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Autore Discussione: AMEDEO LA MATTINA.  (Letto 112470 volte)
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« Risposta #135 inserito:: Maggio 08, 2013, 05:37:58 pm »

politica
08/05/2013 - retroscena

E i democratici meditano il grande agguato

Ma il premier manda Franceschini per evitare guai

Amedeo La Mattina

Roma

«Noi siamo e dobbiamo continuare ad essere responsabili e leali con loro, ma se il Pd non è in grado di mantenere un impegno e di controllare i suoi parlamentari prima o poi la maggioranza si farà male e con essa il governo». Berlusconi non ha nessuna intenzione di creare problemi al premier Letta, continua a indossare la maschera dello statista. Non ha però intenzione di farsi mettere due dita negli occhi come è successo ieri al Senato dove Nitto Palma è stato impallinato dagli otto senatori del Pd. Nonostante l’accordo della sera prima siglato dai capigruppo Zanda e Schifani. Le questioni potrebbero moltiplicarsi, le tensioni strappare la tela della coalizione. Per questo Berlusconi ha convocato il vertice del Pdl per mettere in chiaro alcune questioni, dall’Imu alla proposta sulla cittadinanza ipotizzata dal ministro Kyenge, dalla presidenza della Convenzione a quella della commissione Giustizia. A surriscaldare il clima i processi del Cavaliere che la Cassazione ha deciso di tenere a Milano e non spostarli a Brescia.

 

Ma a fare male in questo momento è il cazzotto nella pancia della mancata elezione di Nitto Palma. L’ex premier teme l’agguato. Teme che oggi, quando a Palazzo Madama si tornerà a votare a scrutinio segreto, i senatori Democratici mettano in campo uno di loro (Casson, Manconi?) e riescano a farlo passare con i voti di Sel e 5 Stelle, e magari con l’aiutino di Scelta civica. E in effetti la voglia di agguato nel Pd c’è ed è forte. Il capogruppo Zanda sta sudando le proverbiali sette camicie per convincere i suoi senatori a evitare l’incidente, a non fare l’agguato. Ha chiesto a Casson di rettificare una sua dichiarazione nella quale annunciava una candidatura del Pd, appunto. E Casson ha poi aggiustato il tiro dicendo che ci vuole «una candidatura condivisa». Quella di Caliendo va bene, sempre del Pdl. Mai Palma, l’amico di Cosentino finito in carcere. 

 

In aiuto di Zanda è intervenuto il ministro per i rapporti con il Parlamento Franceschini sollecitato dal presidente del Consiglio Letta. Il quale è consapevole di quanto Berlusconi tiene a questa commissione. Il Cavaliere non recede dal nome di Nitto Palma. Zanda ha chiesto a Schifani di indicare un altro nome più digeribile (Caliendo, appunto) ma da Palazzo Grazioli è arrivato un no fortissimo. «Ci devono dire se sono in grado di rispettare i patti o no, e questo deve valere su tutto - ha detto il Cavaliere - perché non possiamo andare avanti con intese fatte di giorno e disfatte di notte. Cosa succederà con i provvedimenti economici e sulle riforme costituzionali?». 

 

A trattare si sono messi pure Verdini e Migliavacca, senza riuscire a venire a capo di nulla, almeno fino a sera. Il Pd sta cercando una soluzione, se Nitto Palma non verrà messo da parte nella notte (cosa poco probabile): alla quarta votazione di oggi in cui viene eletto chi prende più voti, Nitto Palma potrebbe essere eletto con i soli voti del Pdl e della Lega. Evitando una contro-candidatura targata Pd.

 

Insomma il Pd ha il problema di tenere a bada l’ala antigiustizialista concentrata in quella commissione. «Io ho capito come andava a fine - racconto Nitto Palma nel cortile di Palazzo Madama - quando ho visto i nomi assegnati in questa commissione. E Zanda, che ha chiuso l’accordo con Schifani, sapeva benissimo che questi senatori non mi avrebbero votato». A suo giudizio sarebbe scattato il primo agguato per farlo desistere e convincere Berlusconi a cambiare cavallo. «Non capisco - aggiunge Palma - questo astio nei miei confronti. Io sono stato sottosegretario agli Interni e ministro della Giustizia: non sarei mai stato nominato senza il consenso del Capo dello Stato. Quindi si regolino un po’». Dicono che ce l’hanno con lei perché amico di Cosentino e voleva candidarlo per salvarlo dalla galera. «Cazzate. Ci sono questioni personali. Chiedete a Casson». Già, Casson che avrebbe voluto andare lui alla presidenza della Giustizia: un ex magistrato che da tempo immemore litiga con l’ex magistrato Palma. Poi c’è la giornalista anticamorra Rosaria Capacchione, ora senatrice Pd: «Non potrei tornare a Napoli se voto l’amico di Cosentino».


da - http://www.lastampa.it/2013/05/08/italia/politica/e-i-democratici-meditano-il-grande-agguato-8UypYeS6VXgJZ8J5RO4tlI/pagina.html
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« Risposta #136 inserito:: Giugno 09, 2013, 10:57:14 am »

Esteri
09/06/2013

“Un sacrificio per la pace. Dopo il 2014 la missione sarà solo addestramento”


Il ministro della Difesa Mauro: “Attacco pianificato È stato un adulto a colpire i nostri e poi è fuggito”

Amedeo La Mattina
Roma


Ieri il ministro della Difesa Mario Mauro ha parlato con la mamma del militare rimasto ucciso in Afghanistan. Una telefonata difficile e toccante, «ma quella signora siciliana, nel suo profondissimo dolore, mi ha espresso un grado di consapevolezza e di amore per l’Italia che ha difficile riscontro in un Paese come il nostro sempre in procinto di autodenigrarsi e autodistruggersi. Non sono telefonate in cui il ministro della Difesa porta sollievo al dolore di una famiglia: al contrario, le parole di quella madre servono a me, devono servire a tutti noi, per capire cosa significa fare il proprio dovere. Lei, piangendo, mi ha ricordato quanto il figlio fosse orgoglioso di essere in Afghanistan. Anche il Parlamento, indipendentemente dalle posizioni politiche, deve dare il meglio di sé, stringersi attorno ai militari». 

 

Ministro, come sono andate le cose: si è parlato di un terrorista bambino che ha lanciato la bomba. 

«C’è un’indagine in corso. Vedo fiorire versioni non confermate e fantasiose. Appunto, è stato detto che a buttare la bomba sia stato un bambino. Questa è propaganda taleban. A noi risulta che sia stato un adulto. Così come escludo che l’attentatore fosse vestito da poliziotto o, peggio ancora, fosse un vero poliziotto. Abbiamo elementi che fanno pensare a una cosa bene organizzata con una macchina che avrebbe rallentato il nostro mezzo in prossimità di un bazar affollato. Una persona adulta ha buttato l’ordigno ed è scappata».

 

Rimane o tornare: rimane incomprensibile per una parte dell’opinione pubblica italiana l’utilità di rimanere in un Paese che siamo andati a pacificare senza riuscirci. 

«Sono gli afghani stessi a ritenere utile la collaborazione degli italiani perché ha consentito loro di valorizzare i diritti delle donne in una società segnata da violenza e dal dominio dei taleban. In secondo luogo l’Afghanistan è il classico teatro, pur a 10 mila km di distanza, che incide sulla nostra vita di tutti i giorni: è il crocevia del fenomeno terrorismo fondamentalista capace di scatenare su scala planetaria un conflitto. In terzo luogo, è offensivo vanificare il ruolo e il sacrificio dei nostri uomini a un passo dalla fine della missione internazionale. Comincerà dopo la missione che si chiama Resolute Support che apre la dimensione della cooperazione internazionale e della formazione del futuro esercito afghano». 

 

È un dato di fatto che la pacificazione in quel Paese non c’è, poi sorprende che anche Maurizio Gasparri, esponente del Pdl, dubiti che in luoghi come l’Afghanistan pace e democrazia riescano ad affermarsi. 

«I dubbi sono tutti legittimi, ma nel mio viaggio a Farah, Herat e Shindand ho capito quanto i nostri militari credono alla possibilità della pace. Si rendono conto che la pace lì è la cosa più desiderata. La pace ci può essere solo se c’è sicurezza, ma la sicurezza gli afghani da soli non sono in grado di garantirla. Per questo siamo chiamati noi a garantirla. Poi si può considerare in modo diverso la democrazia e si può pensare che la nostra democrazia vada esportare, ma è un modo di ragionare lontano dalla mia cultura. È la pace il bene prezioso che va garantito in tutte le latitudini possibili. È la precondizione per tutto il resto. Vorrei dire che ci sono aree del nostro Paese in cui la pace piena è legata anche a una mancanza di sicurezza. Per cui non possiamo meravigliarci di altre realtà lontane da noi». 

 

In un periodo di crisi e di difficoltà a reperire risorse, è proprio necessario acquistare gli F35 che ci costano 13 miliardi? 

«Noi siamo una Nazione che deve ottemperare dei doveri nell’onere della difesa. Dobbiamo garantire la nostra sovranità e la sicurezza dei cittadini. Per fare questo necessitiamo di forze armate efficienti: questi F35 servono a sostituire 256 aerei vecchi e obsoleti; i Tornado hanno più di 30 anni di vita e operatività: nessuno di noi si sentirebbe sicuro alla guida di un auto che ha più di 30 anni. Ricordiamoci che siamo in un’alleanza e all’Italia viene chiesto di essere efficiente anche se in alcuni settori particolari. Vorrei infine ricordare la riduzione degli F35 è stata già fatta, da 135 a 90, per cui questa valutazione di merito che ha tenuto conto della crisi economica». 

da - http://lastampa.it/2013/06/09/esteri/un-sacrificio-per-la-pace-dopo-il-la-missione-sar-solo-addestramento-llYc3gFoXKZorNvbk3lkDK/pagina.html
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« Risposta #137 inserito:: Giugno 26, 2013, 12:09:32 am »

Politica
25/06/2013

Berlusconi: “Una violenza incredibile Resisterò alla persecuzione”

Nella nota scritta di suo pugno Berlusconi attacca i giudici «talebani»

Udienza finita: giudici in camera di consiglio

L’ex premier: “Una sentenza scritta per eliminarmi dalla politica”

Nella nota ufficiale nessun riferimento alla tenuta del governo

Amedeo La Mattina
Roma

Ci ha riflettuto a lungo prima di scrivere la nota di commento della sentenza di Milano che lo ha condannato per il caso Ruby a 7 anni per concussione e prostituzione minorile. L’ha scritta di suo pugno e non ha voluto suggerimenti da parte di nessuno, tranne da sua figlia Marina, la quale ieri ha usato il lanciafiamme contro la magistratura che vuole far fuori politicamente suo padre. E quando il Cavaliere ha inviato il testo della nota al portavoce Paolo Bonaiuti, i dirigenti del Pdl hanno notato che qualcosa era veramente cambiato: non c’era nessun riferimento al governo, non c’era quel passaggio rassicurante che lui stesso aveva inserito dopo la sentenza della Consulta che non gli riconobbe il legittimo impedimento. In quell’occasione, appunto, Berlusconi disse in maniera esplicita che l’esecutivo è immune dalle sue vicende giudiziarie, separando le sentenze dal destino politico di Enrico Letta.

Le cose sono cambiate. Prima di dare la nota alle agenzie, a Bonaiuti, di fronte all’umore nerissimo del capo, non è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di ripetere lo stesso passaggio rassicurante, anche in vista dell’incontro di stasera con Letta. Lo stesso Alfano, che è il vicepremier, si è guardato bene di addolcire la nota del Cavaliere, al quale ha manifestato «la più profonda amarezza e l’immenso dolore di tutto il Popolo della Libertà per una sentenza contraria al comune senso di giustizia, al buon senso e peggiore di ogni peggiore aspettativa». Tranne poi spingere il piede sul freno: «L’ho invitato, a nome del nostro movimento politico, a tenere duro e ad andare avanti a difesa dei valori, degli ideali e dei programmi che milioni di italiani hanno visto incarnati in lui». 

Ed ecco la nota scritta tutta di suo pugno in cui Berlusconi dice di essere stato convinto fino all’ultimo di un’assoluzione «perché nei fatti non c’era davvero nessuna possibilità di condannarmi». E questo nonostante il suo avvocato Ghedini gli avesse detto che questa possibilità a Milano non si sarebbe mai verificata: anzi che la sentenza sarebbe stata più pesante delle richieste fatte dalla Boccassini. E così è stato, con il condannato in primo grado che ora definisce la sentenza «incredibile, di una violenza mai vista né sentita prima, per cercare di eliminarmi dalla vita politica di questo Paese». «Non è soltanto una pagina di malagiustizia - aggiunge l’ex premier - è un’offesa a tutti quegli italiani che hanno creduto in me e hanno avuto fiducia nel mio impegno per il Paese. Ma io, ancora una volta, intendo resistere a questa persecuzione perché sono assolutamente innocente e non voglio in nessun modo abbandonare la mia battaglia per fare dell’Italia un paese davvero libero e giusto». 

Ha ascoltato in tv le «signore talebane in toga» pronunciare l’«incredibile» sentenza, ed è rimasto tramortito, amareggiatissimo, sgomento. Non ha sopportato che questa macchia della prostituzione minorile sia stata pronunciata davanti a tanti giornalisti stranieri, che la notizia abbia fatto il giro del mondo in un batter di ciglia, campeggiando sui siti internazionali. Lo considera uno «sputtanamento»; «una umiliazione insopportabile che getta fango sulla mia vita personale e il mio onore». E tutto questo mentre sostiene un governo e chiede «una pacificazione che in molti non vogliono in Italia». «Vogliono vedere il mio cadavere passare, ma non avranno questa soddisfazione». 

Ora per Sandro Bondi è difficile che il governo possa continuare tranquillamente. Per Fabrizio Cicchitto siamo «al limite dell’eversione»: «Così la pacificazione salta, ma non per colpa nostra». «Letta - spiega Mariastella Gelmini - deve capire che siamo tutti sulla stessa barca e se salta Berlusconi salta tutto il resto». Ma il governo non è in discussione, dice Daniela Santanchè, le sentenza non hanno conseguenze su Palazzo Chigi. Ma poi la Santanchè, che ieri è andata a trovare Berlusconi ad Arcore, precisa che «Letta non sta facendo quello che deve fare e se continua così salta sulle questioni economiche. Letta vive se va in Europa a trattare e a dire che l’Italia non può rimanere crocifissa al parametro del 3%. Per fare la crescita dobbiamo sfondarlo».

La pensa così Berlusconi e oggi sarà questo il piatto forte dell’incontro con il premier. Ma la pensa così pure Alfano, che questa sera dovrebbe essere presente? E poi, si parlerà solo di economia? Il premier non vorrebbe discutere di altro, tuttavia il Cavaliere ha intenzione di essere chiaro fino in fondo. Gli dirà che è vitale per il governo un’assunzione di responsabilità collettiva contro la «malagiustizia». Palazzo Chigi non può rimanere a guardare.

da - http://lastampa.it/2013/06/25/italia/politica/berlusconi-una-violenza-incredibile-resister-alla-persecuzione-o4zWOvKg6h8VFsO7gxfhkJ/pagina.html
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« Risposta #138 inserito:: Giugno 26, 2013, 12:19:44 am »

politica
25/06/2013

Alla vigilia dell’incontro con Letta il Pdl si aspetta un gesto dal Colle


Confermato l’incontro di stasera tra il premier e il Cavaliere, ma l’atmosfera è tesa e cresce il fronte degli intransigenti

Amedeo La Mattina
Roma

Fonti di Palazzo Chigi confermano l’incontro di stasera tra il premier Letta e il leader del Pdl Berlusconi. In casa Pdl invece si attende un vertice a Palazzo Grazioli con il Cavaliere e l’esito di questo vertice con lo stato maggiore del partito per sciogliere la riserva. Alla fine è molto probabile che l’incontro si faccia, ma questa attesa la dice lunga sul clima molto teso che si respira nella maggioranza dopo la sentenza di ieri che ha condannato Berlusconi a 7 anni sul caso Ruby. In ogni caso si annuncia difficile, aspro il colloquio tra Letta e Berlusconi, che non intende abbassare la guardia, non vuole farsi schiacciare fino all’interdizione dai pubblici uffici.

 

Sarà un’atmosfera tesa visto il biglietto da visita che ha presentato stamane il capo gruppo Brunetta il quale ha detto no a un rinvio dell’aumento dell’Iva di soli tre mesi. Non bastano pannicelli caldi, per cui via l’Imu e non semplici rimodulazioni. Non ci sono i soldi? Allora si dica all’Europa che l’Italia intende sforare il vincolo pil-debito del 3% e che quanto si spenderà in più verrà recuperato con un piano tagli della spesa pubblica. «I governi stanno in piedi se governano», avverte Brunetta, che in un’intervista a Radio Anch’io annuncia che sarebbe il caso di sostenere i referendum sulla giustizia dei Radicali. Ma soprattutto ricorda che le intercettazioni della procura di Palermo in cui veniva registrata una telefonata del capo dello Stato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia è stata distrutta: una reazione giusta ed è questo il modo di reagire a certa magistratura quando si subisce un torto. La stessa cosa bisogna fare con Berlusconi: reagire. E dovrebbero farlo tutti coloro che hanno a cuore questo governo, la pacificazione, la democrazia. In sostanza il Pdl lancia un messaggio al Quirinale perchè si intervenga in difesa del Cavaliere. Un messaggio che arriverà sul tavolo dell’incontro a Palazzo Chigi?

 

Certo, continuità delle istituzioni del governo, come ha detto oggi Napolitano, che non vuole sentir parlare di crisi dell’esecutivo a soli tre mesi dalla sua nascita. Ma Sandro Bondi ha replicato a brutto muso all’appello del presidente della Repubblica, paragonandolo a Ponzio Pilato. E lo fa proprio sul riferimento di Napolitano alle fibrillazioni provocate dalla politica. «Le fibrillazioni non derivano e non sono imputabili ai partiti, bensì alle decisioni della magistratura, che si è trasformata in un potere assoluto e irresponsabile, e che sovverte i principi di una sana democrazia. Queste cose bisognerebbe dirle chiaramente e apertamente, invece di assumere la posa del Ponzio Pilato di turno».

 

Ecco, viene tirato in ballo il capo dello Stato, per tanti versi lo stesso Letta e gli alleati del Pd che avrebbero dovuto dire qualche parolina di conforto a Berlusconi che tiene in piedi il governo. E invece niente. Così il colloquio di questa sera potrebbe andare ben oltre le vicende economiche, rispetto alle quali il premier intervenendo a Senato ha detto che «se l’Europa non riprende un cammino di crescita, nessuna decisione porterà a una vera svolta». Un modo per presentarsi in maniera forte a Bruxelles, ma Letta sa che i margini sono molto stretti, rinviando al 2014 per avere effetti concreti dell’uscita della procedura di infrazione, per avere maggiore possibilità di spesa. 

 

Il punto è che in ottobre arriverà la sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset e potrebbe passare in giudicato l’interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere. Rimarrà ad attendere fino ad allora? O si rende conto che la sua è una pistola scarica?

da - http://lastampa.it/2013/06/25/italia/politica/alla-vigilia-dellincontro-con-letta-il-pdl-si-aspetta-un-gesto-dal-colle-vs32uB1mMp0nlBjkSMERmL/pagina.html
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« Risposta #139 inserito:: Giugno 30, 2013, 04:59:07 pm »

politica
30/06/2013

Pdl, i “falchi” insidiano il governo

Berlusconi interviene per calmare le acque, ma da Bondi e Capezzone arrivano nuovi affondi

Amedeo La Mattina
Roma

Il Pd considera ambigui e insopportabili gli atteggiamenti del Pdl, partito di lotta e di governo. «Una doppia sceneggiatura - attacca Matteo Colaninno, responsabile Economia dei Democratici - di chi sta al governo con vicepremier e ministri di massimo rango e gioca a insinuare dubbi, criticare l’operato del governo e ad arrogarsi, nello stesso tempo, meriti del governo medesimo». 

 

Berlusconi, Alfano e gli altri, continua Colannino, stanno nel governo e ne rispondono insieme agli altri: «La piantino con questa doppia sceneggiatura poiché non consentiremo che questo atteggiamento, poco serio e anche un po’ patetico, continui». E invece continua perché al Cavaliere-Giano bifronte fa comodo che i falchi mordano e le colombe tengano in piedi l’esecutivo Letta, rispetto al quale non ha un’alternativa. 

 

I ministri si sono lamentati con l’ex premier dei continui attacchi di Brunetta, Santanché, Bondi, Capezzone, Verdini, arrivando perfino a minacciare le dimissioni. Se viene considerata inutile la nostra permanenza al governo, hanno detto l’altro giorno a Palazzo Grazioli, togliamo il disturbo. Il Cavaliere ha calmato i ministri, ha promesso loro di intervenire, ha chiamato Brunetta per chiedergli di moderare le sue parole, è andato in tv per dire che Palazzo Chigi può dormire sonni tranquilli. Ma viste le dichiarazioni rilasciate anche ieri da Bondi e Capezzone si ha l’impressione che il grande capo non riesca a controllare il partito, oppure ha fatto una falsa promessa ai suoi ministri. «Un certo trionfalismo nelle dichiarazioni di Letta dopo il vertice europeo - osserva Bondi - non si addice alla gravità della situazione. Le decisioni che sono state prese sono acqua fresca». «Condivido fino alle virgole la riflessione di Sandro Bondi - gli fa eco Capezzone - e temo anch’io che i nodi di fondo rimangano assolutamente irrisolti». 

 

L’epicentro del sisma è nella battaglia in corso dentro il Pdl, con l’obiettivo dei duri di impadronirsi della vecchio brand e fare le pulci ai ministri. Sembra però che Berlusconi non abbia deciso di far fuori Alfano dalla segreteria e dare più spazio alla Santanché, nella convinzione che un partito guidato dal tandem Santanché-Verdini non consentirebbe a Fi di avere quella capacità attrattiva nei confronti dei moderati. 

Quanto allo stesso Alfano, ha spiegato che il ritorno a Fi non è una minaccia per il Governo, che però «deve fare ciò che i cittadini si aspettano che faccia sull’economia». Gli attacchi che arrivano dal Pdl sono «normali fibrillazioni». Alfano rimane alle parole di Berlusconi, «parole chiare» di sostegno all’esecutivo che su Imu e Iva ha ottenuto due risultati concreti. «Ora serve fare altri due passi. Entro il 31 agosto bisogna eliminare l’Imu sulla prima casa e sono certo che l’obiettivo sarà raggiunto e poi evitare che l’aumento dell’Iva sia solo sospeso, ma abbia una sua durata». Il ritorno a Fi serve a ricreare «una grande alleanza dei moderati che possa tornare a vincere alle prossime elezioni». Nel frattempo «la cosa più importante è costruire una grande solidità del Pdl in vista del passaggio a Fi senza frammentazioni, lacerazioni ed emorragie». 

da - http://lastampa.it/2013/06/30/italia/politica/pdl-i-falchi-insidiano-il-governo-W70fXQIUcil6tQZHj4jzfK/pagina.html
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« Risposta #140 inserito:: Agosto 08, 2013, 04:41:58 pm »

Politica
08/08/2013 - retroscena

Berlusconi avvisa i suoi: non cadete nel tranello


Partito in fibrillazione, ma il leader cerca di tenere a bada i falchi: evitare attacchi all’esecutivo o al Colle

Amedeo La Mattina

Roma

Chi attribuisce a Berlusconi decisioni in un senso o nell’altro è fuori strada. Silvio falco o Silvio colomba è il ritratto fatto dai falchi o dalle colombe. Da ambienti vicini alla famiglia emerge invece un Berlusconi ancora impegnato a elaborare il lutto della condanna in Cassazione. Preoccupato che, rotto questo tabù, ci sia un crescendo, un’accelerazione degli altri processi: quello Ruby, in particolare, per il quale il Cavaliere è stato condannato a 7 anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma anche l’accelerazione impressa ieri in Giunta sul nodo decadenza.

Dunque, spiegano gli stessi ambienti, questo è il momento di stargli vicino, di non assillarlo, di lasciarlo tranquillo. Ma nel partito la fibrillazione aumenta e le due anime si guardano in cagnesco in attesa che qualcosa succeda. Dai filogovernativi viene vista con sospetto la circolare di Verdini ai coordinatori regionali che chiama alla mobilitazione permanente a sostegno del capo, alla raccolta delle firme per i referendum radicali sulla giustizia, a tenersi pronti al ritorno a Forza Italia e magari ad elezioni anticipate. Il sospetto non riguarda i contenuti quanto il tentativo di esautorare il segretario Alfano che quella circolare avrebbe dovuto firmare. Un segnale che il clima nel partito sta peggiorando e che fa il paio con quello pessimo nella maggioranza. Con la complicità del Pd.

L’intervista di Epifani al Corriere della Sera («Berlusconi deve fare un passo indietro, prima di tutto viene la legalità») è vissuto nel Pdl, senza distinzione alcuna, come una molotov gettata in una polveriera. Per Santanchè le parole di Epifani potrebbero essere «la pietra tombale sulle larghe intese». Secondo Brunetta servono più che altro a sedare la «rissa» interna al suo partito, «lanciando un osso alle componenti giustizialiste ed estremiste insofferenti del governo Letta e desiderose di liberarsi al più presto da quel vincolo».

Casini non vede altro: le affermazioni di Epifani ballano pericolosamente tra l’esigenza di tenere unito il suo partito e la «destabilizzazione». «Il confine è molto sottile. Sono valutazioni che aveva già fatto dopo la condanna di Berlusconi, ma è stupefacente che vengano ripetute. E se verranno ripetute, l’effetto destabilizzante può portare a una crisi di governo irresponsabile. Nulla - osserva Casini - può essere ormai escluso». 

Ma Berlusconi, nonostante sia concentrato sulla sua condizione di condannato, consiglia calma alle sue truppe. Non vuole che si abbocchi alle provocazioni di Epifani e dei Democratici. Siamo al gioco del cerino: non dobbiamo essere noi a provocare la crisi, ma loro. Già gli affondi di Renzi alla festa democratica di Bosco Albergati contro Enrico Letta e il Pd dicono con chiarezza che il sisma può venire da quella parte politica. Occhi puntati, poi, sulla direzione dei Democratici alla quale oggi partecipa anche il presidente del Consiglio. 

Dunque, parlando di Berlusconi, non è proprio il caso di dire calma e gesso perché di calma ad Arcore in questi giorni ce n’è ben poca. Tuttavia il Cavaliere chiede a rapaci e colombe di non farsi passare il cerino. Non attaccare il governo, non infastidire soprattutto il capo dello Stato.
Per il momento. La linea il capogruppo Schifani l’ha indicata così: «Epifani sappia che il Pdl non abboccherà alle provocazioni. Ci stiamo interrogando su quale sia la volontà che lo spinge, ma non c’è dubbio che se la volontà è quella di provocare per farci saltare i nervi, perché lui non ha il coraggio di staccare la spina, noi non abboccheremo». Staremo a vedere quanto i nervi reggeranno all’ex premier. 

Gasparri teme che il Cavaliere possa uscirsene con un durissimo sfogo in pieno agosto e allo stesso segnala che il Pd sta gettando benzina sul fuoco anche sull’Imu. Gasparri fa riferimento alle dichiarazioni del responsabile economia Colaninno che esclude il superamento dell’imposta sulla casa: «Vuol dire che è questo il tema su cui il Pd vuole mandare tutto all’aria». 

da - http://lastampa.it/2013/08/08/italia/politica/berlusconi-avvisa-i-suoi-non-cadete-nel-tranello-reznHPjVPbdTdDvJJxmdyO/pagina.html
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« Risposta #141 inserito:: Agosto 16, 2013, 09:30:59 am »

Politica

31/07/2013 - retroscena

“Trattato da criminale ma non voglio azioni scomposte”

Berlusconi a Palazzo Grazioli riceve solo “colombe” del Pdl

Amedeo La Mattina
Roma


Vent’anni, vent’anni di persecuzione giudiziaria e ora eccomi qui ad attendere un verdetto definitivo come un criminale. Vi rendete conto? E’ accusato di frode fiscale uno come me che nella vita ha pagato miliardi in tasse. Ma mi raccomando, niente comportamenti scomposti». Ci sono stati diversi momenti difficili e amari nella vita di Berlusconi, ma quelli che sta vivendo in queste ore lui li considera i peggiori. Tensione alle stelle, dita incrociate, umore altalenante, cupo pessimismo tra sprazzi di moderato ottimismo. C’è un lato umano e tutto personale che sta vivendo con tristezza il capo settantasettenne del centrodestra. Il quale non tiene conto solo delle ricadute politiche. Anzi. 

C’è una dimensione tutta umana e personale che oggi, forse il giorno della sentenza, vuole vivere con i suoi figli (è previsto l’arrivo di Marina). Già, «un fatto centrale della sua vita», dice Marcello Dell’Utri. Un fatto molto personale che ha voluto vivere quasi blindato a Palazzo Grazioli. Niente telefonate, tutto filtrato da Maria Rosaria Rossi che lo segue come un’ombra. Solo la fidanzata Francesca Pascale con lui. Un cordone sanitario per evitare che qualunque sua parola fuori posto possa essere riportata ai giornalisti. Non è un caso forse che a varcare le porte della sua abitazione privata a Roma siano state nel pomeriggio solo alcune colombe, il ministro della Difesa Lupi e il presidente dei senatori Pdl Schifani. Prima di loro sono andati a trovarlo il portavoce Paolo Bonaiuti e il gran visir Gianni Letta, custode stanco del moderatismo berlusconiano.
 
Falchi e rapaci invece tenuti alla larga per evitare qualunque scivolone, come quel colloquio di venerdì sera con il direttore di «Libero» Belpietro che l’indomani in prima pagina sparò le parole di sfida del Cavaliere ai giudici della Suprema Corte: non fuggo all’estero come fece Craxi, non accetterò di farmi affidare ai servizi sociali, se condannato vado in carcere...

Coppi voleva sbranarlo, il colloquio fu smentito, ma la frittata era fatta. Ecco, un’altra gaffe alla vigilia dell’arringa della difesa sarebbe imperdonabile. Insomma, comunicazioni ridotte perché anche una parola fuori posto potrebbe inficiare la strategia di Coppi. Sono andate solo le colombe Schifani e Lupi, per l’appunto. E non è un caso che sia stato mandato il ministro Lupi a Porta a Porta, un rappresentante di quel governo Letta che il Cavaliere non intende buttare giù.

Lo ha detto e lo ha ripetuto innumerevoli volte in questi giorni Berlusconi. «Ho trovato il presidente Berlusconi - ha raccontato Schifani - pacato. Grandissima compostezza, un uomo di Stato che sa quali sono le sue responsabilità nei confronti del Paese, al di là della sua vicenda personale». Certo l’arringa del Pg della Cassazione non fa ben sperare, ma non è considerata determinante per il giudizio della Corte. Questa la valutazione fatta da Berlusconi con Ghedini, che si è tenuto in costante collegamento telefonico con l’ex premier: dal Procuratore non ci poteva aspettare altro. Anche la richiesta di ridurre l’interdizione da 5 a 3 anni non ha sortito grandi entusiasmi.

Insomma, è ancora tutta da giocare la partita al Palazzaccio di Roma. E Berlusconi è diventato fatalista, descritto abbastanza sereno, in pace con se stesso. «Sono innocente e le carte lo dimostrano. Tutto quello che potevo e dovevo fare l’ho fatto». È chiaro che in queste ore nel suo ambiente si vuole dare un’immagine edulcorata dell’ex premier, quella di un uomo politico con la testa sulle spalle, che non spaccherà il mondo se condannato, checché ne dicano i descamisados del Pdl. Dimissioni di massa, palazzi del potere circondati, fiumi di berlusconiani inviperiti per le strade... La verità è che il grande capo non ha dato ancora alcuna indicazione su cosa fare dopo.

«Affidiamoci a santo Coppi - dice Fabrizio Cicchitto - se ci avessero pensato prima...». 

da - http://lastampa.it/2013/07/31/italia/politica/trattato-da-criminale-ma-non-voglio-azioni-scomposte-UjhMMuT7WHp4QjHlSFhQXK/pagina.html
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« Risposta #142 inserito:: Settembre 09, 2013, 09:01:19 am »

politica
08/09/2013

A caccia di più tempo per salvare il Cavaliere e la tenuta del governo

Sta cercando di prendere tempo nella speranza che si apra uno spiraglio per una soluzione politica che eviti la sua estromissione dal Senato

Con motivazioni diverse (e opposte) farebbe comodo al Pdl e al Quirinale


Amedeo La Mattina
ROMA


Tempo. Tutti i protagonisti di questa complicata vicenda hanno bisogno di tempo. Il fattore tempo è essenziale lungo l’asse della «trattativa» (questo il termine che usano, con significati opposti, falchi e colombe del Pdl) tra Arcore e Quirinale. Tempo per studiare nei minimi particolari, nei risvolti politici e giudiziari i tasselli del puzzle. Senza lasciare nulla al caso, con l’imperativo categorico di tenere in vita il governo Letta ed il sostegno delle larghe intese. 

 

Avventure, altre maggioranze pasticciate, precarie, stampelle imprevedibili non sono contemplate dal capo dello Stato, che ha bisogno di tempo per valutare se e come concedere la grazia (sempre che Berlusconi si decida a chiederla) o la commutazione della pena detentiva in pecuniaria. Un’ipotesi, quest’ultima, che in ambienti del Popolo della libertà considerano la più probabile e anche la migliore. A loro giudizio, avrebbe un riflesso diretto sulla pena accessoria dell’interdizione del Cavaliere. Il quale ha questa come principale preoccupazione: l’espulsione dall’agone politico, l’incandidabilità, l’ineleggibilità, la fine della sua avventura politica con lo spettro di Craxi. Non è un caso che nel ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo l’ex premier abbia sottolineato proprio questo aspetto squisitamente politico: la volontà di eliminare un avversario politico, il prevalere degli «obiettivi politici sulle ragioni del diritto». Evoca la volontà politica degli elettori e il fatto che lui è riconosciuto come il «leader incontrastato» del Pdl. Un’espressione usata da Napolitano nella dichiarazione del 13 agosto in seguito alla sentenza della Cassazione. Il presidente della Repubblica parlò, per l’appunto, di «leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza». 

 

Ecco allora il riconoscimento evocato da Arcore a Strasburgo; il fattore tempo che diventa determinate per i lavori della giunta che al Senato, da lunedì alle 15,30, dovrà aprire la pratica bollente della decadenza del «leader incontrastato». Il relatore Augello (Pdl) chiederà di prendere in considerazione il ricorso del Cavaliere a Strasburgo e la possibilità di un altro ricorso, questa volta alla Corte Costituzionale, sempre contro la legge Severino e quindi la decadenza.

Tempo, sì, ma quanto? La linea dei Democratici presenti nella Giunta è che ci vorranno anni, molti anni, prima che la Corte di Strasburgo si pronunci. Per il vicepresidente del Senato Gasparri e l’ex ministro Gelmini non è così: ci vogliono mesi. Proprio quelli che servono a Berlusconi per trovare con il Quirinale una soluzione di grazia. Mesi che servono anche a Napolitano per valutare e soppesare gli atteggiamento del Pdl e del suo «leader incontrastato» rispetto al governo. 

 

Certo, ora «il cerino è passato nella mani del Pd», osserva Gasparri; adesso il capogruppo Pdl al Senato Schifani si augura che nella riunione della giunta vengano «rispettati i tempi normali di lavoro», senza «accelerazioni scriteriate e irrazionali» per evitare uno scontro che sconvolga il governo. Certo, Berlusconi pensa di aver messo sotto scacco i Democratici, che nella giunta del Senato hanno l’onere della prova: devono dimostrare di essere responsabili. Ma in questo gioco pericoloso, fatto di mosse e bluff dei partiti, c’è un giocatore istituzionale che non usa trucchetti. Anche Napolitano ha però bisogno di tempo per verificare se il «leader incontrastato» terrà fede alle sue parole sul governo. E’ ovviamente il suo chiodo fisso: evitare di esporre l’Italia ai marosi economici, politici e finanziari, ora che il nostro Paese non è più un sorvegliato speciale.

 

Dunque, se si vuole evitare decadenze e ottenere qualche forma di grazia, innanzitutto il governo dovrà continuare a lavorare, fare la legge di stabilità e guardare avanti, verso il semestre italiano della Ue. Innanzitutto mettere la museruola ai falchi che non condividono affatto l’idea di prendere tempo. I condor non vedono soluzioni alternative allo staccare la spina all’esecutivo. Allungare il brodo è solo controproducente perchè si chiudono le finestre elettorali e il Pd ha il tempo per preparare altre maggioranze.
 

da - http://lastampa.it/2013/09/08/italia/politica/a-caccia-di-pi-tempo-per-salvare-il-cavaliere-e-la-tenuta-del-governo-2BaPALjNHkgXAEJxe30IfL/pagina.html
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« Risposta #143 inserito:: Settembre 28, 2013, 05:09:37 pm »

Politica
28/09/2013 - retroscena

“Se in aula Letta provoca il governo per noi è morto”

Berlusconi infuriato non risponde nemmeno a Napolitano

Amedeo La Mattina
Roma


Se non ci saranno «provocazioni» da parte di Enrico Letta, i senatori del Pdl/Forza Italia voteranno la fiducia. Ma Berlusconi sa che quelle «provocazioni», come le chiama lui, ci saranno. Tutto lascia presagire che siamo a un passo della crisi di governo e il fallimento del Consiglio dei ministri ha suonato la campana a morto. Il nocciolo del problema è cosa dirà il presidente del Consiglio a Palazzo Madama (molto probabilmente martedì prossimo). Da Palazzo Chigi fanno filtrare un elemento ben preciso: il premier chiederà di tenere distinta la decadenza del Cavaliere da senatore dall’azione dell’esecutivo. Due piani diversi che non devono essere confusi e sovrapposti in nessun modo. Dice il presidente del Consiglio, «non si può votare sì a questa mia impostazione e 48 ore dopo far dimettere i parlamentari del Pdl». 

 

Sentito il presidente del Consiglio, i senatori saranno chiamati a votare sì o no. Un voto che vale la fiducia o la fine della grande coalizione. È questo l’aut aut, avallato dal capo dello Stato, arrivato come un tuono a Palazzo Chigi. Ma Berlusconi non è disposto ad accettarlo. Vuole tenersi le mani libere. Per lui i due piani sono strettamente intrecciati: «Non si può lasciare licenza di uccidermi politicamente e poi venirmi a chiedere i voti per continuare l’esperienza delle larghe intese. Se poi non viene messa all’ordine del giorno la riforma della giustizia, allora significa che vogliono la mia resa incondizionata. In più in Consiglio dei ministri Saccomanni si presenta con altre tasse. Siamo alla follia. Una fucilazione continua - sostiene Berlusconi - voluta dal signore che siede al Quirinale».

 

Napolitano rimane nel mirino del Cavaliere. Non lo cita più nemmeno per nome, lo chiama «quello là, il primo a volermi finito». I rapporti si sono spezzati, ogni canale è chiuso. Ieri il capo dello Stato, stanco delle inconcludenti intermediazioni di Gianni Letta e delle colombe del Pdl, ha cercato di mettersi in contatto con Berlusconi, il quale però si è negato al telefono ripetutamente. Questo è ciò che raccontavano alcuni di coloro che ieri sono stati a lungo a Palazzo Grazioli dove si sono riuniti Schifani, Brunetta, Cicchitto, Verdini. Alfano ha fatto la spola tra Palazzo Chigi e la residenza romana del grande capo nel disperato tentativo di rimettere insieme i cocci della maggioranza. Al premier aveva anticipato che sarebbe stata messa sul tavolo del Consiglio dei ministri la riforma della giustizia. Letta gli ha replicato che per il Cavaliere parlare di giustizia significa ridurre tutto alle sue questioni giudiziarie. Altre scintille sull’Iva e le coperture. Per Alfano quello di Saccomanni è una presa per i fondelli, «un trucco inaccettabile». Franceschini, che ha partecipato all’incontro, ha fatto presente che è l’unico modo per evitare l’aumento dell’Iva e che le proposte presentate da Brunetta non stanno in piedi. Ma lo scontro più duro c’è stato quando Letta ha detto che le dimissioni dei parlamentari sono inaccettabili e devono rientrare. Il premier ha pure anticipato ad Alfano quello che intende chiarire al Senato tra pochi giorni, cioè che la decadenza di Berlusconi da senatore e il voto in giunta devono rimanere fuori dalle questioni di governo.

 

Alfano, colomba senza più penne per volare, ha replicato che un aut aut del genere non sarà mai accettato dal Cavaliere. A mediare con il nipote Enrico è arrivato a Palazzo Chigi pure lo zio Gianni, ma anche lui è ritornato a Palazzo Grazioli con le pive nel sacco. Il premier è determinato a non farsi logorare e al suo fianco c’è Napolitano. «Ecco, cosa bisogna aspettare ancora per capire che la maggioranza non esiste più?», si chiede Sandro Bondi. «In queste condizioni, prolungare l’agonia di questo governo e di questa legislatura non giova a nessuno tantomeno all’Italia. Questo Napolitano lo sa bene», osserva il coordinatore del Pdl. De profundis pure da un altro falco, Daniele Capezzone. «Se dopo cinque mesi il governo non è ancora in grado di trovare risparmi per 1 miliardo su una spesa pubblica di 800, allora forse sono davvero venute meno le ragioni che avevano portato alla sua nascita». Intanto il Pdl conferma la manifestazione di venerdì prossimo in piazza Farnese, nel giorno in cui la Giunta si esprimerà sulla decadenza di Berlusconi.

da - http://lastampa.it/2013/09/28/italia/politica/se-in-aula-letta-provoca-il-governo-per-noi-morto-oFERb6TBc2vUJSEVWT2MoL/pagina.html
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« Risposta #144 inserito:: Ottobre 13, 2013, 05:19:49 pm »

POLITICA

10/10/2013 - I PARTITI. TENSIONI E PROBLEMI

Caos Pdl, Alfano tende la mano a Fitto

Ma il capo dei “lealisti” lo attacca: “Dimostri di avere i voti, Berlusconi vale 10 milioni”


AMEDEO LA MATTINA
ROMA


Oggi dovrebbe essere la volta buona. Sono due giorni che Berlusconi annuncia il suo arrivo a Roma e poi l’annulla. Il Cavaliere non ha voglia di occuparsi delle questioni del partito, gli viene la nausea, ha ben altro cui pensare: l’umiliante decadenza da senatore, l’indigeribile affido ai servizi sociali. Tra l’altro, non ha ancora deciso se eleggere residenza nella capitale o tenerla ad Arcore, dove dedicarsi al prossimo.
 
La scelta della residenza non è secondaria, anche per lo stesso Pdl. A Palazzo Grazioli, dopo avere assolto ai suoi obblighi di recupero sociale, sarebbe costretto a sorbirsi la processione degli esponenti del partito, ascoltare i lamenti dell’uno e dell’altro, tutti a cercare la sua mediazione e benedizione. Per quanto faticoso e scocciante, avrebbe un controllo maggiore del Pdl. Se invece dovesse tenere la residenza a Villa San Martino i rapporti diventerebbero più rarefatti e chi riuscirà a controllare il partito avrebbe più libertà di manovra.
 
Già, chi prenderà il comando? Per il momento sulla tolda non c’è Berlusconi, che oggi viene a Roma per spegnere il fuoco divampato con l’iniziativa di Fitto e dei cosiddetti lealisti. Incontrerà e ascolterà l’ex governatore pugliese che chiede l’azzeramento delle cariche di partito e le dimissioni di Alfano da segretario perché «un sedere può stare in una sola poltrona e non in tre», quella di segretario, vicepremier e ministro dell’Interno. Falchi un passo indietro, lealisti in prima fila, contestano ai ministeriali di aver tradito Berlusconi, di aver detto signorsì al Cavaliere e poi al Senato gli hanno fatto trovare 23 firme sulla mozione di fiducia al governo Letta. «Furbetti del quartierino» che vogliono portare il Pdl in dote a un’operazione neocentrista che faccia tabula rasa di Berlusconi. 
 
Fitto vorrebbe conquistare il partito e lasciare Alfano al governo, ma Berlusconi non può sconfessare il segretario. Significherebbe sconfessare tutti i ministri, i quali ieri si sono presentati nella sala stampa di Palazzo Chigi per rivendicare le cose fatte nel solco del programma Pdl. Per smentire di voler fare piccoli centri, ma un grande centrodestra con Berlusconi. Sentinelle antitasse e motore della riforma della giustizia. L’uno accanto all’altro Alfano, Lupi, Quagliariello, De Girolamo e Lorenzin, una sola squadra. «Non facciamo e non faremo polemiche - ha spiegato Alfano - non siamo qui per parlare di regole interne. Tutti insieme faremo le scelte più giuste. Andremo alla ricerca di punti di incontro per favorire l’unità di partito». Alfano sembra tendere la mano a Fitto. Ma Fitto non gli stringe la mano. Dice che il suo interlocutore è solo Berlusconi: «Nel Pdl ognuno di noi vale uno, mentre Berlusconi vale 10 milioni di voti. Alfano deve dimostrare di avere i voti. Voglio capire dalla sua viva voce se ha abdicato a favore di Alfano. Io non ci sto».
 

Di buttare a mare Angelino, Berlusconi non ci pensa proprio, ma usa Fitto per limitarne l’ascesa ed evitare il suo pensionamento. Forse oggi farà incontrare i due, chiederà loro di mettersi d’accordo, ma a questo punto Fitto non vuole la cogestione del partito, lo vuole tutto. Il Cavaliere lascerà che i contendenti si azzannino ancora un po’ e poi deciderà. Usa tutte le parti in campo. Ad esempio ieri alla conferenza stampa dei ministri ha mandato Maria Rosaria Rossi, la sua più stretta collaboratrice. E negli stessi minuti Sandro Bondi da Arcore scriveva di non comprendere il senso di una conferenza stampa dove non si fa cenno al «dramma» di Berlusconi. «La conferenza stampa rischia di apparire incomprensibile e perfino paradossale».

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/10/italia/politica/caos-pdl-alfano-tende-la-mano-a-fitto-HJgGEitfUpAVRKB34gRmHO/pagina.html
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« Risposta #145 inserito:: Ottobre 20, 2013, 11:26:28 pm »

POLITICA
19/10/2013 - ALLEANZE

“Nuova coalizione”: il progetto di Alfano incrocia Casini

Il modello è la vecchia Casa delle libertà

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

La rottura di Scelta civica, con le dimissioni dell’ex premier Mario Monti, apre il nuovo cantiere del centrodestra. Qualcuno nel Pdl ricorda la grande coalizione sul modello della Casa delle libertà che vinse le politiche del 2001. Un paragone forse azzardato. Intanto perché allora il sole attorno al quale giravano tutti gli altri pianeti politici era Berlusconi. Adesso il Cavaliere non ha più tutta quella luce ed energia, tuttavia ha una rendita elettorale che non può essere trascurata e senza la quale in questa parte del campo nessuno può uscire vincente dalle urne. Ecco perché Alfano dice di non essere interessato ai «centrini», a operazioni dal fiato corto, come ha dimostrato essere Scelta civica. 
Casini e Mauro hanno imparato la lezione e veleggiano insieme non verso il Pdl ma in direzione di un porto che si chiama Partito Popolare europeo. Messe da parte le velleità neocentriste, il leader dell’Udc e il ministro della Difesa sanno che non possono sbianchettare Berlusconi: devono averlo dalla loro parte. Non più come il sole della galassia Popolare e nemmeno come candidato premier. Del resto l’ex premier non potrà più candidarsi quando diventerà esecutiva l’interdizione dai pubblici uffici. La Corte d’appello di Milano presto dovrà ridurre gli anni di interdizione in seguito alla decisione della Cassazione. A quel punto la decadenza di Berlusconi da senatore sarà un atto dovuto per Palazzo Madama. Non si parlerà più di voto palese o segreto in aula, la giunta che ha lavorato in questi mesi tra polemiche infuocate dovrà fermare i suoi lavori. Lavori che intanto sono stati rinviati di alcune settimane. Non a caso. A quel punto il Cavaliere non potrà più accusare il Pd e dire che non si può stare nella stessa maggioranza con i pugnalatori. 
Il piano per tenere in piedi il governo Letta e neutralizzare i falchi del Pdl e del Pd è composto anche da questo fondamentale passaggio. Se poi Berlusconi non si darà pace, allora sarà rottura nel Pdl, proprio come stava per accadere il 2 ottobre sul voto di fiducia. È vero che tra i protagonisti del nuovo centrodestra versione Ppe si nutrono ancora dubbi sulla determinazione di Alfano. Ma come dice il ministro D’alia, Udc, «Angelino non può rimanere in mezzo al guado dopo quello che ha fatto il 2 ottobre al Senato». «Rimane il fatto - osserva il senatore Paolo Naccarato - che Letta una maggioranza ce l’ha comunque a Palazzo Madama, con o senza Berlusconi. È il punto di forza di Alfano». 
Alfano però non vuole imbarcarsi in operazioni minoritarie. E non vuole perdere per strada il Cavaliere o, peggio, averlo contro. Vuole convincerlo che ricostruire una sorta di nuova Casa delle libertà con Casini e Mauro è l’unica strada per vincere le prossime elezioni. Quando ci saranno. La condizione è governare almeno fino al 2015. Le sue parole di ieri poi hanno tagliato le unghie a lealisti e falchi del Pdl. «Grazie al lavoro di Berlusconi stiamo costruendo un grande centrodestra, che sarà in grado di vincere contro le sinistre. Insieme al presidente Berlusconi lavoriamo per rafforzare il bipolarismo. Non siamo per formare nessun centrino, ma un grande centrodestra innovando in Italia e in Europa. Abbiamo un progetto e una bussola: costruire un grande centrodestra, da opporre alla sinistra, e vincere le elezioni». In questo percorso ci sono molte cose non dette. Ad esempio Mauro e Casini sono convinti che le larghe intese non finiranno in questa legislatura. E che quindi il bipolarismo di stampo popolare e socialista dovrà avere ancora delle eccezioni. Ma questo è lo scenario futuro. Adesso si converge tutti verso una direzione e il primo banco di prova del nuovo centrodestra saranno le elezioni europee. Lista unica o liste separate ma sotto l’ombrello del Ppe? 

Da - http://www.lastampa.it/2013/10/19/italia/politica/nuova-coalizioneil-progetto-di-alfano-incrocia-casini-a83RRqiJkdnrMj2V2eDaTM/pagina.html
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« Risposta #146 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:14:06 pm »

Italia
01/11/2013

Ma Angelino resiste: “Il partito è diviso. Non comandi solo tu”

L’ex premier punta a spaccare il fronte dei dissidenti

Amedeo La Mattina

ROMA

Nel giorno del suo compleanno (ieri ha compiuto 43 anni) Alfano ha tentato l’ultima disperata mediazione con Berlusconi. Ieri sera ha varcato ancora una volta il portone di Palazzo Grazioli per ribadire al Cavaliere che la decadenza da senatore non deve portare alla crisi di governo. E che Forza Italia deve rinascere su un patto chiaro, un patto che vede al comando la diarchia Berlusconi-Alfano. 

Ormai ci sono due componenti del partito: «Una si riconosce in te, un’altra si riconosce in me. La convivenza si può reggere su una regola statutaria che garantisce entrambi. Non ci può essere un potere totale di una delle due componenti, anche perché non è vero che la stragrande maggioranza del Consiglio nazionale sta solo da una parte. In ogni caso non intendo firmare il documento votato dall’ufficio di presidenza». Documento che ha segna il ritorno a Forza Italia attraverso l’azzeramento di tutte le cariche del partito, a cominciare da quella del segretario, come aveva chiesto Fitto insieme a falchi e lealisti. 

Ma Berlusconi vuole che Alfano firmi quel documento. Un ultimo appello prima della rottura definitiva. Un appello che ieri sera l’ex premier ha fatto al suo ex delfino per non dividere il partito e regalare un vantaggio alla sinistra che «mi sta pugnalando e sbattendo fuori dal Parlamento». Raccontano di ponti d’oro ad Angelino: l’assicurazione che sarà lui il candidato premier del centrodestra e l’uomo forte della nuova Forza Italia. Racconti che non corrispondono a quanto Berlusconi ha veramente detto al suo interlocutore. In ogni caso si tratterebbero di promesse alle quali Alfano non crede più. Il vicepremier vuole sentire altro: una parola definitiva sulla tenuta del governo, cosa che l’ex premier non promette. Anzi, pensa di passare all’opposizione un minuto dopo il voto sulla decadenza. 

Ieri Berlusconi ha rilanciato sulla legge di stabilità. Vuole una modifica profonda di alcune parti, soprattutto per quanto riguarda le tasse sulla casa. «Se la risposta di Palazzo Chigi sarà soddisfacente, allora continueremo a sostenere il governo», ha detto Berlusconi, senza però spiegare come è possibile conciliare questo aspetto con il problema della decadenza. Alfano ha lavorato molto sul fronte della legge di stabilità. In oltre due ore di vertice a Palazzo Chigi con Letta e Saccomanni ha cercato di trovare una soluzione sulla service tax che possa andare bene al Cavaliere. Il premier e il ministro dell’Economa vogliono aiutare il vicepremier, cercano di non offrire il fianco agli attacchi dei falchi, ma le modifiche alla legge di stabilità non saranno tali da accontentare il leader del Pdl. La verità è che Berlusconi sa benissimo che non può ottenere ciò che vuole. Sa altrettanto bene che la dead line per lui rimane la decadenza. E su questa trincea che aspetta tutti e continua a chiedere ad Alfano il massimo del sacrificio e di lealtà: le dimissioni da ministro, anche se gli altri ministri non dovessero farlo. 

Ecco allora qual è la vera operazione che l’ex premier sta tentando: spaccare il fronte dei dissidenti, spezzare il filo che lega Angelino al resto dei governativi duri e puri, convincerlo di non seguire la linea di Quagliariello e Cicchitto. Firmare il documento votato dall’ufficio di presidenza e il passaggio a una Forza Italia d’opposizione è un modo per metterlo con le spalle al muro. Il comunicato di ieri in cui il Cavaliere invoca l’unità serve a tentare di sfilare la sua giovane promessa alla fronda interna, assorbire una parte dei senatori Pdl che il 2 ottobre hanno firmato la mozione di fiducia a Letta. Infatti il punto è questo: questi senatori, che tra l’altro crescono di giorni in giorno, terranno botta? Tutto dipende dalle garanzie che Alfano dà sulla durata del governo fino al 2015. Garanzie che dipendono da cosa farà Renzi: se dovesse puntare alle urne, riuscendo nell’impresa, coloro che seguiranno Alfano si troverebbero bruciati. È l’atroce dubbio che Berlusconi ha instillando nella mente dello stesso Alfano. E che fa dire a Gasparri «ma chi glielo fa fare ad Angelino di seguire i professionisti del nulla? Ha 43 anni, ha una vita davanti. Se la legge di stabilità non viene migliorata lui si troverà ad avere spaccato il partito, scontentato i nostri elettori e perso l’occasione di rientrare alla grande in Forza Italia».

Da - http://lastampa.it/2013/11/01/italia/politica/ma-angelino-resiste-il-partito-diviso-non-comandi-solo-tu-s9rY4uaKdUgovcMxfTeXxH/pagina.html
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« Risposta #147 inserito:: Novembre 03, 2013, 07:05:09 pm »

Politica
31/10/2013 - retroscena

E Alfano gela il Cavaliere “Col voto anticipato vince Renzi”

Sì al voto palese sulla decadenza di Berlusconi

“Non possiamo regalare le elezioni alla sinistra, noi saremmo divisi e senza un leader”

Amedeo La Mattina
ROMA

Il conto alla rovescia è cominciato. Berlusconi attende il voto sulla decadenza da senatore per rompere la grande coalizione e passare all’opposizione dove crede di essere più tutelato.

È la vecchia tesi dell’avvocato Ghedini («voglio vedere se hanno il coraggio di arrestare il capo dell’opposizione») che ha fatto breccia nel Cavaliere. Il quale sta maturato la convinzione di non essere più in grado di far cadere il governo e ottenere le elezioni anticipate. 

L’ex premier ha messo in conto la scissione, anche se spera che alla fine Alfano ritorni sui suoi passi. Una speranza ormai ridotta al lumicino perchè il vicepremier non ha alcuna intenzione di seguire il suo ex padre politico all’opposizione, chiudendosi in una ridotta affollata di falchi, senza un ruolo di guida della nuova Forza Italia e la prospettiva di non essere il candidato premier del centrodestra. 

Martedì sera a cena Alfano ha avuto la conferma di questo scenario da incubo. E di fronte a Berlusconi che insisteva per lo strappo e l’uscita dal governo («non si può rimanere accanto a chi mi sta pugnalando, a cominciare da Napolitano che è il traditore numero uno»), il ministro dell’Interno ha puntato i piedi. «Mi rendo conto che sarebbe un boccone amarissimo, ma non possiamo regalare alla sinistra il voto anticipato. Loro con Renzi avrebbero la vittoria in tasca mentre noi ci troveremmo divisi, sfibrati, accusati di tutti i mali del mondo, e senza un candidato premier perché tu non puoi candidarti».

È quello che stanno ripetendo in queste ore i governativi, da Quagliariello a Cicchitto e Sacconi: non cadere nella trappola del Pd. «Il gioco del partito trasversale - spiega il ministro per le Riforme - è quello di portare il paese a elezioni, a febbraio-marzo, perché crede che in quel caso, con un centrodestra senza il suo leader, la sinistra di Renzi possa vincere facile. Non credo che tutto il Pd sia di questo avviso, ma una parte del Pd sì». Dunque, nervi saldi, non perdere lucidità, dice Quagliariello, avvertendo che in giunta si è formata una maggioranza anomala che avrebbe la possibilità anche di mettersi d’accordo per una legge elettorale contro il Pdl. «Facendo cadere il governo non si farebbe il gioco del centrodestra. Si creerebbe una maggioranza a noi ostile, si farebbe una legge elettorale contro il Pdl. E noi saremmo senza leader». 

 

Il conto alla rovescia della scissione filogovernativa e del passaggio all’opposizione di Berlusconi è iniziato. Due, tre settimane, forse un mese, tranne se al Senato non ci sia un’accelerazione, come sospetta Berlusconi. Comunque, quando arriverà l’ora fatale, il Cavaliere chiuderà i giochi. I falchi vorrebbero chiuderli il prima possibile, segnando la rottura già nel passaggio della legge di stabilità. Una manovra economica che non piace, difficilmente modificabile in Parlamento in base ai desiderata di Brunetta. Il capogruppo del Pdl ne ha preso atto durante il colloquio di ieri a Palazzo Chigi con il premier Letta, che ha rifiutato di convocare la cabina di regia per discutere di come cambiare le misure economiche. 

Il presidente del Consiglio è apparso sicuro di sè, non ha lasciato trasparire preoccupazioni. I suoi collaboratori dicono che si fida di Alfano e della tenuta di quei 30 senatori che non seguiranno le indicazioni di Berlusconi. Ma il Cavaliere proverà a spezzare questo gruppo di senatori «ribelli» e per fare questo ha bisogno di tempo. Per questo vuole rinviare tutto a dopo l’approvazione della legge di stabilità, al momento in cui al Senato verrà votata la sua decadenza. 

Spera che intanto Alfano faccia marcia indietro, che lo stesso Schifani rimanga al suo posto, quello di capogruppo del Pdl che diventerà Forza Italia. Se entrambi rimangono al suo fianco, quei 30 senatori potrebbero diventare 15, e a quel punto Letta non avrebbe più la maggioranza a Palazzo Madama. Ecco perchè Fitto, uscendo da Palazzo Grazioli dopo un colloquio con il Cavaliere, insiste nel dire «Angelino deve decidersi».

Sembra che Angelino una decisione l’abbia presa, anche se Paolo Bonaiuti invita alla massima prudenza. Più difficile recuperare i rapporti con alcuni ministri, Quagliariello in testa, mentre su Alfano c’è ancora una flebile speranza. Talmente flebile che gli stessi rapporti umani e personali tra Silvio e Angelino non sono più quelli di prima, quelli del leader indiscusso e del giovane delfino.

Da - http://lastampa.it/2013/10/31/italia/politica/e-alfano-gela-il-cavaliere-col-voto-anticipato-vince-renzi-Mwv8L4hnpSXUo1neuoKY1I/pagina.html
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« Risposta #148 inserito:: Novembre 13, 2013, 04:09:04 pm »

Politica
12/11/2013 - il caso

I dolori del giovane Alfano  “Al Consiglio si rischierebbe un Fini-bis”

Osteggiato dai falchi del Pdl, il vicepremier ha davanti giornate durissime

Amedeo La Mattina
Roma

«Se c’è qualcuno che preferisce la poltrona di ministro, pensando di essere diventato capace e di essere il più bravo, sabato si sveglierà e sarà un incubo». Così parlò la pitonessa Daniela Santanchè. Lei non vede l’ora che i «poltronisti» tolgano il disturbo e lascino la rinata Forza Italia per poter veleggiare nello splendido isolamento di un’opposizione dura e pura dove dovranno contendere a Grillo e ai pentastellati il monopolio insurrezionale. 

Sarà un sabato sanguinoso quello che si annuncia: un Consiglio nazionale dove la guardia imperiale con il simbolo dei falchi monterà la guardia armata attorno al leader indiscusso e indiscutibile, mentre i «traditori» dovranno giustificarsi, piegarsi, tentare di spiegare perchè il governo deve vivere. Nonostante la decadenza. Per questo molto probabilmente Alfano e amici non andranno, non metteranno piede ne palazzo dei Congressi dell’Eur. Una location diversa da quella di via della Conciliazione dove Fini si alzò con il dito affilato puntato contro il Cavaliere e pronunciò l’epico «che fai mi cacci?». Il dito gli fu tagliato: bastò una riunione dell’ufficio di presidenza per mettere alla porta uno dei due fondatori del Popolo della libertà, senza che il gruppo storico di An battesse ciglio.
 
Ora Alfano non vuole ritrovarsi dentro la stessa scena, nell’incubo evocato da Daniela. L’ex delfino non può e non vuole ritrovarsi nelle stesse condizioni di Fini, in questo sabato di sangue. Meglio dare forfait, ma come Fini potrebbe ritrovarsi una volta fuori dal partito, lontano dal suo padre politico. Lo spettro di Fini è quello che ha evocato lo stesso Berlusconi nel fine settimana: questo è il destino che aspetterebbe coloro che si allontano dalla casa del padre. E Alfano questo rischio ce l’ha presente e non lo esclude del tutto. Anche se molti gli dicono che le condizioni politiche e storiche sono cambiate, che non verrà commesso l’errore di fare un centro tendente a sinistra. No, noi faremo il nuovo centrodestra, avremo «piedi, cuore e testa nel centrodestra», dicono i teorici della scissione. 

Ma Alfano qualche dubbio ce l’ha. I dolori del giovane Angelino sono molteplici. E’ addolorato che Berlusconi non lo ascolti, che invece dia retta a Fitto e Verdini, «persone che non gli vogliono bene come gliene voglio io». Lasciare la casa del padre è sempre doloroso, ancora di più il parricidio, ma ormai il giovane Angelino ha bruciato i vascelli alle spalle. 

Da - http://www.lastampa.it/2013/11/12/italia/politica/i-dolori-del-giovane-alfano-rauhtedgh8FK5tC6pmz7FK/pagina.html
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« Risposta #149 inserito:: Novembre 29, 2013, 07:18:34 pm »

politica
29/11/2013 - retroscena

E adesso Alfano teme gli assalti anche dal Pd di Renzi
Alfano incalza: la vita del governo dipende da noi

Amedeo La Mattina
ROMA

Per capire che aria tira nel Nuovo Centrodestra e quanto si sono deteriorati i rapporti con Forza Italia, basta ciò che è successo ieri mattina nella sala Koch del Senato. 

I ministri Lupi, Quagliariello, Lorenzin e De Girolamo (Alfano non è ancora arrivato) stanno spiegando i risultati ottenuti con la legge di stabilità. «Il lavoro fatto chiarisce bene cosa significa difendere gli elettori del centrodestra», chiosa il ministro delle Riforme. Atmosfera istituzionale, slide esplicativi, i capigruppo Sacconi e Costa seduti tra i giornalisti, un grido irrompe dal fondo della sala. «Buffoni, buffoni». È Alessandra Mussolini che urla e se ne va. I ministri si guardano sbigottiti, «andiamo avanti», dice Lupi, «ecco una esemplificazione weberiana del tipo di confronto che vogliono gli altri», nota Quagliariello, «la Mussolini riscopre il suo passato di donna di spettacolo», liquida Formigoni. 

Rotti gli ormeggi per navigare nel mare aperto delle incognite politiche, il nuovo partito di Alfano si trova in una tenaglia. Forza Italia non perde occasione per sparare addosso ai cugini che sono rimasti accanto al boia di Berlusconi, approvando pure una legge di stabilità che tradisce le promesse elettorali. «Prigionieri di Letta, cespugli del Pdl», distillano veleno da quella parte. «Alfano è già all’angolo, verrà affettato come un salame», profetizza Brunetta. 

Dal 9 dicembre Alfano dovrà vedersela con il nuovo segretario del Pd Matteo Renzi. Questo l’altro braccio della tenaglia: il sindaco di Firenze, che annuncia di voler ridiscutere il patto di governo, ora che le larghe intese si sono ristrette. Alfano mostra i muscoli, fa la faccia dura, dice di non avere paura del confronto, della verifica programmatica. È convinto di partire da una posizione «privilegiata» grazie ai numeri parlamentari e ai consensi che il Nuovo Centrodestra riscontra nei sondaggi. «Noi non saremo subalterni a nessuno. Noi abbiamo parlamentari sufficienti per tenere in vita il governo, ma anche viceversa». 

Insomma, il Pd avrà pure 300 deputati, ma i 30 senatori del Nuovo Centrodestra hanno in mano la golden share della maggioranza. Se poi Renzi vuole far cadere il Governo presieduto da un esponente del Pd, si accodi. «Io spero - avverte Alfano - che il conto della vicenda congressuale del Pd non ricada sull’Italia e non lo paghino gli italiani». Schifani non crede che Renzi commetterà un errore del genere. «E poi sia chiaro - precisa l’ex presidente del Senato - il nostro principale interlocutore è il premier Letta. Sarà lui a mediare». 

 

Il Nuovo Centrodestra deve attrezzarsi a reggere su più fronti per non rimanere schiacciato tra quelli che Alfano definisce «i partiti della crisi e del buio, e sono tanti, mentre gli italiani soffrono la situazione economica». 

È costretto a guardare avanti, a credere di avere anche il «privilegio» del consenso elettorale tanto necessario a Berlusconi. «Il futuro centrodestra siamo noi, con noi i moderati possono vincere». 

Non gli sarà facile sfuggire alla tenaglia del Pd a trazione Renzi e di Forza Italia versione opposizione che minaccia di non votare le riforme costituzionali. L’unico modo è prepararsi a una verifica di governo con idee di centrodestra. Dopo l’approvazione della legge di stabilità e il congresso del Pd, Alfano proporrà un nuovo contratto agli italiani. Il «Contratto per l’Italia 2014». Sabato a Milano il primo appuntamento per cominciare a scriverlo. 

Da – lastampa.it
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