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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 118933 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Novembre 22, 2010, 04:20:09 pm »

Politica

22/11/2010 - RETROSCENA

Nel momento della verità Berlusconi si scopre più forte

Casini e Fini sembravano alleati, invece hanno strategie diverse

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

Prima Fini con l'invocazione al senso di responsabilità; ora Casini pronto a trattare un'armistizio. Entrambi di fatto ammettono la loro debolezza dopo avere dichiarato guerra al Cavaliere. Avevano chiesto la sua testa come condizione per sostenere un nuovo governo. «Siamo oltre Berlusconi», aveva dichiarato il presidente della Camera a Bastia Umbra. «Si deve dimettere e passare la mano», gli aveva fatto eco il leader dell'Udc. Sembrava che i due marciassero allineati e compatti verso la fine del berlusconismo, nella convinzione che una loro mozione di sfiducia avrebbe rovesciato la poltrona di Palazzo Chigi. Adesso si sono messi al pallottoliere e hanno capito di avere un bel di problemi dentro i loro gruppi parlamentari, che un pezzo dei loro deputati non li seguiranno nella battaglia finale della Camera. Sarà l'effetto della campagna acquisti oppure la paura di correre verso il precipizio delle urne (quanti parlamentari ribelli verrebbero rieletti?).

Forse è stato preso atto che il capo dello Stato non è disponibile ad avallare un ribaltone, cioè un governo senza i vincitori del 2008. Sta di fatto che Fini e Casini adesso hanno la certezza che il 14 dicembre il premier otterrà la fiducia anche a Montecitorio. Addirittura nell'Udc si pensa che il governo ce la farà con 318 voti. Ecco perché, spiegano nel Pdl, pure Casini è venuto a più miti consigli e non dice più no ad un Berlusconi-bis. Non solo. A Palazzo Grazioli sono convinti che l'Udc stia giocando una partita diversa da Fli. C'è chi sostiene che Casini voglia sostituire Fini nella maggioranza e vendicarsi per essere stato mollato nel 2008. Più realisticamente invece si è fatto due conti e ha capito di non avere né margini di manovra credibili a sinistra né una sponda solida in Futuro e Libertà. Se il Cavaliere avrà pochi voti di maggioranza alla Camera, Bossi ha già detto che si dovrà andare a votare (lo ha ripetuto ieri il ministro Maroni).

«Ma noi - spiega Roberto Rao, interprete autentico del pensiero del capo Udc - sfideremo Berlusconi a governare comunque: se non ci sarà un nuovo governo, allora presenti dei buoni provvedimenti e li voteremo». Bisogna afferrare al volto questa disponibilità, dicono nel Pdl. Per Osvaldo Napoli «il pragmatismo di Casini è la prima cosa saggia: ha lanciato una sfida che la maggioranza non può non raccogliere». Allargare dunque la maggioranza? «Se il premier vuole farlo - osserva però il finano Adolfo Urso - dovrebbe salire al Quirinale, dimettersi e ottenere un reincarico. Ma ha sempre detto che non intende farlo. Ci dica cosa vuole fare allora». In effetti Berlusconi non ci pensa proprio ad una crisi al buio, sapendo che dovrebbe trattare anche sulla legge elettorale. Ora che si trova in una posizione più forte farà cuocere nel loro brodo Fini e Casini. Deve però affrontare la grana di Mara Carfagna. Dovrebbero vedersi in settimana, ma non è stato ancora fissato un appuntamento.

Nel Pdl c'è chi dice che non la riceverà mai. Lei vuole risposte concrete, ma si è spinta molto in là con l'intervista al Mattino e le accuse durissime contro i triumviri e un pezzo importante del Pdl campano. Il premier non può tagliare la testa a Nicola Cosentino, il coordinatore regionale al quale sono legati molti parlamentari: sarebbe un terremoto che Berlusconi non può permettersi alla vigilia del 14 dicembre. Se poi si convince, come sembra esserlo, che Mara sia manovrata da Italo Bocchino, allora non ci sono più margini di recupero. Sono in molti però a volere questo recupero. I ministri Frattini e Gelmini sono in prima linea. Ieri La Russa, su mandato di Berlusconi, ha chiamato la ministra per le Pari Opportunità. «Le ho detto di stare tranquilla, che risolveremo i problemi. Ci vedremo nei prossimi giorni. Cercherò di dare un po' di valium a tutti. Sono convinto che riusciremo a riportare la calma nel partito».

Il punto è che per la Carfagna lo stesso La Russa è parte del problema, come Verdini e coloro che a suo avviso hanno in mano il Pdl a livello nazionale e locale. «E' chiaro - sostiene Urso - che l'amarezza e la reazione di Mara siano le stesse che stanno vivendo in molti. Il Pdl non è più un partito che attira ma che respinge». Ma dove andrà la Carfagna? «Non lo so, ma non credo che seguirà Micciché in Forza Sud», risponde sibillino Urso. Le porte sono già spalancate nel Fli.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/375962/
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« Risposta #46 inserito:: Dicembre 08, 2010, 05:28:45 pm »

Politica

07/12/2010 - RETROSCENA

Il premier e l'arma delle urne per dialogare con Casini

La strategia del Cavaliere per mettere all'angolo il nemico

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
I sondaggi in possesso di Berlusconi (e non solo) dicono che il Pdl abbia smesso di calare nei consensi e che anzi ci sia un recupero. Un rimbalzo di qualche decimale, ma quanto basta per rendere il premier più determinato a puntare tutte le sue carte sulle elezioni anticipate se non dovesse avere la maggioranza alla Camera. Chi spera nelle sue dimissioni da qui al 14 dicembre farebbe meglio a ricredersi in fretta. E' il caso di Fini che sta cercando una soluzione prima di quel giorno: un Berlusconi bis che eviti il ribaltone e non lo costringa a infilarsi in avventure terzopoliste o addirittura in alleanze con la sinistra difficili da gestire. Il leader dell'Udc invece un nuovo governo del Cavaliere lo vuole solo dopo che il Parlamento si sia pronunciato sulla mozione di sfiducia. Non è un caso che Casini continui a ripetere che il vero giorno del giudizio non è il 14 ma il 15 dicembre, cioè quando bisognerà capire come tenere in vita la legislatura. A quel punto, che Berlusconi abbia o meno la maggioranza a Montecitorio, i centristi si offrirebbero in soccorso con le bombole di ossigeno (Lega permettendo) per rianimare il «catacombale» Silvio ed evitare le urne. Fini potrebbe essere scavalcato e trovarsi a rincorrere Casini.

Sono queste le valutazioni che si fanno in casa berlusconiana che osservano che tra i due ogni giorno che passa emergono divisioni e prospettive diverse. Se si andasse a votare in primavera chi sarebbe il candidato alla premiership? I finiani continuano a ripetere che quel ruolo spetterebbe al loro capo, senza ombra di dubbio. L'Udc non è dello stesso avviso. Non lo sono nemmeno oltre Tevere dove si guarda con diffidenza ad un'intesa elettorale con il laico Fini, soprattutto se dovesse essere lui a guidare le truppe d'assalto a Palazzo Chigi. Ecco perché, spiegano i berlusconiani, il presidente della Camera è nei guai, in affanno, e ripete - come ha fatto ieri - che non ci sarà il ribaltone: cerca un'intesa nel centrodestra prima del 14 dicembre. Dopo i giochi per lui sarebbe mortale, con il democristiano Casini pronto a fargli le scarpe.

Le previsioni del premier potrebbero rivelarsi scritte sull'acqua. Casini e Fini sarebbero dei dilettanti se facessero il gioco divide et impera del Cavaliere. Il quale pensa di giocare il ruolo del gatto con i due topi, lasciando intravedere la possibilità di un bis dopo il 14 dicembre. Cosa possibile se otterrà la maggioranza anche alla Camera, anche se per pochissimi voti. Tratterebbe da una posizione di forza. In caso contrario, cioè se dovesse andare giù a Montecitorio e tenere la maggioranza al Senato, salirebbe al Quirinale per chiedere le elezioni. E non ci sarebbero alternative che tengono, nemmeno con il nome del governatore della Banca d'Italia Draghi. Secondo il senatore del Pdl Andrea Augello, Berlusconi avrebbe in mano il pallino anche se dovesse perdere la maggioranza dei deputati per pochissimi voti: «Di fronte alla prospettiva delle urne il primo a presentarsi alla trattativa per un Berlusconi bis sarebbe Casini e a quel punto a Fini non rimarrebbe che acconciarsi». Del resto, sostiene Osvaldo Napoli, «il terzo polo è ormai morto perché sono troppi galli nello stesso pollaio. Se poi si dovesse aggiungere anche Montezemolo allora la competizione in quell'area sarebbe devastante».

Insomma, dalle parti del Cavaliere si ostenta una notevole sicurezza (si parla di nuovi acquisti), ma secondo i finiani si tratta di un «grande bluff». Rimane il fatto che tutti temono di andare a vedere le carte di Silvio, che alla fine potrebbe avere la convenienza di portare gli italiani al voto. Certo, a legge elettorale invariata, corre il rischio di vincere alla Camera grazie al premio di maggioranza e di perdere al Senato. A quel punto però, ragionano a Palazzo Grazioli, se mancassero una decina di senatori per dare vita ad un nuovo governo, si aprirebbe una discussione con i centristi di Casini o con chi è disponibile. Sarebbe quello il vero Berlusconi bis.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378938/
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« Risposta #47 inserito:: Dicembre 13, 2010, 04:07:00 pm »

Politica

13/12/2010 - RETROSCENA

Berlusconi e la calamita nei confronti dei centristi

Undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari con un occhio rivolto all’Udc

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

A24 ore dal voto il fixing di Berlusconi è di 314/315 deputati dalla sua parte, 311/312 contro. Lo ha ripetuto anche ieri sera alla cena con i senatori che soprattutto cercavano risposte su cosa accadrà dopo. Come si andrà avanti con due, tre voti di differenza? Ministri e sottosegretari dovranno rimanere inchiodati a Montecitorio? Cosa farà l’Udc? Tra l’altro la battuta sibillina di Bossi («dopodiché... lo dico dopo avere ottenuto la fiducia, se Berlusconi non ha sbagliato i conti...») non lascia dormire sonni tranquilli né ai parlamentari del Pdl né ai nuovi arrivati che hanno deciso di saltare il fosso: cioè i vari Scilipoti, Calearo, Cesario, Razzi. Se poi si dovesse andare ad elezioni, a cosa servirebbe il loro cambio di casacca? Fini e Casini soffiano sul fuoco della paura, avvisano che il vero obiettivo del premier sono proprio le urne, senza che nessuno abbia la sicurezza di essere ricandidato e rieletto. E quella frasetta buttata lì da Bossi sembra corroborare questi timori. Ma Berlusconi in queste ore dice a tutti i dubbiosi che, una volta ottenuta la fiducia, verrà risalita la china. «Saremo una calamita per tutti».

Insomma, ogni cosa a suo tempo. Per il leader del Pdl adesso la cosa principale è superare le forche caudine di Montecitorio. Un altro colpo messo a segno è la spaccatura del Fli, con la ribellione dei moderati con in testa Moffa che forse non sarà il solo ad astenersi. Sono state le parole di Fini dette a Lucia Annunziata a far consegnare altre armi nelle mani del Cavaliere, che non ha perso tempo per chiamare i finiani dubbiosi. «Avete visto? Quello ha un solo obiettivo: uccidermi, distruggermi, eliminarmi, non ha nessuna volontà positiva di trovare un’intesa. Mi insulta e vi tratta da ragazzini, certo in buona fede, ma che devono eseguire i suoi ordini. Vuole portarvi all’opposizione e rianimare quelle anime morte della sinistra. Adesso spetta a voi decidere cosa fare».

La campagna acquisti sta funzionando alla grande. Eppure Berlusconi qualche dubbio ancora ce l’ha. Teme i «controtradimenti» dei Calearo, Siliquini, Cesario, Razzi e Scilipoti. «Auguriamoci - ha detto parlando con i suoi collaboratori a Palazzo Grazioli prima della cena con i senatori - che siano coerenti con gli impegni che hanno preso con noi». Finora però tutto fila liscio tanto da far dire al portavoce Bonaiuti, nel suo quotidiano bollettino del tempo, che «dopo un pomeriggio di mare mosso, si prevedono schiarite per la mattina di martedì».

«Dopodiché»? Dopo il 14 dicembre cominceranno gli smottamenti di Fli e l’attrazione nei confronti dell’Udc. La «calamita», appunto, di cui parla Berlusconi, perché nessuno vuole andare ad elezioni anticipate. E il Cavaliere ha undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari. Con un occhio rivolto innanzitutto ai centristi di Casini. L’Ansa ha scritto che ha in mente l’innesto di un paio di ministri tecnici, dai nomi prestigiosi e di grande profilo, tipo Mario Monti, proprio per mandare un segnale di buona volontà all’Udc. Un modo per consentire agli ex Dc di votare i provvedimenti vitali per il governo. Casini fa spallucce: ricorda che l’Udc ha sempre votato a favore di provvedimenti che ritenevano utili per il Paese. La verità, spiegano al quartier generale di via Due Macelli, è che Berlusconi deve aspettare la sentenza della Corte Costituzionale, a gennaio, per sapere se può ancora avvalersi del legittimo impedimento. Se sarà una sentenza a lui favorevole, dovrà rimanere chiuso nel bunker di Palazzo Chigi e tenersi stretta la carica di presidente del Consiglio: non potrà volere le elezioni e dovrà barcamenarsi tra Bossi, che non vorrà tirare a campare, e i voti di Fli e Udc per tirare a campare. E come riuscirà a fare tutto questo se Bruxelles ci imporrà manovre draconiane? Quanto al rapporto tra Fini e Casini, quest’ultimo ha confidato che «siamo condannati a marciare insieme», nonostante tutto.

Intanto il premier punta a vincere la battaglia del 14 dicembre, poi si pensa di vincere la guerra. Soddisfatto di avere mandato in tilt Fini. Il quale, dice La Russa, «sarà imbestialito per il fatto che un “Moffa qualunque”, e io conosco i giudizi che lui ha di alcuni finiani moderati, abbia potuto ribellarsi a lui e scrivere quella lettera a Berlusconi. Lui pensava di avere le mani completamente libere e di poter decidere tutto, ma ha scoperto che così non è». Per La Russa ci sono ancora 24 ore prima che le colombe decidano di abbandonare il binario morto dove vuole portarli Fini. «C’è ancora tempo per avere dei colloqui e chiarimenti. Poi tutto sarà più difficile».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/379703/
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« Risposta #48 inserito:: Dicembre 16, 2010, 03:50:47 pm »

Politica

16/12/2010 - RETROSCENA

Il premier: "Terzo polo? E' una tigre di carta"

«Un'alleanza di falliti».

Via al piano per i dubbiosi di Fli

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi non ha paura del terzo Polo, del cosiddetto Partito della Nazione. Lo considera una «tigre di carta che non ha futuro e grandi prospettive politiche». Costruito piuttosto per difendersi e prepararsi alle elezioni o a trattare l’allargamento della maggioranza. Elezioni che però il premier assicura formalmente di non volere. Ma sono pochi a credere che egli non voglia approfittare della debolezza di tutte le opposizioni e della sua rinnovata posizione di forza per dare scacco matto nelle urne.

Adesso il Cavaliere, dopo avere ottenuto da Bossi il “time out” fino a gennaio, punta tutte le sue fiches sullo smottamento di Fli (innanzitutto) e dell’Udc. A Fini pensa di poter sfilare da 6 a 8 deputati; a Casini almeno 3-4. Più che una minaccia quella del Cavaliere è una concreta possibilità e anche un messaggio al leader dei centristi. Un modo per dirgli di stare in campana: se non ti siedi a trattare senza la presunzione di chiedere la luna (ridimensionamento della Lega, troppi ministeri e tanti soldi per il quoziente familiare), io sono in grado di essere autosufficiente.

E al quel punto non avrò più bisogno di te, figuriamoci di Fini. Un bluff? Forse. Rimane il fatto che, con il voto di fiducia ottenuto martedì, Berlusconi ha dimostrato di saper superare i momenti più difficili e essere una calamita, pur usando tutte le “lusinghe” possibili. Un’attrazione che ora diventa più forte nei confronti di quei finiani che non vogliono uscire dal centrodestra e finire in un terzo polo in attesa di diventare un vagone del centrosinistra di nuovo conio. Dunque adesso è il momento di mostrare a Casini il bastone e non la carota dell’offerta di un nuovo governo. Una risposta durissima al tentativo di Udc, Fli, Mpa e Liberaldemocratici di serrare i ranghi. Non più un’apertura a Casini e al suo partito, ma strappare in tutti i modi (ha undici posti da assegnare tra ministri e sottosegretari) «singoli deputati delusi dalla linea dei propri partiti».

Uomo avvisato... Eppure ieri mattina al Quirinale avrebbe continuato ad assicurare al capo dello Stato la sua intenzione di fare al leader dei centristi «un discorso ragionevole e serio». E’ stata questa la risposta a Napolitano che gli chiedeva come avrebbe affrontato una eventuale manovra aggiuntiva con una maggioranza di 3 deputati. Tremonti ha subito precisato che non ci sarà bisogno di una manovra aggiuntiva. E il premier ha aggiunto che farà di tutto per allargare la maggioranza. Ma il Cavaliere sembra essere in contraddizione quando sostiene l’una e l’altra cosa: mano tesa all’Udc come partito e voglia di “rubargli” deputati. Invece non lo è: è, appunto, la sua solita tattica del bastone e della carota; terrorizzare, far scoppiare fumogeni, far vedere che sta facendo di tutto, ma proprio di tutto per dare stabilità politica al nostro Paese.

Se poi i suoi sforzi non saranno premiati, pazienza, si andrà a votare. Ogni cosa a suo tempo, step by step. Intanto, ha ragionato ieri sera al mega vertice di Palazzo Grazioli, «alla Camera cerchiamo di arrivare a quota 325». Cioè 11 deputati soffiati a Fli e Udc. «Se riusciamo a raggiungere questa quota avremo una maggioranza piccola ma sufficiente ad evitare le imboscate e portare a termine la legislatura, perchè è questo ciò che vogliono gli italiani. La maggiore dote politica per un governo e una maggioranza è garantire la stabilità che mette l’Italia al riparo della speculazione internazionale». Quello di Fini, Casini e Rutelli per Berlusconi è il terzo polo dei «falliti». Se si andrà ad elezioni, ha osservato, loro dovranno fare un pateracchio, sommare liste per superare gli sbarramenti previsti della legge elettorale. Per non parlare poi delle difficoltà che avranno a decidere chi sarà il candidato premier di questa «armata Brancaleone formata da tanti galli nel pollaio». Se poi nella partita elettorale ci sarà pure Luca Cordero di Montezemolo, allora questi «vecchi politici della Prima Repubblica» saranno messi in un angolo. Ma la novità che è emersa ieri sera al vertice è che nel Pdl è riemersa la divisione tra falchi e colombe.

Tra chi vuole svuotare Fli e Udc e coloro che invece pensano sia meglio una seria trattativa solo con l’Udc e un recupero dei finiani che seguiranno Moffa nel gruppo misto. Tra le colombe, neanche a dirlo c’è Gianni Letta e Franco Frattini. Per il ministro degli Esteri «il terzo polo sarà dialogante». Evitare le elezioni, non farsi trascinare dalla Lega alle urne, con il pericolo di trovarsi totalmente nelle mani di Bossi e Tremonti più di quanto l’azione del governo non lo sia stata in questi due anni e mezzo di legislatura. E magari con un Senato senza una maggioranza di centrodestra e il pericolo che in una situazione del genere il Senatur possa chiedere a Berlusconi di passare la mano a Tremonti. Berlusconi interpreta entrambi le posizioni, ma come è sempre successo alla fine gli scappa il superfalco che c’è in lui perchè non ha la pazienza di seguire le alchimie.
«La gente non capirebbe i minuetti del Palazzo», è il suo mantra. Qui, nei Palazzi della politica, i bookmakers scommettono sulle elezioni.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380176/
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« Risposta #49 inserito:: Dicembre 18, 2010, 11:07:27 am »

Politica

18/12/2010 - RETROSCENA

L'incubo del premier: Casini "nuovo Prodi"

Un'alleanza Pd- Terzo Polo potrebbe conquistare i moderati

AMEDEO LA MATTINA
INVIATO A BRUXELLES

Le operazioni mediatiche sono quelle che meglio riescono a Berlusconi. Batte il tasto dei nuovi arrivi nella maggioranza e mette paura agli avversari finiti per il momento in un angolo. Schiaccia a sinistra il «traditore» Fini e ai deputati dell’Udc ricorda che il loro leader Casini ha perso un’occasione d’oro: entrare nel governo dalla porta principale di ministeri e sottosegretariati. Ma quello che ora il Cavaliere teme veramente è una possibile alleanza in divenire tra il nascente terzo polo e il Pd «depurata» da Di Pietro e Vendola. Un centrosinistra di nuovo conio per dirla con un’espressione in voga un po’ di tempo fa e inventata da Rutelli. Berlusconi lo teme perché non potrà dire con tanta credibilità che i suoi vecchi partner si sono consegnati a comunisti e forcaioli. Soprattutto se il «nuovo Prodi» si chiamerà Casini, democristiano di provata fede, tra i fondatori del centrodestra.

Il suo avversario ideale è il governatore della Puglia, orecchino, gay, onestamente e dignitosamente comunista anche se postmoderno. Contro di lui il Cavaliere potrebbe dire le umane e le inumane cose, tanto rimane minoranza. Per non parlare dell’ex Tonino nazionale che ha perso l’onore politico da quando i suoi due deputati hanno salvato il nemico numero uno dell’Idv. Di Casini, che è stato all’opposizione e ce l’ha mandato proprio lui, bisognerebbe lavorare di fino per dire tutto il male possibile. Tanto più se il leader Udc sarà alla testa del battaglione democratico, che alla sua sinistra farebbe strage di voti utili non facendo scattare il 4%. E’ vero che sarebbe un’ammucchiata anche Patto della Nazione più Pd «depurato», ma per Berlusconi sarebbe una concorrenza al centro e sulle fasce moderate che non potrebbe sottovalutare. Ovviamente non può ammettere di averne paura.

Noi glielo abbiamo chiesto alla fine del vertice Ue: teme un’alleanza di questo tipo? E lui: «Non mi preoccupa perché non hanno elettori». Una risposta insolitamente breve, come se non avesse ancora messo a fuoco il problema che potrà trovarsi di fronte. Del resto un sondaggio ad hoc non ce l’ha, e quindi che può dire? Il premier è persona pratica, procede passo dopo passo. Non si pone un problema che non è andato a maturazione. Adesso è interessato all’espansione della maggioranza e i suoi messaggi si fanno incalzanti e quotidiani. Erano mesi che non si offriva ai giornalisti come in questi giorni così a lungo e in tutte le circostanze. Quando non lo fa, annullando viaggi e conferenze stampa, è perché le cose gli vanno male o sta incubando qualcosa. Da quando invece ha superato la rischiosa boa della sfiducia, nonostante possa contare solo su 3 voti di maggioranza, il premier parla a iosa (anche alle 2 di notte come è accaduto l’altra sera nella hall del Conrad).

Ieri, all’uscita vip del Justus Lipsius, è stato l’unico leader che si è fermato con i giornalisti. Si mostra sicuro, ostenta il suo ritorno a Bruxelles da vincitore. «Ditelo che non riuscite a stare senza di me. Non è facile abbattere un combattente veterano come me», ha scherzato con alcuni colleghi al vertice Ue. Colleghi che gli avrebbero fatto tanti di quei complimenti per la fiducia ottenuta da averlo imbarazzato. Del resto, ha osservato, la caduta del governo avrebbe creato instabilità anche in Europa e avrebbe fatto male alla tenuta dell’euro. «Anche questo dimostra l’irresponsabilità di una manovra per come era stata pensata e cercata di portare avanti». Ecco, per fortuna un governo a Roma c’è ancora e a Bruxelles è stato approvato il fondo permanente «salva-Stati». Ora l’euro a suo avviso è in «sicurezza irreversibile», grazie al clima di concordia tra i 27. Non è passata la proposta, sostenuta fortemente dall’Italia, di emettere eurobond. C’è la contrarietà della Merkel e di Sarkozy.

Il Cavaliere nega che ci sia uno strapotere franco-tedesco, anche perché spesso le loro iniziative incontrano la «mancata adesione degli altri Paesi». Ammette però che in Europa serpeggia ancora la voglia di «un protagonismo nazionalistico». In Italia invece deve fare i conti con il duo Fini-Casini. Li considera perdenti, soprattutto il primo, mentre per il secondo usa toni più soft, lasciando la porta socchiusa. Il suo bersaglio è comunque il presidente della Camera: è il Fli che vuole dissanguare, saccheggiare.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380494/
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« Risposta #50 inserito:: Dicembre 21, 2010, 05:19:55 pm »

Politica

21/12/2010 - RETROSCENA

Il premier pressa Bossi per sdoganare Casini

Un sondaggio lo rafforza: il Pdl sale al 28, la Lega è stabile al 12,5

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

La pausa natalizia dovrà servire a Berlusconi per convincere Bossi a non temere Casini. L’incontro tra i due non è stato ancora fissato ma prima di Capodanno ogni giorno è utile per un chiarimento. Nel Pdl c’è chi sostiene che si sono divisi i compiti: il premier fa il poliziotto buono che non vuole le elezioni; il Senatur quello cattivo per mettere paura all’opposizione, innanzitutto al terzo polo, e renderla più morbida nei confronti del governo. La realtà è invece che c’è una divisione, una diversa valutazione su come affrontare e superare questa fase dopo il voto di fiducia con tre voti di scarto. Bossi parla delle urne come «l’unica igiene» possibile per non dare agli avversari il tempo di riorganizzarsi: «La crisi economica è solo un alibi». E Casini sarebbe un cavallo di Troia che ha il solo obiettivo di vedere Berlusconi «morto». Il presidente del Consiglio non la pensa così.

Gioca su più tavoli, convinto di essere più furbo di Casini e che la stabilità ad ogni costo paghi in termini di consensi e credibilità internazionale. I sondaggi gli danno ragione e non solo quelli di cui lui si fida ciecamente (Euromedia). Una rilevazione fatta da Demopolis, conclusa ieri, dà il Pdl in crescita al 28% rispetto al 26% del 30 novembre, mentre il Carroccio si è stabilizzato con considerevole 12,5. Cresce pure l’Udc (da 6,7 a 7,3%); Fli precipita da 7,8 a 5%, una perdita di quasi un milioni di voti. Ovviamente virtuali perché sempre di sondaggi si tratta. «Bossi - spiega un ministro - sa che il Pdl sta riequilibrando i rapporti di forza dentro la coalizione ed è aizzato da chi gli sta intorno a spingere verso le elezioni, magari per fare un favore a Tremonti». Comunque, ora spetta a Berlusconi rassicurare il capo leghista che rimane convinto dell’operazione subdola messa in campo dal terzo polo e da Casini.

L’«alleato ombra» che si sta insinuando nelle maglie delle decisioni governative per condizionare la maggioranza. Una mano a tenere a bada Bossi gliel’ha data il Presidente della Repubblica. Un altro argomento che userà è la nascita del gruppo di responsabilità che ruoterà attorno all’ex finiano Silvano Moffa e all’ex Udc Saverio Romano. Ieri al Quirinale per il ricevimento del Capo dello Stato Berlusconi ha voluto sapere proprio da Romano tutti i particolari su come sta andando avanti la costituzione di questo gruppo (oggi ci sarà una prima riunione di coordinamento). Il Cavaliere spiegherà a Bossi che questi nuovi amici, anche se per il momento non faranno aumentare i 314 voti ottenuti per la fiducia, serviranno a garantire la maggioranza in molte commissioni laddove il centrodestra è andato in minoranza. A cominciare dalle commissioni Bilancio e Finanza della Camera dove il federalismo fiscale rischia di arenarsi.

Intanto Berlusconi sta portando a casa il decreto rifiuti e il ddl sull’Università. Bastona Fini e gioca di fioretto con Casini. Continua a dire che arriveranno altri rinforzi ma è un bluff, almeno non se ne vede traccia. Tutto in attesa di gennaio, della sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Se il premier non avrà più questo scudo saranno in molti a togliergli la spina. E anche se conservasse il legittimo impedimento potrebbe essere Bossi a perdere la pazienza. Sotto traccia rimane l’obiettivo di portare tutta l’Udc nella maggioranza, chiedendo alla Lega di fare qualche sacrificio. Fantapolitica.

Ma è Casini che non vuole entrare nel governo: non vuole sentirsi dire che ha fatto tutto questo per avere un posto al tavola. Meglio un appoggio esterno e tenersi un’alleanza con Fini, Rutelli e Lombardo utile in caso di elezioni anticipate. E’ talmente contrario all’ingresso del suo partito nell’esecutivo che avrebbe fatto saltare un accordo che il segretario Udc Cesa aveva stretto con Gianni Letta. Voci, solo voci, smentite.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380824/
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« Risposta #51 inserito:: Gennaio 05, 2011, 03:44:14 pm »

5/1/2011

Il sospetto della congiura

AMEDEO LA MATTINA

Attento Umberto, non ascoltare Giulio». Berlusconi non si fida di Tremonti. Lo considera il vero «ideologo» delle elezioni anticipate che può condizionare le mosse di Bossi e far commettere un grave errore a tutta la Lega.

Il Cavaliere si tiene stretta la sua poltrona e cerca di convincere il Senatùr che il ministro dell’Economia stia giocando una partita tutta sua per arrivare a Palazzo Chigi. «Tremonti pensa solo a se stesso», confida un ministro di rango che avverte il pericolo di un Carroccio trascinato alle urne senza il consenso del premier. Il quale nei colloqui telefonici di questi giorni ha chiesto al leader leghista di stare alla larga da certe tentazioni. «Dimmi se la pensi come Giulio, ma ricordati che se si va al voto te ne assumi la responsabilità». Il tutto ovviamente condito dall’assicurazione che il federalismo fiscale verrà approvato, che i numeri ci sono. Ci sono 10 deputati pronti al salto della quaglia nella maggioranza. A questi se ne potrebbero aggiungere altri 10 che sarebbero i subentranti a quei ministri-deputati che si dovrebbero dimettere dalla Camera.

Operazione complicata, quest’ultima, alla quale Bossi non crede. E dei nuovi arrivi da Fli e Udc non c’è ancora traccia anche se ieri il premier ha detto di essere «sicuro che entro la fine di gennaio in Parlamento ci saranno le condizioni per portare a termine la legislatura. L’Italia ha bisogno di tutto, tranne che di elezioni anticipate». Ha bisogno di «stabilità che ci viene richiesta da tutti i protagonisti più importanti della nostra società, dall’industria alla Chiesa cattolica». Tensioni, contrasti con Bossi e Tremonti? Macché: «Solo chiacchiere al vento, non c’è nulla di vero».

Intanto, per dimostrare che solo di chiacchiere si tratti il Cavaliere avrebbe dovuto accettare l’invito alla «cena degli ossi». Un invito calibrato proprio per svelenire il clima e far vedere che si va d’amore e d’accordo. Cosa per niente vera. Berlusconi ha un problema grande come una casa con la Lega e soprattutto con Tremonti che, a suo dire, sparge veleno e cerca di convincere Bossi a staccare la spina perché con una maggioranza raccogliticcia non si può andare avanti. La tesi non peregrina dell’inquilino di via XX Settembre è che «tirare a campare costa». Costa perché i nuovi arrivi nella maggioranza di Noi Sud, i siciliani di Romano e Mannino e quant’altri parlamentari meridionali chiedono maggiori spese. Lo stesso decreto Milleproroghe rischia di uscire da Camera e Senato con un fardello di milioni in più. Per non parlare dell’Udc. Secondo Tremonti la trattativa con Casini, che insiste sul quoziente familiari (costa una decina di miliardi), finirebbe per cambiare veramente gli equilibri della coalizione a scapito non solo delle casse dello Stato ma anche del Carroccio. Argomento al quale Bossi è molto sensibile, ovviamente.

C’è un altro argomento che Tremonti mette in campo per convincere il Senatùr a mollare Berlusconi. Ed è il «Patto Romano». Il ministro dell’Economia sostiene che ci sia un accordo sotterraneo che lega Gianni Letta, Pierferdinando Casini, ambienti papalini, finanziari, editoriali e imprenditoriali romani. Il loro obiettivo sarebbe portare Casini a Palazzo Chigi e Letta al Quirinale. A farne le spese sarebbe Berlusconi. «Veleni, solo veleni di Tremonti - sostengono i presunti “congiurati romani” - che ce l’ha a morte con Letta. Figuriamoci se Gianni tradisce Silvio». Ecco perché Berlusconi ripete a Bossi «non ascoltare Giulio». Ecco perché ieri sera non poteva salire sul Cadore. Ora il Senatùr frena, dice di essere ottimista, che a marzo non ci saranno elezioni. E che mai Tremonti farebbe «uno sgarbo» al Cavaliere. Al quale concede tempo. Gli dà fiducia, mostra di credere nei numeri di Silvio («non ha mai detto balle»). Ma lo avverte: mai l’Udc al governo. «Allargare sarebbe una continuazione della palude». È questo il paletto che Bossi condivide pienamente con Tremonti: è l’argine al «Patto romano», vero o presunto che sia. Uno stop comunque al partito della spesa che affonda le sue radici al Sud.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8259&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #52 inserito:: Gennaio 13, 2011, 11:57:42 am »

Politica

13/01/2011 - RETROSCENA

Letta ancora in campo per convincere Casini

Pier Ferdinando Casini al centro delle attenzioni di Berlusconi

Parte la missione per separare il leader centrista da Fini

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi tiene sempre alzata la spada di Damocle delle elezioni sulla testa degli oppositori «senza idee e senza leader». E questo non vale solo per il Pd incartato nei suoi dilemmi sulle alleanze e nelle tensioni interne. Il messaggio è rivolto soprattutto a Casini che il premier vuole sfilare al Terzo Polo, rompendo l’asse con Fini. Ha rimesso in moto il paziente Gianni Letta per un’ennesima quanto impossibile missione: convincere il leader centrista che gli conviene abbandonare al suo destino il presidente della Camera. Sondaggi alla mano, il premier sostiene che l’alleanza tra centristi, Fli, Mpa e Api non arriverebbe al 10%. E la legge elettorale prevede che se non presenti una lista unica ma una coalizione di partiti (come pensano di fare Casini, Fini, Rutelli e Lombardo), non eleggi nemmeno un deputato se non raggiungi questa percentuale.

Dunque, Letta di nuovo in campo. Un film già visto che tuttavia finora non ha portato risultati. In ogni caso il tentativo di convincere Casini ad un’opposizione sempre più morbida, prescinde dall’obiettivo di allargare la maggioranza per garantire al governo l’autosufficienza, soprattutto in quelle commissioni parlamentari dove Pdl-Lega sono in svantaggio. Ecco perchè Berlusconi, non fidandosi di Casini, punta innanzitutto sulla costituzione del gruppo dei Responsabili sia alla Camera sia al Senato. Il problema più grosso è a Montecitorio, ma ieri ha confidato che la prossima settimana questo gruppo si formerà con 24 deputati. Ci sono un po’ di problemi da risolvere, ad esempio chi farà il capogruppo. La componente Noi Sud e gli ex Udc non vogliono ex finiano Silvano Moffa alla presidenza e spingono invece a favore di Saverio Romano, che oggi incontrerà il Cavaliere. Poi c’è il problema di chi entrerà al governo come ministro o sottosegretario. Ma a parte il tema di chi farà cosa, l’allargamento della maggioranza stenta a realizzarsi nelle dimensioni desiderate dal premier.

Alcuni deputati disposti al passaggio nelle fila del centrodestra attendono di sapere cosa deciderà oggi la Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. Due deputati dell’Mpa (Ferdinando Latteri e Aurelio Misiti) prima vogliono capire quale sarà il destino del governo. Altri cosa tocca a loro. C’è chi alza troppo il prezzo. Ignazio La Russa la mette invece così: manca una scadenza di voto parlamentare come fu il voto di fiducia del 14 dicembre. Per cui alcuni deputati non hanno fretta di fare il salto. La scadenza potrebbe però arrivare a fine mese quando si tratterà di votare per la mozione di sfiducia al ministro Bondi.

Insomma, non è tutto così pacifico come sostiene Berlusconi, che ieri a Berlino ha tirato fuori il suo repertorio “migliore” contro i giudici e ha detto che la decisione della Consulta non influirà sul governo. Il messaggio è rivolto ai dubbiosi di cui sopra. Intanto il capogruppo Cicchitto e il ministro Fitto ricordano che l’unica alternativa a questo governo sono le urne, non essendo più in campo l’ipotesi di un esecutivo tecnico. Figurarsi, come ha precisato il Cavaliere, una grossa coalizione nella versione del «patto di salvezza nazionale» indicato da Fini.

Casini dice che gli è venuto a noia il tema delle elezioni. E «se ritiene che i problemi del Paese si risolvano con due-tre parlamentari in più - aggiunge - faccia pure. L’Udc voterà a favore se il governo presenterà provvedimenti positivi per il Paese». Cosa accadrà, secondo Lorenzo Cesa, dipende dalla decisione della Consulta. «Berlusconi - osserva il segretario dell’Udc - non accetterà di farsi girare sullo spiedo con i magistrati che dovranno decidere di volta in volta se esiste il legittimo impedimento. A quel punto potrebbe avere la tentazione di andare a votare. E noi saremo pronti: in tre mesi metteremo su un’alleanza elettorale competitiva. Il candidato premier? Ce lo abbiamo già...», risponde Cesa con un sorriso da gatto mammone. Chi se non Casini?. «Se accettasse la nostra proposta di pacificazione e quella di Fini sulle riforme, Berlusconi potrebbe andare avanti fino alla fine della legislatura. Ma non mi sembra abbia la testa per fare queste cose. E poi la Lega mette i bastoni tra le ruote, Tremonti non caccia un euro».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/383456/
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« Risposta #53 inserito:: Gennaio 19, 2011, 12:24:03 pm »

Politica

19/01/2011 - IL CASO

"Se lascio mi massacrano E Tremonti è già pronto"

Il Cavaliere: Giulio non pensi di andare a Palazzo Chigi coi voti miei

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi resiste nel bunker di Palazzo Chigi. Assediato dalla stampa cattolica. Stretto dal Capo dello Stato che gli consiglia di esercitare il suo diritto di difesa davanti ai giudici di Milano. Mollato definitivamente dal Terzo Polo che sente odore di sangue.
E poi c’è il Pdl che a certi piani alti vorrebbe che valutasse la possibilità di passare la mano per salvare la baracca.
Ma il Cavaliere resiste, ammassa sacchetti di sabbia sulle finestre del bunker e avverte minaccioso: «Il primo che osa venirmi a dire di fare un passo indietro lo caccio dal partito a calci in culo.

Se mi alzo da quella sedia mi massacrano e c’è subito pronto Tremonti ad accomodarsi al mio posto. Se Tremonti vuole fare il primo ministro vada alle elezioni e quella carica se la conquisti, ma non può pensare di fare il premier con i miei voti». Tutti zitti, non vola una mosca. Stanco e diffidente di un ministro dell’Economia e della sua sponda leghista, nonostante il responsabile dell’Economia ieri abbia detto di essere «orgoglioso di far parte di questo governo».

Stufo ma combattivo, con l’obiettivo di stroncare ancora una volta i «magistrati comunisti» e dirottare le carte processuali dei festini hard al Tribunale dei ministri, neutralizzando così le intercettazioni telefoniche. Berlusconi è un combattente nato, stringe i denti e i bulloni della sua maggioranza che ieri alla Camera era però divisa tra coloro che dicono «ce la faremo a passare anche questa nottata» e chi invece teme il peggio: «Questa volta finisce male».

Lui suona la carica, non ha intenzione di mollare. Dice di essere «sereno», di «dormire tranquillo». «Adesso mi difenderò in ogni sede.
Farò uscire le testimonianze delle ragazze che Ghedini ha raccolto. Non mi arrendo, reagirò. Vedremo cosa riusciranno a dimostrare la Boccassini e compagni». I suoi più stretti collaboratori ammettono che è dura ribaltare il piano inclinato, ma nessuno si illuda che Berlusconi possa fare un passo indietro e vada a farsi interrogare a Milano. «Lì c’è un plotone di esecuzione, non ho garanzie», ripete il premier.

Il quale addirittura sostiene di divertirsi di fronte a quanto sta accadendo. Si capisce che è un bluff. Lo scenario politico si complica maledettamente. Non c’è ancora, e difficilmente ci sarà, l’accordo con il Terzo polo sul federalismo fiscale e il finiano Baldassarri, che nella bicameralina fa la differenza, non sembra orientato a votare il decreto attuativo il 26 gennaio. E ieri Bossi ha ripetuto che senza federalismo fiscale si va dritti al voto. Il premier però è sicuro che il provvedimento passerà perché nell’opposizione c’è la paura delle urne.

Anche sulla mozione di sfiducia contro Bondi è prevalsa la linea più dura nell’Udc, Fli, Api e Mpa, rispetto ad un primo orientamento favorevole all’astensione. Al ministro della Cultura, Rutelli e Buttiglione, che hanno “istruito” la pratica, chiederanno di trovare i soldi che Tremonti gli ha sempre negato, di avere la schiena dritta: un elenco di cose da fare, ben sapendo che Bondi dirà di no. «Allora, sarà lui a sfiduciarsi da solo», è la sottile e gesuitica mossa dei centristi. I quali, essendo a conoscenza di ciò che arde sotto la cenere del Pdl, affondano il coltello: faccia un passo indietro e noi siamo disposti a votare pure il diavolo.

Che si chiami Tremonti, Letta o Alfano. Berlusconi indossa la mimetica e spara dalle feritoie al primo che si avvicina. E’ convinto che ci sia altro nelle maniche dei suoi «nemici» di Milano. Che ci siano altre intercettazioni e che si tratti delle telefonate con Ruby e la Minetti, le due principali reginette del bunga bunga. A suo avviso i Pm meneghini furbescamente non avrebbero allegato queste intercettazioni agli atti inviati alla Camera per poi buttarli in pasto ai media al momento opportuno, come hanno fatto in passato con le telefonate tra lui e il dirigente Rai Saccà.

Attorno al bunker si fa terra bruciata, ma Berlusconi è l’uomo delle sette vite. Ce la farà anche questa volta? Si salverà perché è difficile trovare un’alternativa viste le divisioni a sinistra e lo stato embrionale del Terzo Polo? Lo scontro finale si carica delle parole severe scritte dal direttore dell’Avvenire Marco Tarquino e da Famiglia Cristiana. Ma anche su questo fronte il Cavaliere crede di poter parare il colpo. «Nella Chiesa conta quello che dice la Segreteria di Stato vaticana. Loro sanno che senza di me si beccano i laici di sinistra». Amen.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384934/
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« Risposta #54 inserito:: Febbraio 03, 2011, 06:37:15 pm »

Politica

03/02/2011 - IL GOVERNO, RILANCIO E PAURE

Premier-Tremonti, incontro e disgelo

Il ministro potrebbe sbloccare il "tesoretto" dei fondi europei non usati dalle Regioni

AMEDEO LA MATTINA

ROMA

Maroni è scettico sulla possibiltà che il governo abbia molto tempo davanti a sé. «Non so quanto durerà», si è lasciato sfuggire parlando con i sindaci della Sardegna sulle misure che intende adottare contro la criminalità dell’isola. C’è chi sospetta che il responsabile del Viminale sappia quello che a Montecitorio molti deputati della maggioranza confidano e si dicono tra di loro. Starebbe arrivando «la tempesta perfetta» che travolgerà Berlusconi fatta di foto e filmati veramente compromettenti. C’è chi si lascia suggestionare dalle indiscrezioni dei giornali, c’è chi invece racconta di averlo appreso da fonti qualificate. Al punto che viene attribuito allo stesso premier l’intenzione, se la situazione dovesse precipitare, di presentare alla procura di Brescia una denuncia contro i magistrati di Milano: attentato ad un potere dello Stato perché ci sarebbe un disegno criminoso costruito per colpire il presidente del Consiglio. Voci non confermate. Se dalle intenzioni il Cavaliere passasse ai fatti, verrebbe scatenato un conflitto istituzionale incredibile da far impallidire il capo dello Stato. Voci che comunque la dicono lunga sullo stato d’ansia che si respira a Palazzo Grazioli e che viene tradotto da un ministro berlusconiano in questo modo: «Viviamo alla giornata. Non sappiamo quando arriva il giorno della fine...».

In questa attesa al cardiopalma Berlusconi punta tutto sulla ripresa dell’azione del governo e sulle misure di crescita economica con un Consiglio dei ministri in seduta straordinaria fissato per martedì prossimo. A Palazzo Chigi spiegano che l’incontro con Tremonti è andato bene, che il ministro dell’Economia, arrabbiato perché era stato tenuto all’oscuro del rilancio sui temi economici, ha capito che in questa fase non può remare contro il premier. Remargli conto in questo momento così difficile significa remare anche contro Bossi, il quale è schierato al fianco di Berlusconi contro le elezioni. Finché dura. Così, nell’ora scarsa che è stato a Palazzo Grazioli (il premier era tutto preso dall’intervista al Tg1), Tremonti avrebbe fatto delle aperture. Non ha aperto il cordone della borsa perché secondo il ministro la via dello sviluppo non si può finanziare in deficit e con spese dal sapore elettorale. Dunque nessuna risorsa aggiuntiva da mettere sul tavolo, ma sbloccare il “tesoretto” dei fondi europei non spesi dalle Regioni, soprattutto per finanziare il Piano Sud che il ministro Fitto ha già pronto. Tuttavia sono molti i ministri che dubitano sulla buona volontà di Tremonti: dice di essere disponibile ma prende tempo in attesa di vedere l’evoluzione della situazione (giudiziaria?). Insomma, che c’è molta aria fritta e nulla di concreto. «Ancora ciccia non c’è» commenta chi conosce Tremonti.

Comunque la cosa più importante era l’incontro in sé, l’immagine, far vedere che i due si parlano e che nonostante i sospetti di Berlusconi nei confronti di Tremonti c’è la voglia di dare ossigeno a questo governo. «I gufi saranno scontenti», avrebbe detto lo stesso Tremonti dopo il colloquio con il premier. Rimane il fatto che lo stesso ministro si sarebbe lamentato di non essere stato avvertito dell’articolo uscito sul Corsera dove Berlusconi proponeva un piano per lo sviluppo. Ancora più significativa l’avvertimento del responsabile dell’economia al suo interlocutore: pensare più alla politica che alle vicende giudiziarie.

Oggi sarà una giornata importante per capire quanto il governo sia in grado di pensare alla politica. Si voterà per rimandare ai pm di Milano le carte sulla base delle quali si vuole perquisire l’ufficio del tesoriere Spinelli. L’obiettivo è di raggiungere e magari superare la maggioranza assoluta: 316 voti, forse 317 con i nuovi arrivi dall’Mpa Misiti e Lettieri. Forse anche i Radicali voteranno con la maggioranza: questa è la speranza del Cavaliere. La maggioranza qualificata è la soglia non solo numerica ma psicologica che serve a Berlusconi.

da - lastampa.it/politica
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« Risposta #55 inserito:: Febbraio 04, 2011, 06:03:54 pm »

Politica

04/02/2011 - RETROSCENA

Il Quirinale irritato per l'ultima forzatura

Passa il diktat del Senatur: senza devolution si va a votare

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Andiamo a fare il golpe...». Sono le 19,30. Il ministro ha appena finito di votare contro la richiesta dei Pm milanesi di perquisire gli uffici di Giuseppe Spinelli, il tesoriere di Berlusconi. Un voto che rafforza il premier che arriva a quota 316: maggioranza assoluta se avesse votato anche il Cavaliere (non lo ha fatto perché era una questione che lo riguardava). Scherza e sorride amaro il ministro mentre esce dalla Camera e si avvia verso Palazzo Chigi dove sta per iniziare il Cdm. Sa che verrà varato il decreto legislativo sul federalismo municipale, scatenando l’ira dell’opposizione, dopo il voto di parità espresso dalla bicamerale. Sa che questo provvedimento non piacerà al Quirinale, che il capo dello Stato avrà un problema a controfirmarlo. In effetti il malumore del Colle è forte. Il federalismo fiscale doveva essere un evento politico bipartisan e il ministro Calderoli aveva molto lavorato a questo obiettivo fino all’ultimo secondo utile. Ma nell’opposizione sono prevalsi motivi più politici che di merito (la testa di Berlusconi) e tutto è finito con il solito scontro all’arma bianca. E dire che fino a ieri tutti, il premier in testa, avevano apprezzato l’ennesimo appello di Napolitano ad uscire dalla «spirale insostenibile di contrapposizioni». Ora il presidente della Repubblica aspetta di vedere il testo del decreto legislativo, e i suoi collaboratori spiegano che c’è un problema di metodo e di procedure. C’è una questione non irrilevante e riguarda la valutazione del voto della bicamerale: è un voto negativo o non espresso? Il timore è che il decreto si configuri come un schiaffo al Parlamento.

Il nostro ministro che avvia verso Palazzo Chigi per fare «il golpe» e osserva che il capo dello Stato non può non firmare il decreto legislativo, ma sa che c’è un diktat posto dalla Lega durante il megavertice che si è svolto qualche ora prima a Palazzo Grazioli, presenti gli stati maggiori del Pdl e del Carroccio. Lì si è ragionato sul fatto che quello della bicamerale è solo un «non parere»: ha solo un valore consultivo. Ma come andare avanti? «Senza il federalismo fiscale si va a votare, ha tuonato Bossi. Bisogna escogitare una soluzione, altrimenti qui salta tutto. Si è quindi pensato al decreto legislativo. Berlusconi d’accordo. Calderoli, Maroni, Tremonti pure. Ha frenato Gianni Letta che aveva ricevuto una telefonata preoccupata dal Quirinale. Così il sottosegretario ha fatto presente il problema. Ma Bossi e i leghisti non sentono ragione. Berlusconi è infuriato con la composizione di questa bicameralina che era partita come bipartisan ma con l’esponente in quota Fini, cioè Baldassarri, che allora faceva parte della maggioranza. Poi però c’è stata la scissione del Pdl e Baldassarri è passato con il Fli.

Hanno fatto di tutto per convincere Baldassarri a votare a favore del testo sul federalismo municipale. Si era incontrato con Berlusconi e Calderoli e gli sarebbe stato concesso un miliardo per sgravi agli inquilini e le famiglie nella cedolare secca. E il finiano avrebbe promesso che si sarebbe astenuto. Ma poi è stato chiamato da Fini: o con me o con il Cavaliere. Si era mosso pure Bossi per convincere il presidente della Camera. Fini gli avrebbe risposto picche: «Se togli di mezzo Berlusconi ti voto tutto quello che vuoi, anche un presidente del Consiglio che mi indichi tu». Ma il Senatur ha osservato che il federalismo non è una cosa di Berlusconi, è la bandiera della Lega. E’ vero che ci sono problemi per via della vicenda giudiziaria del premier: per il momento Bossi rimane fermo in attesa di eventuali nuove rivelazioni dai Pm milanesi. Certamente la Lega non si farà trascinare nel gorgo, se le cose si mettessero male. Avendo nella manica la carta Tremonti o Maroni da giocare al momento opportuno. Intanto si va avanti: da qui il diktat del decreto legislativo. E non è finita se è vero al megavertice di ieri si sarebbe discusso di rimettere mano alla composizione della bicamerale in vista del federalismo regionale. Un riequilibrio a favore della maggioranza. Ma questo significa che il presidente del Senato Schifani dovrebbe togliere Baldassarri e metterci uno del Pdl. A quel punto il presidente della Camera Fini potrebbe dire: manca un rappresentante del Fli e ce ne metto uno mio scelto tra i deputati. Roba da far perdere la pazienza a Napolitano. Ancora una volta.

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« Risposta #56 inserito:: Febbraio 05, 2011, 09:45:23 am »

Politica

05/02/2011 - IL CASO

Il sospetto di Berlusconi: "Una mossa politica per far sganciare Bossi"

E nuovo attacco ai pm: «Siamo una Repubblica giudiziaria»

AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Berlusconi è nero come pece per la lettera del Capo dello Stato. Arrivato a Bruxelles per un complicato vertice europeo, si è fermato con i giornalisti e si è scagliato contro i magistrati. «E’ una la vergogna, ormai siamo una Repubblica giudiziaria, commissariata dalle Procure». Ha ricordato di essere «il soggetto universale che si è difeso di più perché è stato di più attaccato da certa magistratura». Nessuno come lui «nella storia di nessun Paese al mondo...».

Poi il caso Ruby, «un attacco che riguarda il mio privato e quindi io non posso che condividere l’opinione che i sondaggi ci danno: l’ultimo mi dà al 51%: quindi sono il leader europeo più apprezzato dai suoi concittadini, il nostro partito è in crescita oltre il 30%». Ma prima di raggiungere i suoi colleghi europei ha risposto a una domanda sullo scontro con il Quirinale. «Problemi? Penso e spero di no». Passano tre ore è dal Colle ed è arrivata la botta. Il decreto legislativo sul federalismo municipale: «Irricevibile».

Tra Roma e Bruxelles i telefonini si sono fatti bollenti. Ha chiamato Gianni Letta che già si era sentito male quando ha letto sulle agenzie che il premier si era sfogato contro la Repubblica giudiziaria. Il sottosegretario già sentiva soffiare lo tsunami del Quirinale. Ha chiamato pure Bossi e gli ha consigliato «calma e nervi saldi». Lo stesso che aveva consigliato ai suoi durante la riunione in via Bellerio a Milano. «Dobbiamo soddisfare le richieste di Napolitano, seguire le procedure, qualche giorno in più non è un dramma», ha detto a denti stretti il Senatur nella veste del pompiere.

A Berlusconi ha raccomandato di non sbilanciarsi quando sarebbe uscito dal vertice europeo. E infatti, nonostante venisse diffusa integralmente la lettera di Napolitano con quel passaggio «governo scorretto», il Cavaliere si è quasi tappato la bocca quando è uscito da Justus Lipsius. Ha allargato le braccia e ha detto: «Ho già parlato stamattina. E’ un fatto procedurale, si andrà in Parlamento...». Minimizza in pubblico, ma quella lettera è una coltellata per Berlusconi che in fondo ha dovuto accettare il diktat di Bossi.

Il quale ha voluto l’accelerazione e il decreto legislativo a tamburo battente perché non poteva passare che la Lega tornasse a casa il fine settimana senza avere portato al popolo padano uno dei «pezzi pregiati» del federalismo fiscale. E allora buon viso a cattivo gioco. Sì perché Berlusconi si è sfogato contro Napolitano. Non ha detto «il solito comunista», ma poco ci è mancato. La mossa del Quirinale la considera come due dita negli occhi, quasi un atto di guerra. Ma non si può rispondere a muso duro. Tuttavia rimane un grande sospetto.

Perché l’ha fatto? Forse Napolitano sta provocando la Lega, pungola Bossi affinché stacchi la spina del governo per poi andare ad un nuovo governo con Tremonti, Maroni, Letta, comunque senza di lui? Oppure addirittura a elezioni (ipotesi meno gettonata) visto che il Pd sta continuando a chiedere di andare a votare e Bersani insiste con Bossi nel dire che non avrà il federalismo rimanendo incollati a Berlusconi? Sospetti, cattivi pensieri di chi comunque sostiene di essere forte in Parlamento, che presto la maggioranza arriverà a 320 deputati e magari oltre.

Si sente talmente forte da chiedere pure di modificare gli equilibri di quella maledetta Bicameralina che con il voto di parità lo ha costretto a fare il decreto legislativo. «Ricordo che per fair play non avevamo provveduto a sostituire l’uomo di Fli, che invece era da sostituire perché le commissioni devono rappresentare quello che è il Parlamento». Sospetti e sicurezza di poter spezzare le ossa ai suoi nemici, a cominciare da Fini («ho un sondaggio che dà il Fli a Milano (dove si vota per il sindaco ndr) allo 0,9%»).

Se lo possono togliere tutti dalla testa un suo passo indietro. L’altra sera ai deputati «Responsabili» ha detto: «In queste condizioni me ne andrei domani mattina per la mia serenità. Ma non posso farlo perché la maggioranza dell’elettorato è con me e perché io ho una dignità da difendere per la mia famiglia e il mio nome». Ieri sera, in collegamento telefonico con una festa del Pdl, l’ha ribadito: «Contro di me attacchi di una violenza inaudita ma andrò avanti, questi processi farsa saranno un boomerang», «io resto al mio posto, stiamo governando bene. A questo governo non ci sono alternative».

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« Risposta #57 inserito:: Febbraio 09, 2011, 11:03:02 am »

Politica

09/02/2011 - RETROSCENA

Il Cavaliere: siamo alla mossa del golpe

«Non è uno stato di diritto». E si blinda con Bossi e i responsabili

AMEDEO LA MATTINA

Questo non è più uno Stato di diritto. E’ una Repubblica giudiziaria. C’è in atto un golpe di una parte della magistratura». Berlusconi alterna stati di depressione a voglia di combattere fino in fondo contro «una aggressione giudiziaria che non ha precedenti nella storia». Calpestando, come dice il deputato-avvocato Ghedini, «le norme costituzionali». Il premier non butta la spugna proprio ora che si rafforza in Parlamento con il nuovo gruppo dei Responsabili, disomogeneo e raccogliticcio quanto si vuole ma utile a blindare il suo governo e a ritrovare in alcune commissioni quella maggioranza perduta con la scissione del Fli. Il Cavaliere si blinda e si barrica nel bunker antiatomico. E muove le truppe parlamentari nel tentativo di far passare il processo breve prima in commissione giustizia e poi in aula. Concorda la linea di difesa con l’avvocato di Emilio Fede (anche lui implicato nel caso Ruby e ragazze varie), Gaetano Pecorella che è andato a trovarlo ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli. Sostiene che il Tribunale di Milano non è competente. Punta a sollevare il conflitto di attribuzione contro i Pm di Milano che hanno chiesto il rito immediato per il reato di concussione e prostituzione minorile. Il problema è che Berlusconi non dispone della maggioranza nell’ufficio di presidenza della Camera, l’organo che potrebbe essere chiamato a decidere. Difficile che qui passi vista l’aperta ostilità di Fini. Tuttavia non è escluso che il premier intenda insistere lo stesso anche per mettere “fuori gioco” il presidente della Camera.

C’è chi lo consiglia di non esacerbare gli animi, di evitare denunce per attentato a un organo dello Stato (il governo), di mandare ispezioni al Tribunale di Milano. Nessuno gli toglie dalla testa che ci sia un piano preordinato per distruggerlo, ora che si aggiungono pure le intercettazioni di escort che arrivano dalla Procura di Napoli. E intanto l’11 marzo riprenderà il processo Mills in cui Berlusconi è imputato per corruzione. E’ pure convinto che tutto finirà con un buco nell’acqua. «Non ci sono riusciti finora e non ci riusciranno nemmeno questa volta», ripete a tutti quelli che ieri sono andati a trovarlo. Ieri ha messo un po’ la testa al Cdm di oggi sui provvedimenti economici che gli serve per rilanciare l’azione politica, per oscurare mediaticamente le mosse dei Pm milanesi e la marea di intercettazioni napoletane. Ma gran parte della giornata lo ha dedicata ai suoi avvocati Ghedini-Longo e il ministro Alfano.

Si difende in tutti i modi. Ieri è ritornata a circolare l’idea della mobilitazione di piazza, ancora una volta accantonata, ma sempre pronta. Forse oggi verrà convocato l’ufficio di presidenza del Pdl per scrivere un documento durissimo contro i magistrati. Un’iniziativa politica per proteggere a spada tratta il capo e rilanciare sulla riforma della giustizia. Nulla viene lasciato al caso, nemmeno i rapporti con il Vaticano. Nei giorni scorsi ci sarebbe stato un colloquio tra Gianni Letta e il cardinale Tarcisio Bertone. Il sottosegretario lo ha rassicurato che non c’è nulla di veramente preoccupante nelle carte in mano ai pm: non ci sono prove concrete e schiaccianti; tutto si risolverà in una bolla di sapone. Presso la Segretaria di Stato vaticana spiegano che in effetti la situazione non è ancora chiara e questo rende prudenti i media che rispondono direttamente al Vaticano.

Berlusconi alza il muro attorno a sè e non ha dubbi sulla lealtà di Bossi, sul fatto che si potrà procedere sul doppio binario federalismo fiscale-riforma della giustizia (processo breve). Screzi non ne mancano con i leghisti su come è stata gestita la vicenda del decreto legislativo sul federalismo municipale. Non ci sono conferme, anzi solo smentite, anche su uno scontro l’altra sera a Villa San Martino con Tremonti che continua a non rendere disponibili le risorse per il piano di sviluppo.

da lastampa.it/politica
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« Risposta #58 inserito:: Febbraio 10, 2011, 03:24:47 pm »

Politica

10/02/2011 - SCONTRO FINALE

Il Pdl mette l'elmetto "Ora siamo in guerra"

Oggi il premier al Quirinale. Ma Napolitano: nessun faccia a faccia

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Siamo in guerra contro una magistratura che si muove come un’avanguardia rivoluzionaria, una nave spaccaghiaccio per consentire alla sinistra di prendere il potere, ma noi non lo consentiremo. Se non teniamo duro qui non si salva nessuno, ora hanno cominciato a buttare fango pure su mia figlia Marina e sulla mia famiglia. E’ scandaloso! Dobbiamo reagire con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione». L’urlo del Cavaliere è forte, tanto forte da tradire il panico che si è diffuso nella maggioranza e nel governo. Chi lo ha incontrato ieri ha visto Berlusconi stanco, frustrato, ma non intenzionato ad abbassare la guardia.

Anzi, reagirà colpo su colpo, a cominciare dalla decisione di sollevare il conflitto di attribuzione una volta che il gip di Milano avrà deciso sul giudizio immediato chiesto dai Pm. Se il conflitto di attribuzione non verrà sollevato dalla Camera perché nell’ufficio di presidenza Fini lo impedirà, allora sarà l’esecutivo a fare questa mossa. Quanto al giro di vite sulle intercettazioni, non ci sarebbe un decreto ma un disegno di legge da approvare i tempi rapidi. All’ufficio di presidenza del Pdl si è parlato di una denuncia per attentato alla Costituzione, ad un organo dello Stato da parte dei pm milanesi: l’ipotesi per il momento è accantonata.

Un fuoco di sbarramento senza precedenti da parte del premier. E’ chiaro, c’è scritto nel documento del partito, che «la Procura di Milano appare ormai come una sorta di avanguardia politica rivoluzionaria, in sfregio al popolo sovrano ed ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato senza clamori e spesso con grandi sacrifici. Essa agisce come un vero e proprio partito politico calibrando la tempistica delle sue iniziative in base al potenziale mediatico». Infatti, viene fatto notare, la richiesta di giudizio immediato è stata annunciata in concomitanza con l’annunciato Consiglio dei ministri per il rilancio dell’economia. Anche l’invito a comparire è stato notificato all’indomani di «una sentenza della Corte Costituzionale che avrebbe potuto contribuire al ripristino di un equilibrio fra poteri dello Stato». Per Berlusconi la verità è che non si vuole la collaborazione tra le istituzioni, con buona pace del capo dello Stato.

Proprio con Napolitano oggi il premier avrebbe voluto avere un colloquio a due per trattare queste convulsioni. Ma dal Quirinale fanno subito sapere che non risulta al momento un incontro a quatt’occhi con il presidente del Consiglio. Altra cosa è invece la tradizionale cerimonia di commemorazione delle vittime delle foibe, la Giornata del Ricordo: il protocollo prevede anche la presenza del premier. Ma non è scontata. Trapela imbarazzo dal Colle che segue con apprensione e sbigottimento l’avvitamento dello scontro tra governo e magistrati. Se c’è una cosa che Napolitano non vuole è trovarsi come Scalfaro nel ‘94. Una data pericolosamente evocata nel documento del Pdl dove si dice che dovranno essere avviare iniziative politiche e parlamentari per difendere i cittadini e «scongiurare un nuovo 1994 o, ancor peggio, che a determinare le sorti dell’Italia sia una sentenza giudiziaria e non il libero voto dei cittadini».

Il partito e i ministri si stringono attorno al capo «vittima da 17 anni di una persecuzione che non ha precedenti nella storia dell’Occidente». J’accuse pesantissimo contro «la decisione della Procura di Milano di procedere alla richiesta di giudizio immediato, nonostante la restituzione degli atti da parte della Camera per manifesta incompetenza, denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche e disattende gravemente il principio di leale collaborazione fra poteri dello Stato». Ancora un riferimento alle parole dette da Napolitano in passato: un modo per dire al Quirinale di non mettere i bastoni tra le ruote, perchè c’è una guerra in corso. E mentre l’incendio divampava a via dell’Umiltà, sede del Pdl, Bossi stava al Quirinale. Sembra che non sia stato fatto cenno alla furia del Cavaliere. Eppure poche ore prima dell’incontro con Napolitano, lo stesso Bossi aveva detto che i pm di Milano non rispondano più a niente e nessuno. E che la decisione dei pm «significa di andare alla guerra di tutti contro tutti». Forse il colloquio al Quirinale è servito a evitare il decreto sulle intercettazioni e la denuncia per attentato alla Costituzione, ma non tutto il resto. E’ un Bossi nella doppia veste di incendiario e pompiere di fronte a una battaglia ove, come dice Osvaldo Napoli, «non c’è spazio per nessuna tregua. Oggi applaudono i carnefici di Berlusconi, ignorando che saranno un giorno i loro stessi carnefici». Si vorrebbe un Colle silente, un capo dello Stato che giri la testa dall’altra parte mentre Berlusconi parla di «attività eversiva», di un ordine giudiziario divenuto «potere irresponsabile».

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« Risposta #59 inserito:: Febbraio 11, 2011, 10:28:51 pm »

Politica

11/02/2011 - RETROSCENA

L'avviso del premier "Sulla giustizia non tratto"

Sarà il governo a chiedere il conflitto di competenza con Milano

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Una volta che il gip avrà deciso, sarà il governo a sollevare davanti alla Corte Costituzionale il conflitto di competenza: il processo sul caso Ruby non può svolgersi presso il Tribunale di Milano come vogliono i pm.
La decisione sarebbe stata presa da Berlusconi con i suoi avvocati Longo e Ghedini nella convinzione che il gip darà ragione a Bruti Liberati e alla Boccassini. La tesi su cui insiste il premier è di avere telefonato in Questura perché preoccupato che scoppiasse un incidente diplomatico con l’Egitto, avendo creduto che la ragazza marocchina fosse veramente la nipote di Mubarak.

Tesi poco credibile, ma è questa la linea di difesa-attacco che adotterebbe il governo per portare il processo davanti al Tribunale dei ministri, farlo ricominciare da zero, annullando tutto quello che i pm hanno in mano. L’escamotage serve a superare la difficoltà di far passare il conflitto di competenza nell’ufficio di presidenza della Camera. Fini è totalmente contrario. Allora sarà l’esecutivo a fare la mossa dirompente, a prendersi la responsabilità di innescare un conflitto istituzionale dall’esito non prevedibile.

Berlusconi non sente ragioni, nonostante che non manchino le perplessità dentro la maggioranza e tra alcuni ministri. Non sono ammessi dubbi, perplessità, incertezze nei confronti di un «golpe» seppure «morale», come ha detto Berlusconi nell’intervista a Giuliano Ferrara. Ieri il direttore-consigliere del Foglio è stato a Palazzo Grazioli per dare la carica contro i «moralisti e puritani» che puzzano di totalitarismo. Non c’era solo lui al Palazzo.

Una processione di “amici”: il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, e quello di Studio Aperto, Giovanni Toti; i direttori di «Videonews» e di «Chi», Claudio Brachino e Alfonso Signorini. Si è parlato di strategia della comunicazione: un’offensiva mediatica che deve passare pure attraverso il Tg4 rinnovato e con un nuovo uomo alla guida. Emilio Fede è in uscita colpito e “screditato” dall’inchiesta sul bunga bunga. Circola la voce che Fede non intenda lasciare il Tg4 perché non è soddisfatto della buonuscita che gli sarebbe stata offerta (sembra 10 milioni di euro).

Un accordo si troverà tra vecchi amici e allora sulla rampa di lancio del telegiornale salgono le quotazioni di Brachino, scendono quelle di Salvo Sottile. L’offensiva berlusconiana è un missile con diverse testate nucleari. E’ stata messa in cantiere la denuncia alla Corte europea dei diritti dell'uomo, proposta da Franco Frattini: «come fece Craxi ed ebbe ragione», spiega il ministro degli Esteri. L’altra partita che il Cavaliere vuole giocare è tutta parlamentare grazie ai numeri che alla Camera stanno crescendo: da 316 è sicuro di passare presto a 319.

Giocando su quella che definisce «lo sfascio del Fli dove coloro che si sono dimessi da ministro e sottosegretario si lamentano perché loro hanno perso un posto prestigioso mentre Fini rimane alla presidenza della Camera». Il fronte parlamentare è un siluro che arriva fino al Quirinale. Il premier non farà decreti ma porterà avanti quei provvedimenti che sono già all’esame delle aule o delle commissioni come il processo breve, il giro di vite alle intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati.

In canna anche la modifica dell’articolo 68 della Costituzione non per reintrodurre semplicemente l’immunità parlamentare ma per sospendere le indagini e i processi fino alla scadenza del mandato parlamentare. La nuova norma è contenuta in una proposta di legge depositata il 2 febbraio alla Camera da 101 parlamentari del Pdl. Ma si tratta di una modifica costituzionale dai tempi lunghi. Berlusconi invece ha fretta: per questo del suo particolare piano di riforma della giustizia ne vuole parlare con il capo dello Stato, questo pomeriggio.

Lo vuole informare, metterlo sull’avviso: Napolitano non potrà più dire di non aver saputo e fermare tutto, come ha fatto con il decreto legislativo sul federalismo municipale. Dietro le facce feroci berlusconiane e le dichiarazioni draconiane, nel bunker ci sono tanti dubbi e paure tremende, quella ad esempio di finire tutti in un gorgo.

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