sarebbe dimesso? Spetta a lui portare a termine questo impegno. Detto questo per Veltroni non c’è nessuno scambio sottobanco tra le dimissioni di Bassolino e un seggio per l’Europarlamento. E in ogni caso non c’è una questione morale nel Pd, ma singoli casi. Quanto a Napoli, dicono i suoi collaboratori, serve «un cambiamento profondo, una rottura con il passato, un segno di forte discontinuità». La Iervolino risentita vorrebbe capire di cosa è accusata. «Ho le mani pulite. Se ci sono reati commessi da qualcuno, lo dicano, perché lo allontaniamo. Se ci sono però problemi politici, lo dicano e dicano pure quali sono e quali alternative hanno perché il vinavil a Rosetta non si addice».

da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 29, 2009, 11:13:46 am »

29/3/2009 (7:33) - NASCE IL PDL - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Ma il Carroccio stoppa Gianfranco
 
D'Alema apre: raccogliamo la sfida sulla Costituente

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Nel Pd osservano che le posizioni apprezzabili di Fini sono destinate a cadere nel vuoto perché nel Pdl comanda solo Berlusconi. E se il premier si azzarda a sostenere il referendum elettorale, un minuto dopo Bossi stacca la spina del governo: quindi, non lo farà mai. E che Bossi staccherebbe la spina lo assicurano anche i leghisti. Tra i Democratici c’è chi come il deputato Andrea Sarrubbi è convinto che Fini e Berlusconi stiano giocando al poliziotto buono-poliziotto cattivo. E chi come Bersani pensa che abbia smontato «gli architravi delle politiche di Berlusconi». D’Alema invita il centrosinistra a raccogliere «la sfida lanciata da Fini di una stagione costituente»: «Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto». Ma gli applausi che vengono dal Pd non sono unanimi, cioè non tutti abboccano all’amo della dialettica interna al nascente Popolo della libertà.

Sono in molti, anche vicino al segretario Franceschini silente in Cile, che, pur apprezzando le affermazioni di Fini, osservano la «solitudine» in cui si muove la terza carica dello Stato. E lo dicono con rammarico. I Democratici non sparano, come fa Di Pietro secondo cui il presidente della Camera è «un furbetto che sta con due piedi in una scarpa». Affermano invece che le sue parole sono «velleitarie, testimoniali, soverchiate dall’asse Berlusconi-Fini» (Franco Monaco). Spiega Francesco Garofani, uno dei più stretti collaboratori del segretario Pd: «Nel Pdl comanda solo Berlusconi, mentre Fini si trova in una situazione di splendida solitudine. Le sue posizioni purtroppo non lasciano tracce, non vengono seguite nemmeno dai “colonnelli” di An». Quanto alla Lega, di referendum e bipartitismo non vuole sentirne parlare. Calderoli osserva che la grande sfida è fare le grandi riforme incompiute del Paese. La prossima settimana lui e Bossi incontreranno i capigruppo della maggioranza e subito dopo quelli dell’opposizione per illustrare il testo di riforma costituzionale che il governo intende presentare.

Insomma, «delle due l’una: o si crede nelle riforme e il referendum allora è solo un costoso esercizio accademico. Oppure si rinuncia per sempre alla possibilità di ridurre il numero dei parlamentari, cancellare il bicameralismo perfetto, rafforzare i poteri del governo e quelli del Parlamento». Del resto, aggiunge Roberto Cota, con gli effetti del referendum non si danno più poteri ai cittadini: «Anzi, l’effetto sarebbe contrario, perché non vengono introdotte le preferenze e si avrebbe un listone unico bloccato». Insomma, per il capogruppo leghista il referendum viene presentato «in maniera truffaldina»: «E poi nel programma di governo ci sono le riforme e non il referendum». La Lega, comunque, non è preoccupata delle posizioni di Fini, che a via Bellerio sono definite «minoritarie sul versante immigrazione e suicide su quello referendario».

da lastampa.it
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 30, 2009, 10:50:20 am »

30/3/2009 (7:10) - IL CASO

Ora la Lega si prepara alla battaglia del Nord
 
Scontro per le candidature in Lombardia, Veneto e Piemonte

AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Dopo tre giorni di congresso Pdl, la battaglia del Nord per le amministrative si annuncia rovente. Una battaglia di trincea, comune per comune, provincia per provincia, per la supremazia in Piemonte, Lombardia e Veneto. Al padiglione 8 della Fiera di Roma si è sentito forte il rumore delle armi, negli affondi di Fini, negli altolà del governatore Formigoni e del ministro della Difesa La Russa, che ieri ha detto: «Non ci sarà competizione con la Lega se cerchiamo consensi al di fuori del nostro recinto. Ma se la competizione sarà interna, beh, allora sarà ad armi pari. Non è possibile che tocchi sempre a noi farci da parte». Stasera Berlusconi dovrebbero incontrare Bossi ad Arcore per comporre il puzzle delle candidature. L’incontro non è scontato e pacifico: il Cavaliere deve prima fare il punto con i suoi che non hanno intenzione di lasciare agli alleati la ricca prateria di consensi del Nord. «Abbiamo concesso troppo alla Lega. Non possono pretendere di avere tutto quello che chiedono», dice il milanese Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni, mentre si spengono le luci del congresso.

Un ministro, che non vuole essere citato, spiega che «i rapporti con Bossi si complicano molto se al Nord non si va insieme ovunque. Un modo per convincere il Carroccio è di fissare la data del referendum in coincidenza con il secondo turno. Per evitare che la consultazione referendaria raggiunga il quorum, la partita delle amministrative deve essere chiusa al primo turno». Già, perché andare al ballottaggio significa portare gli elettori alle urne, che si troverebbero anche la scheda del referendum che introdurrebbe il bipartitismo. Cosa che la Lega vede come il fumo negli occhi. Berlusconi in genere un accordo con Bossi lo trova sempre. E sa che al Nord insieme alla Lega può fare strike e ridurre al lumicino il Pd. Ma la cosa non sembra scontata. In Veneto, spiega il segretario del Carroccio Giampaolo Gobbo, «non abbiamo ancora chiuso accordi da nessuna parte»: «E siamo pronti a correre da soli, confortati dal risultato che abbiamo ottenuto alle Politiche». Nel Veneto, quindi, sono ancora da riempire le caselle nelle province di Belluno, Verona, Venezia, Rovigo e Padova. In Lombardia c’è il «caso Brescia». Il Pdl ha già lanciato in pista Giuseppe Romele, ma la Lega vuole la provincia per un suo uomo (si parla di Daniele Molgora, sottosegretario di Tremonti, bresciano doc). Ma il Pdl non ha intenzione di mollare. «Hanno già avuto Bergamo e si sono presi la provincia di Cuneo con la compagna di Calderoli, la Giovanna Gancia - spiega il deputato bergamasco del Pdl Gregorio Fontana -, non possiamo dargli pure Brescia.

Tra l’altro i nostri sondaggi, che sono sempre quelli buoni, dicono che il Pdl in Lombardia è al 40% rispetto al 36 delle Politiche. E questi voti li andiamo a prendere al Pd. La Lega è invece stabile. Tra l’altro - aggiunge Fontana - il Carroccio si è aggiudicato Bergamo, Sondrio e Cremona». Per la provincia di Milano, invece, c’è l’accordo sul berlusconiano Guido Podestà. L’altra trincea calda è il Piemonte, a cominciare dalla provincia di Torino. La Lega è sicura di aver riempito questa casella con la segretaria cittadina Elena Maccanti. Il coordinatore regionale del Pdl, Enzo Ghigo, è invece fermo su Claudia Porchietto, presidente delle piccole imprese. Gli uomini di Bossi considerano chiuso il capitolo Torino perché il Pdl ha il proprio candidato in tutte le altre realtà (tranne Cuneo) in cui si vota: a Novara, Alessandria, Biella, Verbania, Alessandria, Vercelli. E che non ci può essere uno scambio tra Brescia e Torino. Sullo sfondo poi ci sono le Regionali del 2010.

Di questo ancora Bossi e Berlusconi non hanno parlato, ma la Lega vorrebbe due delle tre Regioni: Piemonte e Veneto. Senza escludere la Lombardia se una delle prime due dovesse andare al Pdl. Insomma, la battaglia del Nord promette scintille. Già le dichiarazioni di ieri sono un assaggio. Bossi ha risposto a Formigoni, che al congresso aveva detto che il Carroccio non può pensare di muoversi come partito di lotta e di governo, prendendosi «i meriti delle cose buone fatte dal governo e scaricargli addosso gli errori». «I nostri affari li facciamo noi, non Formigoni», è stata la sciabolata di Bossi. Delle parole di Berlusconi al congresso, Roberto Calderoli è soddisfatto: «Mettiamo invece da parte le parole dei singoli, qualcuna davvero sopra le righe. Faremo finta di non aver sentito alcuni interventi». Il messaggio leghista è: «Non tirate troppo la corda».

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« Risposta #5 inserito:: Marzo 30, 2009, 11:31:55 am »

Congresso Pdl, la Lega chiede conto al Cavaliere.

Faccia a faccia col Senatur 
 
 
 di Marco Conti


ROMA  (30 marzo) - Alla fine della tre giorni la "logica del predellino" ha avuto la meglio. Silvio Berlusconi ha glissato su molte delle questioni sollevate dai leader del partito-socio e ha indossato i panni del messia che tutto contiene e indica la rotta senza proccuparsi molto dei contenuti del nuovo partito. Non una parola sul testamento biologico, non una sul referendum elettorale, non una sul rapporto con la Lega, alleato egoista che «spesso ne approfitta», come ha sostenuto dal palco Ignazio La Russa.

Archiviata la rivoluzione liberale della scorsa legislatura per un neo statalismo, anche all'attuale crisi economica il premier ha riservato poche battute, mentre più esplicito è stato sulle riforme costituzionali e dei regolamenti. In questo caso i destinatari del messaggio sono stati due: Gianfranco Fini e Giorgio Napolitano. Al presidente della Camera e al Capo dello Stato, Berlusconi ha spiegato che intende mettere mano alle riforme. Che proverà a coinvolgere l'opposizione senza però credere troppo alla reale volontà di Pd e Udc, e che comunque andrà avanti perchè la crisi economica impone un premier con più poteri. La strada sembra già tracciata e anche questa volta l'appello al popolo segnala l'imminente svolta.

Ogni qual volta il Cavaliere ha voluto ribadire la legittimità del suo ruolo minacciato da toghe, palazzo o alleati, è salito su di un predellino appellandosi direttamente al popolo. Così è stato anche ieri e così promette di fare qualora non si arrivi in questa legislatura a riforme che a suo giudizio devono mettere l'esecutivo in condizione di funzionare.

Sembra un paradosso per un leader che può contare su una maggioranza parlamentare di oltre cento parlamentari e su una dialettica di coalizione praticamente azzerata grazie anche alla nascita del Pdl. Eppure il ritornello del premier che non può far nulla e che è dotato del solo strumento della moral suasion, sembra far breccia nelle convinzioni dell'elettorato. Nel quadro strategico del Cavaliere, emerso dall'ultimo congresso, c'è un unico tassello ancora non andato ancora completamento a posto: il rapporto con la Lega. All'alleato, trattato di recente dal premier con inusuale asprezza, non sono sfuggite le bordate congressuali.

Bossi ha tenuto i suoi appellandosi alla necessità che ha ogni partito, in occasione del congresso, di tracciare e marcare la propria identità. Questa sera nel salotto di Arcore, i due avranno però modo di chiarire alcuni passaggi importanti. A cominciare dalla data del referendum elettorale. Un appuntamento che Bossi vede come il fumo negli occhi, perchè lo sbocco bipartitico che imporrebbe il modello referendario obbligherebbe anche il Carroccio nel contenitore-Pdl. La proposizione di un modello statalista e il conseguente abbandono del modello liberale della legislatura 2001-2006, rischia infatti di avere qualche ripercussione sui tempi di attuazione della riforma federalista. 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 04, 2010, 10:17:49 am »

4/1/2010 (7:18)  - RETROSCENA

E il Cavaliere pensa all'appello in Senato

Agli amici: cambiamo adesso o mai più

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

A taccuini chiusi gli esponenti della maggioranza riflettono sulle riforme con un po’ di scoramento. «Alla fine non se ne farà niente, sono troppe le divisioni nel Pd..., bene che vada se ne comincerà a parlare dopo Pasqua». Insomma, il dibattito è ancora aria fritta. Il percorso riformatore è disseminato da mine potenti (legittimo impedimento e processo breve) che avranno come amplificatore la campagna per le regionali. Che il Pd sia diviso non ci sono dubbi, ma nel centrodestra non c’è unità di intenti sul mezzo da usare per fare le riforme, anzi siamo di fronte a un nuovo contrasto.

Bossi spinge per una «Convenzione costituzionale» composta da deputati e senatori e integrata da rappresentanti del territorio senza diritto di voto. Ma si trova di fronte il no degli alleati. Non è solo il Pd ad essere contrario. E’ tutto lo stato maggiore del Pdl che preferisce la via ordinaria. Dice ad esempio il capo gruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto che la via della Costituente è da evitare perché richiederebbe «molto tempo per definire il suo ruolo, la sua composizione e poi per approvarla in Parlamento. D’altra parte, non sarebbe accettabile che il Parlamento venga espropriato della quintessenza del suo lavoro che è anche quello di procedere per le riforme istituzionali».

Ciò innervosisce l’ideatore della proposta, Roberto Calderoli, che si rivolge ruvido agli amici del Pdl che capiscono «fischi per fiaschi». Allora il ministro chiama in causa il premier. «Mi tranquillizza il fatto che l’unico nostro interlocutore titolato è il leader del Pdl Berlusconi». Un modo quantomeno chiaro per dire che alla fine il partito di maggioranza relativa, con i suoi organi decisionali tanto esaltati negli ultimi tempi dal Cavaliere, non conta un fico secco. «Nei prossimi giorni - annuncia Calderoli - vedremo Berlusconi e così avremo modo di precisare nei dettagli la nostra proposta. Quello sarà il momento della verità. Il resto rischiano di essere quelle chiacchiere inutili che servono solo a perder tempo e a fare quella confusione che noi della Lega non sopportiamo». Dunque Bossi tornerà presto ad Arcore per siglare un altro accordo ed è sicuro che Berlusconi rispetterà i patti perché è «un amico».

Nel Pdl, e non solo il presidente Fini, c’è già chi fa scommesse sul fatto che il premier alla fine dirà ancora una volta di sì a Bossi. Esattamente come è successo con le Regionali: chiedeva il parere del Pdl, diceva che dovevano decidere i coordinatori e intanto aveva già stretto l’intesa con il Senatùr su Veneto e Piemonte. Ma i berlusconiani ricordano che c’è di mezzo anche l’opposizione, Pd e Udc contrari alla Convenzione, non quella «eversiva» dell’Idv che attacca il capo dello Stato perché invita alla concordia. Giusto, osserva Roberto Cota, «ma la nostra proposta serve proprio a sottrarre le riforme dal dibattito contingente tra i partiti e agevolarne il cammino. E poi non è detto che ci voglia una legge costituzionale per istituire questo organismo: dipende dalle competenze che vengono attribuite alla Convenzione. Bisogna discuterne serenamente». La necessità di dover approvare una legge costituzionale, con i tempi che essa richiede, è la preoccupazione di Maurizio Gasparri. Tuttavia il capogruppo al Senato saggiamente riflette sul fatto che la proposta viene da un alleato importante come la Lega. «Tra l’altro Bossi è il ministro delle Riforme per cui le sue valutazioni non possono essere sottovalutate. Sarà necessaria una riunione di maggioranza».

A questo in effetti sta pensando Berlusconi. Un vertice che dovrebbe tenersi la settimana dopo la Befana e che dovrà valutare un’altra idea che alcuni consiglieri hanno suggerito al «premier dell’amore»: intervenire al Senato a fine gennaio con un discorso di «alto profilo istituzionale e riformatore» e di concordia dopo l’aggressione di Milano. Il filo conduttore dovrebbe essere quello anticipato nei giorni scorsi alla cena di compleanno della deputata del Pdl Micaela Biancofiore: «Questo è il momento giusto, le riforme o si fanno adesso o mai più». Il Cavaliere vuole evitare un intervento estemporaneo, magari per strada con i giornalisti o durante un’uscita in un centro commerciale. Accantonata definitivamente la manifestazione di piazza, Berlusconi nell’aula di Palazzo Madama vuole tendere la mano all’opposizione, verificare la disponibilità al dialogo del Pd.

da lastampa.it
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 22, 2010, 09:41:12 am »

22/1/2010 (7:32)  - REGIONALI

Il premier in campo per frenare la Lega
   
Berlusconi farà campagna elettorale in tutto il Nord

AMEDEO LA MATTINA


«Tanto rumore per nulla». Il sarcasmo di Casini è una stilettata a Berlusconi che ha tanto «sbraitato contro l’opportunismo» dell’Udc, ma alla fine ha dato il via libera alle intese regionali dove l’accordo è stato già chiuso (Lazio) o va avanti da tempo un confronto (Campania e Calabria). «Se volevamo arruolarci e seguire gli opportunismi, quelli veri - spiega al Tg3 il leader dei centristi - avremmo accettato di andare nel Pdl e di stare nel governo di Berlusconi». Chiusi i microfoni Casini aggiunge che il premier ha dato mandato di chiudere le intese laddove teme di perdere. «I nostri voti gli fanno gola e poi gli opportunisti saremmo noi...».

Oggi Casini riunisce la direzione per ribadire l’indipendenza dai due blocchi e per proseguire indisturbata la politica dei due forni. E attende di capire come finiranno le primarie in Puglia per allearsi con il Pd se il vincitore sarà Boccia. Intanto in casa Udc fioccano le battute sui possibili candidati Pdl in Basilicata e a Venezia. Magdi Cristiano Allam, l’europarlamentare eletto come indipendente nelle liste dell’Udc, è stato ribattezzato «Magdi Lucano Allam al quale non hanno detto che la sua pur numerosa scorta non vota». «Brunetta? Quando ci sarà l’acqua alta a Venezia dovranno mettergli i braccioli».

Questo per dire quale clima ci sia tra Casini e Berlusconi. Il quale invece ha recuperato il rapporto con Fini. Ieri all’Hotel de Russie dove si sono riuniti con i coordinatori e i capigruppo, si sono trovati d’accordo su tutto dopo mesi di contrasto. Il presidente della Camera ha dato atto al premier di avere messo in moto le «procedure democratiche» del Pdl e di valorizzare gli organi del partito, come è successo con il dibattito che si è svolto l’altro ieri sera all’ufficio di presidenza. «E’ il riconoscimento del ruolo di Fini come co-fondatore», spiega il finiano Adolfo Urso. Berlusconi e Fini si sono trovati d’accordo sull’errore di valutazione che fa Casini sul fallimento del bipolarismo. «E’ lui che si trova in una terra di nessuno - ha detto il Cavaliere - e ha bisogno di andare un po’ di quà e un po’ di là. Non siamo certo noi a fare accordi elettorali con il Pd».

E in quelle regioni dove verranno chiuse le intese con l’Udc, Berlusconi indica il metodo che dovranno seguire i candidati governatori del Pdl: nessuna contrattazione preventiva sugli assessorati; i centristi dovranno accettare i nostri programmi. A margine della riunione al de Russie è stata considerata una pia illusione non contrattare con gli ex Dc chi dovrà entrare in giunta in caso di vittoria. E’ altrettanto chiaro, dicono nel Pdl, che ad esempio l’assessorato alla Sanità che chiede De Mita in Campania non gli verrà dato. Lo stesso discorso sull’assessorato all’Urbanistica nel Lazio: l’Udc se lo può scordare.

Un altro motivo di soddisfazione per Fini è il discorso che Berlusconi ha fatto sulle regionali al Nord. Il premier non è disposto a perdere il primato in Lombardia, Veneto e Piemonte a favore della Lega. A Bossi sono state date le due candidature a governatore, ma il Pdl deve rimanere il partito con più numeri. Fini in quanto presidente della Camera non potrà impegnarsi in campagna elettorale, ma Berlusconi ha promesso il suo massimo sforzo. E’ un bene che l’Udc non sia alleato in queste Regioni, è stato il ragionamento del premier e di tutti i presenti all’incontro, perchè una parte del loro elettorato voterà le liste del Popolo delle libertà rafforzandolo rispetto alla Lega.

da lastampa.it
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« Risposta #8 inserito:: Febbraio 20, 2010, 11:54:04 am »

20/2/2010 (7:30)  - RETROSCENA

Silvio epurator

Per Verdini giorni contati

Nel Pdl Bondi coordinatore unico

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Silvio Berlusconi c’è rimasto male, molto male nel leggere le intercettazioni che riguardano Denis Verdini. Nulla di penalmente rilevante, almeno a leggere le carte pubblicate dei giornali, ma al premier non è piaciuto il modo di gestire i rapporti con certi imprenditori, quell’uso che Denis ha fatto del ruolo di coordinatore nazionale del Pdl. Il Cavaliere ha avuto la sensazione netta che Verdini abbia utilizzato anche il suo nome per accreditare questo o quell’amico. Ciò per lui è intollerabile. E poi chi amministra le città deve essere adamantino. Insomma, sui problemi giudiziari altrui Berlusconi non ammette deroghe e se scopre che anche i più stretti collaboratori aiutano a combinare affari, allora si innervosisce. E infatti chi lo ha sentito parlare ieri dopo il Consiglio dei ministri lo ha descritto turbato, teso, arrabbiato. Ha difeso Gianni Letta e Guido Bertolaso, ma su Verdini era una furia. Sembra che la sua sorte sia segnata.

L’unico coordinatore che salva è Sandro Bondi. «Sandro è l’unico che mi vuole veramente bene e di cui mi fido ciecamente». Il presidente del Consiglio ha in mente di cambiare la tolda di comando a via dell’Umiltà. Coordinatore unico Bondi, con un vice che sarà il finiano doc Italo Bocchino. Ma tutto questo avverrà dopo le elezioni regionali.

Bondi lascerà il ministero della Cultura per occuparsi a tempo pieno del partito. Al suo posto dovrebbe andare Paolo Bonaiuti, che a quel dicastero puntava già al momento della formazione del governo. Berlusconi avrebbe chiesto a Mara Carfagna di prendere il posto di Bonaiuti come portavoce del premier e responsabile dell’editoria. Ma sembra che Mara resista, non abbia voglia di assumere questo incarico.
Vuole rimanere alle Pari Opportunità per portare a termine il lavoro che ha iniziato. C’è chi dice invece che non vuole misurarsi con una competenza molto rischiosa. «Chi dice questo sono delle malelingue, degli invidiosi», sostengono gli amici della Carfagna, che ancora non ha detto un no definitivo a Berlusconi. Si profila comunque un rimpasto di governo dopo le regionali. E intanto ieri al Consiglio dei ministri è stato deciso che la prossima settimana verranno nominati quattro nuovi sottosegretari. Laura Ravetto andrà all’Istruzione accanto a Maria Stella Gelmini. Il finiano Andrea Augello è destinato al Welfare. Guido Viceconte andrà a lavorare con Elio Vito ai Rapporti con il Parlamento. Daniela Santanchè sarà invece la sottosegretaria di Gianfranco Rotondi al ministero per l’Attuazione del programma. Ieri il presidente del Consiglio Berlusconi ha nominato Francesco Belsito sottosegretario per la Semplificazione normativa, in sostituzione di Maurizio Balocchi, recentemente scomparso.

Insomma, c’è grande movimento dentro il governo e il Pdl. Il Cavaliere è teso anche per il risultato delle Regionali, ma ieri al Consiglio dei ministri è apparso anche molto determinato. E’ intenzionato a scendere nell’agone della campagna elettorale, ha promesso ai parlamentari campani alcune puntate nella loro regione. Ora che le dimissioni di Nicola Cosentino sono rientrate, e grazie all’accordo con l’Udc, Berlusconi è convinto che in Campania ci sono tutte le condizioni e i numeri per vincere. Ma ha chiarito a tutti che è necessaria una forte operazione liste pulite e andare avanti presto con il ddl anticorruzione.

C’è poi un altro capitolo che deve essere presto aperto, quello delle riforme. Ieri al Cdm ha detto che il 2010 sarà «l’anno delle riforme». Quantomeno dovranno essere messe in cantiere quella della giustizia e le riforme costituzionali per l’elezione diretta del capo dello Stato, del federalismo e la riduzione del numero dei parlamentari.

da lastampa.it
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« Risposta #9 inserito:: Febbraio 22, 2010, 03:31:27 pm »

22/2/2010 (7:11)  - INTERVISTA

La Russa: "Adesso il branco stia zitto"

Parla il coordinatore Pdl: «Per colpire Verdini cominciano a criticare me»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Ministro La Russa, lei è anche coordinatore del Pdl e ne conosce da vicino i problemi. Può spiegarci a cosa si riferisce Berlusconi quando parla di giochi di potere su Verdini?
«Nel momento in cui Verdini è stato raggiunto da un procedimento penale, Berlusconi non ha visto attorno al coordinatore quella solidarietà che si aspettava. Solidarietà che invece io gli ho mostrato. Ha visto anzi qualcuno che cominciava a mordere, a digrignare i denti, come avviene in certi branchi. Del resto Verdini ha un ruolo di vertice ed è chiaro che può scontentare tutti coloro che sperano in un risultato e non lo ottengono. Ma se ci sono questioni aperte è bene rinviarle a dopo le elezioni. Adesso dobbiamo sentire tutti la responsabilità di concentrarci sul voto delle regionali».

Anche il capogruppo Cicchitto ieri ha detto che la priorità è vincerle, «poi rifletteremo su tutto». Ma intanto può dirci quale risultato il centrodestra dovrebbe centrare per cantare vittoria?
«Partiamo dal dato che nelle 13 Regioni in cui si vota, il centrodestra governa solo in 2. Ecco, per me sarebbe già un buon risultato se raddoppiassimo. Poi il bilancio va fatto contando tutte le altre Regioni dove già governiamo da tempo o abbiamo vinto di recente, come la Sardegna».

Ma il giorno dello scrutinio il risultato che verrà segnato con le bandierine sarebbe di 9 a 4 per il centrodestra. Pochino, non le sembra?
«Io dico di vincere minimo in 4 Regioni popolose: oltre il Veneto e la Lombardia, altre due grandi come Lazio e Campania. Noi ovviamente puntiamo a vincerle tutte».

Torniamo ai giochi di potere nel Pdl. In un’intervista alla Stampa il ministro Alfano ha detto che dal ‘94 «tanti possibili eredi di Berlusconi sono stati costretti a fare testamento»
«E’ vero, la successione è iniziata nel ‘94 e c’era chi pensava finisse subito. Secondo me finirà nel 2025. Ovviamente è un’iperbole, ma non credo che adesso la questione prioritaria sia questa. I problemi del Pdl sono altri. Intanto nel mio partito sta succedendo la metà della metà di quello che accade nel Pd. Lì hanno fatto fuori gli ultimi candidati alla presidenza del Consiglio, hanno cambiato tre segretari, è andato via Rutelli, hanno perso le primarie in Puglia, dove era impegnato D’Alema, e tutte le ultime elezioni. Ma di questo i giornali non si occupano».

Per la verità se ne sono occupati fino alla nausea. Parliamo del Pdl.
«Le cose stanno così. Quando ci sono le elezioni le fibrillazioni sono inevitabili, specie quando si tratta di decidere chi deve entrare nei listini. Ciascun ministro, deputato ed esponente di partito spera di poter indicare le persone che considera meritevoli. Ma i posti a disposizione sono quelli che sono, il grande non può stare nel piccolo... Se a questo si aggiunge la persecuzione giudiziaria che finora ha riguardato solo Berlusconi e che come un faro ora si allarga fino a coinvolgere sia Verdini che Bertolaso, è chiaro che possono emergere tensioni nel branco. Nella componente ex An bene o male abbiamo meccanismi di equilibrio molto più semplici e consolidati, anche se non meno dolorosi. Tra gli ex di Fi la scelta è più complessa e i malumori si scaricano su Verdini che è il filtro tra Berlusconi e il resto del partito, mentre prima in Fi molti erano abituati al rapporto diretto con il leader. Verdini fa un lavoro elevatissimo dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Poi ci sono quelli che arrivano e mettono lingua, quelli che Tatarella definiva i pittori della domenica. Poi vedo uno stillicidio che non mi piace da parte di alcuni amici ex Fi: per attaccare Denis attacano me».

Cosa succederà nel Pdl dopo le Regionali?
«Può avvenire qualunque cosa, ma c’è un congresso che ha eletto i tre coordinatori. Escludo che dopo ci sarà un ribaltamento. Sicuramente non manca la fiducia nei miei confronti né di Verdini e di Bondi. Ironicamente ho detto che sono pronto a fare un passo indietro e tre avanti. Ma nessuno me l’ha chiesto. Il mio ruolo non è destinato a durare tutta vita. I tre coordinatori sono un’anomalia momentanea perché al prossimo congresso ci sia un coordinatore unico».

Nel suo ruolo di coordinatore, cosa più di tutto l’ha soddisfatta?
«Aver contribuito in maniera leale a ricostruire un clima di serenità tra Berlusconi e Fini. Sono strafelice per avere sminato i momenti di tensione che ci sono stati, inutile negarlo, tra i due co-fondatori. Ora pensiamo a vincere le regionali. I dirigenti di un partito hanno il dovere di raccogliere il maggior consenso possibile, senza cadere nel tranello che ci tende la sinistra».

da lastampa.it
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« Risposta #10 inserito:: Marzo 09, 2010, 10:56:46 pm »

9/3/2010 (7:14)  - RETROSCENA

Berlusconi e Fini d'accordo: alzare il livello dello scontro

Partito compatto: «E' una battaglia sui diritti elettorali degli italiani»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Berlusconi oggi riunirà i coordinatori e i capigruppo del Pdl per mettere a punto una strategia di contrattacco. Dopo lo shock della sentenza del Tar, si attende la decisione dell’ufficio elettorale della Corte d’Appello. E Sandro Bondi è convinto che le liste del Popolo della libertà verranno riammesse sulla base del decreto interpretativo varato dal governo. «Non bisogna drammatizzare la sentenza del Tar - spiega il ministro - semmai è necessario reagire alle polemiche forsennate della sinistra». Ma nel centrodestra non c’è ottimismo. Lo stesso premier non crede nel «miracolo» e già pensa alla nuova strategia, con un salto di qualità nella campagna elettorale. «Bisogna uscire dal minuetto dei ricorsi e dei controricorsi - sostengono sia i berlusconiani sia i finiani - e alzare il livello dello scontro con gli avversari. Dobbiamo interpretare la competizione elettorale in chiave politica generale». In sostanza, per poter sperare di vincere nel Lazio, l’unica carta è la guerra fuori dalle questioni regionali e delle carte bollate: una battaglia sui diritti elettorali degli italiani. «La sinistra vuole elezioni falsate», dice Daniele Capezzone, portavoce del Pdl.

Per Berlusconi il Tar del Lazio non può mettere in discussione il decreto, ma non si vince con le carte bollate. Ecco perché occorre a suo giudizio reinventare la campagna elettorale. Per il momento ha detto ai suoi di attendere la decisione finale che arriverà oggi. Roberto Maroni, però, è stato chiaro: «Se il Tar decide che la lista è fuori, quella lista resta fuori nonostante il nostro decreto». E allora pensare già al passo successivo. «Non si può consentire - ha detto il premier - di essere processati in piazza da chi grida al golpe e mettere alla sbarra un’intera classe politica».

Oltre ai coordinatori e ai capigruppo, oggi il Cavaliere dovrebbe sentire anche Gianfranco Fini (non si esclude un incontro).
Il presidente della Camera vuole contrattaccare partendo dalla difesa di Napolitano che secondo Antonio Di Pietro si è reso responsabile del «colpo di mano» firmando il decreto. E invece il colpo di mano lo stanno facendo la Bonino e i suoi alleati, a cominciare dal Pd che vorrebbe la Polverini gareggiare con una mano legata dietro la schiena. E il fatto che i giudici del Tar abbiano deciso di non ammettere le liste Pdl dimostra che sono liberi.

Ora nel Pdl si augurano che Berlusconi e Fini si incontrino e insieme scendano in campo per chiamare i cittadini in difesa della democrazia e della libertà di votare i propri candidati. Infatti, osservato i capigruppo Cicchitto e Gasparri, «rimane aperta una questione di fondo sottolineata anche dal Presidente della Repubblica: non è concepibile che una lista come quella del PdL, rappresentativa del maggior partito di Roma, possa essere esclusa a colpi di cavilli dalle elezioni».

Dunque, Berlusconi è pronto ad alzare il livello dello scontro e appropriarsi delle tesi del capo dello Stato. «La verità - dice Osvaldo Napoli - è che la gente è stufa di ricorsi. Noi abbiamo la possibilità di vincere nel Lazio con nostra forza politica. La Bonino è impresentabile, è una candidata per tutte le stagioni. La decisione del Tar dimostra che il regime non c’è: il Pd e l’Idv chiedano scusa a Napolitano e al Pdl».

Non mancano tra i berlusconiani i sospetti su Fini, che a loro avviso vorrebbe trascinare Berlusconi in una campagna elettorale che vede la finiana Polverini in grave difficoltà. «Sono affari di Gianfranco». Così il premier potrebbe lasciare Renata al suo destino. Cosa che viene esclusa dai più stretti collaboratori del presidente del Consiglio.

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« Ultima modifica: Marzo 21, 2010, 11:04:15 am da Admin » Registrato
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« Risposta #11 inserito:: Marzo 11, 2010, 09:16:42 am »

11/3/2010 (7:20)  - RETROSCENA

Anche Bossi arruolato per l'ultima battaglia

Fini: no alla piazza.

Ma il leader leghista ci sarà

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Le truppe sono spiazzate, scoraggiate, frastornate. Non sono nemmeno galvanizzati dalla discesa in campo di Berlusconi, che ha indossato l’elmetto di capopopolo e capopartito (oggi addirittura partecipa a una riunione di quadri e dirigenti del Pdl di Roma e provincia). Per far capire l’aria che tira tra i parlamentari della maggioranza, ieri pomeriggio alla Camera girava la seguente gag sarcastica sul caos liste e sulla squadra del Cavaliere. «Ma lo sai che il Milan ha perso a tavolino la partita con il Manchester?», dice un deputato al collega. «No, e come mai?». «Leonardo non ha presentato all’arbitro la lista dei giocatori».

Con il morale sotto i tacchi e soli dieci giorni a disposizione, le truppe dovranno riempire l’enorme piazza San Giovanni. Per non parlare poi della confusione delle date: il 20 o il 21 marzo? In entrambi i casi c’è il rischio ingorgo perché il 20 nella capitale è già prevista la manifestazione del Forum del Movimento per l’Acqua che si mobilita contro le privatizzazioni; il 21 si corre la Maratona di Roma. «Ma come è possibile - dicevano sempre i buontemponi della battuta sul Milan - che il sindaco Alemanno, che è stato il responsabile oggettivo del casino delle liste, non sapesse di queste due altre manifestazioni?».

In questo incartamento del centrodestra c’è un aspetto più pesante e politico. Umberto Bossi non sembra felice di dover mandare i suoi candidati-governatori sul palco di piazza San Giovanni per manifestare vicinanza e solidarietà agli elettori laziali e ai dirigenti locali del Pdl che hanno commesso il pasticciaccio romano. Quando gli hanno chiesto se la Lega ci sarà, ha risposto scocciato di aspettare l’invito di Berlusconi. «La Lega è una carta pesante. Potrebbe essere perfino troppo pesante, anche se Berlusconi ha ragione a preoccuparsi perché fanno le elezioni senza un partito come il suo. Però la Lega deve ancora valutare, soppesare bene». Tra l’altro, fanno notare i leghisti, non è cosa da poco togliere ai candidati l’ultimo fine settimana di campagna elettorale. Portare poi il popolo leghista con i pullman a Roma è un’impresa titanica. In serata però, dopo una telefonata del premier, Bossi ha confermato che ci sarà. «Non abbandoniamo Berlusconi».

Gianfranco Fini, ovviamente, non ci sarà: non si è mai visto in piazza un presidente della Camera. Ma almeno condivide l’iniziativa? «Non le dico cosa penso di questa domanda solo perché lei è una signora...», è stata la sua risposta a una giornalista. La terza carica dello Stato è d’accordo a fare la manifestazione, ma la sua preoccupazione è che i toni siamo dirompenti, che il premier vada giù duro contro i magistrati. E un assaggio lo ha dato ieri alla conferenza stampa quando il Cavaliere, oltre a prendersela con «la sinistra antidemocratica e meschina», ha accusato i magistrati dell’ufficio elettorale di «non aver ristabilito l’ordine», di avere tenuto fuori i rappresentanti del Pdl, disegnando «una linea in terra, larga un centimetro, mai definita prima». Insomma, a Fini una manifestazione di protesta non piace e allora sono stati i coordinatori a spiegare che sarà «squisitamente di proposta: saranno presenti insieme a Berlusconi i 13 candidati governatori che si impegneranno a realizzare alcuni punti programmatici in sinergia con il «governo del fare». In effetti lo aveva precisato lo stesso premier “bucolico” in conferenza stampa. «Chiameremo a un patto i nostri candidati perché si impegnino sul piano casa e per piantare milioni di alberi». Rimarrà però il leit-motiv principale, cioè scendere in piazza per difendere la democrazia e il diritto al voto. Berlusconi deve radicalizzare lo scontro per recuperare il danno e i consensi persi. Recuperare quegli 800 mila voti della lista Pdl che non c’è a Roma e dirottarli sulla lista Polverini quasi sconosciuta.

Un lavoro da far tremare le vene ai polsi, ma il premier ha accettato la sfida. E questo, dicono i berlusconiani, mentre gli altri (leggi Fini) fanno le «belle fighe». «O ci salva San Silvio - spiega Osvaldo Napoli - o qui siamo spacciati. Una parte di An lo critica e si differenza ma poi chiedono soccorso al premier».

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« Risposta #12 inserito:: Marzo 21, 2010, 11:04:44 am »

21/3/2010 (7:37)  - RETROSCENA

L’asse con Bossi e il silenzio su Fini

Al premier garantito il sì su riforma della Giustizia e presidenzialismo.

In cambio la Lega conserverà il ministero dell'Agricoltura, un serbatoio di voti


AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Fini non c’era. Assenza giustificata dal suo ruolo istituzionale di presidente della Camera, ma ieri a Piazza San Giovanni il co-fondatore del Popolo della libertà mancava politicamente. C’erano, è vero, tutti i finiani preoccupati soprattutto per le sorti elettorali di Renata Polverini rimasta senza il sostegno della lista Pdl. Ma con il suo discorso Berlusconi ha messo molta benzina nel motore dell’ex sindacalista e questo è stato riconosciuto e molto apprezzato dall’inquilino di Montecitorio. I problemi tuttavia restano, nel partito e nel governo. «Archiviate le regionali, bisognerà capire come riempire i prossimi tre anni di legislatura. Continueremo a strillare?», si chiede la deputata e direttrice del Secolo d’Italia, Flavia Perina, mentre sul palco Apicella intona «Tempo di Rumba» scritta con il «presidentissimo».

Poco più in là un altro finiano, Benedetto della Vedova, sottoscrive la proposta di Giuliano Ferrara che chiede al Cavaliere di firmare un patto strategico di fine legislatura con Fini, comprensivo anche della staffetta Quirinale-Palazzo Chigi: Gianfranco sarebbe «il miglior alleato possibile» per Silvio.

Ma per Berlusconi l’«alleato leale e convinto» è Bossi, «un grande amico a cui mi sento legato da amicizia e da grande fraterno affetto. «Credo che la nostra alleanza terrà sempre. Umberto è un uomo di grande equilibrio, misura e lealtà. Non c’è stato un solo caso in due anni di governo in cui non ci siamo trovati d’accordo. E’ uno come noi - dice alla piazza - lontano dai salotti chic. Ha gli stessi principi e valori che abbiamo noi». Per Fini nessuna parola, nessuna citazione, mentre sul palco la scena viene riempita dal capo leghista chiamato a parlare accanto al premier. E la prima cosa che dice è di essere uno dei pochi a non aver mai chiesto «né una lira né un aiuto a Berlusconi».

Il pubblico ride e applaude. Bossi spiega di aver capito che Berlusconi è «uno del popolo quando a Bruxelles gli volevano far firmare un provvedimento sulla famiglia trasversale. Lui disse “spiegatemi cos’è questa famiglia trasversale”. Non ebbe paura dell’apparato europeo. Da allora siamo diventati grandi amici. Giornalisti non scrivete stupidaggini...». Bossi riconosce al leader del Pdl il merito di aver capito che era necessario dare alla Lega la candidatura in Piemonte oltre che in Veneto. «Se fossimo stati divisi nelle Regioni sarebbe stato un disastro anche a Roma e nel governo centrale». I due si abbracciano, si baciano, sanciscono l’unità della coalizione davanti al Popolo della libertà, che nacque in questa stessa piazza nel 2006 (allora c’era pure Fini ma non Casini). Un’unità che corre solo lungo l’asse Berlusconi-Bossi.

Venerdì sera il Senatur ha spiegato alla delegazione leghista presente ieri alla manifestazione che i prossimi tre anni di legislatura verranno costruiti su questo asse. E che sicuramente non farà mancare i voti del Carroccio per la riforma della giustizia e l’elezione diretta del premier o del capo dello Stato. In cambio ovviamente della riforma federale e del ministero dell’Agricoltura. Questo dicastero dalle uova d’oro, in termini di consenso, dovrà rimanere sotto il controllo della Lega, anche se il patto era che sarebbe andato a Galan se Roberto Cota avesse vinto in Piemonte.

E Fini? Secondo Bossi dovrà decidere da che parte stare, se vuole essere della partita o chiamarsi fuori. Il Senatur non si fida del presidente della Camera. E’ convinto che continuerà a creare problemi a Berlusconi e a picconare l’asse Pdl-Lega, ma deve stare attento perché agli elettori i «traditori» non piacciono. I berlusconiani però non credono che l’ex leader di An seguirà la strada di Casini. «Sono convinto - dice sotto il palco Giorgio Stracquadanio - che Fini ci metterà una fiches nel gioco che si aprirà l’indomani delle regionali. Ha le sue idee, ma è un politico molto accorto».

Forse non è un caso che il finiano Italo Bocchino ha sottoscritto tutte le ragioni della manifestazione, a cominciare da quella che sta più a cuore al premier, cioè l’aggressione giudiziaria nei suoi confronti. «Questa manifestazione - ha poi precisato - sarà anche l’occasione per mostrare l’unità del Pdl e la sua sintonia con la Lega». Ma ieri Fini era escluso da quell’abbraccio fraterno tra Bossi e Berlusconi. Il quale sul palco ha benedetto la candidatura di Cota in modo particolare: «Ti amo in maniera straordinaria».

da lastampa.it
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« Risposta #13 inserito:: Marzo 30, 2010, 11:15:29 am »

30/3/2010 (7:5)  - IL CAVALIERE PENSA GIA' ALLA FASE DUE DELLA LEGISLATURA

Berlusconi: "Una lezione alla sinistra"

Il premier: «Casini irrilevante. Ora voglio il presidenzialismo»

AMEDEO LA MATTINA
ROMA
Abbiamo dato una lezione alla sinistra. Adesso possiamo governare con tranquillità per i prossimi tre anni. E nessuno può dire che litighiamo perchè abbiamo vinto al Nord e al Sud». Con Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Calabria, Silvio Berlusconi ha brindato. Un bottino superiore alle previsioni per il premier che non è per nulla preoccupato della forte avanzata della Lega al Nord e del terreno perso dal Pdl. Si considera il leader di tutta la coalizione e ragiona in questa ottica: sa che dovrà farsi carico delle crescenti pretese di Umberto Bossi, l’«alleato leale e fraterno» che ieri ha subito chiarito di essere «l’arbitro della situazione».

Ma poi si è affrettato a dire che gli equilibri del governo non cambieranno, assicurando che il federalismo può coniugarsi con il presidenzialismo. Ed è quest’ultimo, insieme alla riforma costituzionale della giustizia, che interessa il Cavaliere. Con il risultato elettorale di ieri, pensa di lanciarsi verso la fase due del governo. Soprattutto verso l’elezione diretta alla presidenza della Repubblica o del Consiglio.

Il premier può dire di aver vinto il referendum su se stesso e il governo, dopo mesi di «finti scandali», inchieste e intercettazioni. «Gli italiani ancora una volta hanno fatto una scelta di campo e ci hanno dato la spinta per realizzare le riforme». Berlusconi si attribuisce il grande merito di averci messo «la faccia e il cuore», come dice Mario Valducci. Riuscendo nell’impresa di assorbire in parte l’astensionismo a destra. «Siamo l’unico governo in Europa che non solo non arretra, ma riesce ad avanzare». Il successo di Cota lo considera anche il frutto della sua presenza a Torino. Ha funzionato l’appello al voto utile, a non sprecarlo con l’Udc di Casini, che «adesso è irrilevante». Gli italiani continuano a preferire il bipolarismo.

Fino a quando i dati non saranno definitivi, il premier non farà commenti. Ieri è rientrato a Roma: aveva promesso di fare da Cicerone per le sale di Palazzo Chigi a una scolaresca di Washington. Poi con i collaboratori non ha nascosto la sua soddisfazione. A interessarlo molto è stato il testa a testa in Piemonte e ha chiamato Cota per informarsi. Una doppia soddisfazione per il premier perché può dimostrare che l’Udc, quando si allea con la sinistra, perde voti. Adesso quello che conta, più che il numero delle Regioni, è quello dei cittadini governati dal centrodestra, senza porsi il problema se a vincere è uno del Pdl o della Lega. Grande soddisfazione anche per la performance di Renata Polverini che non ha potuto contare sulla lista Pdl «sottratta in modo fraudolente» dai magistrati. «E’ come se avessimo vinto il campionato con mezza squadra di risersa e mezza della primavera», ha esultato Ignazio La Russa quando è andato a trovare il premier a Palazzo Chigi.

Chi ne esce indebolito è Gianfranco Fini, soprattutto dopo il successone al Nord della Lega. «Ma se è furbo - spiega uno stretto collaboratore del Cavaliere - dovrebbe giocarsi la partita di fino, ritagliandosi uno spazio politico-culturale, senza mettere i bastoni tra le ruote al governo nei prossimi tre anni». Berlusconi, comunque, non medita vendette nei confronti del presidente della Camera: vuole recuperarlo a una collaborazione attiva. Il punto essenziale è l’equilibrio del governo e «con Umberto i problemi li ho sempre risolti». Dunque, è vero che ci sarà qualcosa da registrare nel Pdl, ma alle condizione di Berlusconi. Il quale si aspetta anche da Fini il via libera al presidenzialismo, anche senza la collaborazione dell’opposizione.

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« Risposta #14 inserito:: Aprile 08, 2010, 11:22:18 pm »

8/4/2010 (7:10)  - RETROSCENA

Fini diventa paziente e aspetta le crepe nell'asse Pdl-Bossi

Ora il presidente della Camera teme l'isolamento

AMEDEO LA MATTINA

Una settima prima delle regionali, Marcello Dell’Utri fece visita a Gianfranco Fini a Montecitorio e gli regalò un libro pieno di significati sull’uso del potere, Il Principe di Niccolò Machiavelli (una preziosa copia dell’originale del 1513). In quei giorni, pubblicamente, il senatore siciliano consigliava al presidente della Camera di imparare ad aspettare la successione a Berlusconi.
Con «paziente filosofia», tanto da indicare un lasso di tempo di dieci anni. Fini, che per sua natura è flemmatico, aveva tuttavia altri progetti. Probabilmente non credeva che il “Principe Silvio” uscisse così forte dalle urne e che all’indomani del voto Bossi spadroneggiasse, lasciandolo nell’angolo, sfilandogli la titolarità del semipresidenzialismo. Una bozza già scritta delle riforme, con in testa il federalismo, è stata discussa martedì sera ad Arcore e ieri portata al capo dello Stato dal ministro Calderoli. Senza che Fini toccasse palla.

«E’ un’iniziativa autonoma», si è subito preoccupato di precisare il premier che non ha ancora incontrato il presidente della Camera.
L’incontro ci sarà tra una settimana: oggi pomeriggio Fini è impegnato in un convegno della fondazione FareFuturo e all’istituto Cervantes, mentre domani Berlusconi sarà a colloquio con Sarkozy all’Eliseo, sabato a Parma dalla Confindustria e poi volerà negli Stati Uniti da Obama. La partenza sprint di Calderoli sarà pure un’iniziativa autonoma, ma il tempismo leghista per intestarsi le riforme è perfetto. Solo oggi la terza carica dello Stato lancerà proprio il semipresidenzialismo al convegno di FareFuturo. Dirà che le riforme devono essere condivise e avere una coerenza interna, non possono essere un patchwork, un ibrido che non funziona. E che anche la legge elettorale va cambiata. Ma niente polemiche con la Lega. L’ordine di scuderia è di mettere il bavaglio a chi, come Filippo Rossi che dirige il webmagazine di FareFuturo, non vuole morire leghista.

I finiani però hanno un nodo nella pancia e qualcuno si sfoga. Il politologo Alessandro Campi dalle colonne del Riformista chiede al Pdl di darsi una «sveglia» perché «non bisogna arrendersi all’evidenza di un’alleanza di governo nella quale i rapporti di forza sembrano essere capovolti: l’alleato minore detta la linea all’alleato maggiore». Con il rischio che nel Nord, sulla base dei risultati regionali, il Pdl ha già perso oltre venti collegi: «Come spiegarlo fra tre anni a quei deputati e senatori che vedranno i loro posti occupati dalla Lega?».
Per Fabio Granata è vitale evitare «l’abbraccio mortale con il Carroccio». Il prudente Adolfo Urso si morde la lingua e spiega che anche a Berlusconi conviene riequilibrare l’euforia di Bossi: «Non è vero che Fini è solo e isolato. Come presidente della Camera e co-fondatore del Pdl ha un ruolo centrale nel confronto che si apre sulle riforme».

La verità è che Fini è in grande difficoltà per la trazione leghista della maggioranza, che invece non preoccupa affatto il premier. Il quale si può permettere di dire di non aver sentito l’alleato di Montecitorio, tanto ci ha parlato al telefono La Russa. Tra i finiani c’è chi teme che qualche pezzo della truppa si stacchi, tradisca e veleggi verso i lidi del Cavaliere. Ma il presidente della Camera è convinto che l’euforia di Bossi si attenuerà e che Berlusconi capirà che ci vuole un argine alle continue rivendicazioni dei leghisti. Se ciò non avverrà, aumenteranno i malumori anche tra le fila dei berlusconiani e potrebbe essere Fini il punto di riferimento di questo malessere.

Intanto, calma e gesso, è il consiglio di Fini ai suoi. Tre anni di legislatura sono lunghi e le ipotesi di ticket che circolano (Berlusconi al Quirinale e Tremonti o un leghista come Maroni a Palazzo Chigi) sono al momento scritte sulla sabbia. Ora sarà Fini, che dovrà però attendere una settimana per parlare con il premier, ad entrerà in gioco, senza urlare perchè questo è il momento di giocare di fino, con proposte credibili e organiche. Anche un falco berlusconiano come Giorgio Stracquadanio è convinto che «Fini entrerà presto in partita perchè Berlusconi e Bossi, ora che è fallito il tentativo di indebolire il premier, sono interessati a portare a casa il risultato e imbullonare la maggioranza».

da lastampa.it
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